ALTEA (Spagna) – Rod Ellingworth arrivò per la prima volta al Team Bahrain nel 2020 assieme a McLaren, che lo aveva strappato al Team Sky intaccandone per la prima volta la struttura gerarchica. Rod era nato con British Cycling, il suo lavoro aveva portato, fra le altre, alle medaglie olimpiche di Cavendish, Wiggins e Thomas. L’impostazione del team tecnico costruito attorno a lui da David Brailsford aveva reso allo squadrone le vittorie al Tour di Wiggins, Froome, dello stesso Thomas e di Bernal. Oltre a qualche Vuelta e al Giro di Froome. Che sia un caso oppure no, da quando Rod ha lasciato la squadra, il Tour de France ha smesso di fregiarne le maglie. Il Team Bahrain Victorious lo sa (foto Charly Lopez in apertura) e per questo l’ha voluto nuovamente.
Lo abbiamo incontrato durante il ritiro del team di Erzen e Miholjevic, cui ha appena fatto ritorno dopo un altro triennio alla Ineos. Durante tutto l’incontro abbiamo percepito da un lato l’imbarazzo nel parlare di se stesso, dall’altro la volontà, almeno per il momento, di stare alla larga dalle vicende della sua ex squadra nei giorni del passaggio di Pidcock alla Q36.5, ma ne cogliamo la resistenza e parliamo d’altro.
Dopo quattro anni, sei di nuovo in questa squadra. La prima volta durò un solo anno: perché te ne sei andato?
Venire qui e anche andare via fu un’opportunità di vita. Sembra passato molto tempo, accadde tutto con la pandemia nel mezzo. La prima volta che arrivai qui, lavoravo per la McLaren, non per la Bahrain. All’epoca dissi che andavo via principalmente per una ragione personale, più legata alla salute e alla sicurezza. Era il periodo successivo a quello strano periodo che abbiamo avuto con il COVID ed essere assunto nuovamente alla Ineos era qualcosa che, in quel momento della mia vita, era abbastanza importante per me. Non c’entrava nulla con il team o altro. Per questo sono riuscito a tornare, perché abbiamo sempre avuto un buon rapporto e nessun problema.
I membri della squadra ricordano che nel 2020 portasti un’organizzazione che prima non c’era: hai ritrovato qualcosa di quel lavoro?
Sì, decisamente c’è ancora qualcosa. Alcune delle procedure che abbiamo messo in atto all’epoca sono continuate e questo è davvero bello da vedere. Per tutto il tempo in cui sono stato via, sono sempre stato in contatto con Vladimir Miholjevic, Milan Erzen e i ragazzi. Abbiamo sempre continuato a parlare, per questo tornare non è stato così strano.
Questa squadra ha più potenziale della precedente?
Ogni anno le squadre trovano il prossimo obiettivo che vogliono raggiungere. La rosa dei corridori è completamente cambiata. Pochi di quella squadra sono ancora qui e questo fa sì che sia tutto piuttosto diverso. Penso però che l’arrivo di Lenny (Martinez, ndr) sia davvero eccitante. C’è un gruppo davvero giovane, con lui, Tiberi e Santiago (Buitrago, ndr), che c’era anche allora. Era appena arrivato, era un ragazzo giovane e sapevamo che c’era molto lavoro da fare. E si può vedere che è progredito molto bene all’interno di questo gruppo. Gli altri due sono nuovi per me. Averli tutti e tre insieme è davvero entusiasmante.
La tua storia inizia in Gran Bretagna. Con il Team Sky avete scritto la storia del ciclismo contemporaneo, da lì è nato un altro modo di fare questo sport.
La gente mi dice che abbiamo stabilito dei punti di riferimento, una nuova visione. In realtà abbiamo introdotto nel mondo del ciclismo professionistico molte cose semplici che arrivavano dalla nostra esperienza con British Cycling e dal programma olimpico. Molte di queste cose erano legate al fatto di mettere l’atleta al centro, fare dell’atleta la persona più importante, come noi crediamo che debba essere. Per fare in modo che si faccia tutto per lui, come avevo già sperimentato in passato. Molte squadre professionistiche forse pensavano che si trattasse più di comunicazione o marketing. Noi abbiamo cercato di essere più performanti nel nostro approccio e questo ha funzionato abbastanza bene.
Pensi che cambierà qualcosa nella squadra col tuo ritorno?
Credo che la mia presenza qui sia legata a determinati progetti su cui io potrò concentrarmi. Sono davvero entusiasta di lavorare con Lenny Martinez sul Tour de France e su ciò che ne consegue. Il Tour è una corsa bellissima, a cui partecipano tutte le squadre. C’è sempre una certa attesa per arrivarci ed è bello lavorare a questo progetto per questa squadra.
Hai parlato di Martinez, che idea ti sei fatto di Tiberi?
Non sto lavorando specificamente con lui, come con Lenny e gli altri. Sono stato coinvolto nel progetto francese, tuttavia penso che parallelamente a questo, gli altri aspetti seguiranno il loro corso. Alla fine le cose funzioneranno tutte allo stesso modo, quindi penso che indirettamente ci sarà un cambiamento. L’intero team cambierà, ne sono abbastanza sicuro. E credo che già quest’anno, in questo campo, le persone possano percepire una certa differenza. Non sto dicendo che sarò io. Ci sono altre persone nuove che sono arrivate in questa squadra e che credo stiano facendo la differenza.
Perché lasciare nuovamente Ineos?
Avevo lasciato Ineos prima di decidere di venire qui. È stata una scelta di vita, anche qui non sono a tempo pieno. Ho un certo numero di giorni in cui sarò molto concentrato sul progetto che devo realizzare e questa per me è la situazione perfetta. Funziona molto bene e per la mia vita è il tipo di progetto che aspettavo e di cui avevo bisogno.
Seguirai anche le corse e l’organizzazione della squadra?
Sì, ci sarò. Anche se il piano è che non sia coinvolto così tanto in profondità da dimenticarmi delle cose che si devono fare e gli sviluppi che dobbiamo garantire alla squadra. Il mio ruolo è quello di avere una visione d’insieme, di consulenza anche dal punto di vista gestionale, per aiutare Miholjevic e Milan Erzen. Quindi mi vedrete sicuramente in gara, ma a dire il vero preferisco seguire gli allenamenti.
Sempre dietro le quinte?
Penso solo che negli allenamenti si possa passare più tempo con i corridori e lo staff.