Sbagliato inseguire, l’Italia ha la ricetta: Geremia vede giusto

26.11.2024
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Al Giro della Lunigiana del 2021 in cui Lenny Martinez trascinò i francesi alla conquista dell’Italia, Gianluca Geremia guidava la rappresentativa del Veneto, con corridori come Bruttomesso, Pinarello e Scalco. Quel primo Lunigiana dopo il Covid segnò di fatto l’accelerazione fra gli juniores che oggi è sotto gli occhi di tutti. Martinez trascorse una stagione nella continental della Groupama-FDJ e poi salì nel WorldTour. Pinarello passò direttamente professionista nella Bardiani. Si era messo in moto il meccanismo che ha portato allo svuotamento della categoria under 23 per ragioni tecniche e per altre convenienze di cui fanno le spese i ragazzi meno pronti al salto di categoria.

Giro della Lunigiana 2021, Gianluca Geremia con Alberto Bruttomesso
Giro della Lunigiana 2021, Gianluca Geremia con Alberto Bruttomesso

Il tecnico ex corridore

Geremia lavora nel commerciale di Morfeo Gadget, che realizza trofei stampati in 3D, e per il resto continua a seguire le squadre della sua regione e ne manda avanti una a sua volta. Da dilettante ha vinto 11 corse, è stato per tre anni alla Zalf Fior, prima di passare professionista. Tornare a quel Lunigiana è il pretesto per rileggere anche l’Editoriale di ieri e capire che molto probabilmente il discorso ha colto nel segno (in apertura la squadra del Veneto al Lunigiana 2024, immagine Facebook).

«Nel 2021 eravamo nel pieno di un momento – dice Geremia – in cui la Francia iniziava a raccogliere il frutto di un percorso intrapreso anni prima. Già da tempo correvano diversamente, facevano più gare a tappe e meno gare di un giorno. Quindi il loro calendario era già più internazionale, il colpo di pedale era differente e avevano già eliminato la limitazione dei rapporti. Però anche i nostri si difendevano. Bruttomesso ha fatto la sua trafila, è stato under 23, poi è diventato professionista. Quest’anno ha fatto i primi risultati e come lui Crescioli, che in quel Lunigiana arrivò secondo e quest’anno ha vinto una tappa del Tour de l’Avenir. Si vide però un diverso modo di lavorare. Anche noi avremmo potuto togliere la limitazione del 52×14, ma se in corsa non faccio il ritmo gara dei francesi, si creano danni e basta. E’ servito il tempo per adattarsi».

Lunigiana 2021, il podio: Martinez davanti a Crescioli e Pinarello
Lunigiana 2021, il podio: Martinez davanti a Crescioli e Pinarello
Diverso colpo di pedale significa anche altre velocità?

Io seguo la categoria juniores e posso dire che le medie si sono alzate drasticamente. Ormai la gara vale quanto una nei dilettanti di dieci fa. Non ancora con gli stessi picchi, però ci stiamo avvicinando. I ragazzi sono molto più maturi fisicamente e se vengono seguiti bene, tirano fuori delle super prestazioni. Con l’avvento di Salvoldi in nazionale, abbiamo visto che allenati nel modo giusto e con le giuste intensità e frequenze di pedalata fra pista e strada, ottengono grandi risultati e non sono secondi a nessuno. Dopo la svolta del 2021, adesso bisogna stare attenti. Da quell’anno il ciclismo juniores è diventato ancora più esigente e ho visto che molti atleti forti al primo anno, non si sono confermati al secondo e questa cosa un po’ mi fa pensare.

Perché?

Normalmente si andava bene il primo anno e più forte al secondo, ora invece c’è una flessione. Abbiamo fatto un passo in avanti, ma ora dobbiamo avvicinare l’altro piede, perché a livello mentale non sono preparati per queste pressioni. Hanno tutti il procuratore, ma molte volte non ricevono alcuna indicazione oppure non sono pronti per ascoltare quello che gli viene detto. Poi ci sono le pressioni dei team, per cui si stanno creando un po’ di confusione e anche attriti fra il team, la nazionale e le squadre in cui andranno. La società juniores vuole far correre il ragazzo perché ha investito soldi e tempo per avere dei risultati. La nazionale ha le sue esigenze e l’ottimo lavoro di Edoardo (Salvoldi, ndr) è il fatto di mediare fra le parti. Però dall’altra parte c’è la pressione che arriva da questi procuratori che porteranno i ragazzi nei vari team satellite. Questo crea il rischio di collisione, è tutto il sistema che rischia di andare in crisi.

Perché tutto questo?

Perché c’è stato un giro di chiave e stiamo rincorrendo un sistema non nostro. Secondo me, dobbiamo trovare il nostro metodo di lavoro, perché qui i ragazzi non sono trattati come all’estero, dove hanno le scuole che permettono di fare attività sportive. Dove ci sono le vere scuole sportive e dei team satellite con budget che gli permettono di fare un’attività tanto superiore. Questo sistema, che per noi italiani è ancora lontano, ci sta precludendo la possibilità di trovare il vero campioncino, perché magari si è spinti a chiedere il risultato a un allievo che non è ancora maturo.

L’avvento del cittì Salvoldi ha innalzato il livello del lavoro e creato collaborazione fra nazionale e società
L’avvento del cittì Salvoldi ha innalzato il livello del lavoro e creato collaborazione fra nazionale e società
Ci sono degli esempi?

L’esempio lampante è Francesco Busatto (Geremia non ha dubbi, ndr). Per molti era uno dei tanti e aveva l’80 per cento di possibilità di smettere e il 20 di entrare nei dilettanti. Poi per fortuna, abbiamo visto chi è. Io credo che spesso non si faccia una selezione attenta, perché effettivamente il procuratore guarda i numeri. Vede quello che vince, l’altro che ha un ottimo test, però abbiamo visto tanti ragazzi andare forte nei test eppure non diventare mai dei corridori. Quella roba lì non te la vendono al supermercato. Prendiamo il caso di Finn

Cosa vogliamo dire?

Sin dalla prima volta che lo vidi al Lunigiana, si capiva che fosse un ragazzo genuino e brillante mentalmente. Uno che dichiarava che avrebbe attaccato e che avrebbe cercato di fare il forcing e poi l’ha fatto davvero. Quando poi vai all’arrivo e vedi questo ragazzino magro, ancora tutto da formare, lo capisci subito che questo qua è il nostro pacchetto regalo per il futuro, l’investimento, il nostro fondo. E come lui secondo me ce ne sono anche altri. Come appunto Busatto, un altro che fisicamente sembrava quasi un esordiente messo là con gli juniores. Magari non brillante come Finn, però vedevi che c’era del margine di lavoro. Sapete cosa manca secondo me veramente in Italia?

Un vero osservatore disinteressato o comunque obiettivo?

Esatto, il talent scout, che non è il procuratore, ma uno che guarda le corse indipendentemente dal colore della maglia. Che va a parlare direttamente con i direttori sportivi, che magari regione per regione riesce veramente a seguire l’allenamento, parlare con gli atleti e con i loro tecnici. Secondo me dobbiamo trovare una formula di questo tipo, perché oltre ai numeri, per fare i corridori servono altre peculiarità e una di queste è la famiglia alle spalle. Chi sei, come ragioni, cosa pensi, cosa vuoi. Lì dobbiamo trovare, perché è il mix di tanti elementi a far sì che il ragazzo diventi corridore. Se ci soffermiamo solo sul fatto che vince 100 corse e ha ottimi test, secondo me non stiamo portando avanti la persona giusta. Ecco, io la vedo così perché provengo da un ciclismo dove ci scornavamo tutte le domeniche al circuito di San Michele, la corsa del campanile, ma da lì è uscito Ballan, è uscito Cunego.

Pochi scommettevano che Busatto sarebbe passato professionista: se non lo avessero atteso, avrebbe smesso
Pochi scommettevano che Busatto sarebbe passato professionista: se non lo avessero atteso, avrebbe smesso
Il mondo però nel frattempo è cambiato…

Vero, stiamo parlando di un altro ciclismo e dobbiamo adeguarci, ma io sono convinto che dobbiamo essere bravi tutti a trovare il nostro metodo e dare al ciclismo dei corridori che non siano degli juniores con la barba o allievi con le gambe straformate, che fanno tot chilometri all’anno e vincono 200 corse. Quelli sicuramente hanno buone capacità fisiche e voglia di fare sacrifici, ma evidentemente è un tipo di gestione non lungimirante.

Torna al tuo ciclismo: Geremia sarebbe stato pronto a passare professionista a 19 anni?

Pronto non lo ero sicuramente, perché da junior dovevo ancora cominciare a ad allenarmi. L’entusiasmo ci sarebbe stato tutto. Un’altra pecca di questo ciclismo è che nei dilettanti non ci sono più gli elite e quindi si vive su questa categoria under 21 che si tentò di inserire nel lontano 2000. E’ come una continuazione degli juniores, invece di essere due anni è come se fossero tre perché i più forti vanno a fare un altro tipo di calendario e approdano ai devo team. I medio-buoni rimangano lì, vincono sempre gli stessi con la crescita di qualcuno, però la scelta si riduce. E noi intanto portiamo avanti quello che pensiamo sarà il corridore professionista, ma non è così.

Ci fai un esempio?

Quando c’erano gli elite, quando io stesso ero un primo anno elite, in gruppo c’erano Nibali e Visconti. E quando vedevi questi ragazzini del primo anno che vincevano e bacchettavano i più grandi, era il segno che erano corridori veri. E se c’era qualcuno che faceva il furbo, in quegli anni andavano a beccarlo subito. Battere un elite preparato ad esempio per la Coppa Colli Briantei piuttosto che il Giro di Toscana, era l’indicazione di uno che andava forte, che era un corridore vero. Con questa formula abbiamo sempre trovato corridori che ci hanno fatto fare bella figura nel mondo professionistico. Non solo Nibali e Visconti, pensiamo anche a Pozzovivo. Quindi la categoria dilettanti italiana andava benissimo perché il livello delle gare era alto e potevi davvero dare una misura ai giovani che arrivavano.

Finn ha grinta, motivazioni, una famiglia alle spalle e un fisico da scoprire: il futuro è dalla sua
Finn ha grinta, motivazioni, una famiglia alle spalle e un fisico da scoprire: il futuro è dalla sua
Quindi Reverberi che propone la cancellazione degli U23 ha ragione solo perché la categoria è stata svuotata?

Esatto. Le gare sono diventate di 150 chilometri, non ha proprio senso chiamarli dilettanti, chiamiamoli juniores del terzo o quarto anno. Inventiamoci un’altra categoria, perché ha ragione Reverberi. Purtroppo in questo ciclismo qualcuno ha deciso che gli under 23 non servono e noi dobbiamo adeguarci a questa a questa legge di mercato, io la chiamo così. Se però facciamo un discorso razionale e ci diciamo che dobbiamo tirare su atleti imposti da una legge di mercato come questa, perché adesso va quasi una moda fare così, sono del parere che resteremo perdenti. Stiamo inseguendo gli altri e quindi siamo già fuori tempo, il ciclismo mi ha insegnato questo. Se c’è fuori la fuga e il gruppo la annulla tutti insieme, inseguire ha un senso. Ma se tu dovevi essere in quella fuga perché ci sono dentro quelli che vincono, puoi inseguirla, ma sei fuori tempo. Quando rientri, gli altri ripartono e tu hai chiuso.

Quindi cosa si dovrebbe fare?

Fare squadra, inseguire con il gruppo per raggiungerli. Così quando arriviamo a prenderli, abbiamo energie per stare ancora con loro o per rintuzzare i nuovi attacchi. Ma finché rincorriamo così, per tentativi e da isolati, diventa tutto più difficile. Ci potrebbe essere sotto un discorso politico, ma non sta a me farlo, perché sono lontano dalla politica. Oggi stiamo parlando di cose tecniche, però a mio modo di vedere gli elite non hanno mai fatto male a nessuno e mi dispiace vederli maltrattati. Li chiamiamo vecchi, ma hanno 24-25 anni e nonostante quello che dice il ciclismo moderno, hanno tanto da dare.

Nuova Scott Addict RC, la bici racing concept torna a dettare legge

26.11.2024
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GIRONA (Spagna) – Una Scott con una sorta di target, ovvero un valore alla bilancia complessivo che arriva anche al di sotto dei 6 chilogrammi, incredibile. La nuova era del carbonio è iniziata. Un risultato ottenuto grazie all’impiego della fibra di carbonio HMX SL evoluta e grazie ad un pool di tecnologie non disponibili 16 anni fa (la prima Addict risale al 2008). E’ cambiato completamente il concetto di posa delle pelli di carbonio (e dell’utilizzo del mandrino interno ai profilati e della forcella, in fase di costruzione). Per ogni singolo telaio vengono impiegati oltre 200 pezzi di tessuto composito.

La nuova piattaforma Addict RC di Scott è frutto di 4 anni tra progettazione, sviluppo e test. Sono cinque gli allestimenti disponibili, Ultimate e RC Pro, RC10, 20 e 30, con un range di peso compreso tra i 5,9 e 7,7 chilogrammi. La Ultimate adotta il carbonio SL, dalla versione Pro in avanti la HMX “standard”. Prima di entrare nel dettaglio del nuovo progetto, vediamo anche alcune battute di David De La Cruz (Q36.5 Pro Cycling Team), tra i primissimi atleti ad usare la nuova Addict.

David De La Cruz, 35 anni, esperto corridore del Q36.5 Pro Cycling Team (foto Brazodehierro)
David De La Cruz, 35 anni, esperto corridore del Q36.5 Pro Cycling Team (foto Brazodehierro)

Una bici del genere fa la differenza

«Scott mi ha coinvolto nelle prime fasi di test ufficiali su strada – ci racconta David De La Cruz – non in fase prototipale. La Nuova Addict mi è stata fornita nelle giornate che hanno preceduto il mondiale di Zurigo. Rispetto alla Foil, a parità di configurazione gara, la Addict è circa 800 grammi più leggera, un’enormità a questi livelli. Stabile e precisa davanti nonostante il peso ridotto, facile da rilanciare anche alle basse velocità e ovviamente, come è facile immaginare, una vera belva quando la strada sale. E poi è fluida e stabile.

«Anche per questi motivi e considerando che si tratta di una bici più giovane – prosegue lo spagnolo – rimango sorpreso una volta di più dalla validità della Foil, una bici che nasce aero e che noi e i ragazzi della DSM abbiamo preso come riferimento anche per i Grandi Giri e tappe molto impegnative. Tornando alla nuova Addict, un grande vantaggio – conclude De La Cruz – è che mette insieme una notevole tenuta della velocità e tanti grammi risparmiati, quindi bene in pianura, molto bene in salita e nelle fasi di rilancio».

Il punto fermo è il DNA Scott

Il peso ridotto è molto più che un biglietto da visita e un numero sul quale puntare la campagna di promozione della nuova bici. E’ un valore che la Addict ha fatto suo fin dalla prima versione, fattore emulato da molti che in seguito hanno sviluppato e prodotto bici super leggere in carbonio. Ma le tecnologie progrediscono, così come i materiali e la nuova Scott è frutto anche di una ricerca tecnologica tanto esasperata, quanto capace di raggiungere livelli impensabili.

Pur mutuando il DNA race di Scott e richiamando in parte alcune soluzioni estetiche della Addict precedente e della Foil, siamo di fronte a una bici tutta nuova. E’ stato completamente rinnovato il blend di carbonio per entrambe le versioni. Un telaio SL nella misura media (senza verniciatura) arriva a pesare meno di 600 grammi, con una rigidità ben oltre la media (rispetto al precedente è sceso di oltre 160 grammi). Impressiona anche la riduzione di peso che ha coinvolto la fibra HMX (ora a 650 grammi dichiarati), con un risparmio di quasi 180 grammi se paragonata al modello 2020. La cura dimagrante riguarda anche la forcella (circa 50 grammi a prescindere dalla versione). L’aerodinamica non è stata dimenticata, anche se non è il fattore chiave, ma alcuni accostamenti con la Foil sono lampanti (zona dello sterzo, inserzione dei foderi obliqui e geometrie).

E’ stato adottato un concetto di integrazione evoluto di ogni singolo componente, soluzione che ha permesso di risparmiare complessivamente tanti grammi (includendo anche la verniciatura e ogni singolo componente di assemblaggio). Più margine per il comfort, grazie all’eventuale impiego di coperture fino a 34 millimetri, una bicicletta più bassa (rispetto alla versione precedente) e una geometria corsaiola, ma non eccessivamente tirata (nonostante un accorciamento del carro posteriore). Il feeling delle geometrie e la posizione in sella del corridore sono del tutto accostabili alla Foil.

Il ritorno di un obliquo “quasi” rotondo

Ogni tubazione ha una posa dedicata del carbonio (ogni singolo profilato si ottiene con quattro strati), spessori variabili in base alle zone e forme altrettanto specifiche, frutto anche dell’orientamento del carbonio e dell’aerodinamica (in alcuni punti gli spessori sono al di sotto di 0,6 millimetri).

E poi una sorta di “ritorno” di una tubazione arrotondata (non completamente, in quanto la superficie rivolta all’interno del triangolo mostra un appiattimento), voluta per donare una maggiore rigidità d’insieme e per sfruttare al massimo la svasatura dello sterzo. Quest’ultima sezione è complessivamente più efficiente della “vecchia” Addict, intorno al 15% e paragonabile alla Foil in fatto di penetrazione dello spazio.

Viti T25 e multitool nella piega

Tutta la viteria che riguarda il frame-kit e i componenti Syncros è di natura Torx25. Una soluzione votata a semplificare una gestione talvolta complicata e confusionaria, davvero molto apprezzabile. Inoltre è possibile integrare un mini-tool leggero all’interno della piega (all’interno del terminale della curva), completamente nascosto e semplice da estrarre in caso di necessità.

Parliamo ora del reggisella e del cockpit integrato. Il primo ha mutuato le forme dalla versione più anziana, ma è stato rivisto nella costruzione e nella sostanza. E’ disponibile con uno off-set di 0,5 centimetri e uno maggiormente scaricato verso il retro, quest’ultimo integra anche una luce led ad alta visibilità. La versione con arretramento maggiorato garantisce (sempre compatibile, ma disponibile come standard dall’allestimento RC 10 in poi) il 36% di flessioni in più, magari utile in caso di sconnesso, oppure per chi vuole un “maggiore effetto compliance”. E poi il nuovo manubrio integrato Syncros R100 SL, più magro rispetto a quello in dotazione alla Foil, con un’ergonomia ottimizzata e una svasatura di 1,5 centimetri per lato (più stretto sopra e largo sotto), circa 6°.

Occhio ai prezzi e alla bilancia

La Scott Addict RC Ultimate, quella con le ruote Syncros Capital SL (tutte in carbonio) da 40 ed il pacchetto Sram Red, ferma l’ago della bilancia a 5,9 chilogrammi con un prezzo di listino di 12.999 euro. Appena sotto c’è la RC Pro con lo Shimano Dura Ace, ruote Syncros raggiate in acciaio (cerchio da 40 millimetri), peso dichiarato a 6,5 chilogrammi e 8.699 euro.

Le versioni RC 10, 20 e 30, hanno rispettivamente le trasmissioni Shimano Ultegra (10 e 20, la prima ha il cockpit integrato) e Shimano 105 Di2. I pesi dichiarati sono di 7,1, 7,4 e 7,7 chilogrammi, tutti numeri estremamente interessanti, con prezzi di 6.999, 5.999 e 4.999 euro. Le taglie disponibili sono 7, dalla XXS fino alla XXL.

Scott

Thomas, l’oro olimpico e la pista nel suo Dna

26.11.2024
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Si ha un bel dire che le Sei Giorni hanno un copione già scritto. Spesso l’aspetto agonistico passa in secondo piano, è vero e chi ricorda le lontane kermesse del Vigorelli di Milano lo sa bene, con il pubblico che incitava Moser e Saronni verso la vittoria finale. Probabilmente è così, ma a Gand la Sei Giorni è qualcosa di particolare e alla fine vogliono vincerla tutti. Anche Benjamin Thomas, che mai ci era riuscito e che conquistandola voleva mettere la ciliegina sulla torta di una stagione straordinaria.

Thomas insieme a Van Den Bossche, per loro vittoria a Gand proprio all’ultimo minuto (foto organizzatori)
Thomas insieme a Van Den Bossche, per loro vittoria a Gand proprio all’ultimo minuto (foto organizzatori)

Il francese, oro olimpico nell’omnium, ha chiuso la sua annata proprio con la prova principe dell’inverno su pista, riuscendo nell’impresa solo nell’ultima americana insieme al belga Fabio Van Den Bossche, che già gli aveva fatto compagnia con il suo bronzo sul podio olimpico.

«Erano anni che inseguivo questo traguardo – racconta – perché Gand è diversa dalle altre, è una Sei Giorni dove si combatte ogni giorno. I belgi De Vylder e Ghys volevano il bis dello scorso anno, poi c’erano il mio fiero avversario olimpico Gate e Hesters anche loro in lotta per la vittoria. Noi eravamo indietro, ma al venerdì, nell’americana speciale del Memorial Sercu di oltre un’ora abbiamo riguadagnato terreno e l’ultima serata abbiamo preso il giro che ci serviva».

Quindi non c’era un accordo prima della corsa?

E’ vero che in questo genere di corse l’agonismo viene messo in secondo piano, siamo lì per dare spettacolo, ma Gand è la prova più prestigiosa di tutto il circuito, vincere quella dà risalto e tutti ci puntano, anche solo alla partecipazione. I belgi ci tengono come se fosse un mondiale. E’ chiaro però che non lo è, e quindi corriamo sempre con il freno un pochino tirato, non prendendo più rischi del dovuto per non compromettere la stagione successiva.

Al Giro d’Italia il suo primo picco stagionale, con la vittoria nella tappa di Genova
Al Giro d’Italia il suo primo picco stagionale, con la vittoria nella tappa di Genova
Hai chiuso la stagione come meglio non si poteva…

E’ stato un anno veramente esaltante, uno dei miei migliori come risultati. Un po’ diverso dal solito, nel senso che non ho avuto una forma costante, ma sono riuscito ad avere tre picchi quando mi interessava: al Giro d’Italia, alle Olimpiadi e nel finale di stagione proprio pensando a Gand. Avevo scelto questi tre eventi come obiettivi d’inizio anno e li ho centrati tutti.

Ora che se ne può parlare a mente fredda, che cosa ti è rimasto del trionfo olimpico?

Ho negli occhi la passione della gente, la luce nei loro sguardi mentre ci sostenevano. Alla vigilia mi ero messo in testa che potevo puntare al podio, anche se la concorrenza era la più forte di sempre. In una gara come l’omnium servono la strategia, la tattica in gara, ma anche tanta fortuna e quel giorno tutto è girato bene. Non posso dire che la vittoria finale mi abbia sorpreso, ma è stata un’emozione enorme perché ho visto la fine di un lungo cammino per arrivarci, iniziato tanto tempo fa.

Tutta la grinta di Thomas dopo la vittoria nell’omnium olimpico, il traguardo di una vita
Tutta la grinta di Thomas dopo la vittoria nell’omnium olimpico, il traguardo di una vita
Sentivate la pressione, correndo in casa?

Sicuramente non era una gara come le altre, la gente era esaltata verso noi francesi, ognuno di noi che gareggiava con il vessillo tricolore la sentiva. Se ne parlava da 5-6 anni, per noi quella era “la gara”. L’attesa era incredibile, ma uno dei segreti della mia vittoria credo sia stato il fatto di non starci troppo a pensare. Un altro è stato avere la possibilità di rompere il ghiaccio con il quartetto, dove non eravamo tra i favoriti e abbiamo potuto esprimerci al meglio senza troppe aspettative addosso. Io mi sono sentito più tranquillo dopo verso l’appuntamento principale.

Che fosse una gara speciale si era capito anche alla vigilia, ad esempio a Fiorenzuola con la bellissima sfida fra te e Viviani

Io ed Elia ci siamo arrivati in momenti diversi della nostra preparazione, io ero già tirato, lui si vedeva che stava ancora lavorando, tanto è vero che si allenava al mattino con carichi ancora pesanti per poi gareggiare alla sera. Elia aveva a Parigi una grande condizione e la sua gara conferma quanto dicevo prima a proposito della fortuna: io ne ho avuta, lui nel giorno dell’omnium no, ma si vedeva che aveva una gran gamba e durante la madison lo ha dimostrato. Senza la caduta penso che lui e Simone avrebbero potuto vincere. Elia è uno al quale in pista non devi mai lasciare spazio…

Il francese nel 2025 si concentrerà più sulla strada, ma pensa di essere ai mondiali su pista
Il francese nel 2025 si concentrerà più sulla strada, ma pensa di essere ai mondiali su pista
Dopo Parigi molti specialisti hanno detto che metteranno da parte la pista per dedicarsi alla strada, come Ganna. Tu che cosa farai?

Io non posso lasciarla del tutto, è nel mio Dna. Inoltre è ormai acclarato quanto possa essere fondamentale nella costruzione della mia condizione fisica anche in funzione della strada. Io seguo percorsi diversi per raggiungere la forma migliore, ad esempio prima di Parigi non ho fatto periodi di altura, ho sfruttato il Giro d’Italia e le sue tre settimane per salire di più livelli. Io conto nel 2025 di dedicarmi più alla strada, ma se il calendario lascerà spiragli, qualche prova di Nations Cup e i Mondiali penso di farli. Per Pippo è diverso, lui punta all’inseguimento, ma credo che rimanere del tutto fuori dalle competizioni per 2-3 anni, se vuoi essere alle Olimpiadi al massimo livello, sia controproducente.

Nel 2022 la sua stagione migliore, con 4 vittorie e ben 22 piazzamenti nei primi 10
Nel 2022 la sua stagione migliore, con 4 vittorie e ben 22 piazzamenti nei primi 10
Che obiettivi ti poni per il 2025?

Come detto mi dedicherò di più alla strada anche per ripagare il team della fiducia avuta per me quest’anno. Vorrei vincere un’altra tappa in un Grande Giro, magari al Tour, sarebbe il massimo, anche perché la seconda settimana sarà in Occitania che è la mia regione e vincere davanti alla mia gente sarebbe speciale. Poi vorrei portare a casa qualche altra vittoria, non sto molto a fare scelte su quale gara specifica, vincere ha sempre un bel sapore ovunque capiti. Diciamo che ripetere il 2022, quando vinsi anche due corse a tappe come Etoile de Bessèges e Boucles de la Mayenne non sarebbe male…

Per anni hai vissuto in Italia, ci tornerai?

L’Italia è la mia seconda casa. Per ora vivo dai miei genitori, vedremo più avanti che cosa fare, ma è certamente un’opzione.

L’occasione mancata: Piva e la Sanremo 2024 di Matthews

26.11.2024
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Sedici marzo del 2024, il giorno in cui Valerio Piva si è mangiato le mani per la Sanremo sfumata. Più rivedi quel finale, più ti accorgi delle sfumature che hanno impedito a Michael Matthews di conquistare il traguardo di via Roma. E si fatica a capire se nel tono di voce del tecnico del Team Jayco-AlUla prevalga la delusione o la stizza. Prosegue la nostra galleria delle incompiute (raccontate dai direttori sportivi) e questa volta in palio c’è la prima Monumento della scorsa stagione.

«Si poteva vincere – dice Piva – ma Matthews da un certo punto di vista è stato corretto, perché non ha insistito nel tenere Philipsen alla corda. Era nel suo diritto perché era davanti, invece gli ha aperto la porta e chiaramente l’altro è passato. Invece poi al Fiandre lo hanno squalificato dal terzo posto per un leggero movimento, ma questa è un’altra storia».

Pidcock viene ripreso all’inizio della volata. Prima Stuyven e poi Matthews in prima persona risucchiano il gruppo in un’accelerazione violentissima. L’australiano sogna da sempre di vincere la Sanremo: si sposta sulla sinistra del rettilineo, ma anziché tenere la linea si scosta. Anche perché sul più bello, tenendo lo sguardo verso il basso, gli scivolano via gli occhiali. La minima esitazione permette a Philipsen di infilarsi, risalire e poi batterlo al colpo di reni.

Dalla partenza, la Jayco-AlUla sapeva che Matthews avrebbe lottato per la vittoria della Sanremo
Dalla partenza, la Jayco-AlUla sapeva che Matthews avrebbe lottato per la vittoria della Sanremo
Si poteva vincere?

Era un’opzione, chiaramente Michael era uno dei papabili. Però sul momento il secondo posto ti va bene, perché in partenza non sai mai se potrai vincere. Poi vedendo com’è andato il finale, è chiaro che perdere la Sanremo a quel modo brucia parecchio. Io la vinsi alla stessa maniera con Cavendish nel 2009, quando batté Haussler. E immagino che nell’entourage di quest’ultimo ci fosse qualcuno che in quel momento si sentì come me. Non è bello perdere a quel modo una corsa di questo livello e questa importanza.

Ci sono margini di manovra per l’ammiraglia una volta che la corsa torna sull’Aurelia dopo la discesa del Poggio?

Neanche un po’. Dalla macchina vedi immagini televisive che già sono ritardate, in più si vede a scatti. Allora senti la radio, ma in quei momenti non danno tante informazioni. Per cui anche noi si sta zitti oppure si incitano e si danno le ultime raccomandazioni. Però non è che puoi guidare il corridore o dirgli esattamente cosa deve fare, da lì in poi sono loro che decidono. In più la televisione non l’ho vista e non ho neanche visto quello che è successo in volata. Ho sentito poi l’ordine d’arrivo e ho scoperto che era arrivato secondo. Ma poi vedendo il filmato, ha iniziato a bruciare anche di più.

Matthews lascia aperta la porta in traiettoria e Philipsen da dietro risale a doppia e vince la Sanremo
Matthews lascia aperta la porta in traiettoria e Philipsen da dietro risale a doppia e vince la Sanremo
Diresti che Matthews in volata è un bandito oppure è molto corretto?

Da come l’ho conosciuto quest’anno, a volte mi sembra forse un po’ tenero. Da fuori ho sempre pensato che fosse veramente un mastino, un cagnaccio, uno di quelli duri. Quando io avevo Van Avermaet, si batteva con lui e con Sagan. Ho sempre pensato che fosse veramente duro invece, imparando a conoscerlo e sentendo quello che dicono in squadra, viene fuori che è sempre un po’ dubbioso. E’ un corridore con tanta classe e per questo ottiene i suoi risultati: gli si può dire tutto tranne che sia scorretto. Anzi, purtroppo è il contrario…

Sul pullman avete rivisto il finale? Ne avete riparlato?

Di solito dopo la corsa si fa un debriefing, che alla Sanremo è abbastanza veloce, perché parti, hai già all’aereo e vai a casa. Di solito il nostro sistema, per esempio nelle corse a tappe, è confrontarsi sul bus una quindicina di minuti prima di raggiungere l’albergo. Serve per far parlare i corridori. Gli si ricorda quale fosse la tattica e si chiede perché non sia stata attuata. E se qualcuno ha commesso un errore, a quel punto deve dichiararlo. Solitamente è una discussione molto produttiva, perché permette di chiudere lì uno screzio o un’incomprensione. Quel giorno Matthews era dispiaciuto e ha raccontato il finale dal suo punto di vista. Ha fatto notare come gli fossero caduti gli occhiali e che in quel momento di esitazione, l’altro l’ha bruciato. Finire secondo per tanti sarebbe un bel risultato, però quando hai la possibilità di vincere è chiaro che la reazione è differente.

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A tu per tu con Lappartient: il ciclismo globalizzato e i costi

25.11.2024
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RIVA DEL GARDA – Al margine della presentazione del Tour of the Alps c’è stata la conferenza dell’AIOCC (Association Internationale des Organisateur de Courses Cyclistes). La corsa a tappe dell’Euregio punta in alto e vuole entrare nel ciclismo dei grandi, ne ha il diritto e la forza di farlo. A questo incontro ha partecipato anche David Lappartient, presidente dell’UCI. Il momento è delicato, il ciclismo vive un periodo di forte globalizzazione, con tante gare fuori dal Vecchio Continente. Da un lato è giusto, la crescita porta ad un’espansione del movimento e della disciplina. Dall’altra parte bisogna fare in modo che gli attori possano seguire il calendario proposto. Nel 2026 si parla di ben 14 gare WorldTour in più, un numero non da poco che obbliga le squadre a pensare al futuro, programmando già gli investimenti. 

A destra David Lappartient, mentre a sinistra Christian Prudhomme, entrambi intervenuti alla presentazione del TOTA
A destra David Lappartient, mentre a sinistra Christian Prudhomme, entrambi intervenuti alla presentazione del TOTA

Il passo giusto?

Uno degli argomenti che ha fatto discutere ultimamente è la questione campionati del mondo. L’appuntamento di Zurigo ha sicuramente regalato un grande spettacolo per il pubblico. Tuttavia è innegabile che i costi del mondiale svizzero abbiano avuto un grande impatto sui bilanci delle varie federazioni. La via però sembra ormai tracciata, e il prossimo appuntamento iridato in Ruanda non sarà di certo meno costoso

«Per noi – ci dice Lappartient in disparte – che siamo l’Unione Ciclistica Internazionale, l’obiettivo è andare ovunque. Nel 2024 siamo stati a Zurigo, ed è stato uno dei mondiali più costosi in una delle città più costose al mondo. Tuttavia l’organizzazione è stata davvero perfetta (forse Lappartient si è dimenticato della scomparsa di Muriel Furrer, la junior svizzera deceduta nella prova in linea iridata, ndr). L’anno prossimo saremo in Rwanda, non siamo mai stati in Africa e quindi è un sogno per tutti. Quando sono diventato presidente dell’UCI ho dichiarato che entro la fine del mandato saremmo andati in questo Continente. Dovevamo andare e così sarà, dopo più di cento anni il campionato del mondo arriva in Africa

Il campionato del mondo di Zurigo è stato uno dei più costosi degli ultimi anni per le federazioni
Il campionato del mondo di Zurigo è stato uno dei più costosi degli ultimi anni per le federazioni
Le federazioni nazionali, con grande probabilità, saranno costrette a sostenere un costo elevato

Sappiamo che per le nostre federazioni nazionali ha un costo. Tuttavia non siamo al pari di altre federazioni internazionali, come la FIFA nel calcio. Quindi non siamo in grado di sostenere direttamente tutte le federazioni nazionali dal punto di vista finanziario. Quello che possiamo fare è dare un sostegno a tutte le Nazioni che partecipano alla prova del mixed team relay. È una cosa che ho proposto due anni fa e che ora non è più così grande, ma almeno aiuta un po’.

Le varie Nazioni dove possono trovare il sostegno?

E’ difficile, sappiamo che è un tasto dolente per le federazioni nazionali, ma hanno le risorse per farlo o il sostegno anche da parte dei vari governi. Il ciclismo è obbligato ad andare nel mondo, nel 2026 i mondiali saranno a Montreal, per poi tornare in Europa nel 2027. 

Girmay Alcudia 2022
Per Lappartient l’arrivo del ciclismo in Africa è un passo doveroso vista la crescita di questo Continente
Girmay Alcudia 2022
Per Lappartient l’arrivo del ciclismo in Africa è un passo doveroso vista la crescita di questo Continente
Il ciclismo è davvero uno sport così internazionale?

La maggior parte delle Nazioni che prendono parte agli eventi UCI sono localizzate in Europa, così come la maggior parte dei corridori in gruppo. Tuttavia ci sono circa cento Nazioni che partecipano attivamente ai campionati del mondo. Ecco perché dobbiamo essere ovunque. 

Non è però un periodo facile, economicamente. 

Vero, lo si vede anche dai governi che tagliano le spese, è il caso dell’Italia ma anche del mio Paese (la Francia, ndr). Naturalmente di questo risentono anche i budget dello sport. A volte sono fermi, il che è vero. E’ chiaro che questa difficoltà si ripercuote anche sulle sponsorizzazioni private, le quali non stanno crescendo a causa dell’inflazione. 

La richiesta di un salary cup non fa piacere ai team che guidano la classifica UCI e che possono accaparrarsi i corridori più forti
La richiesta di un salary cup non fa piacere ai team che guidano la classifica UCI e che possono accaparrarsi i corridori più forti
Le soluzioni quali possono essere?

Cerchiamo di modellare anche altre organizzazioni. Ad esempio, abbiamo ridotto da sei a tre le tappe di Coppa del mondo su pista, passando a tappe di Coppa delle Nazioni. Questo per ridurre anche i costi per la federazione nazionale. Abbiamo anche lavorato sulla Coppa delle Nazioni juniores e under 23, per avere una maggiore collocazione a livello continentale. Non è facile, come UCI cerchiamo sempre di non aumentare gli obblighi per le nostre federazioni nazionali.

Il salary cup tanto richiesto dalle squadre è attuabile?

Crediamo che questo sia un modo per assicurarsi che non ci siano due o tre squadre in grado di dominare. Per l’interesse del gruppo e dello sport stesso è meglio avere più squadre in grado di vincere come avviene in NBA o nel campionato di rugby. Stiamo quindi lavorando a stretto contatto con l’AIGCP.

Guercilena è stato uno degli ultimi team manager ad affrontare il tema dei costi nel ciclismo
Guercilena è stato uno degli ultimi team manager ad affrontare il tema dei costi nel ciclismo
Si riuscirà a raggiungere un accordo?

Naturalmente ci sono alcune discussioni, ma il direttivo è fortemente sostenuto, non da tutti, perché ovviamente i team di punta non sono sempre completamente d’accordo. Direi che la grande maggioranza delle squadre sostiene l’argomento. Ma è vero che il diavolo si nasconde nei dettagli, quindi stiamo lavorando molto anche su quelli. La prossima settimana faremo una presentazione del progetto al seminario dei team WorldTour.

Ci sono degli obiettivi?

Vorremmo iniziare con il prossimo ciclo triennale, nel 2026. Ma inizieremo lentamente e ci vorranno tre anni per avere l’implementazione completa, visto che ci sono già dei contratti firmati che bisogna rispettare. L’obiettivo non è ridurre il budget, è solo fare in modo che il divario tra i top team e gli altri possa essere più contenuto. 

Esordio in Coppa, per la Bramati il bicchiere è mezzo pieno

25.11.2024
5 min
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La prima tappa di Coppa del Mondo ad Anversa era riservata solamente alle categorie maggiori, con gli Under 23 chiamati a correre fra gli Elite. Erano 8 gli italiani in gara, 5 uomini (il migliore è stato Stefano Viezzi, 30° nella prima volta fra gli “adulti”) e 3 donne. Fra loro Lucia Bramati, anche lei chiamata a confrontarsi fra le più grandi, ma per la figlia d’arte non è certo una novità…

Il podio della gara femminile, vinta dalla Van Empel su Brand e Schreiber, lussemburghese prima delle U23
Il podio della gara femminile, vinta dalla Van Empel su Brand e Schreiber, lussemburghese prima delle U23

La sua voce quand’è ancora ad Anversa, in attesa di un volo di ritorno programmato solo per la tarda serata, è squillante. Il suo 7° posto di categoria ha pur sempre un certo peso: «E’ una tappa nella mia stagione, iniziata un po’ così. La mia estate è stata resa molto complicata dal ritorno della mononucleosi, dopo 5 anni che mi ha dato grossi problemi a fegato e milza e fatto stare un mese e mezzo senza bici. Ho saltato buona parte dell’annata di mtb e ripreso con calma con il ciclocross, andando sempre un po’ di rincorsa. Ancora oggi non sono nella miglior condizione, ma la prestazione mi ha lasciato soddisfatta».

Che clima avete trovato ad Anversa?

Siamo stati fortunati perché fino a sabato c’era tanto freddo e vento forte – racconta la Bramati – Durante la giornata di gare invece il vento è rimasto, ma la temperatura si è elevata fino a 19°. Il problema erano proprio le folate nella parte orientale del tracciato, dove c’erano lunghi rettilinei. Se non trovavi qualcuno a cui accordarti restavi esposto al vento contrario che ti respingeva.

Ancora un 4° posto per la Casasola, unica vera alternativa allo strapotere olandese
Ancora un 4° posto per la Casasola, unica vera alternativa allo strapotere olandese
Com’è stata la tua gara?

Io sono partita dalla quinta delle 7 file previste, quindi ero un po’ indietro e chiaramente tutte cercavano di avanzare perché in fondo al rettilineo c’era la curva che fungeva da strettoia, era difficile anche restare in piedi. Poi c’erano due strappi a piedi, la gara iniziava praticamente lì. Il percorso presentava anche punti sabbiosi e io non sono molto abituata ad affrontarli, questo è un po’ un gap che abbiamo tutti noi italiani visto i tracciati delle principali gare. Ma alla fine ero contenta perché li ho affrontati tutti in bici, senza mettere piede a terra, facendo meno fatica e preservando le gambe.

La Bramati agli Europei, dove insieme all’oro in staffetta aveva chiuso settima fra le U23
La Bramati agli Europei, dove insieme all’oro in staffetta aveva chiuso settima fra le U23
Quanto cambia nel correre insieme alle Elite? Cosa che tra l’altro in campo femminile è ordinaria amministrazione, anche nelle sei tappe con le prove per categorie inferiori, la gara U23 sarà solo al maschile…

Cambia tanto, perché hai riferimenti diversi. Intanto consideriamo che le più forti della categoria sono tutte lì davanti, a lottare fra le prime 10. Io poi sono cresciuta gareggiando sempre con le più forti, anche quand’ero junior non c’era la prova per la categoria più giovane, è stata sdoganata dopo che sono passata. Le gare U23 sono solo quelle titolate, in queste occasioni d’altro canto saremmo troppo poche. Io poi penso che essere con le Elite sia un vantaggio, perché corri al massimo livello, a blocco, per 50 minuti non respiri praticamente mai. L’unica difficoltà è che siamo differenziate da loro attraverso il colore del pettorale, quindi ogni volta che superi o vieni superata devi stare attento al numero della concorrente…

Tu hai sulle spalle il peso di un cognome importante per il ciclocross italiano. Avere tuo padre Luca Bramati che è anche il diesse del team Fas Airport Services Guerciotti Premac dà più o meno vantaggi, è più genitore o allenatore?

Io dico che è un vantaggio, questa sua doppia veste la vivo in modo molto sereno, per me non cambia nulla. Anzi, poter affrontare le trasferte insieme a lui mi dà serenità, mi consente di concentrarmi maggiormente sulla gara non dovendo pensare ad altro e averlo al mio fianco mi rende più sicura.

Thibau Nys (n.18) era il favorito della vigilia, ma il campione europeo non è andato al di là del 12° posto
Thibau Nys (n.18) era il favorito della vigilia, ma il campione europeo non è andato al di là del 12° posto
Il 7° posto di categoria che cosa rappresenta?

Un passo avanti nella mia stagione. Venivo da una buona piazza d’onore in Svizzera, qui sono finita dietro nel computo generale, ma vedo che sto guadagnando posizioni rispetto alle mie pari età rispetto ad esempio agli Europei, dove comunque non me l’ero cavata male sempre in riferimento ai problemi prestagionali. Quel che mi manca è assaporare il gradino più alto del podio, finora non ci sono mai riuscita, sarebbe uno step ulteriore.

Continuerai a seguire lo sviluppo della Coppa?

Sì, a dicembre e gennaio la mia attività sarà soprattutto all’estero, per cercare di crescere ulteriormente ed essere al top per le gare del nuovo anno a cominciare dai campionati italiani e guadagnarmi così la selezione per i mondiali.

Per Iserbyt una vittoria di peso dopo un inizio stagione difficile, con anche una squalifica
Per Iserbyt una vittoria di peso dopo un inizio stagione difficile, con anche una squalifica
Tu sei, anche per famiglia, legata all’offroad ma è chiaro che chi guarda al ciclismo in maniera professionale punta alla strada. Che cosa vedi nel tuo futuro?

Il ciclocross è il mio grande amore, seguito dalla mtb e questo non cambia. So però che le ragazze che vengono dalla strada hanno un altro passo nelle prove invernali ed è qualcosa che devo considerare. Io ho una certa ritrosia ad affrontare le gare su strada, diciamo che non mi sento ancora pronta mentalmente. E’ qualcosa che con mio padre prenderemo in considerazione, magari per affrontare qualche gara in meno in mountain bike e privilegiare la strada nella seconda parte dell’anno proprio per arrivare pronta alla stagione invernale. Ma avrò tempo per pensarci…

EDITORIALE / Under 23, davvero una categoria da estinguere?

25.11.2024
5 min
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A voler essere gentili, si potrebbe dire che da un certo punto in poi, non ci abbiamo più capito niente. Il ciclismo mondiale degli under 23 ha preso una direzione diversa, mentre noi abbiamo continuato per la nostra ritrovandoci da tutt’altra parte, senza che il navigatore ci abbia detto che eravamo sulla strada meno utile. Oppure, se lo ha detto, abbiamo creduto di poter fare senza e ora ci ritroviamo sull’orlo di un precipizio, al culmine di una strada senza uscita. Cosa fare?

In occasione dell’Open Day di Beltrami, Bruno Reverberi ha detto quello che nessuno voleva sentirsi dire, ma che rispecchia il nuovo corso del ciclismo. «Le squadre under 23 non hanno più senso di esistere, bisognerebbe eliminare la categoria e far correre i giovani tra i team devo del WorldTour e le continental…». Anche in questo, se vogliamo c’è un’inesattezza: i devo team infatti sono tutti under 23 e le continental italiane, ad eccezione di pochi atleti rimasti, appartengono alla stessa categoria. Resta il senso del messaggio: non servono più le squadre che fanno solo attività non professionistica, perché non offrono ai ragazzi le occasioni di formazione che invece ricevono altrove.

Bruno Reverberi si è espresso ieri contro i team italiani under 23, il cui calo è anche un effetto e non solo una causa
Bruno Reverberi si è espresso ieri contro i team italiani under 23, il cui calo è anche un effetto e non solo una causa

La Zalf che chiude

I presidenti che si sono susseguiti al comando del ciclismo italiano negli ultimi 20 anni hanno tirato a campare, come si fa quando si manda avanti un vecchio albergo pieno di storia, ma con i segni del tempo che lo rendono meno appetibile delle strutture moderne tutte elettronica e integrazione. Perché lo hanno fatto? Proviamo a capirlo.

Probabilmente perché non ne hanno mai visto davvero la necessità, pensando che l’acqua nel pozzo non sarebbe mai finita. Poi perché questo avrebbe significato radunare un quantitativo enorme di direttori sportivi che hanno superato i 65 anni, costringendoli ad aggiornamenti che non tutti avrebbero gradito. Forse perché mettersi contro le società che ogni volta sono chiamate a votarli avrebbe significato perdere consenso. Magari anche perché consapevoli che la natura locale degli sponsor italiani non consentirebbe grosse aperture. E quando ci si è rassegnati alla conversione in continental, dopo l’entusiasmo della prima ora, si sono fatti bastare la qualifica (e i contributi che ne derivavano), senza sincerarsi che i team facessero un’attività all’altezza.

Il risultato finale, uno dei risultati finali più eclatanti è che la gloriosa Zalf Desirée Fior, che del vecchio albergo pieno di gloria ha tutta la nobiltà e gli acciacchi, è arrivata al capolinea ed è stata costretta a chiudere i battenti. Perché andare avanti se anno dopo anno ci si è ritrovati sempre di più ai margini, senza il minimo spiraglio di poter tornare ai vertici?

Dopo 43 anni si è interrotta la strada della Zalf Fior, con una cena di commiato a Castelfranco Veneto (photors.it)
Dopo 43 anni si è interrotta la strada della Zalf Fior, con una cena di commiato a Castelfranco Veneto (photors.it)

Il pasticcio del 1996

Come se ne esce? Reverberi ha una parte di ragione, ma non tutta. Anzi, il suo progetto giovani è per lui una necessità, ma anche una delle cause dello svuotamento della categoria under 23 italiana, assecondando le esigenze degli atleti e quelle dei loro procuratori che hanno una gran fretta di farli firmare. E allora perché non giocare una carta che finora pochi hanno azzardato, se non a sprazzi nei mesi dopo il Covid?

Il grosso gap fra i devo team e una squadra under 23 italiana è il livello dell’attività che svolgono. E se la scelta o la possibilità di andare a correre tra i professionisti riguarda le singole squadre, nulla o nessuno vieta di riqualificare le corse italiane.

L’UCI ha la sua responsabilità. Quando nel 1996 impose la categoria under 23, volendo a tutti i costi isolare i ventenni dagli elite, come prima disposizione impose il taglio dei chilometri di gara. E così classiche italiane per dilettanti, che si correvano da decenni sopra i 180 chilometri, divennero corsette per giovani corridori da tutelare. Preso atto che la misura non servì a risolvere i problemi più evidenti e che ormai un under 23 corre regolarmente tra i professionisti su distanze ben superiori ai 200 chilometri, forse è il caso di fare un passo indietro. Se non altro a livello italiano.

Il Palio del Recioto e il Giro del Belvedere richiamano devo team da tutta Europa. Ecco Nordhagen lo scorso aprile
Il Palio del Recioto e il Giro del Belvedere richiamano devo team da tutta Europa. Ecco Nordhagen lo scorso aprile

Il calendario che non c’è

Volendo dare un suggerimento al futuro presidente federale, fra i vari provvedimenti si potrebbe dirgli di mettere mano in modo incisivo al calendario. E se è vero che le internazionali venete di aprile sono piene dei devo team di tutta Europa, potrebbe offrire un sostegno cospicuo agli organizzatori delle classiche italiane di maggiore prestigio, supportandole nel passaggio alla qualifica di internazionali e mettendole nel calendario in modo che con un solo soggiorno, i team europei possano disputare almeno tre gare.

A quel punto, dotate di altimetrie e chilometraggi degni di attenzione, le nostre internazionali sarebbero di nuovo un richiamo per i team stranieri, tornando al contempo dei banchi di prova più attendibili anche per gli under 23 italiani. Lo scadimento dei nostri team, oltre a conduzioni superate e a volte supponenti, è anche l’effetto di un’attività insufficiente. Se per una settimana al mese fosse possibile creare un simile meccanismo, le cose cambierebbero. Le squadre avrebbero qualcosa da raccontare ai loro sponsor. E gli under 23 italiani non sarebbero costretti a saltare frettolosamente nel vuoto, avendo nel fallimento la sola alternativa al successo.

La pressione bassa per gli atleti? Non un grande problema, ma….

25.11.2024
5 min
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Pressione bassa o ipotensione non sono uno spauracchio, non sono un grande problema. Non esistono limitazioni particolari per il soggetto ipoteso, ma bisogna essere consapevoli di quello che si fa, soprattutto quando si è in ambito sportivo, agonistico e professionale.

Abbiamo chiesto al Dottor Luca Pollastri, specialista in Medicina dello Sport e medico del Team Jayco-AlUla. Con lui approfondiamo un tema che è sempre attuale.

Luca Pollastri, medico della Jayco-AlUla
Luca Pollastri, medico della Jayco-AlUla
La pressione bassa è un problema?

La pressione bassa, l’ipotensione non è un problema fino a quando non provoca sintomi. E’ giusto classificare l’ipotensione tale quando esiste una sintomatologia correlata alla pressione bassa. Soggetti che hanno 100/105 di massima, 60 o poco meno di minimo di minima e sono completamente asintomatici, non hanno problemi.

Dei valori bassi possono essere vantaggiosi per lo sportivo?

Si. Ci sono delle evidenze che mostrano dei vantaggi quando la pressione è bassa, può essere ottimale per il cuore, esente da sintomi come dicevo. Il cuore è una pompa e se sforza in modo minore per una vita intera, non è un fattore negativo.

La pressione bassa, non un problema, nessuna limitazione quando il soggetto non ha patologie
La pressione bassa, non un problema, nessuna limitazione quando il soggetto non ha patologie
Possiamo immagine il sistema arterioso come un circuito chiuso?

In un certo senso è così. La pressione è condizionata da quanto i vasi si dilatano e/o si stringono all’interno di questo sistema, ma è il nostro corpo che decide quanti liquidi trattenere o espellere. Quindi al pari di un circuito chiuso abbiamo lo stesso che è influenzato da quello che lo circonda.

Liquidi, perché?

Perché la pressione è condizionata dalla sudorazione, dall’eccessiva perdita di liquidi dovuta anche ad un banale stato di diarrea, o vomito oltre a patologie esistenti.

Con l’andare dell’età possono cambiare i parametri dell’ipotensione
Con l’andare dell’età possono cambiare i parametri dell’ipotensione
Esistono delle cause precise legate alla pressione bassa?

Non di rado un individuo ha la pressione bassa senza cause precise. Vale anche per la pressione alta, per l’ipertensione. Ci si trova in queste condizioni in modo naturale. Può capitare con l’avanzamento dell’età che soggetti ipotesi in età giovanile, si ritrovano con una pressione a livelli normali o addirittura ipertesi. Questo perché i tessuti perdono quell’elasticità e tendono ad indurirsi.

Ci sono delle cause identificabili?

Sicuramente le condizioni ormonali, soprattutto nelle donne e fattori esterni come ad esempio il fumo. Le principali rimangono i problemi gastrointestinali e i traumi, in genere tutto quello che porta via del sangue dal letto vascolare.

Dopo lo sforzo intenso? Conoscersi e prestare attenzione
Dopo lo sforzo intenso? Conoscersi e prestare attenzione
Quindi la disidratazione passa in secondo piano?

Per chi è abituato a fare attività fisica ad alti livelli, la disidratazione avviene principalmente durante lo sforzo. Nel corso dell’attività non c’è il rischio di pressione bassa, di ipotensione, perché a prescindere dal tipo di attività, anaerobica o di forza la pressione tende ad aumentare.

Per fare un esempio?

Se immaginiamo un test da sforzo, tanto caro ai ciclisti, la massima, ovvero la sistolica aumenta, mentre la minima rimane costante o addirittura scende. Non ci sarà mai una risposta di ipotensiva. Invece particolare attenzione dovrebbe essere applicata nei momenti immediati post sforzo.

Perché?

Il sistema nervoso lavora in modo diverso rispetto ai momenti di sforzo massimo. La gittata cardiaca diminuisce, si può entrare in una fase di disidratazione, non è da escludere l’ingresso in una fase di vagotomia da rimbalzo post sforzo.

Post attività attenzione alle sincopi ed eventuali traumi
Post attività attenzione alle sincopi ed eventuali traumi
Quali sono i rischi, se esistono?

In assenza di patologie, banalmente sono i traumi. L’atleta o il soggetto ha una sincope, cade e si fa male. Succede perché la parte bassa del corpo ha una pressione maggiore, non fosse altro per una questione di gravità, mentre il cervello ne ha meno. Si offusca la vista e si ha un mancamento. Oppure, banale e più che mai reale, un atleta che viene punto da un insetto. Spesso le reazioni allergiche con una brusca riduzione della pressione e conseguente mancamento dell’irrorazione ottimale di organi e tessuti. Parliamo sempre di atleti senza patologie. Comunque non esistono rischi per l’atleta o limitazioni, in aggiunta si può dire che il rischio non esiste quando si riesce a controllare l’effetto collaterale. Una pressione bassa a riposo non presenterà dei sintomi durante l’attività fisica.

Troppi zuccheri semplici possono essere la causa di un disidratazione eccessiva
Troppi zuccheri semplici possono essere la causa di un disidratazione eccessiva
Quali rimedi?

Essendo a conoscenza di questo stato, nell’immediato post sforzo, sdraiarsi ed alzare le gambe sarebbe la prima cosa da fare. Così si riduce la pressione alle gambe e aumenta al cervello. Aumentare i liquidi nel letto vascolare, usare integratori salini ed evitare l’eccessiva assunzione di zuccheri semplici.

Un po’ in contrasto con i canoni più moderni che prevedono tanti zuccheri durante l’attività

Oggi sappiamo che l’intestino è allenabile. Un intestino non abituato a gestire troppi zuccheri fa fatica. Ci vuole gradualità e appunto allenamento. Buona parte degli integratori attuali di carboidrati forniscono energie da più fonti.

I nitrati andrebbero assunti in modo preciso, oculato e specifico
I nitrati andrebbero assunti in modo preciso, oculato e specifico
Il bicarbonato ha a che fare con l’efficienza cardiaca?

Il bicarbonato direi di no, mentre i nitrati si. L’eccesso di nitrati può avere a che fare con un’eccessiva disidratazione, connessa poi alla pressione bassa, perché i nitrati sono di base dei vasodilatatori.

Ci sono atleti che soffrono di pressione bassa?

Sì, più che altro nella vita quotidiana o quando gli stessi atleti fanno lavori di forza, ad esempio in palestra quando si fanno esercizi di squat molto carichi.

La normale alimentazione ed il sodio vengono in soccorso
La normale alimentazione ed il sodio vengono in soccorso
La pressione bassa si può contrastare con la normale alimentazione?

Si, aumentando l’apporto salino e se la dieta è ricca di fibre, fattore che influisce su feci non solide, ridurre le fibre a ridosso degli appuntamenti importanti, o allenamenti intensi in condizioni di caldo. Il problema maggiore, per l’atleta endurance ipoteso è la mancanza di sodio.

La sfida di Selleri, dalla Romagna alla politica federale

25.11.2024
6 min
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Il 19 gennaio 2025, presso l’Hotel Hilton Rome Airport di Fiumicino, si eleggerà il nuovo presidente della FCI. I candidati sono venuti allo scoperto nelle scorse settimane. Il presidente federale Dagnoni ha ammesso di sentirsi in campagna elettorale da tre anni e ha previsto per il 20 dicembre una conferenza stampa a Milano in occasione del Giro d’Onore. A sfidarlo troverà Silvio Martinello, Daniela Isetti e Lino Secchi, con l’annunciata frammentazione del voto che, in caso di ballottaggio e in base agli accordi dell’ultima ora, sposterà il baricentro verso un candidato o l’altro. Anche l’ultima volta andò così e Martinello, che in proporzione aveva ottenuto più voti, si vide sconfitto proprio per gli accordi consumati in quello stesso hotel. 

Da Metti a Selleri

In attesa di raccontare i quattro programmi elettorali, è interessante segnalare la candidatura di due uomini della base per il ruolo di vicepresidente federale. Dalla Toscana arriva l’ex presidente regionale Saverio Metti, mentre dalla Romagna si segnala Marco Selleri: l’uomo del Giro d’Italia Giovani U23, del mondiale di Imola e del Giro di Romagna (foto di apertura). Se la prima è il prosieguo di un cammino iniziato da anni, la discesa in campo di un organizzatore costituisce un’anomalia. Perché Selleri vuole scendere in politica?

«E’ una candidatura tecnica – precisa – più che per la politica federale in sé. Credo di aver raggiunto la maturità per sviluppare delle idee. Ho un’esperienza a 360 gradi. Ho vissuto prima da organizzatore del Giro delle Pesche Nettarine. Poi il Giro d’Italia U23, le settimane tricolori e i campionati del mondo. Quando è così, a un certo punto decidi di metterci del tuo, ma devi conoscere la materia al 100 per cento. Cioè il punto di vista dei corridori, dei direttori sportivi, di chi organizza le gare. Ho imparato a riconoscere parecchie lacune del nostro movimento, che non produce ricambio. C’è bisogno di un cambiamento profondo. Di ragionare in maniera diversa. Sfruttare i ragazzi che smettono a 22-23 anni perché non hanno i mezzi, però mantengono la passione. Ci lamentiamo perché non andiamo a fare reclutamento nelle scuole, ma se in questi giorni si guardano le persone che partecipano alle assemblee regionali, si vede che l’età media è molto alta. Siamo bloccati e non riusciamo a superare il modo di fare ciclismo degli ultimi 20 anni, che non funziona più».

Marco Selleri è stato il direttore generale del Giro U23: si candida come vicepresidente federale
Marco Selleri è stato il direttore generale del Giro U23: si candida come vicepresidente federale
Quando qualcuno si candida per la vicepresidenza, cosa fa?

Per il momento non faccio parte di nessuna squadra. Anche se, navigando nei programmi e nella storia delle persone che hanno fatto il ciclismo negli ultimi 10-15 anni, l’unico che a mio avviso possa cambiare qualcosa è Silvio Martinello. Sostengo lui perché vedo che è molto più vicino alle mie idee. Siamo di fronte a sfide importanti come la riscrittura dello statuto federale. Qualcosa per fortuna si sta muovendo nella Lega Ciclismo Professionistico con Roberto Pella, che si è buttato capofitto in questo settore nuovo per lui. E io vedendo tutto questo mi sono chiesto: perché stare sempre alla finestra? Le cose non cambiano da sole. In caso di mancata elezione, nessun problema. Nel caso invece di un esito positivo a mio favore, lavorerò con il Consiglio Federale, dando il massimo come quando si lavorava con Davide Cassani.

Davide ormai non c’è più da un pezzo…

Negli anni in cui rilanciammo il Giro d’Italia U23, con lui era partito un programma ben dettagliato. Era lui che trovava le risorse per portare avanti il Giro e di conseguenza anche noi ci siamo ritirati perché la presenza di Cassani non era più prevista dalla Federazione di Dagnoni. Quel programma è stato sostituito da altre strategie e anche il nostro impegno si è arrestato.

Alla fine del 2021 si è interrotta la collaborazione tra la Federciclismo di Dagnoni e Davide Cassani
Alla fine del 2021 si è interrotta la collaborazione tra la Federciclismo di Dagnoni e Davide Cassani
Dici che i giovani non si avvicinano alla politica sportiva: c’è un consiglio che potresti dare al futuro presidente?

I giovani andrebbero innanzitutto inseriti in un contesto completamente diverso da quello che si sta portando avanti. Devono essere formati per parlare con i bambini e fare le stesse cose che si stanno attuando in altri sport, come il tennis o la pallamano. C’è un ragazzo del mio paese, stipendiato dalla Romagna Handball, una squadra di A2 a Mordano, che viene mandato nelle scuole a fare lezioni e appassionare i bambini. Stessa cosa fa Davide Bulzamini, che abita nella stessa zona ed è il capitano della nazionale. Capisco che il ciclismo sia un po’ diverso, però dal punto di vista politico bisogna formare e mettere a libro paga i giovani più volenterosi, perché vadano in giro a raccontare lo sport a ragazzi poco più giovani di loro. Quattro in Romagna, quattro in Lombardia, quattro in Veneto, da una parte bisogna pure cominciare, anche perché le nascite stanno diminuendo ed è ovvio che va fatto un lavoro più profondo. Prima il ciclismo era lo sport numero due in Italia, adesso non lo è più. E a me sinceramente non interessa dire che non abbiamo la squadra WorldTour. Neanche in Slovenia ce l’hanno, eppure qualcosa hanno fatto. Qualcuno è andato a studiarlo? Qualcuno è andato a vedere come lavorano in Inghilterra?

Tu hai qualche conoscenza in questo senso?

Il mondiale di Imola mi ha fatto conoscere in maniera abbastanza profonda le persone dell’Unione Ciclistica Internazionale, dove ho dei rapporti buonissimi. Abbiamo lavorato insieme agli organizzatori del Tour de l’Avenir perché siamo rimasti ovviamente amici con Laurent Bezault e Philippe Colliou, le due persone che mi hanno affiancato a Imola per venti giorni. L’anno scorso mi chiesero se potevano fare qualcosa qui da noi e le conoscenze e la serietà delle persone hanno fatto sì che abbiamo portato il Tour de l’Avenir in Italia e ci tornerà fino al 2027.

Il Tour de l’Avenir 2024 si è chiuso in Italia, sul Colle delle Finestre, con vittorie di Blackmore e Bunel
Il Tour de l’Avenir 2024 si è chiuso in Italia, sul Colle delle Finestre, con vittorie di Blackmore e Bunel
E’ piuttosto raro che organizzatori diversi collaborino fra loro.

Perché noi siamo un po’ guerrafondai, un popolo spesso invidioso. Anziché lavorare insieme, è sempre una gara. La politica è diventata come il Milan contro la Juve: sempre in lite, con la quasi impossibilità di collaborare davvero. Porto l’esempio del mio vicino di casa, Adriano Amici. Ha ceduto alla Coppa Agostoni la data del Memorial Beghelli, piuttosto di prendere il telefono e telefonarmi, dato che avevamo in ballo il Giro di Romagna. Non si poteva collaborare per tenerle vicine? In qualche modo bisognerebbe essere chiamati a rispondere del capitale che si ha in mano, perché le corse hanno una storia ed è un capitale pure quello. E poi c’è una cosa che ho detto alla riunione del comitato regionale emiliano romagnolo.

Che cosa?

Che sponsor privati non ce ne sono più, quindi ci troviamo spesso a organizzare con soldi pubblici e questo vuol dire avere una base economica solida, perché i soldi pubblici arrivano dopo. Il problema è che nessuno ha costruito qualcosa con l’Istituto per il Credito Sportivo, per immaginare di concedere un fido agli organizzatori che così potrebbero portare avanti le loro corse. Si è preferito far smettere Moreno Argentin, che si trovava in questa stessa posizione e voleva organizzare le sue gare. Avrebbe avuto bisogno di ossigeno, invece si è preferito affossarlo e far sparire la sua corsa. Anche noi abbiamo avuto bisogno, però c’era una gestione federale attenta, che ha trovato il sistema di aiutarci anziché affossarci.

Morgado vince il Giro di Romagna 2024: la corsa è organizzata da Marco Selleri per Extra Giro
Morgado vince il Giro di Romagna 2024: la corsa è organizzata da Marco Selleri per Extra Giro
Sei dalla parte di Martinello, hai ricordi evidentemente positivi della gestione Di Rocco, perché non sostenere Lino Secchi che fa parte della stessa storia sportiva?

Perché abbiamo bisogno di ringiovanire, sono già vecchio io. Però ovviamente io sono un romagnolo di sangue caldo, di conseguenza dico quello che penso. Oggigiorno se vuoi andare avanti e sbloccare situazioni devi dire quello che pensi. Possiamo prendere delle persone che abbiano fatto il bene del ciclismo, d’accordo, però attenzione secondo me è davvero necessario cambiare direzione.