E Van Aert fa muro: in Italia per le tappe

09.12.2023
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Probabilmente non avrà fatto in tempo a leggere i consigli di Bettini, più probabilmente gli sarà arrivata eco dei commenti di Johan Museeuw. In ogni caso Wout Van Aert parrebbe aver allontanato da sé il calice della classifica generale del Giro, sgombrando il campo da ogni possibile volo pindarico. Se poi si troverà davanti, sarà pronto per giocarsela. Ma la maglia rosa finale non è il suo obiettivo di partenza.

Van Aert si è raccontato in un passaggio nel podcast De Rode Lantaarn in Olanda
Van Aert si è raccontato in un passaggio nel podcast De Rode Lantaarn in Olanda

Un podcast in diretta

Lo ha detto abbastanza chiaramente lo stesso campione belga nel podcast olandese De Rode Lantaarn, la lanterna rossa. Van Aert ha analizzato i suoi piani per il 2024, a partire dal nuovo programma stilato assieme al suo nuovo allenatore Mathieu Heijboer.

«Da tempo – ha detto il belga – accarezzavo l’idea di optare per una struttura più tranquilla per questo inverno, quindi con meno ciclocross. Ne ho parlato con Mathieu (Heijboer, ndr) e anche lui è stato d’accordo. Gli allenamenti potranno essere confrontati con quelli degli anni scorsi, perché ogni allenatore della nostra squadra ha più o meno la stessa filosofia a riguardo, ma sarà un inverno un po’ più tranquillo».

Nel 2021, Van Aert in questi giorni vinceva a Vermiglio: ora il debutto è rinviato
Nel 2021, Van Aert in questi giorni vinceva a Vermiglio: ora il debutto è rinviato

Al Giro per le tappe

La sensazione, già trapelata attraverso le parole di Heijboer, è che Van Aert voglia puntare a una primavera più concreta e vincente. Quello che lo scorso anno ha iniziato a fare Van der Poel, insomma, raccogliendo la Sanremo e la Roubaix.

«Non posso confermarlo ufficialmente – ha sorriso Van Aert, il cui programma di gare sarà annunciato fra due settimane in Olanda – ma supponiamo che vada al Giro. Allora preferirei andare per le tappe. Non sono molto interessato a superare i miei limiti, perché correre per la classifica non può essere combinato con le altre corse a cui punto.

«Non vorrei sacrificare troppo per ottenere un buon risultato. Non mi fa impazzire l’idea di arrivare quinto al Giro e di annoiarmi per il resto dell’anno. Come non mi attira l’idea di fare 100 allenamenti in altura e perdere altri due chili. Ora posso fare molte cose diverse e penso che sia bello cercare di farle tutte nello stesso anno».

Roglic e Van Aert a marzo sul Teide, preparando le classiche: la coppia dal 2024 sarà divisa
Roglic e Van Aert a marzo sul Teide, preparando le classiche: la coppia dal 2024 sarà divisa

Obiettivo 77 chili

E’ evidente che di vantaggi ne abbiano parlato: in una squadra come l’attuale Jumbo-Visma certi tentativi non potrebbero certo essere frutto di un’improvvisazione.

«Per vincere davvero una classifica generale – chiarisce Van Aert – il peso giocherebbe un ruolo decisivo e questo sarebbe un peccato. Dovrei arrivare al Giro con 77 chili (il peso forma è di 78, ndr), so da me che su certe pendenze non sarei certo avvantaggiato. Spero di arrivare a quel peso più o meno dopo le classiche, ma confermo che preferirei andare per puntare alle tappe».

Con Van der Poel alla Roubaix 2022: Van Aert sta per bucare, l’olandese avrà via libera
Con Van der Poel alla Roubaix 2022: Van Aert sta per bucare, l’olandese avrà via libera

La sfortuna di Roubaix

Dopo aver parlato dell’infortunio successivo alla caduta del Tour 2019 e i giorni terribili in cui non aveva sensibilità alla gamba, Van Aert ha parlato anche dell’ultima Parigi-Roubaix. Un’altra beffa subita per mano del solito Van der Poel e non crediamo che Van Aert non voglia scrollarsi di dosso una simile maledizione.

«A dire il vero – dice – quando ho iniziato il Carrefour de l’Arbre, pensavo di essermene andato. Raramente ci sono arrivato così fresco. Avevo programmato di attaccare dopo la curva ad angolo retto. Di solito si allunga partendo praticamente da fermo e questo di solito fa male. Qualche secondo prima, con la coda dell’occhio avevo visto Degenkolb cadere e non sapevo se fossero caduti anche Van der Poel e Philipsen. Ho pensato che avrei attaccato basandomi sulle sensazioni. Invece quando sono uscito dalla curva, ho sentito la gomma rotolare male e ho capito di aver bucato».

La popolarità del campione di Herentals non ha limiti: ora manca qualche risultato
La popolarità del campione di Herentals non ha limiti: ora manca qualche risultato

Quante sono le occasioni in cui Van Aert ha dovuto chinare il capo davanti alla sfortuna e soprattutto davanti a Van der Poel? Ormai troppe. Ed è per questo che prima di fuggire dalla sfida per misurarsi in un Giro, che ad ora è ben lontano dalle sue possibilità, crediamo voglia tornare a riprendersi quel che aveva costruito e che il grande avversario, ma spesso anche la sfortuna gli hanno portato via.

Il Giro è un gioco crudele: caro Wout, sei sicuro?

09.12.2023
6 min
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Da uomo da classiche a uomo da classiche, da Bettini a Van Aert: caro Wout, ma chi te lo fa fare? Anche il livornese all’inizio della carriera tentò di fare classifica al Giro, ma prese atto dei suoi limiti e ci ripensò.

«Van Aert uomo da grandi Giri? Abbiamo visto – dice Bettini – che è un grandissimo gregario, quello che ha fatto al Tour non è roba da tutti. Però una cosa è stringere i denti e lavorare, andare in fuga e farsi trovare davanti quando arriva il tuo capitano. Fargli da spalla, stringere i denti, saltare per aria, poi rientrare. Tirare ancora un chilometro e poi saltare definitivamente. Altra cosa è dover fare tutti i giorni la selezione, farti trovare lì e non poter perdere 10 secondi. E poi diciamo che il mese di aprile e il mese di maggio non sono troppo compatibili, volendo immaginare il percorso di avvicinamento al Giro d’Italia…».

Bettini ha vinto 2 mondiali, le Olimpiadi di Atene 2004, 2 Liegi, 2 Lombardia, una Sanremo, tre Coppe del mondo
Bettini ha vinto 2 mondiali, le Olimpiadi di Atene 2004, 2 Liegi, 2 Lombardia, una Sanremo, tre Coppe del mondo
Tu facesti il percorso inverso…

All’ultimo anno da dilettante, provai a fare classifica al Giro d’Italia U23, facendo settimo. Era l’anno di Sgambelluri, vinsi il tappone con arrivo a Romano d’Ezzelino. Si scalavano il Manghen e il Monte Grappa, roba abbastanza seria. A tre giorni dalla fine ero terzo in classifica, poi saltai per una crisi di fame. Tradotto: passo professionista e pur stando al fianco di Michele Bartoli, in molti mi indicano come uomo da grandi Giri.

Anche con qualche buon risultato, no?

L’anno del Panta, nel 1998, sicuramente non mi conoscevano e mi permisero di portare al traguardo una fuga bidone. Mi lasciarono quasi 12 minuti nella tappa di Asiago e di fatto chiusi settimo in classifica generale. Eravamo partiti mentalizzati, perché anche Bartoli voleva fare classifica. Ci allenavamo sull’Abetone, cercando le salite lunghe. Eppure proprio dopo quel Giro, capii che non avrei più voluto fare classifica.

Giro 1998, sull’arrivo di Asiago arriva la fuga: vince Fontanelli, Bettini guadagna 11’46”
Giro 1998, sull’arrivo di Asiago arriva la fuga: vince Fontanelli, Bettini guadagna 11’46”
Perché?

Troppa pressione addosso, con gente come Pantani, Zulle e Tonkov. Mi guardai allo specchio. Mi dissi: vado forte in salita, sono esplosivo e sono bravo anche in volata. Potevo fare altro. Mi promisi che non avrei più fatto classifica perché capii veramente quanto sia stressante preparare un fisico per le tre settimane. Vuol dire studiare il percorso, conoscersi bene, conoscere il metabolismo. Non è facile…

Torniamo a Van Aert, mettiti nei suoi panni…

Quest’anno è un Giro cattivo, parte duro con Oropa, per dirne una, e poi nell’ultima settimana ci sono le montagne vere. Allora se sono Wout Van Aert cosa faccio? Parto al 100 per cento e salto per aria nel finale? Oppure parto al 65 per cento: basterà, sapendo che potrei lasciare per strada un minuto nelle prime tappe? E’ uno stress, mi sono già stancato a raccontarvelo. Io in quel momento dissi mai più e su quella decisione ho costruito la mia carriera e la mia stessa vita. 

Wout Van Aert al Tour ha vinto 9 tappe, conquistato una maglia verde e aiutato Vingegaard. Qui Hautacam 2022
Wout Van Aert al Tour ha vinto 9 tappe, conquistato una maglia verde e aiutato Vingegaard. Qui Hautacam 2022
Fare classifica al Giro senza aver mai fatto il Giro.

Non so quante capacità atletiche abbia uno come Wout quando lo porti su salite come quelle del Giro. Quelle del Tour, almeno per le quattro volte che ci sono andato, non dico che siano facili ma non sono quelle ripide del Giro. L’Italia ha una conformazione geografica più cattiva. Mi ricordo un grande inglese come Thomas, che ha vinto il Tour, ma qui ha sempre preso legnate. Stessa cosa fu per Wiggins.

Di solito chi vince il Tour va forte al Giro.

Dipende dal tipo di corridore. Van Aert è un passista scalatore per salite lunghe e regolari. In Italia invece in determinate tappe serve improvvisazione, devi conoscere il territorio. Due curve e fai la differenza. Le tappe intermedie sono le più… bastarde. Sono quelle che quando ti distrai, ti scappa il gruppo e andare a riprendere 30 corridori è una pena. Fai fatica sull’Appennino, lo abbiamo visto tante volte (in apertura, Van Aert staccato a Sassotetto, all’ultima Tirreno, ndr). Magari il belga si salva nelle tappe più nervose, perché è corridore da classiche, ma per puntare alla classifica, deve cambiare pelle. E ha pochi mesi per farlo, perché a ottobre era ancora il corridore di sempre

Wiggins venne al Giro 2013 da vincitore del Tour, ma si perse nel maltempo e nelle curve
Wiggins venne al Giro 2013 da vincitore del Tour, ma si perse nel maltempo e nelle curve
Quindi sarebbe comunque un passaggio lungo?

Volendo, Wout potrebbe pensare di avviare un processo di cambiamento. Vuol dire che quest’anno viene al Giro a prendere le misure per il prossimo anno. Fa le sue esperienze, si lecca le ferite, capisce dove ha sbagliato e magari in due o tre anni capisce se vale la pena cambiare così tanto pelle.

Sembri scettico…

Sono un ragazzo moderato, non me la tiro mai. Siamo di fronte a dei grandissimi fenomeni, ma ricordatevi tutti che poi alla fine, nonostante in questo mondo digitale la comunicazione passi per essere essere fighi e attrarre follower, se si stampa il curriculum ti accorgi che di classiche Wout Van Aert ha vinto solo la Sanremo. Ragazzi, in termini di grossi risultati, Andrea Tafi ha vinto il doppio.

Van Aert ha vinto la Sanremo del 2020, ma nelle classiche del Nord ha sempre dovuto mandare giù bocconi amari
Julian Alaphilippe Wout Van Aert
Van Aert ha vinto la Sanremo del 2020, ma al Nord ha sempre mandato giù bocconi amari
Perciò tu cosa faresti?

Io consiglierei a questo ragazzo, dato che ha le qualità ma per varie situazioni non è ancora riuscito a portare a casa quello che merita, di concentrarsi sugli obiettivi a lui più adatti. Un Fiandre, una Roubaix, un’altra Sanremo, ci può stare anche un campionato del mondo. Ma se inizia a snaturare la sua attitudine rischia di non vincere più nulla. Si troverebbe a lavorare sulla massa, per cambiare fisicamente e tenere sopra i 2.000 metri. Basta una tappa per perdere un grande Giro e se anche riesci a gestirti, aggrappandoti agli specchi e facendo miracoli, quando arriva il tappone che fai? Quattro volte sopra i 2.000 metri: basta un giorno che ti manda a quattro minuti e sei finito.

Insomma, è una scelta che semmai potrebbe fare fra qualche anno?

Dipende. Faccio un altro ragionamento da quasi cinquantenne, visto che mi mancano pochi mesi (Bettini è nato il 1° aprile 1974, ndr). Quando hai costruito la tua carriera e hai trovato la tua identità, a un certo punto gli anni passano e invecchi. A quel punto arrivano i giovani leoni che ti asfaltano con la loro grinta. E tu pensi che avrai voglia di cambiare fisicamente per provare a vincere un grande Giro?

Le nuove strategie di Van Aert: parla il coach

05.12.2023
4 min
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Si parla sempre tanto, di questi tempi, dei “tre tenori” come paladini della multidisciplina, ma guardando i calendari che Van Der Poel, Pidcock e Van Aert hanno messo a punto per la stagione di ciclocross, ci si accorge che anche loro sono stati costretti a mettere da parte tante velleità individuali. Soprattutto considerando che siamo nell’anno olimpico, che certamente influisce e cambia gli equilibri, perché una medaglia a cinque cerchi fa gola a tutti e vale una carriera intera.

Mathieu Heijboer ha preso da quest’anno le redini della preparazione di Van Aert (foto Photonews)
Mathieu Heijboer ha preso da quest’anno le redini della preparazione di Van Aert (foto Photonews)

Preparazione rimodellata

Focalizzandosi su Van Aert, si nota che il suo programma di cross sia stato fortemente compresso: per ora sono ufficiali appena 8 gare, partendo dalla prova dell’Exact Cross di Essen. Il belga ha tenuto aperta la porta a un paio di altre uscite, per cercare di calmare gli animi in seno all’Uci che non vedono assolutamente di buon occhio la poca considerazione che i tre tenori (ma anche altri) hanno nei confronti della challenge ufficiale della federazione privilegiando altre, più remunerative gare.

Ma la scelta di Van Aert ha radici profonde, che il suo allenatore Mathieu Heijboer ha specificato in un’intervista rilasciata al media belga Sporza, nella quale ha chiarito anche quale sia il suo apporto. Il tecnico ha già lavorato con Van Aert facendo parte dello staff della Jumbo-Visma (dal 2024 Visma-Lease a Bike) in qualità di Head of Performance, ma in vista del delicatissimo 2024 ha preso direttamente in mano la situazione diventando il referente principale di Wout. Una scelta voluta anche da quest’ultimo, che si è reso ben conto di come fosse necessario cambiare qualcosa per centrare importanti appuntamenti dopo troppe vittorie sfuggite di un nulla.

Van Aert al Tour, a lavorare per Vingegaard. Ora però cerca una nuova dimensione al Giro
Van Aert al Tour, a lavorare per Vingegaard. Ora però cerca una nuova dimensione al Giro

Conta il lavoro sul fondo

Heijboer ha affrontato la questione di petto, cambiando completamente l’approccio alla primavera, primo vero pilastro della stagione del fiammingo. Ciclocross mantenuto in agenda, ma in maniera “soft”, evitando soprattutto lo stress e le fatiche del mondiale, sia dal punto di vista fisico che per evitare una nuova sconfitta pesante dal punto di vista psicologico.

«Il ciclocross – ha spiegato Heijboer – dovrebbe essere un punto fondamentale nella sua stagione e non un punto di rottura. Ma io devo guardare il quadro generale di una stagione più difficile delle altre. Wout vorrebbe sicuramente fare più gare e scalpita per iniziare a competere, ma capisce che tutto vada visto in prospettiva. L’inverno è incentrato sulle prestazioni della primavera, c’è da lavorare sul fondo che è fondamentale per avere la condizione giusta al momento giusto».

Il belga con VDP alla Roubaix. Nel ciclocross si sfideranno durante le Feste, ma non al mondiale
Il belga con VDP alla Roubaix. Nel ciclocross si sfideranno durante le Feste, ma non al mondiale

Recupero post-ciclocross

Heijboer ha messo l’accento su quanto comporta l’attività del ciclocross: «Ho guardato le stagioni precedenti, notando che la preparazione dei mondiali di ciclocross e il successivo necessario periodo di decompressione hanno influito fortemente sulla sua primavera, a prescindere dai risultati e dalle sue vittorie. Wout doveva prendersi necessari periodi di riposo prima delle classiche, questi hanno influito sulla sua forma, quindi andava ripensato il tutto, ridistribuita la sua attività. Io voglio che Wout arrivi al Fiandre e alla Roubaix affamato, carico, fisicamente in piena evoluzione. Con un programma più limitato so che non ci saranno più lacune nella sua preparazione».

Per Van Aert è un sacrificio importante, ma fatto di buon grado considerando anche che sulla soglia dei 30 anni, vuole anche cambiare un po’ le sue caratteristiche. Non è un segreto il fatto che dopo anni il belga abbia deciso di saltare il Tour de France e soprattutto di rivedere il suo ruolo nei grandi Giri, come regista in corsa e luogotenente dei capitani deputati alla conquista del simbolo del primato. Van Aert punta ormai apertamente al Giro d’Italia (anche se nei giorni scorsi ha raccontato a La Lanterne Rouge di avere a cuore le tappe più che la classifica), con tutte le incognite che ciò comporta.

Dopo la doppia piazza d’onore di Tokyo, per Van Aert l’appuntamento olimpico di Parigi è fondamentale
Dopo la doppia piazza d’onore di Tokyo, per Van Aert l’appuntamento olimpico di Parigi è fondamentale

No alla Sanremo

Per questo il suo calendario su strada sarà molto diverso dal solito. Esordio alla Volta ao Algarve a metà febbraio e niente Milano-Sanremo, puntando invece alla Strade Bianche. Nel periodo delle classiche “all in” sulle prove del Nord, Fiandre e Roubaix con l’intenzione di fare la magica doppietta. Poi l’avvicinamento al Giro E solo poi, mente focalizzata sulla preparazione delle sfide di Parigi, a cronometro e in linea su un percorso che potrebbe esaltare le sue caratteristiche. E se c’è da fare qualche rinuncia, ben venga: all’Uci se ne dovranno fare una ragione…

E Museeuw ci parla di Van Aert: «Il Giro? Un rischio»

24.11.2023
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GAND (Belgio) – Metti una sera un vecchia Colnago con i colori della Mapei. «Bella – pensiamo noi – un classico. Una “botta” di puri anni ’90. Chissà di chi sarà?». Ebbene apparteneva al misterioso ospite di una delle super serate passate al velodromo Kuipke, per la Sei Giorni. Quando poi lo speaker ha dato le tre opzioni su chi fosse questo personaggio, vista quella bici non c’erano più dubbi. Il personaggio misterioso era Johann Museeuw.

Un’improbabile tutina gialla, un casco in testa e tre giri di pista tra due ali di folla già in delirio. Museeuw ha avuto due grandi eredi, Tom Boonen, prima, e Wout Van Aert, adesso. E avendo noi vissuto da vicino Boonen e ancora di più Van Aert è facile capire perché tanto calore anche per Johan.

«Ma quello è Museeuw!», pubblico in delirio e fuori gli smartphone
«Ma quello è Museeuw!», pubblico in delirio e fuori gli smartphone

Emozioni calde

Il campione belga è sempre sul pezzo. Tra l’altro gli facevamo le domande in francese e lui ci rispondeva in italiano. «Amo sempre l’Italia», ci ha detto Museeuw. Segno che tanti anni in Mapei qualcosa hanno lasciato… oltre alle bacheche piene di trofei s’intende!

«Dopo 25 anni ho rimesso piede su una pista. Il che è molto strano! Come è strana questa uniforme… che mi fa sudare tantissimo. La gente viene per la gara (la Sei Giorni di Gand, ndr), per divertirsi e per scoprire il personaggio misterioso. 

«Dopo tanti anni fa piacere questo calore del pubblico. Non è vero che un ex corridore non sente niente in certe situazioni».

Oggi il più applaudito in Belgio è Van Aert. Ormai lo abbiamo appurato nelle tante trasferte fatte in questa terra. 

«Beh – dice Museeuw – Wout è un grande corridore, ma non c’è solo lui in quanto a calore. Anche Remco Evenepoel è un atleta importantissimo e amato. In questo momento in Belgio abbiamo grandi corridori per il futuro. Meno male che voi non li avete e li abbiamo noi! Qui siamo a posto per i prossimi dieci anni».

Il tema di Van Aert al Giro d’Italia tiene banco in Belgio
Il tema di Van Aert al Giro d’Italia tiene banco in Belgio

Van Aert, rischio rosa

Con Museeuw abbiamo parlato proprio del corridore della Jumbo-Visma. In quei giorni Van Aert aveva detto di voler fare, e bene, il Giro d’Italia. Senza contare che aveva anche annunciato la sua assenza ai mondiali di cross seguita qualche giorno dopo anche da quella alla Sanremo. In Belgio non si parlava d’altro, almeno in ambito sportivo.

«L’idea della classifica al Giro – spiega perplesso Museeuw – per me è un po’ difficile per Van Aert. Quando puoi vincere il Fiandre o la Roubaix, puntare alla corsa rosa è molto rischioso. In classiche di quel genere lui ha nove possibilità su dieci di vincere, mentre di vincere il Giro ne ha cinque su dieci. Io non ho mai vinto la Sanremo, per esempio, ci ho provato, ho fatto tre volte secondo. Ma Sanremo e Giro sono due cose differenti. Se ho vinto il Fiandre, punto ancora al Fiandre».

Il discorso di Museeuw è chiaro: insistere laddove si può vincere. Ci sentiamo di dire che è anche un po’ una mentalità figlia di quegli anni. Anni in cui la specializzazione era massima, ma di certo non è da biasimare da un punto di vista prettamente tecnico.

Tour de France 2022, verso Hautacam, Van Aert resta da solo con Vingegaard e Pogacar. Quel giorno forse scatta qualcosa nella sua mente
Tour 2022, verso Hautacam, Van Aert resta da solo con Vingegaard e Pogacar. Quel giorno forse scatta qualcosa nella sua mente

Hautacam galeotto

L’idea di sacrificare troppo le classiche non convince dunque l’iridato di Lugano 1996.

«Se puoi vincere dalla Sanremo alla Liegi, passando per Fiandre e Roubaix, e forse tutti e cinque i monumenti, per me non devi cambiare le tue caratteristiche. Ma io sono vecchio!».

E’ voce più che comune che il tarlo della classifica sia entrato nella testa di Van Aert durante lo scorso Tour de France. In particolare quando verso Hautacam mise in difficoltà persino Pogacar, per di più dopo aver tirato come un folle per chilometri e giorni interi. Quel giorno Wout giunse terzo sul traguardo pirenaico.

«Che lui abbia fatto un Tour eccezionale è vero – prosegue Museeuw – Van Aert ha contribuito tantissimo al successo di Vingegaard, ma non vuol dire che può vincere il Giro o il Tour. E’ un’altra cosa fare classifica. Però è vero anche che ha un grande motore e vediamo a maggio cosa potrà fare. Per me comunque questa cosa è “pericolosa”».

Johan Museeuw (classe 1965) con la maglia iridata, oggi si gode il ciclismo da casa (foto Instagram)
Johan Museeuw (classe 1965) con la maglia iridata, oggi si gode il ciclismo da casa (foto Instagram)

Ciclismo e cappuccino

Museeuw è stato un campionissimo delle classiche. Specie quelle delle pietre. Tre Fiandre, tre Roubaix, un mondiale. Su 50 partenze nelle classiche monumento solo cinque ritiri. Lui è davvero il classico “fiammingone” e proprio per questo il ciclismo ce l’aveva e ce l’ha ancora dentro. Tanto è vero che segue moltissimo le corse. Ed è anche un accompagnatore cicloturistico: viene spesso in Italia.

«Cosa mi piace di questo ciclismo di oggi? Che vanno forte dall’inizio alla fine. Sono davvero dei fenomeni. E’ tutto un altro modo di correre rispetto a noi. Le gare sono divertenti.

«I corridori di oggi mi piacciono praticamente tutti. Okay i fenomeni, come Pogacar, Alaphilippe, Van der Poel, ma apprezzo anche i giovani corridori. Oggi i ragazzi hanno un bel carattere. E io seguo il ciclismo alla tv, con un cappuccino e un pezzo di torta… così è meno dura che pedalare!».

Un giorno ad Herentals dove tutto parla di Van Aert

19.11.2023
6 min
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HERENTALS (Belgio) – Capita che in una bella (chiaramente un eufemismo!) giornata d’autunno ci si ritrovi ad Herentals, il paese di Wout Van Aert. Pianura, pianura e ancora pianura. Piste ciclabili ovunque. Un campanile in stile gotico-fiammingo e tutto ordinato in un modo che è quasi irritante!

Ci mettiamo, come molti tifosi, in “pellegrinaggio”, vale a dire alla ricerca della casa di Van Aert. Sapevamo che comunque non lo avremmo incontrato. Wout era in Sud America da Rigoberto Uran. Però questo “gioco” non ha fatto altro che portarci ancora di più nel suo mondo.

Campagna “poco” tranquilla

Herentals, paese di 26.000 abitanti nelle Fiandre Orientali, fa parte della provincia di Anversa. Qui si respira ciclismo, nel raggio di 25 chilometri sono nati non si sa quanti campioni. Due su tutti? Eddy Merckx e Tom Boonen. Ed è la patria del ciclismo anche perché tutti vanno in bici e perché il mito non è solo Van Aert. Herentals è la patria di Rik Van Looy, uno dei tre assieme al Cannibale e De Vlaeminck, che è riuscito a vincere tutti e cinque i Monumenti. Anzi, ad essere pignoli questa è più la patria di Van Looy che di Van Aert. 

Il fuoriclasse della Jumbo-Visma è infatti di Lille, non quella francese, ma un paese omonimo poco distante da Herentals. 

E proprio nelle campagne tra Herentals e Lille, ma in territorio di Herentals, c’è la sua casa. Una bella villa. Assolutamente non esagerata, col giardino e il tetto spiovente. La tranquillità in teoria regna sovrana. Campi di rape, di barbabietole e ampi pascoli.

Quando siamo andati noi, pioveva a dirotto e non c’era davvero nessuno in giro, ma giusto qualche tempo fa Van Aert si era risentito. Aveva chiesto pubblicamente di essere lasciato in pace quando era a casa. «Ogni giorno viene da me qualcuno per autografi, selfie o per propormi questo o quell’evento. Ognuno con una sua storia, una richiesta… Ormai non rispondo più», riportava la Gazet van Antwerp. 

E scatta automatico il paragone con Remco Evenepoel, per molti belgi reo di essersi trasferito in Spagna. La metà dei tifosi ama Remco, l’altra metà decisamente no. Ma tutti tifano Van Aert.

E qui è davvero un Vip, come potrebbe essere un calciatore da noi. 

Si legge della nascita del suo secondogenito. Dell’acquisto di una nuova automobile. Del primo giorno di scuola del primogenito, con tanto di foto di mamma Sarah e papà Wout che lo accompagnano.

Nella patria del ciclocross

Da Lille a Herentals ci sono una dozzina di chilometri, forse meno. Van Aert abita nel mezzo come detto. Qui non c’è davvero lo spettro di una salita, neanche uno “zampellotto”. C’è da chiedersi come faccia questo atleta ad essere tanto forte quando la strada sale. Okay esserci portati, ma un minimo di allenamento, di feeling con le pendenze, servirà pure.

Però recupera in quanto ai percorsi di cross. In questi giorni in Belgio, abbiamo visto una quantità spropositata di nuovi percorsi ciclabili, anche gravel, per quella che è una vera rete ciclistica, e badate bene non abbiamo detto ciclabile, ma ciclistica. Van Aert dunque recupera con una zona particolarmente adatta al cross. 

E’ proprio dietro casa sua infatti che c’è la foresta di Bosbergen. Qui qualche lieve avvallamento c’è… relativamente al cross chiaramente. L’area di Bosbergen-Lichtaart è tutta in sterrato, è una roccaforte per la mtb, il gravel e appunto il ciclocross. Van Aert ha una vera palestra naturale. Ci abbiamo messo in naso: era un tappeto di foglie morte, ma i sentieri promettevano bene. Ci hanno detto che nel weekend è un brulicare di rider di ogni tipo.

Ad Herentals con Van Looy

Nei negozi di bici c’erano i poster di Van Aert. Sul vetro di un ufficio c’era Van Aert. In un grande cartello al centro della piazza che annunciava vari eventi, c’era Van Aert. E lo stesso Wout, ma anche Rik Van Looy, Erwin Vervecken e Sanne Cant, i quattro campioni del mondo della città, comparivano stilizzati su un murales nel quartiere Vest (nella foto di apertura).

Nella piazza centrale, la Grote Markt, di Herentals due anni fa andò in scena una super festa in onore del corridore, al ritorno dal Tour de France. Wout aveva vinto una tappa, la maglia verde ed era stato protagonista assoluto nella prima conquista della Grande Boucle del compagno Vingegaard. Si stima ci fossero quasi 40.000 persone e non tutte riuscirono ad entrare nella piazza.

Sempre in Grote Markt c’è la statuta di Van Looy. Lo hanno ritratto in veste borghese e in anzianità, come per sottolineare che Rik era uno di loro. Non c’era bisogno di metterlo su una bici per dire al mondo che quello era Van Looy e cosa aveva fatto.

Magari un giorno di fronte a Rik ci sarà anche la statua di Wout, come quelle di Peppone e Don Camillo a Brescello. Chissà, anche lui sarà riuscito a mettere nel sacco tutti e cinque i monumenti. O magari il Giro d’Italia.

Lappartient difende la “sua” Coppa o attacca il Belgio?

15.11.2023
4 min
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GAND (Belgio) – Da queste parti non si è ancora calmata la bufera lanciata lo scorso weekend dal presidente dell’UCI, David Lappartient. Il numero uno del ciclismo mondiale su DirectVélo aveva tuonato circa le assenze di diversi corridori di spicco nelle gare di Coppa del Mondo. Chi non farà la Coppa, non farà neanche i mondiali, né la Coppa stessa l’anno successivo: questa la summa del suo discorso.

Il che può anche starci, visto che Lappartient difende un prodotto gestito dell’UCI, ma il tutto ha preso altre pieghe quando all’interno di questa polemica ha inserito il nome di Thibau Nys, gioiellino rampante della Baloise-Trek-Lion e del cross belga.

Dendermonde, senza Van Empel e Pieterse era presumibile che Alvarado (in basso a destra) avrebbe vinto a mani basse
Dendermonde, senza Van Empel e Pieterse era presumibile che Alvarado (in basso a destra) avrebbe vinto a mani basse

La pietra dello scandalo

Il giovane Nys già da tempo aveva annunciato la sua assenza a Dendermonde, terza tappa della CdM, mentre era stato presente al Superprestige il giorno prima. Che poi è un po’ quel che avevano fatto altri big, in questo caso parliamo di due donne, Fem Van Empel e Puk Pieterse, solo che loro non avevano preferito un circuito “privato”, il Superprestige, a quello dell’UCI.

«E’ anche giusto che i ragazzi si riposino. Devono tirare il fiato. Non ci faremo mettere pressione. Serve un confronto con l’UCI», ha detto Sven Nys, papà di Thibau. In un amen suo figlio è diventato il simbolo di una lotta, quando altri ragazzi hanno fatto come lui.

E indirettamente le difese sono arrivate in suo soccorso. Bart Wellens, manager della Circus-ReUz-Technord non è stato leggerissimo con l’UCI. Di fatto ha detto che se si è arrivati a questa situazione è perché la stessa Federazione internazionale ha voluto espandere troppo il calendario della Coppa. 

«Sapevano – ha detto Wellens – che sarebbe successo questo con tante gare. Quest’anno tutto è stato amplificato dai lunghi trasferimenti (la CdM è partita dagli Usa, ndr). Una volta desideravi di correre in Coppa, adesso no». E ancora: «Un mondiale è qualcosa di speciale, senza i migliori non ha senso».

Bart Wellens, manager della Circus-ReUz-Technord
Bart Wellens, manager della Circus-ReUz-Technord

Nessuno tocchi quei tre

“Senza i migliori non ha senso”. E’ stata questa la domanda che a tutti e ad ogni latitudine è venuta spontanea: come la mettiamo allora con Wout Van Aert, Tom Pidcock e Mathieu Van der Poel? Loro non hanno fatto neanche una corsa dall’inizio della stagione del ciclocross. E con grandi probabilità saranno ancora loro a giocarsi la maglia iridata (non Van Aert, che ha già detto non ci sarà). Ma il concetto resta.

E qui ecco la levata di scudi: guai a toccare quei tre. Olandesi, ma soprattutto belgi, sono stati compatti: «Come si può fare un mondiale senza di loro?». Se questi atleti ci regalano tante emozioni durante l’anno – non solo nel cross – è anche perché fanno una certa programmazione. Lo hanno detto i tifosi, i giornalisti e persino i corridori, vedasi Lars Van der Haar.

Fatto sta che pochi giorni prima Van der Poel aveva presentato il suo calendario di gare e martedì, ma siamo certi sia stata una coincidenza, Van Aert, ha presentato il suo. 

In Belgio dall’8 ottobre al 21 febbraio sono previste 34 gare (dalle nazionali in su)
In Belgio dall’8 ottobre al 21 febbraio sono previste 34 gare (dalle nazionali in su)

Calendario e realtà

Alla fine forse il giudizio più importante è quello che il cittì belga della strada e del ciclocross, Sven Vanthourenhout, ha dato in tv a Sporza. Un quadro tecnico diretto e chiaro: «Certo che ci piacerebbe sempre vedere Van Aert all’opera nel cross, ma dobbiamo renderci conto che il ciclocross non è più la professione principale di corridori come Wout, Van der Poel o Pidcock. Sebbene la gente ami il ciclocross, non vede l’ora di vederlo competere al Fiandre, al Tour o ai mondiali su strada. Ma correre ovunque e sempre, non è più possibile. Questo fa parte del passato».

Le parole di Vanthourenhout, sono state rafforzate da quelle dello stesso Wout in seguito alla presentazione del suo calendario: «L’anno scorso ho trovato mentalmente difficile concentrarmi sulla stagione del ciclocross per poi passare subito alla primavera. Quest’anno non voglio lasciare nulla al caso per le classiche».

La polemica è in corso. Ora si aspetta il dibattito, ma appare chiaro che bisognerà rivedere soprattutto i numeri degli impegni. Tutti.

L’unica cosa che ci sentiamo di aggiungere, ma questa è una nostra sensazione, è che non sia stato un caso che Lappartient abbia tuonato proprio quando la “sua” Coppa faceva tappa in Belgio, a Dendermonde. E con il Superprestige di mezzo. Così come non è stato un caso mettere nel calderone un corridore belga, appunto Nys. Sappiamo infatti quanto sia importante il cross da queste parti e quanto sia “venerato” il Superprestige. E’ stato un colpo diretto a chi organizza troppe gare? Insomma le Federazioni che funzionano e “fanno cartello” infastidiscono l’UCI, che evidentemente ha meno controllo diretto.

Van Aert è uomo da grandi Giri? Risponde Saronni

12.11.2023
5 min
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La prima bordata l’ha portata Adrie Van Der Poel, padre di Mathieu, parlando dell’intenzione di cambiare strategia da parte di Van Aert: «Penso che sia il più grosso errore che possa fare – ha dichiarato a Het Nieuwsblad – inizierebbe a gareggiare contro la sua stessa natura. Dovrebbe pensare agli errori commessi: la cessione della vittoria a Laporte alla Gand-Wevelgem o la tattica sbagliata che ha impedito a De Lie di vincere per distacco gli europei».

A metterci il carico da dodici è stato Johan Museeuw: «Forse gli manca lo spirito omicida per vincere una gara – ha sentenziato a GCN – una come la Gand-Wevelgem non si regala: alla fine della carriera la cosa più importante è quanto hai vinto e non ciò che hai dato via. Van der Poel a volte fa da apripista per Philipsen, ma questo è tutto, è più assassino. Van Aert è bravo nelle gare di un giorno: ecco dove dovrebbe essere la sua attenzione».

Van Aert agli europei al fianco di Stuyven. La condotta in gara di Wout ha dato adito a polemiche
Van Aert agli europei al fianco di Stuyven. La condotta in gara di Wout ha dato adito a polemiche

Gli esempi di Maertens e Saronni

E’ chiaro che fa molto discutere la stagione vissuta dal belga, intrisa di secondi posti (ma potremmo dire l’intera carriera), unita alle voci di mettersi alla prova come leader della squadra in un grande Giro, certamente non il Tour, magari la corsa rosa. Non sarebbe la prima volta che un grande specialista delle classiche, che fa della velocità allo sprint la sua forza, prova il grande colpo: uno sprinter puro come Maertens vinse una Vuelta e tutti ricordano Saronni capace di elevarsi fino al doppio trionfo al Giro d’Italia.

Proprio il grande Beppe è l’uomo adatto per provare a entrare nei meandri di Van Aert, alle prese con un bivio fondamentale per la sua carriera: «Wout è uno di quei 5-6 corridori che ti fanno appassionare al ciclismo. Io da spettatore lo adoro, ma se poi mi metto a ragionare da ex corridore e da manager quale sono stato allora le cose cambiano. Se Van Aert corresse meglio, vincerebbe molto di più: è evidente».

Giuseppe Saronni, 66 anni, ha vinto il Giro d’Italia nel 1979 e 1983
Giuseppe Saronni, 66 anni, ha vinto il Giro d’Italia nel 1979 e 1983
L’idea di fare il capitano in un grande Giro ti trova d’accordo?

Forse andrò controcorrente, ma io dico di sì. Non dico che vincerà, anzi è molto probabile che ciò non avvenga, ma deve farlo ora perché il tempo passa. Deve però mettere prima di tutto ordine in se stesso, nelle sue ambizioni perché non puoi fare tutto, devi saper rinunciare. E’ un po’ il discorso di Pogacar, che può vincere davvero dappertutto come nessun altro, ma non ci riesce e col livello generale che c’è deve per forza fare delle scelte.

Ha ragione allora Museeuw nella distinzione che fa tra l’olandese e il belga…

Sicuramente. Fino allo scorso anno VDP correva in maniera sin troppo generosa, faceva spettacolo ma perdeva troppe occasioni. Poi ha fatto delle scelte, ha orientato la programmazione in funzione degli obiettivi mirati e i risultati si sono visti. Che sia chiaro un punto: a me Van Aert piace da morire, lo ricordo giovanissimo che correva con le bici Colnago, solo che deve disciplinarsi e sacrificare qualcosa.

L’ultima delle 6 vittorie del belga nel 2023, alla Coppa Bernocchi. Un bilancio insoddisfacente
L’ultima delle 6 vittorie del belga nel 2023, alla Coppa Bernocchi. Un bilancio insoddisfacente
Un Van Aert capitano in un grande Giro significa dover anche gestire la squadra nei tapponi di montagna. Per uno che è abituato a farlo nelle classiche d’un giorno è la stessa cosa?

No, cambia molto. Devi saper gestire la situazione, la classifica, saper valutare quali sono le tappe più dure per te e sfruttare la squadra in modo da perdere il meno possibile. Il vero e proprio “correre in difesa”, sapendo che le crono possono essere invece un dato a favore come anche gli abbuoni in tante tappe. Evenepoel è la stessa cosa, si sa ormai che nei tapponi ha dei limiti, sulle salite lunghe e ripetute alla fine paga dazio. Bisogna saper gestire proprio quelle situazioni per poter emergere.

Tu per impostazione tecnica ti sei trovato a gestire la stessa situazione e hai portato a casa la maglia rosa…

E’ improponibile fare paragoni fra epoche così diverse, il ciclismo è cambiato enormemente da allora. Io ero veloce perché da dilettante avevo svolto un’attività prevalentemente da pistard, anzi la strada non l’avevo mai preparata realmente. Quando sono passato e ho iniziato a fare la vita da professionista è cambiato tutto, ma proprio a livello esistenziale. Ho iniziato a preparare l’attività su strada in maniera metodica, vedevo che in salita e a cronometro mi difendevo, mi sono evoluto tecnicamente e alla fine ho capito che potevo essere competitivo anche in un grande Giro. Ma rispetto a oggi c’è una differenza fondamentale…

Nel gravel, Van Aert ha conquistato uno dei 6 successi 2023, ma l’impegno in più specialità rischia di costargli caro
Nel gravel, Van Aert ha conquistato uno dei 6 successi 2023, ma l’impegno in più specialità rischia di costargli caro
Quale?

Io arrivai a essere pro’ che dovevo imparare tutto, dovevo anche evolvermi muscolarmente. Oggi invece i ragazzi fanno attività metodica sin da giovanissimi, arrivano alla massima categoria che sono già svezzati da quel punto di vista, devono solo adeguarsi alle esigenze dell’attività. Sono già formati, preparati. Quel salto non c’è.

Tornando a Van Aert, non pensi che i tanti secondi posti alla fine pesino psicologicamente?

Questo può essere. Alcune vicende, come quella della Gand-Wevelgem, dicono che Wout è uno buono per carattere e questo pregio può anche diventare un difetto. C’è il rischio che alla fine ti abitui a finire secondo, che perdi quella grinta necessaria per dare la zampata finale. Vincere è qualcosa di particolare, può anche farti scattare qualcosa nella testa. Meglio non abituarsi ai secondi posti, lo dico per lui…

Le difficoltà del ciclocross. Scotti ne ha per tutti…

30.10.2023
6 min
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Con i protagonisti della strada a riposo e in giro per il mondo per le vacanze, l’attenzione è tutta incentrata sul ciclocross. L’attività sui prati è già entrata a pieno regime, con tappe di Coppa del Mondo ogni fine settimana abbinate a prove degli altri principali circuiti. Non ci sono naturalmente i grandi protagonisti. Van der Poel ha già annunciato che tornerà sui prati solo nella seconda metà di dicembre per la serie di gare del periodo natalizio. Probabilmente sia Van Aert che Pidcock, gli altri “tenori” seguiranno la stessa impostazione.

Per Van Aert e VDP un inverno con poche gare, come ormai prassi vista l’attività su strada
Per Van Aert e VDP un inverno con poche gare, come ormai prassi vista l’attività su strada

E’ chiaro quindi che fino ad allora seguiremo “un altro sport”, con altri protagonisti ma con la consapevolezza che i valori espressi non sono quelli assoluti. Un trend che si sta allargando. Fra le donne, dove continua il netto dominio olandese, c’è chi come la Van Anrooij comincia a selezionare le sue apparizioni. In Italia poi è ormai chiaro come il panorama di praticanti di vertice si sia ulteriormente ristretto. Il ciclocross continua ad essere visto come un fastidioso intermezzo per i nostri ciclisti.

Su questo e tanto altro abbiamo ragionato con Fausto Scotti, organizzatore del Giro d’Italia ma per anni commissario tecnico azzurro e profondo conoscitore del movimento da tutta una vita. Partendo proprio dalle considerazioni internazionali: «I tre campioni li vedremo sempre meno spesso. La loro stagione su strada è troppo intensa, ma non lasceranno l’attività sui prati e questo non solo per una questione di passione. Ogni gara vale per loro un ingaggio dai 15 ai 25 mila euro, è un’attrattiva di non poco conto, ma che sta anche creando squilibri».

Fausto Scotti, ex cittì azzurro, oggi organizzatore del Giro d’Italia di ciclocross
Fausto Scotti, ex cittì azzurro, oggi organizzatore del Giro d’Italia di ciclocross
In che senso?

Agli altri, a quelli che tirano la carretta per tutta la stagione resta poco, ma da parte loro c’è anche una certa rassegnazione sapendo del loro strapotere, anche se sono convinto che col tempo anche Thibau Nys salirà a quel livello, d’altro canto anche lui fa strada. I team dal canto loro hanno tutto l’interesse a lasciarli lavorare in pace e favorire le loro uscite nel ciclocross perché hanno ritorni d’immagine anche fuori stagione, con gli sponsor che vengono così gratificati nei loro investimenti. Gli organizzatori? Loro con gli introiti per ogni gara vedono i loro investimenti negli ingaggi ampiamente coperti. Hanno d’altronde protagonisti che ad ogni gara se le danno di santa ragione ma sempre nel reciproco rispetto. Ti garantiscono lo spettacolo.

Perché allora non seguire questa strada anche in Italia?

Intanto perché è un paragone improponibile considerando i nomi, ma anche a livello internazionale non tutto funziona. Questa continua volontà di portare la Coppa in America ad esempio non va. I team, piuttosto che programmare una trasferta simile preferiscono investire su un ritiro prestagionale in più che gli costa meno e coinvolge più gente. Guardate quanti sono andati a Waterloo, anche tra belgi e olandesi non erano così tanti.

Thibau Nys, vincitore della prima di Coppa negli Usa. Scotti è pronto a scommettere su di lui
Thibau Nys, vincitore della prima di Coppa negli Usa. Scotti è pronto a scommettere su di lui
Torniamo in Italia: spesso si sono criticati i diesse perché negano i permessi ai loro atleti per l’attività invernale, Si diceva che con l’avvento della multidisciplinarietà stava cambiando questa cultura, ma oggi senti i ragazzi più giovani che dicono che non vogliono più fare ciclocross per curare la preparazione per la strada. Allora di chi è la colpa?

E’ un discorso che coinvolge tanti attori e tante responsabilità. Iniziamo dai procuratori, che prendono i ragazzi da quando sono allievi, li lasciano correre nelle varie discipline ma appena possono li indirizzano verso quelle più remunerative. Faccio l’esempio di Fiorin che da ragazzo faceva un po’ tutto e che viene da una tradizione familiare dove il ciclocross era molto apprezzato, il padre l’ha quasi svezzato sui prati. Ora che è junior però viene spinto a fare solo strada e pista perché lì può emergere e soprattutto ha maggiori obiettivi, anche olimpici.

E i team che voce hanno?

I team guardano ai soldi, chi ha i campioni li coccola e chi non li ha cerca altre strade. In Italia come si diceva si dà molta colpa alle squadre ma io con loro ho lavorato per anni. Guardate Reverberi: a Paletti non ha messo limitazioni, ma qui è la famiglia che comincia ad avere perplessità, perché il ragazzo d’inverno rischia di avere un’attività ancor più stressante, fra allenamenti per la strada e le trasferte del fine settimana.

Luca Paletti sta gareggiando con regolarità, una rarità fra i pro’ italiani (foto Lisa Paletti)
Luca Paletti sta gareggiando con regolarità, una rarità fra i pro’ italiani (foto Lisa Paletti)
Che cosa servirebbe allora per dare un’inversione di tendenza?

Semplice: una vagonata di denaro. Per fare un team di primo piano che agisca su tutto, come l’Alpecin, servono decine di milioni di euro e dove sono gli sponsor italiani che possono investire tanto? Che cosa si garantisce loro?

Torniamo però al punto di prima, gli stessi ragazzi che sono contrari anche a fare qualche semplice gara per allentare la preparazione. Toneatti ad esempio vuole concentrarsi sulla strada…

Qui entriamo in un altro campo: la consapevolezza di sé dell’atleta. Davide era nato come ciclocrossista, i suoi risultati li ha ottenuti lì, è con quelli che l’Astana l’ha preso. Ora rinuncia alla disciplina dove aveva più chance di emergere per puntare alla strada dove le porte sono obiettivamente chiuse.

Per la Realini il ciclocross è ormai un bel ricordo. Ma siamo sicuri che qualche gara senza assilli non sia utile?
Per la Realini il ciclocross è ormai un bel ricordo. Ma siamo sicuri che qualche gara senza assilli non sia utile?
E in campo femminile?

Avviene un po’ lo stesso. La Realini ormai non fa più ciclocross, con lei ho parlato a lungo, non è per pressioni esterne ma più per delusioni avute in questo ambiente, ad esempio la mancata convocazione per i mondiali americani. La Persico ha staccato la spina e forse farà qualche gara fra dicembre e gennaio, ma il 2024 è anno olimpico e lei può ambire non solo a partecipare a Parigi. Sono tutte cose che devi mettere nel conto: Silvia ha pagato l’attività nel ciclocross in questa stagione faticando a trovare la miglior forma perché non si era fermata mai. Lei al mondiale potrebbe anche far bene, ma le servono almeno 5-6 gare per trovare la forma.

Poi però ci sono casi come la Venturelli che reclama addirittura la possibilità di competere anche d’inverno perché le dà la carica per affrontare la preparazione…

Ma lei è junior, siamo sicuri che le cose non cambieranno passando di categoria? Io credo che la vedremo sempre meno nel ciclocross per privilegiare strada e pista, perché i suoi orizzonti sono già proiettati verso Los Angeles 2028, lì potrà davvero scrivere pagine storiche per tutto lo sport italiano. Intanto però non credo che quest’anno la vedremo spesso sui prati…

In Italia l’attività è aumentata, i praticanti anche, ma mancano reali investimenti (foto Lisa Paletti)
In Italia l’attività è aumentata, i praticanti anche, ma mancano reali investimenti (foto Lisa Paletti)
Fa bene Pontoni a lavorare quasi esclusivamente sui giovani?

Che altro dovrebbe fare? Talenti veri non ce ne sono, quelli che abbiamo come Bertolini si sono persi inseguendo fantasmi come una convocazione olimpica nella mtb penalizzando quella che era la sua via preferenziale. Puoi lavorare sulle categorie giovanili, far crescere i ragazzi, poi loro prenderanno la direzione più redditizia e certamente non è il ciclocross perché chi ci investe sopra?

Van Aert e Van der Poel: il bilancio di Bartoli un anno dopo

19.10.2023
5 min
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Wout Van Aert e Mathieu Van der Poel con Bartoli un anno dopo. Il grande ex toscano, oggi preparatore, aveva stilato un bilancio e un’analisi tra i due. Dopo una stagione tanto diversa per l’olandese e il belga non possiamo non riprendere il discorso.

Ma prima un rapidissimo sunto di cosa è stato il loro 2023. Van der Poel vince il mondiale di cross a gennaio in volata sul rivale, ma perdendo quasi tutti i duelli di avvicinamento con Van Aert. Segue un periodo di stacco molto simile, poi una primavera che si chiude per entrambi con la Roubaix. Il Tour, il mondiale (Van Aert ha fatto anche la crono, Van der Poel no) e poi un finale leggermente differente.

In totale 46 giorni di gara su strada per Van der Poel, 54 per Van Aert. I due quest’anno hanno gareggiato insieme 31 volte: in 17 occasioni è arrivato prima Van Aert, in 14 Van der Poel. Solo che il corridore della l’Alpecin-Deceuninck ha vinto alla Roubaix, alla Sanremo e al mondiale.

Michele, partiamo appunto dal quadro d’insieme della loro stagione. Che idea ti sei fatto?

Il rendimento è stato super per entrambi, il risultato super per uno solo, Van der Poel chiaramente. Io pendo per Van Aert, ma in quanto all’essere vincenti, se VdP continua così gli dà un bel distacco.

Mondiale di cross, VdP batte Van Aert e da quel momento l’annata prende la direzione in favore dell’olandese
Mondiale di cross, VdP batte Van Aert e da quel momento l’annata prende la direzione in favore dell’olandese
Come mai questa differenza?

Perché Van Aert è troppo generoso, è sempre preso anche nelle dinamiche di squadra. Lui è sempre protagonista anche nelle corse a tappe, grandi o piccole che siano. Mentre Van der Poel si stacca, recupera, non fa la stessa fatica e questo oltre che dargli un risparmio fisico, gli porta anche un risparmio di energie mentali. Lo fa essere più “cattivo”, più pronto nelle tappe in cui punta. Il che è fisiologico. 

Chiaro…

Accumuli voglia, desiderio, puoi fare un picco più marcato. Su 60 gare, Van Aert ne fa 55 a tutta, Van der Poel ne fa 20, ma quelle 20 le centra.

Ci avevi detto che prima o poi avrebbero dovuto scegliere se continuare con il ciclocross. Inizieranno a pensarci davvero? Van Aert ha detto che vorrebbe fare qualcosa di meno in tal senso…

Quella era ed è la mia idea. Anno dopo anno il non staccare diventa pesante sul piano psicologico. Poi magari loro hanno una grande convinzione e mentalmente sono ben predisposti, ma con l’andare avanti dell’età le cose cambiano. A me per esempio se a 27-28 anni avessero detto che a 33 non avrei più avuto la stessa voglia, li avrei presi per matti. Gli avrei risposto che avrei corso fino a 40 anni. Ma poi a un certo punto inizi ad avere più bisogno di recupero. E’ anche vero che loro di super hanno tanto e di umano poco!

Van der Poel al lavoro per Philipsen, l’olandese quest’anno è stato anche gregario
Van der Poel al lavoro per Philipsen, l’olandese quest’anno è stato anche gregario
Michele, quanto conta anche l’aspetto economico riguardo al cross? Oppure lo fanno per solo passione? O magari per abitudine?

Io dico passione. Chiaro che la parte economica ha importanza ma credo che loro non abbiano bisogno di quello.

E facendo un discorso di preparazione, se lo ritrovano o è un boomerang?

Gli serve, è un beneficio. Sono sforzi intensi che da giovane allenarli ha poca importanza, da grandicelli ne ha di più, da “vecchi” si dovrebbe fare solo quel tipo di sforzo, perché i fuorigiri si perdono più facilmente.

Ma questo non cozza un po’ col discorso che il cross li logora?

Ma conta anche la mente. Quel tipo di allenamento lo si può ricreare anche senza cross. Se lo fanno non è un danno. Non dico che gli faccia bene, ma dico che non gli fa male. Poi c’è un aspetto da valutare: la percezione della fatica non è sempre uguale. Ad una certa età ti sembra stare al 100 per cento, a tutta, e invece sei al 90 ed è lì che cala la prestazione. Tu magari potresti ancora rendere in quel modo, ma non sopporti più fatica allo stesso livello.

All’europeo Van Aert è 2°: pochi “millimetri” che secondo Bartoli sono dovuti ad un maggior dispendio energetico
All’europeo Van Aert è 2°: pochi “millimetri” dovuti forse ad un maggior dispendio energetico
Nelle “non vittorie” di Van Aert, incidono gli ordini di scuderia? L’altro invece ha carta bianca…

Non so come siano organizzati in Jumbo-Visma e come gestiscano certe dinamiche, ma Van Aert ha più responsabilità e spesso le prende da solo… proprio perché è un generoso. Però devo dire che anche VdP si è messo nei panni dell’aiutante. E anche bene, ma solo per Philipsen. L’altro aveva Vingegaard, Roglic, Kooij, Kuss… VdP doveva lavorare nei finali in pianura, l’altro in salita.

Dopo questa stagione Van Aert lo patisce psicologicamente?

Un po’ credo di sì. Col carattere che avevo io, sapendo che in volata mi avrebbe battuto o che già era davanti, avrei dato una frenatina per fare quarto. Non sarei salito sul podio con quel tipo di rivale. Mi avrebbe dato fastidio.

Van Aert ha anche le crono, VdP la Mtb, ma l’ha gestita col contagocce…

Io infatti non sono sorpreso per i risultati, ma proprio per la sua gestione. VdP è stato bravo. Così come approvo che la sera finale del Tour se ne sia stato tranquillo e non sia andato alla cena con gli sponsor. In certi momenti, al termine di una gara di tre settimane e con un mondiale in testa, stare fuori anche solo due ore in più equivale ad un mese