Van der Poel vince, Van Aert sorride. Prima sfida a Loenhout

28.12.2024
5 min
Salva

C’è stato da attendere anche più del dovuto per assistere alla sfida tra Van der Poel e Van Aert nel ciclocross, alla fine fissata a Loenhout. I problemi al ginocchio del secondo hanno consigliato una programmazione mirata e posticipata anche più di quella del campione del mondo. Era chiaro che, al momento del via, la differenza fra i due (nella foto di apertura Instagram Alpecin-Deceuninck/Photonews) ci sarebbe stata, sostanziale ed evidente. Eppure alla fine può essere proprio lo sconfitto, Van Aert, a sorridere maggiormente visto com’è andata la sua “prima”.

L’arrivo solitario di Van der Poel, alla sua quarta vittoria stagionale (foto Instagram Alpecin-Deceuninck/Photonews)
L’arrivo solitario di Van der Poel, alla sua quarta vittoria stagionale (foto Instagram Alpecin-Deceuninck/Photonews)

Un’invasione di gente (e pioggia di euro…)

Teatro della sfida, l’Azencross, inserito nel circuito Exact Cross, fuori da quelli principali eppure attesissimo e con la gente assiepata intorno al percorso: «C’erano almeno 25 mila persone – racconta un testimone d’eccezione, il diesse della Fas Airport Services Guerciotti Luca Bramati – e calcolando 25 euro a biglietto significa un’entrata solo da questa voce, per gli organizzatori, di 650 mila euro. A quel punto pagare un ingaggio da sogno a VDP o Van Aert non è poi difficile…».

La cronaca della gara è presto fatta: sin dal via Van Der Poel ha provato a fare la differenza, ma prima uno scatenato Tim Merlier (alla fine lo sprinter della Fenix Deceuninck ha chiuso 9°) e poi soprattutto Laurens Sweeck sono rimasti a contatto con l’olandese, che solo dopo 3 tornate ha fatto la differenza. Un dominio posticipato, che per Bramati ha precise ragioni tecniche.

Il podio finale con l’olandese fra Nys e Sweeck, giunti a 14″ (foto Weldritkrant/Bram Van Lent)
Il podio finale con l’olandese fra Nys e Sweeck, giunti a 14″ (foto Weldritkrant/Bram Van Lent)

Il problema delle gomme

«Si è visto che all’inizio Mathieu era molto nervoso. A un certo punto ha urlato qualcosa ai box, poi è entrato cambiando la bici per poi cambiarla di nuovo e allora se n’è andato. Io ho avuto la sensazione che avesse sbagliato la pressione delle gomme e che quindi non riuscisse a galleggiare. Appena gli hanno dato il giusto assetto, non c’è più stata storia».

La supremazia di Van Der Poel, alla sua quarta vittoria in 4 gare, è schiacciante forse anche più che negli anni scorsi: «Quando ha disputato e vinto la prima gara, ero al fianco di suo padre Adri, mio avversario di tante battaglie e mi diceva che sapeva come per gli altri non c’era storia. Mi ha detto che Mathieu quand’è in piena spinta tocca anche i 2.000 watt nella fase di rilancio, chi può esprimere la stessa potenza? Oggi c’è poco da fare, gran parte delle gare di ciclocross si giocano sulla potenza pura e infatti in questo momento è ciò che fa la differenza fra i due grandi e uno come Nys».

Per Van Aert un esordio molto positivo, al di là delle cadute e dei problemi di guida (foto Visma-Lease a Bike/Corvos)
Per Van Aert un esordio molto positivo, al di là delle cadute e dei problemi di guida (foto Visma-Lease a Bike/Corvos)

Van Aert e le curve legnose

Sul campione europeo, che a Loenhout ha chiuso secondo a 14” dall’olandese, Bramati spende molti elogi: «E’ davvero notevole, lo vedo crescere ogni volta che gareggia. Tecnicamente è già al livello dei due, gli manca la potenza e quella l’acquisisci solo con gli anni. Se continua, credo che li raggiungerà».

Intanto a Loenhout è finito davanti a Van Aert, alla fine quarto a 36” dopo due cadute che hanno inficiato una prestazione sicuramente superiore alle previsioni: «Wout l’ho visto davvero bene, fisicamente è già a un ottimo livello, gli manca naturalmente la dimestichezza del gesto. In curva è particolarmente legnoso, infatti Nys gli guadagnava sempre e le sue due cadute sono avvenute proprio lì. Se in curva perdi anche solo pochissima velocità rispetto a chi ti è vicino, ti ritrovi a dover recuperare metri e perdere quindi energie preziose. E’ evidente che ha grandi margini di miglioramento, ma di gare ne farà poche, meno che il suo rivale».

Il belga, qui nel riscaldamento pregara, dovrebbe disputare altre 4 prove di ciclocross (foto Visma-Lease a Bike)
Il belga, qui nel riscaldamento pregara, dovrebbe disputare altre 4 prove di ciclocross (foto Visma-Lease a Bike)

Sfida mondiale? A una condizione…

Molti dicono che Van Aert lasci una porticina aperta a una partecipazione al mondiale, ma per chi è dell’ambiente è una possibilità molto remota: «Conosciamo bene l’ambiente della Visma-Lease a Bike, è una squadra che programma sempre tutto a lunga scadenza e difficilmente cambia. Wout potrebbe ripensarci solo se davvero si accorgesse che può raggiungere il livello del rivale e batterlo nella gara iridata, ma è un’eventualità che reputo molto difficile che si realizzi».

La nota sorprendente di giornata è stato Sweeck, finito terzo dopo aver speso tantissimo per restare con il vincitore. Anche nelle sue dichiarazioni post gara c’era netta la sensazione di aver voluto provare ad andare oltre i limiti, non sentendosi battuto in partenza contro VDP: «Ci credo poco – sentenzia Bramati – tutti gli altri sanno bene la differenza che c’è, soprattutto come detto a livello di forza pura. Non era tanto Sweeck, che pure è un buon corridore ma nulla più, ad andare oltre i limiti, quanto l’olandese che non trovava l’assetto giusto per esprimersi. Quando tutti i tasselli sono andati al posto giusto non c’è stata più gara».

Tra gli juniores grande prestazione di Patrick Pezzo Rosola, secondo a 5″ dal ceko Krystof Bazant (foto Exact Cross)
Tra gli juniores grande prestazione di Patrick Pezzo Rosola, secondo a 5″ dal ceko Krystof Bazant (foto Exact Cross)

E Viezzi intanto cresce…

Una nota a margine riguarda Stefano Viezzi, unico italiano in gara, finito ventunesimo a 3’47”, uno dei migliori U23 della gara: «E’ stato bravissimo, conferma la mia impressione, che sia l’unico che davvero potrà competere a quei livelli. Ha fatto una scelta azzardata andando a correre e a vivere alla Fenix, ma era necessaria, perché ormai il ciclocross è lì che ha casa. Se si pensa che uno come Sweeck, per me uno dei tanti, guadagna fino a 350 mila euro l’anno, allora si capisce come non ci sia modo di competere e stando alla Guerciotti ne ho la piena consapevolezza, considerando i sacrifici che si fanno per far correre i ragazzi all’estero. E’ tutta una questione di soldi, sono quelli che scavano il solco».

Cambio di ritmo: questione genetica o di allenamento?

27.12.2024
5 min
Salva

In tanti durante le nostre interviste ci parlano del cambio di ritmo, della necessità di implementare questa componente che in qualche modo va ad intaccare il sistema anaerobico. Ma come si può fare? Quanto è anche una questione genetica?

E sì, perché tutto sommato la resistenza, con dei buoni allenamenti e, oggi più che mai, una corretta alimentazione, in qualche modo si può raggiungere. Insomma, è meno complicato rispetto al cambio di ritmo, che è una qualità più complessa da sviluppare e ottimizzare. Abbiamo sottoposto questo tema a Diego Bragato, a capo del Gruppo Performance della Federciclismo.

Tiberi è uno degli atleti che sta lavorando su ritmo: eccolo quando l’andatura sale e deve essere pronto alle accelerazioni dei big
Tiberi è uno degli atleti che sta lavorando su ritmo: eccolo quando l’andatura sale e deve essere pronto alle accelerazioni dei big

Cambio di ritmo: cos’è

Prima di dare la parola a Bragato chiariamo in termini più generali cos’è il cambio di ritmo. Il cambio di ritmo è la capacità di alterare rapidamente l’intensità dello sforzo, passando da un livello aerobico stabile a picchi anaerobici di breve durata. Questo avviene, ad esempio, quando un corridore deve rispondere a un attacco, scattare in volata o affrontare una salita con variazioni di pendenza.

Di base, dal punto di vista fisiologico, il cambio di ritmo sollecita principalmente il sistema anaerobico alattacido e lattacido. Nel primo caso, si utilizzano le riserve immediate di energia (ATP e creatinfosfato), utili per sforzi intensi ma brevissimi. Nel secondo caso, invece, l’energia viene prodotta attraverso processi metabolici che generano acido lattico, il quale deve essere poi smaltito durante la fase aerobica successiva. E questa è la definizione accademica.

Poi c’è da capire come si allena e cosa intendono i corridori quando dicono che devono migliorare questo aspetto. Interval training, lavori massimali o sub massimali, ma anche palestra… il tutto però deve tradursi in un’azione che magari, almeno su strada, avviene dopo cinque ore di sforzo. In tal caso la questione della resistenza torna a farsi cruciale.

Diego Bragato è il responsabile del gruppo performance della FCI
Diego Bragato è il responsabile del gruppo performance della FCI

Bragato sale in cattedra

Fatta questa premessa passiamo dunque la parola al tecnico della Federciclismo. «Non è facile neanche allenare la resistenza a dire il vero – ha detto Bragato – ma certo oggi più che mai è importante allenare il cambio di ritmo. Oggi che i livelli sono molto simili per tutti, è spesso questo aspetto a fare la differenza. E sì, perché tante volte vince chi riesce a fare quello scatto in più».

«Togliamo Pogacar, che parte da livelli eccezionali, e in parte Vingegaard ed Evenepoel. Per gli altri, che rappresentano la maggior parte dei casi, la differenza è minima. Come detto, si va tutti sullo stesso ritmo. Chi ha la capacità di fare quello scatto in più spesso vince. In quel cambio di ritmo riesce a guadagnare quei 15”-20” che poi porta fino all’arrivo, rimettendosi successivamente alla stessa velocità degli altri. Ma per fare questo servono anche il fondo e la forza».

Qui si aprono due capitoli fondamentali per il discorso del cambio di ritmo: forza e resistenza. E Bragato riprende: «Sapete che lavoro moltissimo anche con la pista. Lì le gare sono più brevi e anche più esplosive rispetto alla strada, ma tante volte ho parlato di resistenza. In quel caso si tratta di avere una grande base. Una base che ci consente di lavorare bene sui cambi di ritmo e di farne in un certo numero».

«Poi è anche chiaro che c’è chi ci è più portato e chi meno. Chi ha un numero maggiore di fibre bianche e chi meno, ma senza dubbio è una componente allenabile».

L’allenamento a secco è fondamentale per migliorare nel cambio di ritmo
L’allenamento a secco è fondamentale per migliorare nel cambio di ritmo

La forza conta

Alla base di questo discorso, per Bragato, c’è un aspetto che è centrale ed è quello della forza. «Va da sé – spiega il tecnico – che per effettuare un aumento di velocità serve forza, più forza di quella che si stava esprimendo fino a quel momento. Questa è fondamentale. Giustamente si è detto che si effettua un lavoro anaerobico durante un cambio di ritmo. Su pista soprattutto, ma anche su strada, se magari devo chiudere un buco di pochi metri, c’è un cambio di ritmo di 4”-5” che però non porta all’accumulo di acido lattico. Caso ben diverso se invece parliamo di sforzi di 30”-60”: lì l’accumulo c’è. Chiaramente bisogna lavorarci con sedute specifiche in allenamento (i 40”-20”, i 2’-5’ minuti in Z5 o anche più, ndr) ma anche con i lavori specifici di forza».

Questi allenamenti migliorano sia la capacità anaerobica che quella aerobica, consentendo all’atleta di sostenere ripetuti cambi di ritmo senza un calo drastico delle performance.

Anche la forza è cruciale, come sottolineato da Bragato. Lavori in palestra con esercizi specifici per le gambe (squat, leg press), uniti ai lavori di forza su strada, aiutano a sviluppare la potenza necessaria per affrontare gli strappi più impegnativi. 

Nonostante VdP abbia un cambio di ritmo “genetico”, lui stesso ha detto di insistere col cross per ridurre il gap da Pogacar nei momenti di maggior intensità
Nonostante VdP abbia un cambio di ritmo “genetico”, lui stesso ha detto di insistere col cross per ridurre il gap da Pogacar nei momenti di maggior intensità

Genetica o allenamento?

Tornando alla questione genetica, è vero che alcuni atleti partono avvantaggiati grazie a una maggiore percentuale di fibre muscolari bianche, più adatte agli sforzi esplosivi. Tuttavia, il lavoro mirato può compensare queste differenze. L’obiettivo è creare un equilibrio ottimale tra forza, resistenza e capacità di recupero, per sfruttare al meglio ogni situazione di gara.

In conclusione, il cambio di ritmo è una delle qualità più determinanti nel ciclismo moderno: richiede un mix di capacità fisiologiche e atletiche che solo un allenamento strutturato e personalizzato può garantire. Come dice Bragato, «Oggi vince chi riesce a fare quello scatto in più».

Le azzurre del quinquennio, tanti sorrisi e qualche lacrima

27.12.2024
5 min
Salva

L’analisi dell’ultimo quinquennio del ciclismo giovanile italiano ha destato molto clamore. I tanti ragazzi approdati nel WorldTour non bastano a mitigare l’immagine di un numero considerevole di giovani che dopo avere vestito le maglie azzurre – un traguardo sempre riservato a pochi – dopo solo qualche stagione si sono già allontanati dal ciclismo agonistico. Noi però abbiamo parlato del movimento maschile, qual è la situazione fra le donne?

Nel 2021 Silvia Zanardi conquista così il campionato europeo U23 di Trento
Nel 2021 Silvia Zanardi conquista così il campionato europeo U23 di Trento

Difficile fare paragoni

Partiamo innanzitutto da una considerazione di fondo: i parametri non possono essere gli stessi. Noi abbiamo preso in esame lo stesso periodo degli uomini, dal 2019 al 2023 evitando l’ultima stagione perché troppo recente, ma rispetto all’universo maschile ci sono differenze. Innanzitutto non c’è una vera e propria categoria under 23: le ragazze da juniores passano direttamente nel ciclismo maggiore. Le gare al di sotto dei 23 anni sono pochissime, da breve tempo è stato introdotto l’Avenir, il campionato continentale si disputa, ma i mondiali sono stati finora accorpati a quelli elite (non sarà così a partire dall’edizione in Rwanda del 2025) e obiettivamente non è la stessa cosa.

Anche la conformazione del ciclomercato è un po’ diversa perché è in continua evoluzione, tanto è vero che solo da poco sono state introdotte le squadre professional, mentre i devo team si stanno sviluppando di anno in anno. Tutto ciò per dire che i raffronti vanno soppesati, perché i paragoni fra i due sessi, nel mondo delle due ruote, sono difficili.

Alice Toniolli, in ripresa dal terribile incidente del 14 agosto. Il suo obiettivo è tornare a correre
Alice Toniolli, in ripresa dal terribile incidente del 14 agosto. Il suo obiettivo è tornare a correre

Nel 2019 sei azzurre da sogno

In totale, fra juniores e under 23, sono state 40 le ragazze azzurre e hanno corso con risultati lusinghieri, superiori per qualità e numero a quelli dei loro coetanei. Merito di una generazione davvero ricca di talenti: è impressionante rileggere oggi la nazionale U23 che vestì l’azzurro agli europei del 2019: Letizia Paternoster vincitrice, Elisa Balsamo decima e campionessa l’anno successivo, ma con loro anche Katia Ragusa, Vittoria Guazzini, Elena Pirrone bronzo a cronometro e Martina Fidanza. Tutte nel WorldTour, tutte nel giro azzurro anche oggi.

In tutto da allora abbiamo colto ben 6 successi. Oltre a Paternoster e Balsamo, vanno annotati gli ori conquistati da Eleonora Camilla Gasparrini agli europei 2020 tra le juniores, Silvia Zanardi fra le under 23 nel 2021 (a completare un magico tris), Vittoria Guazzini stessa categoria e anno ma nella cronometro e infine l’acuto di Federica Venturelli a cronometro nel 2023. Si dirà: tutti europei e nessun mondiale. Ma chi conosce l’universo rosa sa che la gran parte del talento è ancora nel Vecchio Continente…

Francesca Barale è una delle 15 azzurre approdate nel WorldTour e che sta pian piano crescendo
Francesca Barale è una delle 15 azzurre approdate nel WorldTour e che sta pian piano crescendo

C’è chi si è persa per strada

A corollario di questi successi, ci sono ben 9 podi e un totale di 37 top 10, a conferma del valore del nostro vivaio che pur tra mille difficoltà continua a sfornare atlete di valore, forgiate quasi tutte dalla doppia direttrice strada/pista, una via maestra che non va abbandonata. Ma attenzione: non è tutt’oro quello che luccica.

Abbiamo perso per strada 6 ragazze, che dai fasti della maglia azzurra sono finite ai margini del mondo delle due ruote, almeno di quello agonistico perché c’è chi ha già trovato altri impieghi come Giorgia Catarzi, azzurra junior nel 2019 e che Fabiana Luperini ha voluto con sé come allenatrice alla Ciclistica San Miniato Santa Croce.

Camilla Alessio, un solo anno alla Ceratizit e poi l’addio alle corse. Un talento cui serviva tempo
Camilla Alessio, un solo anno alla Ceratizit e poi l’addio alle corse. Un talento cui serviva tempo

L’esemplare caso della Alessio

Il caso più eclatante è quello di Camilla Alessio. Tra il 2019 e il 2021 la ragazza di Cittadella ha vestito l’azzurro a ripetizione, sfiorando il podio agli europei 2019 a cronometro juniores e contribuendo alla vittoria della Zanardi due anni dopo fra le under 23. Nel 2022 ha assaggiato il ciclismo di vertice alla Ceratizit-WNT, poi più nulla: uno dei tanti talenti che dolorosamente abbiamo visto sparire, complici problemi fisici che la limitavano. Una di quelle cicliste che avrebbero avuto bisogno di più tempo per evolversi e trovare la propria collocazione rispetto a quello concesso da un mondo che non si ferma per nessuno, accelerando la crescita sempre di più.

A fronte di chi non ce l’ha fatta, ci sono ben 15 atlete che fanno stabilmente parte del WorldTour. Alcune sono già affermate campionesse. Una su tutte è Elisa Balsamo già fregiatasi dell’iride assoluto, altre si stanno ritagliando il loro spazio e sono in rampa di lancio. Bisogna però guardare oltre, a chi quel traguardo, il contratto nella massima serie, lo deve ancora raggiungere e per farlo gareggia nei team continental o nei semplici club.

Matilde Ceriello davanti a Carlotta Cipressi: quest’ultima ha svoltato, l’altra purtroppo no
Matilde Ceriello davanti a Carlotta Cipressi: quest’ultima ha svoltato, l’altra purtroppo no

L’importanza dei team nostrani

Realtà come Top Girls Fassa Bortolo, Bepink, Mendelspeck racchiudono ancora una buona parte delle cicliste di vertice, il problema è dare loro opportunità per gareggiare, confrontarsi con le più grandi, mettersi in luce.

Nelle gare estere? Sì, ma non può bastare. Serve un calendario nazionale più folto e qualificato, più occasioni di confronto. Allora potremo davvero dire che chi non ce l’avrà fatta sarà il prezzo pagato alla selezione naturale.

Erzen su Martinez: già sogna in grande (e in giallo)

27.12.2024
4 min
Salva

Lenny Martinez, giovane promessa del ciclismo francese, la scorsa estate ha scelto di lasciare la Groupama-FDJ per approdare alla Bahrain-Victorious a partire dal 2025. Una decisione che rappresenta una svolta cruciale per il ventenne scalatore, reduce da una stagione impegnativa. Ma una decisione che segna un bel cambio di passo anche per la nuova squadra.

Il team guidato da Milan Erzen, infatti, ha grandi ambizioni per lui, desiderando trasformarlo nel miglior ciclista francese della sua generazione. E ha anche la voglia di tornare il super team che fu nel 2023.

Il contratto di Lenny con la Bahrain entra ufficialmente in vigore il 1° gennaio, e prima di quella data non potrà parlare, ma Martinez sembra già focalizzato su obiettivi ambiziosi, in primis il Tour de France. Tanto più che anche la Bahrain vuole questo.

Milan Erzen, patron della Bahrain-Victorious
Milan Erzen, patron della Bahrain-Victorious

Parla Erzen

Milan Erzen, team principal della Bahrain-Victorious, recentemente ha espresso grande fiducia nel talento di Lenny Martinez, dichiarando che l’obiettivo sia «renderlo il miglior corridore francese di questa decade».

«Abbiamo scelto Lenny quando era ancora junior – ha detto Erzen – riconoscendo le sue potenzialità per le corse a tappe. Nonostante il focus principale non sia necessariamente la conquista del Tour de France, almeno per ora, il suo programma includerà appuntamenti chiave come la Parigi-Nizza e il Delfinato, oltre ad alcune classiche».

La squadra punta su una strategia condivisa con Martinez: Lenny infatti condividerà il ruolo di leader con Santiago Buitrago. I due dovrebbero fare un calendario parallelo e questo dovrebbe permettere ad entrambi di gestire meglio la pressione.

«Sul Tour è più importante vincere due tappe che finire decimo in classifica generale», ha aggiunto Erzen, ribadendo l’importanza di un approccio misurato per Martinez. Sa bene che non può chiedergli obiettivi oggettivamente fuori portata, almeno per adesso.

Il francese aveva interrotto la stagione a fine settembre per una caduta: ma da qualche settimana sta già spingendo forte (foto Instagram)
Il francese aveva interrotto la stagione a fine settembre per una caduta: ma da qualche settimana sta già spingendo forte (foto Instagram)

La posta in palio…

Il giovane scalatore è già mentalmente proiettato verso la nuova stagione. Dopo un debutto complesso al Tour de France, dove questa estate ha vissuto alti e bassi, ma ha mostrato sprazzi di talento, Martinez ha dichiarato di aver imparato molto da questa esperienza. «Non ero in forma al Tour, ma ora so cosa mi aspetta nelle prossime edizioni – aveva detto dopo la Vuelta – e anche per questo quest’inverno mi allenerò tantissimo».

La sua scelta di lasciare la Groupama-FDJ è stata motivata dalla voglia di crescere in un ambiente internazionale che punta sui giovani talenti. In tempi non sospetti dichiarò di aver lasciato la squadra che lo aveva cresciuto per non avere rimpianti, cosa che segnò la rottura definitiva con patron Marc Madiot, e aggiunse anche che aveva avuto rassicurazione sul fatto che sarebbe stato un leader. Tutti aspetti che sono la prova della determinazione, ma che davvero come dicevamo lo metteranno di fronte al più grande bivio della sua carriera: campione o buon buon corridore.

Insomma, Lenny Martinez si gioca tanto e lo sa bene.

Se davvero Martinez e la Bahrain vorranno vincere il Tour nei prossimo anni, saranno chiamati a fare un grande lavoro anche a crono
Se davvero Martinez e la Bahrain vorranno vincere il Tour nei prossimo anni, saranno chiamati a fare un grande lavoro anche a crono

Fiducia in Lenny

Anche Miguel Martinez, padre di Lenny e leggenda del ciclismo, ha avuto un ruolo fondamentale nella scelta del figlio di trasferirsi alla Bahrain-Victorious. Convinto che questo cambio fosse necessario per la sua crescita, Miguel ha spinto affinché Lenny lasciasse la Groupama-FDJ per un team che gli offrisse maggiori opportunità (e uno stipendio decisamente più corposo).

Ma di fonte a tutto ciò patron Erzen, non si è scalfinto di una virgola, anzi… ha rilanciato mostrando grande fiducia nel “progetto Martinez”.

«La presenza di un ambiente stimolante può fare la differenza – ha detto Milan – Martinez ha bisogno di una squadra che lo sostenga e che lo aiuti a esprimere il suo potenziale al massimo. Crediamo molo in lui».

Scottoni e la settimana con la UAE: un sogno che si realizza

27.12.2024
4 min
Salva

Dopo avervi parlato del Premio Cesarini, una challenge dedicata ad allievi di secondo anno e juniores di primo anno e svolta sulla piattaforma per indoor cycling MyWoosh, è arrivato il momento di raccontare l’esperienza dedicata al vincitore. Il più veloce e il più forte è stato Pietro Scottoni, atleta del team Vangi-Sama Ricambi-Il Pirata. Il laziale, grazie alle sue prestazioni, si è aggiudicato una settimana nel ritiro della UAE Team Emirates. Non da spettatore, ma da protagonista. Infatti Scottoni ha pedalato con i ragazzi del Team Gen Z ed ha vissuto sette giorni incredibili. Un’esperienza che spera possa essere solamente un antipasto del prossimo futuro. 

«Si è tratta di un’avventura spettacolare – ci dice quando ancora si trova a contatto con la realtà della UAE – una settimana nella quale si è pedalato tanto, con uscite lunghe e dure. Nei vari pomeriggi c’era tempo di riposare e fare qualche riunione, momenti nei quali ho comunque imparato tanto».

Un rapido selfie allo specchio prima di partire per il primo allenamento con il UAE Team Emirates Gen Z
Un rapido selfie allo specchio prima di partire per il primo allenamento con il UAE Team Emirates Gen Z

Dal giorno zero

Ma, come si dice, riallacciamo il filo e torniamo al primo giorno della sua avventura. Domenica 15 dicembre, quando l’aereo è atterrato nei pressi di Alicante ed è iniziato il tutto

«Il giorno stesso, domenica – racconta Scottoni – siamo usciti per una sgambata, chiaramente vista l’età mi hanno aggregato al Team Gen Z. Anche perché già loro vanno forte, immaginate i professionisti. Però è stato subito un bell’impatto e una grande emozione indossare la divisa della squadra che ha vinto la classifica UCI 2024. Non mi è mai mancato nulla, è stato davvero bello anche perché sono venuto a vivere l’esperienza da dentro. Non ero un ospite, ma uno di loro».

Scottoni ha seguito il programma dei ragazzi del devo team
Scottoni ha seguito il programma dei ragazzi del devo team
Tra i giovani c’eri solamente tu di nuovo?

No. Di ragazzi juniores eravamo quattro: due dagli Emirati, uno spagnolo e io. Seguivamo i ragazzi del devo team e il loro allenamenti. Ad esempio lunedì e martedì abbiamo fatto due uscite molto lunghe e dure, con tanta salita. Inizialmente è stata dura, anche perché non sono mai stato abituato a fare così tanti chilometri in questo periodo. 

Quanta curiosità avevi nel vedere da dentro una squadra del genere?

Tanta. Anche perché capire come vengono gestiti i corridori e vedere l’ambiente dall’interno non capita tutti i giorni. Da un lato anche gli allenamenti sapevo di doverli sfruttare bene, quando fai una settimana del genere torni che hai un’altra condizione. 

Pietro Scottoni, in primo piano, nel 2024 da junior primo anno ha vinto due gare (foto Valerio Pagni)
Pietro Scottoni, in primo piano, nel 2024 da junior primo anno ha vinto due gare (foto Valerio Pagni)
Cosa ti ha colpito maggiormente?

La logistica che c’è dietro. Basta vedere il salone a disposizione dei meccanici per capire la grandezza della squadra. Se un corridore ha anche il più piccolo problema tecnico si muovono per risolverlo. Questo poi non riguardava solo i meccanici, ma ogni ambito. 

Ci hai parlato anche di qualche riunione…

A livello teorico gli allenamenti che fanno sono gli stessi nostri, loro raggiungono un livello di specializzazione maggiore. Ma questo è normale. Tuttavia dai vari meeting mi porto a casa il fatto che mangiare prima e durante l’allenamento è davvero importante. Soprattutto quando si va sulle lunghe distanze. Alimentarsi male vuol dire finire presto la benzina. Se invece mangi bene quando torni dall’uscita senti di avere ancora energie. 

A Benidorm, Scottoni ha incontrato Sambinello, suo compagno alla Vangi
A Benidorm, Scottoni ha incontrato Sambinello, suo compagno alla Vangi
Hai avuto modo di incontrare anche i ragazzi del WorldTour?

Certo! Ho parlato un po’ con gli italiani: Baroncini e Covi. Mi chiedevano come fosse andata la giornata e cosa avessi fatto. Non sono entrato troppo nello specifico, anche perché sono uno a cui non piace disturbare. 

Con te c’era anche il tuo vecchio compagno di squadra Sambinello…

Siamo grandi amici, rivederlo con quella maglia mi ha fatto piacere per lui. Spero di fargli compagnia già il prossimo anno. 

La cosa che più ti è rimasta da questa settimana?

Stare in un ambiente del genere, dove tutto è grande ma allo stesso tempo non manca nulla. Anche se soltanto per una settimana fare questa vita mi è piaciuto molto.

Ellingworth, ritorno al Bahrain con il progetto del Tour

27.12.2024
5 min
Salva

ALTEA (Spagna) – Rod Ellingworth arrivò per la prima volta al Team Bahrain nel 2020 assieme a McLaren, che lo aveva strappato al Team Sky intaccandone per la prima volta la struttura gerarchica. Rod era nato con British Cycling, il suo lavoro aveva portato, fra le altre, alle medaglie olimpiche di Cavendish, Wiggins e Thomas. L’impostazione del team tecnico costruito attorno a lui da David Brailsford aveva reso allo squadrone le vittorie al Tour di Wiggins, Froome, dello stesso Thomas e di Bernal. Oltre a qualche Vuelta e al Giro di Froome. Che sia un caso oppure no, da quando Rod ha lasciato la squadra, il Tour de France ha smesso di fregiarne le maglie. Il Team Bahrain Victorious lo sa (foto Charly Lopez in apertura) e per questo l’ha voluto nuovamente.

Lo abbiamo incontrato durante il ritiro del team di Erzen e Miholjevic, cui ha appena fatto ritorno dopo un altro triennio alla Ineos. Durante tutto l’incontro abbiamo percepito da un lato l’imbarazzo nel parlare di se stesso, dall’altro la volontà, almeno per il momento, di stare alla larga dalle vicende della sua ex squadra nei giorni del passaggio di Pidcock alla Q36.5, ma ne cogliamo la resistenza e parliamo d’altro.

Rod Ellingworth, classe 1972, è stato con Sky dal 2010 al 2019, per poi tornarvi dal 2021 al 2024. Era stato al Bahrain nel 2020
Rod Ellingworth, classe 1972, è stato con Sky dal 2010 al 2019, per poi tornarvi dal 2021 al 2024
Dopo quattro anni, sei di nuovo in questa squadra. La prima volta durò un solo anno: perché te ne sei andato?

Venire qui e anche andare via fu un’opportunità di vita. Sembra passato molto tempo, accadde tutto con la pandemia nel mezzo. La prima volta che arrivai qui, lavoravo per la McLaren, non per la Bahrain. All’epoca dissi che andavo via principalmente per una ragione personale, più legata alla salute e alla sicurezza. Era il periodo successivo a quello strano periodo che abbiamo avuto con il COVID ed essere assunto nuovamente alla Ineos era qualcosa che, in quel momento della mia vita, era abbastanza importante per me. Non c’entrava nulla con il team o altro. Per questo sono riuscito a tornare, perché abbiamo sempre avuto un buon rapporto e nessun problema.

I membri della squadra ricordano che nel 2020 portasti un’organizzazione che prima non c’era: hai ritrovato qualcosa di quel lavoro?

Sì, decisamente c’è ancora qualcosa. Alcune delle procedure che abbiamo messo in atto all’epoca sono continuate e questo è davvero bello da vedere. Per tutto il tempo in cui sono stato via, sono sempre stato in contatto con Vladimir Miholjevic, Milan Erzen e i ragazzi. Abbiamo sempre continuato a parlare, per questo tornare non è stato così strano.

Questa squadra ha più potenziale della precedente?

Ogni anno le squadre trovano il prossimo obiettivo che vogliono raggiungere. La rosa dei corridori è completamente cambiata. Pochi di quella squadra sono ancora qui e questo fa sì che sia tutto piuttosto diverso. Penso però che l’arrivo di Lenny (Martinez, ndr) sia davvero eccitante. C’è un gruppo davvero giovane, con lui, Tiberi e Santiago (Buitrago, ndr), che c’era anche allora. Era appena arrivato, era un ragazzo giovane e sapevamo che c’era molto lavoro da fare. E si può vedere che è progredito molto bene all’interno di questo gruppo. Gli altri due sono nuovi per me. Averli tutti e tre insieme è davvero entusiasmante.

Il Team Bahrain Victorious ha svolto il primo ridito ad Altea fino al 20 dicembre e tornerà a gennaio (foto Charly Lopez)
Il Team Bahrain Victorious ha svolto il primo ridito ad Altea fino al 20 dicembre e tornerà a gennaio (foto Charly Lopez)
La tua storia inizia in Gran Bretagna. Con il Team Sky avete scritto la storia del ciclismo contemporaneo, da lì è nato un altro modo di fare questo sport.

La gente mi dice che abbiamo stabilito dei punti di riferimento, una nuova visione. In realtà abbiamo introdotto nel mondo del ciclismo professionistico molte cose semplici che arrivavano dalla nostra esperienza con British Cycling e dal programma olimpico. Molte di queste cose erano legate al fatto di mettere l’atleta al centro, fare dell’atleta la persona più importante, come noi crediamo che debba essere. Per fare in modo che si faccia tutto per lui, come avevo già sperimentato in passato. Molte squadre professionistiche forse pensavano che si trattasse più di comunicazione o marketing. Noi abbiamo cercato di essere più performanti nel nostro approccio e questo ha funzionato abbastanza bene.

Pensi che cambierà qualcosa nella squadra col tuo ritorno?

Credo che la mia presenza qui sia legata a determinati progetti su cui io potrò concentrarmi. Sono davvero entusiasta di lavorare con Lenny Martinez sul Tour de France e su ciò che ne consegue. Il Tour è una corsa bellissima, a cui partecipano tutte le squadre. C’è sempre una certa attesa per arrivarci ed è bello lavorare a questo progetto per questa squadra.

Hai parlato di Martinez, che idea ti sei fatto di Tiberi?

Non sto lavorando specificamente con lui, come con Lenny e gli altri. Sono stato coinvolto nel progetto francese, tuttavia penso che parallelamente a questo, gli altri aspetti seguiranno il loro corso. Alla fine le cose funzioneranno tutte allo stesso modo, quindi penso che indirettamente ci sarà un cambiamento. L’intero team cambierà, ne sono abbastanza sicuro. E credo che già quest’anno, in questo campo, le persone possano percepire una certa differenza. Non sto dicendo che sarò io. Ci sono altre persone nuove che sono arrivate in questa squadra e che credo stiano facendo la differenza.

Jonathan Milan, Roberto Bressan, Rod Ellingworth, Giro d'Italia 2020, Udinea
Udine, Giro d’Italia del 2020: è proprio Ellingworth a definire con Milan e Bressan il passaggio di Jonathan tra i pro’
Jonathan Milan, Roberto Bressan, Rod Ellingworth, Giro d'Italia 2020, Udinea
Udine, Giro d’Italia del 2020: è proprio Ellingworth a definire con Milan e Bressan il passaggio di Jonathan tra i pro’
Perché lasciare nuovamente Ineos?

Avevo lasciato Ineos prima di decidere di venire qui. È stata una scelta di vita, anche qui non sono a tempo pieno. Ho un certo numero di giorni in cui sarò molto concentrato sul progetto che devo realizzare e questa per me è la situazione perfetta. Funziona molto bene e per la mia vita è il tipo di progetto che aspettavo e di cui avevo bisogno.

Seguirai anche le corse e l’organizzazione della squadra?

Sì, ci sarò. Anche se il piano è che non sia coinvolto così tanto in profondità da dimenticarmi delle cose che si devono fare e gli sviluppi che dobbiamo garantire alla squadra. Il mio ruolo è quello di avere una visione d’insieme, di consulenza anche dal punto di vista gestionale, per aiutare Miholjevic e Milan Erzen. Quindi mi vedrete sicuramente in gara, ma a dire il vero preferisco seguire gli allenamenti.

Sempre dietro le quinte?

Penso solo che negli allenamenti si possa passare più tempo con i corridori e lo staff.

De Pretto: prima di ripartire, un pensiero per la Zalf

26.12.2024
5 min
Salva

Alla cena in cui si è chiusa la lunga storia della Zalf Fior, Davide De Pretto si è ritrovato in mezzo a volti invecchiati che non conosceva e nomi di cui invece aveva certamente sentito parlare. Fu proprio Luciano Rui, nel raccontarci quella serata, ad accorgersi della differenza generazionale fra il vicentino di 22 anni e i suoi ragazzi del 1970 e anche prima. Eppure erano tutti lì, ciascuno con il suo pezzetto da ricordare e che ha ricomposto per l’ultima volta i 43 anni di una storia fuori dal comune.

«La Zalf ha aiutato molto la mia crescita – ci ha raccontato Davide nel ritiro di Altea, in Spagna – quando sono arrivato dalla Beltrami, che ero un po’ deluso dalla stagione. Invece sono entrato nella nuova squadra, ho visto un gruppo molto unito e sono subito riuscito ad emergere. Mi dispiace che abbia chiuso perché penso sia stata importante per ogni corridore che ha indossato la sua maglia. Però nel ciclismo di adesso, tutto corre veloce. Le devo team estere sono le squadre più importanti, quindi quelle italiane fanno anche fatica a recuperare i corridori forti per fare risultato. E’ stata una scelta forse inevitabile, dovuta».

De Pretto è stato per 3 anni alla Zalf FIor. Qui secondo al Belvedere 2023 dietro Staune-Mittet (photors.it)
De Pretto è stato per 3 anni alla Zalf FIor. Qui secondo al Belvedere 2023 dietro Staune-Mittet (photors.it)
Si dice che le squadre under 23 italiane non preparino effettivamente i corridori, tu sei arrivato qui senza le basi oppure te la sei cavata?

Diciamo che sono stato fortunato in una squadra come questa, perché avevo fatto dei risultati importanti come al Belvedere e alla Liegi. Però diciamo che mi mancavano le corse a tappe e non ero pronto come i corridori delle devo, che fanno già corse di un certo livello. Forse questo è stato anche il miglioramento che ho avuto quest’anno, facendo delle corse a tappe dove sono migliorato molto. E’ sempre un terno al lotto. Può essere che magari sei tanto preparato, quindi passi e non lo dimostri, oppure sei poco preparato, passi e fai valere le tue qualità.

Ti sei stupito della tua velocità di adattamento e dei risultati di quest’anno?

Sì, sono stupito perché dalla prima gara in Spagna e anche nel ritiro di gennaio ero andato bene, mentre ricordavo l’esperienza che avevo fatto con la Beltrami da under 23, in cui il professionismo mi sembrava un mondo irraggiungibile. Essere arrivato davanti in una gara, sia pure di seconda fascia, mi ha dato qualcosa in più anche per tutta la stagione.

Aver vinto al Tour of Austria ha fatto scattare qualcosa?

Era tanto che la inseguivo. Ho iniziato la stagione subito bene, sempre con qualche podio e qualche piazzamento nei cinque. Mi è mancata alla Coppi e Bartali, ma ero sempre piazzato. Fatalità, è arrivata al Tour of Austria che proprio non me l’aspettavo. Era uno sprint di gruppo, mi sono trovato davanti, ho fatto lo sprint e sono riuscito a vincere. Da lì mi sono sbloccato nei professionisti e mi ha dato la motivazione per continuare la stagione e adesso per affrontarne anche un’altra altrettanto positiva.

Prima vittoria al primo anno sul traguardo di Bad Tatzmannsdorf al Giro d’Austria (foto Tour of Austria)
Prima vittoria al primo anno sul traguardo di Bad Tatzmannsdorf al Giro d’Austria (foto Tour of Austria)
Quanto è impegnativo essere corridore e riuscire a mantenere tutti gli impegni cui siete chiamati?

È difficile, perché adesso il ciclismo è composto da tanti elementi collegati fra loro. Quindi se non segui tutto quello che ti dicono, non riesci a rendere come dovresti. Non riesci a raggiungere il 100 per cento nei periodi in cui è necessario esserlo. Ed è così impegnativo per ogni mese.

L’appetito vien mangiando per cui si punta in alto?

Certamente. Mi aspetto di migliorare ancora di più rispetto a quest’anno, perché penso di essere cresciuto man mano che passava la stagione. Ho chiuso il 2024 con buoni risultati e in buona forma, quindi sono riuscito a riposare bene e sono ripartito con più voglia di prima. Mi aspetto di fare una stagione importante.

Hai qualcosa da migliorare prima che inizino davvero le corse?

Ne parlavo con Pinotti, il mio preparatore. Quest’anno ho fatto tanti piazzamenti, ma mi è mancato sempre qualcosa allo sprint per riuscire a vincere le volate ristrette. Per cui adesso stiamo lavorando inserendo un po’ più di palestra per migliorare l’esplosività e trasformare i piazzamenti in vittorie.

Davide De Pretto è nato il 19 aprile 2022 a Thiene. E’ passato pro’ nel 2024
Davide De Pretto è nato il 19 aprile 2022 a Thiene. E’ passato pro’ nel 2024
Rileggendo la tua storia recente col senno di poi, mollare il ciclocross era una necessità inevitabile?

Per come è adesso, sì. Ero arrivato a un bivio. Potevo trasferirmi in Belgio e proseguire in una squadra belga, facendo tutto lassù dalla A alla Z. Oppure potevo scegliere la strada, che secondo me è quella che ti dà più da mangiare, a meno che non sei uno fra i primi dieci al mondo nel cross. Per cui penso sia stata la scelta migliore.

Il 2025 del giovane De Pretto comincerà il 15 gennaio con il secondo training camp del Team Jayco-AlUla. Da lì, passate le due settimane in cui gli allenamenti diventeranno importanti, il veneto punterà sulle prime corse proprio in Spagna. E così, dopo le vacanze in Kenya di novembre a suo dire troppo brevi fra safari e spiaggia, il primo training camp e il Natale alle spalle, con il nuovo anno si inizierà a fa salire i giri del motore. E a inseguire nuovamente la vittoria, che darà il senso di tanto tenere duro.

Algeri, lo sguardo del saggio sul ciclismo di oggi

26.12.2024
5 min
Salva

A 71 anni Vittorio Algeri è uno dei saggi del ciclismo contemporaneo. Non tanto per l’età, ormai un concetto piuttosto aleatorio, quanto per la sua esperienza e per l’occhio che da essa trae per guardare il mondo che lo circonda. Nato a Torre de’ Roveri, seguendo le orme del fratello Pietro ha vissuto tante fasi, da quella del ciclismo per gioco alle corse dilettantistiche fino al sogno olimpico solo sfiorato a Montreal 1976 (nell’edizione dell’argento di Giuseppe Martinelli), il grande rammarico della sua vita, più di tutte le gare professionistiche affrontate. Poi la vita da diesse, pilotando verso grandi traguardi gente come Bugno e Bortolami, con cui ha condiviso il trionfo al Fiandre 2001.

Nel team australiano il lombardo è spesso nella seconda ammiraglia, ma è molto ascoltato dai colleghi
Nel team australiano il lombardo è spesso nella seconda ammiraglia, ma è molto ascoltato dai colleghi

Oggi Algeri è alla Jayco AlUla. E’ ancora diesse, i suoi colleghi lo guardano quasi con deferenza anche se per sua scelta raramente sale sulla prima ammiraglia.

«Preferisco dedicarmi a tutti quei compiti – e sono tanti – che sono necessari per la vita di un team, partendo dall’organizzazione dei viaggi e dalla logistica passando per lo studio dei percorsi. Il ciclismo è cambiato molto da quando ho iniziato, ad esempio allora la lingua più diffusa era il francese, ora l’inglese che io non parlo bene».

Quando iniziasti a fare il direttore sportivo com’era?

Tutto diverso, in base ai numeri. Eravamo un paio per squadra, ma dovevamo gestire gruppi molto più ristretti, non si arrivava a 15. Oggi sono il doppio e io ho più di una decina di colleghi. Ma d’altronde non si potrebbe fare altrimenti. Il ciclismo è molto diverso ora, i corridori fanno vita a sé, hanno più relazioni con figure come preparatori, nutrizionisti, una serie di professionisti che ai tempi non erano così diffusi. Molti corridori li incontro raramente, è difficile così sviluppare un rapporto umano.

Algeri ha iniziato la carriera da diesse nel 1988 alla Chateau d’Ax. E’ alla Jayco dal 2012
Algeri ha iniziato la carriera da diesse nel 1988 alla Chateau d’Ax. E’ alla Jayco dal 2012
Prima invece?

Allora stavi vicino ai corridori, nei ritiri prestagionali e durante la stagione. C’era un interscambio continuo, c’era modo di trasmettere qualcosa, le proprie esperienze, confrontarsi. Oggi contano solo i numeri, la potenza, è un discorso fisico prima ancora che strategico, invece il ciclismo è fatto anche di fantasia, di invenzioni.

Non rimpiangi un po’ i tempi dei tuoi esordi da diesse, quando c’era una stragrande maggioranza di squadre italiane?

Altroché, ne avevamo anche 14, l’epicentro del ciclismo era da noi. Ma era un’altra epoca, giravano altre cifre. I soldi hanno cambiato tutto. Oggi tenere una squadra professionistica costa svariati milioni anche perché sono vere e proprie imprese con oltre un centinaio di dipendenti. Da noi ci sono addirittura più di 170 persone a libro paga. Ai tempi era inconcepibile. Noi avevamo due diesse, due meccanici, un medico e finiva lì…

Nel team Jayco-AlUla ci sono 3 italiani in una squadra quanto mai internazionale, con 14 Nazioni
Nel team Jayco-AlUla ci sono 3 italiani in una squadra quanto mai internazionale, con 14 Nazioni
Ma ti diverti?

Meno, anche se il ciclismo resta sempre la mia passione, ha contraddistinto quasi tutti i miei 71 anni considerando che i miei primi ricordi sono legati proprio alle due ruote, a quando giravo per la fattoria della mia famiglia con la mia piccola bici già senza rotelle. Il fatto è che il ciclismo di oggi è più asettico, ma anche più frastornante: noi facciamo anche tripla attività in contemporanea. In questo la tecnologia aiuta molto.

Prima parlavi delle figure professionali affiancate alla vostra attività. Un vecchio saggio come te come le vede?

Hanno cambiato molto, ma non si può negare che per molti versi abbiano contribuito alla crescita del ciclismo insieme ad altri fattori, come quelli tecnici, dei materiali. E’ un’altra epoca e la preparazione degli allenatori svolge un ruolo molto importante. I corridori sono molto legati a loro e non potrebbe essere altrimenti perché il livello delle prestazioni si è alzato sensibilmente. Noi abbiamo riunioni online tutte le settimane, praticamente appena finita una stagione si è già al lavoro per la successiva.

Filippo Zana è uno dei talenti italiani del team. Per Algeri la strada per i nostri, senza un team di riferimento, è più dura
Filippo Zana è uno dei talenti italiani del team. Per Algeri la strada per i nostri, senza un team di riferimento, è più dura
E i corridori li vedi diversi?

Sì, per me anche un po’ troppo schiavi dei numeri, della preparazione, della routine. Ci mettono un’energia fisica ma ancor più mentale che è superiore a quella che mettevamo noi e temo che tutto ciò avrà un costo di logorio precoce. I corridori devono seguire una marea di dettami, manca loro quel guizzo che tante volte cambiava le sorti di una corsa.

A chi sei rimasto più legato nella tua carriera?

Bugno ad esempio, è stato con me 5 anni e non era un personaggio facile, era difficile legare, per certe cose era quasi un precursore del ciclismo di oggi. Ma anche Bortolami, indimenticabile quella giornata belga, oppure Leblanc o il povero Rebellin. Lo stesso Gianetti, un grande corridore, un uomo squadra. Ecco, lui trasmette quel che ha imparato nel suo nuovo lavoro.

La vittoria di Bortolami al Fiandre 2001, per Algeri la più grande soddisfazione vissuta da diesse
La vittoria di Bortolami al Fiandre 2001, per Algeri la più grande soddisfazione vissuta da diesse
Il rischio è che dai corridori di oggi usciranno diesse di domani con meno capacità empatiche…

E’ vero, ma già adesso questa figura è cambiata, molto professionale. Sono tutti colleghi, pochi fra loro sono amici se si capisce quel che intendo. Manca una componente importante: anche nella costruzione di un treno per le volate, non potrà mai funzionare appieno se non si svilupperà un rapporto stretto fra i suoi componenti.

Tanti ragazzi non approdano al ciclismo professionistico pur avendo valori, capacità. E’ qualcosa che ti preoccupa?

Non tanto, perché la selezione naturale c’è sempre stata. Come diceva la canzone “uno su mille ce la fa” ma è sempre stato così. Certo, i posti sono pochi e si vanno a cercare talenti sempre più giovani, ma è questo il trend di oggi e bisogna adeguarsi, dobbiamo farlo innanzitutto noi italiani che non abbiamo un team di riferimento. Intanto però dovremmo imparare a far crescere i ragazzi senza schiacciarli dalla pressione del risultato, che conta ma non è tutto e qui lo sappiamo bene.

Da corridore a massaggiatore, la nuova avventura di Alessio Nieri

26.12.2024
5 min
Salva

Il ciclismo, si sa, è una passione che non si abbandona facilmente. Alessio Nieri, ex corridore classe 2001, è stato costretto a chiudere la sua carriera agonistica a soli 23 anni, ma non era disposto a chiudere con lo sport che ama. Dalla scorsa primavera, Nieri ha intrapreso un percorso completamente diverso ma altrettanto coinvolgente e oggi è diventato uno dei massaggiatore della VF Group-Bardiani, la sua ex squadra da professionista.

«Ho scoperto che cercavano un massaggiatore e mi sono lanciato», ha detto con la sua consueta naturalezza e semplicità il giovane toscano. E così, dopo aver completato dei corsi ah hoc, Alessio ha fatto il suo ingresso nello staff tecnico dei Reverberi. Un’esperienza che, come scopriremo, gli permette di mettere a frutto le competenze acquisite in anni di ciclismo, da una prospettiva del tutto nuova.

Alessio Nieri aveva caratteristiche da scalatore puro. Ad inizio anno aveva provato ancora a correre nella fila della Work Service
Alessio Nieri aveva caratteristiche da scalatore puro. Ad inizio anno aveva provato ancora a correre nella fila della Work Service
Alessio, prima di tutto, come stai fisicamente dopo aver smesso di correre?

Bene dai, si può dire che sono quasi a posto. Qualche dolorino alla schiena c’è ancora, devo imparare a conviverci. Ma posso condurre una vita normale.

Come è nata l’idea di diventare massaggiatore?

La passione e l’interesse verso questa figura storica del ciclismo c’è sempre stata. Per l’arrivo in VF Group invece è andata che nei giorni del GP Larciano, quindi a settembre, sono andato a trovare i miei ex compagni. Ho scoperto che cercavano un massaggiatore, perché uno dei loro era passato alla Jayco-AlUla. Io nel frattempo avevo già studiato e completato il percorso questa estate.

Ce lo avevi in mente insomma…

Sì, sì… Anche a forza di fare esercizi mi ero appassionato. Quello del massaggiatore era un mio progetto. E anche durante il periodo Work Service, immediatamente dopo aver smesso qualche massaggio già avevo iniziato a farlo. Poi sempre di più nel corso dell’estate.

Hai un contratto insomma…

Più o meno sì, sono tornato a firmare come quando passai da corridore. Un giorno d’autunno sono andato nella sede del team e sono salito nell’ufficio di Bruno Reverberi, mi aveva accompagnato Luca Amoriello. Sono 150 giorni di lavoro, praticamente è come se fossi fisso. Ho la partita IVA e quando non sarò impegnato con la squadra, magari potrò fare qualche altro massaggio.

Come ti sei trovato in questa nuova veste con i tuoi ex compagni?

Alcuni corridori sono più giovani, ci sono anche ragazzi di 18 anni, mentre con gli altri ho un rapporto più di amicizia. I primi giorni è stato un po’ strano: ritrovarsi dall’altra parte fa capire cose che da corridore non notavi. Ma mi piace tanto questo lavoro e molti dello staff già li conoscevo.

Dopo un anno Nieri ritorna alla VF Group-Bardiani… nella veste di massaggiatore
Alessio Nieri aveva caratteristiche da scalatore puro. Ad inizio anno aveva provato ancora a correre nella fila della Work Service
Cosa c’è di strano nel passaggio da corridore a staff?

Da corridore vai in bici, mangi, ricevi i massaggi, riposi, ceni e vai a letto. Da staff il tempo passa più lentamente, hai molte più cose da fare. Quando sei corridore è tutto pronto per te, sei coccolato, e spesso non ti rendi conto di cosa c’è dietro le quinte.

Com’è stato fare i massaggi ai tuoi ex compagni?

Non ero nervoso, anzi è stata una bella esperienza. Il passaggio di ruolo è stato veloce, istantaneo direi, ma sono stato accolto bene. E ormai ho iniziato a fare parecchi massaggi.

Essere un freschissimo ex corridore ti aiuta in questo lavoro?

Sì e molto. Capisco subito le problematiche del corridore. In tre secondi riesco a individuare il problema e risolverlo. A volte neanche c’è bisogno di chiedere spiegazioni.

Hai già lavorato con tutti i corridori della squadra?

Sì, nel ritiro in Spagna ci siamo conosciuti e a turno abbiamo girato: tutti con tutti. Giusto così in vista della stagione.

Alessio è sempre stato affascinato da esercizi e massaggi: l’incidente dell’ottobre 2023 ha giocoforza aumentato questo suo interesse
Alessio è sempre stato affascinato da esercizi e massaggi: l’incidente dell’ottobre 2023 ha giocoforza aumentato questo suo interesse
C’è qualcuno più esigente?

No, più o meno sono tutti esperti in qualche modo e non hanno chissà quali richieste. Forse Fiorelli, il veterano, è un po’ diverso. Lui è esigente in tutto, anche con se stesso. Massaggiarlo è stato emozionante per me.

Ti hanno detto qualcosa di speciale?

Un po’ tutti mi hanno detto: «Chi lo avrebbe mai detto di ritrovarti qui a farci i massaggi?». Questa è stata la cosa più particolare. Ma davvero sono stato accolto bene. Loro conoscevano la mia storia…

Hai parlato di parecchio tempo libero in Spagna: sei riuscito a fare anche una pedalata?

No. Però è capitato che assieme agli altri dello staff abbiamo fatto una corsetta o una passeggiata tra Altea e Calpe. Sono bei posti e poi con i 20 gradi e il sole era un vero paradiso. Ma visto quanto c’era da fare direi che è andata bene così. Decisamente, nel complesso, è stata una bella esperienza.

Come sarà il tuo lavoro nel 2024? Sappiamo che ognuno ha dei corridori assegnati più o meno: tu conosci già i tuoi?

No, non ancora iniziato, da gennaio sapremo qualcosa di più e quindi i miei “corridori fissi”. Penso che farò più il calendario Under 23, quindi quello con il gruppo giovani di Rossato, anche perché Michel Piccot, il massaggiatore andato alla Jayco, era già con questo gruppo e sarei un po’ il suo sostituto naturale.