Bahrain Victorious, la squadra giusta per Tiberi

08.06.2023
5 min
Salva

Quando si fa per ragionare in modo serio, a volte anche i giornalisti ci prendono. Così, quando verso fine Giro ci siamo trovati a scommettere su quale sarebbe stata la miglior collocazione per Antonio Tiberi, il ragionamento aveva portato all’Astana e alla Bahrain Victorious. Entrambi con un gruppo dirigente di matrice fortemente italiana, entrambi capaci di creare un clima familiare. Ma l’Astana aveva già 30 corridori, perciò non restava che il Bahrain (in apertura il team sul podio finale del Giro, dopo la vittoria della classifica a squadre).

Così alla partenza dell’ultima tappa da Roma, visto Pellizotti in attesa di partire con la sua ammiraglia, lo abbiamo affiancato. E’ vero che Tiberi viene con voi? «Non so niente – ha risposto impassibile – non posso dire niente».

Ora che il passaggio di Tiberi è stato annunciato ufficialmente, abbiamo sentito di avere un credito morale con il direttore sportivo friulano, così siano tornati al suo finestrino per iniziare il discorso stroncato a Roma sul nascere.

Dopo la chiusura del rapporto con la Trek, dal primo giugno Tiberi è diventato un atleta Bahrain Victorious (foto TBV)
Dopo la chiusura del rapporto con la Trek, dal primo giugno Tiberi è diventato un atleta Bahrain Victorious (foto TBV)
Quando hai saputo che sarebbe arrivato?

Non mi ricordo di preciso, ma circa un mesetto prima. Io mi occupo anche del discorso abbigliamento e di colpo e anche alla svelta abbiamo dovuto fare tutto il vestiario per lui.

Lo conoscevi già?

Il primo ricordo è di quando vinse il mondiale crono ad Harrogate, pur avendo avuto dei problemi alla bici. Ricordo anche che andava forte su strada, mi piace seguire i ragazzi italiani, poi non so dire se sia passato troppo presto, ma ricordo che appena passato fece vedere qualcosa. Tanto che al UAE Tour, Nibali e Damiano Caruso fecero una scommessa.

Che scommessa?

Noi avevamo Milan, Tiberi era alla Trek. E Vincenzo diceva che il giovane Antonio sarebbe andato più forte di Jonathan nella crono. Si giocarono il posto in business per tornare a casa. Chi avesse perso lo avrebbe ceduto al “suo” giovane. Fu la volta che Tiberi cadde sul traguardo, ma andò fortissimo. Arrivò 19°, Milan si piazzò 32° e Damiano perse la scommessa.

Harrogate 2019, nel mondiale juniores Tiberi cambia bici per un guasto in partenza, poi vince l’oro
Harrogate 2019, nel mondiale juniores Tiberi cambia bici per un guasto in partenza, poi vince l’oro
Contento che arrivi da voi?

Molto contento. Credo che debba crescere ancora molto e questo è dovuto al fatto che è passato troppo presto. C’è chi magari è pronto, non solo fisicamente, ma anche mentalmente. Secondo me lui ha delle doti veramente importanti e speriamo che adesso abbia raggiunto o stia raggiungendo la solidità mentale per affrontare il professionismo.

Come si stila il programma di un corridore fermo da due mesi che arriva in squadra a metà stagione?

Intanto si valuta la condizione fisica, un po’ come immagino abbiano fatto lo scorso anno quando Piccolo è passato alla Ef Education. Antonio arriva da una situazione un po’ particolare, quindi posso immaginare anche che negli ultimi mesi non si sia potuto allenare come avrebbe voluto, anche se era tranquillo.

Pensi fosse preoccupato di non trovare squadra?

Non credo quello, perché è un corridore promettente, però mentalmente non è stato facile. Noi lo abbiamo inserito subito e lo abbiamo messo anche nella long list del Tour de France. E’ un atleta valido. Per cui se qualcuno dei corridori che dall’inizio dell’anno sapeva di fare il Tour dovesse avere dei problemi, potremmo chiamare lui. Altrimenti potrebbe tornare per la Vuelta, che sarebbe ugualmente una scelta ben fatta, perché ci arriverebbe più fresco degli altri e con molta voglia di dimostrare.

L’ultima corsa di Tiberi è stata il UAE Tour, concluso il 26 febbraio: riprende sabato, dopo tre mesi e mezzo
L’ultima corsa di Tiberi è stata il UAE Tour, concluso il 26 febbraio: riprende sabato, dopo tre mesi e mezzo
Prima corsa in maglia Bahrain?

Farà Gippingen, Giro di Svizzera, campionato italiano e poi si vedrà.

In queste prime trasferte lo affiancherete, anche in camera, a un corridore più esperto?

Sì, è una cosa che facciamo sempre. Cerchiamo di fare le coppie per le camere in base all’esperienza dei corridori. Il giovane finisce sempre in camera con uno più esperto, che lo aiuterà a inserirsi meglio e così sarà per lui.

Pensi che in squadra peserà la vicenda che ha vissuto?

Credo proprio di no. Il primo ad averne sofferto è stato lui, ma sicuramente in squadra su questo ci ci sarà ancora qualche battuta, ma solo per metterla sul ridere. I nostri sono ragazzi intelligenti e per quel poco che ho visto al Giro, quando hanno saputo che sarebbe venuto con noi, erano molto felici. Sono convinto che lo inseriranno molto bene. 

Pellizotti in ammiraglia e magari Caruso in corsa e nei ritiri saranno per Tiberi un’ottima guida
Pellizotti in ammiraglia e magari Caruso in corsa e nei ritiri saranno per Tiberi un’ottima guida
Come l’hai trovato al primo contatto?

La prima volta che l’ho chiamato, l’ho trovato un po’ formale. C’è da capirlo: hai 22 anni, entri a far parte di una squadra nuova e vieni chiamato dal direttore sportivo. Ma io ho cercato di parlargli da amico e non da direttore sportivo. Ho cercato di farmi sentire molto tranquillo e di fargli capire che il passato è passato

Da chi sarà seguito per la preparazione?

Da Michele Bartoli, che fa parte del nostro staff tecnico. Non viene alle corse perché è una sua scelta, però a tutti gli effetti è con noi. A gennaio è stato in ritiro con noi e nelle riunioni parla apertamente di tutto, dei programmi a tutto il resto. Antonio è con lui, come pure Landa. Sono convinto che il clima familiare che abbiamo costruito sarà perfetto per lui. La nostra è una squadra di amici, di ex corridori che si conoscono da una vita e di personale affiatato. Penso che Antonio si troverà bene e che abbiamo da dargli la serenità di cui ha bisogno.

Slongo su Realini: dalla Vuelta Femenina tante certezze

21.05.2023
5 min
Salva

Una paio di settimane fa Gaia Realini concludeva al terzo posto la sua Vuelta Femenina. Dopo le belle prestazioni d’inizio stagione e nelle classiche delle Ardenne ancora un traguardo di successo per la portacolori della Trek-Segafredo. Ormai Gaia è una realtà a tutti gli effetti del nostro ciclismo femminile. 

E della Vuelta e non solo vogliamo parlare con Paolo Slongo suo direttore sportivo, e preparatore di lungo corso. Paolo non segue direttamente Gaia, ma ha l’occhio dell’allenatore e comunque ha accesso a dati e tabelle. Partendo da questa Vuelta facciamo un punto con lui.

Paolo Slongo (classe 1972) è uno dei diesse della Trek-Segafredo. Qui con la con la mental coach, Elisabetta Borgia
Paolo Slongo (classe 1972) è uno dei diesse della Trek-Segafredo. Qui con la con la mental coach, Elisabetta Borgia
Paolo, ti aspettavi una Realini già a questo livello al suo primo anno di WorldTour? Ha disputato una grande Vuelta…

Sicuramente Gaia ha dalla sua la carta d’identità. E’ giovane. Noi l’avevamo notata due anni fa al Giro Donne quando si faceva tappa su Matajur e lei ottenne un ottimo piazzamento (fu 11ª, ndr) nonostante fosse una ragazzina e corresse in un team più piccolo. Guercilena la volle prendere subito e la lasciò poi un altro anno a maturare in quella squadra. Che dire, è una bella persona e un’atleta molto determinata. Non ha paura del lavoro ed è predisposta ad imparare. Lavorarci insieme è piacevole.

E delle sue doti? Già in parte te lo avevamo chiesto dopo la super prestazione al UAE Tour Women…

E’ senza dubbio un’ottima scalatrice e con queste sue doti potrà portare a casa tanto. Io l’ho diretta al UAE Tour, come detto, al Trofeo Oro, alla Vuelta e presto anche al Giro. Vedo che sta imparando tanto. Anche col vento e nel muoversi in gruppo.

A proposito di gruppo: come la vedi? Non era facile entrare in un team, di grandi campionesse. Nelle Ardenne dopo gli arrivi abbiamo notato grandi abbracci…

Gaia si è ben integrata e adesso sempre di più col fatto che capisce e parla meglio l’inglese. Poi è simpatica, è piccolina… insomma si fa voler bene. E’ entrata in pieno nelle dinamiche del team e questo credo le dia ancora più forza.

Gaia Realini (terza da sinistra) si è ben integrata nel team. L’abruzzese ha solo 21 anni (foto Instagram)
Gaia Realini (terza da sinistra) si è ben integrata nel team. L’abruzzese ha solo 21 anni (foto Instagram)
Alla Vuelta era partita da capitana?

Le leader erano lei e Amanda Spratt. Poi Amanda è stata sfortunata nel giorno dei ventagli. Quando il gruppo si era spezzato, nel primo gruppo ne avevamo tre, tra cui le due leader appunto. Ma Amanda ha forato nel momento clou. A quel punto senza compagne Gaia è scivolata in coda al gruppo e poi si è staccata. Se non fosse successo tutto ciò avrebbe potuto vincere la Vuelta.

Beh, detto da te, che ne hai viste di storie, è una dichiarazione importante e che fa ben sperare in ottica futura…

E’ un bel bagaglio di esperienza. Chiaramente con le sue caratteristiche fisiche Gaia soffre certi ritmi e certe situazioni in pianura. Comunque dopo che anche lei si è staccata a quel punto ho fermato l’unica atleta che ci era rimasta davanti per limitare i danni. Quel giorno abbiamo perso 2’41”.

Una bella batosta.

Esatto. Il giorno dopo sul bus, ho prima fatto i complimenti alle ragazze per l’impegno che ci avevano messo. Ho detto loro che si era trattato solo di sfortuna ma che in vista del finale della Vuelta c’era spazio per recuperare. «Possiamo fare una top 5», dissi. Tutte mi guardavano con incredulità. Ma io conoscevo bene l’ultima salita, quella dei Lagos di Covadonga, l’avevo fatta ai tempi di Nibali e mettendo insieme tutte le cose tra quella tappa e la penultima – anch’essa frazione dura – si poteva fare bene.

Nei ventagli di La Roda (terza tappa) Realini perde 2’41” da Van Vleuten, l’esatto distacco avuto poi nella generale a fine Vuelta Feminina
Nei ventagli di La Roda (terza tappa) Realini perde 2’41” da Van Vleuten, l’esatto distacco avuto poi nella generale a fine Vuelta Feminina
E infatti Gaia ha vinto a Laredo e ha fatto seconda ai Lagos… Quindi che motore ha? E’ pronta per i grandissimi appuntamenti?

Beh, è giusto dire che la allena Matteo Azzolini, io l’ho diretta in corsa. Certo che si è visto come su certi percorsi abbia combattuto alla pari con Van Vleuten e le altre che hanno espresso valori assoluti. Valori che di solito si esprimono d’estate nel clou della stagione, parlo di roba da Giro e Tour. Lei è lì e con un certo margine per il futuro.

E dove lo può pescare questo margine? 

Per lei è tutto nuovo. E’ importante che l’atleta prenda consapevolezza di quanto fatto. Capire che anche nei grandi Giri puoi competere con Van Vleuten e Vollering vuol dire molto. Più passa il tempo e meno avrà paura. Senza contare che poi certe corse ti portano ad una crescita fisiologica.

E ora, Giro d’Italia Donne?

Tra qualche giorno la porterò con le altre ragazze al San Pellegrino. Ci resteremo fino all’11 giugno. L’idea è di preparare il Giro, il Tour e l’italiano. Spero solo che questa pioggia sia alle spalle per quei giorni! 

In questa stagione, e ancora di più in questa Vuelta Feminina, Realini ha acquisito consapevolezza. Eccola con Vollering e Van Vleuten
In questa stagione, e ancora di più in questa Vuelta Feminina, Realini ha acquisito consapevolezza. Eccola con Vollering e Van Vleuten
Per Gaia è il ritiro in quota? Anche questo contribuisce al margine di cui dicevamo…

Sicuramente è il suo primo ritiro in quota di squadra. Per lei sono tutte cose nuove che fanno parte del ritrovarsi in un team grande. Anche solo fare i massaggi ogni giorno lassù non è poco, ti dice del salto di qualità. E stare con atlete di livello come Longo Borghini, Chapman o Spratt è stimolante.

Come lavorerete? Tanta endurance?

Tanta endurance, ma anche sui volumi. Mi spiego: essendoci lassù delle salite lunghe le ragazze possono stare per tempi più lunghi su determinate zone d’intensità. Poi inserirò anche qualche seduta più spinta e con il mio storico scooter le farò fare anche del dietro motore per il lavoro a crono, pensando al prologo del Giro.

Vuelta Femenina, dietro le olandesi spunta Realini

09.05.2023
6 min
Salva

Chi meglio la conosce sa che, sul podio finale della Vuelta Femenina, Gaia Realini si è chiesta cosa ci facesse accanto a Van Vleuten e Vollering. Lei si è limitata a godersi il magnifico stupore, mentre gli altri hanno iniziato a ragionare sulla sua prestazione. Se a 21 anni hai la forza per tenere testa alla campionessa del mondo e all’astro nascente del ciclismo femminile, il terzo posto nella corsa spagnola significa qualcosa di importante.

«Ho pensato proprio a questo – sorride Realini col gusto di raccontarlo – cosa ci faccio qui? Non riesco a realizzare dove sono arrivata e dove posso arrivare. Proprio non lo so. La vittoria di tappa e il terzo posto sono stati inaspettati. Quando domenica sono arrivata al traguardo e ci siamo messi a guardare i distacchi, la ragazza che era lì con me mi fa: “Guarda che sei terza in generale!”. Le ho detto che non era possibile. Dopo le prime tappe ero a dir tanto cinquantesima. Poi sono diventata quindicesima e adesso sarei stata terza? Io ero incredula di tutto, lei prendeva i tempi e alla fine ha avuto ragione. Ai Lagos de Covadonga sono volati distacchi pesanti. Ma è stato davvero inaspettato…».

Il viaggio di Gaia alla Vuelta è iniziato dopo il terzo posto alla Freccia Vallone e il settimo alla Liegi: altre anticipazioni di futuro da cogliere con discrezione e mettere da parte. Da qui a dire che sia andata in Spagna per puntare alla generale ce ne vuole, ma il bello del suo stupore è che le impedisce di porsi limiti.

Sei andata sapendo di stare così bene?

Sicuramente la preparazione era buona, però sono andata senza nessuna pretesa, con l’idea di godermi la mia prima Vuelta. Per imparare e mettermi a disposizione della squadra.

Prima Vuelta, ma avevi già esperienza di Giro d’Italia. Ci sono tante differenze?

Molta differenza non c’è stata, perché comunque le ragazze sono le stesse. Forse cambia il modo di correre, dato che in Spagna ci sono solo sette tappe e al Giro invece sono dieci. Con tre giorni in meno, si combatte subito, c’è più bagarre. Ci si risparmia meno.

Siete partite con il terzo posto nella cronosquadre.

Ce la siamo cavata benissimo. Poi sapevamo che la seconda e la terza tappa sarebbero state completamente piatte, senza aspettarci la batosta così dura per i ventagli nella terza. Abbiamo preso il buco, io per prima. Dietro di me Amanda Spratt ha bucato, quindi tutto il team è rimasto nel secondo gruppo. E’ stata una giornata difficile da mandar giù (a La Roda, il distacco della Trek-Segafredo all’arrivo è stato di 2’41”: lo stesso che sul podio la dividerà da Van Vleuten, ndr). 

Parlando a febbraio con Larrazabal, capo dei preparatori alla Trek, si ragionava sui ventagli e ci avvisò che quelli del UAE Tour in cui ti eri mossa benissimo fossero più semplici di quelli belgi o spagnoli…

Le strade erano molto più strette. Siamo sempre 150 ragazze, un conto è metterle su una strada immensa come quelle nel deserto, che di lato c’è la sabbia, altra cosa in Spagna, che a lato ci sono l’erba, le buche e le scarpate. Hai quasi paura, è molto più pericoloso.

Vos sugli scudi: prima vince la cronosquadre con la Jumbo-Visma, poi porta a casa la 3ª e la 4ª tappa
Vos sugli scudi: prima vince la cronosquadre con la Jumbo-Visma, poi porta a casa la 3ª e la 4ª tappa
Dal giorno dopo è scattata la rabbia?

Non abbiamo perso la concentrazione, siamo rimaste sempre noi stesse e super motivate. Sapevamo che la classifica si poteva comunque ribaltare nelle tappe di montagna. Ho dei rimorsi legati a quel giorno, però fino a un certo punto. Sono ancora giovane, devo imparare molto da questo lavoro. Non è scattata la rabbia, semplicemente sapevo che iniziavano le tappe adatte a me. Quindi testa bassa e non mollare. Non voltarsi indietro e guardare avanti. E alla fine, grazie anche al team e al bellissimo clima che c’è, abbiamo portato a casa un bellissimo risultato.

A Laredo ti sei trovata davanti con Van Vleuten, scatti e controscatti e poi l’hai battuta. Come è stato?

Mi sono vista al primo anno in una WorldTour insieme alla campionessa del mondo. Emozione tanta, ma nessuna pressione, perché ero fuori classifica, quindi non dovevo fare chissà cosa. Qualcuno mi ha criticato perché non ho dato mai il cambio, ma io non avevo pretese, non dovevo prendere io la maglia rossa, quindi non avevo niente da perdere. Poi in volata ce la siamo giocata e vedendo il fotofinish, ho vinto davvero per poco.

Van Vleuten ha fatto il forcing perché voleva guadagnare su Vollering, compreso l’attacco mentre Demi si era fermata per fare pipì. Tu cosa hai capito di questa storia?

Van Vleuten sa bene quello che vuole, è molto concentrata e la squadra la asseconda. Non so bene come siano andate le cose. Ho sentito dire che Vollering si è fermata per un pit stop e la Movistar si è messa davanti ad attaccare. Non lo vedo come una cosa molto rispettosa, non c’è stato un grande fair play. Tutti abbiamo necessità fisiologiche.

Van Vleuten ha detto che quello era il punto in cui avevano deciso da tempo di attaccare. Ha sbagliato Vollering a fermarsi proprio lì?

In quel punto c’era molto vento, era molto aperto. Si capiva che potesse succedere qualcosa, però è anche vero che stavamo andando piano, quindi forse Demi ha valutato di potersi fermare. Ma non so davvero bene come sia andata.

Si rivede anche Marta Cavalli: 10ª nell’ultima tappa e 13ª in classifica finale
Si rivede anche Marta Cavalli: 10ª nell’ultima tappa e 13ª in classifica finale
Il tuo calendario prevede anche il Giro d’Italia?

Sì e sarò a disposizione della squadra. Quello che mi diranno di fare si farà senza pretese né pressioni. Non mi sarei aspettata che a 21 anni mi sarei trovata così bene, ma bisogna rimanere sempre coi piedi a terra, perché oggi può andare bene e domani può andarti male. Tutto questo è il punto di partenza per migliorare. Ecco, io almeno la penso così.

Senza Cicco, Trek a Pedersen. Popovych spiega

07.05.2023
5 min
Salva

SILVI MARINA – «Faccio sicuramente meno di un anno fa – dice Popovych con gli occhi che di colpo si intristiscono – perché non è più la stessa cosa. In quei primi mesi di guerra era un caos, mancava tutto. Adesso hanno da vestirsi e da mangiare, gli mancano solo le persone che stanno perdendo. Ho un amico in prima linea. Hanno tutto, tanta gente è tornata a casa anche dall’estero. Non faccio più i viaggi con il furgone, però è sempre difficile. Ho smesso di leggere news da tre settimane perché ci sto male. Ho appena sentito quel mio amico, perché ieri gli sono saltati i nervi. Ha perso due ragazzi con cui stava dall’inizio della guerra e si sta incolpando per averli mandati a prendere una cosa nella trincea in cui sono morti. Ho provato a dargli supporto mentale, quello che possiamo fare è sperare che finisca…».

Silvi Marina si specchia nel mare, in questo dolce avvio di Giro d’Italia. L’hotel della Trek-Segafredo è un gigante sulla spiaggia, in cui assieme alla squadra americana alloggiano Jumbo-Visma e Jayco-AlUla. Popovych ci ha raggiunto nel giardino dopo aver finito di parlare con i corridori, ma con lui il punto sugli amici e la famiglia in patria è un passaggio doloroso e necessario. Sapere da chi c’è dentro è diverso dal sentirlo in tivù.

Popovych guida al Giro la Trek-Segafredo assieme a De Jongh e Baffi. Qui con Andrea Morelli di Mapei Sport
Popovych guida al Giro la Trek-Segafredo assieme a De Jongh e Baffi. Qui con Andrea Morelli di Mapei Sport

Ciccone a casa

A una settimana dal Giro, la squadra ha deciso che Ciccone sarebbe rimasto a casa. L’abruzzese si è negativizzato a cinque giorni dalla partenza, ma ha passato una settimana senza andare in bici e non hanno voluto rischiare, spostando il baricentro dalla parte di Mads Pedersen (foto di apertura).

«Di fatto – spiega Popovych – abbiamo solo sostituito Ciccone con Amanuel Ghebreigzabhier. Pedersen aveva deciso di venire al Giro già da novembre così avevamo impostato la squadra anche su di lui, l’organico è stato sempre questo. Gli uomini che aiutano Mads avrebbero aiutato anche “Cicco”. La sua idea era puntare alle tappe, ma visto che da quest’anno sembra andare più forte, gli avremmo messo accanto uomini come Mollema e Tesfatsion per aiutarlo in salita. Gli altri in pianura sono… macchine (ride, ndr), per cui sarebbe stato al coperto in ogni tappa».

Due eritrei in corsa nella Trek-Segafredo: Tesfatsion e Ghebreigzabhie (s destra)
Due eritrei in corsa nella Trek-Segafredo: Tesfatsion e Ghebreigzabhie (s destra)
Giorni fa Dainese ha detto di temere Pedersen per la sua capacità di andare in fuga.

Lo vedremo giorno per giorno. L’anno scorso Pedersen ha fatto vedere grandi cose su diversi percorsi. Ci giocheremo tutte le carte possibili e inventeremo le cose giorno per giorno. Cercheremo di rendere la corsa dura quando si arriverà in volata, per eliminare i ragazzi più veloci e permettergli di fare le sue volate di 500 metri. Oppure potremo entrare nelle fughe.

Che effetto fa pensare che c’è ancora il Covid a cambiare le cose?

Dispiace, ma in questo periodo te lo devi aspettare. Parlando fra noi siamo consapevoli che fra 3-4 giorni qualcuno potrebbe anche andare a casa per il Covid. Questa la realtà del mondo di adesso. Per Giulio ci è dispiaciuto, ovviamente, il Giro parte da casa sua. Però abbiamo parlato. Gli ho detto: «Si volta come un giornale e si fanno i programmi per prossime corse». Per uno come lui a questo punto è meglio un Tour al top della condizione, che un Giro col rischio di ritirarsi.

Yaro, ti rendi conto che giusto vent’anni fa sul podio del Giro c’eri tu?

Ho pensato che siano passati vent’anni quando mi avete detto di cosa avremmo parlato. Avevo 23 anni, ora ne ho 43. Quel che successe nel 2003 non lo percepivo neanche io. Ho detto spesso che in quei primi anni in Italia, dai 20 ai 22 anni, neppure io capivo che potesse essere un lavoro. Per me è stato sempre un divertimento, un grande divertimento. Da noi in Ucraina la cultura del ciclismo non è mai esistita. In quel periodo mio papà non capiva cosa facessi, finché non venne qua a vedere di persona.

Mollema avrebbe lavorato anche per Ciccone: ora aiuterà Pedersen e cercherà la fuga
Mollema avrebbe lavorato anche per Ciccone: ora aiuterà Pedersen e cercherà la fuga
Tu non gli raccontavi nulla?

Certo, ma i miei genitori pensavano che fossi lontano per divertirmi. Da noi in televisione o sui giornali non facevano vedere le corse. La mia famiglia non sapeva cosa stessi facendo e anche io lo prendevo sempre come un gioco. Solo quando ho cominciato a fare risultati, allora ho cominciato a capire.

Che cosa significò salire sul podio del Giro a 23 anni?

Il Giro d’Italia per me è stato sempre una cosa particolare, una corsa di famiglia. Nel 1999 arrivai in Italia con la nazionale Ucraina. Dal 2000 rimasi con Olivano Locatelli. Vivendo qua, il Giro era la corsa di casa, la corsa della gente, un ambiente particolare. Quando nel 2009 venni al Giro con Armstrong, lui si stupiva di quanta gente mi conoscesse in ogni paese. La gente veniva a chiedere e salutare. E’ sempre stato un piacere.

Terzo al Giro del 2003, dietro Simoni e Garzelli: un Popovych d’annata
Terzo al Giro del 2003, dietro Simoni e Garzelli: un Popovych d’annata
Hai mai pensato che vincendo quel Giro la vita sarebbe cambiata?

Sarebbe cambiata di sicuro, è diverso vincere da essere sul podio. Ma io non ho rimpianti, non passo il tempo a pensare cosa sarebbe successo. Ho fatto e sto facendo la mia vita. Quando ci sono cose che non vanno come devono, volto la pagina e penso a quel che verrà. Sarebbe cambiato qualcosa di certo, ma non ci ho mai pensato.

Domani la crono, si sfoggiano i body più veloci

05.05.2023
6 min
Salva

Si comincia con la crono. E come ogni volta che va così, il ciclismo mette in mostra tutta la tecnologia di cui dispone. I corridori si trasformano in macchine da corsa, capaci di velocità fuori dal comune, dopo allenamenti e studi che dallo schermo di un computer approdano alla galleria del vento, poi alla pista, infine alla strada. Ci sono le bici. Ci sono gli accessori, come casco, occhiali, copriscarpe e guanti. C’è il body. Le aziende che producono abbigliamento studiano ogni refolo di vento attorno al corpo dei loro campioni.

Poi, in parziale contraddizione con tutto questo, quando la crono deve farla il leader della classifica (non quella di apertura, chiaramente), per esigenze di sponsorizzazione gli tocca indossare il body ufficiale. In quel caso sta a chi produce le maglie per la corsa, adattare il vestito al campione.

Il Giro d’Italia 2023 partirà domani con una crono individuale dalla ciclabile della Costa dei Trabocchi in Abruzzo
Il Giro d’Italia 2023 partirà domani con una crono dalla ciclabile della Costa dei Trabocchi in Abruzzo

Santini e la crono

Si fa questo ragionamento con Stefano Devicenzi di Santini, che al Giro veste la Trek-Segafredo e quando sarà luglio vestirà nuovamente la maglia gialla del Tour. Cosa c’è dietro un body da crono? E come si fa quando c’è da vestire un corridore con cui non s’è mai lavorato e bisogna farlo magari poche ore prima della crono?

«Nel body da crono – spiega Devicenzi – ci sono ricerca e tecnologia. Però attenzione, puoi anche utilizzare i materiali più avanzati, ma se non lo confezioni con cognizione di causa, disperdi il potenziale del materiale. Oltre a questo, c’è dietro anche una ricerca legata al modo di assemblare i vari pezzi di tessuto, per dare ai materiali una struttura che esalti la loro intrinseca tecnologia. Il tessuto è velocissimo, perché la galleria del vento dice che ha una penetrazione dell’aria molto alta, ma se costruisci il body in modo che non sia performante, che crea pieghe e tamburelli sul corpo dell’atleta, allora il body non funziona».

Pedersen indossa il body di leader della Parigi-Nizza: notare la gamba più lunga davanti e meno dietro
Pedersen indossa il body di leader della Parigi-Nizza: notare la gamba più lunga davanti e meno dietro
Come nasce il body da crono?

Si fa prima il disegno sul corpo dell’atleta e poi si scelgono i tessuti in base alle esigenze. Si parte da una base standard, la stessa che viene messa a disposizione dei vari team amatoriali, poi per gli atleti professionisti si fa un lavoro di personalizzazione. Questo con i team che sponsorizzi. Il problema c’è quando il body non lo puoi adattare al corpo o non puoi farlo sino in fondo, come per il leader della classifica generale (Santini è fornitore ufficiale di tutte le corse di Aso, ndr). Il fatto che non sia cucito addosso rischia di vanificare la superiorità delle tecnologie adottate.

Quindi il leader del Tour nelle crono ha un handicap?

No, perché la situazione può essere gestita. La sera prima della crono, andiamo a fare un meeting con ognuno dei leader che dovranno usare il nostro body e che, purtroppo per loro ma meglio per noi (sorride, ndr), non potranno usare il loro. Andiamo negli hotel per cucirglielo addosso, così da esaltare le proprietà tecniche dei tessuti utilizzati

Come fate?

Ci troviamo in una stanza con il corridore sui rulli, la sarta al fianco e la macchina da cucire sul tavolino. La nostra grande signora Rosita. Accanto a lui c’è anche la modellista o più spesso proprio Monica Santini che individua i punti su cui intervenire. A quel punto si fa un “taglia e cuci” immediato. Nel caso di Van Aert l’anno scorso sono stati fatti proprio dei tagli, come una serie di coriandoli, lavorando su tutto il corpo per metterglielo a misura.

Il leader della classifica deve utilizzare il materiale ufficiale del Giro: qui Hindley nella crono di Verona del 2022
Il leader della classifica deve utilizzare il materiale ufficiale del Giro: qui Hindley nella crono di Verona del 2022
Dicevi però che si parte da una base standard.

Esatto, un modello che viene fatto secondo criteri assoluti e tecnologie su misura, come la manica cucita in un certo modo, il fondo della gamba con un particolare elastico e tutto il resto. Poi per ogni atleta, serve un lavoro sartoriale. Quindi si prende il body di base e si va a ridisegnarglielo addosso, ma senza stravolgere il modello.

Ridisegnare?

Vuol dire semplicemente riprendere le cuciture in alcuni punti, eliminare alcune pieghe, allungare o accorciare la manica o la gamba. Lo stesso modello avrà misure diverse su corridori diversi. Magari per uno che è più alto, si allunga una cucitura sulla schiena o la si accorcia. E come quando fai un abito sartoriale.

Per lo sviluppo si usano chiaramente le squadre sponsorizzate?

I body su cui si lavora sono quelli che hanno dimostrato di essere i più veloci in galleria del vento. In particolare, sponsorizzare la nazionale australiana ci permette una ricerca più approfondita perché c’è più tempo a disposizione, visto che loro ragionano su progetti olimpici quindi con quattro anni a disposizione. Grazie a loro abbiamo individuato accorgimenti preziosi.

Fitting su Vingegaard alla vigilia della crono di Rocamadour, 20ª tappa del Tour 2022
Fitting su Vingegaard alla vigilia della crono di Rocamadour, 20ª tappa del Tour 2022
Ad esempio?

Ad esempio, se guardate i body del Tour de France, noterete dalle foto laterali che l’elastico della gamba non è dritto, ma è più lungo nella parte anteriore dove c’è il ginocchio e più corto dietro la coscia dove ci sono i tendini. Se poi il corridore è magro, in quel punto dietro al ginocchio, fra tendini e articolazione, si crea un vuoto: quella che noi chiamiamo una taschina che incide sull’aerodinamica e sulla quale bisogna intervenire. Stesso discorso per i guanti…

Cosa succede con i guanti?

Con le protesi attuali, quando i corridori piegano i polsi e mettono le mani sul manubrio, si creano delle piccole pieghe. Sicuramente il tessuto è più aerodinamico della pelle, ma la pelle non fa quelle pieghe. Un corridore forte della Ineos con cui parlai di questo aspetto, preferiva correre senza guanti proprio per evitare quelle grinze.

Il body ha tasche?

C’è una tasca per il numero, cui si accede da dentro, che chiamiamo “no pins”. Fuori è completamente liscio, c’è solo uno strato di plastica trasparente, che permette di non usare le spille. Poi c’è la taschina per la radio, che viene pure posizionata dall’interno ed è minuscola, come quella che si mette sul pantaloncino per le tappe in linea. Questa viene collocata abbastanza in alto e lontana dalla colonna vertebrale, per evitare che in caso di caduta possa creare danni molto seri.

Il body da crono è comodo?

Rispetto a quelli di qualche anno fa, vedi una differenza incredibile. Quelli attuali sono cortissimi, sembrano quasi dei body da bambino. Sono veramente piccoli, eppure sono in taglia S o M, cioè taglie normali. Qualche anno fa non si era così attenti. Di certo non è fatto per stare in posizione eretta, ma per riprendere una terminologia dello sci, per stare a uovo. Serve per andare veloci e in certe situazioni il comfort è un fattore cui si può parzialmente rinunciare.

Ciccone: il miglior avvio di stagione frenato dal Covid

24.04.2023
5 min
Salva

Giulio Ciccone ci ha provato. Alla Liegi, sulla Redoute, ha scollinato in quarta posizione, al fianco del compagno Mattias Skjelmose e cercando di rispondere per quanto possibile a Remco Evenepoel. Un altro bel segnale dunque dall’abruzzese, che ha fatto appena in tempo a mettere il Giro d’Italia nel mirino che quel senso di debolezza percepito ieri in corsa si è tradotto nell’ennesima positività al Covid. Così recita il comunicato della Trek-Segafredo.

«Purtroppo dobbiamo comunicare – si legge – che Giulio Ciccone è risultato positivo al Covid-19. Giulio è stato testato questa mattina, 24 aprile, dopo essersi svegliato con sintomi lievi. Ora osserverà un periodo di riposo mentre il nostro staff medico monitorerà le sue condizioni. La partecipazione di Giulio al Giro d’Italia è ora in stand-by, da decidere dopo aver valutato il suo recupero e aver ottenuto un test Covid negativo. Una decisione definitiva verrà presa negli ultimi giorni prima dell’inizio della gara».

Quest’anno Ciccone ha cambiato molto nella sua preparazione e sta mostrando davvero belle cose in questa primavera. Ha ottenuto una vittoria e in più di qualche occasione ha ficcato il naso in mezzo ai grandissimi, cose che sembravano impossibili fino ad un fa. Quest’ultima tegola davvero non ci voleva.

Giulio Ciccone (classe 1994) firma autografi a dei bambini dopo la Liegi
giulio Ciccone (classe 1994) firma autografi a dei bambini dopo la Liegi

Freddo ardennese

Quando è arrivato sul traguardo della Liegi era gonfio dal freddo e dalla fatica. E infatti scherzando diceva: «Sembra che abbia preso delle botte». Dopo una mezz’oretta, il corridore della Trek-Segafredo è sceso dal bus e già sembrava un altro dopo la doccia e dopo essersi scaldato. Il fratello Marco lo attendeva per portarlo all’aeroporto e da lì in Italia.

Mentre firmava autografi, “Cicco” raccontava. «E’ stata veramente una giornata dura. E il freddo, anche se non sembrava, alla fine ha fatto il suo gioco. E poi , più di 250 chilometri… è stata una giornata di quelle vere, toste…

«Sono stato tra i più attenti all’attacco di Evenepoel? Diciamo di sì. Le mie sensazioni non erano male, anzi avevo avevo una buona gamba. Ovvio che il cambio di ritmo di Remco è un qualcosa che va oltre le mie possibilità. Almeno per il momento, quindi ho provato a fare il mio».

Per Giulio anche un’ottima Freccia, quinto. E ancora pronto a marcare i big. Qui, eccolo con Pogacar
Per Giulio anche un’ottima Freccia, quinto. E ancora pronto a marcare i big. Qui, eccolo con Pogacar

A testa alta coi big

Provarci è importante. Anche magari fare un po’ di fuorigiri, ma non partire battuti in partenza del tutto. Un po’ ciò che ha fatto Pidcock. Dopo la sgroppata per inseguire il campione del mondo, Giulio ha rifiatato e di nuovo se l’è giocata con quelli di questo pianeta.

Fare certe azioni è importante per il corridore. Dà fiducia. Scollinare quarti su una Redoute nel testa a testa non è poco. Specialmente di questi tempi, quando c’è sempre almeno uno dei quattro fenomeni di mezzo.


«Penso che abbiamo giocato una buona carta con insieme a Mattias – andava avanti Ciccone – abbiamo provato ad andare il più regolare possibile, poi dietro sono rientrati. Sono rientrati vari gruppetti e da lì sono iniziati un po i giochi:  scattini da fermo, inseguimenti… e, sapete, lì diventa più una questione tattica che di gambe, però io sono comunque soddisfatto della mia condizione… del risultato (13°, ndr) un po’ meno. Guardiamola in prospettiva».

In passato Giulio aveva sempre faticato in primavera, quest’anno invece ha già vinto. Eccolo al Catalunya davanti a Roglic
In passato Giulio aveva sempre faticato in primavera, quest’anno invece ha già vinto. Eccolo al Catalunya davanti a Roglic

Un avvio davvero super

Avanti significa Giro d’Italia, anche se all’indomani della bella Liegi, il condizionale diventa ora d’obbligo. Per anni abbiamo messo di fronte Ciccone alla questione classifica sì, classifica no. Quest’anno l’approccio è stato diverso. Questa volta si tratta di fare il meglio possibile. Poi sarà la strada a dare il suo verdetto.

«E’ dall’inizio dell’anno che ho delle ottime sensazioni – diceva – e sono contento di come sto impostando le gare, di come ci arrivo concentrato. Penso che fino ad ora sia stato uno dei migliori avvii di stagione. Anzi forse il migliore avvio di stagione di sempre. L’obiettivo è quello di tenere questa linea».

Sulla Redoute accanto al compagno Skjelmose. Cicco ha chiuso 13° , il danese 9° ma erano entrambi nel secondo drappello inseguitore
Sulla Redoute accanto al compagno Skjelmose. Cicco ha chiuso 13° , il danese 9° ma erano entrambi nel secondo drappello inseguitore

Dal Belgio all’Abruzzo

Tra Liegi e la “sua” Pescara ci sono di mezzo due settimane, durante le quali si spera che il Covid passi alla svelta e non comprometta il buono costruito fin qui. Un periodo cruciale.

«Non  correvo dal Catalogna – diceva ancora ieri prima di tornare verso casa – mi mancava qualche giornata di gara e qualche fuori giri. Da qui al Giro d’Italia non correrò più, anche perché non manca tantissimo. Ci saranno questi ultimi giorni che saranno di rifinitura… e poi si parte!

«Non ho mai avuto in programma di fare delle ricognizioni. Le strade abruzzesi le conosco tutte e abbiamo deciso di avere l’avvicinamento il più tranquillo possibile. Se tutto va per il verso giusto, sono sicuro che poi qualcosa di buono arriva».

Questo diceva ieri sera, prima di sapere di avere il virus già in corpo. Ciccone lo conosce bene: fu lui il primo corridore a rientrare dopo una positività, in quel Giro d’Italia del 2020 che suscitò più dubbi che entusiasmi. Ora che la storia è tracciata e la letteratura più completa, speriamo che al via da Fossacesia ci sarà anche lui, con gambe pronte per fare male.

Ancora Vollering, ma la “Longo” torna a farci sognare

23.04.2023
5 min
Salva

Quando tutto sembrava perduto ecco violentissima l’azione della Trek-Segafredo. Un’azione che a quanto pare non è stata del tutto una sorpresa per il team di Elisa Longo Borghini. È stato grazie a questo forcing se la Liegi-Bastogne-Liegi Femme si è riaperta. È vero, alla fine ha vinto sempre un’atleta della SD Worx. Anzi non un’atleta, ma l’atleta: Demi Vollering.

Liegi Femmes partita alle 8,35 da Bastogne. «Difficile per noi e anche per lo staff. Alcuni dei nostri si sono svegliati alle 4»
Liegi Femmes partita alle 8,35 da Bastogne. «Difficile per noi e anche per lo staff. Alcuni dei nostri si sono svegliati alle 4», ha detto Longo Borghini

Fiato sospeso

Il rettilineo finale di Liegi sembra fermarsi. Da lontano, alle spalle dell’arrivo, si vedono spuntare dalla semicurva Elisa Longo Borghini e Demi Vollering. Vanno pianissimo, si controllano. Poi ecco che parte lo sprint. Le spalle delle due atlete si sfiorano. I caschi si abbassano. È un lungo testa a testa. Secondi che sembrano interminabili.

La prospettiva frontale inganna e non si capisce chi sia davanti. Però è Demi Vollering stessa a risolvere i dubbi. Prima si pone davanti ad Elisa e poi alza le braccia al cielo. «Oggi ho perso in volata – ha detto immediatamente dopo l’arrivo Elisa Longo Borghini – ma voglio batterla».

Come a Huy, qualche metro dopo la linea, Demi si mette le mani sul volto. Ha realizzato una tripletta magnifica sulle Ardenne e soprattutto ha mostrato una superiorità netta. E’ in totale controllo di tutto in questo momento.

«Sono felice. Abbiamo una super squadra. Devo ringraziare Marlene (Reusser, ndr). Io sto bene, sono sempre tranquilla. Questa notte ho riposato bene e sapevo che potevo essere veloce anche nel finale».

Momento cruciale della gara. Nel falsopiano prima della planata su Liegi Vollering rintuzza da dietro e scappa via con Longo Borghini
Momento cruciale della gara. Nel falsopiano prima della planata su Liegi Vollering rintuzza da dietro e scappa via con Longo Borghini

La fatica giusta

Più che le parole a colpirci è la grinta con la quale Elisa ha detto quella frase: “La batterò”. Solo pochi giorni fa l’avevamo lasciata sul Muro d’Huy contenta a metà. «Non riesco a far fatica ci aveva detto. Dopo il Covid mi manca ancora qualcosa».

Eppure Elisa non ci era sembrata sfinita. Sembrava che la fatica fatta alla Freccia Vallone fosse costruttiva, che potesse portare dei benefici. E così è stato.

«Sì, dopo la Freccia ho detto che stavo ancora lottando con il mio recupero post Covid. Ci sono giorni in cui mi sento meglio di altri. Oggi mi sono sentita davvero bene. Ma ho ancora degli alti e bassi e non so come mi sveglierò domani. Oggi però sono felice».

Podio di squadra

«Il team – va avanti Elisa – ha svolto un ottimo lavoro con Amanda Spratt in fuga. Lei doveva attaccare da lontano. Lizzie Deignan ci posiziona sempre molto bene e anche Ina Teutenberg ci ha spiegato la corsa in modo preciso. Poi ancora Amanda e Shirin Van Anrooij mi hanno aiutato a prendere un po’ di margine prima della Roche aux Faucons. Ho preferito fare così perché io non ho ancora il cambio di ritmo necessario. In questo modo l’ho potuta prendere un po’ più di passo».

Tutto secondo i programmi dunque, almeno fino allo sprint. Una volata a due è sempre particolare ed è facile poi ripensarci su.

«Forse l’ho interpretata un po’ male – spiega Longo Borghini – forse dovevo metterle più pressione nel finale, ma poi sapete quando sei lì, dopo tanti mesi che non vinci, dopo che la squadra ha lavorato tanto vorresti restituire il favore, almeno con un podio», come a dire che doveva collaborare meno.

«Riguardo allo sprint, ho cercato di arrivare fino ai 150 metri. Sapevo che il vento veniva da destra e volevo stare nel lato coperto del vento, ma poi lei è più veloce».

La fuga di giornata. Spratt (prima) e Reusser (terza) le pedine fondamentali nell’economia della corsa
La fuga di giornata. Spratt (prima) e Reusser (terza) le pedine fondamentali nell’economia della corsa

Super Trek, rischio Sd Worx

Dicevamo di una grande azione della Trek-Segafredo. Un’azione potente. Violenta. Decisiva. A 32 chilometri dall’arrivo Marlen Reusser aveva 1’40” di vantaggio. Un abisso. La corsa sembrava chiusa. Merito della Trek-Segafredo dunque se si è riaperta, ma c’è stato forse anche un errore tattico della SD Worx.

«Noi non abbiamo mai avuto la sensazione che la corsa fosse in pericolo – ha detto Gaia Realini – abbiamo sempre controllato. Sapevamo che tutto si sarebbe deciso sull’ultima salita. E prima di quella abbiamo tirato tantissimo. Oggi eravamo tutte per Elisa».

Ma la stessa Longo Borghini ha detto che dietro non si sarebbero mosse finché davanti ci fosse stata la loro compagna Amanda Spratt. E sulla Redoute abbiamo pensato che forse Reusser avesse sbagliato ad affondare il colpo in quel modo. In quel momento il vantaggio era sul filo del minuto.

Se fosse scappata con la sola Spratt, l’unica che per tre quarti di scalata aveva retto il suo passo, di certo Sd Worx e Trek-Segafredo, appunto le squadre più forti, non si sarebbero mosse.

Non solo, Reussuer era palesemente più forte di Spratt, poteva staccarla più avanti e approfittare poi delle sue doti di cronoman. A quel punto anche un movimento della Trek-Segafredo sarebbe stato tardivo.

Con i se e con i ma, non si va da nessuna parte: è vero. Ma questa tattica ha rischiato fortemente di essere un boomerang per il team olandese. Poi okay, c’è Vollering che ha sistemato tutto e bene così per loro. E per noi… che ci godiamo il podio di Elisa.

Bergamo, incontro esclusivo con Cataldo che riparte

20.04.2023
5 min
Salva

Dario Cataldo scende dall’auto, lato passeggero, con un busto che gli sostiene il tronco e una stampella che lo aiuta a reggersi in piedi. Poggia sul braccio destro e i pochi metri che percorre per entrare nel negozio Trek di Lallio (Bergamo) paiono un Mortirolo. Lo avevamo lasciato riverso sul fianco sinistro, tronco e capo su un marciapiedi, dal bacino in giù sulla carreggiata di Sant Feliu de Guíxols, sede d’arrivo della prima tappa del Giro di Catalogna. Era appena volato a terra a quelle velocità che i corridori tengono per preparare una volata.

Oggi, a un mese esatto di distanza, cammina e accenna a qualche sorriso rispolverato grazie ad una di quelle sette vite di cui sono dotati i ciclisti.

Dario, come stai?

Bene, considerando tutto quello che ho passato e per il fatto che questa caduta non dovrebbe lasciarmi postumi permanenti per il futuro.

La diagnosi esatta quale è stata all’ospedale di Girona dove sei stato portato dopo la caduta?

Ho fratturato femore, clavicola sinistra e setto nasale. Poi: schiacciamento di sei vertebre, di cui tre operate con iniezioni di cemento. Ho perso il conto delle costole rotte: sicuramente tre nella parte posteriore e una davanti. Ma la cosa più pericolosa è stata il doppio versamento nei polmoni, in ospedale mi è stato detto che ho rischiato la vita.

Riavvolgiamo il rullino, cosa ti ricordi della caduta?

Stavamo viaggiando fortissimo. Un gruppetto di corridori si è spostato sulla destra, io ero dalla parte opposta per cui pensavo di essere al sicuro e invece li ho visti venire verso di me. Uno me lo sono trovato sotto le ruote e ho avuto solo quella frazione di secondo per capire che stavo cadendo.

L’incontro con Cataldo si è svolto presso il Trek Store di Lallio, a Bergamo
L’incontro con Cataldo si è svolto presso il Trek Store di Lallio, a Bergamo
E poi?

Ho in testa ogni istante, sono sempre stato lucido. Vedevo sangue colarmi sul viso, ma non capivo da dove venisse. Sono rimasto diversi secondi senza respirare e a quel punto mi sono spaventato davvero, ma ho cercato di stabilizzarmi. Sono riuscito, sollevandomi un poco, a riprendere respiri corti, ma è stato uno sforzo che mi ha causato un dolore lancinante. Mi sono mosso col bacino e ho capito di essermi rotto il femore. Mi sono mosso con le braccia e ho capito che anche la clavicola era andata. Non riuscivo a togliermi un macigno che sentivo nel petto, poi mi hanno spiegato che era appunto il versamento nei polmoni. La lucidità mi ha consentito però di evitare guai peggiori. Al primo medico che mi ha soccorso ho tracciato il mio quadro clinico ed è rimasto colpito, pensava che fossi già più di là che di qua. 

Poi, la degenza. Quanto è stato complicato non essere in Italia ad affrontarla?

Non molto. Parlo molto bene lo spagnolo per cui le conversazioni erano semplici e lo staff medico è stato sempre gentile e disponibile. Sono rimasto lì 10 giorni, poi mi hanno trasferito al Niguarda di Milano per altri interventi e anche lì sono restato ricoverato 10 giorni.

E adesso, cosa prevede il piano di recupero?

Andrò a Forlì una decina di giorni dove inizierò la riabilitazione con Fabrizio Borra. Inizieremo a fare la conta dei danni più “atletici” e quindi a stabilire le tappe per recuperare fisicamente. Spero, entro maggio, di recuperare tutte le funzioni motorie e potermi rimettere in sella per poi allenarmi tra giugno e luglio e tornare in gara magari a settembre. Questa è la mia visione più ottimistica, ma bisognerà pensare giorno dopo giorno.

I colpi che hai preso ti costringeranno a rivedere la tua messa in sella?

Spero tanto di non doverla modificare, conto sul fatto che sarà il corpo a rimettersi in sesto per stare bene con l’assetto mio. La cosa complicata di un nuovo assetto, sarebbe ritrovare il mio equilibrio, il che allungherebbe il pieno recupero.

E mentalmente? Quanto è difficile rimanere lontano dalle corse?

La prendo con filosofia perché poteva andare peggio. E’ obbligatorio essere ottimisti.

Guardando alle corse, quali sono gli obiettivi di Trek-Segafredo quest’anno? 

Uno degli obiettivi top è il Giro. Pedersen punta alla maglia a punti, sta andando fortissimo e il team ci tiene particolarmente. Anche Ciccone sta dimostrando di essere in forma. Ho sempre sostenuto sia un corridore da classifica generale nelle grandi corse a tappe e quest’anno ha avuto uno step di miglioramento molto importante che passa da una maturità maggiore. Legge meglio la corsa, sa gestirla con più consapevolezza e ha meno stress. Io penso debba crederci.

Al suo primo anno in Trek, nel 2022, Cataldo ha scortato Ciccone al Giro d’Italia
Al suo primo anno in Trek, nel 2022, Cataldo ha scortato Ciccone al Giro d’Italia
In generale è un’epoca d’oro per il ciclismo, zeppa di campioni. Quanto è bello e quanto difficile correrci insieme e contro?

E’ difficile, le corse ormai le vincono sempre gli stessi. Si va talmente forte che non c’è più margine per gli outsider, la giornata buona e la fortuna non servono più. E’ anche bellissimo correre e guardare questo ciclismo, vedere da vicino i vari Van der Poel, Ganna, Van Aert, Pogacar è incredibile perché sono atleticamente fenomenali. La cosa che più colpisce però non è tanto vederli come sono strutturati, quanto lo stile e la facilità con cui pedalano: danno un senso proprio estetico di strapotere.

Vollering a mani basse. Ma dietro spunta a tutta Realini

19.04.2023
7 min
Salva

«Gli ultimi 800 metri sono talmente ripidi che questo muro ti guarda in faccia». Così parla del mitico Muro d’Huy, Gaia Realini. La portacolori della Trek-Segafredo è alla prima esperienza nelle corse del Nord e ha subito colto un podio.

La Freccia Vallone Donne se l’è presa – quasi da programma – Demi Vollering. Troppo più forte, troppo più in condizione in questo momento. Questa mattina vi avevamo proposto l’intervista con Elena Cecchini. Ebbene quel che ha detto la friulana si è verificato: sia il successo di Demi, sia il rilancio della Trek-Segafredo.

Vollering dominatrice

Nel fresco mattino di Huy, ad un’orario insolito, prende il via la Freccia Vallone Donne. La corsa si rivela un filo meno combattuta di quel che ci si poteva attendere. Forse proprio in virtù dell’orario alquanto mattutino.

Nel finale sembra quasi che ad essere decisiva possa essere la penultima cote, quella di Cherave. Scappano via in quattro, ma poi il Muro è il Muro e nessuna tira con convinzione. Si presentano sotto l’impennata finale, tra fumi di barbecue e bicchieroni di birra di chi è a bordo strada, una ventina di atlete. Ci sono tre italiane: Gaia Realini, appunto, la sua compagna Elisa Longo Borghini e Silvia Persico.

Vollering anticipa un po’. «Era questo ciò che voleva fare», ci confida la Cecchini dopo l’arrivo. Voleva togliersi dai guai, impostare il suo ritmo. E comunque ne aveva molta di più. 

E dietro? Dietro Niewiadoma sembra tenere e le altre non si muovono. Eppure c’è quello scricciolo bianco, azzurro e nero che si vede pedalare bene. Che danza sui pedali. E infatti dopo la terribile “S” al 20 per cento eccola che esce come una freccia. L’abruzzese rimonta veloce ed è terza.

Demi Vollering (classe 1996) vince la Freccia Vallone. Ora la Liegi, sapendo di essere super marcata come ha detto dopo l’arrivo
Demi Vollering (classe 1996) vince la Freccia Vallone. Ora la Liegi, sapendo di essere super marcata come ha detto dopo l’arrivo
Gaia, anche Longo Borghini ci ha detto che eri leader oggi. Come si reagisce di fronte a queste responsabilità? Si dorme la sera prima?

Sì, sì! Da quando sono arrivata in questa squadra c’è la pressione, ma la pressione giusta. Quella buona. Credono in me, nelle mie potenzialità. Mi hanno detto: «Tu domani sarai leader, si farà la corsa per te». Io all’inizio ho detto: «No, ma dai, sono nuova. Sono giovane, sono inesperta del mestiere. Non datemi questa responsabilità». Ma tutte le altre mi hanno detto che avevo fatto vedere buone potenzialità in salita e quindi si sarebbe corso per me.

E per fortuna! 

Le ragazze hanno fatto un gran lavoro. E’ indescrivibile quello che sono riuscite a fare per me. Mi hanno tenuto sempre coperta. Ho avuto un problema al penultimo giro, ho bucato e sono rientrsata grazie a loro che mi erano vicine. Ho sprecato il minimo delle energie e sono riuscita a finalizzare quello che è stato fatto. 

All’arrivo le tue compagne erano davvero contente. Ti hanno abbracciato e chiesto come fosse andata, Elisa Longo Borghini prima di tutte. Che consigli ti ha dato?

Elisa mi è stata molto vicina (in conferenza stampa Gaia ha aggiunto anche quanto sia felice di essere compagna di colei che è stata un suo mito, un riferimento che vedeva alla tv, ndr), ma anche le altre ragazze. Devo un grande, grande grazie a “Lizzie” Deignan.

Perché?

Era alla prima gara, al rientro sei mesi dopo la gravidanza. Lei mi ha guidato in tutto e per tutto. Si girava in continuazione per cercarmi e io cercavo lei. Davvero un bel feeling. Ma ripeto, anche con le altre ragazze.

A fine corsa l’abbraccio con Elisa Longo Borghini. In generale abbiamo notato grande solidarietà fra le italiane, specie tra le più giovani
A fine corsa l’abbraccio con Elisa Longo Borghini
Che impressione ti ha fatto il Muro d’Huy?

Eravamo venuti a provarlo la settimana scorsa e diciamo che in questi 800 metri finali hai la strada davanti agli occhi. Però il Muro mi piace, è duro e ho capito che in fondo mi sarei potuta giocare le mie carte.

Ci racconti come lo hai approcciato? Abbiamo visto che Vollering lo ha anticipato, non hai pensato di seguirla?

Lei ha accelerato fin dall’inizio, però ieri riguardando anche le gare degli anni passati, Elisa Longo Borghini mi ha consigliato di non prenderlo subito di petto, perché poi piano, piano quelle che lo aggrediscono fin da subito spesso rimbalzano (si veda giusto Niewiadoma, da 2ª a 11ª, ndr). E così mi ha detto: «Prendilo del tuo passo. Cerca il tuo ritmo. Non strafare fin dall’inizio». Io così ho fatto. E infatti sono riuscita a recuperare la terza ragazza proprio negli ultimi 100 metri.

Quindi eri in spinta fino alla fine?

Sì, in spinta. La gamba era buona e sono contenta per questo. Non posso che godermi questo terzo posto per me e per la mia squadra.

Guardiamola invece dall’altro lato: cosa ti manca per chiudere questo gap?

L’esperienza – replica diretta Realini – sicuramente l’esperienza incide tanto. Ma piano piano, sia io sia il mio allenatore e tutta la squadra ci arriveremo.

Rimpianti? Anche no

Prima di chiudere il capitolo Freccia Donne, merita una considerazione il fatto che Gaia Realini abbia finito il Muro in crescendo, ancora in spinta. Questo è un punto per noi fondamentale, specie in ottica futura.

Ma partiamo da oggi. Se si arriva in cima con tanta forza, è anche lecito chiedersi se invece si poteva dare di più. La risposta sta nel mezzo. Gaia è una scalatrice pura e forse potrebbe averlo preso un po’ più di petto rispetto a quel che le aveva suggerito Longo Borghini, ma sette secondi (tanto ha preso dalla Vollering), non sono pochi. Di certo non avrebbe vinto. Anche perché l’atleta della Sd Workx nonostante abbia anticipato ha guadagnato costantemente, poco, ma costantemente per tutto il muro.

Poi perché serve esperienza, come ha ribadito Gaia stessa. Bene dunque ha fatto Elisa Longo Borghini a suggerirle di andare di passo. Magari spingere anche solo 20 watt in più per 5 secondi prima avrebbe cambiato l’esito della sua scalata.

E poi la verità è che le misure, quelle vere, le può capire solo la protagonista. E’ lei e solo lei che può dosare lo sforzo in base alla distanza e quel che ha in corpo. E questo, specie da queste parti, lo si fa solo con l’esperienza. E di solito chi finisce il muro in spinta di solito la Freccia Vallone la vince. Chiedete a Valverde.