Per Carbon-Ti una promozione da WorldTour

24.11.2023
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CAZZAGO SAN MARTINO – Carbon-Ti è dallo scorso Giro d’Italia ufficialmente partner tecnico dell’UAE Emirates Team. Una collaborazione che per l’azienda bresciana ha rappresentato una sfida importante che oggi può essere sicuramente considerata vinta.

In una nostra intervista realizzata in occasione del Tour de France, Marco Monticone, Product Manager di Carbon-Ti, ci aveva congedato con le seguenti parole: «Lunedì scorso (giornata di riposo al Tour, ndr) siamo stati tutto il giorno con la squadra e abbiamo raccolto informazioni dagli atleti, dai meccanici e dal performance manager. Abbiamo indicato futuri nuovi prodotti che potrebbero interessare e concordato alcune cose. Abbiamo ricevuto i prodotti utilizzati al Giro, ad esempio i dischi di Almeida, in modo da fare le nostre verifiche».

A qualche mese di distanza dalla conclusione del Tour de France, abbiamo deciso di fare visita a Carbon-Ti per tracciare con lo stesso Marco Monticone un bilancio della collaborazione con il UAE Emirates Team.

Le corone Carbon-Ti usate, tra gli altri, da Formolo: la combinazione è 54-40
Le corone Carbon-Ti usate, tra gli altri, da Formolo: la combinazione è 54-40
Da dove vogliamo partire per analizzare questo primo anno di collaborazione?

Per prima cosa ci tengo a dire che ancora oggi, l’essere diventati partner tecnico dell’UAE Emirates Team, è qualcosa per noi di incredibile, soprattutto se si pensa che alla squadra forniamo esclusivamente un supporto tecnico…e non economico. Siamo stati scelti per la qualità dei nostri prodotti e non perché abbiamo definito con loro una sponsorizzazione economica. Oltre a questo, credo sia stata riconosciuta la nostra capacità di trovare sempre una soluzione a delle problematiche tecniche che molto probabilmente un grande player non sarebbe stato in grado di risolvere. Penso ad esempio alle corone da crono. Siamo stati capaci di rispondere in tempi rapidi ad una richiesta che ci è arrivata dalla squadra.

Come è stato confrontarsi con il team numero uno del WorldTour?

E’ stato davvero stimolante. Abbiamo fornito alla squadra il meglio della nostra produzione e ogni singolo componente è stato da loro testato e approvato. Prima del Fiandre avevamo fornito a Pogacar le nostre corone 54-40 per fargliele provare in vista del Tour de France, trattandosi di corone estremamente leggere, quindi ideali per le tappe con tanta salita. Pogacar le ha provate e ha deciso di utilizzarle subito al Fiandre… che poi ha vinto. Vedere le nostre corone “stressate” su un percorso così duro come il Giro delle Fiandre che sottopone il mezzo meccanico a infinite sollecitazioni è stato come superare a pieni voti un esame molto difficile. Ma c’è di più…

Al Tour il freno anteriore Carbon-Ti è stato usato anche sulla bici da crono
Al Tour il freno anteriore Carbon-Ti è stato usato anche sulla bici da crono
Cosa?

Il fatto che un campione come Pogacar abbia provato e utilizzato in gara i nostri prodotti ha fatto sì che anche altri suoi compagni abbiano deciso di utilizzare senza alcuna remora le nostre corone e i nostri dischi.

Essere partner tecnico di un team come la UAE Emirates vi ha portato un ritorno in termini di immagine e naturalmente vendite?

Abbiamo fin da subito avuto la percezione che qualcosa fosse cambiato. Quando sei partner di un team così importante, la tua immagine, il tuo nome viene catapultato in positivo in tutto il mondo. Solo per citare il caso di Eurobike, in Germania tutti i rivenditori stranieri che sono passati a trovarci al nostro stand si sono dimostrati entusiasti della collaborazione con la UAE. Molti di loro ci hanno detto che grazie alla partnership con il team oggi è più facile proporre i nostri prodotti ai loro clienti. Contemporaneamente la stampa specializzata ha iniziato a interessarsi di noi dandoci ulteriore visibilità.

Tutto positivo allora, oppure c’è anche qualcosa di negativo?

Se dobbiamo trovare un aspetto negativo, forse lo possiamo individuare nel fatto che si è generata in questi mesi una domanda tre volte superiore alla nostra attuale capacità produttiva. I nostri prodotti, proprio per le loro caratteristiche, richiedono dei tempi di produzione oggettivamente più lunghi rispetto ad un prodotto di serie. In ogni caso stiamo già lavorando per incrementare la nostra capacità produttiva.

Il team di Carbon-Ti ha raggiunto il Tour nel secondo riposo di Megeve per avere riscontri
Il team di Carbon-Ti ha raggiunto il Tour nel secondo riposo di Megeve per avere riscontri
Chiudiamo con un richiamo al Tour. Che esperienza è stata essere a contatto diretto con la squadra?

Sicuramente è stata un’esperienza molto bella, sia sotto l’aspetto delle emozioni provate, ma anche da un punto di vista professionale. Essere a contatto con i meccanici di un team professionistico è come essere accanto ai meccanici della Formula 1. Essere subissati dallo loro domande è stato gratificante.

Come definireste la collaborazione?

Abbiamo avuto la possibilità di raccontargli i nostri prodotti e le scelte che ci hanno guidato nella loro realizzazione. A fine stagione ci sono stati riconsegnati dalla squadra alcuni componenti utilizzati dagli atleti per essere analizzati e capire se e dove intervenire per apportare eventuali miglioramenti. Mi sento quasi in imbarazzo nel dover ammettere che tutti i test sono stati superati alla grande.

Quello fra Carbon-Ti e UAE Emirates Team è un matrimonio che possiamo definire felice e che, come ci ha confermato lo stesso Marco Monticone, continuerà anche nel 2024.

Carbon-Ti

Piede a terra, rimonta e gioco di squadra: Veneto Classic a Formolo

15.10.2023
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BASSANO DEL GRAPPA – Questa mattina a Mel eravamo letteralmente nel mezzo del gruppo. Si aspettava solo il via. E guarda caso siamo capitati proprio vicino a Davide Formolo. Due parole con questo atleta forte, simpatico e ormai un riferimento sono dunque venute naturali.

«Davide, certo anche oggi avete una “squadretta”!», lo incalziamo. E lui: «E’ vero, proprio una squadra piccola: siamo solo in cinque!». Ma i cinque erano nomi grossi, grossi: lui, Majka, Trentin e Hirschi, con l’aggiunta del “baby” classe 2004 Christen.

Appuntamento a Bassano

Passa una manciata di ore e chi ritroviamo per primo a Bassano? Davide Formolo! Il veronese conquista la Veneto Classic, ultima prova del calendario europeo e ultima gara con la maglia della UAE Emirates per lui. Una vittoria che arriva un paio di settimane dopo quella della Coppa Agostoni.

«Non mi aspettavo proprio di vincere – racconta Formolo col solito sorriso – stamattina, come ci eravamo detti, siamo partiti in cinque e non potevamo controllare la gara come siamo abituati a fare. Però ce l’abbiamo fatta lo stesso. Non solo, ma abbiamo fatto primo e secondo, tra l’altro come l’anno scorso, ma a parti invertite.

«Certo quest’anno sono un po’ più felice, perché la Veneto Classic si corre nella regione in cui sono nato ed è stato particolarmente bello».

Piede a terra

Se si vedesse solo il finale, la gara potrebbe sembrare un film già scritto con tre dei favoritissimi sul podio. E invece qualche imprevisto c’è stato e uno di questi ha riguardato proprio Formolo. Per di più nel momento clou della corsa: la Diesel Farm, l’ultimo strappo in sterrato.

Ad un tratto Zana scatta forte e sembra staccare tutti. Solo Marc Hirschi gli resiste, a distanza, poi il vuoto. “Roccia” non si vedeva. Dopo un po’ eccolo spuntare in fondo alla discesa con la gamba piena.

«Non è che mi sia voluto proprio gestire sullo sterrato. Io stavo bene, il problema è che in una curva verso destra mi sono impantanato. Mi sono dovuto fermare. Sganciare il pedale e ripartire (probabilmente coinvolgendo anche Battistella, sesto, ndr) e ho perso tempo. Però stavo bene. Ero lucido e in discesa ho recuperato bene».

Poi il film è quello più classico della tattica del ciclismo: due contro uno. Formolo e Hirschi da una parte e Zana dall’altra. 

«E così abbiamo fatto – spiega Davide mentre è braccato dall’amore dei tifosi – con Marc ci siamo parlati e gli ho detto che ci avrei provato, così lui poteva stare a ruota». 

Con questo successo, il veronese saluta la UAE Emirates dove ormai era un veterano. Passerà – o dovrebbe passare, il congiuntivo a questo punto è d’obbligo – alla Movistar. Davide preferisce non parlarne, spiega che qualcosa è ancora in ballo.

«Però posso dire che la UAE è la squadra più forte al mondo. Si sta veramente bene e non posso far altro che fare i complimenti a questo gruppo di ragazzi forte e affiatato».

Zana taglia il traguardo. Nei primi sei posti quattro veneti (anche Vendrame 4° e Battistella 6°): una corsa molto sentita dagli atleti di casa
Zana taglia il traguardo. Nei primi sei posti quattro veneti (anche Vendrame 4° e Battistella 6°): una corsa molto sentita dagli atleti di casa

Zana da grande

E poi c’è Filippo Zana. Terzo. Quel che deve portarsi via da questa Veneto Classic non è tanto il podio, quanto quello squillo sull’ultima salita. Questa volta non si è trattato della fuga da lontano, benché al Giro e in compagnia di Pinot, o della buona prestazione del gregario… No, stavolta, è stato un vero testa a testa con i più forti. Un’azione di forza e di personalità. Ed è da qui che deve ripartire il 2024 dell’atleta della Jayco-AlUla.

«E’ stata una buona prestazione – dice Zana – Ci tenevo molto a fare bene qui. Sono le strade che percorro normalmente tutti i giorni, magari non la Diesel Farm, però in corsa sapevo sempre dove mi trovavo: quando iniziavano le salite, dove c’erano le curve… Speravo di finire bene questa stagione». 

Formolo, Hirschi e Zana hanno sistemato le proprie bici davanti al rispettivo gradino del podio. Davvero un bel colpo d’occhio
Formolo, Hirschi e Zana hanno sistemato le proprie bici davanti al rispettivo gradino del podio. Davvero un bel colpo d’occhio

Stagione da 9

Zana racconta che più che crederci, durante quella menata, ci ha provato. Quando li aveva staccati tutti non si è comunque esaltato. La UAE, seppur in cinque, in quel frangente era in superiorità numerica. All’imbocco della Diesel Farm c’erano anche Trentin e Majka, oltre a Formolo e Hirschi.

«Non avevo chissà che vantaggio – va avanti Zana – a quel punto ho detto: “Li aspetto e spero che ne abbiano meno di me”. Ma non è andata così! Tra l’altro avevo a che fare con due grandi corridori. Sapevo che mi avrebbero messo in croce.

«Il primo scatto lo ha fatto Hirschi e sono riuscito a chiudere. Ma sull’ultimo strappetto, Formolo stando a ruota aveva qualcosa in più. Sono comunque soddisfatto della gara, del risultato… e anche della stagione».

«Che voto mi do? Direi un nove. Alla fine è stata una stagione molto positiva nella prima metà, meno nella seconda, tra la frattura della clavicola e il virus preso alla Vuelta. E mi spiace perché ero in forma e l’avevo preparata benissimo. Ma questo podio è un ottimo spunto in vista del 2024». 

Emilia, derby sloveno a Roglic. Che saluta la Jumbo…

01.10.2023
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SAN LUCA – Le terribili rampe che dall’Arco del Meloncello conducono alla Basilica di San Luca sono come quelle delle scale di casa sua per Primoz Roglic. Le conosce a memoria e non sbaglia mai, o quasi. Il capitano della Jumbo-Visma vince il Giro dell’Emilia per la terza volta (su quattro partecipazioni) ed anche il derby sloveno, anticipando Tadej Pogacar poco prima del traguardo, mentre terzo arriva Simon Yates.

Con il successo numero 15 in quella che è già la sua migliore annata in termini di risultati, Roglic ha aperto il trittico di sfide al suo connazionale della UAE Emirates (rivincite martedì alla Tre Valli Varesine e sabato prossimo al Lombardia) e ha iniziato a chiudere i conti con la sua attuale formazione. Il vincitore del Giro di quest’anno, per sua stessa ammissione prima del via, lascerà la Jumbo-Visma dopo otto stagioni e vuole farlo nel migliore dei modi.

Terzo Emilia per Roglic dopo i trionfi del 2019 e 2021. Quindicesima vittoria stagionale, ottantesima in carriera
Terzo Emilia per Roglic dopo i trionfi del 2019 e 2021. Quindicesima vittoria stagionale, ottantesima in carriera

Testa a testa emiliano

La ristretta zona dietro al palco delle premiazioni è un porto di mare. Chiunque si infila oltre le transenne per strappare un autografo o un selfie con i primi classificati. C’è anche una ragazzina emiliana che nella notte ha fatto un cartellone in sloveno per il suo idolo Roglic. D’altronde con due campioni come lui e Pogacar diventa praticamente impossibile arginare questa ondata di persone con buona pace di massaggiatori, stampa e chaperon. Il botta e risposta a distanza lo inizia Pogacar che scende le scale del podio con in braccio la classica mega-mortadella ed un’espressione che tradisce delusione. L’impressione è che Tadej dal Tour in poi non riesca o non sappia come battere i Jumbo. Forse è più questo stato d’animo che lo affligge piuttosto che il secondo posto in sè.

«Ho provato ad attaccare – spiega Pogacar in mezzo alla folla – ma non è stato sufficiente. Avrei dovuto affrontare il pezzo più duro ad una velocità molto più alta, ma non sono ci sono riuscito. Alla fine eravamo tutti stanchi all’ultimo giro. Sapevo che si sarebbe deciso negli ultimi 400 metri perché eravamo in tanti. Però ci ho provato lo stesso e Roglic ci ha infilati nel finale. Sì, è stato un bell’uno-due sloveno ma preferivo a posizioni invertite».

Pogacar si avvia verso il podio-premiazioni con un pizzico di amarezza. Ma la gamba è migliore di quella dell’anno scorso
Pogacar si avvia verso il podio-premiazioni con un pizzico di amarezza. Ma la gamba è migliore di quella dell’anno scorso

«Vincere sul San Luca – racconta Roglic con un sorriso disteso mentre è anche lui circondato dalla gente – è sempre una sensazione incredibile. Amo tantissimo questa gara, credo che lo possiate capire. Questa salita è ricca di storia e rende la gara iconica, ecco perché mi piace. Il finale è stato comunque molto duro, San Luca è doloroso. Quindi se sei in grado di soffrire puoi vincere qua in cima. Quando ho sentito di stare bene, ho deciso di dare il massimo nell’ultimo chilometro. Se non ci provi non puoi mai saperlo. Così sono partito, ho visto che avevo preso margine ed ho tirato dritto. E poi sono felice di aver vinto anche per il tifo, che è sempre incredibile».

Rivincite lombarde

I due sloveni sanno che ci sono ancora il secondo e terzo atto del loro personale derby, e che non sono corse semplici. Se Roglic ha vinto tre volte l’Emilia e Pogacar ha raccolto solo due secondi posti, è anche vero che Tadej ha conquistato due Lombardia mentre Primoz non è mai andato a podio. Ecco perché anche quest’anno la classica delle foglie morte sarà la portata principale con la Tre Valli Varesine (vinta da Pogacar nel 2022) a fare da gustoso antipasto.

Il cartello con dedica di una ragazzina emiliana scritto appositamente in sloveno per il suo idolo Roglic
Il cartello con dedica di una ragazzina emiliana scritto appositamente in sloveno per il suo idolo Roglic

«Sicuramente partirò per le corse lombarde – aggiunge Roglic – con più serenità sapendo di aver vinto una bella gara come l’Emilia. Però non posso rilassarmi più di tanto perché al Lombardia non sono mai stato altrettanto bravo come qua o come volevo (miglior piazzamento un quarto posto nel 2021, ndr). Adesso ho una buona condizione e stavolta ci terrei a fare una grande gara».

«Ogni anno al Giro dell’Emilia miglioro sempre un po’ di più – analizza Pogacar – ma non abbastanza per vincere. Anche se non è arrivato il risultato pieno la squadra ha dimostrato di andare forte facendo un gran lavoro, quindi sarà importante fare la stessa cosa anche prossima settimana. Tuttavia vedremo come andrà ora il finale di stagione. Chi arriva in forma quassù significa che sarà davanti anche alle corse lombarde. L’anno scorso sono arrivato stanco al finale di stagione. Quest’anno mi sento un po’ meglio ma sarà tutto da vedere».

Adam Yates e la UAE hanno lavorato molto per Pogacar, ma lo sloveno non è riuscito a fare la differenza
Adam Yates e la UAE hanno lavorato molto per Pogacar, ma lo sloveno non è riuscito a fare la differenza

Toto-squadra per Primoz

Forse non è un caso che Roglic abbia scelto il Giro dell’Emilia per annunciare che nel 2024 correrà per un’altra squadra. E’ la gara di fine stagione che preferisce di più e svelando questa notizia probabilmente è come se si fosse liberato di un piccolo peso. Ovvero, attirare le attenzioni su di sé con questa novità per nascondere eventualmente un cattivo risultato. Ed invece il leader della Jumbo-Visma è stato ben nascosto in corsa lasciandone il peso alla UAE per poi colpire come sa fare lui. Mentre lo accompagnano all’antidoping, ne approfittiamo per le ultime considerazioni sul suo futuro. I rumors lo hanno avvicinato a Ineos Grenadiers, Lidl-Trek, Bahrain, Jayco e negli ultimi giorni anche a Movistar. Tutti lo vogliono – e ci mancherebbe pure – ma lui glissa divertito.

«Quante squadre – conclude il 33enne sloveno arrivato ad 80 vittorie in carriera – che sento dire! Al momento posso solo dirvi due cose. La prima è che era giunto il momento di cambiare squadra. Lo abbiamo deciso assieme con i manager. Sono pronto per nuove sfide. La seconda cosa invece è che comunque davanti a me ci sono ancora due obiettivi importanti come Tre Valli e Lombardia. Voglio provare a centrarli per onorare fino in fondo un team come la Jumbo-Visma in cui ho trascorso un periodo fantastico. Dopo di che la stagione sarà finita e penseremo al resto».

Roglic è scattato nel finale alla sua maniera dopo che ci avevano provato Vlasov, Pogacar e Carapaz.
Roglic è scattato nel finale alla sua maniera dopo che ci avevano provato Vlasov, Pogacar e Carapaz.

«Primoz sarà sempre nel mio cuore come un nostro re – ha dichiarato il general manager Richard Plugge – gli siamo molto grati per aver trovato insieme la strada verso il trionfo. A livello personale lo ammirerò sempre. Sappiamo tuttavia che arriva sempre un momento in cui è meglio separarsi. Lui recentemente aveva chiesto il trasferimento. Abbiamo capito la sua richiesta e siccome abbiamo troppo rispetto l’uno per l’altro per ostacolarci a vicenda, gli abbiamo dato il via libera».

Fratelli Fisher-Black, il 2023 in prima linea come da piccoli

27.09.2023
8 min
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Il 2023 che sta facendo scorrere i titoli di coda ha mandato in scena anche i primi ruoli da protagonisti di due fratelli che arrivano da molto lontano. Quelli di Finn e Niamh Fisher-Black sono copioni ancora agli albori per farne diventare un colossal, ma intanto quest’anno si sono tolti entrambi la soddisfazione di essere protagonisti per un giorno, tagliando il traguardo in solitaria per la loro prima vittoria da pro’.

I due Fisher-Black sono figli del nuovo millennio (Niamh è del 2000, Finn più giovane di un anno) ma soprattutto sono figli di un mondo agli antipodi dal nostro. Nascono in Nuova Zelanda poi crescono corridori in Europa, dove stanno trovando l’affermazione. Tra aprile e giugno – nello spazio di 70 giorni – hanno timbrato il proprio cartellino. Finn, forse un po’ a sorpresa, ha conquistato la prima tappa del Giro di Sicilia illuminando la Valle dei Templi di Agrigento con una stoccata da perfetto finisseur. Niamh ha replicato al fratello due mesi dopo cogliendo la quarta frazione del Tour de Suisse sulle alte colline di Ebnat-Kappel grazie ad un allungo poderoso negli ultimi metri di gara. Tuttavia il loro nome non è una novità nel panorama internazionale. Anche se Niamh l’abbiamo conosciuta da vicino al Giro Donne 2022, abbiamo provato a ripercorrere il percorso dei due giovani neozelandesi.

Le prime pedalate da rivali

I fratelli Fisher-Black hanno iniziato a pedalare molto giovani in sella ad una Mtb disputando gare su una pista di cemento di cinquecento metri che circondava un campo da rugby (sport nazionale) nella loro città natale di Nelson, a nord dell’Isola del Sud della Nuova Zelanda. Finn fu il primo a partecipare e Niamh riavvolge il nastro della memoria.

«Ero un po’ spaventata per correre – ricorda la sorella – quindi ho preferito guardare la sua corsa. Quando però ho visto che aveva vinto una sorta di medaglia sono stata un po’ invidiosa e così mi sono detta che la settimana dopo avrei corso anch’io. A quel punto non ho potuto più tornare indietro nella decisione. La competizione fra fratelli può creare dipendenza e abbiamo scoperto che potevamo esserlo fra noi, migliorandoci. All’epoca volevo ottenere un premio prima di lui o addirittura batterlo. In pratica questo è ciò che ci ha motivato col passare degli anni».

Finn e Niamh (che si pronuncia “Niif”) sono molto legati anche se si vedono poco durante la stagione (foto instagram)
Finn e Niamh (che si pronuncia “Niif”) sono molto legati anche se si vedono poco durante la stagione (foto instagram)

«E’ verissimo ciò che racconta lei – le fa eco Finn sorridendo – qualunque cosa facesse lei, io avrei voluta farla meglio. E’ stato fantastico perché ci spingevamo davvero a vicenda cercando di essere uno migliore dell’altra. Niamh per un breve periodo è stata più veloce di me però so che lei ricorda poco volentieri il periodo in cui ho iniziato ad essere più forte io. Lei dice che era frustrante ma abbiamo imparato da giovanissimi che lavorando assieme in gara potevamo avere la meglio sugli avversari. Oggi mi sento di dire che la nostra rivalità da bambini si è trasformata in rispetto e sostegno reciproci».

Ammirazione fraterna

La storia di Niamh e Finn Fisher-Black è simile a quella di tanti fratelli che gareggiano e vincono nel medesimo sport. Adesso sono atleti di formazioni al top che credono fortemente in loro. Niamh corre per la SD-Worx, Finn per la UAE Emirates. Entrambi sono in rampa di lancio e l’uno è orgoglioso dell’altra quando arrivano i grandi risultati.

«Ho sempre ammirato il mio fratellino (come lo chiama confidenzialmente ancora oggi, ndr) – dice Niamh – ed anche se sono io ad aver vinto il primo titolo internazionale su strada prima di lui (il mondiale U23 a Wollongong nel 2022, ndr), gli chiedo sempre consigli. In verità è lui quello che è sempre stato bravo a vincere le gare. Gliel’ho visto fare in tante corse, perché lo guardo sempre se non sono alle corse anch’io. Però è anche vero che Finn spesso mi fa domande. Anche questo nostro continuo confronto è un vantaggio per le nostre rispettive carriere».

«Durante l’anno – prosegue la sorella – siamo entrambi molto lontano da casa. Se attraverso un momento difficile oppure ho nostalgia della nostra terra, so che lui capisce quella sensazione. E’ bello avere qualcuno con cui relazionarsi e quindi tirarsi su di morale».

«Mia sorella – ribatte Finn virando l’argomento sul piano tecnico – è una persona che si adatta bene alle giornate difficili in corsa e alle gare a tappe. I suoi progressi in queste gare sono evidenti. Benché fisicamente sia piuttosto minuta, l’esatto contrario mio (Niamh è alta 1,60 metri, Finn invece 1,90, ndr), è un’atleta molto potente e forse più di una semplice scalatrice».

Finn “olandese”

Ben prima del titolo iridato di Niamh nel 2022, Finn era stato campione del mondo juniores nell’inseguimento a squadre ad Aigle nel 2018. La Nuova Zelanda d’altronde è sempre stata una Nazione con grande tradizione in pista. E’ stato però nel 2020 che hanno vissuto un paio di giorni di festa assieme. Finn vince il campionato nazionale U23 a crono, Niamh centra il titolo elite su strada.

«E’ stato davvero speciale – racconta il fratello – perché ricordo di aver tagliato il traguardo ed aver sentito che anche Niamh aveva vinto. Entrambi eravamo al nostro primo anno in Europa. Io ero stato preso dal Devo Team della Jumbo-Visma, lei dalla Bigla. Quindi è stato bello conquistare e indossare le maglie nazionali durante quella stagione».

«Personalmente – continua Finn – anche in pista ho passato belle giornate. Come quando ho battuto il record mondiale juniores dell’inseguimento individuale ai campionati neozelandesi nel 2019. Quella mattina non me lo sarei mai aspettato. E’ stato proprio quel risultato a dare una svolta alla mia carriera visto che un mese dopo ero su un aereo per andare a correre in Europa».

Fu preso infatti dal team Willebrord Vil Vooruit, una sorta di vivaio antesignano del Devo Team Jumbo-Visma, dove alcuni suoi compagni furono Kooij, Tulett, Van Sintmaartensdijk.

Niamh globetrotter

Nel 2019 anche Niamh era su quel volo primaverile verso l’Europa. Lei lasciava il Team Mike Greer Homes con cui comunque aveva corso il Thuringen Tour, mentre Finn salutava il Team Skoda Racing. La destinazione della sorella era la Bigla Pro Cycling, con cui farà l’esordio al Giro delle Marche vinto da Paladin su Cavalli. L’anno successivo un altro debutto “italiano”, quello in una gara WorldTour alle Strade Bianche.

«Sono stati anni importanti quelli – spiega Niamh – nonostante di mezzo ci sia stato il Covid. Correndo in Europa con la mia squadra neozelandese mi sono fatta vedere dalla Bigla, con la quale mi sono messa in mostra fino a guadagnarmi la chiamata dalla SD Worx nel 2021. E’ stato un sogno per me correre assieme ad una super campionessa come Anna Van der Breggen, che oggi è la mia diesse. Quell’anno ho avuto le mie possibilità, e le sto avendo tuttora, fino ad arrivare ad indossare le maglie di leader in una corsa WorldTour come la Vuelta a Burgos».

«Non capita spesso – chiude Niamh – di poter vincere un mondiale, così come giocarsi le proprie carte in una gara importante come il Giro Donne (dove ha vinto la classifica giovani nel 2021 e 2002, ndr). Non lo avevo mai fatto prima ma lavorare con questo tipo di pressione addosso mi ha aperto gli occhi su una parte nuova di me nel ciclismo. Mi piace decisamente quel tipo di pressione. I miei obiettivi restano le classiche delle Ardenne e la generale nei grandi giri. Spero di crescere di livello ogni giorno che passa».

Il resto è storia dei giorni nostri. Finn ha dato seguito al centro in Sicilia disputando una bella Vuelta e sfiorando la vittoria nella sedicesima tappa, battuto solo dal suo amico ed ex compagno Vingegaard. Le sue caratteristiche sono adatte per le classiche mosse ed il suo nome è da segnare per i prossimi anni. Niamh, anche grazie al supporto di Cecchini, sta studiando da leader e quello al Tour de Suisse è il successo che ci voleva per consapevolizzarla ancora di più.

Qual è la vera dimensione di Hirschi? Risponde Marcato

27.09.2023
5 min
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Marc Hirschi è tra i plurivittoriosi dell’anno. Lo svizzero della UAE Emirates si sta rendendo autore di una stagione a dir poco positiva. Non ultimi i successi alla Coppa Sabatini e al Giro del Lussemburgo. Tuttavia nelle grandi corse non riesce a primeggiare. Il suo ultimo successo nel WorldTour risale al 2020, una tappa del Tour de France.

E dire che Marc era arrivato a giocarsi i mondiali. Ha vinto anche una Freccia Vallone. Come da nostra abitudine, per saperne di più abbiamo coinvolto Marco Marcato, direttore sportivo della squadra araba, che lo ha diretto anche nella breve corsa a tappe lussemburghese.

Marco Marcato (classe 1984) è uno dei direttori sportivi della UAE Emirates
Marco Marcato (classe 1984) è uno dei direttori sportivi della UAE Emirates
Marco, partiamo da questo 2023 di Hirschi…

Direi una stagione positiva. E’ un po’ tutto l’anno che ogni corsa che fa parte per vincere. E ci riesce o ci va vicino, come un cecchino. Nelle gare dove ha la possibilità di fare la corsa, difficilmente sbaglia.

E’ il miglior Hirschi?

Lo abbiamo gestito bene, mi sento di dire. E’ questa la strada per il miglior Hirschi. Lo scorso anno aveva subito questo intervento all’anca nella prima parte di stagione. Era rientrato alla Per Sempre Alfredo e l’aveva vinta. Però nelle corse WorldTour faceva più fatica.

Ora va meglio?

Sì, ora va meglio. Lo scorso anno fu convocato all’ultimo minuto per il Tour, in sostituzione di Trentin e non ci arrivò bene. Soffrì. Non era in condizione e quel Tour non gli ha permesso di esprimersi al top nel finale di stagione, nonostante abbia poi vinto l’ultima corsa dell’anno, la Veneto Classic. Ha dimostrato il suo valore nelle corse di un giorno e anche nelle brevi corse a tappe. E i risultati si vedono: sette vittorie solo quest’anno.

Vi aspettavate questa vittoria in Lussemburgo?

Hirschi aveva corso tanto e qualche dubbio ce l’avevamo anche noi. Sapete, a questi livelli quando sei un po’ stanco, una settimana voli, quella dopo non sei più brillantissimo. Lui invece ha colto il risultato pieno.

Marc Hirschi (classe 1998) ha vinto il Giro di Lussemburgo, seconda corsa a tappe della sua carriera dopo l’Ungheria di questa estate
Marc Hirschi (classe 1998) ha vinto il Giro di Lussemburgo, seconda corsa a tappe della sua carriera dopo l’Ungheria di questa estate
Lussemburgo, Peccioli, Appennino… ma è questa la dimensione di Hirschi?

Marc, come ho detto, è arrivato da noi con questo problema all’anca che si portava dietro da un po’. E in tutta la passata stagione piano, piano è tornato ai suoi livelli. Quest’anno c’è stata una conferma. Un miglioramento. E’ un corridore di primo piano.

Ci rendiamo conto che ci sono anche tanti campioni in UAE, questo gli complica le cose?

Logico che considerando i campioni che abbiamo, se lo porti a un Tour de France difficilmente troverà lo spazio per vincere una tappa o per fare la sua corsa. Ad un vincente come Marc devi dare le sue opportunità. Altrimenti lo perdi. E il corridore perde il suo istinto. Guardando all’anno prossimo, l’idea era di fargli fare queste gare che ha fatto, prendere sicurezza. E credo ne sia soddisfatto.

Letta in quest’ottica non fargli fare il grande Giro è stata una tutela nei suoi confronti dunque?

Noi abbiamo tanti campioni e dovevamo trovare appunto il modo di tutelarlo e al tempo stesso di dargli le sue possibilità ed essere protagonista. Il calendario internazionale non è fatto solo di Grand Tour ma di tante corse e questo ha consentito a Marc e alla squadra di raccogliere tanti punti. Quindi direi di sì: l’assenza di un GT lo ha tutelato.

Un calendario ad hoc dunque, basato su corse “minori”. Lui lo ha accettato?

Sì, sì…ha appoggiato la nostra scelta lo scorso inverno. Marc è un ragazzo intelligente. E’ consapevole e ha sposato questa linea. Una linea che ha dato ragione a tutti: sette vittorie, tra cui il titolo nazionale, e una classifica UCI che lo vede tra i top corridori al mondo.

Grande classe e potenza per lo svizzero
Grande classe e potenza per lo svizzero
Un Hirschi che torna Hirschi fa sì che vi ritroviate un altro capitano per le classiche del Nord?

Assolutamente sì, Marc va bene in quelle gare, soprattutto per quelle delle Ardenne. Può essere una seconda punta di tutto rispetto.

E per un Fiandre?

Lui è leggero, corre bene ma dipende dalla corsa che viene fuori. Meglio su percorsi come Amstel, Freccia e Liegi… il Fiandre sarebbe più un rischio mettiamola così.

Qual è l’obiettivo da qui a fine stagione per Hirschi? Ha molte gare in programma…

La sua voglia di correre è alta. Ed è alta proprio perché è motivato. A fine stagione il 50 per cento del gruppo non ha più voglia, tra chi guarda già alla stagione successiva e chi è davvero stanco, pertanto spesso è la motivazione a fare la differenza. Marc ha vinto, il suo morale è alto e ci sono parecchie corse adatte a lui.

Quindi si punta anche al Lombardia? Tanto più quest’anno che il finale non è durissimo e lui è veloce?

Non è certa la sua partecipazione, però è un tracciato che gli si addice. Di contro il tanto dislivello e le salite lunghe potrebbero svantaggiarlo, specie guardando la starting list. Ci sono tanti scalatori di primo ordine che potrebbero avere qualcosa in più di lui.

Alla Coppa Sabatini, da lui vinta, grande feeling con Pogacar
Alla Coppa Sabatini, da lui vinta, grande feeling con Pogacar
Ma lui lo vorrebbe fare questo Lombardia?

Conosce i suoi limiti, i suoi valori e dove può arrivare. Sa che per un Lombardia è al limite. Stiamo valutando la formazione, cosa che a fine stagione non è mai facile: bisogna fare la conta delle energie. Se dovessimo portare anche Adam Yates, allora potremmo dare la priorità ad un altro corridore che lavori per Tadej e Adam.

A proposito di Tadej, a Peccioli abbiamo visto un buon feeling con Pogacar, che tipo è Hirschi con i compagni?

Va d’accordo con tutti. E’ ben voluto e sa stare in gruppo. Ride e scherza. Da fuori può sembrare di poche parole, ma a tavola la battuta non gli manca. E’ un uomo squadra.

«Per il Lombardia Pogacar ci sarà», parola di Hauptman

16.09.2023
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Nonostante la forma non sia ancora al meglio, è arrivato terzo alla Coppa Sabatini, Tadej Pogacar non si smentisce. Ventiquattro ore prima aveva corso al Giro di Toscana ed erano questi i primi appuntamenti dopo il mondiale di Glasgow. Lo sloveno ha deciso d’iniziare il suo fine stagione dall’Italia. Anzi, è probabile che correrà solo nel Belpaese. Con Andrej Hauptman, uno dei direttori sportivi della UAE Emirates, facciamo il punto della situazione sul giovane campione.

A Peccioli il ciuffo fuori dal casco ancora non era ben visibile, ma il diesse sloveno fa intendere che presto il suo connazionale tornerà a sfoggiarlo. Un simbolo che ormai è un po’ come la bandana del Pirata.

L’umore è buono, anche se quello in apparenza non è mai venuto meno. Il podio iridato, agguantato in quelle condizioni, è davvero un perla. Una perla da cui ripartire.

Hauptamn e Pogacar, entrambi sloveni, quest’inverno
Hauptamn e Pogacar, entrambi sloveni, quest’inverno

Riecco Tadej

Con Hauptman partiamo dalle gare recenti. Lo avevamo lasciato nel post gara di Glasgow, dove avevamo visto un Pogacar davvero stanco, provato… tanto da avere anche un mancamento prima delle interviste di rito. E lo ritroviamo sorridente sulle strade della Toscana.

«Sicuramente – spiega Hauptman – è stato un anno particolare per Tadej. Nella preparazione frenetica per il Tour de France ha speso molto, ma adesso è di nuovo motivato, pronto e con la sua voglia di correre.

«Vero, dopo il mondiale era stanco, ma veniva da un Tour tiratissimo, dalla rincorsa alla maglia gialla nei mesi precedenti, dalla sua voglia di essere sempre davanti… alla fine il corpo dice no, dice basta. A Glasgow Tadej era stanco fisicamente, ma io credo che fosse stanco anche mentalmente. Come ho detto lui vuole sempre fare bene, vincere… ma non è così. Per radio tante volte lo dobbiamo frenare, dobbiamo dirgli di aspettare!».

Un bagno di folla e un grande calore per Tadej in queste prime uscite toscane
Un bagno di folla e un grande calore per Tadej in queste prime uscite toscane

Calendario in itinere

Hauptman dice che dopo il mondiale tutti quanti insieme hanno concertato un periodo di recupero per Pogacar. Era necessario, poi hanno valutato il suo stato e solo allora Tadej ha ripreso a correre. Durante la prima settimana post-Glasgow Pogacar non ha toccato la bici: riposo assoluto. Poi è ripartito con molta, molta calma. In questa fase non ha fatto altura.

«Piano, piano sta andando meglio – spiega Hauptman – queste prime corse italiane servono per capire come sta. Sono gare di avvicinamento ad ottobre, al Giro di Lombardia che è il primo obiettivo. Non conosco ancora il suo calendario di preciso, perché appunto volevamo vedere queste due prime gare. Il Giro dell’Emilia? E’ un’opzione certo».

Pogacar terzo a Peccioli. Il giorno prima era rientrato in gara al Giro di Toscana, 33 giorni dopo la prova a crono di Glasgow
Tadej terzo a Peccioli. Il giorno prima era rientrato in gara al Giro di Toscana, 33 giorni dopo la prova a crono di Glasgow

Obiettivo Lombardia

Ricapitolando: Pogacar s’infortuna alla Liegi (fine aprile), salta un bel pezzo di maggio poi inizia la sua rincorsa frenetica verso il Tour. I programmi perfetti chiaramente sono saltati e nel ciclismo di oggi e con avversari come quelli della Jumbo-Visma non puoi permetterti certe variazioni neanche se ti chiami Pogacar.

Questa sua stanchezza estiva ha nome e cognome: infortunio della Liegi.

«Osservare il periodo di stacco quando si sta bene è certamente meglio che farlo quando si è stanchi – dice il diesse sloveno – ma c’erano degli appuntamenti importanti come Tour e mondiale e non ci si poteva fermare prima chiaramente. Dovevamo fare i conti con la situazione. Io sono convinto che Tadej abbia pagato tanto e sia arrivato così stanco ad agosto a causa l’infortunio di aprile. Il problema nasce tutto da lì».

Però ora lo sloveno sta bene. Alla Coppa Sabatini si è mostrato in ripresa. Era già diverso dal Giro di Toscana di appena 24 ore prima. Durante lo stop non ha fatto grandi lavori. Sono queste gare i suoi “primi fuorigiri”.

«L’obiettivo – conclude Hauptman – come detto è il Lombardia. E state tranquilli che per quel giorno Tadej ci sarà».

Il packaging di MET promuove la sostenibilità

28.08.2023
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MET realizza caschi da ben 36 anni. L’azienda di Talamona, situata alle porte della Valtellina, produce caschi che accompagnano in gara, in allenamento o anche nelle pedalate del fine settimana grandi campioni e semplici amatori. Dal 2008 ha ampliato al sua offerta al mondo off road con il marchio Bluegrass. Negli ultimi anni ha legato il suo nome ad uno dei fenomeni del ciclismo moderno. Stiamo parlando di Tadej Pogacar che fino ad oggi ha conquistato tutti i suoi successi indossando esclusivamente caschi MET. Di recente l’azienda valtellinese ha prolungato fino al 2027 il proprio rapporto di collaborazione tecnica con l’UAE Team Emirates, la formazione nella quale milita l’asso sloveno fin dal suo debutto nel professionismo.

MET ha allungato la sua collaborazione con la UAE Emirates fino al 2027
MET ha allungato la sua collaborazione con la UAE Emirates fino al 2027

Stile di vita

MET non è solo caschi. E’ anche promozione della bicicletta come stile di vita sano e mezzo per una mobilità più sicura e sostenibile. A sostenerlo con forza sono gli stessi responsabili dell’azienda.

Per perseguire questi obiettivi lavorano continuamente a migliorare i loro prodotti e tutto ciò che ad essi è in qualche modo collegato. Ci riferiamo in particolare al tema dell’imballaggio dei caschi e alla loro spedizione. Non dimentichiamo infatti che i caschi MET sono venduti in ogni angolo del mondo.

Il nuovo imballaggio dei prodotti di MET permette di risparmiare peso e materiali: dimensioni ridotte, consumi ridotti
Il nuovo imballaggio dei prodotti di MET permette di risparmiare peso e materiali: dimensioni ridotte, consumi ridotti

Meno cartone

Da sempre nella sede di Talamona si lavora per ridurre al minimo l’uso di cartoni in eccesso, risparmiando spazio ovunque sia possibile in fase di spedizione. Il motto da rispettare è il seguente: dimensioni ridotte, consumi ridotti.

Ultimamente in MET sono aumentati gli sforzi per ridurre l’impatto ambientale degli imballaggi utilizzati. Tutto questo non ha in alcun modo inficiato la qualità e la sicurezza in fase di spedizione. Tutti i caschi MET che lasciano i magazzini di Talamona diretti in ogni angolo del mondo sono garantiti da un imballaggio estremamente sicuro. L’utilizzo di meno cartone in fase di imballaggio ha solamente ridotto l’impatto ambientale generato dalla scatola in cui è inserito il casco.

Riassumendo: meno inchiostro superfluo, meno plastica e più materia prima riciclata.

Meno plastica

A proposito di plastica, in MET si è lavorato per ridurre al minimo la quantità utilizzata in fase di imballaggio e nello stesso tempo minimizzando il più possibile la dimensione degli imballaggi stessi. Imballaggi più piccoli consentono spedizioni più efficienti e meno frequenti. Grazie a scatole più piccole è possibile infatti effettuare meno spedizioni e di conseguenza ridurre anche l’incidenza sull’ambiente circostante che si ha spedendo quotidianamente la merce.

MET

Scatta la Vuelta. Ayuso (quasi) senza limiti è pronto a giocarsela

26.08.2023
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Juan puoi vincere la Vuelta? «Credo di sì. E’ molto difficile ma non impossibile». E ancora: senti la pressione? «La pressione non mi tocca». Vent’anni, il viso ancora con i brufoli dell’adolescenza e una sicurezza che fa paura. Durante la conferenza stampa pre-Vuelta a Juan Ayuso sono state poste tante domande e queste sono quelle che ci hanno più colpito.

L’asso della UAE Emirates è pronto ad affrontare per la seconda volta la grande corsa spagnola, che è anche il suo secondo grande Giro. Lo scorso anno il suo mentore Matxin ci disse che era impossibile fermare il talento. Ayuso non doveva farla, troppo giovane (non aveva compiuto 20 anni), ma poi andava talmente forte che era impossibile tenerlo a freno. E infatti salì sul podio finale di Madrid.

A poche ore dal via di Barcellona che, ricordiamo, avverrà con una cronosquadre alquanto tecnica: 19 curve a 90 gradi in 15 chilometri (e con rischio di pioggia), ecco cosa ha detto uno degli atleti in assoluto più attesi.

Vuelta: ci eravamo lasciati così, con Juan Ayuso sul podio 2022 dietro Evenepoel e Mas
Vuelta: ci eravamo lasciati così, con Juan Ayuso sul podio 2022 dietro Evenepoel e Mas

Gambe okay

Un anno dopo Ayuso si presenta ai nastri di partenza con gli occhi puntati addosso, qualche velleità in più e soprattutto tanta consapevolezza dei propri mezzi. Non che un tipo così ne avesse bisogno, ma tra il dire e il fare…

«Sto bene – ha detto Ayuso – ho lavorato tanto, anche in altura, per tutto l’anno. Avrei preferito arrivare qui senza le cadute di Ordizia e Getxo. Rispetto alla passata edizione fare meglio sarà dura, perché si tratta di migliorare un podio, ma io ci proverò. Ci sono tanti avversari fortissimi, i migliori del mondo. Manca solo  Pogacar.

«In UAE siamo in due, due leader, con Joao (Almeida, al suo fianco nella foto di apertura, ndr) e questo credo sia un vantaggio. Amplia le nostre strategie. Sarà la strada poi a dare una gerarchia ma per combattere contro Remco e la Jumbo-Visma è meglio essere in due. Spero che Vingegaard non ci arrivi al massimo! Se contro di lui ha avuto problemi Tadej (Pogacar, ndr) figuriamoci gli altri!».

La grinta di Ayuso che non ha paura di tornare a sfidare i giganti
La grinta di Ayuso che non ha paura di tornare a sfidare i giganti

Una sfida che stuzzica

Ma se le gambe sono okay, anche la testa non è da meno. Come tutti i predestinati, quando Juan parla, non è mai banale. Sembra avere tutto sotto controllo. Ha piena coscienza della situazione. Dice apertamente che Roglic e Vingegaard hanno qualcosa in più di lui e Almeida, ma che una giornata storta può sempre capitare e che proprio per questo è importante correre bene e avere più carte da giocare.

Si vede proprio, si percepisce, che questa sfida con Vingegaard, Roglic ed Evenepoel lo stuzzica. L’aspetta, non vede l’ora di sfidarli faccia a faccia. Per testarsi. Per scoprire nuovi orizzonti. Per batterli… perché poi come ci hanno detto tutti i tecnici che lo hanno gestito: Juan Ayuso è un animale da gara.

«Mi sento molto forte mentalmente e per questo pronto a sacrificarmi al massimo sia contro gli avversari, sia pensando ai momenti duri che ci saranno nell’arco di tre settimane. La Vuelta dell’anno scorso è stata qualcosa di speciale, la ricorderò sempre ed è la gara che mi ha dato molta fiducia. E’ stata la vera esperienza».

E forse anche da lì arriva quella manciata di watt in più che lo stesso Ayuso ha detto di avere quest’anno.

Gli UAE hanno lavorato molto per la cronosquadre, anche nell’autodromo di Barcellona. Ayuso va forte anche a crono (foto Fizza)
Gli UAE hanno lavorato molto per la cronosquadre, anche nell’autodromo di Barcellona. Ayuso va forte anche a crono (foto Fizza)

L’importanza delle crono

Quindi le gambe ci sono e la testa anche: il terzo elemento in ballo è la gara stessa. Ayuso ha definito il percorso della Vuelta più duro del Tour e questo in teoria favorisce uno scalatore come lui. Ci sono tante salite, anche con pendenze estreme – vedi l’Angliru – e non mancano i chilometri a crono.

«Le crono – spiega Ayuso – possono essere decisive perché spesso siamo tutti molto vicini in salita. Ma questo non mi preoccupa, perché durante la stagione ci abbiamo lavorato molto. Ho fatto sia dei lavori specifici, che dei test in galleria del vento. Io credo che le crono possano essere un buon momento per me».

Ayuso è sicuro, ambizioso ma non spaccone, di certo è intelligente. E in qualche modo è poi lui stesso a gettare acqua sul fuoco, dopo le bordate iniziali.

«L’obiettivo è provare a vincere una tappa – conclude Juan – l’anno scorso ci ero andato vicino, ma non ci sono riuscito. Poi viene la classifica generale. Ma mi rendo conto che ci sono anche più aspettative su di me e sarò più marcato. Fa parte del gioco. Ma significa anche che ci sono tante persone (tifosi e staff) che credono in me ed è per questo che guardo la cosa dal lato positivo».

Il collezionista di maglie, Felix Grossschartner

15.08.2023
5 min
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Chiamatelo collezionista di maglie. Dopo aver vestito fino a fine giugno quella di campione austriaco, Felix Grossschartner se n’è regalata un’altra, quella di miglior scalatore europeo al San Gottardo, che probabilmente non indosserà mai in corsa, ma che ha testimoniato la sua buona condizione dopo il Tour de France.

Abituato a fare il capitano alla Bora-Hansgrohe, alla Grande Boucle di quest’anno il ventinovenne di Wels si è ritagliato il nuovo ruolo di gregario con la casacca della UAE Emirates, preziosa pedina per aiutare Tadej Pogacar e Adam Yates a salire sul podio di Parigi. Durante un giorno di meritato riposo, Felix ci ha raccontato la sua campagna francese e poi ci ha parlato dei piani futuri.

Grossschartner con Adam Yates, fresco di maglia gialla. Un selfie sul bus…
Grossschartner con Adam Yates, fresco di maglia gialla. Un selfie sul bus…
Che cosa ha voluto dire la vittoria sul San Gottardo per te?

E’ stato bello conquistare il titolo di miglior scalatore europeo, ma so bene che il livello non era esattamente quello delle gare WorldTour. Arrivare primo fa sempre piacere e mi auguro che in futuro questa corsa cresca e diventi sempre più famosa e frequentata. Comunque un po’ di pressione c’era perché io arrivavo dal Tour e c’erano tanti giovani che volevano battermi, per cui è stata una bella soddisfazione riuscire ad arrivare a braccia alzate. 

Hai ricevuto anche una maglia di miglior scalatore?

Mi hanno dato una maglia, ma non so se potrò vestirla nelle gare professionistiche. Non so se la squadra ne farà una apposta, ma al massimo mi iscriverò a qualche gara amatoriale in Austria, così potrò indossarla: da noi, infatti, ci sono i campionati nazionali per scalatori. Scherzi a parte, forse è un po’ presto ed è meglio che mi dedichi al professionismo ancora per qualche stagione.

Tornando al Tour de France, com’è stata la tua esperienza da gregario?

Era la prima volta, soprattutto al servizio di un campione come Tadej, uno dei favoriti per la vittoria finale. Il lavoro duro toccava sempre a noi o alla Jumbo-Visma, per cui bisognava sempre farsi trovare pronti. Quando corri per una squadra che non ha questi obiettivi, a volte puoi concederti un po’ di riposo, ma per i gregari di Pogacar o Vingegaard è tutta un’altra storia e devi essere sempre sul pezzo, tirare sulle salite finali e cercare di rimanere sempre tra i migliori quindici di giornata.

Soddisfatto?

È stata una bella esperienza e sono contento di aver dato il mio contributo. Alla fine non abbiamo vinto, ma ottenere un doppio podio è comunque un grande risultato. Senza dubbio, combatteremo per riprenderci la maglia gialla.

Come ci aveva anticipato a Sestriere il team manager Matxin, Yates è stato il secondo capitano, non un corridore qualunque: ci racconti la corsa da dietro le quinte?

E’ stato bello perché sia Tadej sia Adam sono due persone molto disponibili. Inoltre, entrambi sanno guidare molto bene la bicicletta e questo è fondamentale nel posizionamento all’interno del gruppo, perché significa molto meno lavoro e meno stress per noi gregari.

Ci avevi raccontato quando Tadej fosse “alla mano” negli allenamenti, ti ha stupito anche corrergli al fianco da compagno al Tour?

E’ incredibile, perché sei nella corsa ciclistica più importante al mondo, eppure con lui tutto sembra così normale. Ci sono delle tattiche, le segui e molto spesso vinci grazie a lui. 

Ci racconti il buffo team radio che ha fatto il giro del web tra tigri e coccodrilli?

Ci siamo divertiti un sacco anche noi. Se l’è inventato di sana pianta il nostro compagno danese, Mikkel Bjerg e noi abbiamo improvvisato, perché in realtà non voleva dire niente ma era solo per puro divertimento. La cosa ancor più buffa è che lui non le pianifica queste cose, ma le tira fuori all’improvviso, per cui è riuscita ancora meglio. 

L’atmosfera in squadra era altissima e si è visto come avete festeggiato il doppio podio di Parigi, sapendo tutto il lavoro che c’era dietro, corretto?

Esatto. Il morale era sempre alto, persino quando Tadej ha perso terreno sul Col de La Loze, nonostante in quel momento abbiamo realizzato che non avremmo più avuto possibilità di vincere il Tour. Tadej era dispiaciuto, ma noi siamo una squadra e l’abbiamo supportato anche in quel frangente difficile. È stata dura, ma siamo ripartiti e abbiamo imparato anche da quella situazione.

Arrivato dalla Bora, Grossschartner si è messo subito a disposizione della “causa Pogacar”
Arrivato dalla Bora, Grossschartner si è messo subito a disposizione della “causa Pogacar”
Quali sono i tuoi piani adesso?

Avrei dovuto fare la cronometro mondiale, ma non mi sentivo benissimo lunedì e martedì, così ho dato forfait. Credo che le fatiche del Delfinato e del Tour si siano fatte sentire, poi con l’ulteriore sforzo al San Gottardo. Ora farò un po’ di riposo, poi mi rimetto sotto la settimana prossima, niente Vuelta. Farò la classica del Gp di Plouay a inizio settembre, poi il Giro di Lussemburgo e qualche piccola corsa, poi chiuderò la stagione in Cina, col Tour di Guangxi, che ho già fatto due volte.

Ti vedremo al Giro d’Italia l’anno prossimo, magari con Tadej?

Chissà, non ve lo so ancora dire. Vedremo, non abbiamo ancora parlato dei programmi di squadra, tra qualche mese lo saprete. 

Quali sono i tuoi hobby quando non pedali?

Passare del tempo con la mia fidanzata, oppure giocare a golf. D’inverno, invece, mi do allo sci alpinismo: a un’oretta da casa mia ci sono tutte le montagne che voglio.