Casero: «La Valenciana si farà… nonostante la Dana»

20.12.2024
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La Volta a la Comunitat Valenciana riparte con entusiasmo, nonostante le difficoltà causate dalla tremenda alluvione, la Dana, che ha colpito la regione di Valencia lo scorso fine ottobre. L’evento ha danneggiato infrastrutture e colpito la popolazione locale, mettendo inizialmente in dubbio la realizzazione della gara prevista per febbraio. Angel Casero, ex professionista e ora organizzatore dell’evento, ci ha raccontato come sono andate le cose. E come la determinazione e la collaborazione hanno permesso di ripristinare le condizioni per ospitare la corsa.

La Volta, con le sue cinque tappe maschili e la gara femminile finale, rappresenta un simbolo di rinascita per la Valenciana. Dopo settimane di lavoro intenso per ripulire e sistemare i danni, Casero conferma che tutto è pronto per l’edizione 2024.

«La Dana ha fatto molti danni – spiega Casero – distruggendo, tra l’altro, quasi tutto il nostro magazzino. Erano rimaste solo le frecce del percorso. Ma non abbiamo mai perso la speranza di realizzare la gara, anche per rendere omaggio alla popolazione colpita».

Angel Casero (classe 1972 e vincitore della Vuelta 2001) organizzatore della Valenciana
Angel Casero (classe 1972 e vincitore della Vuelta 2001) organizzatore della Valenciana

Più forti della Dana

L’alluvione ha lasciato un segno profondo a Valencia e nei territori circostanti, ma nonostante le difficoltà logistiche, il percorso della Volta è stato confermato.

«Nella popolazione di Masanasa – ha raccontato Angel – dove vivono i genitori di mia moglie, la situazione è stata critica. Per fortuna non ci sono stati incidenti gravi, ma il giorno dopo l’alluvione il nostro magazzino era completamente distrutto. Abbiamo passato tre settimane a pulire e riorganizzare tutto. Due località di salita erano state colpite, ma siamo riusciti a trovare soluzioni per garantire il regolare svolgimento della gara».

Le strade interessate dalla competizione sono state sistemate e non presentano problemi: insomma quello che si pensava fosse il problema maggiore sembra non sussistere. Tuttavia, nelle aree più colpite si percepiscono ancora i segni dell’alluvione.

«L’asfalto è marrone a causa del fango, ma vogliamo portare la corsa proprio qui, per offrire momenti che possano distogliere la mente della gente dalle difficoltà vissute».

Un’immagine dell’alluvione di Valencia dello scorso fine ottobre
Un’immagine dell’alluvione di Valencia dello scorso fine ottobre

Squadre preoccupate

La decisione di mantenere la corsa è stata sostenuta anche dalle amministrazioni locali, con le quali Casero ha lavorato a stretto contatto. Oltre alla ricerca costante degli sponsor che non mancano. Sabadell per esempio ha confermato la sua presenza.

«Abbiamo parlato con i Comuni coinvolti e tutti hanno condiviso l’idea di trasformare l’evento in un momento di rinascita. Sarà un’edizione speciale, pensata per rendere omaggio alla forza e alla resilienza della popolazione».

Tra le iniziative previste c’è una maglia speciale per il leader della corsa, decorata con simboli legati ai territori colpiti dalla Dana. Una maglia il cui design sarà svelato nei prossimi giorni. «Questa maglia – anticipa Casero – rappresenterà un tributo a chi ha vissuto questi momenti difficili».

La Valenciana non è solo una gara ciclistica, ma una vera e propria festa dello sport e soprattutto è un passaggio chiave nella preparazione degli atleti in vista degli appuntamenti che verranno e tanti team infatti hanno chiesto a Casero se si sarebbe disputata o meno.

«In tanti mi hanno chiamato, volevano sapere, organizzarsi. Posso dire che il programma prevede cinque tappe maschili e, nell’ultimo giorno, la corsa femminile al mattino seguita da una competizione per i bambini. Sarà una giornata di celebrazione per tutti, con un messaggio chiaro: nonostante le avversità, siamo qui e andiamo avanti».

McNulty è il campione in carica
McNulty è il campione in carica

La forza dello sport

L’edizione del prossimo anno quindi oltre a designare gli eredi di Marlen Reusser e Brandon McNulty vuole essere un omaggio alle comunità colpite. E infatti soprattutto in fase di presentazione si vuol fare le cose in grande.

«Vogliamo regalare due ore di normalità – ha concluso Casero – a chi ha sofferto. La presentazione delle squadre e il passaggio della corsa saranno momenti speciali per la popolazione. Credo fermamente che lo sport abbia la forza di trasformare le difficoltà in opportunità».

E su quest’ultimo aspetto Casero non ha affatto torto. Proprio lo sport e in particolare la Maratona di Valencia sono stati un grande momenti di rinascita. La gara podistica ha ormai una valenza internazionale nel mondo dell’atletica leggera, averla recuperata, si è corsa il 1° dicembre, cioè 33 giorni dopo la Dana, è stato un enorme segnale per questa regione e il ciclismo non poteva di certo tirarsi indietro.

Di Fresco, un viaggio miracoloso tra la vita e la morte

20.12.2024
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Giuseppe Di Fresco era a casa, seduto sul divano dopo aver fatto il suo giro in bici al mattino. Un po’ per passione e un po’ come riabilitazione dopo l’intervento al tendine rotuleo. Era l’11 novembre. E’ stato nel momento in cui s’è alzato dal divano per andare al bagno, che l’ha raggiunto la prima fitta alla schiena. Poi il dolore è sceso fino ai reni e da lì è passato davanti, nello stomaco. Un dolore molto intenso. A quel punto il siciliano, che da anni vive a Massa, ha chiamato sua moglie Sara, dicendole di sentirsi male.

Questa è la storia di un salvataggio miracoloso e di come la prevenzione davvero ti salvi la vita. La racconta Di Fresco in persona, che nel frattempo è tornato a casa e ha la voce che ancora gli trema. C’è mancato davvero poco.

«Appena mi ha sentito – ricorda il direttore sportivo del Team CasanoSara si è offerta di portarmi all’ospedale, ma le ho detto che non ci sarei arrivato, meglio chiamare l’ambulanza. Perciò siamo partiti verso l’ospedale con un codice arancione, ma di colpo il dolore si è spostato verso il petto e allora il codice è diventato rosso. E a questo punto devo dire grazie a mia moglie, che ha fatto un miracolo».

Di Fresco aveva appena superato un intervento al tendine rotuleo
Di Fresco aveva appena superato un intervento al tendine rotuleo

Guardate il cuore

Di Fresco racconta. All’ospedale si pensa a un calcolo renale, ce ne sono tutti i sintomi. Eppure qualcosa non torna. Tutti gli anni da quando nel 2001 ha smesso di correre, Giuseppe ha continuato a fare l’idoneità sportiva, controllando soprattutto il cuore. Poi periodicamente ha fatto le TAC total body e di recente anche l’angioTAC con mezzo di contrasto.

«E proprio in quest’ultima – prosegue – avevano riscontrato uno spanciamento dell’arteria. Una cosa leggera, da non preoccuparsi, ma da sapere. Avevo un valore di 4,2-4,3 e l’intervento è previsto a partire da 5,5. Qual è stata la bravura di mia moglie? Appena entrata in pronto soccorso, la prima cosa che ha fatto è stata fare presente questa anomalia e così loro, anziché indagare sul calcolo renale, sono andati dritti sul cuore e hanno diagnosticato la dissecazione dell’aorta. In pratica le pareti dell’arteria si erano sfilacciate e pare sia una cosa che non si può prevenire. La fortuna nostra qui a Massa è che abbiamo l’Ospedale del Cuore, che è conosciuto in tutto il mondo. E loro cosa hanno fatto? Mi hanno portato subito là, dove ho trovato il dottor Rizza, un professore calabrese molto conosciuto, che si è reso disponibile per l’intervento di inserimento di una protesi».

L’intervento al cuore di Di Fresco si è svolto all’Ospedale del Cuore di Massa
L’intervento al cuore di Di Fresco si è svolto all’Ospedale del Cuore di Massa

Questione di minuti

Di Fresco racconta, c’è davvero mancato poco. E’ tutta una serie di coincidenze fortunate che gli permette di uscirne illeso. Come ad esempio il fatto che la protesi che gli hanno inserito nel petto era appena arrivata dalla Cina, ma non per lui. Tasselli che si compongono e gli fanno pensare che davvero non fosse ancora giunto il suo momento.

«Sono stato fortunato – riflette Di Fresco – a trovare persone veramente competenti che mi hanno salvato la vita. In primis devo ringraziare mia moglie che ha avuto sangue freddo nel dare indicazioni precise. Gli ha fatto guadagnare tempo e probabilmente mi ha salvato la vita. Uscito dall’ospedale, dopo due giorni sono andato a parlare con il dottor Rizza. E lui mi ha detto: “Vuoi sapere la verità di quello che è successo?”. Quando gli ho detto di sì, mi ha raccontato tutto. Ha fatto un disegno su un foglio e mi ha spiegato che era tutta una questione di tempo. Sarebbe bastato qualche minuto in più e avrei rischiato di morire, ma anche di avere lesioni permanenti ad alcuni organi. Ho subito anche un’ischemia acuta, quindi per un breve periodo agli organi è arrivato poco sangue. Io non ricordo niente. Solo quando sono entrato per il mal di pancia, quando hanno cominciato a sedarmi e poi ricordo il risveglio dopo due giorni».

Il chirurgo, Antonio Rizza, dell’Ospedale del Cuore di Massa
Il chirurgo, Antonio Rizza, dell’Ospedale del Cuore di Massa

Il popolo del ciclismo

Al suo fianco c’era Marco Mariotti, un primario anestesista che lo ha assistito per tutto il tempo. E’ lui a risvegliarlo dall’anestesia. Giuseppe lo guarda chiedendogli cosa sia successo e capisce la gravità, quando vede sua madre accanto al letto.

«Se era arrivata lei da Palermo – ora Di Fresco sorride – allora doveva essere stato davvero qualcosa di molto grave. Ho fatto soffrire parecchia gente. Hanno iniziato a operarmi verso l’una di notte, hanno finito alle sei del mattino. Tutta la notte. E tutta la notte nel piazzale dell’ospedale mi hanno detto che c’erano centinaia di persone, tra i miei amici amatori, corridori, amici, gente del ciclismo. Mia figlia Anna a 13 anni si è fatta fare un lettino improvvisato su una barella ed è voluta stare accanto a me. Si è impaurita, ma è stata forte come la sua mamma. Una cosa incredibile. Il mondo del ciclismo è stato veramente una famiglia enorme, non immaginavo tanto sostegno. Mi hanno chiamato da tutte le parti, anche dal Portogallo, dalla Spagna, dal Venezuela. Il presidente Dagnoni e Martinello. Anche ex compagni di squadra, Davide Formolo e Cassani. Damiano Caruso e Pino Toni…».

Di Fresco intanto ha già rimesso la testa sulla squadra juniores di cui è diesse
Di Fresco intanto ha già rimesso la testa sulla squadra juniores di cui è diesse

Colpa dello stress

Con il dolore che va scomparendo e la paura che impiegherà forse del tempo in più, ora Di Fresco deve fare dei controlli, che col tempo saranno meno frequenti. La vita è ripresa normale, con l’invito a ridurre lo stress.

«Il cardiologo ha detto – spiega – che purtroppo lo stress è il peggior nemico del nostro fisico. In più aver fatto ciclismo non aiuta, perché il cuore è stato sottoposto a dei sovraccarichi importanti. Per cui ridurrò un po’ gli impegni, ma ho già ripreso a seguire la squadra. Sento i ragazzi tutti i giorni, stiamo andando avanti col programma. Dal 2 al 6 gennaio faremo un ritiro collegiale vicino casa mia, in modo che possa andare a trovarli. Voglio seguire ancora la squadra, io senza ciclismo che cosa faccio? Muoio di nuovo. Un jolly me lo sono giocato, speriamo di averne altri. I miei collaboratori si sono dimostrati eccezionali, da Mansueto a Pino Toni, passando per Daniele Della Tommasina».

Ritratto di famiglia: con Giuseppe la moglie Sara e la figlia Anna
Ritratto di famiglia: con Giuseppe la moglie Sara e la figlia Anna

Tra la vita e la morte

Il resoconto del suo viaggio fra la vita e la morte parla di 13 giorni in terapia intensiva, un reparto che non si augura a nessuno, ma che gli ha salvato la vita grazie alle persone eccezionali che lo hanno curato.

«Ragazzi giovani – ammette – il più vecchio avrà avuto 40 anni e mi hanno dato un’assistenza incredibile. Ero cosciente e mi rendevo conto di quel che accadeva. Ho avuto due o tre giorni di crisi di panico. La mattina mi svegliavo, anche se non ho mai dormito davvero, e mi ritrovavo sempre con tutti i cateteri e i tubicini attaccati al collo, alle braccia, alla bocca, al naso. E poi arrivavano loro che sono degli angeli e magari mi davano supporto morale. Poi mi hanno portato in un reparto normale per sei giorni e a quel punto hanno iniziato a levarmi i vari tubi e mi hanno avviato alla nutrizione normale. Se sono ancora qui, lo devo ai controlli che ho fatto, che dopo i 50 anni dovrebbero essere un obbligo per tutti. Fateli, ragazzi, non pensate che queste cose accadano soltanto agli altri».

Campana Imballaggi: arrivano gli allievi, un anno prima del previsto

20.12.2024
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La Campana Imballaggi-Geo & Tex Trentino avrà una novità importante nella prossima stagione: alle già presenti squadre under23/elite e juniores si aggiungeranno gli allievi. Un impegno non da poco che allunga la catena dei ragazzi guidati da Alessandro Coden. Avere una categoria in più non è una cosa da sottovalutare in questo momento storico, il ciclismo fa fatica ad andare avanti. I grandi mangiano i piccoli e il rischio di vedere le squadre chiudere i battenti è sempre più alto

«E’ presto detto – dice Alessandro Coden mentre risponde al telefono – come sia arrivata questa decisione. La SC Padovani ha chiuso le categorie allievi e juniores concentrando le proprie forze sulla formazione continental (in maniera diversa, ma si ripresenta il senso del grande che mangia il piccolo, ndr). Di colpo sette allievi si sono trovati senza squadra, la voce ci è arrivata e abbiamo deciso di metterci in moto».

Alessandro Coden diesse e responsabile della Campana Imballaggi-Geo & Tex Trentino (photors.it)
Alessandro Coden diesse e responsabile della Campana Imballaggi-Geo & Tex Trentino (photors.it)

Questione di attimi

Il racconto di Alessandro Coden fa capire come il problema sia stato recepito e risolto in breve tempo. Non sono serviti tanti giri di parole o spiegazioni…

«Ho parlato con i nostri sponsor – continua – Roberto Campana e Federico Morbiato e in una riunione e mezza si è fatto tutto. Hanno aumentato il budget quel tanto che basta per permettere di dare il giusto supporto alla nuova squadra e ci siamo messi in moto. Cinque dei sette ragazzi che ci avevano contattato hanno deciso di venire da noi. Nel frattempo ne sono arrivati altri tre, tra questi c’è il campione regionale veneto esordienti».

Questi gli otto ragazzi che comporranno la squadra allievi per il 2025
Questi sono cinque degli otto ragazzi che comporranno la squadra allievi per il 2025
Chi li seguirà?

Ci stavamo già ponendo il problema per capire come gestirli e in che modo lavorare, poi alla fine la soluzione era sotto al naso. Visto che la SC Padovani ha chiuso c’era il tecnico libero, si chiama Finamoni. Praticamente abbiamo ereditato la struttura della Padovani che ha chiuso i battenti.

Quello di aggiungere la categoria allievi era un passo che avevate già in mente?

Sì, ma dal 2026, non da questa stagione. Però quando ci è arrivata questa notizia non abbiamo potuto tirarci indietro. Ma è stata una cosa che è venuta naturale, sia a me che a tutti gli sponsor. 

La Campana Imballaggi-Geo & Tex Trentino ha anche la formazione juniores (photors.it)
La Campana Imballaggi-Geo & Tex Trentino ha anche la formazione juniores (photors.it)
D’altronde i grandi team prendono i ragazzi sempre più presto.

Vero, quindi arrivare a fare una squadra come la nostra non è facile. Abbiamo juniores e under23/elite. Ora si sono aggiunti anche gli allievi. Si tratta anche di un modo per continuare ad avere un vivaio interno che possa funzionare bene. Ma non è solo questo. 

E cosa?

Ci sono tante formazioni giovanili che chiudono e molti ragazzi sono liberi, senza squadra. Magari i giovani che hanno voglia di correre e andare in bici ci sono ancora, ma se mancano le squadre… Non si parla di fenomeni, però è vero che da allievi non puoi sapere che percorso faranno. Alcuni di questi ragazzi non sono mai stati valutati o visti da qualche tecnico. 

La possibilità di continuare il cammino c’è, questo è Busanello che passerà da juniores a under 23
La possibilità di continuare il cammino c’è, questo è Busanello che passerà da juniores a under 23
Meritano di continuare.

Anche solo per amore verso questo sport. Poi crescendo si vedrà.

Che impegno è stato economicamente?

Un dispendio abbastanza alto, alla fine noi della Campana Imballaggi forniamo a tutti i ragazzi le bici nuove ogni anno e i kit per allenamenti e gare. Questo lo facevamo sia per i grandi che per gli juniores e ora si sono aggiunti gli allievi. Lavoriamo perché tutti i nostri atleti si sentano parte dello stesso gruppo, per far vedere che c’è una continuità. Come in tutte le cose ci siamo messi prima al tavolo e abbiamo capito quanti soldi servissero. Le cose si fanno solo se c’è la possibilità di farle bene. 

Quanti ragazzi avete ora?

Dodici tra under 23 ed elite, otto juniores e otto allievi. Il totale è di ventotto. Non tutti avranno la possibilità di fare il percorso completo, ma l’occasione non manca. Siamo una delle poche realtà che lavorano in questo modo. 

Ultimo anno di contratto, Pinarello cerca lo squadrone

20.12.2024
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ALTEA (Spagna) – Per un singolare scherzo del destino, ma anche per l’abitudine di frequentare tutti gli stessi hotel, al Cap Negret di Altea si sono ritrovati sotto lo stesso tetto Alessandro Pinarello in maglia VF Group-Bardiani e Lenny Martinez, che dal 2025 vestirà quella della Bahrain Victorious. Il francese ha divieto di parlare prima del nuovo anno, ma basta vederlo risalire dal garage assieme a Roman Kreuziger per ricordarsi di quando lo incontrammo la prima volta. Era il Giro della Lunigiana del 2021, quando la Francia si impose sugli italiani, fra cui appunto correva l’atleta veneto.

Da allora Martinez fece un anno nel devo team della Groupama-FDJ, poi salì nel WorldTour cominciando a crescere e vincere. Pinarello invece scelse un percorso super accelerato per gli standard italiani. Salì subito nel neonato gruppo giovani della Bardiani, dovendo prendere altra residenza, e ha vissuto gli ultimi tre anni facendo esperienza avanti e indietro tra i pro’ e gli under 23. Ha vinto il Palio del Recioto ed è arrivato nono al Giro Next Gen. Dal 2025 però correrà soltanto fra i professionisti. E la sensazione, che lui conferma con parole chiare, è quella che voglia spiccare il volo. Con 21 anni compiuti a luglio, anche il suo cammino di crescita potrebbe rivelarsi molto interessante (in apertura, foto di Gabriele Reverberi).

Per Alessandro PInarello, 21 anni, inizia il 4° anno con i Reverberi: il primo tutto fra i pro’
Per Alessandro PInarello, 21 anni, inizia il 4° anno con i Reverberi: il primo tutto fra i pro’
Come va?

Tutto bene, siamo qua in Spagna, un po’ distanti dal freddo da casa. Siamo ripartiti con questo ritiro di due settimane. L’ambiente è ottimo. Nell’albergo si sta bene. Lo staff della squadra è al completo. Torniamo a casa con un bel blocco di lavoro un bel blocco di lavoro in vista delle vacanze di Natale e poi l’inizio di stagione.

Che cosa ti sei portato via dal 2024?

Di sicuro più esperienza, crescita personale anche a livello fisico. Quindi nelle corse più lunghe, con i chilometraggi superiori e percorsi più impegnativi. Una maggiore resistenza alla fatica. Quindi penso di iniziare questa stagione con più motivazione e anche più consapevolezza di me stesso.

Hai vissuto finora una crescita per step molto graduali, sta andando come pensavi?

Sono contento, perché vedo che pian piano, sia durante la stagione sia comunque in questi anni, essere a cavallo fra gli under 23 e i professionisti mi ha aiutato soprattutto mentalmente. Il 2025 è il mio ultimo anno di contratto, per cui c’è voglia di dimostrare. Quella magari c’è sempre, ma quest’anno ancora di più per trovare anche una nuova casacca, diciamo così.

In quale ambito pensi di dover crescere per sentirti pronto al grande salto?

Penso che probabilmente le corse a tappe siano un terreno dove si può crescere, però dove davvero vorrei migliorare sono le corse di un giorno. Credo che lì possa fare bene anche adesso. Lavorare sulla resistenza e l’esplosività. E con la squadra stiamo valutando la preparazione giusta, che però sarà più intensa da gennaio. Quindi per il momento sono abbastanza tranquillo. La stagione è lunga e c’è sempre tempo per lavorare.

Il Palio del Recioto è stato la sua unica vittoria 2024, battendo Pescador (photors.it)
Il Palio del Recioto è stato la sua unica vittoria 2024, battendo Pescador (photors.it)
Cosa intendevi per “cambiare casacca”?

E’ la volontà di chiunque passi professionista. L’obiettivo è sempre quello di andare in una squadra più forte, una squadra più importante. Quindi questo è quello che cercherò più che altro in questa stagione.

Aver fatto avanti e indietro fra professionisti e under 23 ti è servito per crescere?

L’anno scorso è servito molto, sicuramente. Quest’anno però correrò solo con professionisti, quindi diciamo il passaggio al livello più alto sarà completo. Correre fra gli under 23 è un’altra cosa. Si nota proprio… l’ignoranza di un modo di fare meno ordinato, al contrario del professionismo in cui è tutto molto più preciso.

E il fatto di correre per tutto l’anno con i grandi è uno stimolo oppure c’è qualche timore?

No, sono molto tranquillo, non ho timore di niente. Ovvio non sarà facile, ma se abbiamo fatto questa scelta è perché abbiamo valutato che sia pronto.

Feste a casa?

Meglio non fare le feste (ride, ndr), sennò si mangia. Però sì, le passerò a casa. E poi a gennaio torneremo qui per altre due settimane. Per ora stiamo facendo tante ore, un bel lavoro di fondo, ma senza strafare. Poi cominceremo a metterci anche la qualità e la sera saremo certamente più stanchi.

Fra leggenda e futuro, quando parlava Van Looy

19.12.2024
7 min
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Ci fosse stato ancora Alfredo Martini, la prima telefonata sarebbe toccata a lui. Gli avremmo chiesto di parlarci di Rik Van Looy, visto arrivare nei suoi ultimi anni di carriera e poi seguito con gli occhi del tecnico. Siamo certi che Alfredo avrebbe avuto qualche aneddoto sulle 379 vittorie del belga scomparso ieri, a due giorni dal novantunesimo compleanno, che si sarebbe celebrato domani. Due volte campione del mondo (in apertura il podio del 1961 a Berna, quando si impose su Defilippis e Poulidor). Vincitore di tutte le prove Monumento e anche delle altre classiche originarie. Vinse infatti anche la Freccia Vallone, la Parigi-Bruxelles e la Parigi-Tours che a Merckx è sempre sfuggita.

Come lo racconti a un lettore di oggi il campione di quel ciclismo in bianco e nero, così duro da diventare mitico? Come diceva Alfredo, a un giovane devi dire quello che accadrà, non quello che è accaduto. E allora proveremo a fare un esperimento, cercando di leggere il presente con gli occhi di Van Looy, che lo scorso anno alla vigilia dei 90 anni rilasciò una lunga intervista al belga Het Nieuwsblad. In che modo un uomo di 90 anni, che lottò contro i giganti e che con le sue Guardie Rosse schiacciò il gruppo ben più di quanto abbiano fatto di recente Visma e UAE, vedeva il ciclismo di oggi?

E’ il 2006, Boonen ha vinto il secondo Fiandre, eguagliando Van Looy, che poi supererà
E’ il 2006, Boonen ha vinto il secondo Fiandre, eguagliando Van Looy, che poi supererà

Ciclista o calciatore?

«Se mi chiedono cosa sarei diventato se non avessi fatto il corridore – dice Van Looy nell’intervista – rispondo sempre: il calciatore. Ho tirato la matassa. Ho giocato con la squadra studentesca di Grobbendonk e siamo diventati campioni provinciali contro l’Anversa. La foto è rimasta appesa per anni nella mensa di Grobbendonk e forse è ancora lì. Alla fine ho dovuto scegliere. E come è andata? Ero appena diventato per la seconda volta campione belga tra i dilettanti e così ho scelto il ciclismo. Ma guardandomi indietro, se avessi potuto fare la stessa carriera da calciatore, avrei scelto diversamente. Il calcio è meno stressante. Nelle corse ci sei solo tu, nel calcio sono in undici. Puoi giocare male per mezz’ora e nessuno se ne accorge».

Muratore bambino

«Oggi si diventa professionisti a 18 anni – la risposta di Van Looy – non c’è paragone possibile. Ai miei tempi i bambini difficilmente andavano in bicicletta, perché quella era una cosa da adulti. Da bambino io andavo a fare il muratore con nostro padre. Ho aiutato a costruire la nostra casa, che è ancora lì. Evidentemente usammo il cemento buono. Ho avuto la prima bicicletta quando ho iniziato a distribuire riviste. Da quando avevo dodici anni. La mattina consegnavo trecento giornali, il pomeriggio andavo a scuola, sempre che il mio giro non finisse troppo tardi. E’ cominciata così. Bucai una gomma e portai la bici al negozio di un meccanico che faceva anche il corridore. Andai alle gare con lui, finché comprai anch’io una bici con il manubrio curvo e lui mi chiese perché non provassi a fare una gara».

Dal 2022 con arrivo a Herentals si svolge ogni anno il Grote Prijs Rik Van Looy
Dal 2022 con arrivo a Herentals si svolge ogni anno il Grote Prijs Rik Van Looy

Staccato dal gruppo

«Non ero un bambino prodigio – ammette Van Looy – come quelli di adesso. Ho fatto la mia prima gara con gli esordienti. Pensavo che la mia abitudine nel consegnare i giornali mi avrebbe permesso di seguire bene il gruppo. Fu una delusione. Dopo tre giri ero già staccato. Ho pensato: questo non fa per me. Volevo fermarmi. Alla fine mio padre mi convinse a ritirarmi. Solo un anno dopo partecipai di nuovo a una gara. All’inizio è stato deludente, ma poco dopo ho trovato il mio ritmo. Quell’anno penso di averne vinte circa quattordici. 

«Anche con i professionisti ho avuto difficoltà. Quando mi sono sposato pesavo 85 chili, mentre il mio peso in gara era intorno ai 70. Avevo appena finito di fare il soldato. Quell’anno ho fatto il Giro d’Italia e ovviamente mi staccavo tutti i giorni. Alla fine mi ritirai».

Van Looy apprezzava Evenepoel, col dubbio dei suoi mezzi nei Grandi Giri. Qui la Vuelta vinta nel 2022
Van Looy apprezzava Evenepoel, col dubbio dei suoi mezzi nei Grandi Giri. Qui la Vuelta vinta nel 2022

Evenepoel e il Tour

«Cosa penso di Evenepoel? Che a volte si comporta alla grande – sorride Van Looy – ma spesso mi ha deluso. Ha vinto il Giro di Spagna, ma chi erano i suoi avversari? Non c’era quasi nessuno che fosse arrivato fra i primi dieci del Tour de France. L’anno dopo era in testa, fino al giorno in cui ha preso 25 minuti di distacco. A cosa serve aver vinto poi due tappe? Quanto valgono, se non sei più in corsa per la classifica? Gli altri avranno detto: “Vai avanti, piccolo. Se ti piace andare in fuga, fallo pure”.

«Però fa bene a provare col Tour. La mia sensazione è che in una classica, Remco può tenerli tutti a bada, al Tour non saprei. Una volta mi chiesero se fossi anche un bravo scalatore. “Sì – risposi – ero un bravo scalatore finché gli scalatori non hanno iniziato a fare il loro dovere”. Come star, Remco è impegnato con troppe cose. Questo non va bene. E poi: se la squadra inglese più ricca lo avesse voluto davvero, non se lo sarebbero preso già da tempo?».

“Infantile”: così Van Looy ha definito il dono della Gand del 2023 da Van Aert a Laporte
Van Looy trovò “infantile” il dono della Gand del 2023 da Van Aert a Laporte

Van Aert e le classiche

«Mi aspettavo di più da Van Aert. Tutte le tappe che ha vinto al Tour – Van Looy è secco – non significano niente, lui deve vincere le classiche. Ha trent’anni, dopo la Milano-Sanremo pensavo che si fosse sbloccato, ma questo accadeva ormai quattro anni fa. Quando ha regalato la Gand-Wevelgem al suo compagno di squadra (Laporte, ndr) ho pensato: “Che infantile!”. Lui è il miglior corridore in gara, il compagno di squadra non ha fatto altro che il suo lavoro aiutando il suo leader. E quello gli dice: “Ecco, vinci tu”. Non ha alcun senso.

«E’ tutto troppo misurato in quella squadra. Quando leggo le interviste ai direttori sportivi, che spiegano cosa faranno chilometro dopo chilometro, io penso al leader e mi dico che dovrebbe essere lui a fare la sua tattica. Serve un direttore sportivo prima e dopo la gara, ma durante? Ai miei tempi il meccanico era più importante del direttore sportivo. Il direttore sportivo poteva leggere il giornale tutto il giorno».

Dietro Hinault ai Campi Elisi

«Sono stato per diciotto anni presidente della squadra di calcio di Herentals, ma non lo rifarei mai più. Il calcio è un mondo misterioso, penso anche a quei calciatori che cambiano bandiera per 100 franchi di differenza. Mi piaceva di più fare l’autista in gara per Sport 80. Avevo un grande vantaggio. Godet e Lévitan (allora dirigenti del Tour, ndr) mi conoscevano bene come corridore e così potevo osare un po’ di più. Ho guidato la mia auto alle spalle di Zoetemelk e Hinault sugli Champs-Elysées. Tutte le altre furono scacciate, rimasi io da solo. Piacevole. Ma l’anno successivo rimasi a casa. Era diventato troppo imbarazzante per gli altri giornalisti.

Van Looy con sua moglie Nini Marien, in un’immagine del 2013.
Van Looy con sua moglie Nini Marien, in un’immagine del 2013.

«Allo stesso modo non mi va di fare l’opinionista televisivo. Ci sono bravi atleti che lo fanno ed è un ruolo in cui se parli chiaro, rischi di farti molti nemici. Anche adesso. Mi chiedi cosa penso di Evenepoel e di Van Aert, ma in realtà non voglio offenderli. A dire il vero neppure capisco la necessità di avere un secondo commentatore. Se sei un bravo giornalista, perché hai bisogno di qualcuno accanto a te?».

Bicicletta addio

«Ho smesso cinque anni fa di andare in bicicletta. Ero appena uscito con un gruppo – ricorda Van Looy nella bella intervista – lungo il canale fino ad Anversa e ritorno. A 30, 35 l’ora. Mi sono reso conto che avevo fatto troppa fatica. Così ho pedalato sui rulli a casa per un po’, ma ho smesso di fare anche quello. Mi faceva male il sedere. Perciò il modo per mantenere lo stesso peso di quando correvo è non mangiare troppo. Ogni tanto pranzo da mia nipote, ma di solito vado da me dal macellaio e al supermercato. Cucino da solo. Patatine fritte surgelate con maionese: niente di più facile. E guardo anche molta televisione. Calcio, pallavolo, basket, corse: guardo tutto, spesso due volte. Mi manca mia moglie, ma siamo stati sposati per più di 65 anni, di cosa potrei lamentarmi? La cosa più importante è che continui a funzionare la testa. Perché se dovesse smettere, cosa ci farei ancora qui?».

Rik Van Looy è morto ieri, dopo che le ultime settimane erano state piuttosto pesanti a causa di qualche problema fisico. Ma la testa è sempre rimasta al suo posto. Ci piace pensare che abbia avuto il tempo di pensare per l’ultima volta al suo amato ciclismo e di prepararsi finalmente per incontrare nuovamente sua moglie Nini.

Il CTF chiude e diventa devo team Bahrain

19.12.2024
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In attesa che i dettagli vengano definiti, dal prossimo anno il Cycling Team Friuli, che già portava il nome Victorious oltre al suo, cesserà l’attività e sarà assorbito dal Team Bahrain Victorious, diventandone il devo team. Le modalità con cui ciò accadrà saranno rese note, resta però la chiusura di una squadra che da 19 anni a questa parte ha tenuto banco fra i dilettanti, lanciando fra gli altri atleti come De Marchi, Aleotti, i fratelli Bais e Jonathan Milan (immagine photors.it in apertura). Quella del CTF è una chiusura diversa da quanto accaduto alla Zalf Fior, ma parliamo pur sempre una società in meno che raccoglierà talenti sul territorio.

«La scelta è diventata inevitabile – racconta il team manager Roberto Bressan – perché non c’erano più le risorse per mantenere un certo livello tecnico. Se non fai l’attività internazionale, non puoi pensare di andare a scontrarti con i devo team. E’ chiaro che negli ultimi tre anni, avendo avuto la sponsorizzazione del Bahrain, siamo rimasti a galla. Ora però il Bahrain ha fatto una scelta diversa e volendo avere un loro devo team, ci hanno chiesto se saremo saliti a bordo».

Roberto Bressan è il team manager del CTF, qui con Roberto Fedriga, presidente della Regione FVG
Roberto Bressan è il team manager del CTF, qui con Roberto Fedriga, presidente della Regione FVG
E voi?

E io ci ho pensato, noi abbiamo pensato. Cosa facciamo? Chiudiamo o torniamo indietro? Abbiamo fatto per ogni anno lo stesso ragionamento e l’idea di tornare indietro non ci convinceva. Nella nostra storia abbiamo sempre cercato di alzare l’asticella.

In che modo?

Abbiamo formato tecnici, allenatori, massaggiatori e direttori sportivi. Abbiamo pensato a ristrutturare la società e a disegnarla in un certo modo. Con le loro possibilità a un certo punto è diventato tutto più facile. E visto che non saremmo stati in grado di tornare sui nostri passi, abbiamo deciso di accettare la loro proposta.

Non ti dispiace perdere una società attiva sul territorio?

Se avessi avuto più soldi, io sarei rimasto con il CTF, perché il mio cuore è il Friuli. Però in Friuli si investe per il calcio, per la pallavolo e per la pallacanestro. In serie A1 ci sono quattro società friulane, mentre nel ciclismo ci siamo noi. Eppure i corridori buoni vengono fuori, penso a Montagner, Stella e Viezzi, che sono passati professionisti o nei devo team delle WorldTour. Abbiamo atleti formati da noi, da De Marchi, passando per Aleotti e Milan: vuol dire che il CTF è servito a qualcosa. Però non spariremo dal territorio.

In che senso?

Renzo Boscolo si è impegnato a dare una mano alla Libertas Ceresetto, che ha gli juniores. Sarà il modo per tenerli monitorati, ma non si chiameranno CTF. 

Andrea Fusaz, qui con Tiberi, è salito tra anni fa dal CTF al Team Bahrain Victorious come preparatore
Andrea Fusaz, qui con Tiberi, è salito tra anni fa dal CTF al Team Bahrain Victorious come preparatore
Cosa sarà invece del CTF Lab?

Il Lab è fuori dal discorso. E’ una struttura privata in cui lavorano degli allenatori e biomeccanici professionisti, in cui la gente va a pagamento. Ci sono ancora Andrea Fusaz, Alessio Mattiussi e anche Fabio Baronti.

Ecco, proprio Fabio nel frattempo è passato alla Jayco-AlUla…

E’ stato un brutto colpo. Fabio era una parte importante del nostro gruppo, non serviva neppure parlare tanto era ben oliato. Tutti sapevano cosa fare ben prima che gli chiedessi di farlo. Non possiamo escludere che un domani torni indietro, ma per ora è andata così. Fabio è stato massaggiatore, poi si è laureato diventando allenatore e alla fine faceva anche il direttore sportivo. Una figura come la sua non sarà facile da rimpiazzare.

Jayco-AlUla: Pinotti e il nuovo asset dei coach

19.12.2024
4 min
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Nei giorni di Calpe abbiamo visto un bel viavai in casa Jayco-AlUla. Marco Pinotti, uno dei preparatori più esperti in assoluto e del team, ci parla del riassetto che sta vivendo appunto la sua squadra. Sono infatti partiti due allenatori, Alex Camier e Daniel Healy, e ne sono arrivati altri due: Fabio Baronti e Christian Schrot (in apertura foto @GreenEDGECycling).

Ma i cambiamenti non si sono limitati ai nomi. Sono cambiate anche alcune mansioni, sono state riviste alcune logistiche ed è arrivato un nuovo team di sviluppo, la Hagens Berman di Axel Merckx. Non c’è più una gerarchia verticale, ma come ha detto Pinotti: «Una struttura orizzontale».

Il coach Christian Schrot fino a qualche mese fa aveva seguito, tra gli altri, anche Lorenzo Finn
Il coach Christian Schrot fino a qualche mese fa aveva seguito, tra gli altri, anche Lorenzo Finn
Marco, partiamo da te. Stai assumendo un ruolo sempre più importante per quel che riguarda i preparatori e il reparto della performance, è così?

In realtà cerco di diminuire le parti di allenamento e preparazione perché sono sempre più coinvolto nei materiali. Però con gli atleti con cui ho iniziato a lavorare continuo. Faccio fatica a prenderne di nuovi. Tra uomini e donne il carico è più o meno uguale a quello degli altri anni.

E quanti ne hai in tutto?

Sei. Quattro uomini e due donne.

Abbiamo visto un bel movimento sul fronte dello staff legato alla performance: adesso quanti siete voi coach?

Sei in tutto. Anzi, sei e mezzo! Visto che uno, Andrew Smith, è anche un diesse e allena un paio di atleti. Quindi ci siamo io, Fabio Baronti, Christian Schrot, che sono i due nuovi arrivati, Peter Leo, Joshua James Hunt e Briant Stephens.

Due profili nuovi e che avevano a che fare con i giovani. Perché?

Non è stata una ricerca di coach giovani o che avessero a che fare con i giovani in senso stretto. Christian Schrot era responsabile della squadra juniores della Red Bull-Bora, l’Auto Eder, mentre Fabio Baronti veniva da un team di sviluppo, il CTF. Cercavamo dei coach con competenze che potessero andare bene per lavorare anche con i giovani e con i professionisti. Baronti, ad esempio, mi è stato segnalato. Ci siamo incontrati al Giro d’Italia, ho avuto una buona impressione e l’ho proposto al team. Poi da qui ad entrare a fare parte della squadra un po’ ci è voluto. Entrambi sono stati scelti per le loro “skills”, qualità e competenze.

Baronti è arrivato nel clan della Jayco-AlUla su segnalazione di Pinotti
Baronti è arrivato nel clan della Jayco-AlUla su segnalazione di Pinotti
C’è una gerarchia tra voi coach?

Non più. Abbiamo una struttura orizzontale. Ogni coach è responsabile di un progetto specifico. Però, per molte cose fanno riferimento a me, perché sono qui da più tempo. Non c’è un head coach vero e proprio. Abbiamo cambiato nel corso della passata stagione. Abbiamo visto che stava funzionando bene e per ora manteniamo questo assetto. Poi magari, se le cose non andranno bene, rivedremo il tutto.

E come sono divise le responsabilità?

Ognuno ha un campo di responsabilità. Io, ad esempio, mi occupo dei materiali e dei progetti legati alla cronometro. Un’altro è più improntato sulle classiche. Un altro coach si occupa della logistica dei training camp, un altro dello sviluppo dei giovani. Ogni coach è anche responsabile di uno o più camp.

Un bel cambio insomma…

Sì, abbiamo assegnato responsabilità più definite. Prima il coach allenava e basta. Ora c’è una programmazione più strutturata: i camp sono decisi con un anno di anticipo e le date sono chiare per tutti. Quando sono arrivato, i corridori avevano molta libertà. Ad esempio, Simon Yates non partecipava ai camp di gennaio e in altri andava per conto suo. Idem Groenewegen. Per un Tour ad un certo punto avevamo tre gruppi in altrettanti camp. Ora cerchiamo di avere tutti insieme, con alcune eccezioni come gli australiani che gareggiano a dicembre-gennaio. Ma non è stato il solo cambiamento.

Qui Pinotti con Zana in Spagna proprio 12 mesi fa. «Abbiamo iniziato a rivedere i test già dall’anno scorso» ha detto Marco.
Qui Pinotti con Zana in Spagna proprio 12 mesi fa. «Abbiamo iniziato a rivedere i test già dall’anno scorso» ha detto Marco.
Cioè?

Abbiamo standardizzato i test. Adesso abbiamo lo stesso protocollo di test per la squadra WorldTour e per la devo, sia maschile che femminile. Non facciamo lo stesso test a uno scalatore e a un velocista, ma tra corridori dello stesso tipo il protocollo è identico. Questo permette confronti tra atleti e tra squadre.

I test sono su strada o in laboratorio?

Sono su strada e includono sia test incrementali che profili di potenza. Abbiamo test per lo sprint e test specifici per le caratteristiche dei corridori. Più ci avviciniamo alla stagione, più i test diventano settoriali. Per esempio: ora tutti hanno fatto il classico incrementale, utile per stabilire le zone di allenamento, ma a gennaio e man mano che si avvicinano le gare ognuno farà il test per le sue caratteristiche.

Riguardo al devo team, come gestite il fronte della preparazione: sorvegliate o intervenite di persona?

Abbiamo una reportistica programmata tra le due squadre, ma loro hanno un loro coach, Jen Van Beylen, che da danni era nella Hagens Berman. Nel nostro calendario gare però ci sono posti assegnati per i corridori della development anche in alcune corse WorldTour. In base alle esigenze ci diranno loro chi possono mandarci.

Majka da Pogacar ad Ayuso, spalla preziosa al Giro

19.12.2024
6 min
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BENIDORM (Spagna) – Da quello che faceva lui, capivi che cosa avrebbe fatto Pogacar. Al Giro d’Italia è stato così quasi ogni giorno, quantomeno nelle tappe di salita. Quando il polacco si alzava sui pedali e calava il rapporto, la velocità cresceva di colpo. Significava che di lì a poco Tadej avrebbe attaccato e per allora gli altri sarebbero stati già al gancio. Rafal Majka è l’ultimo dei gregari all’antica. Uno che prima di lavorare per gli altri ha fatto il capitano.

A 35 anni detiene con Laengen il primato di corridore più anziano del UAE Team Emirates, dopo che nelle ultime due stagioni se ne sono andati i coetanei Trentin e Ulissi, per cui vederlo in mezzo a tanti ragazzini sembra persino strano. Se non fosse che gli stessi ragazzini lo guardano con rispetto e anche un filo di soggezione. Quello è Majka: ha vinto per due volte la maglia a pois del Tour e anche tre tappe.

Entrambi classe 1989, Laengen e Majka sono i due corridori più maturi del UAE Team Emirates
Entrambi classe 1989, Laengen e Majka sono i due corridori più maturi del UAE Team Emirates
Che effetto fa essere nella squadra numero uno al mondo?

E’ diventata forte, fortissima. Ci sono arrivato nel 2021, sono passati 4 anni e quasi non la riconosci. Non credevo che sarebbe stato possibile un progresso del genere, perché avviene in ogni comparto. I tecnici, gli allenatori, i nutrizionisti. E’ tutto ai massimi livelli e mi sento di dire che starci dentro è più facile di prima. Ho corso con Tinkoff e poi alla Bora, la UAE Emirates è la mia terza squadra. E quando faccio il confronto, per me è meglio perché è stabile. Si va senza problema ai ritiri, si prendono i voli e tutta una serie di dettagli. Come il fatto che abbiamo il cuoco sempre con noi. Anche nei ritiri prima di Giro, Tour e Vuelta. Ogni cosa che facciamo viene controllata, mi pare che ci sia una bella differenza rispetto ad altre squadre. Ho la sensazione che qui siamo proprio più avanti.

Hai corso per sei anni nelle squadre di Bjarne Riis, che sembrava il più organizzato di tutti. Se le riguardi adesso quanto sembrano più piccole?

Mi ricordo quando sono passato con Bjarne, la sua scuola prevedeva già una grande attenzione al cibo e il cuoco nelle corse più importanti. Ma le cose sono cambiate. Il carico sui corridori è aumentato e serve più concentrazione rispetto ad allora. Anche prima facevi sacrifici, però adesso ancora di più. Se vuoi vincere le corse, per stare avanti bisogna fare la vita oltre quello che prima si poteva immaginare.

Al Giro guardavamo te per capire cosa avrebbe fatto Tadej…

Lo sapete che prima del Giro avevo problemi con il tendine di Achille? Pensavo fosse il momento peggiore, però sono stato un mese a Sierra Nevada e il nostro fisio ha fatto il miracolo. Dopo due giorni di trattamento ho ripreso ad andare in bici e mi sono sentito subito molto meglio. Poi lo sapete, quando c’è un capitano come Pogacar e ti ritrovi davanti con venti corridori, sai che se acceleri, lui va via. Questo è un fenomeno, ragazzi.

Questo è il momento dell’attacco: Majka dà tutto, sta per scattare Tadej
Questo è il momento dell’attacco: Majka dà tutto, sta per scattare Tadej
A un certo punto chiedemmo a Matxin perché non portare anche te al Tour. Ce l’avresti fatta?

Dopo il Giro ci siamo ritrovati tutti a cena e abbiamo parlato. Stavo preparando anche io il Tour, in quanto prima riserva. Sono già stato per due volte in Francia con Tadej e uno l’ha pure vinto, quello del 2021. Però l’ultima parola spettava alla squadra e avevamo corridori molto bravi sia per la pianura e altri per la salita. Non sempre funziona tutto alla perfezione, anche a me sarebbe piaciuto andare, ma l’importante è che Tadej abbia vinto ugualmente. Ha vinto il Giro, il Tour e poi anche i mondiali.

Dicono che la figura del gregario non esiste più, allora tu cosa sei?

Prima ero capitano, adesso mi godo l’andare in bici. Ho un capitano di altissimo livello, uno così non l’avevo mai visto in vita mia. E’ anche un ragazzo umile, perché sono stato tanti giorni in gara con lui, anche in camera. E’ impressionante quanto sia umile e stabile, è sempre uguale. Quando però parte in bici, quello che vedo io è un terminator. Vuole ammazzare tutto. E’ lui che mi dice quando partire e io non aspetto altro.

Quest’anno è parso anche più potente di altre volte in passato.

Ha fatto la scelta di cambiare allenatore e la differenza si vede. Quando dopo un paio di anni che lavori allo stesso modo ti arriva l’impulso di cambiare, la squadra ti asseconda. Dal 2025 cambio anche io, ero sempre con lo stesso da quattro anni. Mi serve fare dei lavori diversi e questa squadra può darmi il supporto che mi serve, fra allenamento, bici e alimentazione. Tutti pensano che sia facile, però bisogna saper scegliere i corridori per lavorare e quelli per vincere. E’ il lavoro di Matxin, che lo fa bene.

Rafal, Magdalen, Maja e Oliwier: la famiglia Majka (immagine Instagram)
Rafal, Magdalen, Maja e Oliwier: la famiglia Majka (immagine Instagram)
Che cosa ti ha cambiato il nuovo preparatore?

Faccio un po’ lavori strani che non facevo prima. L’importante, come gli ho detto, è che voglio partire più tranquillo e arrivare bene, perché voglio fare il Giro d’Italia. Perché mi piace e penso che fare il Giro con Ayuso sarà diverso dal farlo con Pogacar. Juan è cresciuto tanto, soprattutto dopo questa stagione. L’ho visto quando ho corso con lui la Tirreno. E’ un ragazzo che vuole vincere e lo sai com’è un giovane che vuole vincere, scalpita. Io invece sono uno corridore che fa quello che gli viene detto dai direttori sul bus. Sono due leader diversi, però c’è una squadra che ti paga e bisogna fare al 100 per cento quello che ti dicono. Io penso che Ayuso possa arrivare fra i primi tre. Lo sapete come è il ciclismo, mai dire mai perché può succedere tutto, però può fare bene.

Ti sei mai pentito di aver fatto questa scelta, di non fare più il capitano?

Dopo Bora e dopo otto anni facendo il leader, mentalmente era diventato pesante. Non dico che non stessi bene, perché non sarebbe vero, però era un continuo carico di stress. Mi si attaccava addosso e interferiva nei rapporti con la famiglia, non riuscivo a essere in perfetto equilibrio. Invece questi quattro anni sono passati che quasi non me ne sono accorto. E’ incredibile. Matxin e Gianetti mi danno fiducia e anche quest’anno quando al Giro ho rinnovato il contratto con Mauro, non c’è stato nulla da ridire. Abbiamo trovato subito l’accordo, anche con Matxin per il mio ruolo. Lavoro al 100 per cento per la squadra, ma l’anno prossimo voglio vincere una corsa.

Quale corsa?

Spero di trovare spazio per vincere una tappa. Ne ho vinte tre al Tour e due alla Vuelta, mi manca una tappa al Giro. Sicuramente andrò a lavorare al 100 per cento per i ragazzi, però se avrò l’opportunità ci proverò. Prima pensiamo a lavorare e poi quando avremo un bel vantaggio e dopo che avremo fatto tutto quello che chiede la squadra, proveremo a portarne a casa una.

Infront e il TotA: sponsor e territorio attraverso l’evento

19.12.2024
5 min
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L’ingresso di Infront all’interno dell’organizzazione del Tour of the Alps è una delle novità che la corsa dell’Euregio ha apportato nel 2024. Un prima edizione “combinata”, quella che si è svolta lo scorso aprile, che ha portato una crescita esponenziale dei numeri della breve corsa a tappe. Ma chi è Infront e di cosa si occupa? Ne parliamo direttamente con Stefano Deantoni Marketing Director di Infront Italy.

«Noi siamo parte di un gruppo internazionale – dice – che ha come suo core business il marketing sportivo. Ci occupiamo dei servizi legati allo sport, a 360 gradi, per far sì che un evento possa essere fruito da diversi stakeholder. In primis lavoriamo sui diritti televisivi, passiamo da intermediario tra chi ha un diritto, che può essere una federazione o un organizzatore, e chi ha interesse ad usufruire di quel diritto, in questo caso un broadcast che trasmette le immagini».

Stefano Deantoni Marketing Director di Infront Italy
Stefano Deantoni Marketing Director di Infront Italy.

Marketing

Gli eventi sportivi e le gare di ciclismo non contemplano più solamente il vedere la corsa, ma c’è anche un contesto di interessi legati a sponsorizzazioni di aziende o del territorio stesso. Ogni soggetto chiamato in causa ha come scopo quello di entrare in una macchina che funziona e in grado di mettere sotto la lente di ingrandimento tutti gli attori presenti. 

«Naturalmente – continua Stefano Deantoni – passiamo anche alle sponsorizzazioni, quindi accordi commerciali. In questo caso dall’altra parte c’è un’azienda che utilizza lo sport come mezzo di comunicazione. Ci occupiamo di creare contenuti originali, ovvero del dietro le quinte o di curiosità. Con l’intento di dare molto più risalto a quello che è il solo evento televisivo e per dare più contenuti per tutti i media. Infine cerchiamo di rendere esclusiva l’esperienza dell’evento, questo avviene attraverso le aree hospitality. Vogliamo dare qualcosa che non si può comprare, quello che i nostri colleghi svizzeri chiamano “money can buy opportunity. Un qualcosa che solo tu che possiedi il diritto puoi offrire». 

Il ciclismo e i valori aggiunti

Fornire dei servizi al fine di aumentare il valore finale del prodotto offerto. Infront si inserisce a metà tra chi possiede un diritto, un organizzatore di un evento, e coloro che ne usufruiscono per promuoversi. 

«Il fine di tutto questo – spiega il marketing director – è di aumentare il posizionamento sul mercato, la notorietà, la riconoscibilità di un evento. Il Tour of the Alps si inserisce in un contesto più ampio del portafoglio di Infront. Noi facciamo parte di un gruppo internazionale che ha visto come il ciclismo possa rientrare nelle nostre strategie di sviluppo. Infront lavorava già con soggetti importanti come il Giro delle Fiandre, il Tour de Suisse e l’Amstel Gold Race. Noi della filiale italiana di Infront dovevamo allinearci alle strategie di gruppo, abbiamo cercato di capire quali eventi ciclistici erano approcciabili. Siamo arrivati al Tour of the Alps, gara di elevato livello tecnico e utilizzata in preparazione al massimo evento del ciclismo italiano: il Giro d’Italia». 

«Come detto non guardiamo solo al lato sportivo – prosegue – il TotA si corre in regioni interessanti per noi: il Trentino, Tirolo e Alto Adige. Abbiamo visto che c’era anche la possibilità di lavorare con i territori e di sviluppare anche questa parte di movimento».

La scelta di passare da determinati comuni o territori è legata alla promozione turistica di queste aree
La scelta di passare da determinati comuni o territori è legata alla promozione turistica di queste aree

Crescita a tutto tondo 

Il Tour of the Alps era in momento di svolta del proprio percorso di crescita, nel cercare di affermarsi ancora di più come gara importante del calendario internazionale ha trovato in Infront il partner giusto per lavorare

«L’edizione del 2024 – dice Stefano Deantoni – è stata fatta con tutti i crismi, collaborando a braccetto. Noi ci siamo occupati in prima battuta di dare maggiore visibilità all’evento nazionale facendo leva sul prodotto ciclismo. Il product manager del ciclismo in Svizzera, che è il nostro headquarter, ha già diversi contatti in giro per il mondo ai quali vende i suoi prodotti. Ha aggiunto il TotA al suo portafogli facilitando il lavoro. Ci siamo occupati anche di fare attività per le aziende, nel tentativo di dare slancio al prodotto. Abbiamo creato una Bike Experience, dove gli sponsor hanno avuto modo di pedalare sul territorio che ospita la corsa. Il giorno successivo, invece, li abbiamo portati sul traguardo a vedere la tappa all’interno della nostra area hospitality. 

Infront ha la capacità di proporre l’evento a diversi Paesi, quasi 300, la potenza di fuoco è elevatissima
Infront ha la capacità di proporre l’evento a diversi Paesi, quasi 300, la potenza di fuoco è elevatissima

L’immagine

Presentare un prodotto che possa raccogliere l’attenzione di chi ne usufruisce, come per esempio il pubblico, è importante. Ma lo è altrettanto proporre a sponsor e aziende qualcosa che possano comprare e che sia tangibile

«Noi ci inseriamo in continuità – ci spiega ancora Stefano Deantoni – con l’attività già esistente e cerchiamo di capire dove si può migliorare in base anche alle esigenze del cliente. Quindi ci chiediamo: come lavoriamo per migliorare la qualità della produzione televisiva? Oppure, in che modo il Tour of the Alps può diventare una piattaforma di comunicazione per gli sponsor? O ancora, lavoriamo in modo che il percorso tocchi delle località che si ha intenzione di promuovere. I territori sono uno stakeholder molto importante di questo evento quindi dobbiamo avere cura anche di loro. Infront offre molte risorse e permette di avere uno sviluppo e una dimensione più internazionale. La crescita del Tour of the Alps, rispetto all’edizione del 2023, è stata 35 per cento a livello mediatico. Chiaramente l’anno uno il salto è elevato, poi bisogna lavorare per mantenere alta la qualità e i numeri».