Come arginare l’aumento di velocità? Belli ha un’idea

05.11.2025
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Qualcosa si deve cambiare. lo dicono ormai molti dei componenti del variegato mondo del ciclismo, a proposito delle eccessive velocità. Le analisi di fine stagione sono impietose: la media generale delle corse WorldTour, come sottolineato da uno studio su ProCyclingStats, è di 42,913 all’ora che considerando le sole classiche sale a 43,568. Questo significa un aumento di oltre il 5 per cento rispetto a cinque anni fa. Aggiungiamo a questi dati anche quelli relativi al Tour de France, con la maggior media generale della storia, 42,849 con addirittura una tappa (la seconda) oltre i 50 orari.

La seconda tappa del Tour, vinta da Mathieu Van der Poel, ha superato la media dei 50 all'ora
La seconda tappa del Tour, vinta da Mathieu Van der Poel, ha superato la media dei 50 all’ora
La seconda tappa del Tour, vinta da Mathieu Van der Poel, ha superato la media dei 50 all'ora
La seconda tappa del Tour, vinta da Mathieu Van der Poel, ha superato la media dei 50 all’ora

Come intervenire sul mezzo?

E’ sicuramente un problema, che incide sull’aspetto sicurezza. Le voci che chiedono una riduzione ci sono, ma diventa difficile comprendere il come e soprattutto capire chi deve agire in tal senso, perché è chiaro che l’UCI, per legiferare, ha bisogno di un indirizzo chiaro dal movimento. Questo è un tema che ha attraversato anche altre discipline sportive: nell’atletica, per fare un esempio, quando i giavellotti superarono i 100 metri di gittata mettendo a rischio il pubblico, si decise di spostare il baricentro fortemente in avanti, per ridurre la parabola dei lanci.

Per capire come e soprattutto su che cosa bisogna agire abbiamo analizzato la questione con Wladimir Belli, ex campione e oggi apprezzato commentatore di Eurosport sempre molto attento all’aspetto tecnico del ciclismo.

«Si ragiona tanto sui rapporti – dice – ma a mio parere è quasi un palliativo che non affronta la questione. Partiamo dal peso della bici, 6,8 chilogrammi come minimo, è chiaro che su un mezzo del genere ridurre i rapporti non va a influire così tanto. Secondo me bisogna agire sulle ruote. Bisogna mettere mano alle ruote a profilo alto che danno un grande beneficio in termini di aerodinamica, quindi aumentare e mettere un limite al peso minimo delle ruote perché tutte le parti rotanti influiscono in maniera esponenziale nella performance».

Wladimir Belli, campione sui pedali e oggi commentatore di Eurosport con grande competenza tecnica
Wladimir Belli, campione sui pedali e oggi commentatore di Eurosport con grande competenza tecnica
Wladimir Belli, campione sui pedali e oggi commentatore di Eurosport con grande competenza tecnica
Wladimir Belli, campione sui pedali e oggi commentatore di Eurosport con grande competenza tecnica

Quanto può influire il peso

Il discorso di Belli va a toccare gli interessi delle aziende, che però potrebbero anche venire incontro a una simile esigenza. Lo hanno fatto ad esempio le grandi imprese di Formula Uno, quando a un certo punto si sono tutte impegnate nel rendere le macchine anche meno performanti ma più sicure, con quel surplus di sicurezza che si è andato a tradurre nella struttura dei telai delle auto di uso comune.

«Io ho fatto un piccolo esperimento – racconta Belli – ho preso la bilancina per alimenti e ho fatto una prova con tre componenti che sono i pedali anni 90, i Time che usava Indurain, le tacchette e le scarpe di allora. Confrontandoli con i prodotti odierni c’è una differenza di mezzo chilo. Può sembrare poco, ma pensiamo di mettere una cavigliera di mezzo chilo su ognuno dei piedi e affrontare una salita, è chiaro che la velocità si ridurrà e i tempi di percorrenza saranno maggiori. E parliamo di componenti non strettamente legati alla meccanica della bici. C’è una ricerca spasmodica della riduzione di peso “esterna” al fisico del corridore, è lì che bisogna agire e torniamo al punto di prima: le ruote sono la componente principale sulla quale si può agire in tal senso».

Secondo Belli, le ruote sono la componente decisiva per lo sviluppo della velocità
Secondo Belli, le ruote sono la componente decisiva per lo sviluppo della velocità
Secondo Belli, le ruote sono la componente decisiva per lo sviluppo della velocità
Secondo Belli, le ruote sono la componente decisiva per lo sviluppo della velocità

Le gerarchie resterebbero quelle…

Intervenendo cambierebbero i rapporti di forza o le gerarchie resterebbero quelle che vediamo durante la stagione? «Non ho dubbi in tal senso. Chi è forte è forte lo stesso, non influisce sulle gerarchie. Pogacar non vince certo per qualche etto in meno… Facciamo un altro esempio legato alla Milano-Sanremo: pensiamo di affrontare la Classicissima con ruote più pesanti, la differenza sarebbe abissale, ma soprattutto cambierebbe la stessa struttura della corsa, una Cipressa sarebbe sicuramente molto più importante nella sua evoluzione. Per essere più chiari, stai tranquillo che per scattare in salita bisognerà alzarsi sui pedali e non si andrà avanti seduti come ora… Io sono convinto che alzando il peso delle ruote di un 30 per cento, la situazione cambierebbe profondamente».

Abbassando le velocità medie, alla Sanremo anche la Cipressa tornerebbe ad avere un peso
Abbassando le velocità medie, alla Sanremo anche la Cipressa tornerebbe ad avere un peso
Abbassando le velocità medie, alla Sanremo anche la Cipressa tornerebbe ad avere un peso
Abbassando le velocità medie, alla Sanremo anche la Cipressa tornerebbe ad avere un peso

Gli influssi sul mercato

Le aziende accetterebbero un regolamento diverso da parte dell’UCI, ad esempio proprio le aziende legate alle ruote: «I cicloamatori che sono la gran parte della clientela, vanno dietro ai professionisti. Qualcuno ricorderà i famosi Spinaci di Cinelli adottati negli anni 90. Quando la Federazione Internazionale li ha vietati, sono spariti anche a livello amatoriale perché si tende a imitare quel che fanno i pro’, ad acquistare gli strumenti del nostro campione preferito. Con quell’accessorio la sicurezza veniva in parte meno perché non avevi i freni.

«Le aziende secondo me non vedrebbero l’ora perché continuerebbero a vendere le ruote dei professionisti. Perché si tende ad emulare quello che fanno loro e potrebbe essere per loro un business. Spingere a utilizzare le ruote che usano i campioni».

Elia Viviani, palestra (foto Instagram Elia Viviani)

Palestra: funzionalità e vantaggi, a lezione da Marco Compri

03.11.2025
4 min
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Riuscire a trovare il giusto equilibrio nel bilanciamento dei carichi di lavoro in palestra non è affatto semplice. Lorenzo Milesi, nella nostra ultima intervista ha detto di aver aumentato la massa muscolare in maniera eccessiva e di essersi trovato in difficoltà nella prima parte di stagione. Gli allenamenti in palestra sono necessari al miglioramento delle performance, capire quale sia il modo migliore per integrarli e i lavori da fare è altrettanto fondamentale. Per riuscire a comprendere il tutto ci rivolgiamo a Marco Compri, responsabile palestra del gruppo performance della Federazione.

«Se queste sono state le sensazioni di Milesi è chiaro che nello scorso inverno qualcosa non ha funzionato – ci dice Compri – già a livello concettuale. In palestra un ciclista generalmente non ha necessità di lavorare sull’ipertrofia, a differenza di alcune specialità della pista o la BMX. Inoltre per quanto riguarda il ciclismo su strada ci sono anche i parametri di peso da considerare».

Marco Compri, responsabile palestra gruppo performance Federazione
Marco Compri, responsabile palestra gruppo performance Federazione
Marco Compri, responsabile palestra gruppo performance Federazione
Marco Compri, responsabile palestra gruppo performance Federazione
Partiamo dal concetto di ipertrofia?

In questo caso il focus è sull’aumento della massa muscolare, l’atleta non lavorerà tanto sulla velocità nello spostare un carico, ma sul volume.

Quali sono le linee guida sulle quali deve lavorare un ciclista su strada?

L’obiettivo non è tanto allenare la forza, inteso come ricerca del massimo parametro di forza possibile, quanto piuttosto focalizzarsi sulla potenza e questo aspetto sottende la capacità di erogare il maggior quantitativo di forza nel minor tempo possibile. L’allenamento in palestra di un ciclista su strada deve essere volto a spostare un carico significativo ad alta velocità così da ottenere un adattamento neuromuscolare funzionale alla prestazione e non alla massa. Tutto questo va poi riferito alla MED.

Elia Viviani, palestra (foto Instagram Elia Viviani)
La nazionale lavora da diversi anni alternando palestra e ripetute in pista, qui Viviani ai tempi della Cofidis (foto Instagram Elia Viviani)
Elia Viviani, palestra (foto Instagram Elia Viviani)
La nazionale lavora da diversi anni alternando palestra e ripetute in pista, qui Viviani ai tempi della Cofidis (foto Instagram Elia Viviani)
Ovvero?

Il volume minimo efficace per rendere forte l’atleta o Minimum Effective Dose (MED, ndr) e va portato avanti sempre. In qualsiasi momento della stagione, perché il detraining per quanto riguarda la forza ha tempi davvero bassi. Già dopo sei giorni si inizia a perdere forza. Se poi si smette di allenarla, come spesso accade durante la stagione, la perdita è totale.

Ma questo volume minimo efficace come si allena?

Si utilizza un volume di ripetute che va da 12 a 48, con un carico dall’80 all’85 per cento del carico massimale dell’atleta, da effettuare due volte per microciclo con un recupero dalle 48 alle 72 ore. E’ uno stimolo, ripeto, da mantenere per tutto l’anno.

Filippo Ganna, palestra (foto Instagram Filippo Ganna)
Sarebbe meglio allenarsi a corpo libero con carichi, in alternativa i macchinari possono comunque svolgere una buona funzione (foto Instagram Filippo Ganna)
Filippo Ganna, palestra (foto Instagram Filippo Ganna)
Sarebbe meglio allenarsi a corpo libero con carichi, in alternativa i macchinari possono comunque svolgere una buona funzione (foto Instagram Filippo Ganna)
Che lavori si possono fare?

Lavori bipodalici multiarticolari di tipo assiale. Che detto in parole povere sono, ad esempio: squat, stacchi e spinte in alto con bilanciere. Sono esercizi complessi che richiedono all’atleta di utilizzare gran parte dei muscoli. Nello squat, per fare un altro esempio, vengono chiamati in causa 276 muscoli.

In questo modo l’allenamento in palestra diventa completo?

Diventa efficace. Il concetto è che il cervello riconosce il movimento, non il muscolo. Se si fanno esercizi da seduto, o da fermi, su qualche macchinario, lavoro su pochi distretti muscolari e non stimolo la stabilizzazione.

Elia Viviani, palestra (foto Instagram Elia Viviani)
Per la parte superiore del corpo si possono fare esercizi di core stability (foto Instagram Elia Viviani)
Elia Viviani, palestra (foto Instagram Elia Viviani)
Per la parte superiore del corpo si possono fare esercizi di core stability (foto Instagram Elia Viviani)
Un concetto da portare avanti tutto l’anno quindi?

Sì, quello che ancora si fa fatica a comprendere è che l’allenamento della forza con sovraccarichi, anche per gli stradisti, va protratto per tutto l’anno. Durante la stagione l’allenamento della forza non è sempre prioritario, ma è importante e quindi la seduta può e deve essere strutturata in modo strategico. In inverno si possono anche fare quarantacinque minuti. Mentre durante la stagione ne bastano la metà. Lavorando sempre sul concetto del volume minimo che renda però forte l’atleta.

Come si trova l’equilibrio?

Si deve cercare una via attuabile, corretta ed efficace che non vada a intaccare l’attività su strada. Se un atleta non ha mai lavorato in palestra ha bisogno di un po’ più di tempo per trovare il giusto equilibrio e farlo in maniera efficace ed efficiente. E’ fattibile, sostenibile e produce grandi vantaggi.

Giro di Lombardia 2025, Tadej Pogacar

EDITORIALE / Limitando le bici, vince sempre il più forte

03.11.2025
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Le medie salgono, le bici migliorano così come le preparazioni, le strade peggiorano, sia come manutenzione, sia per la presenza di elementi di arredo urbano che non tengono conto della possibilità che prima o poi passi una corsa. E la sicurezza ovviamente diventa una chimera. La statistica realizzata da procyclingstats.com mostra come la media oraria delle corse WorldTour nel 2025 sia stata di 42,913 chilometri orari. Fra il 2001 e il 2020 si era arrivati a sfiorare i 40 orari, mentre dopo l’anno del Covid, i valori hanno preso a salire.

Dovendo metterci un freno, l’UCI si è infilata in un vespaio, imponendo una serie di limitazioni. Prima quella per arginare la rotazione delle leve dei freni. Poi quella per limitare la tendenza di stringere i manubri. Quindi imponendo un limite all’altezza dei cerchi. Infine cercando di avviare dei test per studiare la limitazione nello sviluppo metrico dei rapporti, fermata però dal garante per la concorrenza del Belgio, perché apparentemente avrebbe limitato solamente Sram.

Campionati del mondo Kigali 2025, GDavid Lappartient, conferenza stampa
Ai campionati del mondo di Kigali 2025, il presidente Lappartient ha difeso le misure dell’UCI che tuttavia non incidono
Campionati del mondo Kigali 2025, GDavid Lappartient, conferenza stampa
Ai campionati del mondo di Kigali 2025, il presidente Lappartient ha difeso le misure dell’UCI che tuttavia non incidono

Come la bici di Coppi

Intervistato di recente su tutt’altro argomento, Stefano Garzelli ci ha regalato uno spunto che si inserisce benissimo nel discorso.

«Lo scorso fine settimana – ci ha detto – mi sono trovato a fare la discesa di Pizzo Sant’Angelo in Costiera Amalfitana e mi sono ricordato di quando la feci per la prima volta alla Tirreno-Adriatico del 1999. Mi ricordo proprio la fatica della discesa. Molte volte la gente mi chiede quanto vadano forte quelli di adesso. E io rispondo che è vero, ma darei loro le biciclette che avevamo noi 20 anni fa e secondo me si scoprirebbe che non andavamo tanto più piano. Solo che la differenza di frenata tra i freni di una volta e quelli a disco è abissale.

«A casa ho la Bianchi con cui vinsi il Giro del 2000 e sembra la bici di Coppi. Oggi non potrei più usarla. Per andare a 40 all’ora in pianura, devi andare a tutta, ora invece a 40 all’ora ci vai quasi senza pedalare, grazie alle ruote, i cuscinetti in ceramica, l’aerodinamica, i profili. Le cadute ci sono perché con il freno a disco stacchi sempre dopo, quindi vuol dire che arrivi sempre più veloce alla curva e non puoi sbagliare. Se sbagli, cadi. Invece una volta si frenava 50 metri prima e nelle curve entravi con più margine».

Giro d'Italia 2000, cronoscalata Briancon-Sestriere, Stefano Garzelli
Giro 2000, cronoscalata decisiva: la bici di ogni giorno con la protesi: sembra la bici di Coppi?
Giro d'Italia 2000, cronoscalata Briancon-Sestriere, Stefano Garzelli
Giro 2000, cronoscalata decisiva: la bici di ogni giorno con la protesi: sembra la bici di Coppi?

Alto profilo, parliamone…

Vogliamo ridurre davvero le velocità? Non potendo limitare la capacità di prestazione dell’atleta, che anche grazie alla nutrizione ormai è sempre al top, bisogna intervenire sulle biciclette, ma non nel modo cervellotico e vano ipotizzato dall’UCI per non scontentare nessuno.

Non si può tornare indietro dai freni a disco e dai perni passanti che rendono la bici e la frenata più rigidi? Va bene. I telai in carbonio sono i più performanti, sicuri e confortevoli? Va bene. Si torni allora indietro sulle ruote. Il limite di 65 millimetri è troppo alto: fatte salve le cronometro e senza toccare i cuscinetti, si scenda a un profilo da 30. L’UCI dice di aver scelto la misura limite, notando che al Tour nessuno utilizzava cerchi più alti di 65. Se però le velocità sono troppo alte, qual è il senso di aver mantenuto lo status quo?

A questo punto si potrebbe ragionare anche sulle posizioni in sella, che attualmente proiettano il corridore così in avanti da rendere la bici difficilmente manovrabile. Il limite imposto un tempo all’avanzamento della sella, per arginare le posizioni troppo estreme, avrebbe oggi una nuova ragione di essere.

Sul Colle delle Finestre con la bici aero e ruote da 30-37 mm. Un assetto che potrebbe diventare la regola per tutti?
Sul Colle delle Finestre con la bici aero e ruote da 30-37 mm. Un assetto che potrebbe diventare la regola per tutti?

Bici più comode e sicure

Il traguardo finale dovrebbe essere avere biciclette più comode, con una distribuzione dei pesi che eviti squilibri e soluzioni tecniche che non trasformino l’atleta in un proiettile incontrollabile. Se il ritorno delle medie sotto il tetto dei 40 può ridurre il numero degli incidenti fatali (che purtroppo ci saranno sempre), crediamo che qualche sacrificio in questo senso possa essere accettabile. Se contemporaneamente si diventasse più intransigenti nella scelta dei percorsi e delle dotazioni di sicurezza per gli arrivi, i passi in avanti sarebbero anche maggiori.

Il Giro 2000 di Garzelli fu un raccoglitore di emozioni fortissime e venne corso a 37,548 di media. Assolutamente nulla da invidiare all’ultimo conquistato da Yates a 41,728 chilometri orari e anch’esso deciso da un capolavoro nelle tappe finali.

Velocità in partenza per il Cile, Quaranta si fa i conti

Velocità in partenza per il Cile, Quaranta si fa i conti

17.10.2025
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Salvoldi e Bragato, nei loro rispettivi ambiti, hanno espresso situazione e prospettive della spedizione azzurra verso i mondiali su pista di Santiago del Cile, ma ieri con loro è partito anche un altro cittì al suo esordio come responsabile unico di settore. Per la sua prima esperienza nel ruolo (che poi nei fatti non cambia nulla visto il suo lavoro nelle ultime stagioni) Ivan Quaranta ha predisposto una squadra di velocisti con qualche novità non tanto nei nomi, quanto nella disposizione dei posti e quindi carne al fuoco ce n’è.

Da sinistra Minuta, Predomo e Napolitano, il team campione europeo U23 che sarà al via nel Team Sprint
Da sinistra Minuta, Predomo e Napolitano, il team campione europeo U23 che sarà al via nel Team Sprint
Da sinistra Minuta, Predomo e Napolitano, il team campione europeo U23 che sarà al via nel Team Sprint
Da sinistra Minuta, Predomo e Napolitano, il team campione europeo U23 che sarà al via nel Team Sprint

Il Team Sprint chiarirà le idee

Si parte, sia temporalmente (sarà la prima disciplina della rassegna iridata) che come peso specifico, dalla velocità a squadre. Quaranta sa che ci si gioca molto, soprattutto inquadrando quel cammino di progresso tanto annunciato e molto atteso.

«Riconfermo il terzetto che ha vinto il titolo europeo U23 – dice Quaranta – con Napolitano al lancio, Minuta per il secondo giro e Predomo in chiusura. Hanno fatto registrare il record italiano, quindi è una formazione abbastanza collaudata. Poi vediamo un po’ come siamo messi in base agli altri terzetti, mi piacerebbe inserire Bianchi al secondo carrello spostando Minuta al lancio, ma vedremo come va. Per adesso noi non siamo ancora una nazione da medaglie fra gli elite, ma sappiamo che abbiamo lavorato bene. Non ci manca niente e quindi nella seconda manche possiamo permetterci di fare anche degli esperimenti, sapendo che si può anche sbagliare».

A te interessa di più fare un gran tempo o magari salire anche di un solo gradino, cogliere magari un sesto posto che nella nostra ottica sarebbe come una medaglia?

Per noi il primo obiettivo dev’essere entrare a far parte delle prime 8 squadre, perché vuol dire comunque iniziare a sentire il profumo della qualifica olimpica. Ma per riuscirci dipende anche da come vanno gli altri. Poi dipende dal tempo, noi ad Anadia abbiamo fatto il record a 43”2, con quel tempo ti qualificavi ottavo a Parigi. Ma basterà ora? Dipende da tanti fattori: le condizioni della pista, del clima, chi ci sarà contro di noi… Il miglioramento è fisiologico e non va forzato.

Matteo Bianchi, già campione europeo nel chilometro proverà a centrare il podio mondiale
Matteo Bianchi, già campione europeo nel chilometro proverà a centrare il podio mondiale
Matteo Bianchi, già campione europeo nel chilometro proverà a centrare il podio mondiale
Matteo Bianchi, già campione europeo nel chilometro proverà a centrare il podio mondiale
Come mai Predomo nelle prove individuali sarà solo riserva?

Ai mondiali ci si qualifica e attraverso una classifica nominale. Si è qualificato solo Stefano Moro e non c’è possibilità di sostituirlo se non per acclarati motivi di salute. Purtroppo quest’anno Mattia ha avuto un po’ di problemini che gli hanno precluso appuntamenti importanti per ottenere i punti necessari.

Che notizie hai delle altre nazioni?

Intanto c’è la grande novità del ritorno di Richardson nelle file inglesi, dopo aver corso diverse Olimpiadi e mondiali con l’Australia dove si era trasferito. Questo rafforza enormemente la Gran Bretagna e al contempo indebolisce il team oceanico. Poi bisogna considerare un fatto: nell’endurance si fanno i conti con le altre discipline, molti campioni hanno scelto di saltare la stagione su pista, ma nella velocità non avviene. Già di corse ce ne sono poche, quindi ogni gara titolata presenta sempre il meglio sulla piazza. Difficile che si facciano esperimenti, questo sarà un mondiale vero. Richardson, Lavreysen, Paul, Yakovlev, li troveremo tutti. Di sicuro sarà un grande spettacolo.

Matthew Richardson ha culminato la sua carriera australiana con 3 medaglie a Parigi 2024, ora è tornato alla Gran Bretagna
Matthew Richardson ha culminato la sua carriera australiana con 3 medaglie a Parigi 2024, ora è tornato alla Gran Bretagna
Matthew Richardson ha culminato la sua carriera australiana con 3 medaglie a Parigi 2024, ora è tornato alla Gran Bretagna
Matthew Richardson ha culminato la sua carriera australiana con 3 medaglie a Parigi 2024, ora è tornato alla Gran Bretagna
Che cosa ti hanno detto del velodromo?

Siamo a 500 metri, quindi il beneficio dell’altura non c’è – afferma Quaranta – ci sarà sicuramente meno umidità rispetto a un velodromo a livello del mare, quindi sarà leggermente più performante. Tecnicamente la pista è uguale a Montichiari, quindi 45 per cento la parabolica e 25 per cento il rettilineo con 6 metri di larghezza e 6 di curva. La scorrevolezza la vediamo quando siamo là, quei 3-4 giorni che facciamo prima del mondiale ci serviranno anche per capire che rapporto usare e che scelta di tubolari da utilizzare.

Tra le donne ci sarà soltanto Miriam Vece?

Sì. Noi potevamo partecipare al team sprint con le donne, avevamo i diritti, ma sono ancora juniores, hanno fatto europeo elite, europeo junior e mondiale junior, non me la sono sentita di chiedere un altro picco di forma. Poi bisogna anche considerare il budget a disposizione, la trasferta era molto dispendiosa. Faranno l’europeo di febbraio, da dove inizieremo a ragionare anche in funzione della qualificazione olimpica che è il vero grande obiettivo per tutti.

Stefano Moro prenderà parte a velocità e keirin, dove ha chiuso ai piedi del podio l'europeo
Stefano Moro prenderà parte a velocità e keirin, dove ha chiuso ai piedi del podio l’europeo
Stefano Moro prenderà parte a velocità e keirin, dove ha chiuso ai piedi del podio l'europeo
Stefano Moro prenderà parte a velocità e keirin, dove ha chiuso ai piedi del podio l’europeo
La Vece come si presenta?

Sta bene, il suo l’ha sempre fatto. Abbiamo fatto anche delle prove sul chilometro, ma per questa volta lo farà ancora la Fidanza che è bronzo europeo, ma secondo me può avere delle buone possibilità di fare un buon tempo anche nel chilometro. Poi capita in un momento del programma settimanale che è il giorno prima del keirin, quindi ho preferito non farglielo fare. Io dico che Miriam (con Quaranta nella foto di apertura, ndr) è da prime 10 nella velocità e quindi giocarsi anche un ingresso nei quarti di finale, mentre nel keirin è da finale e quando sei lì può succedere sempre di tutto. Come l’anno scorso a Moro che ha fatto quarto all’europeo per un tubolare e decimo al mondiale. Vediamo come va giorno per giorno, noi cercheremo di ottenere i migliori risultati.

Matilde Cenci, ai mondiali è esploso un talento puro

01.09.2025
6 min
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Tre medaglie d’oro e la ciliegina del bronzo nella velocità. I mondiali juniores su pista ad Apeldoorn hanno mostrato l’esplosione di tutto il talento di Matilde Cenci, arrivata in Olanda quasi da sconosciuta per poi guadagnarsi l’ammirazione anche delle delegazioni straniere. E’ una delle tante storie belle del ciclismo, che spesso fa sbocciare dal nulla autentici campioni: Matilde è giovanissima, non ancora maggiorenne e se sarà una campionessa assoluta solo il tempo potrà dirlo, ma le premesse ci sono tutte.

Matilde con le compagne iridate nel team sprint, Campana, Fiscarelli e Trevisan (foto UCI)
Matilde con le compagne iridate nel team sprint, Campana, Fiscarelli e Trevisan (foto UCI)

Proviamo allora a scoprire con chi abbiamo a che fare, alla storia di questa ragazza di Romano d’Ezzelino: «Farò 18 anni il prossimo 14 novembre. Da piccolina facevo ginnastica artistica, ma mi sono fatta male al legamento del ginocchio. Nel frattempo mio fratello correva in bici al Veloce Club Bassano, così ho conosciuto i suoi compagni, ho fatto amicizia e ho deciso di provare a correre in bici perché la ginnastica artistica a quel punto non era più la mia strada. A proposito di strada, correvo e qualche risultato lo coglievo, ma assolutamente niente di eccezionale. In pista però andavo sempre forte, al velodromo Mercante che è diventato la mia seconda casa. Il bello è che avevo iniziato con una caduta, ma non ci sono stata tanto a pensare: subito in piedi e poi in sella…».

Quindi un destino praticamente segnato…

Per certi versi sì, la differenza di rendimento c’era così con i dirigenti del team e il cittì Quaranta abbiamo deciso di dedicarci interamente alla pista. Su strada non corro più. Un pochino mi manca quella possibilità che la pista ti dà di rifarti subito dopo una gara andata male, perché il calendario è ricchissimo, ma la pista mi piace enormemente di più.

La bassanese ha scelto di non correre più su strada. Da quest’anno fa parte delle Fiamme Oro (foto Instagram)
La bassanese ha scelto di non correre più su strada. Da quest’anno fa parte delle Fiamme Oro (foto Instagram)
Il tuo passato nella ginnastica artistica ti è stato utile per affrontare proprio questo specifico settore della velocità?

Secondo me non ero ancora a un livello tale da poterne avere un beneficio, perché ero davvero piccolina. Ho iniziato con il ciclismo a 10 anni e mezzo, e devo dire che mi ha preso subito come la ginnastica non era riuscita a fare.

Come ti sei innamorata poi della velocità, che cos’è che ti attrae particolarmente?

A me sono sempre piaciute le discipline veloci, dinamiche, che ti tolgono il respiro perché sei sul filo del rasoio, ti giochi tutto sui millesimi. E poi anche per come sono io fisicamente, sono più portata per le prove di potenza che per le endurance. Poi mi ha sempre appassionato il mondo della velocità, era la disciplina che mi attirava di più.

Fra le varie discipline tu hai vinto tre medaglie d’oro e una di bronzo, ma qual è quella che ti piace di più?

Il keirin, in assoluto, anche se ad Apeldoorn quella che ho vissuto con più emozione è stata il team sprint. Perché è stata una vittoria di squadra e quindi abbracciare le mie compagne, essere consapevoli di aver vinto qualcosa tutti assieme, aver fatto un lavoro di squadra è stato bellissimo.

Nel chilometro da fermo la veneta è andata ad appena 70 millesimi dal record mondiale di categoria (foto Instagram)
Nel chilometro da fermo la veneta è andata ad appena 70 millesimi dal record mondiale di categoria (foto Instagram)
Quaranta raccontava che tu hai vinto la medaglia d’oro nel keirin in maniera quasi inusuale, addirittura facendo un giro e mezzo davanti a tutte…

Io sono arrivata al keirin che era il mio quinto giorno di gara, ero stremata, penso più di testa che di fisico. Inoltre ricordavo l’europeo dove avevo sbagliato tutto, era la gara alla quale tenevo di più. Ad Apeldoorn nelle qualificazioni ho sbagliato ancora e non mi sono qualificata, ma poi ho vinto i ripescaggi e in semifinale sono riuscita a entrare nelle tre per la finale. Prima della gara ero proprio tranquilla, forse perché avevo già vinto nella rassegna. Ivan mi ha detto di pensare solo a divertirmi, magari evitando di farmi male… Quindi io sono salita in bici che avevo il cuor leggero. Mi sono fatta guidare dall’istinto. Ho visto la tedesca che partiva e l’ho seguita, è suonata la campana e sono partita senza starci a pensare ed è andata bene.

Cosa rappresenta per te Miriam Vece?

E’ un punto di riferimento, anzi ormai è anche un’amica perché ci alleniamo assieme a Montichiari. A noi “piccole” ci supporta sempre, al mondiale ci scriveva ogni giorno e ci dava consigli. Lei è un pozzo di esperienza, un aiuto indispensabile.

La vittoria nel keirin è stata la più sorprendente, con il giro finale sempre in testa (foto UCI)
La vittoria nel keirin è stata la più sorprendente, con il giro finale sempre in testa (foto UCI)
Quaranta ha già detto che l’anno prossimo vuole provare a farvi correre con lei per il team sprint…

Noi abbiamo già corso con Miriam lo scorso inverno, anche agli europei. Ma eravamo, io e la mia compagna, ancora troppo piccole, dovevamo ancora crescere molto fisicamente. Quest’anno ci riproveremo a febbraio con gli europei e poi vedremo il cammino di qualificazione olimpica. Di certo Los Angeles è un obiettivo, a lungo termine. Non abbiamo, tra virgolette, il fiato sul collo. Non sentiamo la pressione, ma è un pensiero che abbiamo tutti chiaro in testa.

Lavorare in palestra ti pesa?

Assolutamente no, quest’anno ho cambiato preparatore e devo dire che ha un metodo di lavoro completamente diverso da ciò che io avevo provato prima di lui, mi sto trovando molto bene anche proprio a livello interpersonale. E’ super disponibile, abbiamo un feedback praticamente istantaneo con lui, ci corregge i lavori. E’ un rapporto ideale.

Il bilancio della Cenci è stato di 3 ori e un bronzo. Agli europei aveva vinto il bronzo nel team sprint (foto UCI)
Il bilancio della Cenci è stato di 3 ori e un bronzo. Agli europei aveva vinto il bronzo nel team sprint (foto UCI)
Come riesci a conciliare il tanto lavoro che c’è da fare su pista con la scuola?

Io quest’anno ho dovuto cambiare scuola, mi sono dovuta trasferire in una scuola online, perché stando a Montichiari, dal lunedì al venerdì, per me era impossibile frequentare la scuola in presenza a Bassano. Continuo nel mio indirizzo, scienze umane e terminate le superiori voglio fare l’università, quindi non ho certo preso lo studio alla leggera. Così però posso gestire meglio il tempo e seguire le lezioni nell’orario in cui voglio io.

Che obiettivi ti sei posta adesso, soprattutto dopo che adesso chiaramente hai un po’ più di fari dell’attenzione addosso?

Intanto penso ai campionati italiani di ottobre a Noto, poi a lungo termine c’è il passaggio di categoria. So che sarà molto dura, correrò con atlete con più allenamenti di me, che sono più forti di me, ma tra le under 23 l’anno prossimo mi piacerebbe riuscire comunque a far sentire il mio nome, a far capire che ci sono anch’io, che sto arrivando…

La velocità vola. E ora “Bomber” Quaranta vuole battere i grandi

11.03.2025
5 min
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«Oggi anche un giovane italiano – dice con orgoglio e una punta di malizia Ivan Quaranta – può dire che da grande vuole fare il velocista. Può dirlo perché esiste un settore con dei tecnici dedicati e i Corpi di Stato che ci danno una mano. Gli atleti più meritevoli vengono assunti, la Federazione ci crede e noi andiamo avanti. A me non basta più vincere il campionato europeo da junior o under 23. Mi piacerebbe arrivare a Los Angeles con qualche velleità in più».

Dopo tre anni da collaboratore di Marco Villa, Ivan Quaranta è stato nominato commissario tecnico della velocità azzurra. Oggi è partito per la Turchia verso la prova di Nations’ Cup. Se fosse il naturale corso nella carriera di un tecnico che tecnico è sempre stato, ci sarebbe poco di cui stupirsi. Ma se l’uomo si fa chiamare Bomber, ha nel palmares un mondiale juniores nella velocità, poi una carriera su strada in cui vinse volate e rifilò cazzotti a Cipollini, quindi si è messo a organizzare eventi prima di diventare tecnico juniores e poi U23, allora la storia ha i tratti del romanzo. Ivan Quaranta cittì azzurro della pista è il capitolo di un romanzo che nel 2028 a Los Angeles potrebbe arricchirsi di qualche pagina indimenticabile.

«E’ il riconoscimento del lavoro che ho fatto – dice Ivan “Bomber” Quaranta – ho affiancato Villa e anche Marco era d’accordo. E’ il coronamento di un sogno, essere commissario tecnico del settore velocità è un grande onore, essendo nato nella velocità. La prima gara di valore che ho vinto fu il campionato del mondo in pista nel torneo della velocità».

Nella serata di Zolder agli ultimi europei, l’oro di Bianchi (qui con Ivan Quaranta) nel km da fermo
Nella serata di Zolder agli ultimi europei, l’oro di Bianchi (qui con Ivan Quaranta) nel km da fermo
Rispetto agli anni in cui vincevi quel mondiale, il mondo è cambiato…

Sono stato tecnico su strada, prima con gli allievi della Cremasca e poi con la Colpack. Sapevo già leggere un test, ero aggiornato. Però era tutto legato alla strada, quindi ricominciare con la velocità ha significato rendersi conto che il mondo era cambiato radicalmente. Anche se la velocità l’ho sempre guardata, mi è sempre piaciuta. Da Theo Bos a Chris Hoy, sono sempre stato appassionato. Capivo che i rapporti erano cambiati, i materiali, le velocità, anche il tipo di volata.

Il tipo di volata?

Da quando hanno tolto la possibilità di fare surplace, è cambiato anche il modello prestativo della specialità. Adesso si mettono in testa e bisogna avere nelle gambe 40-45 secondi di sforzo massimale, con rapportoni molto più lunghi. Mi sono dovuto applicare, inizialmente mi è servito molto l’aiuto di Villa. Poi mi sono appoggiato al nostro Team Performance, a partire da Diego Bragato, che ne è responsabile, e tutti gli altri. Mi sono applicato, ho studiato, ho cercato di rubare il mestiere andando a vedere.

Andando a vedere cosa?

Mi è capitato di andare in pista con i meccanici la mattina molto presto. Il velodromo era vuoto e io andavo a rubare un po’ di foto per vedere i rapporti che usavano, le pedivelle. Se il tecnico è preparato, capisce che tipo di prestazione serve per poter essere competitivi. Inizialmente abbiamo sperimentato, a volte anche sbagliando. A volte, purtroppo è brutto da dire, ho usato questi ragazzi come cavie. Mi sono rimesso anche sui libri di testo, qualcosa mi ha passato Dino Salvoldi. Ho lavorato tre anni cercando di capire che tipo di sforzo servisse.

Mattia Predomo si è affacciato da giovanissimo sulla velocità mondiale
Mattia Predomo si è affacciato da giovanissimo sulla velocità mondiale
E che cosa avete capito?

Che la grande differenza oggi è il lavoro che il velocista fa in palestra. La forza la migliori in palestra. In bicicletta la puoi completare, puoi fare tutti i lavori che vuoi. La partenza da fermo piuttosto che le SFR. Fai tutti i lavori che vuoi, ma la vera forza l’aumenti in palestra. Un buon 65-70% del nostro allenamento si fa con i pesi e lo completiamo in bicicletta, perché comunque il gesto tecnico ci deve essere. Oltre al modello prestativo, c’è anche la componente tecnica. Penso al cambio in un team sprint piuttosto che la tecnica della partenza da fermo o le traiettorie da utilizzare in un lancio su 200 metri. C’è ancora tanta componente tecnica e molta più fisicità rispetto a quando correvo io.

Nel 2020 la velocità italiana quasi non esisteva, oggi è un settore in rampa di lancio…

Abbiamo creato un metodo di lavoro che sta dando i suoi buoni frutti. Sicuramente sbaglieremo ancora, sicuramente non saremo i migliori, però in tre anni abbiamo vinto tre campionati del mondo e 14 titoli europei, battendo anche tedeschi, inglesi e francesi. Nei giovani siamo una delle Nazioni più forti. La cosa importante è sottolineare Il supporto dei corpi di Stato, che per noi è stato fondamentale. Perché grazie a loro e al nostro metodo di lavoro siamo riusciti a raggiungere dei buoni risultati. La qualifica olimpica della Miriam (Vece, ndr). Abbiamo abbassato tutti i record italiani. Abbiamo vinto i campionati europei, i campionati del mondo juniores, ancora l’anno scorso con Del Medico. Questo ha permesso di creare un bel gruppo, perché adesso saremo una ventina.

Parlavi dei corpi militari…

Siamo una ventina e ce l’hanno permesso Fiamme Oro, Fiamme Azzure e l’Esercito, che hanno praticamente assunto quasi tutti i velocisti. La cosa più bella è che una volta li dovevi andare a cercare per convincerli. Speravi che venissero in pista a girare per diventare velocisti. Nessuno voleva avvicinarsi al mondo dello sprint, perché significava abbandonare la strada. Arrivi al punto che fino agli juniores, qualche garetta puoi ancora farla. Ma poi devi abbandonare la strada, perché il lavoro è prettamente palestra-pista a oltranza. La cosa più bella adesso è che ci sono gli allievi e anche gli juniores che ti chiamano e vogliono provare. Un allievo può dire di voler fare il velocista. Questa è la cosa più importante che abbiamo creato in questi anni.

Per Ivan Quaranta, qui con Miriam Vece, gli ultimi tre sono stati anni di studio e lavoro
Per Ivan Quaranta, qui con Miriam Vece, gli ultimi tre sono stati anni di studio e lavoro
Abbiamo un bel gruppo di giovani in rotta su Los Angeles, quindi?

Fra quattro anni, i nostri dovrebbero essere pronti. Poi c’è così tanto divario tra elite, under 23 e juniores, che servono degli anni per imporsi. Per arrivare a tirare certi rapporti, per sollevare certi pesi in palestra e andare a certa velocità, servono anni di lavoro. Predomo è un secondo anno under 23. Bianchi è già un primo anno elite. Moro è già un po’ più grande. E io fra quattro anni voglio cominciare a rompere le scatole anche gli elite. Con questi ragazzi, che ho trovato quando sono arrivato. E con quelli che si stanno inserendo, che oggi sono juniores di primo e secondo anno. Matilde Cenci, che era al primo anno da junior, l’anno scorso è stata terza nel keirin. Quindi se non è Los Angeles, saranno le Olimpiadi successive. Comunque stiamo creando un bel gruppo, prima o poi un Lavreysen lo troveremo anche in italia.

EDITORIALE / La morte di Drege, Van Aert e la velocità

06.01.2025
5 min
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Che sia necessità o falso mito, la velocità tiene banco. Si lavora su tutti i fronti immaginabili perché resti alta e possibilmente aumenti. Quelli che cercano a tutti i costi le ombre si interrogano sul perché oggi si vada molto più forte di quando dilagava il doping, senza rendersi conto – per disinformazione o cattiva fede – di quanto oggi sia tutto qualitativamente migliore. Infinitamente migliore. Lo diceva ieri Pino Toni a Fabio Dal Pan, parlando dei record d’inverno.

La media calava quando la stanchezza prendeva il sopravvento, ma quando soprattutto i paninetti e i gel di un tempo non bastavano per supportare la prestazione. E’ tale invece il quantitativo di carboidrati che gli atleti ingeriscono oggi in gara, che semplicemente la velocità non decresce. E’ un andare forte che poggia su corridori di qualità eccezionali, allenamenti mirati e materiali così performanti, che le medie sono per forza destinate ad aumentare. La scrematura dei talenti è così elevata che nelle corse – specialmente quelle WorldTour – difficilmente ci si imbatte in un corridore meno che eccellente.

André Drege è scomparso in seguito alla caduta nello scorso Tour of Austria (foto Afp)
André Drege è scomparso in seguito alla caduta nello scorso Tour of Austria (foto Afp)

La morte di Drege

Chiaramente qualche nodo arriva al pettine, come avemmo modo di scrivere dopo la morte di André Drege al Giro d’Austria. Non sempre si può parlare di fatalità e in quel caso si accennò alla possibilità che la caduta del norvegese fosse stata dovuta a un difetto nei materiali, all’uso di cerchi hookless con pneumatici non dedicati al 100 per cento. Una prima conferma è arrivata il 3 gennaio, come scrive l’austriaco Die Presse. Thomas Burger, perito incaricato dalla procura di Klagenfurt, ha dichiarato: «La gomma posteriore è stata danneggiata passando su un oggetto duro, probabilmente nell’ultima curva prima dell’incidente».

La non perfetta aderenza fra la gomma e il cerchio avrebbe a quel punto provocato lo stallonamento e la perdita di aderenza. Non è un caso che durante la visita al quartier generale di Pirelli che facemmo ai primi di novembre ci venne spiegato che l’uso di certi materiali è sicuro quando per ciascun cerchio viene prodotta una gomma dedicata. Tuttavia, vista la difficoltà di venderli e usarli in accoppiamento esclusivo, l’utilizzo generalizzato di cerchi hookless resta inaffidabile ed è pertanto sconsigliato.

La ricerca della velocità deve poggiare su una perfezione su cui a volte si chiudono gli occhi. Confidando che le gomme più grosse e i freni a disco permettano di gestire biciclette che sembrano moto da corsa e corrono sugli stessi viottoli di cent’anni fa.

La discesa, magistrale e da brividi, di Pogacar dal Galibier nella quarta tappa del Tour
La discesa, magistrale e da brividi, di Pogacar dal Galibier nella quarta tappa del Tour

La caduta di Van Aert

I corridori a volte se ne rendono conto, perché sopra alle bici ci sono loro. Finché va tutto bene, tanti applausi e braccia al cielo. Quando va male, vista appunto la velocità di esercizio, sono grossi guai. Il fatto è che i corridori non li ascolta nessuno, almeno finché non si metteranno seriamente di traverso. A loro è richiesto di allenarsi, ingerire 130 grammi di carboidrati per ora, firmare contratti (semmai anche di stracciarli) e condividere sui social il bello di quello che fanno. E se per caso alle maglie della perfezione dovesse sfuggire qualcosa, si mette in campo l’intelligenza artificiale. Manca di vederli con la mano davanti alla bocca quando parlano fra loro, invece dovrebbero farsi ascoltare, perché senza di loro il circo si ferma.

Il 30 dicembre il belga Het Nieuwsblad ha pubblicato un articolo in cui ricostruiva la caduta di Van Aert alla Dwars door Vlaanderen, mettendo insieme alcuni contributi.

Eddy Dejonghe, testimone oculare davanti casa sua, ha raccontato: «Non sapevo che un ciclista potesse volare così in alto. Il ricordo mi ha svegliato più volte di notte. Continuo a vederlo. Quando chiudo gli occhi, vedo di nuovo Van Aert volare in aria».

Il giardiniere Johan, che per caso stava lavorando in zona e si era preso una pausa per veder passare i corridori, è stato uno dei primi ad arrivare sulla scena. «Un corridore ha raschiato l’asfalto quattro o cinque metri proprio davanti a me – ha detto – un secondo dopo ho capito: accidenti, quello è Wout Van Aert. E’ rimasto seduto lì per diversi minuti, gemendo di dolore. Il suo lamento mi ha attraversato il midollo e le ossa».

La caduta di Van Aert alla Dwars door Vlaanderen del 27 marzo
La caduta di Van Aert alla Dwars door Vlaanderen del 27 marzo

Limitare i rapporti

Van Aert quella caduta la ricorda bene e ha commentato prima con una battuta, poi con un’osservazione ben più pertinente.

«Non mi dà fastidio che vengano mostrate nuovamente quelle immagini – ha detto ai microfoni di Sporza – a patto che togliate l’audio. Il fatto che me ne stia seduto lì a lamentarmi in quel modo non rende felice nessuno. Gli organizzatori hanno fatto bene a rimuovere il Kanarieberg dal percorso, perché era pericoloso. E’ un punto cruciale, basta un piccolo errore e si cade. Tra i corridori è nato un dibattito interessante, proprio come sulla velocità del ciclismo. Penso che limitare lo sviluppo dei rapporti renderebbe lo sport molto più sicuro. Gli altri probabilmente non la pensano così, ma io ne sono convinto. Con un limite nella possibilità di rilanciare, nessuno potrebbe pensare di superare in certi tratti. Invece i rapporti sono così grandi, che non si smette mai di accelerare».

Commentando la discesa di Pogacar dal Galibier avanzammo l’ipotesi di limitare l’uso delle ruote ad alto profilo nei tapponi di montagna, per ridurre le velocità e di conseguenza migliorare la guidabilità delle biciclette. La proposta di Van Aert va nella stessa direzione, ma rimarrà inascoltata. Il Kanarieberg non era pericoloso in quanto tale, non lo sarebbe percorrendolo a 60 all’ora, ma a 90 cambia tutto. A nessuno piacciono i limiti di velocità. Nemmeno quando è chiaro che a volte ti salvano la carriera e in altri casi la vita.

La storia di Hubner, il gigante che ha cambiato lo sprint

21.11.2024
5 min
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Mondiali di ciclismo su pista, 1983. Nel velodromo di Zurigo tutti aspettano la gara delle gare, il torneo di velocità per assistere alle invenzioni di Koichi Nakano, il giapponese volante dominatore dell’epoca. Pochi si accorgono che intanto, fra i dilettanti, terzo si classifica un corposo tedesco dell’est, Michael Hubner. Destinato non solo a raccogliere l’eredità di Nakano, ma a cambiare per sempre l’immagine di quella disciplina.

Hubner come appariva nei suoi ultimi anni, rimanendo sempre vicino all’amato mondo della pista
Hubner come appariva nei suoi ultimi anni, rimanendo sempre vicino all’amato mondo della pista

Una vera star in Giappone

Hubner, scomparso pochi giorni fa all’età di 65 anni, in 13 anni ha portato a casa qualcosa come 16 medaglie mondiali, di cui 7 d’oro fra sprint, keirin e sprint a squadre. Del keirin era diventato un maestro tanto che fu tra i primi che si spostò in Giappone per prendere parte al circuito di gare intorno al quale si sviluppavano enormi scommesse. Un ambiente completamente diverso da quello a cui era abituato, lui proveniente dalla Germania Est dove lo sport era uno dei pochissimi modi di affrancarsi dalla povertà, ma anche di servire lo Stato. Invece nel Sol Levante era, dopo pochi anni e passando attraverso la riunificazione, una vera star, tanto che ci passava gran parte dell’anno tornando in Europa solo per i grandi eventi.

D’altronde, in Giappone non lo bollavano come “grassone” che era uno degli epiteti con cui era additato nei velodromi. Altro che body shaming… Michael aveva sempre avuto un fisico enorme, arrivando a pesare anche oltre il quintale. Ai mondiali di Palermo, quando il tedesco aveva ormai 35 anni si pregiarono di misurargli la circonferenza delle cosce: 67 centimetri. Diciamo la verità: Hubner non era molto ben visto nell’ambiente, dove quella possenza veniva etichettata come frutto del doping. Non lo hanno mai trovato positivo, ma d’altro canto era quello uno dei segnali del cambiamento, da una specialità prima fatta di tattiche e di surplace a una frutta quasi esclusivamente della forza fisica.

Il tedesco sul podio dell’edizione iridata 1992 a Valencia, dove vinse sprint e keirin
Il tedesco sul podio dell’edizione iridata 1992 a Valencia, dove vinse sprint e keirin

Lo sguardo di sfida prima del via

Hubner, questo cambiamento lo gradiva, ne aveva fatto quasi un vanto, trasformando lo sprint a qualcosa di vicino, almeno iconograficamente, a uno sport da combattimento: «Sali in bici, fissa l’avversario fino a farlo cagare addosso e poi taglia il traguardo per primo. Lo sprint è un lavoro che funziona così», diceva.

Da bambino era già bello robusto e i genitori, vedendolo, pensarono a come fargli sfogare tutta la sua energia. Provò il calcio, il nuoto, l’atletica, ma niente lo divertiva. Poi salì in bici e praticamente non ne scese più. Col passare degli anni e con le vittorie che si accumulavano proporzionalmente al suo conto in banca, Hubner trasformò quel naturale fastidio che provava nel vedere gli sguardi irridenti degli altri, le battutine, in guasconeria. Non parlava spesso con i giornalisti, quand’era atleta, ma quando lo faceva non mancavano proclami e guanti di sfida, come se non avesse freni.

Il teutonico non ha mai preso parte alle Olimpiadi, scontando il passaggio al professionismo
Il teutonico non ha mai preso parte alle Olimpiadi, scontando il passaggio al professionismo

Il keirin, il suo mondo…

Al tempo i rivali principali dei tedeschi (quasi tutti dell’est) erano gli australiani, anche loro, anzi forse più, chiacchierati e Hubner strinse con loro una fiera rivalità, anche se con il più forte di loro, Gary Neiwand, spesso si allenava insieme. E non poteva essere altrimenti, visto che entrambi agivano spesso in Giappone e si sa che in quel contesto gli “stranieri” facevano gruppo fra loro.

Col passare degli anni il keirin era diventato la sua disciplina preferita, non è un caso se di titoli ne ha vinti più in questa prova. Ma Hubner era anche persona oculata e mentre continuava nel suo girovagare per i velodromi, avviava intanto le sue attività lavorative, nel settore immobiliare, in un ristorante di specialità sassoni, il Fettbemme: «Io potrei andare avanti per altri 10 anni – diceva all’alba delle sue 35 primavere – ma questo lo dice il fisico, la mente si sta allontanando ormai…».

La sua grinta era proverbiale. Simpatico a modo suo, era molto ricercato nelle Sei Giorni
La sua grinta era proverbiale. Simpatico a modo suo, era molto ricercato nelle Sei Giorni

Il gigante di Chemnitz

Negli ultimi anni spesso Hubner veniva chiamato a gareggiare anche nelle Sei Giorni. Il suo fisico enorme faceva visivamente a pugni con quello della maggioranza dei suoi rivali, tutti stradisti esili come fuscelli.

Per questo spiccava, per questo agli organizzatori piaceva. Il “gigante di Chemnitz”, un altro dei suoi soprannomi (decisamente più condivisibile) chiuse la sua carriera nel 1996, a 37 anni con l’ultima delle sue medaglie, l’argento in una specialità allora agli albori, il team sprint, insieme a Soren Lausberg e Jens Fiedler che nel frattempo aveva raccolto il suo testimone.

Hubner con Chiappucci durante una Sei Giorni. La differenza fisica la dice tutta sulla sua potenza
Hubner con Chiappucci durante una Sei Giorni. La differenza fisica la dice tutta sulla sua potenza

Il rammarico dell’Olimpiade

Dopo, Hubner è rimasto nel mondo dei velodromi, come direttore sportivo del team Theed Project-Cycling attraverso il quale sono passati molti protagonisti della pista tedesca e mondiale del nuovo millennio da Maximilian Levy a Lea Friedrich fino alla campionessa olimpica Kristina Vogel.

Quando quest’ultima ha vinto il primo dei suoi due titoli olimpici, nel Team Sprint 2012, sul viso di Hubner scorsero lacrime sommesse, che mischiavano la gioia per la sua atleta al rammarico per non aver potuto vivere quelle stesse emozioni, quella stessa atmosfera. Eppure è diventato ugualmente una leggenda dello sprint, come la stessa Vogel l’ha salutato all’indomani della sua scomparsa.

Predomo studia Lavreysen, colpi d’occhio da campione

04.11.2024
6 min
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La crescita di un corridore passa anche attraverso il confronto con i campioni della sua epoca. Mattia Predomo è un autentico dominatore nelle categorie giovanili della velocità, ma questa è una specialità dove si matura pian piano, anche attraverso sconfitte ed esperienze contro i leader, come l’olandese vincitutto Lavreysen. Noi abbiamo sottoposto l’azzurro a un piccolo gioco, mettendolo davanti ad alcune foto dell’olimpionico arancione, analizzandole dal punto di vista tecnico e soprattutto confrontandosi con esse.

Predomo, ragazzo estremamente attento ad ogni sfumatura della sua disciplina si è sottoposto di buon grado alla prova: «Con Lavreysen ho gareggiato un paio di volte ma l’ho sempre guardato con attenzione perché è il riferimento assoluto. Partiamo però dal presupposto che siamo fisicamente molto diversi: lui ha almeno 20 centimetri più di me in altezza e questo si traduce in almeno 13 chili in più. Si vede che la sua muscolatura è molto sviluppata».

Predomo sottolinea la posizione di Lavreysen, che lo porta ad avere le braccia più flesse del solito
Predomo sottolinea la posizione di Lavreysen, che lo porta ad avere le braccia più flesse del solito
Questo comporta l’uso di bici con una taglia diversa?

Non solo. Per lui viene fatta una bici con telaio su misura, non è lui che si adatta con le misure, gli viene costruito un telaio apposito, come avviene per altri olandesi e qualche inglese a che so io. Questo è un fattore importante perché incide sulla sua posizione e tutto il resto. Noi invece dobbiamo lavorare molto sulle misure e le posizioni.

Partiamo allora dalla foto della partenza nel chilometro da fermo…

La cosa che emerge guardandola è la sua posizione estremamente avanzata. Sta lanciando la bici, quindi scarica su di essa una grande potenza per acquisire prima possibile grande velocità. Da notare la posizione delle braccia: se ci fate caso sono leggermente piegate in base alla posizione avanzata delle spalle e questo io credo derivi dal suo passato nella Bmx. Di regola si tengono le braccia più dritte, proprio perché la posizione della parte superiore del corpo è più arretrata.

Nella foto alla balaustra? Qui siamo in una fase abbastanza tranquilla…

E infatti le mani hanno una minor tensione, sono sulla parte bassa del manubrio in posizione rilassata. Significa che sono i giri prima del lancio verso lo sprint, si cerca di acquisire la posizione più comoda possibile non solo per risparmiare energie, ma anche per poter scaricare potenza e lanciarsi più forte possibile. Sicuramente è una posizione molto diversa da quella che assumono gli stradisti, per esempio. Guardate la differenza delle braccia quando invece è vicino alla linea blu, lì sono molto più attive, per dare spinta anche stando seduto. In quella foto desumo che Harrie stia per alzarsi sulla sella.

Guardando le sue gambe che cosa noti di diverso?

Una delle sue caratteristiche è l’eccezionale gioco di piedi e caviglie sui pedali e questo si desume dalla sua prestazione nel chilometro. Non è la sua specialità, so che prima di Ballerup non l’ha disputata spessissimo, ma si nota guardando la foto come la sua posizione sia molto diversa da quella tenuta dai corridori che, invece che dalla velocità, vengono dal quartetto. Nel suo caso si capisce come a differenza degli inseguitori non guardi all’aerodinamica.

Che cosa intendi dire?

Non cerca di assumere una posizione il più possibile “morbida” contro l’aria, ma pensa solo a scaricare potenza. Sui 4 giri conta molto la spinta: lui cerca di raggiungere subito la velocità di crociera, perché a quel punto gli è più facile tenere la bici. La sua è una posizione classica: quando gareggi nella velocità, hai invece una posizione o più arretrata, tendente quasi allo zero e questa tendenza se notate si sta spostando sempre più anche alla strada. Lo stesso Pogacar tende ad avere una posizione simile, perché più comoda e redditizia. Molto dipende dalle pedivelle: io uso le 165, lui ha le 170 che aprono un angolo più basso che permette una spinta migliore.

La posizione del busto?

Torniamo alla foto vicino alla linea blu: la sua posizione è di pieno scarico sulle gambe pur mantenendo la bici in linea. E’ qualcosa che per lui sembra facilissimo ma non lo è. E’ un aspetto sul quale sto lavorando molto con i tecnici, per avere una posizione più comoda potendo in questo modo massimizzare la spinta degli arti inferiori con la bici che, rimanendo stabile e in linea, traduce tutta la forza emessa.

La sfida con Hoogland nella finale mondiale. Le posizioni sono simili, emerge la grande potenza dei due
La sfida con Hoogland nella finale mondiale. Le posizioni sono simili, emerge la grande potenza dei due
Nello sprint e nel keirin la sua posizione è diversa?

Diciamo che è più classica, simile alla nostra ma lì non puoi inventarti molto. L’impugnatura del manubrio è quella, può cambiare di minimi particolari ma se guardate rispetto all’avversario che è dietro non ci sono grandi differenze, anche se lui si sta alzando sulla sella. Semmai è interessante il fatto che sia leggermente spostato indietro, più in linea con i pedali, ma è sempre per il discorso di prima di scaricare più potenza più velocemente possibile.

Quanto influisce in tutto ciò il lavoro su pista e quello fuori, in palestra?

Questo è un aspetto importante. Direi che la palestra costituisce almeno il 70 per cento della prestazione, ma quelle masse muscolari non le acquisisci dall’oggi al domani, ci vogliono anni di applicazione costante. E’ un percorso lungo, nel quale ogni carico in più deve arrivare al momento opportuno e deve andare di pari passo con la tecnica, con quei piccoli ma fondamentali accorgimenti di cui abbiamo parlato. Poi la prestazione è molto personale: l’australiano Hoffman è uno dei migliori partitori del circuito, ma ha un modo di scattare profondamente diverso da quello ad esempio dei belgi. Ognuno deve trovare la sua strada, io sto lavorando per quello.