Pedersen, il Giro da protagonista (e da giornalista)

06.06.2025
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ROMA – E’ stato senza dubbio uno dei grandi protagonisti dell’ultimo Giro d’Italia: quattro tappe vinte, la maglia ciclamino, la maglia rosa per un giorno e una quantità di fughe pressoché infinite. Avrete capito che stiamo parlando di Mads Pedersen. Il gigante della Lidl-Trek è stato un personaggio in corsa e anche fuori.

Ricordiamo il taglio di capelli al compagno Jacopo Mosca nelle prime frazioni e il suo atteggiamento da vero uomo squadra.

A Roma, quando è arrivato in mixed zone e il buon Manuel Codignoni di Radio Rai Sport stava intervistando Lorenzo Fortunato, lui ha preso lo smartphone dalla tasca e, come un giornalista qualunque, si è infilato tra di noi mettendo il cellulare sotto la bocca di Lorenzo. A quel punto Codignoni, che è stato al gioco, gli ha detto: «Mads, fai tu una domanda a Lorenzo». E Pedersen non si è certo tirato indietro.

La Lidl-Trek ha dato una dimostrazione di forza: hanno avuto contemporaneamente maglia ciclamino, maglia rosa e maglia bianca
La Lidl-Trek ha dato una dimostrazione di forza: hanno avuto contemporaneamente maglia ciclamino, maglia rosa e maglia bianca

Giornalista mancato

Insomma, Pedersen oltre che corridore è anche giornalista mancato? Chissà… per ora meglio nelle sue vesti da atleta. Per fare il commentatore tecnico per una radio o tv danese avrà tempo.
Ieri, il team manager della Lidl-Trek, Luca Guercilena, ci ha parlato del grande spirito di squadra che si era creato in seno alla formazione e anche del carisma di Mads. Oggi tocca a lui raccontare tutto questo.

«Il mio giudizio sul nostro Giro – dice Pedersen – è molto alto. Io ho ottenuto quattro vittorie e due miei compagni altre due. E’ molto più di ciò che ci saremmo aspettati. E non so quante squadre potranno fare qualcosa di simile. Voglio ringraziare i ragazzi. Abbiamo condiviso degli splendidi momenti tutti insieme e nelle tappe finali è stato molto importante per me aiutarli. Ci siamo divertiti tantissimo».

Mads parla e ti dà l’impressione di essersi divertito per davvero durante le tre settimane rosa. Chiaro, con una gamba del genere è “facile” divertirsi… ma lui questo Giro l’ha proprio vissuto. Se l’è sentito addosso sin dall’inverno e non si è presentato in Italia svogliato o con l’atteggiamento di chi avrebbe preferito correre il Tour.

A Vicenza la quarta (e forse più bella) vittoria di Mads in questo Giro
A Vicenza la quarta (e forse più bella) vittoria di Mads in questo Giro

Fra Giro e Tour

E infatti un giornalista gli ha chiesto proprio questo: «A molti grandi atleti non piace il Giro, preferiscono il Tour. Anche per te è così?».
E Pedersen, con grande naturalezza, ha risposto: «Ho sempre amato il Giro, propone sempre belle tappe e ottime chances. Sì, è un po’ più tranquillo rispetto al Tour de France. In Francia c’è molta pressione e spesso ce la mettiamo noi corridori stessi, ma deriva anche dalla gestione degli sponsor. Qui in Italia c’è più libertà e puoi “giocare” un po’, rischiare. Mettiamoci anche che quest’anno noi della Lidl-Trek siamo stati fortunati. Nei primi cinque giorni abbiamo subito ottenuto tre vittorie e questo ci ha aiutato a stare sereni e a provare in corsa quello che volevamo. No, no… mi piace molto il Giro».

Tanto per restare in tema di grandi Giri, Pedersen ha detto che quest’anno non farà il Tour. Il che ci sembra anche normale, visto che veniva da una lunga campagna del Nord, dove è stato protagonista. «Quest’anno farò la Vuelta», ha detto.

Con questo Giro d’Italia, Mads ha rispolverato la sua bacheca. E’ stato il primo corridore danese ad indossare la maglia rosa. E’ diventato il corridore danese con più vittorie in assoluto: è arrivato a 54, superando le 51 di Rolf Sorensen. E’ anche grazie a lui (e ad Asgreen) che la Danimarca ha ottenuto il maggior numero di vittorie in un singolo grande Giro: cinque. Fino a quest’anno si era fermata a quattro.

E per il gran finale di Roma, una t-shirt commemorativa per tutta la Lidl-Trek. E c’era anche Giulio Ciccone (foto Instagram)

Il gruppo e il suo leader

A Roma si è così concluso il suo primo, enorme, blocco di stagione. Forse un filo appagato, forse anche stanco. «Semplicemente non avevo le gambe giuste per saltare Kooij».
In fin dei conti era stato in fuga anche nelle ultime tappe di montagna, un po’ per guadagnare gli ultimi punti per la maglia ciclamino, che era ormai in cassaforte, il che la dice lunga su come abbia onorato la corsa rosa, e un po’ per aiutare i suoi compagni, come aveva promesso.

Quelle t-shirt viola indossate da tutto il team Lidl-Trek, staff incluso – maglie con il suo faccione sul davanti e i nomi dei compagni sul retro – parlano di una squadra affiatata. Pensate che a Roma è venuto a trovarli persino Giulio Ciccone, che si era ritirato quasi dieci giorni prima.

«Un momento difficile? Adesso non posso dirlo». Da quel che siamo riusciti a capire, dovrebbe essere stata la sera di Gorizia, quando il ginocchio gli si è gonfiato dopo una caduta. Ma evidentemente era nulla in confronto a quello che stava passando Ciccone. Anche in quel caos, la Lidl-Trek, arrivando in parata attorno a Giulio, mostrò un grande affiatamento.

«Mi è dispiaciuto molto quando si è ritirato Ciccone», aveva detto Pedersen. E qui andrebbero riprese le parole dell’altro Lidl-Trek Daan Hoole, il quale aveva raccontato come Mads, la sera del ritiro di Ciccone, avesse tenuto un discorso motivazionale alla squadra. Un discorso da vero leader. E di come, la sera della vittoria di Verona, fosse più felice per quel successo che non per i suoi personali.

Infine una battuta sull’inatteso incontro con il Papa. Inatteso, almeno così da vicino. «E’ stato piuttosto imbarazzante, devo dirlo – ha confessato Pedersen – non sapevo cosa dire. Ci hanno detto di sorridere per le foto».

Da Maddaloni arriva Pascarella, ciclista coi libri appresso

06.06.2025
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La storia di Michele Pascarella, impegnato negli scorsi giorni al Giro del Friuli per juniores, è particolare perché per qualche verso ricorda quella di suoi predecessori, pochi per la verità perché la Campania non è mai stata particolarmente prodiga di ciclisti venuti alla ribalta. Forse l’ultimo è Raffaele Illiano, rimasto poi nell’ambiente del ciclismo anche in veste di organizzatore e preparatore. Michele, vincitore della 2 Giorni di Bergamo e Brescia, viene da Caserta, ma per emergere è dovuto ciclisticamente emigrare, approdando al Team Franco Ballerini.

Bisogna ben intendersi su questo punto, perché la base di allenamento (ma sarebbe meglio dire di vita quotidiana) resta per lui sempre Maddaloni, centro della provincia casertana, ma il sapore del corridore costretto a emigrare per emergere resta e bisogna dire grazie alla “longa manus” di Scinto e Citracca, che si sono studiati con attenzione la sua attività da allievo se Pascarella ha potuto affrontare la carriera da junior ed emergere.

L’arrivo solitario di Pascarella, con 14″ sul gruppo, vincendo la 2 Giorni di Brescia e Bergamo (foto Rodella)
L’arrivo solitario di Pascarella, con 14″ sul gruppo, vincendo la 2 Giorni di Brescia e Bergamo (foto Rodella)

«Da allievo avevo vinto 15 gare – racconta – rimanendo però sempre nella mia regione. Loro un giorno sono venuti a casa a Maddaloni, a parlare con me e la mia famiglia. Le loro idee hanno convinto i miei genitori, anche perché io sono rimasto a casa, per seguire la scuola. Per i miei la preminenza degli studi non era in discussione, così abbiamo trovato un accordo. Con me è entrato un altro ragazzo delle mie parti, Giuseppe Sciarra, con cui mi alleno».

Quindi fai la spola fra Campania e Toscana?

Sì, mi sposto per le gare, se poi sono particolarmente concentrate rimango più giorni in Toscana in modo da affrontare tutto il periodo. Quest’anno però è abbastanza complicato perché è l’anno della maturità. Studio al Liceo Scientifico Scienze Applicate e queste settimane sono particolarmente intense. Gareggio, ma la mente è anche allo studio, all’esame. Per questo la vittoria in Lombardia ha un sapore speciale.

Nello scorso anno 7 top 10 per il campano, in questa stagione la prima vittoria da junior (foto Paletti)
Nello scorso anno 7 top 10 per il campano, in questa stagione la prima vittoria da junior (foto Paletti)
A scuola come vedono la tua attività sportiva?

Devo dire che ho trovato davvero una grande disponibilità. Mi hanno permesso di fare le assenze necessarie per le trasferte ma anche orari ridotti per gli allenamenti, a condizione naturalmente che seguissi il corso delle lezioni e fossi preparato per le interrogazioni. Quest’anno è tosta, ma ce la sto facendo e poi per me lo studio è importante, infatti voglio andare avanti, vorrei frequentare la facoltà di Scienze Motorie e Fisioterapia. Questo influirà sulle mie scelte future, sull’eventualità di trasferirmi in pianta stabile.

Veniamo alla tua attività ciclistica…

Penso di essere un corridore abbastanza completo, con una buona propensione per la salita e per i percorsi duri e selettivi. Sono anche abbastanza veloce, quindi mi adatto bene alle corse dove si formano gruppi ristretti.

Il campano si era messo in luce da allievo con 15 vittorie, nel Team Cesaro (foto Facebook)
Il campano si era messo in luce da allievo con 15 vittorie, nel Team Cesaro (foto Facebook)
Come nella seconda tappa della 2 Giorni, che ti ha permesso di vincere la classifica combinata?

Sì, era una corsa che avevo visto subito potesse essere adatta alle mie caratteristiche. Erano 5 giri piatti e poi 4 giri con una salita di 2 chilometri che ha fatto la selezione. Quando la strada iniziava a salire provavo a fare selezione, poi all’ultimo giro ho preso l’iniziativa e sono salito con il mio passo finché sono rimasto da solo. Arrivare braccia alzate senza nessuno dietro è stata una bella sensazione.

Non capita spesso di parlare di corridori campani, qual è la situazione nella vostra regione, perché siete così pochi a emergere e cercare di andare avanti?

La situazione è un po’ complessa perché a livello di giovanissimi c’è tanta attività, di bambini che vanno in bici ce ne sono molti. Il problema inizia a comparire quando si sale fra gli esordienti perché ci sono poche società e quindi c’è anche un calendario molto scarno, poche possibilità per emergere e potersi mettere in mostra. Bisogna gareggiare soprattutto fuori regione, ma quante società possono permetterselo? Quindi per tanti ragazzini l’attività va presto a ridursi e spegnersi. Devo dire grazie ad Aurelio Cesaro e alla sua società se ho potuto mettermi in mostra perché ci ha portato in giro per l’Italia a gareggiare mettendoci tanto di suo.

Anche in Friuli Pascarella si è messo in evidenza con fughe da lontano. Ora punta al tricolore
Anche in Friuli Pascarella si è messo in evidenza con fughe da lontano. Ora punta al tricolore
Quale pensi sia la strada giusta per emergere?

Io ho la tendenza a provarci sempre. L’ho fatto anche al Giro del Friuli, nell’ultima tappa ho tentato la fuga da lontano fino ad avere oltre un minuto e mezzo sul gruppo della maglia gialla, poi mi hanno ripreso a 3 chilometri dall’arrivo. Ho portato a casa la piazza d’onore nella classifica dei Gran Premi della Montagna. Io sono così, non mi arrendo facilmente.

Si avvicina però il momento delle scelte…

Ci penserò dopo gli esami e dopo le gare d’inizio estate, il campionato italiano in primis. Vedremo che cosa fare, ma deciderò sempre con la mia famiglia. A maggior ragione se arriverà una proposta dall’estero, quel che conta è poter seguire sì l’attività, ma continuare anche la mia carriera negli studi.

Tre (grossi) dubbi di Martinelli sul Giro della UAE e il futuro di Ayuso

06.06.2025
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«Attenzione – dice Martinelli – Del Toro ha fatto un Giro incredibile. Dei tre, tifavo per lui e meritava di vincere. Però proprio perché hai fatto una corsa così grande, non puoi pensare di non fare una cronoscalata fino alla cima del Finestre. Scollini con tre minuti, abbiamo perso il Giro. Scollini con due, ce la giochiamo ancora. Ma se scollini con un minuto solo, possiamo ancora vincere, hai capito?».

Il primo Giro senza Martinelli si è risolto con un colpo alla Martinelli. L’attacco di Yates e Van Aert verso Sestriere ha ricordato quello dell’Astana di Aru e Luis Leon Sanchez, che permise a Fabio di vincere la Vuelta del 2015. A questo si aggiunga che lo stesso Martinelli si è trovato più volte alle prese con la convivenza fra due galli nella stessa corsa. Prima Pantani con Chiappucci. Poi Cunego con Simoni. Quindi Aru con Landa. Che cosa è parso al tecnico bresciano della corsa rosa?

Martinelli è a casa e il racconto dei suoi giorni fa capire che finalmente ha ritrovato un po’ di equilibrio. La vittoria di Scaroni è un po’ anche sua, conoscendolo da quando era un bimbo e avendo insistito in prima persona per portarlo alla XDS Astana. Per il resto, la nostalgia non fa parte del suo vissuto.

Fino al 2024, Giuseppe Martinelli è stato uno dei ds della Astana. In apertura l’abbraccio Del Toro-Gianetti sul traguardo di Sestriere
Fino al 2024, Giuseppe Martinelli è stato uno dei ds della Astana. In apertura l’abbraccio Del Toro-Gianetti sul traguardo di Sestriere
Ti è piaciuto il Giro d’Italia?

Diciamo che di tutto quello che si era detto, è successo l’esatto contrario. Siamo partiti che Roglic doveva essere il vincitore e doveva giocarsela con Ayuso, mentre Tiberi doveva andare sul podio, invece alla fine ha vinto quello che s’è nascosto più di tutti. Forse anche il più furbo o il più bravo. Non è stato un brutto Giro. Noi italiani siamo stati abbastanza protagonisti. Però tanti nostri corridori sono gregari. Fino a prima della caduta, Ciccone ha lavorato per Pedersen. Un altro corridore come Affini, che a me piace da morire, ha fatto delle cose eccezionali aiutando Yates e Van Aert. Siamo diventati un Paese di gregari…

Ci sono stati due momenti cruciali come la tappa di Siena e poi quella di Sestriere….

Nel giorno di Siena, quando ho visto cadere Roglic, avrei fermato Del Toro e lo avrei messo ad aiutare il capitano. Perché così avrei guadagnato molto di più sullo sloveno che in partenza era l’avversario numero uno. A posteriori è andata bene così, sicuramente. Ma quel giorno ho subito detto: «Ma perché non fermano quello là che sta volando?». Dietro avrebbero guadagnato sicuramente un minuto in più. La UAE Emirates poteva tirare per tornare su Del Toro e proprio lui sarebbe stato in grado di fare la differenza. Se fosse rimasto a ruota e avesse girato in tre anziché da solo, la vittoria di tappa sarebbe stata ancora possibile.

Che cosa ti sembra della tappa di Sestriere?

Non avevo visto l’inizio e quando ho cominciato a seguire, c’era una fuga di 20 corridori e ho notato subito che mancavano uomini di Carapaz e di Del Toro. Memore delle due o tre volte che ho messo in atto quella tattica, mi sono detto che io avrei messo davanti un uomo della UAE Emirates. Poi la fuga ha preso margine e quando ho visto che aveva preso 7 minuti di vantaggio, ho pensato che la UAE Emirates dovesse mettere qualcuno a tirare. Li avrei riportati a tre minuti e così avrei ripreso Van Aert sulla salita. Lui non è uno scalatore, andando su non sarebbe servito a molto.

Martinelli non capisce perché sul Colle delle Finestre, anziché tirare per salvare la maglia rosa, Del Toro si sia fermato alla ruota di Carapaz
Martinelli non capisce perché sul Colle delle Finestre, anziché tirare per salvare la maglia rosa, Del Toro si sia fermato alla ruota di Carapaz
Invece hanno preso la salita con 8 minuti…

Ed è cominciata una battaglia incredibile. Mi sono detto: «Porca vacca, questi qua in cima non ci arrivano!». Hanno preso il Colle delle Finestre come uno strappo di 2 chilometri. E ho detto: «Voglio vedere come fanno a scollinare!». E quando poi è andato via Yates, ho cominciato a pensare: ma cosa aspetta Del Toro a fare il suo passo? Doveva dare subito la sensazione di inseguire Yates. Se lo avesse fatto, non dico che non perdeva il Giro, però avrebbe scollinato con il risultato ancora aperto.

Solo che poi avrebbe potuto poco contro Van Aert e Yates…

Van Aert ha fatto il fenomeno e non sarebbe cambiato nulla anche se avesse tirato Carapaz. Non è stupido e a un certo punto si sarà detto: «Io sono secondo e magari passerò al terzo posto, ma è la maglia rosa che deve seguire chi lo attacca, non io che sono secondo!». L’ho detto subito ai miei amici: Carapaz non aveva niente da guadagnare aiutando Del Toro. E non voglio dire che la UAE abbia sbagliato tutto, solo che secondo me non hanno calcolato che Yates potesse essere il jolly del Giro. Non l’hanno mai considerato, si sono concentrati su uno solo.

Ma se tu sei il direttore sportivo e state perdendo la maglia rosa, glielo dici a Del Toro che deve inseguire?

Una cosa vorrei ripeterla: la mia critica non è sicuramente nei confronti di Del Toro, perché con lui secondo me abbiamo scoperto un altro campione. A ventun anni, è il più giovane di tutti i giovani di cui parliamo ultimamente. Secondo me, ha fatto quello che gli dicevano di fare. Non credo che abbia preso delle decisioni, forse solo a Bormio ha fatto qualcosa di testa sua ed è andato a vincersi la tappa. Credo che Del Toro abbia speso molto durante il Giro, ha corso da protagonista e avrebbe potuto farlo anche nell’ultima tappa.

Gilberto Simoni, Damiano Cunego, Giro d'Italia 2020
Al Giro del 2004, Simoni si ritrovò suo malgrado ad aiutare Cunego in maglia rosa. Sull’ammiraglia Saeco viaggiava Martinelli
Gilberto Simoni, Damiano Cunego, Giro d'Italia 2020
Al Giro del 2004, Simoni si ritrovò suo malgrado ad aiutare Cunego in maglia rosa. Sull’ammiraglia Saeco viaggiava Martinelli
Proprio a Bormio è parso di rivedere Aru e Landa compagni di squadra sul Mortirolo nel 2015 e Contador che vinse il Giro. Del Toro davanti e la squadra dietro che tirava per Ayuso…

Mi sono trovato in questa situazione, però ho avuto la fortuna di avere campioni come Simoni, Landa e un quasi campione come Aru. Ma quest’anno erano bambini: uno di 22 e uno di 21 anni. Uno che vuole vincere a tutti i costi, perché Ayuso ha le stimmate del campione. E dall’altra parte un ragazzino di 21 anni che va più forte di tutti. Sarebbe stato difficile per tutti, me compreso. Una cosa del genere ti toglie il sonno. Non è questione di Baldato, Matxin o Gianetti. Continui a discutere, ma non trovi la soluzione. Sapete quale sarebbe stata la soluzione? Quella di averne solo uno. Immagino ogni sera il fatto di trovare uno che diceva la sua e l’altro che diceva l’esatto contrario.

Forse alla UAE nessuno si aspettava Del Toro a quel livello, non trovi?

Effettivamente non l’hanno portato perché facesse quello che ha fatto. Se lo sono trovato per strada, come io trovai Cunego. Aveva vinto il Giro del Trentino e anche a Larciano, era in condizione. Se vado a rileggere le interviste, dicevo a Simoni di guardarsi da lui, perché l’avversario più forte l’avrebbe avuto in casa. Non aveva mai fatto la terza settimana, ma scoprimmo che andò più forte che nella prima. E non dimentichiamo che Simoni, con cui litigammo e discutemmo, alla penultima tappa attaccò sul Mortirolo, andò in fuga e mise un po’ di pepe.

Simoni reagì da Simoni, dicono invece che dopo la tappa di Siena, Ayuso abbia perso lucidità…

L’ho pensato anche io. Questo ragazzo ha i tratti del campione, altrimenti non vinci la Tirreno a quel modo. Però alla fine deve capire che il ciclismo è fatto di alti e bassi e dovrà fare delle scelte abbastanza importanti per il futuro. Anche la squadra dovrà decidere come gestirlo. Non farà la Vuelta e per lui un certo tipo di stagione è finito, con un niente di fatto al Giro, senza il Tour né la Vuelta. E se l’anno prossimo Pogacar vuole venire al Giro e poi fa il Tour, Ayuso dove va? E Del Toro dove lo porti? Secondo me lo spagnolo deve capire cosa vuole fare da grande. E la squadra deve capire dove metterlo.

Dopo il giorno di Siena, secondo Martinelli Ayuso si è spento. Rimarrà con la UAE Emirates, come contratto vorrebbe?
Dopo il giorno di Siena, secondo Martinelli Ayuso si è spento. Rimarrà con la UAE Emirates, come contratto vorrebbe?
Cosa ti è sembrato di Tiberi e Pellizzari?

Ero sicuro che quest’anno Tiberi sarebbe andato sul podio, invece secondo me è arrivato al Giro che non stava bene, tanto da non aver fatto il Tour of the Alps. Probabilmente i cambi di programma lo hanno condizionato e poi ci si è messa la caduta. Ormai quando cadono si fanno male davvero, perché sono mingherlini. Mi dispiace per Antonio, non so quale sarà il suo programma, ma quest’anno aveva una bella occasione. Però io lo salvo ancora, è uno dei migliori che abbiamo, anche se ancora non sa quello che realmente ha nel serbatoio.

Cioè?

Ha paura ad attaccare perché si chiede cosa succede se poi lo staccano. Invece dovrebbe essere più intraprendente, rimandando i calcoli al dopo corsa. Alla Bahrain sono stati bravi a non fermare Caruso quando Tiberi è andato in difficoltà. Che sia stata fortuna o bravura, hanno salvato il quinto posto in classifica. Tante volte è facile criticare, ma bisognerebbe trovarsi lì e avere il coraggio di fare una scelta, che può essere giusta, ma anche completamente sbagliata.

Anche Pellizzari nel giorno di Asiago è stato tenuto vicino a Roglic, del resto…

Secondo me Pellizzari ha fatto quello che doveva, senza un minimo di pressione. E’ arrivato al Giro senza problemi, il percorso ideale per chi vuole fare veramente bene. E’ partito come il bambino più felice del mondo ed è arrivato allo stesso modo. Sono innamorato di quel ragazzo. Mi piace anche Tiberi, ne parlavo sempre con Vincenzo (Nibali, ndr) che l’aveva avuto come compagno di squadra. Però a me Pellizzari piace da quando l’ho visto dilettante, come corridore e come spontaneità. Fa ridere sempre, ha carattere, ci farà divertire.

Tarozzi: Re delle fughe al Giro che ora vuole imparare a vincere

05.06.2025
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Il post Giro d’Italia di Manuele Tarozzi prosegue con qualche sgambata in compagnia dell’amico Filippo Baroncini e delle brevi fughe al mare. Da Faenza la riviera romagnola dista solamente una cinquantina di chilometri. Dal suo secondo Giro d’Italia Manuele Tarozzi è uscito con il Premio Fuga e ha vinto anche la prima edizione del Red Bull KM. La corsa rosa ha messo la parola fine sulla prima parte di stagione del corridore della Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè

«E’ stato un Giro d’Italia impegnativo – racconta – penso che non avrei potuto fare più di così. Sono arrivato alla tappa di Roma abbastanza stanco, ho dato davvero tutto. Insieme alla squadra avevamo battezzato una corsa all’attacco per cercare di anticipare i migliori e portare a casa qualche risultato. Avevamo anche Fiorelli e Marcellusi per le volate ma per cercare la vittoria l’unico modo era quello di attaccare. 

Manuele Tarozzi al Giro si è aggiudicato il Premio Fuga e quello del Red Bull KM
Manuele Tarozzi al Giro si è aggiudicato il Premio Fuga e quello del Red Bull KM

Un Giro al gancio

Il tema, alla partenza in Albania, era aperto sulla competitività di questo Giro d’Italia. C’era chi pensava, convinto dall’assenza dei fenomeni, di avere un livello più basso. Ci ha pensato la strada a togliere ogni dubbio. Il Giro d’Italia appena concluso è stato impegnativo e spettacolare, corso sempre al massimo e senza risparmiare energie. 

«Noi ci abbiamo provato a fare la nostra gara – prosegue nel racconto Tarozzi – ma la verità è che non c’è stato un giorno tranquillo. Siamo andati sempre a tutta, molto più dello scorso anno. Nella passata edizione c’erano state giornate in cui si riusciva a parlare in gruppo, quest’anno no. In ogni tappa per fare andare via la fuga ci volevano tanti chilometri e medie altissime. Inoltre non veniva mai lasciato troppo spazio, quindi arrivare al traguardo era difficile. Nonostante sia migliorato parecchio dalla passata stagione sono convinto che per vincere in certe corse serve fare un passo ulteriore di crescita».

I premi per Tarozzi sono stati il frutto del suo modo di correre che lo porta spesso in avanscoperta
I premi per Tarozzi sono stati il frutto del suo modo di correre che lo porta spesso in avanscoperta
E’ stata una prima parte di stagione solida, nella quale hai vinto anche la classifica dei GPM alla Tirreno…

Il passo in più rispetto allo scorso anno è evidente e lo sento nelle gambe. Credo manchi qualcosa per vincere, ma direi che serve una giornata davvero positiva in questo ciclismo. Rispetto al 2024 sto facendo registrare valori migliori ma riuscire a vincere è difficile. Poi fa piacere quando arrivano questi risultati, ma si parte sempre con in testa la vittoria. 

Cosa che tu cerchi di trovare andando sempre in fuga.

Credo sia l’unico modo possibile e anche quello che mi piace di più. Non sono uno che si ostina a rimanere in gruppo alla ricerca del piazzamento, anche perché abbiamo già dei corridori del genere in squadra. C’è bisogno di chi prova ad andare in avanscoperta.

Lo spirito di Tarozzi ha portato tanti tifosi a fare il tifo per lui
Lo spirito di Tarozzi ha portato tanti tifosi a fare il tifo per lui
Qual è l’aspetto che ti piace maggiormente?

L’imprevedibilità. Poi credo che essere davanti ti metta in una posizione di vantaggio, alla fine è il gruppo che deve venire a chiudere e in una gara può succedere di tutto. Lo scorso anno dopo il Giro sono riuscito a trovare due vittorie correndo in questa maniera, penso sia tutto parte di un processo di crescita. Quest’anno alla Tirreno ci sono andato vicino, essere arrivato a pochi metri da una vittoria nel WorldTour mi ha dato fiducia. Inoltre dopo il mio primo Giro d’Italia, nel 2024, sento di avere una condizione diversa. 

In quale aspetto senti di essere migliorato?

Nella resistenza, l’ho notato subito all’inizio di questa stagione. Lo scorso anno dopo tre o quattro giorni di gara, soprattutto se corsi all’attacco come piace a me, mi sentivo stanco. Invece quest’anno sento la gamba diversa. 

Rispetto al 2024 Tarozzi ha fatto passi in avanti ed è arrivato a conquistare traguardi importanti come la maglia dei GPM alla Tirreno
Rispetto al 2024 Tarozzi ha fatto passi in avanti ed è arrivato a conquistare traguardi importanti come la maglia dei GPM alla Tirreno
Cosa ti riesce a dare una corsa come il Giro?

Tanto ritmo. Il giorno di Sestriere ero in fuga e penso sia stato uno dei più duri. Sul Colle delle Finestre ero stanco ma ho dovuto spingere comunque perché la corsa era esplosa sia davanti che dietro. Questo tipo di sforzo riesci a farli solamente in gara, in allenamento è difficile andare oltre i propri limiti.  

Inizi ad avere esperienza, un corridore come te in una squadra come la Vf Group-Bardiani cosa può dare?

Difficile da dire. Credo che l’esperienza che un corridore della mia età ha fatto nei primi anni da professionista ora la si fa da juniores e da under 23. Vedo arrivare ragazzi sempre più pronti. Quando la squadra ha preso Pellizzari e Pinarello nel 2022 mi sono stupito, io non ero come loro a diciotto anni. Io a quell’età correvo per divertirmi, adesso se vuoi fare il ciclista a sedici anni devi saper gestire certe dinamiche. 

Il suo secondo Giro d’Italia lo ha portato ancora una volta al limite e in estate spera di vedere dei miglioramenti
Il suo secondo Giro d’Italia lo ha portato ancora una volta al limite e in estate spera di vedere dei miglioramenti
Magari l’esperienza conta nei dettagli, i giovani conoscono tante cose ma poi in gruppo la vita è diversa?

Alcune cose sì. Ma anche in questo caso molte volte ci parli e alcuni non ti ascoltano e fanno di testa loro. E’ anche vero che nel ciclismo moderno ci si vede sempre meno, al massimo posso scambiarci qualche parola durante i ritiri invernali per frenare il loro entusiasmo che a volte li porta a fare troppo. 

Una volta finito il riposo qual è il programma?

Cambieremo qualcosa rispetto allo scorso anno, andremo a cercare qualche gara per accumulare punti. Il ciclismo vuole questo adesso. Per il resto vedremo cosa mi avrà lasciato nelle gambe questo secondo Giro d’Italia, ma questo lo vedremo solamente a luglio. Lo scorso anno le due vittorie sono arrivate nella seconda parte di stagione, quindi vedremo.

Un Giro al microfono. Garzelli dà i suoi giudizi finali

05.06.2025
6 min
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Le fatiche del Giro sono alle spalle e Stefano Garzelli, in attesa dei prossimi impegni è tornato nel suo “buen retiro” spagnolo per godersi un po’ la famiglia. Il suo primo Giro da opinionista Rai è alle spalle e l’esperienza è stata molto positiva.

«E’ stato qualcosa di realmente diverso dal solito – dice – non è la stessa cosa che qualsiasi altro ruolo televisivo. A me piaceva raccontare la corsa pensando che mi rivolgevo a chi non è del mestiere, non segue tutta la stagione e sa tutto di ruote, mozzi, allenamenti e strategie. Ho cercato di raccontare questo evento come qualcosa di nuovo».

Primo Giro da primo opinionista in postazione per Stefano Garzelli: una corsa divertente perché sempre incerta
Primo Giro da primo opinionista in postazione per Stefano Garzelli: una corsa divertente perché sempre incerta

Giro esaltante, mai scontato

E’ stato un Giro molto particolare e riviverlo adesso, a qualche giorno di distanza permette di sottolineare e cogliere aspetti che magari sono stati un po’ coperti dal grande risalto dettato dal suo epilogo a sorpresa: «Diciamo che il primo vincitore del Giro è… il Giro. Perché è stato sempre incerto, diverso, mai monotono. Non è facile dare giudizi, sento parlare di fallimenti, ma bisogna anche guardare le singole storie e il Giro ne ha raccontate tante. Un esempio: come si fa a criticare Tiberi? La sua corsa è stata totalmente condizionata dalla caduta, dopo non era più lui perché la botta era stata forte».

E’ vero ma come si fa a non giudicare negativamente (se proprio non vogliamo usare la parola fallimento) la corsa della UAE, per quanto il secondo posto di Del Toro sia carico di prospettive? Non è che la squadra non era abituata a gestire una situazione diversa non avendo Pogacar in corsa?

Yates e Van Aert, un sodalizio che ha funzionato alla perfezione nella penultima tappa
Yates e Van Aert, un sodalizio che ha funzionato alla perfezione nella penultima tappa

La UAE e le gerarchie non rispettate

«Con Tadej è facile correre, praticamente non devi fare nulla… Io credo che qualche errore ci sia stato, innanzitutto nella gestione della gerarchia. Ayuso, per quel che aveva fatto a Tirreno-Adriatico e Catalunya, era il capitano. Alla tappa delle strade bianche è caduto, a quel punto perché Del Toro ha allungato? Era con Bernal e Van Aert, ma non doveva esserci perché la gerarchia imponeva che stesse col capitano. Ciò ha dato a lui la maglia ma ha tolto tranquillità al gruppo, ha mostrato crepe che alla fine sono esplose».

La vittoria di Yates ti ha sorpreso? «So che lui preparava la tappa del Colle delle Finestre da novembre, aveva un conto in sospeso. Ha corso in maniera intelligente, sempre coperto, ma la sua forza è stata soprattutto essersi gestito prima del Giro. Non è un caso che sul podio sono finiti corridori che in primavera non si sono praticamente visti, salvo la vittoria di Del Toro alla Milano-Torino. Ad eccezione di Pogacar, chi va forte a marzo poi a maggio paga dazio. Lui è stato attento, poi la squadra lo ha supportato al meglio».

Una delusione forte per Ayuso, arrivato al Giro come leader dopo le vittorie in serie in primavera
Una delusione forte per Ayuso, arrivato al Giro come leader dopo le vittorie in serie in primavera

Pellizzari tutelato dalla Red Bull

Sulla Visma-Lease a Bike Garzelli ha parole di miele: «Hanno saputo tenere la corsa sempre sotto controllo. Van Aert è stato portato per la tappa delle strade bianche e l’ha vinta, poi avrebbe anche potuto tirare i remi in barca, invece è rimasto in gruppo e si è messo a disposizione. Yates dal canto suo aveva provato a Champoluc, ma ha subito capito che non c’era spazio per sovvertire la classifica e ha rinviato al giorno dopo, è stata una scelta molto saggia. Al sabato è stato un capolavoro di strategia, con Van Aert in avanscoperta che poi ha fatto da fantastico pesce pilota. Tattica indovinata, niente da dire».

Nell’ultima settimana del Giro e anche dopo è stato un fiorire di giudizi su Pellizzari, parlando di quel che avrebbe potuto fare se non fosse stato al servizio di Roglic… «Torniamo al discorso di prima: in un team ci devono essere gerarchie definite e la Red Bull le ha fatte rispettare. Pellizzari il Giro non doveva neanche farlo, è stato Roglic che lo ha voluto in squadra. Lui ha fatto il suo dovere e quando lo sloveno è caduto si è messo al suo servizi perché è questo che fa un luogotenente. Mi ha ricordato il Giro del ’97, quando Pantani cadde e perse 15 minuti. Io rimasi con lui, finii quel Giro 9° ma senza quel quarto d’ora sarei stato 4°. Eppure non mi sono mai pentito, neppure per un istante, di quella scelta, perché in quel momento il mio posto era accanto a Marco».

Roglic e Pellizzari: lo sloveno ha insistito per avere il giovane con sé
Roglic e Pellizzari: lo sloveno ha insistito per avere il giovane con sé

Il Giro degli italiani

Alla Red Bull avranno ora capito che Pellizzari è un leader? «Lo sapevano già da prima – sentenzia Garzelli – anzi io dico che lo hanno preso proprio con quell’idea. Non avevano preso uno qualunque, ma un prospetto per le corse a tappe, capace di vincerle. Per questo non avrebbero voluto neanche portarlo al Giro, ma come detto Roglic la pensava diversamente, poi le cadute sua e di Hindley hanno cambiato i rapporti in squadra. Ora sanno che tiene anche le tre settimane, il Giro ha dato loro ulteriori risposte».

In generale come giudichi questo Giro in chiave italiana? «Si potrebbe pensare che, con una sola vittoria di tappa, sia stato deficitario ma non è così. Io dico che è stato buono, ma molto sfortunato viste le cadute di Ciccone e Tiberi. Però abbiamo avuto Caruso che ha fatto un capolavoro e io l’ho sottolineato subito perché a 37 anni finire in top 5 ha un valore enorme. Era giustamente l’uomo di Tiberi, poi ha saputo sfruttare la sua esperienza, ma soprattutto ha mostrato di avere una grande condizione perché senza di quella non vai avanti».

Tiberi e Caruso. Sfortunatissimo il primo, bravo il siciliano a prendere le redini del team
Tiberi e Caruso. Sfortunatissimo il primo, bravo il siciliano a prendere le redini del team

Caruso, un capolavoro a 37 anni

Non è che il suo risultato è passato un po’ troppo sotto silenzio? «Non credo – afferma Garzelli – noi alla Rai l’abbiamo sempre sottolineato. Poi lo so bene, anch’io fui 5° a 37 anni vincendo due tappe e farlo con gente molto più giovane di te significa molto. Ma ci sono stati anche altri italiani che mi sono piaciuti, come Affini, Garofoli pur abbastanza sfortunato, senza dimenticare Fortunato vincitore della maglia azzurra. Non dimentichiamo poi che è stato un Giro condizionato dalle cadute, almeno 5 da primissime posizioni sono stati messi fuori gioco e questo, sull’esito finale, ha contato molto, ma si sa che per vincere anche la fortuna ha un suo peso».

Da Sestriere a Roma, Verre e quel colpo di coda da cui ripartire

05.06.2025
5 min
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Anche se la carovana del Giro d’Italia è sempre quella e per 21 giorni – in realtà, tra riposi e vigilia si arriva a 28 – viaggia tutta insieme, non sempre ci si incontra tanto è grande e tanti sono gli impegni. E noi Alessandro Verre lo abbiamo finalmente incrociato giusto la mattina di Verres (il gioco di parole è del tutto casuale!).

Un ragazzo che conosciamo da tempo, che abbiamo visto crescere, che abbiamo seguito persino nella più bella nazionale under 23 di Marino Amadori: quella che lottava con Filippo Zana all’Avenir e vinceva il mondiale a Leuven con Baroncini. E così il piacere è stato reciproco.

Quanto calore per Verre, eccolo firmare uno striscione che riprendeva il noto slogan di un liquore lucano… come lui (foto @sof.flum)
Quanto calore per Verre, eccolo firmare uno striscione che riprendeva il noto slogan di un liquore lucano… come lui (foto @sof.flum)

Quella voce impressionante

E’ stata la stessa voglia di Alessandro Verre di confidarsi. «Quando sono stato male, ragazzi. La mattina di Bormio, sul bus avevo il fiatone solo a prepararmi – raccontava il lucano della Arkéa-B&B Hotels – non riuscivo proprio a respirare. Ho pensato: oggi non la finisco. E quindi che sarei tornato a casa».

Mentre Alessandro parlava ci dirigevamo insieme verso la partenza della tappa. Lui verso il gruppo, noi verso la nostra macchina, entrambi in direzione Sestriere. Parlava, ma la sua voce era quella tipica di chi ha un raffreddore importante, una voce nasale. Non il suo solito timbro. Ecco perché fino a quel momento il lucano si era visto poco in corsa. Aveva fatto più cicli di antibiotici.

Ma da lì a poche ore la sua corsa rosa sarebbe cambiata. Avrebbe preso tutt’altro indirizzo, passando da un Giro “anonimo” – almeno per chi non sapeva – a un Giro da combattente vero.

Per due terzi di Giro Verre ha avuto a che fare con raffreddore, tosse e antibiotici. Anche per questo è stata importante la sua reazione (foto Instagram)
Per due terzi di Giro Verre ha avuto a che fare con raffreddore, tosse e antibiotici. Anche per questo è stata importante la sua reazione (foto Instagram)

Verre presente

Verre va in fuga. Sulle salite della 20ª tappa il gruppo si assottiglia fino a scatenare la bagarre definitiva sul Colle delle Finestre. Scappano in due: lui e Harper. Poi l’australiano prenderà il largo. Dietro Wout Van Aert prima e Simon Yates poi riprenderanno tutti i fuggitivi, tranne loro due.

All’arrivo, quel pianto liberatorio e forse anche delle risposte che sono arrivate proprio in extremis. E che vi abbiamo raccontato in presa diretta mentre tutti davano l’assalto a Simon Yates, re del Giro, e a Isaac Del Toro, il grande sconfitto.

«Abbiamo sparato le ultime cartucce – diceva Verre – le ultime energie che c’erano. Anche se non è una vittoria, per me vale come una vittoria. E anche per la squadra: tutti sanno il periodo difficile che stiamo vivendo in Arkea-B&B Hotels». Con grandi probabilità la squadra bretone sarà costretta a chiudere i battenti. Sembra addirittura che il team manager Huber abbia dato il via libera ai suoi corridori in vista del 2026.

«Questa bella prestazione – riprende Verre – perciò va a tutti: alla squadra, alla mia famiglia, ai miei amici. Quel mio pianto era dunque di rabbia».

Verre (classe 2001) all’arrivo del Sestriere
Verre (classe 2001) all’arrivo del Sestriere

Una salita durissima

«Prima del Colle delle Finestre mi sentivo benissimo, solo che questa salita non è stata adatta a me.
E non tanto per lo sterrato (Verre viene dalla mtb, ndr) ma perché era davvero troppo lunga. Non sono abituato a salite di un’ora e passa.

Nonostante tutto avevo un po’ di fiducia, ma negli ultimi metri sull’asfalto ho capito che si sarebbe fatto difficile. Ho cercato subito di prendere il ritmo di Harper. Poi, quando ho visto che stavo per andare in crisi, ho cercato di gestire e salire al mio ritmo. Ma in quegli ultimi dieci chilometri la salita era interminabile. Infinita».

Al netto delle difficoltà della Arkéa, Verre sarebbe stato comunque in scadenza di contratto. Pertanto, essersi messo in mostra in una frazione tanto dura e sul palcoscenico del Giro è stato importante. Ma soprattutto quell’azione gli ha dato la fiducia anche per la seconda parte di stagione.

L’arrivo in parta di Roma con un poliziotto in moto da una parte e l’ex compagno di fuga, Martin Marcellusi, dall’altra

Da Sestriere a Roma

E guarda caso, il giorno dopo lo abbiamo ritrovato in fuga persino nel circuito di Roma, non certo il suo terreno, visto che parliamo di un atleta che sfiora i 60 chili ed è uno scalatore. Ma quando poi la testa si sblocca, anche le gambe si sbloccano… specie se il peggio del raffreddore e degli antibiotici inizia a essere alle spalle. Quel tentativo ci è piaciuto da matti. Una gran bella reazione.
E’ stato come dire: «Io ci sono. Io sono questo, non quello delle tappe precedenti».

«Quello del Sestriere – dice Verre – è stato il mio primo podio tra i professionisti. Se penso che qualche giorno prima volevo andare a casa…».

«La fuga di Roma? E’ stata più per divertimento e anche per confermare quanto avevo fatto il giorno prima. Chiaramente sapevamo che il gruppo non ci avrebbe lasciato troppo spazio, però è andata. Nella riunione sul bus, quasi quasi sono stato io per primo – e poi i miei compagni – a proporla. Ho visto che stavo bene e ci ho provato».

In questi giorni Verre sta proseguendo la sua fase di recupero. Niente bici. Poi inizierà il lavoro verso il Tour de Suisse e il campionato italiano… magari per dare una mano, insieme a Giosuè Epis a Luca Mozzato.

La Lidl-Trek del Giro: Guercilena e lo spirito di squadra

05.06.2025
6 min
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La Lidl-Trek ha appena concluso un Giro d’Italia davvero memorabile nella storia della squadra. Sei vittorie di tappa con tre corridori diversi, 17 piazzamenti nei primi dieci, cinque giorni in maglia rosa e una maglia ciclamino dominata fin dal primo giorno con Mads Pedersen.

Quello che però ha colpito è stato anche lo spirito di squadra che hanno dimostrato durante le tre settimane. Ciccone in testa nelle tappe di pianura, il campione del mondo di Harrogate che si metteva a disposizione dei compagni nelle tappe più impegnative, e molto altro. Come si costruisce una coesione simile? L’abbiamo chiesto a Luca Guercilena, direttore generale della squadra.

Luca Guercilena, direttore generale della Lidl-Trek
Luca Guercilena, direttore generale della Lidl-Trek
Luca, quello appena concluso è stato il vostro miglior Giro di sempre?

Altre volte abbiamo vinto delle tappe e anche la maglia a punti, ma mai dominandola così. Questa volta poi le tappe vinte sono state 6, obiettivo che non avevamo mai raggiunto non solo al Giro d’Italia, ma in generale in nessun Grande Giro. Il fatto poi che siano arrivate con 3 corridori diversi rende tutto ancora più straordinario.

E in tutto questo avete perso per strada Ciccone, che sembrava avere finalmente l’occasione per puntare ad una buona (ottima?) classifica. 

Quello è un grande rimpianto. Aveva superato molto bene le due cronometro e c’erano molte salite adatte a lui nella terza settimana, quindi è chiaro che è un dispiacere che non abbia potuto sfruttare questa possibilità. Il Giro sembra stregato per Giulio, per un motivo o per l’altro non è mai riuscito a dimostrare le sue potenzialità, e quest’anno aveva dimostrato di essere nella posizione e nella posizione migliore. Ma ci riproverà, ci riproveremo.

Pronti via e subito tappa e maglia rosa per Pedersen e la sua squadra
Pronti via e subito tappa e maglia rosa per Pedersen e la sua squadra
Il vostro spirito di squadra è parso subito qualcosa di speciale.

Direi che è da sempre una nostra caratteristica. Ci sono squadre che fanno risultati con un solo atleta, noi invece abbiamo cercato di essere un gruppo che si aiuta a vicenda. Poi avere Mads ci ha fatto un salto di qualità, è ovvio che una squadra competitiva si compatta, perché vincere aiuta a vincere. La vittoria di Hoole invece si costruisce nel tempo, con la ricerca sui materiali e con il lavoro specifico per le crono. La tappa conquistata da Verona dimostra il suo grande carattere, ha fatto vedere come fossimo pronti ad sostenere Giulio nelle tappe più dure.

Come si crea questo spirito, è un indirizzo dello staff oppure nasce spontaneamente dai corridori?

Da noi non c’è un grandissimo turnover, tanti corridori stanno per molti anni col team e quindi si riesce a costruire un rapporto solido, poi viene tutto più facile. Nelle ultime stagioni abbiamo aumentato i ritiri prima delle gare, quindi i ragazzi condividono molti giorni assieme, l’hanno fatto anche prima del Giro. Poi in una gara di tre settimane i problemi ci sono sempre, ma con un gruppo affiatato si risolvono molto meglio.

Nella frazione con arrivo a Siena, Vacek (qui in seconda posizione) è stato protagonista di un grande rientro su Del Toro e Van Aert
Nella frazione con arrivo a Siena Vacek (qui in seconda posizione) è stato protagonista di in grande rientro su Del Toro e Van Aert
Abbiamo già accennato ai vincitori di tappa e a Ciccone, ma anche il giovane Vacek ha fatto bella mostra di sé.

Mathias è un atleta che rientra nel gruppo delle classiche, che ha condiviso con Mads. E’ giovane e deve ancora prendere le misure, ma credo che in questo Giro abbia dimostrato le qualità che ha. Nella tappa di Siena per esempio, o anche in quella di Vicenza, ha fatto dei numeri incredibili. Con l’esperienza diventerà un punto di riferimento.

Solo per le classiche o in futuro anche in ottica classifica generale?

Per il ciclismo di oggi, almeno in questo momento, è un atleta che può fare bene nelle classiche o in alcune tappe. I migliori si aggirano sui 65-67 kg, mentre Vacek è sopra i 70 kg quindi viene più difficile pensare alla classifica. Con il tempo e con un’altimetria particolare, mai dire mai. Per ora lo vedo per le singole tappe e per le classiche.

Pedersen si è spesso speso in prima persona per i compagni, come nella tappa degli sterrati
Pedersen si è spesso speso in prima persona per i compagni, come nella tappa degli sterrati
La tappa vinta da Verona ha emozionato tutti. Com’è stata viverla da dentro?

Anche per noi è stata un’emozione grandissima. Carlos si è sempre dedicato agli altri, si è sempre speso per il leader e noi abbiamo cercato di esaltare le sue qualità. Il giorno prima avevamo il morale sotto le scarpe per il ritiro di Ciccone e quella mattina i ds avevano cercato di motivare al massimo i ragazzi. Carlos è riuscito a trasformare quel momento in una grandissima prestazione, sia fisica che di carattere, in una tappa molto impegnativa. Il fatto poi che abbia dedicato quella vittoria a Giulio, avendo anche ad aspettarlo al traguardo tutta la famiglia, è sicuramente una delle cose più belle di questo Giro.

E poi c’è Pedersen, che corre e si comporta come un leader carismatico.

Mads può essere paragonato ad una bandiera della squadra, è passato nel WorldTour con noi e rimarrà con noi. La sua peculiarità è che nonostante sia un campione di livello assoluto, si spende sempre moltissimo. E’ una persona di carisma e gli altri lo prendono come riferimento, perché dà sempre l’anima. Sostiene la squadra e i compagni, quando è il momento di tenere i piedi per terra li tiene, quando invece bisogna spostare l’asticella verso l’alto è il primo a farlo. E’ uno che preferisce dimostrare in prima persona e poi chiedere agli altri, è un grandissimo esempio. E in più gli piace anche scherzare, come si è visto nella scommessa fatta con Mosca.

Ciccone all’arrivo di Gorizia, scortato da tre compagni: ad aspettarli dopo il traguardo c’era tutto il resto della squadra
Ciccone all’arrivo di Gorizia, scortato da tre compagni: ad aspettarli dopo il traguardo c’era tutto il resto della squadra
Infatti forse l’unica a non aver beneficiato di questa compattezza di squadra è forse Elisa Longo Borghini, che si è vista tornare a casa il marito con un taglio di capelli non preventivato…

Forse sì, ma Elisa è stata con noi diversi anni, quindi capisce bene cosa significa fare parte di un gruppo simile, qualcosa che va oltre la performance. L’immagine più bella di questo Giro, non a caso, è quando tutti hanno aspettato Giulio Ciccone il giorno della sua caduta. Un gesto che vale più delle vittorie, perché siamo tutti professionisti, ma per noi l’aspetto umano conta ancora di più.

Doppietta in Giappone, Volpi rilancia Fancellu e Raccani

05.06.2025
5 min
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Primo, Alessandro Fancellu. Secondo, Simone Raccani. Il JCL Team UKYO ha sbancato il Tour of Japan e per tutto lo staff è stato il compimento di un lavoro. Certo, non parliamo di una prova WorldTour, ma il general manager Alberto Volpi chiude con una semplice constatazione ogni obiezione riguardante il livello della gara: «Il nostro è un team giapponese e per noi, a cominciare dalla proprietà, è come il Giro d’Italia per un team italiano o il Tour per un’equipe francese. Ci si gioca tutto, a cominciare dal prestigio».

Fancellu festeggiato sul podio. Vittoria con 21″ su Raccani e 1’09” sull’australiano Dyball (foto team)
Fancellu festeggiato sul podio. Vittoria con 21″ su Raccani e 1’09” sull’australiano Dyball (foto team)

Dominio per tutta la settimana

Appena tornato dal Sol Levante, ancora con i postumi del jet lag, Volpi fa il punto di un’edizione dominata dalla squadra e che rappresenta un po’ uno spartiacque verso il futuro: «Eravamo chiamati a fare il meglio e l’abbiamo onorata come meglio non potevamo. Tre vittorie di tappa con i due italiani più il nostro eritreo Zeray, doppietta in classifica. C’era differenza alla base fra noi e gli altri? Forse, ma quella differenza devi anche metterla per iscritto».

Come vi eravate organizzati per la corsa nipponica? «Noi avevamo fatto una squadra basandoci sull’esperienza del 2024 perché il percorso non era cambiato, stesse tappe. Nella seconda abbiamo quindi attaccato tutto il giorno puntando su Fancellu, lo stesso il quarto giorno con Raccani. Poi c’era la tappa del Monte Fuji e lì abbiamo seguito due direttive. Da una parte proteggere i due primi della classifica, dall’altra lasciare strada libera a Zeray che sapevamo poteva fare la differenza. Alla fine abbiamo fatto bottino pieno».

A Inabe assolo di Fancellu che tiene a 4″ il danese Bregnhoy e ipoteca la corsa (foto team)
A Inabe assolo di Fancellu che tiene a 4″ il danese Bregnhoy e ipoteca la corsa (foto team)

Nessuna scelta dai box…

E’ chiaro però che una situazione del genere, con due uomini della stessa squadra davanti a tutti, imponeva delle scelte per la frazione decisiva. C’era una strategia su chi dovesse essere il vincitore? «Una strategia sì, ma non sul vincitore. Mi spiego meglio: la tappa finale del Monte Fuji aveva molte incognite. Al mattino ci siamo interrogati su che cosa era meglio fare e abbiamo detto chiaramente che la strada avrebbe deciso il vincitore fra i due. Per noi era una situazione ideale perché nel malaugurato caso uno dei due avesse ceduto, l’altro era pronto a subentrare, mentre Zeray poteva puntare alla tappa. Non abbiamo assolutamente dato disposizioni sulla classifica, abbiamo detto invece che doveva vincere semplicemente chi aveva più gambe. Alla fine se la sono giocata, Fancellu ha chiuso 2° a 6”, Raccani 4° a 36”».

Per Alessandro Fancellu questa vittoria era un colpo di spugna su tutto quel che gli è successo da quando è passato pro’? «Diciamo che, a prescindere dalla vittoria finale, lo vedo più sereno di quando è arrivato da noi. Evidentemente aveva bisogno di un ambiente accogliente, fiducioso nei suoi confronti. D’altro canto nel nostro team ci sono tutte le necessarie figure di riferimento e Alessandro ha trovato il giusto supporto, anche a livello psicologico».

Vittoria per Simone Raccani nella quarta tappa lasciando a 2″ l’inglese Stewart (foto team)
Vittoria per Simone Raccani nella quarta tappa lasciando a 2″ l’inglese Stewart (foto team)

L’importanza dell’ambiente

Volpi ha parole dolci sul comasco anche mettendo a frutto la sua enorme esperienza da corridore: «Che avesse i mezzi lo sappiamo tutti, ma non è che bastino quelli per emergere da pro’, devi anche ambientarti, trovare le basi. In questi 3-4 anni pur essendo stato in team importanti non riusciva a esprimersi. Qui ha un ambiente più attento alle sue esigenze, ma così è stato per Malucelli, Carboni, Pesenti, tutti corridori che ora sono nel WorldTour e Alessandro sa che può seguire la stessa strada, se fa bene».

Per Raccani il discorso è un po’ diverso: «Per certi versi più semplice. Quando ha fatto lo stage alla Quick Step si è fratturato l’omero e questo lo ha bloccato. E’ passato alla Polti ma non aveva ancora recuperato e poi passando alla Zalf che pure era una squadra con una tradizione enorme si è sentito retrocesso. Aveva bisogno di fiducia, di tirare fuori quel che ha dentro, anche con un calendario appropriato. Io vedo che settimana dopo settimana sta crescendo, per lui vale lo stesso discorso futuribile fatto per Fancellu».

L’eritreo Nahom Zeray ha completato la festa conquistando la tappa del Monte Fuji (foto team)
L’eritreo Nahom Zeray ha completato la festa conquistando la tappa del Monte Fuji (foto team)

Una commistione che funziona

Considerando i risultati, è possibile un allargamento della rosa italiana? «Domanda delicata. Noi siamo un team giapponese nato per far crescere i ragazzi locali. Appena sono arrivato, ho chiarito subito che dovevamo procedere su due direzioni: accogliere e far crescere i migliori talenti giapponesi ,ma affiancarli a gente europea esperta e in grado di portare risultati, perché solo questa commistione poteva garantire un futuro al team. Quindi abbiamo bisogno di figure che garantiscano un rendimento nelle gare europee, oltre che in quelle asiatiche che hanno un livello giocoforza inferiore».

E allora come procede la ricerca di giovani giapponesi, il livello generale sta crescendo? «Il problema in quel caso non è trovare ragazzi talentuosi perché in una base di praticanti molto, ma molto ampia i talenti ci sono. Non tutti però sono pronti a fare una scommessa su loro stessi, trasferirsi per lunghi tempi in Europa, visto che prevediamo almeno due lunghi periodi di gare nel corso della stagione, stazionando in Brianza a primavera e poi ad agosto-settembre. Per noi trovare ragazzi che accettano è la sfida più importante…».

Flavio Astolfi: un ragazzino italiano che cresce nel ciclismo del Nord

04.06.2025
5 min
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E’ il 2020, anno del Covid, quando la famiglia Astolfi lascia Lariano, paesino poco a sud di Roma, e sale verso il cuore d’Europa. Papà Claudio, meccanico, accetta un lavoro in Lussemburgo, dove la nonna materna vive da vent’anni. Flavio ha appena concluso la terza media, il fratellino lo segue: 800 chilometri e un passaporto doppio li separano dalla vecchia vita.

Sulle strade del Granducato lussemburghese ha trovato sicurezza, una scuola che rispetta lo sport e weekend di corse fra Belgio, Germania, Francia e Lussemburgo stesso. Oggi, a neanche 18 anni, corre per la formazione olandese JEGG-DJR Academy, team juniores collegato alla Visma-Lease a Bike.

Flavio è nel pieno del “ciclismo del Nord”: vento, muri e pavé lo stanno formando in un certo modo. Il resto lo fa la passione di una vera e propria dinastia laziale che la bici ce l’ha nel sangue.

Flavio Astolfi (18 anni a dicembre) ormai si è integrato pienamente nella vita del Nord Europa
Flavio Astolfi (18 anni a dicembre) ormai si è integrato pienamente nella vita del Nord Europa
Il ciclismo, Flavio, è sempre stato importante nella tua famiglia. Da quando sei in Lussemburgo, hai continuato ad andare in bici o hai cominciato lì?

Ho continuato, perché mio nonno correva da dilettante. Poi mio papà è stato professionista. Anche mia zia, la sorella di papà, correva.

E tu quando hai iniziato?

Ho iniziato da G3. Prima giocavo a calcio e ho fatto nuoto. Poi una giorno c’era una gara di bici a Velletri, a sei chilometri da Lariano. Ricordo che era giugno. Mio papà, che conosceva l’organizzatore, mi ha fatto provare. Ho fatto qualche uscita e poi quella prima gara. Mi è piaciuto subito. Da lì ho fatto tutte le categorie. Ho sempre praticato anche mountain bike e ciclocross. Ciclismo a 360 gradi.

Raccontaci la tua vita ciclistica da lussemburghese…

Per ora vado ancora a scuola, che qui finisce a luglio. E’ un po’ più lunga. Di solito sto a scuola fino a tardi, poi vado in bici. Ora che le giornate sono lunghe va meglio, d’inverno faccio un po’ fatica. Non ho permessi speciali, ma con l’orario che ho riesco bene ad allenarmi.

Che scuola fai?

Un liceo ad indirizzo economico-commerciale. Non so bene quale sia l’equivalente italiano.

Flavio si sente più uno scalatore… ma non puro
Flavio si sente più uno scalatore… ma non puro
Come funziona con le gare? Il Lussemburgo non offre un calendario vastissimo, immaginiamo…

Questo era un problema più quando ero piccolo. Qui fanno gare nazionali, ma non sono tante: cinque, sei, massimo sette in tutta la stagione. Troppo piccolo il Lussemburgo. Però in Belgio si corre quando vuoi: venerdì, sabato, domenica. Quando ero allievo andavo spesso in Francia o in Belgio. Ora corro soprattutto in Belgio. Se c’è una gara qui in Lussemburgo magari la faccio, ma più come allenamento.

Come lavorate in squadra?

Da quando sono in questa squadra lavoriamo in blocchi di allenamento e di gare. Due settimane di allenamento, tre settimane di gare, poi di nuovo allenamento. E’ già uno schema simile al sistema dei professionisti.

Che differenze hai trovato tra le corse in Belgio e in Francia?

Si notano già da junior. In Belgio le gare sono nervosissime, devi essere pronto a dare spallate con i gomiti. In Francia magari sono più tranquille. In Italia non corro da un po’: l’ultima è stata l’Eroica Juniores l’anno scorso. Poi dipende dal livello.

A proposito di Belgio, cosa ci racconti del Fiandre Juniores?

Una bellissima esperienza. Presentazione sul palco come i professionisti. Gente ovunque, come fosse uno stadio. Purtroppo quest’anno non era lo stesso giorno dei pro’. La Roubaix Juniores invece sì, e lì c’era già il pubblico del mattino. Ma anche al Fiandre è assurdo: tutte squadre che arrivano da team WorldTour. E questo attira la gente.

Muri e pavé: si impara a starci sopra o bisogna essere portati?

Secondo me un po’ e un po’. C’è gente a cui viene facile. Ho compagni che si posizionano davanti in automatico. A me serve qualche gara per abituarmi, però miglioro di volta in volta. Alcuni ci nascono proprio. Però per me ci si può lavorare.

Flavio (a destra) con suo fratello Lorenzo (più piccolo): entrambi sono stati campioni nazionali lussemburghesi
Flavio (a destra) con suo fratello Lorenzo (più piccolo): entrambi sono stati campioni nazionali lussemburghesi
Ci sono analogie tra il pavé della Roubaix e quello del Fiandre?

La Roubaix è una cosa a parte. Vedi quando inizia il tratto di pavé ma… tutta la pressione nei 10 chilometri prima è folle. Anche al Fiandre c’è tensione, ma lì i muri li senti più sulle gambe, perché li fai uno dietro l’altro a tutta. Dopo un po’ arrivi stanco, quindi posizionarsi diventa “più facile”. Alla Roubaix invece conta tantissimo essere davanti.

Al Fiandre il posizionamento è importante, ma non decisivo?

Esatto, devi saper prendere i muri davanti, ma se non hai le gambe dopo due-tre volte finisce lì.

Quale ti è piaciuta di più: Fiandre o Roubaix?

Quest’anno il Fiandre. Alla Roubaix ho avuto sfortuna: ero nel gruppo davanti, poi ho forato, sono caduto due volte, ho cambiato bici e alla fine gara finita. Il Fiandre era più avanti nella stagione, ero più abituato. Gara dopo gara miglioro sempre nel restare davanti.

E’ proprio importante starci su quei percorsi, eh?

Sì, bisogna farli e rifarli. Le gare da junior sono di 130 chilometri, ma si va a tutta dall’inizio. Il posizionamento è tutto.

L’emozione di stare sul palco dei grandi al Fiandre
L’emozione di stare sul palco dei grandi al Fiandre
Sei giovanissimo, ma che tipo di corridore pensi di essere?

Domanda difficile. Se me l’aveste fatta qualche anno fa, avrei detto scalatore. Ora non lo so. Qui non ci sono grandi salite. Mi vedo ancora come uno scalatore, ma non puro. Tipo un Alaphilippe.

Dove ti alleni?

Abito nel sud del Lussemburgo, a 5 chilometri dalla capitale. Però ho tante zone vallonate verso il confine francese. Le strade sono buone.

Quante ore ti alleni durante la preparazione?

In media 14 ore a settimana. Se faccio più volume, anche 15-16, ma è più raro. E’ la media stabilita a inizio anno col preparatore, che lavora nel team WorldTour.

Gliel’hai insegnato ai tuoi compagni a fare la pasta?

Ci vediamo poco, ma una volta al ritiro, nella “casa Visma” in Olanda, ho fatto la pasta al salmone e ancora me lo ricordano. Per loro era tanta roba. Alla fine l’italianità viene sempre fuori…