Martin Marcellusi, Tour du Limousin 2025

Marcellusi, dalle fughe al mistero del semaforo. Un’altra ripartenza

01.10.2025
5 min
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Fino all’inizio dell’estate Martin Marcellusi era stato uno dei corridori pro’ con più chilometri in fuga. Segno che l’atleta della VF Group-Bardiani CSF-Faizanè era attivo, pimpante, sul pezzo… Poi qualcosa si è inceppato e il corridore romano è un po’ uscito dai radar.

Tuttavia qualche giorno fa lo abbiamo di nuovo visto, seppure in una piccola gara, tornare a lottare. Era la Milano-Rapallo e Marcellusi era lì a giocarsela. Ci si chiede se dunque questo finale di stagione possa tornare a splendere per lui. Di certo splendente, ci auguriamo anche nel meteo, sarà il 25 ottobre quando in Sicilia, dove si è trasferito, sposerà la sua Cristina.

Martin Marcellusi
Martin Marcellusi (classe 2000) è alla quarta stagione da pro’
Martin Marcellusi (classe 2000) è alla quarta stagione da pro’
Stando alle statistiche, Martin, eri tra coloro con più chilometri in fuga dall’inizio dell’anno rispetto alle corse fatte, poi questa estate cosa è successo?

Parte tutto dal campionato italiano. Sono caduto subito in partenza, forse dopo un chilometro e mezzo, non di più, e tra le varie contusioni ho sbattuto il malleolo. All’inizio non sembrava niente di serio, tanto che avevo fatto i 200 chilometri di gara. Poi però, mentre tornavo a casa, sentivo che c’era qualcosa al malleolo che non andava. Sono andato in ospedale, hanno escluso le fratture, però non mi hanno avvertito di una ferita più profonda del normale.

E come è andata avanti la cosa?

Faceva molto male e le medicazioni erano particolari. Ogni giorno dovevo togliere la benda, raschiare tutto e mettere pomate su pomate. In pratica alla fine sono stato un mese fermo, perché non riuscivo a pedalare.

Per il dolore?

Più che altro perché col gesto della pedalata il malleolo si muove sempre e poi perché, pur coprendolo, alla fine prendeva sporco. Io così facendo ho preso l’antibiotico per quasi un mese. Facevo anche poco, ma non riuscivo proprio e alla fine uscire in bici era quasi più un male che un bene.

Martin Marcellusi, ferita malleolo
Il malleolo ferito di Martin (foto Instagram)
Martin Marcellusi, ferita malleolo
Il malleolo ferito di Martin (foto Instagram)
E finalmente sei ripartito…

Attenzione, non è finita qui. Inizio a fare qualcosina di più e un giorno mi fermo ad un semaforo e svengo. Almeno così mi hanno detto… perché io non ricordo nulla. Mi ha soccorso una signora. Vado in ospedale e ci resto una settimana. Mi fanno ogni tipo di accertamenti: analisi, risonanza, visite… non emerge nulla.

E come si spiega questo blackout?

Non si spiega. Io penso perché dopo un mese di antibiotico quello era il primo giorno in cui tornavo a fare qualcosa in più, magari col caldo… Il problema è che dopo questo altro stop non riuscivo ad uscire da solo. Avevo paura.

Il che è comprensibile non conoscendo a fondo le cause…

Cercavo sempre compagnia. E così mi adeguavo, ma a volte non c’era nessuno e non uscivo. Altre magari facevo qualche ora di allenamento in meno se chi era con me doveva rientrare prima o uscire dopo. Alla fine ho deciso di farmi, come dire, passare la paura, e ho ripreso ad andare da solo. Da lì dovevo capire a che punto fossi, in pratica dovevo ripartire da zero.

Martin Marcellusi, Tour du Limousin 2025
Dopo il Limousin, Marcellusi ha disputato altre quattro gare
Martin Marcellusi, Tour du Limousin 2025
Dopo il Limousin, Marcellusi ha disputato altre quattro gare
E come è andata? Qual è stata l’evoluzione di questa storia? Perché per andare a correre un minimo di condizioni serve… oggi più che mai.

Il problema è stato proprio quello. Ho ripreso al Tour du Limousin, in pratica due mesi dopo il tricolore. Non avevo una base, non avevo forza. Erano quattro tappe, ne ho fatte tre perché è stata una sofferenza atroce e ad un certo punto anche inutile. Ora fortunatamente va un po’ meglio.

Come ti sei organizzato tra queste corse e quei pochi allenamenti costruttivi che hai potuto fare?

Grazie al preparatore Borja, che ha capito la situazione, abbiamo cercato di trovare un punto di incontro tra l’allenarsi, il correre e ancora di più il recupero al cento per cento. La condizione era pessima. Un giorno magari facevo 4 ore anche bene e poi ero tre giorni distrutto, vuoto. Così ci siamo sentiti più spesso in quel periodo e abbiamo capito che bisognava lavorare un po’ con più calma. Calma però automaticamente non andava bene con i tempi di ripresa in funzione delle gare che invece erano sempre imminenti. Però è stato l’unico modo per uscirne.

Al Giro d’Italia Martin è stato spesso all’attacco
Al Giro d’Italia Martin è stato spesso all’attacco
Quando hai iniziato a sentire che qualcosa stava migliorando?

La scorsa settimana alla Milano-Rapallo. Nel finale sono andato in fuga, tant’è che speravo in un piazzamento. Purtroppo erano rimasti fuori dall’attacco la Polti-VisitMalta e la MBH Ballan CSB che hanno chiuso. Da lì sono sceso in Sicilia e in questi giorni sono riuscito ad allenarmi meglio.

Ora che gare farai?

Domenica corro alla Coppa Agostoni, poi farò un altro paio di gare nel mezzo e dovrei chiudere con il Lombardia. Mi spiace davvero tanto perché questa stagione tutto sommato era partita bene, ma a quanto pare riuscire a farne una intera bene, senza sfortune, sembra impossibile per me. Però sono molto motivato in vista della prossima.

Chiaro…

Voglio fare bene, voglio un salto di qualità definitivo. Anche con Filippo Magli stiamo pensando a dei ritiri ulteriori questo inverno. Speriamo che faremo il Giro d’Italia, per noi è importantissimo, ma a prescindere è ancora più importante saperlo per tempo perché cambierebbe l’approccio e la preparazione alla stagione stessa.

Marcellusi: sei fughe, tanta grinta e Van Aert sul Sestriere

07.06.2025
5 min
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ROMA – A Martin Marcellusi una volta chiedemmo quale fosse un suo punto di forza e lui ci rispose: la grinta. Che non mollava l’osso facilmente. E in effetti il romano della VF Group-Bardiani in questo Giro d’Italia la grinta l’ha sfoggiata in tante occasioni. Sei volte in fuga, un settimo e due sesti posti (anche se poi in uno dei due è stato declassato all’85°).

Tante volte ha lottato su terreni anche non congeniali. Di certo quello di Marcellusi è uno dei nomi più gettonati che ci ha regalato la corsa rosa. Dalle volate (quasi) di gruppo in Albania, all’arrivo in montagna di Sestriere, fino allo show di Roma. Pensate che proprio prima della partenza della tappa nella Capitale ci aveva detto: «E’ andata, ma non è ancora finita». Covava qualcosa…

Martin Marcellusi (classe 2000) ha concluso il suo terzo Giro d’Italia
Marcellusi (classe 2000) ha concluso il suo terzo Giro d’Italia
Martin, come giudichi dunque il tuo Giro?

Positivo. Se non mi avessero tolto il piazzamento, il sesto posto nella terza, tappa sarei stato ancora più contento, perché per me e per noi erano punti importanti. Purtroppo mi è rimasto un po’ l’amaro in bocca, però mi sono rifatto bene…

Hai lottato per tutte e tre le settimane e da come eri partito sappiamo che non ti sentivi al top: te lo aspettavi un Giro così gagliardo?

C’era un’incognita un po’ sulla condizione, però nei primi giorni ho visto che stavo bene. Sinceramente non pensavo di poter arrivare alla terza settimana così bene… ma ci sono arrivato, per fortuna! Ora l’obiettivo è mantenere anche questa condizione per le prossime gare, già a metà mese sarà di nuovo in gara. Porto via una buona condizione.

Questa gamba va sfruttata. Possiamo ripartire da qui per ottenere qualcosa d’importante?

Sì, sicuramente dopo Sestriere ho capito che la condizione è buona. La tappa è stata durissima e sono riuscito a ottenere un buon risultato su un percorso che sicuramente non era adatto alle mie caratteristiche. Quindi spero proprio di sfruttarla questa gamba, come dite voi… Il programma prevede, dopo un po’ di recupero, il rientro il 13 giugno a Gippingen, che è una corsa abbastanza dura. L’obiettivo da qui in poi è cercare di mantenere il livello di attenzione elevato fino a lì. E poi ci saranno anche i campionati italiani a fine mese. Quindi si tira dritto.

Hai detto: «Quella di Sestriere non era il mio percorso». Però in più di qualche tappa all’attacco non eri sul tuo percorso. Cosa significa?

Voglio dire che la gamba c’è sicuramente. Ho fatto dei risultati in volata, in salita. Mi manca la cronometro, ma quella penso che non arriverà mai, e quindi penso di essere combattivo un po’ ovunque, anche se al Giro poi ottenere un successo è complicato.

Il romano di Corcolle (paese appena ad Est della Capitale) in fuga nella tappa finale
Il romano di Corcolle (paese appena ad Est della Capitale) in fuga nella tappa finale
Se dovessi fare un’autoanalisi di questo Giro, come ne esce Marcellusi? Che corridore sei?

Scalatore no, passista nel senso stretto neanche, direi uno scattista… sto un po’ nel mezzo.

Raccontaci qualcosa che solo tu e pochi altri che l’avete vissuto da dentro potete fare. Ti sei ritrovato nell’epilogo del Giro con Van Aert e Simon Yates…

Incredibile veramente! Personalmente non stavo molto bene prima del Colle delle Finestre, poi quando sono arrivato lì sotto e ho visto il GPX che dava 18 chilometri di salita, ho pensato che fosse solo questione di testa. Quindi mi sono messo lì del mio passo, e piano piano riprendevo corridori, e ho scollinato a poco da Van Aert. Sapevo che poi avrebbe aspettato Simon Yates. Mi avevano comunicato dalla radio che Simon era dietro e stava risalendo. Così per non saltare ho lasciato andare Van Aert e in un certo senso ho aspettato Yates.

In un certo senso…

Non l’ho aspettato perché volessi, ma perché le gambe erano quelle che erano. A quel punto ho cercato di gestirmi tra la sua risalita e la distanza dal GPM. Credo di aver scollinato dieci secondi davanti a lui. Così in discesa ci siamo ricompattati: Yates, Van Aert ed io. Con Wout che tirava.

E come tirava! Dalla tv sembrava una locomotiva che man mano ha ripreso tutti gli altri della fuga…

Mamma mia, il computerino nel fondovalle segnava 370-380 watt… a ruota. Un ritmo asfissiante, tanto è vero che poi li ho mollati quando è ripresa la salita finale perché ero veramente al limite.

A Sestriere l’arrivo davanti a Carlos Verona… dopo averlo redarguito con il più classico dei richiami romani: «Ahò?!»
A Sestriere l’arrivo davanti a Carlos Verona… dopo averlo redarguito con il più classico dei richiami romani: «Ahò?!»
A proposito di salita e di arrivo, abbiamo saputo di un siparietto con Verona…

Ma no, è stata una battuta – e intanto ride Marcellusi – eravamo lì sul rettilineo finale, quando ai 200 metri lo vedo che mi affianca e mi passa, dopo che avevo tirato io gli ultimi chilometri, perché lui mi aveva detto che non poteva. Allora…

Ti è uscito un delicatissimo “ahò” romanesco. Ce lo ha raccontato Roberto Reverberi…

Esatto. Mi è uscito spontaneo questo “ahò”… E infatti poi si è rimesso dietro. Più che altro mi ero preoccupato perché eravamo ben messi, si lottava per un buon piazzamento (il sesto posto, ndr) e c’erano dei bei punticini in palio, che per noi della VF Group-Bardiani sono importanti.

Non avete vinto una tappa però alla fine qualche bel punto l’avete portato a casa, no?

Abbiamo fatto il conto giusto stamattina. E se i calcoli sono giusti dovremmo aver racimolato 400 punti, pertanto siamo soddisfatti. Purtroppo è mancata la vittoria e secondo me poteva anche arrivare, però si sa che il Giro d’Italia è complicato, che il livello è alto e bisogna avere anche un po’ di fortuna.

Quando comodità è prestazione: la scelta della sella con Selle SMP

25.04.2025
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E’ un connubio difficile da realizzare, quello fra prestazione e comodità. Eppure, quando si parla di selle, questo paradigma può essere sovvertito. Selle SMP lo fa da anni, con un approccio scientifico e personalizzato. Per andare forte bisogna essere comodi in sella e il brand veneto lo ha capito prima di tanti altri.

Nata nel 1947 a Casalserugo, in provincia di Padova, Selle SMP è un’azienda a conduzione familiare giunta alla quarta generazione. Nel tempo ha saputo combinare tradizione artigiana e innovazione tecnologica. Il punto di svolta arriva nel 2004 con il lancio della prima sella ergonomica dotata di canale centrale aperto, pensata per ridurre la pressione sulle strutture anatomiche e migliorare la circolazione sanguigna. Oggi Selle SMP produce oltre 40 modelli, specifici per ogni disciplina e tipo di ciclista.

Fra i team professionistici che utilizzano Selle SMP c’è la VF Group–Bardiani CSF–Faizanè, che presto vedremo anche sulle strade del Giro d’Italia. Uno degli alfieri è Martin Marcellusi, con cui abbiamo parlato di scelta, sensazioni e dettagli tecnici.

Il nastrino tricolore dietro alle selle Selle SMP: un classico che racconta del Made in Italy
Il nastrino tricolore dietro alle selle Selle SMP: un classico che racconta del Made in Italy
Martin, partiamo dalla scelta della sella: non è affatto scontata, viste le tante opzioni disponibili. Come si svolge la selezione?

In effetti non è facile scegliere. Abbiamo a disposizione l’intera gamma Selle SMP. Si parte con un colloquio con Davide Polo, referente tecnico del marchio. Gli si spiegano le proprie esigenze, il tipo di seduta preferita e le selle usate in passato. A quel punto lui propone una serie di modelli da testare, quelli che secondo lui possono fare al caso tuo.

Di quante selle parliamo normalmente?

Solitamente due o tre, ma c’è anche chi arriva a provarne cinque. Poi si inizia a testarle.

Tu che caratteristiche cercavi?

Volevo una sella dura e il più piatta possibile. Mi piace una seduta “aggressiva”, mi dà la sensazione di maggiore reattività. Ma al tempo stesso una sella che mi consentisse di spingere in salita, di avere un appoggio robusto.

Non hai menzionato il peso. Come mai?

Perché nel caso della sella non è la mia priorità. Prima di tutto deve essere comoda, perché se ti trovi bene, riesci anche a esprimerti meglio in gara. Comunque quella che uso pesa poco più di 150 grammi, quindi siamo su livelli molto buoni.

Qual è il modello che usi?

La F20 C S.I. La “C” sta per “corta” e “S.I.” per “senza imbottitura”. E’ una sella essenziale, ma mi calza a pennello.

Hai iniziato ad usarla quando sei arrivato alla Bardiani?

No, già la usavo da under 23, ai tempi del Team Palazzago. Allora avevo una Selle SMP Evolution. Quando sono passato pro’ e ho avuto la possibilità di testare tutta la gamma man mano sono arrivato alla F20 C S.I. Mi sono trovato bene fin da subito.

Cosa significa trovarsi bene con una sella?

Che appena l’ho provata mi sono sentito a mio agio. Nessuno schiacciamento, neanche quando ero in presa bassa sul manubrio, nessun intorpidimento alle gambe e anche dopo parecchie ore non avevo problemi. E questa è una cosa da non sottovalutare.

C’è stato un lavoro specifico per trovare la posizione ideale?

Sì, anche se sono dettagli minimi. Alla posizione definitiva ci sono arrivato da solo, ma si parla davvero di millimetri, uno do due al massimo. Micro regolazioni dell’inclinazione. Sono cose che solo il corridore può percepire. La prima importante messa in sella è avvenuta quando c’erano i meccanici del team, poi quella finale, dei ritocchi minimi, l’ho fatta da solo uscendo con la brugolina in tasca.

Quando ci si alza sui pedali la sella non deve essere d’intralcio. Per chi come Martin pedala in punta, avere la versione corta è un vantaggio in tal senso
Quando ci si alza sui pedali la sella non deve essere d’intralcio. Per chi come Martin pedala in punta, avere la versione corta è un vantaggio in tal senso
Durante l’anno quante selle cambiate? E perché si cambia?

Ne cambiamo quattro o cinque, il che non è poco. Ma lo facciamo a cadenze regolari, non perché la sella dia segni di cedimento, anzi, proprio per il contrario. Le Selle SMP sono resistenti, non si “imbarcano” come si diceva una volta. Cambiarle spesso serve proprio a mantenere sempre il massimo livello di prestazione e comfort.

Come mai hai scelto una sella corta?

Un po’ perché mi ci sono trovato bene fin da subito e un po’ perché pedalo molto in punta. La sella corta mi permette comunque di muovermi bene, sia quando mi alzo, sia quando affronto le discese.

Ma se allora pedali in punta non sarebbe più logico usare una sella lunga?

Non necessariamente. La sella corta mi aiuta a non esagerare nello stare troppo in punta. Mi dà equilibrio, mi permette di essere mobile, senza finire troppo avanti col corpo. E poi bisogna pensare che Selle SMP propone selle con un carrello molto lungo, pertanto volendo, si può finire davvero molto avanti. Ma la cosa bella, a prescindere dal mio caso, è che lo spettro delle regolazioni è molto ampio.

Bici dei pro’, dove nascono le De Rosa della VF Group

14.12.2024
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Il montaggio delle biciclette per un team professionistico è sempre un momento emozionante e ricco di aspettative. Per la VF Group-Bardiani questi giorni segnano l’arrivo delle nuove De Rosa, perla del Made in Italy. E’ quasi un rito, un processo che coinvolge non solo i meccanici, ma anche il cuore pulsante del ciclismo agonistico: i telai, le ruote, i cartoni, i fili, i gruppi, gli attrezzi sul banco…

Di questo particolare momento abbiamo parlato con Nicolas Coppolino, giovane meccanico del team emiliano. Proprio in questi giorni infatti si stanno ultimando i primi montaggi delle bici che la VF Group-Bardiani userà per tutta la stagione. Alcune bici gli atleti le stanno usando in Spagna, altre sono e resteranno in magazzino.

Nicolas Coppolino durante il primo montaggio delle De Rosa 70 del team. Cavi manubrio e serie sterzo integrata i passaggi più delicati
Nicolas Coppolino durante il primo montaggio delle De Rosa 70 del team. Cavi manubrio e serie sterzo integrata i passaggi più delicati
Quante bici vi sono arrivate?

La prima parte è stata per le bici da allenamento: ne abbiamo ricevute 23, una per ogni corridore. Sono poi arrivate le 23 bici da gara e la prossima settimana monteremo altre 23 bici di scorta. Le bici da gara sono già in Spagna, pronte per il ritiro.

Che differenza c’è tra una bici da allenamento e una da corsa?

Sul fronte delle caratteristiche tecniche nessuna: le bici da allenamento sono identiche a quelle da gara. L’unica differenza è che le prime rimangono a casa del corridore, mentre quelle da gara viaggiano con noi meccanici del team insieme alle bici di scorta.

Quanto materiale vi arriva per il montaggio?

Per il primo montaggio ci arrivano tutti i componenti necessari: 23 gruppi e 23 telai, più altro materiale di scorta. In generale, abbiamo sempre 2-3 telai di scorta per ogni misura e almeno 3-5 gruppi di scorta, più quelli che vengono caricati sul camion in base alla durata e complessità delle trasferte. Se sono gare di un giorno per esempio il materiale supplementare è poco, ma se il camion sta fuori un mese, per esempio, ce n’è parecchio.

Le prime 23 bici montate qualche giorno fa sono in ritiro in Spagna
Le prime 23 bici montate qualche giorno fa sono in ritiro in Spagna
Dove montate le bici?

Le bici vengono montate direttamente da De Rosa a Cusano Milanino. Questa officina semplifica il nostro lavoro perché lì arrivano telai, gruppi e ruote. De Rosa ha una nuova officina ben attrezzata che permette di lavorare con maggiore comodità rispetto al nostro magazzino a Reggio Emilia. Usciamo da qui con la bici montata e stop!

Insomma è comoda l’officina De Rosa

Molto! La nuova officina di De Rosa è grande e modulare, con banchi che permettono a 6-7 meccanici di lavorare contemporaneamente. Rispetto al nostro magazzino, che è più piccolo, questo è un valore aggiunto.

Quanti meccanici lavorano al montaggio?

Per il primo montaggio eravamo in sei. Quando completeremo le bici di scorta, saremo in tre, perché gli altri meccanici sono in Spagna in ritiro con il team.

Che sensazione si prova a vedere tutte queste bici nuove? Tu, tra l’altro Nicolas, sei anche un passionato praticante…

Per un appassionato è davvero impressionante: hai sotto mano bici che costano 13-14.000 euro, tutte nuove, bellissime, pronte per essere montate, bici che correranno gare importanti. All’inizio è un grande impatto, poi, lavorandoci ogni giorno, diventa quasi routine, ma resta un bel momento.

Ed eccola la bici finita: De Rosa 70 che da quest’anno passa dal bianco al total black
Ed eccola la bici finita: De Rosa 70 che da quest’anno passa dal bianco al total black
Quante bici riesci a montare ogni giorno?

Mediamente cinque bici al giorno. Per ogni bici, partendo da zero, ci vuole circa un’ora e mezza. Con i modelli di ultima generazione, in cui i gruppi sono wireless, il montaggio è più veloce rispetto alle bici di qualche anno fa.

Quali sono le parti più complesse da montare?

Le fasi più delicate sono l’inserimento dei cavi freno all’interno del manubrio integrato e il montaggio della forcella tenendo in considerazione la serie sterzo. Per il resto, è tutto piuttosto lineare.

Il modello di quest’anno è uguale a quello dell’anno scorso, giusto?

Sì, utilizziamo sempre le De Rosa 70, con gruppi Campagnolo Super Record Wireless e ruote Bora WTO da 45 e 60 millimetri e, per le tappe di salita, abbiamo le ruote Hyperon Ultra, quelle a basso profilo.

I ragazzi della VF Group – Bardiani ad Altea hanno sfoggiato le nuove De Rosa, che non sono passate inosservate
I ragazzi della VF Group – Bardiani ad Altea hanno sfoggiato le nuove De Rosa, che non sono passate inosservate
Quante ruote avete a disposizione?

Un centinaio di coppie di ruote, tra 45, 60 e ruote basse. Tuttavia, le ruote basse, le Hyperon Ultra, non vengono usate quasi più ormai: i corridori preferiscono le 45 anche per tappe dure. E infatti di questo set ne abbiamo una decina di coppie.

Come vengono stabilite le misure delle bici?

Per i nuovi corridori, utilizziamo le schede biomeccaniche che ci forniscono e le adattiamo con De Rosa per trovare la configurazione ideale. Per chi è già in squadra, si utilizzano le misure dell’anno precedente, salvo richieste di modifiche. Quest’anno, per esempio, in molti hanno accorciato le pedivelle: chi aveva 172,5 millimetri è passato a 170 e chi aveva 170 è passato a 165.

Insomma “Pogacar docet”! Scherzi a parte, qualcuno ha cambiato sella o altre componenti?

No, le selle sono rimaste le stesse dell’anno scorso. Le uniche modifiche, come detto, riguardano le pedivelle, che sono state accorciate da molti corridori.

Il “blocco Bardiani” alla Polti-Kometa: parla Zanatta

07.12.2024
5 min
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L’arrivo di Alessandro Tonelli e Samuele Zoccarato alla Polti-Kometa, di cui abbiamo parlato in questi giorni, non è solo un movimento di mercato: rappresenta il tassello di un mosaico che si sta definendo negli anni. Nella squadra di Basso e Contador, in cui uno dei direttori sportivi è Stefano Zanatta, si stanno integrando corridori dal profilo ben definito e affini al progetto: uomini di sostanza per andare in fuga e aiutare. E non è un caso che Tonelli e Zoccarato seguano un percorso già tracciato da corridori come Mirco Maestri, Giovanni Lonardi e prima di loro Vincenzo Albanese: tutti loro sono stati, chi prima e chi dopo, alla VF Group-Bardiani.

Questa migrazione non riguarda solo gli atleti: lo stesso Zanatta, oggi figura chiave nella gestione sportiva della Polti-Kometa, ha vissuto entrambe le realtà. La filosofia del team di Basso è ben diversa da quella della VF Group-Bardiani. Entrambe, visti i tempi stanno intraprendendo una metamorfosi, pensiamo per esempio, ai preparatori interni. Ma ognuno lo fa con delle sfaccettature diverse.

Zoccarato in azione durante l’ultimo tricolore gravel da lui vinto, dopo quello del 2022
Zoccarato in azione durante l’ultimo tricolore gravel da lui vinto, dopo quello del 2022
Stefano, il “blocco Bardiani” cresce, ora avete inserito anche Zoccarato e Tonelli. Qual è la tua impressione su di loro?

Con Zoccarato non avevo mai lavorato prima, perché è arrivato alla Bardiani dopo che io ero andato via. Però conosco bene Tonelli e Maestri, avendo lavorato con loro per quattro anni. Sono molto contento di accogliere Tonelli: è un corridore maturo e penso che si integrerà benissimo nel nostro gruppo. Anche Zoccarato ha mostrato tanto crescendo. Non l’ho mai diretto, ma lo seguo da quando era con i dilettanti: è un uomo che prende molta aria. Qualche volta lo fa in modo un po’ azzardato, ma è migliorato. È diventato famoso per le sue fughe e anche per i suoi titoli italiani nel gravel. Samuele ha ancora margini di crescita: alla fine ha solo 26 anni.

Tonelli viene spesso definito una sorta di direttore sportivo in corsa. Come si inserisce nel vostro progetto?

È vero che Tonelli ha capacità tecniche che potrebbero far pensare a un direttore sportivo in corsa, ma noi preferiamo lasciare questo ruolo… a noi direttori in ammiraglia! Scherzi a parte, Alessandro ha grande esperienza e sa come muoversi in gara. Ha dimostrato la sua maturità e la capacità di essere decisivo nelle fughe. Alla Polti-Kometa sarà un elemento prezioso sia per la sua intelligenza tattica ma anche per le sue doti sportive. Non scordiamo che quest’anno ha anche vinto.

Lonardi (tutto a destra) durante uno dei suoi sprint…
Lonardi (tutto a destra) durante uno dei suoi sprint…
E poi ci sono i veterani della Polti-Kometa: Maestri e Lonardi…

Mirco ormai lo conosciamo. Lui sta ricalcando quello che fu Gavazzi. Quest’anno ha fatto grandi cose. Lui è davvero un uomo squadra ed è importante per noi. Lonardi passò alla Nippo. Al primo anno con noi ha fatto benino, poi ha avuto una stagione così così. Ma quest’anno, dalla metà in poi, ha dimostrato una bella costanza. “Lona” ci assicura sempre un buon piazzamento. Ha preso più confidenza in tutto il sistema e soprattutto nelle sue capacità, questa è la cosa importante.

Che tipo di squadra possiamo aspettarci dalla Polti-Kometa il prossimo anno?

Stiamo lavorando per crescere e strutturare meglio il nostro modo di operare. Abbiamo giovani promettenti come Piganzoli e Tercero, ma anche corridori che si stanno consolidando, come Martín e Serrano. Un abile velocista come Peñalver. Pertanto il nostro obiettivo è essere presenti nelle corse, con una mentalità aggressiva.

Avete corridori che sanno attaccare e allo stesso tempo dovete restare nelle prime 30 squadre del ranking UCI per sperare nell’invito die grandi Giri: è una bella sfida….

Pur non avendo un budget enorme come altre squadre, vogliamo restare tra le migliori professional, costruendo una squadra che si fa vedere ma che porta anche risultati. Non cambieremo dunque molto, ma lo faremo con più consapevolezza. Poi è chiaro che i punti servono e per questo oltre a finalizzare un po’ di più, sarà importante anche scegliere un calendario adatto. Per ora abbiamo molti inviti: valuteremo…

Uno dei dogmi della Polti-Kometa è quello di avere preparatori interni. Ecco i ragazzi a raccolta da coach Marangoni (foto Borserini)
Uno dei dogmi della Polti-Kometa è quello di avere preparatori interni. Ecco i ragazzi a raccolta da coach Marangoni (foto Borserini)
Stefano, tu hai lavorato sia con la Bardiani che con la Polti-Kometa. Quali differenze hai riscontrato nei metodi di lavoro?

Ogni squadra ha un proprio stile. La Polti-Kometa segue una filosofia strutturata, con specialisti dedicati e riunioni regolari per definire le strategie. Ivan Basso e Alberto Contador hanno voluto creare un sistema dove tutti sanno esattamente cosa fare. Questo ci ha permesso di crescere e ottenere risultati. Io oggi non posso più riprendere un corridore sull’alimentazione o gli allenamenti. Per entrambe le cose c’è una figura specifica. Se ne parla con chi di dovere e anche per questo vogliamo tecnici interni al team

Chiaro…

La VF Group-Bardiani, invece, ha un’impostazione più familiare. Ma questo non significa che è peggio, sia chiaro. Hanno acquisito una loro stabilità. Bruno Reverberi resta il capo e Roberto gestisce il lato manageriale e lo fa molto bene. In più loro stanno lavorando bene con i giovani, Mirko Rossato, sta facendo grandi cose. Entrambe le filosofie hanno i loro punti di forza, ma sono molto diverse.

C’è un motivo per cui molti atleti stanno passando dalla Bardiani alla Polti-Kometa?

Credo che sia una questione di opportunità e di prospettive diverse. La Bardiani offre stabilità, grazie a sponsor storici e si concentra sul lungo termine, investendo sui giovani. La Polti-Kometa, invece, offre un ambiente più strutturato, dove i corridori possono crescere rapidamente e lavorare con specialisti. Entrambe le realtà hanno il loro valore, ma sta ai corridori scegliere ciò che meglio si adatta alle loro ambizioni.

Dopo Tonelli anche Zoccarato sbarca alla corte di Basso

05.12.2024
4 min
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Per Samuele Zoccarato, lasciare la  VF Group-Bardiani dopo anni di militanza non è solo un cambio di casacca, ma l’inizio di una nuova fase nella carriera. Il passaggio alla Polti-Kometa , che dal prossimo anno sarà Polti-VisitMalta, promette una grande aria di cambiamento.

Zoccarato si unisce a un gruppo affiatato, con l’obiettivo di portare valore sia nelle fughe che nel lavoro di squadra. Il suo mix di esperienza, spirito di sacrificio e voglia di mettersi in gioco sarà un valore aggiunto per la squadra di Basso e Contador.

Sentiamo dunque come è andata, esattamente come qualche giorno fa abbiamo fatto con Alessandro Tonelli, visto che i due hanno seguito il suo stesso percorso.

Samuele Zoccarato (classe 1998) è un esperto delle fughe e non solo. Lascia il gruppo dei Reverberi dopo 4 stagioni
Zoccarato (classe 1998) è un esperto delle fughe e non solo. Lascia il gruppo dei Reverberi dopo 4 stagioni
Samuele, anche tu, come Tonelli, inizi una nuova avventura dopo tanti anni alla VF Group-Bardiani. Come ti senti?

Sono contento di cambiare. Ci sono sempre nuovi stimoli, nuove metodologie di lavoro e tante novità. Non mi sono mai trovato male con i Reverberi, ma guardo al futuro con ottimismo e curiosità.

Quando e come è nata la trattativa con la Polti-Kometa?

La trattativa è iniziata già dall’anno scorso, anche se non direttamente con la squadra. Mirco Maestri ha sempre parlato bene di me al team e parlava bene a me della squadra. Questo ha aperto un dialogo informale. Ci siamo “accarezzati” in qualche modo…

Chiaro…

Ho firmato il contratto verso agosto, ma c’era già la parola data, e per me quella basta. Quando è arrivata la proposta definitiva sono stato contento. Mi piaceva l’idea di squadra e sapevo che non è una WorldTour, ma è strutturata bene. Oltre a Maestri, conosco bene anche Lonardi, visto che già ci allenavamo spesso insieme.

Sameuele da sempre è un uomo squadra…
Sameuele da sempre è un uomo squadra…
Conoscendo già alcuni compagni è più facile ambientarsi? O al contrario è più difficile perché tendi a stare con loro?

Conoscere persone come Maestri, Lonardi, ma anche Zanatta che era stato diesse alla VF Group-Bardiani, facilita molto le cose. Loro mi danno dritte su come inserirmi e capire le dinamiche della squadra. Ma più di tutti mi vengono in mente le parole di Ivan Basso.

E cosa dicono queste parole?

Che sta a noi nuovi arrivati adattarci senza rompere gli equilibri. L’approccio è quello di imparare il modo di lavorare e di rapportarsi, sia con i compagni che con lo staff. Insomma entrare un po’ in punta di piedi…

Sappiamo che la ricerca dei punti UCI per restare nelle prime 30 è fondamentale. Tu potrai andare all’attacco e a caccia di punti, ma c’è anche un atleta importante come Piganzoli da aiutare. Quale sarà il tuo ruolo?

Non mi hanno ancora dato indicazioni precise, ma per me non c’è problema. Se c’è qualcuno che merita fiducia, sono pronto a lavorare per lui. E’ importante correre da vera squadra: ci si aiuta e si lavora per ottenere il massimo, anche senza il potenziale delle WorldTour: per me se c’è qualcuno che va forte è giusto mettersi a sua disposizione. Magari questa corsa tocca a me darti una mano, la prossima toccherà a qualcun altro.

Il veneto ha aumentato la parte a secco durante questo inverno
Il veneto ha aumentato la parte a secco durante questo inverno
Cosa significa avere un team manager come Ivan Basso? Si percepisce il suo palmares quando parla?

Più che il palmares, si sente il suo spirito imprenditoriale. Portare avanti una squadra è come gestire un’azienda ormai e Ivan sa perfettamente quello che fa, sia con gli sponsor che con l’organizzazione del team. Quando parla, ogni consiglio è oro che cola. Si vede che sa il fatto suo, che è preparato, che s’informa.

Samuele, passiamo ad aspetti più tecnici. Tonelli ci ha detto che ha cambiato preparazione e preparatore. E’ lo stesso anche per te?

Sì, come ha detto anche Alessandro qui si lavora con i coach interni. Ora mi segue Samuel Marangoni, un preparatore con un approccio molto diverso. Prima ero abituato ad allenarmi spesso ad alta intensità, facevo moltissima di quella Z2 di cui avevamo parlato tempo fa. Ricordate quando vi dicevo che tornavo a casa con medie orarie molto alte? Adesso, con lui faccio molte più ore a ritmi più bassi, ma lavoro molto di più anche in palestra. È un metodo che mi permette di gestire meglio le energie, anche se a volte mi “rimprovera” perché tendo ancora a spingere troppo!

Hai già trovato il setup ideale sulla nuova bici?

A grandi linee sì, ma sto valutando di cambiare la sella. Passare da Selle SMP a Prologo è un bel cambio. Ho già provato un modello, la Scratch, ma sono curioso di provare la Nago per vedere se mi si adatta meglio.

Zoccarato, bis tricolore gravel e su strada gambe ottime

04.07.2024
4 min
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Ma perché non pensare anche ad una Parigi-Roubaix per Samuele Zoccarato? Grinta da vendere, fisico potente e due titoli nazionali gravel. «Perché bisogna anche essere realistici – replica il diretto interessato – una Roubaix sì, sarebbe bella e di certo non avrei paura di buttarmici, ma forse una Strade Bianche sarebbe più indicata. E’ una corsa più adatta alle mie caratteristiche, c’è anche qualche strappo. Come dicevo bisogna essere realistici: non sono un super vincente e per certe corse serve anche una squadra importante. Credo però di poter essere un buon gregario».

Con il nuovo campione italiano gravel della VF Group-Bardiani dunque facciamo il punto sulla sua insolita stagione. Il Giro d’Italia non fatto, le corse al Nord, appunto l’esperienza offroad… Samuele non è mai banale e i discorsi filano via carichi.

Samuele Zoccarato (classe 1998) allo ZLM Tour in Olanda dove si è ben comportato tra pavè e ventagli
Samuele Zoccarato (classe 1998) allo ZLM Tour in Olanda dove si è ben comportato tra pavè e ventagli
Samuele, partiamo con un piccolo passo indietro e dal buon campionato italiano su strada che hai disputato… 

Era già da un bel po’ che andavo forte, almeno rispetto ai miei standard ovviamente. Mi sentivo bene. Quindi in verità non è stata una sorpresa andare così bene all’italiano su strada. Già dal Giro della Grecia avevo visto che era cambiato qualcosa: riuscivo a rimanere davanti molto più facilmente. Poi sono andato in Olanda e di nuovo mi sentivo molto bene. Lassù, nei miei quattro anni di professionismo non ero mai riuscito a stare davanti in un ventaglio. Stavolta in ogni ventaglio appunto ero in testa, sempre protagonista. Vuol dire che stavo lavorando nel modo giusto.

Hai raccolto i frutti della preparazione che hai fatto per il Giro e forse c’è anche un po’ di grinta in più, quella di voglia di dimostrare che Zoccarato c’era…

Sì, un po’ sì. Volevo fare vedere che qualcosa da dimostrare ancora ce l’ho. E poi credo che i giorni di gara in Olanda mi abbiano dato un ritmo che quest’anno non avevo mai avuto.

È diverso correre con la gamba buona lassù?

Assolutamente sì, perché invece di subire la corsa e fare solo fatica, la fai e ti gestisci. Lassù se molli un attimo, anche mentalmente, sei morto. Invece con una buona condizione e un po’ di grinta è tutta un’altra cosa. Mi sono divertito per la prima volta al Nord.

Il veneto in azione all’italiano gravel, che alternava tratti sterrati ad altri più filanti
Il veneto in azione all’italiano gravel, che alternava tratti sterrati ad altri più filanti
Veniamo all’italiano gravel. Hai fatto doppietta. Lo avevi già vinto nel 2022. Questa specialità in qualche modo di attrae. Com’è andata?

All’inizio non avevo tutta questa voglia di andare. Poi ho chiesto alla squadra di montarmi una bici, come dicevo io, con i materiali specifici. Ci sono riusciti e alla fine questa scelta ha portato i suoi frutti.

Quali sono state le tue richieste specifiche?

Prima di tutto dei rapporti adatti al percorso, quindi ad esempio montavo il 44 davanti e il 9-44, dietro. Poi delle gomme molto scorrevoli. Coperture ideali secondo me per quel tipo di percorso.

Beh, te l’eri ristudiata allora…

Sì, altrimenti non sarei andato. Non avrei fatto l’italiano gravel allo sbaraglio. Del percorso mi ero informato sulla locandina e i file Gpx che ho trovato. In più gli ho dato un’occhiata il giorno prima. Volevo fare una ricognizione la settimana prima, ma un po’ perché la bici non era ancora pronta e un po’ perché non s’incastrava bene con i miei allenamenti non ci sono andato.

Come è andata la corsa?

Siamo partiti abbastanza forti come succede anche su strada. All’inizio ho avuto alcuni problemi, sono caduto dopo 15 chilometri in un tratto in discesa che già il giorno prima mi era accorto poteva essere pericoloso. Sono entrato in una curva a kamikaze… e sono finito a terra. Poi mi è scesa due volte la catena. Ho visto che c’era Agostinacchio che andava molto forte in salita e un po’ lo temevo (anche per le doti di guida, Agostinacchio è biker e crossista, ndr). Al secondo giro ho provato a fare una “fagianata”, ma non è andata bene. Così dopo qualche chilometro ho dato una botta secca e infine sono riuscito a rimanere da solo. E così sono rimasto fino all’arrivo.

Zoccarato bissa il successo del 2022. Potrà andare al mondiale a Leuven in Belgio ad inizio ottobre
Zoccarato bissa il successo del 2022. Potrà andare al mondiale a Leuven in Belgio ad inizio ottobre
E quanto mancava?

Circa 60 chilometri. Ma da quel momento è stato tutto più facile perché facevo il mio ritmo. Non avevo problemi di visibilità nei tratti tecnici nello stare dietro a qualcuno e rischiare di sbagliare qualcosa. Si trattava solo di spingere. Guida con sicurezza sul tecnico e spingere forte nei tratti più pedalabili.

E ora guardiamo avanti. Sei al Giro d’Austria. Poi quale sarà il tuo programma?

Adesso c’è un po’ di tempo per staccare, dovrei andare anche in ritiro in quota ma ancora non so dove. Dovrei riprendere ad inizio agosto con l’Arctic Race of Norway e a seguire con il Giro di Danimarca. Dentro di me non vorrei staccare, mi sento molto bene.

Possiamo immaginare…

Poi comunque dovrei fare le corse del calendario italiano, più avanti. Spazio per provare a cogliere qualche risultato non manca.

Zoccarato: inverno tra forza e intensità col nuovo coach

04.02.2024
5 min
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Forza prima e intensità poi: è l’inverno di Samuele Zoccarato. Il potente passista della VF Group-Bardiani ci spiega la sua settimana in questa prima fase dell’anno. Che poi nel suo caso neanche si può parlare di settimana vera a propria, ma è una continua alternanza di triplette e doppiette. In più Zoccarato ha anche cambiato preparatore e il confronto, aiuta a capire il nuovo metodo di lavoro.

 «Parlerei di un monte ore di allenamento – dice Zoccarato – che va dalle 20 alle 28 ore a settimana, in base alle distanze e ai lavori previsti. Faccio triplette di carico, un giorno di scarico e di nuovo una tripletta o una doppietta, quindi mi è difficile stilare una settimana tipo.

«Però posso dire che cerco di far coincidere sempre un giorno di scarico o di riposo il sabato o la domenica così da avere un giorno libero nel fine settimana».

Rullo Elite Suito, notizia Radio Deejay
Zoccarato ha utilizzato i rulli per completare la doppia sessione di forza: faceva degli esercizi monopodalici
Rullo Elite Suito, notizia Radio Deejay
Zoccarato ha utilizzato i rulli per completare la doppia sessione di forza: faceva degli esercizi monopodalici
E come ti sei regolato questo inverno?

Siamo andati per periodi. A dicembre per esempio con il dottor Andrea Giorgi che mi segue da quest’anno, ci siamo concentrati molto sulla forza. E’ capitato di lavorarci anche tre giorni di seguito. Il primo giorno facevo palestra, poi aspettavo sei ore e salivo sui rulli, dove facevo un’ora e mezza ancora lavorando sulla forza, con esercizi monopodalici.

Interessante. Come li eseguivi?

Dopo una fase di riscaldamento, per tre o quattro volte facevo delle sessioni con una gamba a 300 watt fino ad esaurimento. Erano molto dure. Era come andare a 600 watt con due gambe. E infatti duravo al massimo due minuti per gamba.

Perché aspettavi sei ore?

Perché ci sono degli studi che dimostrano che per assimilare per bene il lavoro di forza fatto in palestra, bisogna attendere e non saltare subito in sella.

Per Zoccarato primi veri fuori giri della stagione in corsa…
Per Zoccarato primi veri fuori giri della stagione in corsa…
Il secondo giorno come procedevi?

Facevo 4 o 5 ore con dei lavori. Nella prima e nella quarta ora dovevo fare delle partenze da fermo con vari rapporti, più o meno lunghi, per attivare tutte le fibre muscolari: 3×30”, recupero 4′, poi un ritmo tranquillo. Nelle ore centrali facevo SFR, quindi forza a bassa cadenza con recupero ad alta cadenza.

Il terzo giorno: cosa facevi?

Mediamente 5 ore, con delle sessioni di volate da 30” e recupero di 2′. Questo aspetto dei 30” forte l’ho mantenuto anche nell’off-season, per esempio quando andavo a camminare in montagna. Di tanto in tanto inserivo 30” di corsa forte. Questo serve per limitare il decadimento del Vo2 Max. E infatti quando ho ripreso stavo meglio.

E siamo al giorno di scarico…

Due ore facili.

La seconda tripletta cosa prevedeva?

Sostanzialmente le stesse cose, ma invertivo il primo giorno con il secondo. Mentre nel terzo giorno anziché fare delle volate da 30”, facevo 3×15′ di “swift spot”, vale a dire lavorare a cavallo di due zone, la Z3 e la Z4. Si tratta di lavorare vicino alla soglia, ma senza essere troppo aggressivi, specie perché si è ad inizio stagione. Era indifferente farle in salita o in pianura. Spesso cercavo terreni misti e, credetemi, fare 15′ non è una passeggiata. Anche perché in questa uscita non c’è mai un vero e proprio recupero. Al massimo si scende in Z2 e infatti tornavo a casa con una bella media sia di velocità che di watt. Sono tornato a casa anche con più di 280 watt medi che, considerando anche le discese, gli stop, il traffico, non è poco. Ero bello cotto!

Anche in allenamento Zoccarato non trascura l’alimentazione
Anche in allenamento Zoccarato non trascura l’alimentazione
Hai cambiato preparatore, è cambiato anche il lavoro?

Ora sono seguito da Giorgi, prima da Luca Zenti, coach della UAE Adq. Sostanzialmente non ci sono state grandi differenze sui lavori, ma sulle intensità e sui recuperi. Prima al 95 per cento, sapevo come avrei finito un allenamento e che non avrei sputato l’anima, ora invece più di qualche volta mi è capitato di non riuscire a finire i lavori e questo credo sia dovuto anche dalla tanta Z2 che faccio e non ai picchi. Stando costantemente in quella fascia, la catena è sempre in tiro.

Ora però Samuele ci siamo appena lasciati alle spalle gennaio, come è cambiato il menù? Sei passato dalla forza a cosa?

Le ore sono leggermente diminuite, ma neanche troppo, mentre sono aumentate le intensità. Sono aumentati i lavori in Z3 e Z4 e sono stati inseriti dei richiami in Z5. Però non ho mai toccato i massimali in allenamento. Neanche prima delle gare di Majorca e della Valenciana.

Puoi farci un esempio di qualche lavoro più intenso?

Per esempio facevo degli swift spot in Z4-Z5: 1′ in Z5, 30” di recupero in Z2. Oppure quando facevo la distanza inserivo dei lavori piramidali alla prima, terza e quinta ora: 3′ di VO2Max e 2′ di recupero in Z2; 2′ e 1′; 1′ e 40”; 40” e 30”… Un lavoro simile ti aiuta a conoscere il proprio fisico, specie nelle ore finali quando sei stanco, quando calano gli zuccheri. Riesci anche a capire come gestire gli integratori e la nutrizione. Capisci come migliorare nell’ultima ora.

Il veneto cura molto anche la parte a secco e della mobilità articolare in particolare (immagine dal web)
Il veneto cura molto anche la parte a secco e della mobilità articolare in particolare (immagine dal web)
Hai toccato il tasto dell’alimentazione, quali accorgimenti hai adottato per tutti questi particolari allenamenti?

Io sono molto alla buona e non ho preso chissà quali precauzioni. In linea di massima faccio riferimento all’introito calorico settimanale e se ho speso tanto, non faccio problemi a mangiarmi una pizza. In generale la dose di carboidrati è sempre alta sia a tavola che in bici. In bici mi attengo sempre agli 80-90 grammi di carbo l’ora, tra gel, barrette, malto… questo per avere il glicogeno sempre pieno. Ma questo vale più o meno sempre, al massimo quando dovevo lavorare sulla forza cercavo di aumentare la dose proteica negli shake prima e dopo gli allenamenti.

E lo stretching?

Quello lo faccio sempre e anche nei ritiri lo facevamo tutti insieme in squadra. Io però, quando faccio palestra, lavoro molto anche sulla mobilità articolare, specie quella delle gambe e della schiena. Avere una buona mobilità significa avere una capacità maggiore delle articolazioni e quindi del movimento e sfruttare meglio la muscolatura.

Vi raccontiamo Tonelli il meticoloso (e ora anche vincente)

01.02.2024
6 min
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Forse un po’ a sorpresa. Forse perché i ragazzi della VF Group-Bardiani vanno forte dopo il buon lavoro svolto in Spagna, ma giusto ieri Alessandro Tonelli, classe 1992, si è regalato una vittoria incredibile alla Vuelta Valenciana, ormai un palcoscenico importante. 

Insieme al compagno Manuele Tarozzi, sono scappati via sull’ultima salita e hanno letteralmente beffato il gruppo. In pianura e in discesa hanno tenuto più del previsto e i velocisti si sono dovuti accontentare dei posti di rincalzo.

Ma questo è quel che succede quando si lavora bene. E in squadra l’entusiasmo non manca. L’arrivo in parata lo testimonia: un riconoscimento per il più “vecchio” del team e quel sorriso sul volto del secondo, Tarozzi appunto.

Meticolosità da scoprire

Tonelli siamo abituati a vederlo spesso in fuga al Giro d’Italia. E magari il grande pubblico lo conosce per questo. Noi invece ve lo presentiamo sotto un altro punto di vista. Eh sì, perché Alessandro Tonelli è quello che si dice un professionista esemplare. E non è una frase fatta o un complimento fine a se stesso. In vari momenti e con vari personaggi dello staff della VF Group-Bardiani è emerso il suo nome. 

«Il più preciso nel fare stretching? Tonelli». «Quello che conosce meglio di tutti il regolamento? Tonelli». «Chi vede bene la corsa? Tonelli». E allora tanto più dopo questo successo di gambe e… testa, appunto, sentiamo il diretto interessato.

Per Tonelli dieci anni da professionista e quattro Giri nel sacco
Per Tonelli dieci anni da professionista e quattro Giri nel sacco
Alessandro, abbiamo elencato tutte queste caratteristiche. Abbiamo dimenticato di aggiungere che già ti vedono come un direttore sportivo nei prossimi anni…

In effetti me lo dicono tutti che quando smetterò mi ci vedono bene, ma per ora dico di no. Per ora sono un corridore e voglio farlo al meglio. E’ il mio lavoro e come tale voglio farlo al 100 per cento.

Cosa hai studiato?

Ho la maturità da geometra, poi all’università avevo iniziato Ingegneria. Ma erano i tempi della Zalf ero sempre fuori e se non seguivi materie come Analisi 1 o Fisica era tosta. Se perdevi una lezione sembrava che avessi perso un anno intero. E così ho deciso di puntare bene su una cosa sola, il ciclismo, ed è andata bene.

Ecco dunque perché sei così metodico! Cosa significa per te essere professionale nel lavoro?

Saper fare il proprio lavoro, individuare il proprio ruolo. Nel caso del ciclista, sai che devi lavorare con il tuo corpo e che lo devi portare al 100 per cento della prestazione. E se qualcosa non è al top, le cose non vanno. Io faccio sempre l’esempio del motore: puoi avere anche quello più potente, ma se qualcosa non funziona questo non rende. Quindi devi lavorarci su, conoscerti. E non è sempre facile.

In Bardiani ti stimano, lo abbiamo visto di persona: ti senti un riferimento per il team?

Sì, tutti i ragazzi fanno affidamento su di me e non solo quando c’è da dire cose belle, ma anche quelle meno belle. Con i direttori sportivi vado a parlarci io. Ma attenzione, ci vado dopo aver vagliato bene la questione. Questa deve essere fondata. Poi, magari anche se non sono d’accordo ma è valida, io riferisco.

Meticoloso e professionale, Alessandro cura molto anche la parte oltre la bici (foto Instagram)
Meticoloso e professionale, Alessandro cura molto anche la parte oltre la bici (foto Instagram)
Perché secondo te hai questo ruolo in squadra?

Perché ormai dopo tanti anni conosco bene la squadra, la famiglia Reverberi, perché sono professionale e anche perché sono il più vecchio. Quindi porto la voce dei corridori, ma anche il contrario.

Il contrario? Spiegaci meglio…

Per esempio eravamo qui in Spagna per il ritiro di gennaio. Terminato quest’ultimo, visto il buon clima valenciano e al tempo stesso le temperature più rigide che cerano da noi, i tecnici mi hanno chiamato. Mi hanno detto di riferire ai ragazzi che chi correva in Spagna la settimana successiva sarebbe potuto restare, così da evitare malanni, sbalzi di temperature e rischiare di buttare via tutto il lavoro fatto. 

“Tonelli vede la corsa”: sei capitano in gara dunque?

Sì, si… Anche l’altro giorno a Mallorca, nella prima corsa dell’anno mi hanno detto subito: «Te, “Tone”, sei il regista, controllali e vedi quel che succede. Dovete essere pronti ad entrare in gioco. Anche tu». Quindi sono un diesse in gara, magari per spronare i ragazzi o per prendere qualche decisione.

Questione dello stretching. Anche in questo caso sei meticoloso…

Torniamo al discorso della professionalità. Se un massaggiatore mi dice di fare una cosa è per il mio bene. Se non la faccio ci rimetto solo io. Non posso dirgli di aver fatto degli esercizi e poi non è così. Primo, perché non va bene per il corpo, e poi perché lui se ne accorge.

In Spagna al lavoro con i compagni, Tonelli (a destra) è sempre stato in questo team (foto G. Reverberi)
In Spagna al lavoro con i compagni, Tonelli (a destra) è sempre stato in questo team (foto G. Reverberi)
I più giovani sono cresciuti col potenziometro e l’alimentazione super controllata. Com’è il rapporto con loro? Ascoltano o magari ne sanno già più di te?

Il ciclismo è cambiato e non serve andare indietro chissà quanto, bastano 3-4 anni. Social, quindi informazioni, e tecnologia alla portata di tutti hanno fatto sì che i giovani fossero più pronti che in passato. Poi se ascoltano o meno, quello dipende anche dal carattere di ognuno. Certo è, che un Tonelli di dieci anni fa era più lascivo dei ragazzi di oggi. Ma lo era non per scarsa professionalità, ma perché non c’erano certe conoscenze.

E invece perché sai così bene il regolamento?

Perché mia sorella Francesca è una giudice di gara – ride Tonelli – è lei che mi dà le novità e mi rende sempre aggiornato.

Alessandro, sei un corridore di sostanza: hai mai pensato di fare il gregario in una grande squadra?

Intanto devo cercare di vincere (e ieri ci è riuscito, ndr) e poi magari potrei anche starci in una WorldTour, perché so fare il mio lavoro. L’idea c’è stata, ma a quasi 32 anni sta scemando e così preferisco stare qui a fare la chioccia che essere uno qualsiasi altrove. La squadra va bene, è cresciuta e io qui sono molto motivato.