Nimbl, primi sette mesi ai piedi dei giganti

04.07.2023
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Ai piedi dei giganti. Il primo anno di Nimbl come fornitore di scarpe al Team Jumbo-Visma ha portato una serie di bei risultati, fra cui la doppia vittoria al Giro d’Italia: prima con Roglic fra i grandi e poi con Staune-Mittet fra gi under 23. Le scarpe marchigiane, rese più accattivanti dall’investimento e dalle conoscenze di Francesco Sergio, non le conoscevano in tanti, ma adesso sono diventate l’oggetto del desiderio (in apertura Vingegaard in giallo al Delfinato). E qui scatta la curiosità: che cosa significa uscire dalla nicchia e salire sul grande palco ai piedi dei campioni?

«Facciamo un passo indietro – sorride Francesco Sergio – torniamo a quando mi hanno chiamato e mi hanno praticamente chiesto di sponsorizzarli. Avevamo già 75 corridori da fornire, sapevo che i miei partner mi avrebbero mandato a quel paese e così è stato. Ma la Jumbo-Visma è arrivata e abbiamo scoperto un gruppo di tecnici molto precisi. Ci aiutano molto nello sviluppo del prodotto. Sono una delle squadre più organizzate che abbia visto in 20 anni di sport e marketing, seguendo il Cervélo Test Team, la Garmin e la Dimension Data».

Il logo del Tour de France e il doppio Boa: primo Tour ai piedi della Jumbo Visma (foto Nimbl)
Il logo del Tour de France e il doppio Boa: primo Tour ai piedi della Jumbo Visma (foto Nimbl)
In cosa sono così bravi?

Poco prima che partisse il Tour, sono venuti in azienda due ingegneri da Eindhoven. Avevano trovato delle migliorie da implementare nella larghezza dei fori per le tacchette. Una cosa che nessuno avrebbe notato, ma di cui si erano accorti. Hanno voluto sapere come forassimo la suola in carbonio e sono stati per 3-4 giorni in officina, seguendo il procedimento. In pratica abbiamo una macchina a controllo numerico che fa i fori. Una volta venivano fatti a mano, ora ci pensa il macchinario. Mettiamo la suola in carbonio nella forma che poggia su un supporto di legno multistrato e la macchina fora secondo le misure che gli diamo.

Vuoi dire che il multistrato cedeva e produceva una differenza?

Esatto. Hanno visto per mille volte il processo, finché un mattino è venuto uno di loro, dicendo di aver studiato il video per tutta la notte e di essersi accorto che il legno assorbiva troppo la pressione del trapano. Quello scostamento minimo provocava una piccola usura laterale dei fori. Messa una base rigida di metallo, il problema è sparito.

Un bel supporto, niente da dire.

Hanno tante attenzioni, ma chiaramente non possiamo usare le loro specifiche per gli altri corridori.

Durante il Giro d’Italia è filato tutto liscio?

Di base sì, anche se per esempio abbiamo avuto un problema con la consegna delle scarpe da crono di Roglic. Ci hanno chiesto di non mandarle a Tenerife, ma di spedirle a Monaco. Solo che il portiere ha dimenticato di avvertirlo e così Primoz ha fatto la prima crono senza le scarpe speciali.

Parliamo di quelle totalmente in carbonio?

Esatto, proprio quelle. Farle è complicato, bisogna trovare il giusto compromesso fra leggerezza della scarpa, peso e potenza del corridore. Per arrivare a metterle a punto sono serviti molti tentativi, durante i quali è capitato anche che alcune si rompessero. Provate a immaginare la differenza di spinta fra un corridore come Vingegaard, che pesa 50 chili e spingerà al massimo 1.200 watt, e uno come Van Aert, che pesa 78 chili e spinge 2.000 watt. Ognuno ha le sue specifiche.

Le scarpe da cronometro sono leggere e aerodinamiche, tutte in carbonio. La chiusura è sotto (foto Nimbl)
Le scarpe da cronometro sono leggere e aerodinamiche, tutte in carbonio. La chiusura è sotto (foto Nimbl)
Un lavoro di grande precisione, quindi?

Tutto questo a noi serve. Siamo un’azienda nuova che ha una tecnologia diversa dagli altri, noi non facciamo una “suolona” grande perché non si rompa. Facciamo una suola fatta a mano, con il layup fatto a mano e il posizionamento del carbonio fatto in base alle varie sollecitazioni. Quindi di base può succedere di sbagliare qualcosa, non siamo ancora alla perfezione. La scarpa da crono non deve essere leggera, ma aerodinamica. La scarpa superleggera però esiste e l’abbiamo fatta per Vingegaard…

Quanto superleggera?

Pesa meno di 180 grammi, ce l’ha adesso al Tour. Però va usata poche volte, solo quando è veramente necessario, perché è troppo delicata per usarla tutti i giorni.

Quante scarpe fornite per ciascun corridore?

Di base e per loro stessa richiesta, dovremmo fornire tre paia. Il primo anno che con Cervélo sponsorizzammo la CSC, eravamo d’accordo con Riis che avremmo fornito 60 bici. Alla fine dell’anno gliene avevamo date 300. Quante scarpe abbiamo dato finora a Vingegaard? Non meno di 8-9, ma per noi non è un problema. Se anche ne chiedono 10, possiamo dargliele. Anche perché…

Van Aert e le sue scarpe: per la realizzazione di quelle da crono si è tenuto conto di peso e potenza
Van Aert e le sue scarpe: per la realizzazione di quelle da crono si è tenuto conto di peso e potenza
Che cosa?

Quando un corridore cade, si graffiano le scarpe e io le cambio. Non voglio vedere i corridori con le scarpe rotte. Facciamo così con tutti, non solo quelli della Jumbo, anche quelli della Ineos per esempio.

State avendo un ritorno di immagine da questa sponsorizzazione?

E’ impressionante, neanche con Cervélo ho mai avuto questo ritorno sull’investimento. Si sta rivelando una leva incredibile, è come passare da 100 a 250 all’ora in un secondo. Facciamo fatica a stare dietro alla produzione. Cerchiamo di vendere molto online, anche se i punti vendita ci sono. In Spagna si chiamano “negozi pilota”, così ne abbiamo 2-3 per ogni Nazione dove le scarpe si possono vedere e toccare. Nella vendita siamo molto flessibili. Se non ti trovi con la misura, le mandi indietro e te ne mandiamo un altro paio, visto che sono scarpe che costano. E se anche tornano indietro, sappiamo esattamente dove mandarle.

C’è qualcuno che segue gli atleti Nimbl alle corse, oppure li equipaggiate prima con quel che serve?

Io sono andato a Bilbao, ma non per fare assistenza. Diamo tacchette e cricchetti prima che partano, le uniche cose della scarpa che puoi dover cambiare. Si smontano e si avvitano e si incollano senza alcun problema. Hanno anche 2-3 scarpini di scorta e se poi hanno qualche urgenza, come è già successo, gli facciamo la scarpa nuova in tre ore. Diverso se serve rifare le scarpe su misura di Vingegaard, perché servono due giorni. Come lui ce ne sono solo 6-7 nella Jumbo-Visma. E se proprio devo dire, va bene così. Non sono troppo favorevole al personalizzato per tutti, ma loro sono attentissimi ai minimi dettagli. Perciò se lo chiedono, siamo qui per accontentarli…

EDITORIALE / Perché hanno lasciato Van Aert da solo?

03.07.2023
5 min
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Qualcosa che scricchiola c’è. Magari si tratta del necessario assestamento delle prime tappe, magari la condizione non è quella sperata, ma di certo la Jumbo-Visma che ieri ha lasciato solo Van Aert nella rincorsa al possibile successo di tappa è parsa differente dalla corazzata coesa e infallibile del 2022. Wout (in apertura nella foto Jumbo-Visma) avrebbe meritato altro aiuto.

Sin da quando Pello Bilbao ha attaccato nella discesa dell’Alto de Jaizkibel, il belga si è trovato a condurre l’inseguimento in prima persona. Stessa cosa quando l’attacco è venuto da Pidcock e poi da Skjelmose. Vingegaard era lì, ma (giustamente) non si è mosso. E così Wout ha dovuto chiudere da sé sprecando le forze che non ha avuto in volata. Aveva al suo fianco Benoot e Keldermann, che però si sono fatti trovare impreparati o in coda al gruppo. Visto che anche Kuss ha perso le ruote in salita (Sepp ha corso il Giro ed è credibile che abbia iniziato il Tour dovendo ancora crescere), sarebbe preoccupante trovarsi con gregari a corto di gambe già il secondo giorno. Problema inedito e incredibile, data la precisione millimetrica del team olandese in ogni cosa che faccia.

All’inseguimento di Pidcock, dopo aver tirato dietro Bilbao. Benoot e Kelderman sono dietro a bocca aperta
All’inseguimento di Pidcock, dopo aver tirato dietro Bilbao. Benoot e Kelderman sono dietro a bocca aperta

Le parole di Jonas

Ancora più strane suonano le dichiarazioni di Vingegaard dopo la tappa, quando gli è stato fatto notare l’apparente scollamento nella squadra. Non spettava a lui lavorare per Wout, anche se forse una mezza tirata nel finale non gli avrebbe portato via le energie per vincere il Tour e sarebbe stata un buon investimento in vista delle fatiche che certamente saranno richieste al belga nel prosieguo della gara.

«Sono contento della mia condizione – ha raccontato ieri sul traguardo di San Sebastian – sono dove volevo essere, ma oggi eravamo venuti per vincere. Credo di aver fatto il possibile per Wout. Avrei potuto essere egoista e andare via con Pogacar in discesa, ma non gli ho dato cambi. Ho fatto quello che dovevo per aiutare Wout. Non è molto corretto dire che non ho fatto quel che dovevo. Abbiamo obiettivi diversi, ma siamo tutti molto delusi, anche io. Volevamo davvero che vincesse oggi. Ma Lafay è stato davvero impressionante, con un buon attacco, non siamo riusciti a riprenderlo e si è meritato la vittoria».

Vingegaard sui rulli dopo la tappa: il danese respinge le critiche e dice di aver fatto il possibile per il compagno
Vingegaard sui rulli dopo la tappa: il danese respinge le critiche e dice di aver fatto il possibile per il compagno

Lo sfogo di Wout

Dopo l’arrivo, Van Aert ha picchiato il pugno sul manubrio, ha gettato la borraccia a terra e si è rifugiato sul pullman, dopo avervi poggiato contro la bici con veemenza. Poi, fatta la doccia, ne è sceso con il cappellino girato e un sorriso forzato. Non ha rilasciato dichiarazioni e ha chiesto di essere portato in hotel con l’ammiraglia. Anche in questo caso, potrebbe non esserci sotto nulla: capita che i leader vogliano guadagnare tempo rispetto al protocollo. Sarà così?

Si può perdere una corsa e finora il belga ha sempre dimostrato di saper stare al gioco, commentando ogni sconfitta. Una reazione così plateale fa pensare che qualcosa non abbia funzionato. La stessa dinamica della volata è stata paradossale. Mentre Lafay addentava gli ultimi metri, Keldermann e Benoot non hanno avuto gambe per provare a chiudere e lo stesso Van Aert, certamente stanco, ha esitato troppo prima di partire. Probabilmente è presto per parlare di tradimento, ma se picchiare il pugno sul tavolo serve a pretendere che gli venga restituito quel che ha sempre fatto per la squadra, allora Wout ha scelto di essere subito chiaro.

«Sciocchezze totali – dice il diesse Grischa Niermann – se qualcuno ha sbagliato, sono io. Il mio obiettivo era che Vingegaard fosse a ruota di Pogacar per stare con lui negli sprint e perdere meno possibile con gli abbuoni. Quando Lafay ha attaccato, non era compito di Jonas passare in testa. E’ stata una mia scelta dire a Tiesj e Wilco che cercassero di colmare il divario».

Alla vigilia della partenza, Vingegaard e Van Aert provano il percorso di Bilbao. Regna l’accordo
Alla vigilia della partenza, Vingegaard e Van Aert provano il percorso di Bilbao. Regna l’accordo

Il 2023 (finora) opaco

A margine di tutto ciò, va annotato che non tutti gli anni sono uguali e il Van Aert del 2023 è lontano parente del portento dello scorso anno. Ce ne siamo accorti sin dalle prime corse e nelle grandi classiche. Dopo una stagione da cannibale nel cross, in cui si è divertito a vincere una mole notevole di gare (9 vittorie su 14 gare disputate), Wout si è presentato al via della stagione su strada convinto di aver recuperato come al solito, invece così non è stato. E Van der Poel, che quest’anno ha adottato una tattica più cauta, lo ha battuto nei mondiali di cross poi alla Sanremo e alla Roubaix (vinte entrambe) e al Fiandre, in cui meglio di entrambi ha fatto Pogacar. Forse il continuo crescere del livello richiede scelte nei programmi o magari nell’avvicinamento al Tour, Van Aert ha seguito strade diverse: ad esempio qualcuno continua a dire di vederlo molto più magro che in passato: scelta ponderata in vista delle montagne?

Solo i corridori e lo staff della Jumbo-Visma sanno quali siano effettivamente i rapporti dietro alle porte chiuse, ma di certo quel che abbiamo visto ieri stride rispetto alla infallibile macchina da guerra del 2022. Per ora, in un teorico scontro fra squadre, la UAE Emirates sta conducendo il gioco con maggior convinzione. Ma il Tour è appena iniziato, ci sarà il tempo per ribaltamenti e riscritture. Intanto sarà bene applicare qualche goccia d’olio, che metta a posto gli scricchiolii di troppo.

Caccia alla maglia verde: Petacchi scopre le carte

01.07.2023
4 min
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Parte oggi da Bilbao la 110ª edizione del Tour de France, tra tutte le domande che ci accompagneranno fino a Parigi c’è anche quella che riguarda la maglia verde. L’anno scorso la vinse Van Aert con bel 194 punti di vantaggio su Philipsen. Chi riuscirà a vincerla? Sarà ancora terreno di caccia per il belga (in apertura sul podio di Parigi nel 2022) oppure tornerà sulle spalle di un velocista? 

Ne parliamo con Alessandro Petacchi, ultimo italiano a vincere la maglia verde, nel 2010. L’ex velocista, seguirà questo Tour da casa e poi volerà a Glasgow per commentare i mondiali con la RAI. 

Cavendish nel 2021 non partiva favorito, ma ha vinto la maglia verde: occhio a sottovalutare “Cannonball”
Cavendish nel 2021 non partiva favorito, ma ha vinto la maglia verde: occhio a sottovalutare “Cannonball”

Ricordi “verdi”

«Da quel Tour del 2010 – racconta Petacchi – è passato qualche anno, ma i ricordi si fanno più vivi quando si avvicina la Grande Boucle. Negli ultimi anni ho fatto anche le ricognizioni e mi è capitato di passare per certi posti e città dalle quali ero passato anche in quell’anno. Salire sul podio degli Champs Elysées ha un fascino incredibile, ti lascia un qualcosa dentro di indescrivibile. Quel podio rimane il più particolare del mondo ciclistico, rivivere ricordi e foto è sempre bellissimo».

Petacchi conquistò la maglia verde nel Tour del 2020, lottando sino in fondo con Cavendish
Petacchi conquistò la maglia verde nel Tour del 2020, lottando sino in fondo con Cavendish
In quel Tour lottasti per la maglia verde con Cavendish, che oggi sarà al via di Bilbao…

Ricordo bene la tappa di Parigi, io ero in maglia verde, ma dovevo stare attento, perché a Cavendish bastavano pochi punti per superarmi. E’ stata una giornata difficile, dove però sono riuscito a fare una bella volata: ho perso, ma ho mantenuto la maglia verde.

Quest’anno Cavendish potrà lottare per la maglia verde?

Non è il primo favorito, lo metterei tra quelli con quattro stelle. Lui arriva al Tour con l’obiettivo della 35ª vittoria: per superare Merckx, gli basta una sola vittoria. Ora ci sono tanti velocisti giovani e forti, ma lui è sempre in grado di tirare fuori il coniglio dal cilindro. Basti pensare al 2021, arrivava senza grandi ambizioni, ha vinto quattro tappe e la maglia verde. 

Il percorso quest’anno sorride un po’ più ai velocisti?

Le possibilità sono più alte di vedere un velocista puro in maglia verde a Parigi. Tuttavia la condizione deve essere più che al massimo. Ovvio che chi va al Tour sta bene, ma a volte non basta nemmeno questo. 

Jakobsen è il velocista più forte secondo Petacchi, ma in salita soffre tanto, in foto a Peyragudes quando si è salvato per una manciata di secondi
Jakobsen è il velocista più forte, ma in salita soffre, qui a Peyragudes quando si è salvato per una manciata di secondi
Il tour favorito chi è?

Dipende dagli obiettivi suoi e della squadra, ma su tutti direi Van Aert. Può vincere o comunque fare punti nelle volate di gruppo. E potrebbe anche mettere in piedi un numero come quello dello scorso anno a Calais… Però c’è un’incognita…

Quale?

La squadra. Vingegaard corre per vincere il Tour e dovranno supportarlo al meglio, lo stesso Van Aert dovrà mettersi al suo servizio. Lo ha fatto anche lo scorso anno, però non è sempre semplice gestirsi. Sicuramente il belga va forte ovunque, anche in salita, ma in alcune tappe i velocisti potrebbero tirare il fiato e recuperare, mentre lui lavorerà per la squadra. 

Passiamo ai velocisti, chi vedi tra i favoriti per la maglia verde?

Philipsen è il più gettonato, considerando il supporto che avrà da Van Der Poel. Avere un corridore del suo calibro come “pesce pilota” può far uscire qualcosa di bello. 

Philipsen ha vinto due tappe l’anno scorso, tra cui la più ambita: quella degli Champs Elysées
Philipsen ha vinto due tappe l’anno scorso, tra cui la più ambita: quella degli Champs Elysées
Altri?

Il velocista più forte del mondo: Jakobsen. Se è in forma ha davvero un qualcosa di incredibile. Nel suo caso la squadra lavorerà tutta per lui, quindi godrà di un bel supporto. Anche se c’è da dire che lui in montagna soffre tantissimo, basti ricordare la tappa di Peyragudes quando si è salvato per dieci secondi dal tempo massimo. Poi ci sarebbe Groenewegen, anche lui velocista puro. 

E’ un Tour che parte subito molto duro.

Le prime tappe saranno importanti, soprattutto la prima e la seconda. Il percorso non si addice ai velocisti e se un uomo come Van Aert dovesse già prendere la maglia verde potrebbe essere difficile tirargliela via.

Evenepoel e Van Aert, voci fiamminghe dalla Svizzera

18.06.2023
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Come quello che fece Lance a Limoges. Dell’americano si può dire quel che si vuole, ma in quel giorno del 1995, arrivando con le dita che indicavano Fabio Casartelli nel cielo di Francia, ci toccò i cuori come poche altre volte. Ieri Remco Evenepoel ha fatto qualcosa del genere, anche se Gino Mader non era suo compagno di squadra e Dio solo sa quanto puoi essere scosso quando hai visto morire un tuo amico. Armstrong invece partì per fare quel gesto, il campione del mondo lo ha sentito nascere da dentro e lo ha assecondato.

«Non era questo il piano stamattina – ha detto Evenepoel – volevo aiutare i nostri velocisti Merlier e Van Lerberghe, ma sono stati loro a chiedermi di provare. E’ stata una bella vittoria, ma non è questa la cosa più importante oggi. Era più importante onorare Gino e penso che questo sia stato il modo migliore per farlo. La mia mente non era sulla vittoria quando ho tagliato il traguardo. Ho pensato solo a Gino, alla sua famiglia e ai suoi cari».

Come per Jakobsen

La tappa di Weinfelden è iniziata con un toccante minuto di silenzio in memoria di Gino Mader. I corridori si sono tolti i caschi e una colomba bianca è stata fatta volare verso il cielo. Il Team Bahrain Victorious, la Intermarché e la Tudor Pro Cycling non erano al via, mentre altri 37 corridori si sono ritirati non sopportando il dolore. Il mattino infatti aveva ancora il sapore della morte. Il dio dei ciclisti, che in tante occasioni ha tenuto una mano sul capo dei suoi figli, l’altro giorno non c’era: Evenepoel lo sa bene. A lui ha salvato la vita quando volò giù dal ponte al Giro di Lombardia.

«Questa vittoria – ha detto Evenepoel – mi ricorda quando al Giro di Polonia vinsi per Jakobsen dopo il suo incidente. Questo però è stato molto peggio ovviamente. Fabio può ancora fare quello che gli piace fare con la sua famiglia, purtroppo Gino non può più. Preferisco dare tutti i premi che ho ricevuto per la mia vittoria alla famiglia di Mader. Cercherò di fare il massimo per sostenerli, ma so anche che questo non lo riporterà indietro».

La lettura di Van Aert

Anche Wout Van Aert, giunto secondo all’arrivo, ha raccontato di aver pedalato per tutto il giorno con uno strano senso di disagio addosso.

«E’ stato un po’ strano – ha detto – ma d’altra parte credo fosse giusto ricominciare a correre. Ho pensato che sia stata una decisione giusta e penso che tutti abbiano rispettato il modo in cui l’abbiamo gestita. Ho trovato positivo che non ci sia stata una vera battaglia, ma ho sentito molto rispetto nel gruppo. Alcune squadre non volevano continuare, altre hanno pensato che fosse una buona decisione. Bene che abbiamo rispettato l’opinione di tutti e che non ci sono stati attacchi subito dopo l’inizio. E’ stato più giusto andare di nuovo a tutto gas su una salita e per me è stato il modo giusto per affrontare la giornata. In questo modo abbiamo rispettato anche gli spettatori».

Evenepoel non aveva in programma di attaccare, sono stati i compagni a spingerlo
Evenepoel non aveva in programma di attaccare, sono stati i compagni a spingerlo

Tutto nella crono

E così il Giro di Svizzera è arrivato faticosamente all’ultima tappa: la cronometro di Abtwil, che in 25,7 chilometri metterà ordine fra le ambizioni dei contendenti. La prima, di soli 12,7 chilometri a Einsiedeln, ha visto la vittoria di Kung su Remco e Van Aert. La maglia di leader la indossa ancora Skjelmose, con 8 secondi di vantaggio su Gall, 18 su Ayuso, 46 su Evenepoel.

«Domani cercherò ovviamente di puntare alla vittoria finale – ha detto Remco a Het Nieuwsblad – ma voglio soprattutto avere buone gambe e vincere la tappa. E poi vedremo dove finirò in classifica. Mi rendo conto che sarà difficile rubare la maglia gialla a Skjelmose, ma alla fine siamo davvero vicini».

Malori sulla crono dello Svizzera. Kung favorito naturale

14.06.2023
5 min
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Il Giro di Svizzera ha già archiviato tre frazioni. Ieri il successo di Skjelmose, l’altroieri quello di Girmay, ma sin qui è stata la prima tappa a destare non poco interesse visto l’ordine di arrivo. Nella crono inaugurale, primo Stefan Kung. Secondo Remco Evenepoel. Terzo Wout Van Aert… un podio del genere non è sfuggito alle considerazioni di Adriano Malori.

L’ex campione italiano a cronometro e oggi preparatore affermato, ha le idee chiare su quella prima frazione: l’anello di Einsiedeln di 12,7 chilometri. E tutto sommato non è rimasto poi così colpito dalla vittoria di Kung.

Adriano Malori (classe 1988) è stato pro’ dal 2009 al 2016. Ora gestisce il suo centro di preparazione 58×11
Adriano Malori (classe 1988) è stato pro’ dal 2009 al 2016. Ora gestisce il suo centro di preparazione 58×11

Kung da pronostico

Ci si aspettava una crono di 14′-15′, invece è stata vinta in 13’31” alla media di 56,375 all’ora.

«Si è trattato di una prova molto veloce – ha affermato Malori – c’erano diversi tratti che scendevano anche un po’ e su percorsi così Kung era favorito. Ma cosa non secondaria, dei tre è stato l’unico che probabilmente l’aveva preparata in modo certosino».

In effetti Kung è svizzero e ci teneva, puntava forte su questo appuntamento casalingo. Non dimentichiamo neanche il suo abbandono del Giro d’Italia proprio in corrispondenza della seconda crono pensando ad altri impegni.

«Lo stesso Evenepoel – va avanti Malori – veniva dalla spossatezza post Covid, da una preparazione importante… E Van Aert più o meno era sulla sua stessa linea, essendo sceso poco prima dall’altura, quindi non ancora in piena forma».

Dubbi gialli su Remco

Ma in merito alle prestazioni di Remco, Malori si dichiara stupito dal buon rendimento del belga della Soudal-Quick Step. Una brillantezza inaspettata a detta del “Malo”, che induce a pensieri che hanno un loro perché.

«Io non me lo aspettavo così forte, specie dopo il Covid. Lui che deve puntare ai mondiali, che ci sono a metà agosto, se va già così… è troppo avanti. Non ha senso quella condizione. E allora non escluderei che possa essere al via del Tour de France. Il che avvalorerebbe la mia tesi. E cioè che al Giro la storia del Covid non era vera (la sua squadra ha già dichiarato più volte che il Tour non rientri nei piani del belga e così ha fatto lo stesso campione del mondo, ndr).

«E’ un pensiero che ho già espresso. E che si lega anche al modo in cui ha corso il Catalunya e vinto la Liegi, conquistata praticamente col sigaro in bocca. Ha fatto sembrare Pidcock un amatore». Insomma sarebbe stato un po’ troppo’ in forma per arrivare forte a fine Giro. Magari in mente c’erano già altri obiettivi: questa la sintesi del discorso di Malori. «Poi okay, è fantaciclismo… me ne rendo conto». 

Per il campione belga curve non perfette, specie l’ultima sui sampietrini e il rilancio in leggera salita (foto Instagram)
Per il campione belga curve non perfette, specie l’ultima sui sampietrini e il rilancio in leggera salita (foto Instagram)

Obiettivi incrociati

Per il resto anche sul fronte dei materiali non c’è stato un granché da segnalare da parte di Malori sui tre “tenori”. 

«Era una crono dello Svizzera, i materiali sono quelli collaudati e non ci hanno perso troppo tempo. Non era neanche il momento. 

«Ho notato però un paio di aspetti tecnico-tattici. Il primo è che Van Aert era eccessivamente agile, al suo rapporto mancava un dente o due e secondo me se lo avesse avuto lo avrebbe messo e spinto volentieri. Ma torniamo al discorso di prima: era una crono importante sì, ma alla quale è stato dato il giusto peso in fase di preparazione anche dal punto di vista dei materiali.

«L’altro aspetto che ho notato è che nonostante fosse una crono veloce, aveva parecchie curve. Era tutto un destra-sinistra e ho visto i due belgi non sfruttare bene tutta la strada. Non tagliavano a dovere le curve. Loro due restavano al centro, mentre Kung sfruttava tutta la carreggiata.

«Credo che solo nell’ultima curva Evenepoel abbia perso 3”-4” dallo svizzero. Anche perché ne è uscito più lento e poi iniziava il pavé, quindi non poteva risollevare la velocità più di tanto».

Altre motivazioni per Kung. Basta confrontare questa foto di Van Aert con quella in apertura di Stefan. Prestazione e rischi di guida ponderati per il belga
Altre motivazioni per Kung. Basta confrontare questa foto di Van Aert con quella in apertura di Stefan

Ancora Kung?

Kung, Evenepoel e Van Aert: hanno dominato la scena. Si sono mostrati i migliori ed era anche auspicabile. Adesso sarà interessante vedere come saranno i valori in campo con l’evolversi della corsa elvetica e a quello che spetta agli atleti successivamente. Kung non dovrebbe essere al Tour e in teoria neanche Evenepoel. Van Aert è invece presente in funzione della Grande Boucle.

Senza contare che sul piatto Kung ha gettato fuorigiri (all’arrivo aveva la bava alla bocca), rischi di guida e una conoscenza delle strade che gli altri due non avevano.

«Credo – conclude Malori – che nella crono finale (la St. Gallen-Abtwil di 25,7 chilometri, ndr) Stefan sia ancora il favorito. Ci punta molto, ha altre motivazioni rispetto ai due belgi e soprattutto lui potrà arrivarci più fresco in quanto non dovrà fare classifica come Remco, né lavorare in ottica Tour come Van Aert».

Chiusa la parentesi classiche, Magrini tira le somme

27.04.2023
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Mettiamo un punto alla stagione delle classiche, chiusa nel segno dei fenomeni, ma con tanti spunti di discussione. Riccardo Magrini attraverso Eurosport ha seguito e commentato tutte le corse del Nord e si è fatto un quadro abbastanza chiaro della situazione, non solo in base ai risultati ma anche a tutte le chiacchiere che hanno fatto da contrappunto alle corse.

Il toscano è entusiasta di quanto visto, ma con la sua consueta verve non manca di sottolineare alcuni aspetti: «Siamo di fronte a un ciclismo bellissimo fatto di fuoriclasse, le corse sono state tutte molto combattute e non è un caso se si siano quasi tutte concluse con arrivi in solitaria, a cominciare dalla Sanremo. L’unica uscita un po’ dai binari è stata la Freccia Vallone, ma quella ormai è una gara atipica, praticamente si corre solo per il chilometro finale. Dico la verità, non mi piaceva quando la correvo e non mi piace ora, ma i belgi si affollano sul Muro e la corsa vive di quello. Ha vinto Pogacar ma poteva anche vincere un altro, è una corsa abbastanza casuale, contano solo quei metri finali…».

Pogacar con VDP e dietro Van Aert. I grandi hanno dato davvero spettacolo
Pogacar con VDP e dietro Van Aert. I grandi hanno dato davvero spettacolo
A conti fatti però a vincere sono sempre gli stessi, un manipolo di fuoriclasse che si staccano dal gruppo…

E meno male che è così… Se tornate indietro con la mente vi accorgerete che prima di questa generazione si mancava di continuità, c’era un livellamento dei valori che portava sì a vittorie sempre diverse, ma alla fine non restava nulla. Oggi la gente si appassiona, si formano i partiti a favore di Pogacar come di Van Der Poel, c’è chi tifa per l’uno o per l’altro o per l’altro ancora e questo è bellissimo. Certo, nel gruppo affiora un po’ di nervosismo, ma è normale quando emergono vincitori assoluti. E non dipende solo dai risultati, ma dallo spirito. Tanti ad esempio paragonano Pogacar a Merckx per i risultati che ottiene, a me ricorda il belga per l’atteggiamento, la voglia spasmodica di vincere che aveva Eddy, è quello il vero punto in comune.

Parlavi di nervosismo nel gruppo e alcuni non lo trattengono più, vedi le parole di Madiot a cui ha risposto Gianetti…

Per certi versi Madiot proprio non lo capisco, ma anche da corridore era uno con idee tutte sue. E’ vero, ci sono squadre che hanno 40 milioni di budget da gestire, ma è sempre stato così. Chi ha il fenomeno se lo tiene e lo gestisce al meglio: la Uae Emirates ha messo una clausola rescissoria per lo sloveno di 100 milioni, la Soudal ha blindato Evenepoel. I campioni ci sono sempre stati, il bello è cercare di contrastarli come meglio si può. Ai tempi di Merckx, quando vinceva tutto lui gli altri che avrebbero dovuto fare?

Magrini bici 2018
Riccardo Magrini, pro’ fra il ’77 e l’86, vittorioso al Giro e al Tour nell’83. Lavora per Eurosport dal 2005
Magrini bici 2018
Riccardo Magrini, pro’ fra il ’77 e l’86, vittorioso al Giro e al Tour nell’83. Lavora per Eurosport dal 2005
Sarebbe plausibile introdurre un sistema di salary cap per le squadre? Gianetti ha subito detto di no…

E ha ragione, qui siamo su un altro piano economico. Pogacar, che è il corridore più pagato, ha uno stipendio che non è neanche lontanamente paragonabile a quello dei giocatori di basket o football americano. Il problema è che quando si parla di ciclismo si pensa alle squadre composte da 30 corridori: non è così, un’azienda che investe su un team deve provvedere a 200 persone. Guardate ad esempio l’universo Jumbo-Visma, che coinvolge 3 team ciclistici e uno di pattinaggio, che cosa c’è intorno, quanta gente vive di quel lavoro. Una struttura talmente evoluta che non subirà ripercussioni con il prossimo cambio di sponsor. In questo discorso c’è qualcosa che stona…

Che cosa?

Parla Madiot che nel complesso è uno che sta lavorando molto bene, che ha costruito una splendida filiera e sta portando su autentici talenti. Il suo sistema è collaudato dal tempo, ma funziona sempre. Ci sono altre squadre che soffrono molto di più. L’Astana allora che dovrebbe dire?

Ganna non ha deluso, ma da solo non poteva salvare il bilancio azzurro al Nord
Ganna non ha deluso, ma da solo non poteva salvare il bilancio azzurro al Nord
Proprio dell’Astana è pero Velasco, che almeno alla Liegi ha provato a far qualcosa. Come giudichi il bilancio italiano nelle classiche?

Ci si aspettava di più, soprattutto dopo l’ottimo inizio di stagione. Velasco e Sobrero sono quelli che più si sono fatti vedere, di Ganna sappiamo tutto, è l’unico che davvero ha le qualità per emergere in queste corse come si è visto a Sanremo e Roubaix, per il resto c’è poco. Viviamo una fase involutiva che non cambierà se non cambia la cultura. Non dico solo ciclistica, di un mondo dove i procuratori vanno a cercare gli esordienti e allievi spacciandoli per campioni del futuro, facendoli bruciare sul nascere. Il problema per me è più profondo, riguarda la cultura sportiva generale. Posso fare un esempio?

Prego…

Tutti si stupiscono del fenomeno della Slovenia con campioni come Pogacar e Roglic e tanti buoni corridori. Io ci sono stato, ma lì c’è un’attività sportiva nelle scuole che noi ce la sogniamo. Non si parla solo di sport, ma di mobilità sin dalla scuola materna. Questa è la strada giusta, lì ci si diverte. Il problema è che qui copriamo tutto con i successi del campione di turno e questo vale per qualsiasi sport. Anche nel ciclismo, dove se chiedi in Federazione ti dicono che in fin dei conti hanno vinto un titolo olimpico e quindi la crisi dov’è?

Mentre gli altri se le davano al Nord, Vingegaard continuava a vincere gare a tappe. Magrini ci punta molto
Mentre gli altri se le davano al Nord, Vingegaard continuava a vincere gare a tappe. Magrini ci punta molto
Torniamo ad allargare il discorso. Parliamo sempre del manipolo di fenomeni che vincono tutto, ma dietro che cosa c’è?

C’è un movimento professionistico dove il livello si è alzato tantissimo, dove ci sono corridori come Gaudu e Kung, per fare due nomi, che vincerebbero molto di più esattamente come si diceva di Gimondi ai tempi di Merckx. Poi abbiamo dei campionissimi e siamo fortunati ad averceli. Io però vorrei che i campioni assoluti avessero un calendario comune: non dico che dovrebbero fare tutte le corse, sarebbe follia, ma almeno nelle Monumento bisognerebbe inventarsi qualcosa per farli correre tutti.

A proposito delle Monumento, Pogacar e VDP ora sono a 3 a 5. Chi ha più possibilità di completare il Grande Slam?

Secondo me Pogacar, perché per Van Der Poel il Lombardia mi pare proprio indigesto, anche se lo preparasse specificamente. La Liegi potrebbe anche portarla a casa, ma la classica di fine stagione è lontana dalle sue caratteristiche. Per lo sloveno è diverso, la Roubaix se ben preparata, un anno potrà anche vincerla come fece Hinault. Io però resto della mia idea: il più poliedrico di tutti è Van Aert, per certi versi il più forte perché può emergere dappertutto. Certo, se poi si mette a far regali come a Gand

Forcing di Van Aert nell’Arenberg: giusto o sbagliato?

13.04.2023
4 min
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Certe corse non passano così facilmente. Fanno parlare, riflettere e discutere. E allora vale ancora la pena tornare sulla Parigi-Roubaix di domenica scorsa e vale farlo con un esperto quale Filippo Pozzato. Se si parla di squadre, di scelte tattiche e di percorso bisogna rivolgersi a chi lassù c’è stato e c’è stato per giocarsela. Il punto in questione è questo: ha fatto bene Wout Van Aert ad attaccare in quel modo nella Foresta di Arenberg?

L’idea è che abbia dato certamente spettacolo, ma di fatto abbia spaccato la corsa tagliando fuori dai giochi anche i suoi compagni della Jumbo-Visma. In quel momento mancavano circa 97 chilometri all’arrivo e sono rimasti a giocarsela quella manciata di corridori usciti indenni dalla Foresta. Addio tattiche, addio lavori di squadra salvo il (vano) tentativo di Laporte e Van Hooydonck di rientrare da dietro e i tre Alpecin-Elegant ritrovatisi in testa.

Pozzato ha disputato in carriera 11 Parigi-Roubaix, cogliendo un 2° posto nel 2009. Qui eccolo in azione nel 2006, quando fu 15°
Pozzato ha disputato in carriera 11 Parigi-Roubaix, cogliendo un 2° posto nel 2009. Qui eccolo in azione nel 2006, quando fu 15°
Filippo, cosa ne pensi di quanto appena detto? E’ stata giusta la mossa di Van Aert di attaccare in quel momento?

Van Aert ha voluto anticipare per cercare di sorprendere gli altri. Tutto dipende poi da cosa si erano detti in squadra prima della corsa, quali accordi avevano. Poi, ragazzi, ci sono state le forature di mezzo e quelle non le puoi controllare.

Questo è vero. Bastava solo che Laporte non forasse all’uscita di Arenberg e sarebbe rimasto con il drappello Ganna, rientrato sui big poco dopo, e sarebbe stata un’altra corsa…

Esatto. La Jumbo-Visma ha sempre forato in momenti “del cavolo”, fasi molto delicate della corsa in cui recuperare era impossibile.

A fine gara Van Aert ha detto che dopo la prima foratura si era ritrovato solo, senza compagni. Poco dopo essere rientrato ha attaccato: potrebbe essere stato un attacco di frustrazione il suo?

No, non penso proprio. Tra l’altro in squadra ha un buon rapporto con i compagni. Magari l’idea era proprio quella. E poi mi viene da pensare: nelle altre corse è stato criticato perché ha lasciato vincere Laporte e ora che ha attaccato, ci si chiede perché non lo ha aspettato. Non scordiamoci con chi doveva lottare.

Van der Poel…

Io non dico che Mathieu sia più forte di lui, anzi secondo me è il contrario. Van Aert vince sul Ventoux, vince sui Campi Elisi, nel cross, su strada…. e va forte tutto l’anno. L’altro seleziona un po’ di più e riesce ad essere più brillante. Alla fine credo che Mathieu abbia due vittorie in più. Poi, okay, se guardiamo alle Classiche Monumento, l’olandese ne vinte di più.

Dopo il forcing di Van Aert il gruppo si spacca. Nel caos cade Van Baarle e fora Laporte, entrambi compagni dell’asso belga
Dopo il forcing di Van Aert il gruppo si spacca. Nel caos cade Van Baarle e fora Laporte, entrambi compagni dell’asso belga
Nel complesso come giudichi la tattica della Jumbo-Visma?

Come in parte ho detto, le forature non le puoi programmare e a quel punto ti devi adeguare in base a quel che offre la corsa strada facendo. In generale penso che è molto difficile criticare da fuori senza sapere davvero come è andata dentro, quali erano i piani e le mille sfumature che presenta la corsa e che vive il corridore nei vari momenti.

Però poi dopo Arenberg, Wout si è ritrovato da solo, come se avesse tolto di mezzo lui stesso, indirettamente, Laporte e Van Baarle…

Il discorso per me è più generale. Analizziamo gli ultimi anni e come stanno cambiando le corse. Qui ormai, soprattutto se ci sono di mezzo quei tre-quattro fenomeni, c’è la tendenza di prendere il largo a 100 chilometri dalla fine. Spesso parlo con Trentin e mi dice che quando ci sono tutti e tre, parti per fare quarto. Ma per fare quarto ci sono almeno 30 corridori fortissimi con cui lottare. Devi sperare che non attacchino a 80-90 chilometri dall’arrivo, ma che ti portino ai meno 20 e a quel punto puoi pensare d’inventarti qualcosa. 

Ed è in quest’ottica che va inquadrata l’azione di Van Aert?

Sì. Da un certo punto di vista, quello dello spettacolo, è bello. Da un’altro, quello della logica, no. Non c’è una logica, appunto nel modo in cui corrono. Alla Tirreno di due anni fa Van der Poel mangiò una barretta a 80 chilometri dall’arrivo e se ne andò. Un ciclismo molto diverso dal mio.

18 marzo-9 aprile: scelte diverse fra Sanremo e Roubaix

12.04.2023
7 min
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Il solo programma di allenamento che va osservato alla lettera è quello invernale. Durante la stagione invece si asseconda il corpo, in modo da andare incontro alle esigenze che si creano. Alla luce di questa massima, che ci fu consegnata tempo fa da Michele Bartoli, torniamo alle scelte recenti di tre campioni – Van der Poel, Van Aert, Ganna – e al diverso programma che hanno seguito dopo la Sanremo del 18 marzo e la E3 Saxo Classic della settimana successiva.

Ciascuno dei tre aveva esigenze diverse. Van der Poel, in ottima condizione (in apertura durante il sopralluogo sul pavé di venerdì 7 aprile), cercava freschezza per contrastare Pogacar in salita e poi brillantezza sulla via della Roubaix. Van Aert sapeva già dalla Sanremo di non avere una grande condizione in salita, ma ha scelto le fatiche della Gand. Ganna ha usato le corse fino alla Gand per prendere confidenza con il terreno, poi ha scelto di allenarsi a casa. E allora siamo tornati da Bartoli, per sentire quale idea si sia fatto dei tre avvicinamenti.

Tre diversi avvicinamenti

Ecco il programma delle gare di Van der Poel, Van Aert e Ganna a partire dalla Milano-Sanremo, di cui hanno occupato i tre gradini del podio. Hanno tutti fatto la E3 Saxo Classic, poi le loro strade di sono divise, seguendo ragionamenti tecnici diversi.

DataGaraMathieu Van der PoelWout Van AertFilippo Ganna
18 marzoMilano-SanremoVincitore3° a 15″2° a 15″
24 marzoE3 Saxo Classic2° s.t.Vincitore10° a 1’31”
26 marzoGand-Wevelgem=2° s.t.Ritirato (caduta)
29 marzoDwaars door Vlaanderen==91° a 3’38”
2 aprileGiro delle Fiandre2° a 16″4° a 1’12”=
5 aprileScheldeprijs124°==
9 aprileParigi-Roubaix3° a 46″6° a 50″
Caro Michele, intanto vale la pena dire, dopo aver letto l’intervista sulla Gazzetta dello Sport, che Van der Poel ha ammesso di aver vissuto un inverno meno impegnativo nel cross e di aver trovato di conseguenza più freschezza su strada…

Insomma, lo si disse già due anni fa: le energie non sono infinite. Anche se mentalmente sono forti e sopportano la fatica, prima o poi il conto lo paghi. Non si può far tutto. La vita è sempre stata una questione di scelte.

Come vedi il fatto che dopo Harelbeke, Van der Poel che è parso più forte in salita si sia fermato, mentre Van Aert ha corso la Gand?

Se si fosse fermato anche lui, forse avrebbe avuto un po’ di margine per il Fiandre. Non a caso a volte certe corse vengono saltate, per privilegiare quelle che contano. Quando sei al 100 per cento, non sempre ti conviene correre. Perciò se si salta una corsa, privilegiando un allenamento ben fatto, a volte si migliora. Andare a correre e subire il ritmo della gara, se non stai bene a volte un po’ ti toglie.

Già alla E3 Saxo Classic si era capito che Van Aert, già sofferente alla Sanremo, fosse meno forte in salita
Già alla E3 Saxo Classic si era capito che Van Aert, già sofferente alla Sanremo, fosse meno forte in salita
Si parla per ipotesi, ma secondo te, non correndo la Gand, Van Aert sarebbe stato più forte al Fiandre?

Non si può dire che sia andato piano, perché anche lui almeno inizialmente ha staccato tutto il gruppo. Però poi ha pagato dagli altri due. A questi livelli si considerano anche i dettagli in apparenza più piccoli. Per cui, pur non potendo cambiare il rendimento di un atleta in un periodo breve come gli 8 giorni fra Harelbeke e il Fiandre, lo si sarebbe potuto amministrare diversamente. Non è che puoi metterti a fare lavori sul VO2 Max, perché allora ti converrebbe quasi correre. Ma se ti rendi conto che ti manca qualcosa, staccare per qualche giorno può restituirti un po’ di brillantezza. Recuperi un po’ più a lungo, ti concentri sui lavori aerobici con la speranza di arrivare al momento decisivo un po’ più carico di energie e poi incroci le dita…

Quindi è più un fatto di recupero e di freschezza?

Esatto. A quel punto il motore difficilmente lo cambi. Lavori un po’ più sulla fase aerobica, magari speri che in tutti i momenti della gara dove non si spinge a fondo, il dispendio energetico sia inferiore e arrivi un pochino più carico al finale. E’ anche vero che se devi inseguire, è sempre più difficile.

Nel mercoledì tra Fiandre e Roubaix, Van der Poel ha chiesto di correre la Scheldeprijs per trovare ritmo
Nel mercoledì tra Fiandre e Roubaix, Van der Poel ha chiesto di correre la Scheldeprijs per trovare ritmo
Tra il Fiandre e la Roubaix, Van der Poel ha inserito la Scheldeprijs dicendo di volere più ritmo…

E’ quello che si sta dicendo. Quando sei al top, sai su cosa puoi lavorare. Si tratta di aggiustare piccole cose, non hai il tempo per cambiare completamente la situazione, ma a quei livelli le piccole cose sono decisive.

E’ possibile che la Gand una settimana prima del Fiandre abbia appesantito Van Aert, perché non era al top, mentre la Scheldeprijs prima della Roubaix abbia dato più qualità a Van der Poel, che stava già molto bene?

Puo essere assolutamente così. Non so cosa abbiano fatto nel periodo dopo il cross, mi pare però che siano rientrati su strada negli stessi giorni di marzo. Normalmente il valore principale di Van Aert è la resistenza. Lo dimostra al Tour, andando in fuga e tenendo anche sulle montagne come Hautacam. Invece sembra che ora la resistenza gli manchi. Fa uno sforzo, due sforzi e il terzo lo subisce. Gli anni non sono tutti uguali e si sta discutendo su sottigliezze, perché magari si sarebbe staccato anche non correndo la Gand. Però se si vuole un’analisi, qualcosa di diverso poteva essere fatto.

Van Aert ha speso molto alla Gand (26 marzo), tre giorni dopo Harelbeke. Uno sforzo su cui ragionare per il futuro
Van Aert ha speso molto alla Gand (26 marzo), tre giorni dopo Harelbeke. Uno sforzo su cui ragionare per il futuro
In carriera ti è capitato di aggiungere o togliere corse dal programma in base alla condizione?

Certo, più di una volta. Sono cose che si fanno. Quella che è programmata e bisogna cercare di mantenere il più possibile fedele alla tabella è la preparazione invernale, perché si strutturano gli allenamenti con una cadenza articolata. Quando iniziano le gare, devi lavorare in base a quello che ti senti. La programmazione potrebbe andare a perdersi e devi essere bravo ad adeguare il calendario.

In che modo?

Se sono sul filo, magari una gara in più mi potrebbe danneggiare, allora la tolgo. Oppure sto bene, mi manca un po’ di ritmo e allora la inserisco come ha fatto Van der Poel. Ha recuperato qualche giorno in più, ha messo dentro la Scheldeprijs, ha ripreso il ritmo e alla Roubaix era a posto. Sono calcoli che si fanno.

Alla Roubaix, Ganna è andato forte, ma ha pagato il conto all’inesperienza. Qui è con Mads Pedersen
Alla Roubaix, Ganna è andato forte, ma ha pagato il conto all’inesperienza. Qui è con Mads Pedersen
Cosa possiamo dire di Ganna, che non ha corso il Fiandre per preparare la Roubaix?

E’ un caso diverso, perché Ganna non ha l’esperienza di Van Aert e Van der Poel per le gare in Belgio. Non ha la loro sicurezza, non conosce i percorsi. Gli mancano tante sfumature, quindi una corsa in più per lui sarebbe stata più utile di un allenamento fatto a casa sua. Lo avrei buttato anche sul Fiandre.

E’ stata l’osservazione fatta lassù dopo averlo visto così forte alla Sanremo.

Alla Sanremo si è visto che dopo Van der Poel il più forte è stato lui, poi è mancato qualcosa: questo è lampante. Su Ganna vorrei parlare poco, perché spesso sono stato critico: non su di lui, ma sul programma che ha fatto. Filippo è una forza della natura e forse andrebbe sfruttato un pochino meglio. Sappiamo che vince in pista, che fa record dell’Ora, che diventerà campione del mondo a crono, però a lui ora serve qualcosa in più. Quest’anno ha iniziato.

Van Aert e Van der Poel hanno chiuso la stagione del cross al mondiale, debuttando su strada ai primi di marzo
Van Aert e Van der Poel hanno chiuso la stagione del cross al mondiale, debuttando su strada ai primi di marzo
Hanno detto che il Fiandre sia troppo duro per lui.

L’ho sentito dire anche io. Sarà anche pesante rispetto agli altri, ma ha una qualità muscolare adeguata al suo peso. Se Van der Poel sul Paterberg fa 600 watt, Ganna naturalmente ne fa 680. Perché è strutturato per supportare quel carico lì. Quindi anche il fatto del peso, alla fine, non è così proibitivo.

Correndo di più lassù avrebbe dei vantaggi nella guida e spenderebbe meno?

Rilanciare dopo ogni curva costa tanto, soprattutto perché le curve sono quello che si vede. Mi viene da pensare che forse Ganna, non essendo tanto esperto, molte volte ha dovuto rilanciare per una traiettoria sbagliata e tutti gli altri movimenti che succedono in gruppo e che da fuori non noti. Se è successo in curva, mi viene da pensare che lo abbia fatto anche in altre situazioni. Quindi la sua è stata una gara dispendiosa e ugualmente è andato fortissimo. Era lì fino all’ultimo tratto, quindi sono convinto che in futuro, quando avrà più esperienza, la Roubaix sarà la sua gara. Dovrà solo lavorare per arrivare con un po’ di riserva nel finale, quando si fa la vera differenza…

EDITORIALE / A certi livelli, la sfortuna non esiste

10.04.2023
5 min
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La sfortuna esiste, ma di solito colpisce sempre quelli che non vincono. Certo si potrebbe anche dire che vince il meno sfortunato, ma ragionando ai massimi livelli di uno sport ormai così tecnologicamente evoluto come il ciclismo, la sfortuna come motivo per la sconfitta non regge. Sarà cinico, ma è un’opinione che merita approfondimento.

Degenkolb cade, Van der Poel si attarda, Van Aert attacca e forse sbaglia
Degenkolb cade, Van der Poel si attarda, Van Aert attacca e forse sbaglia

L’errore di Van Aert

Lo ha spiegato anche Philippe Gilbert, vincitore della Parigi-Roubaix del 2019, a L’Equipe, dopo aver seguito la classica del pavé sulla moto di Eurosport.

«Van Aert – ha detto il belga – sembrava gestire molto bene la sua gara salvandosi come durante il GP E3 che aveva vinto davanti a Van der Poel, tre settimane fa, fino a quando non è andato all’attacco e ha subito forato. Questo, secondo me, fa parte della gestione del materiale e non di qualche sfortuna. Ricordo le mie esperienze in queste gare e anche durante una tappa del Tour de France sul pavè. Sono andato all’attacco, ma troppo eccitato o spinto da una motivazione pazzesca, ho commesso un errore di traiettoria e ho preso una pietra che sporgeva e ho forato l’anteriore. Ho perso molta forza per inseguire e sono arrivato solo quarto.

«L’errore di Wout Van Aert è stato sicuramente dovuto al voler prendere un rischio troppo alto e alla eccessiva voglia di vincere. Un desiderio soprattutto mal controllato. Mathieu Van der Poel non ha commesso questo errore perché ha saputo evitare tutte le insidie del percorso oltre a quelle tese dai suoi avversari».

Van der Poel e la Alpecin-Elegant hanno saputo leggere meglio le insidie del percorso?
Van der Poel e la Alpecin-Elegant hanno saputo leggere meglio le insidie del percorso?

Scelte sbagliate?

Ieri qualcosa legato ai materiali è accaduto ed è stato abbastanza evidente. Pur utilizzando gli stessi pneumatici della Alpecin-Elegant, i corridori della Jumbo-Visma hanno avuto delle forature di troppo, come è successo anche ai leader della Soudal-Quick Step. Capita di sbagliare le scelte, mentre indovinarle non è certo attribuibile alla fortuna.

L’attacco di ieri di Van Aert è stato chirurgico nella scelta di tempo e ha ricordato l’allungo del belga quando nel 2020 Alaphilippe cadde contro la moto e Van der Poel perse qualche metro. Anche ieri il belga ha pensato di approfittare della caduta di Degenkolb e del conseguente affanno dell’avversario, ma ha bucato proprio in quei secondi di massima enfasi, probabilmente sbagliando qualcosa come fatto notare da Gilbert.

E3 Saxo Classic: dopo essersi già staccato sul Poggio, Van Aert cede anche sul Qwaremont e così sarà al Fiandre
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Calendario da rivedere

A ciò si aggiunga anche una considerazione che non è dimostrabile con i numeri, dato che la quantità dell’impegno è praticamente identica. La stagione invernale di questi giganti è qualcosa fuori dal comune. Van der Poel ha disputato 15 gare di cross, Van Aert ne ha fatte 14. Eppure Wout ha corso sempre per vincere, dando un’idea di superiorità atletica che in certi giorni ha schiacciato l’olandese, costretto ad accontentarsi delle posizioni di rincalzo. Come spiegazione, Van der Poel ha sempre dato quella del mal di schiena e della conseguente necessità di riprendere con maggiore gradualità. Sta di fatto però che nello scontro diretto del mondiale, cui entrambi puntavano, Mathieu è venuto fuori con più freschezza e ha vinto.

Altre differenze si sono viste a partire dalla Sanremo, quando è stato evidente che Van Aert avesse qualcosa in meno in salita. Si è staccato sul Poggio e si è staccato anche nella E3 Saxo Classic: ha vinto in volata, ma dopo aver inseguito sul Qwaremont e sul Paterberg. E mentre Van der Poel si è preso la lunga pausa (8 giorni) tra la gara di Harelbeke e il Fiandre, Van Aert non ha recuperato: ha infatti corso e regalato la Gand-Wevelgem a Laporte. Avendo capito tutti che non avesse la gamba giusta in salita, non sarebbe convenuto anche a lui staccare e dedicare quel tempo a se stesso?

Van der Poel non ha mai perso lucidità: il pericolo schivato ne è la conferma. Ma se fosse caduto non sarebbe stato per per sfortuna
Van der Poel non ha mai perso lucidità, ma se fosse caduto non sarebbe stato per per sfortuna

Non lo ha fatto ed è arrivato al Fiandre con l’identico handicap in salita, che lo ha escluso dal podio. E soprattutto lo ha fatto arrivare alla Roubaix con le forze contate e una pressione psicologica pazzesca. Sarà anche vero, come ci ha raccontato Affini, che questo per lui non sia un problema, ma non è detto che sia vero. E forse la foga nell’attacco di ieri conferma che non lo è.

La profezia di Bartoli

Il 27 settembre del 2020 pubblicammo un’intervista a Michele Bartoli, che stava per lanciare la sua Academy di ciclocross. E parlando di Van der Poel e Van Aert, disse parole a dir poco profetiche.

«Aver fatto ciclocross – disse il toscano – mi è servito per vincere il Fiandre. Ho spesso detto che quello scatto sul Grammont, con le mani sotto e il peso centrato, lo devo al cross. Certe cose sul pavé le impari da piccolo. Lo stradista ne ha solo vantaggi, purché non esageri. E sto parlando di Van der Poel, che deve scegliere. Tre specialità sono troppe. La mountain bike è di troppo. Invece Van Aert fa il cross nel modo giusto e si vede dai risultati. Il corpo umano non è inesauribile, le forze sono contate».

Che sia una coincidenza oppure sia stato il frutto di un’analisi da parte dei suoi tecnici, a partire dallo scorso anno e sempre con il pretesto della schiena, Van der Poel ha ridotto il carico di lavoro e le presenze nel cross, portando a casa due Fiandre, la Sanremo e la Roubaix. Forse chi gestisce il calendario di Van Aert potrebbe farci sopra una riflessione.