La Colnago gialla sul podio, un’altra meraviglia di Pogacar

24.07.2024
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Dopo essere stata per tutto il giorno davanti al pullman del UAE Team Emirates, la bici gialla è spuntata ai piedi del podio sulla spalla di Tadej Pogacar. Lo sloveno aveva appena vinto il Tour e, con un gesto mai visto prima, è salito sul podio portando la bici e sollevandola al cielo. Non era mai successo. Si ricorda Roglic con una Cervélo rossa sul podio finale della Vuelta, ma quella Colnago gialla sul tetto della Grande Boucle ha fatto a suo modo la storia.

E proprio la storia dice che la V4RS gialla è stata verniciata soltanto giovedì, tre giorni prima della fine del Tour. Per tutta la sana scaramanzia di chi conosce il mondo dello sport, l’azienda di Cambiago aveva tenuto libero un turno di due ore dal proprio verniciatore. Quando c’è stata la certezza della conquista, la bici ha indossato la sua livrea gialla. E’ stata recapitata al Tour venerdì mattina, mentre Pogacar si accingeva a vincere la quinta tappa a Isola 2000. E pur violando la sacra regola secondo cui lo sposo non deve mai vedere la sposa alla vigilia, venerdì sera Tadej l’ha vista, ma ha preferito non usarla sabato. La motivazione? Una parola italiana che è uscita perfettamente comprensibile dalla sua bocca: «Scaramanzia!».

La VRs4 gialla di Pogacar ha posato domenica mattina ed è poi salita con lui sul podio
La VRs4 gialla di Pogacar ha posato domenica mattina ed è poi salita con lui sul podio

Il Tour per Colnago

Della bici gialla e di che cosa abbia significato la vittoria di Pogacar parliamo con Nicola Rosin, amministratore delegato di Colnago, che sta vivendo una delle più belle settimane da quando ha accettato l’incarico di occuparsi e ridare luce a quel marchio tanto prestigioso. E’ immediato capire che ci troviamo al centro di una giostra velocissima, in cui conciliare il lato tecnico e le esigenze degli atleti con tutti gli aspetti legati al marketing che in questo momento è probabilmente prioritario.

Che significa per un brand come Colnago un Tour del genere, dopo un Giro del genere?

E’ il riconoscimento perfetto di tre anni e mezzo di lavoro, un coronamento. Non vorrei dire che ci stiamo abituando, comunque questo è il quarto Grande Giro che Tadej vince con la cosiddetta nuova Colnago. Parlo di coronamento perché tre anni e mezzo fa è stata avviata una strategia di prodotto e insieme è nato il desiderio di creare un rapporto simbiotico con il team. Ma neanche nella regia del film più ottimistico, si poteva immaginare che sarebbe andato tutto così bene. Per noi significa esserci consolidati come il brand road più desiderabile al mondo, che era l’obiettivo che con Manolo Bertocchi ci eravamo posti a gennaio del 2021. Hai fatto una bici performante che vince, con bella creatività. Hai una squadra cui ti lega un rapporto simbiotico. E hai l’atleta per antonomasia e non stiamo parlando del ciclista, ma di un atleta di valore assoluto, che vince non solo dal punto di vista sportivo. Cosa ci manca?

La bici è arrivata al Tour venerdì, ma Pogacar non ha voluto usarla
La bici è arrivata al Tour venerdì, ma Pogacar non ha voluto usarla
Dietro tanto lavoro di marketing c’è anche tanto lavoro di progettazione. Non sono sfuggiti i 1.300 grammi limati sulla bici da crono, ad esempio…

Esatto. E non solo quella da crono, ma anche la V4RS è una bici che ha fatto un salto quantico rispetto alla V3RS. Bisogna dire che la squadra e Tadej sono personaggi molto esigenti, gente che giustamente pretende il massimo. E tu devi stargli dietro, sapendo che ormai si lavora al livello della Formula Uno. Si ragiona sui decimi di secondo, sui grammi o le percentuali di rigidità e aerodinamicità. Dietro quella bici gialla c’è davvero tanto…

In che misura siete dovuti intervenire sulla struttura aziendale per stare dietro a queste richieste?

Abbiamo fatto un più 40 per cento sul personale in Italia, che è il cuore della produzione. Poi abbiamo aperto anche una piccola divisione di ricerca e sviluppo ad Abu Dhabi. Ma soprattutto poi, a parte le teste coinvolte, direi che il salto di qualità si deve al processo di responsabilizzazione. Noi oggi abbiamo dei manager che si sentono responsabili e che hanno sviluppato un grande senso di appartenenza e di partecipazione. Quindi non è solo il numero di persone, ma come le responsabilizzi. Se vuoi fare le cose per bene, essere sul pezzo commercialmente, cavalcare sempre tutte le onde e andare a vincere un Tour de France, devi avere il giusto numero di persone, ma soprattutto dei manager capaci di far funzionare la macchina. Gente come Mauro Mondonico, Davide Fumagalli e Manolo Bertocchi hanno… licenza di uccidere. Facciamo prima le cosiddette riunioni di management, però poi loro hanno la libertà di gestire. Hanno la delega a operare, quindi quello che conta è il livello di responsabilizzazione.

Anche le ruote ENVE sono state customizzate con dedica al campione della maglia gialla
Anche le ruote ENVE sono state customizzate con dedica al campione della maglia gialla
Si potrebbe dire facilmente che Colnago ha la stessa proprietà di UAE Team Emirates, quindi è tutto più facile. In realtà, in quale misura dovete lavorare per essere all’altezza?

Si continua a lavorare, ovviamente, anzi certi risultati sono di stimolo. Siamo fratelli, siamo parte della stessa proprietà, però lavoriamo come se non lo fossimo. Va bene essere simbiotici, però dobbiamo meritarci questo tipo di partnership e anche loro in qualche maniera devono essere alla giusta altezza. C’è un rapporto biunivoco, per cui siamo già al lavoro su nuovi progetti. Speriamo che quel dream team sia destinato a vincere per il prossimo filotto di 2-3 anni, per cui la bici deve essere all’altezza. Non a caso lunedì mattina Tadej non ha fatto niente con nessuno, al di fuori di un’intervista in cui diceva di no alle Olimpiadi e parlare di nuovi progetti con Colnago.

Da cosa si capisce che la bici è diventata l’oggetto del desiderio nel mondo corse?

Prima che partisse il Tour, a Palazzo Vecchio di Firenze abbiamo fatto la conferenza stampa per presentare la bici ufficiale del Tour: la C68 Fleur de Lys. Le vendite sono state aperte alle 16. Io stavo parlando con Manolo, quando una nostra assistente mi ha fatto l’occhiolino. Significava che dopo mezz’ora era già tutto sold-out. In 30 minuti abbiamo venduto 110 bici a 23 mila euro ciascuna: per me questo è desiderabilità. Funziona essere un’azienda con una strategia ben definita e il team certifica la validità del nostro operato. Poi, in termini di business, non so valutare quanto valgano l’ingrediente squadra e Tadej. Hanno un’importanza soprattutto in alcuni mercati, mentre ce ne sono altri completamente scollegati dal mondo delle corse. Ma adesso vi racconto un altro episodio…

Sulla Prologo Nago R4 sono riportate tutte le vittorie più grandi di Pogacar
Sulla Prologo Nago R4 sono riportate tutte le vittorie più grandi di Pogacar
Prego.

Alla cena di gala a Firenze per l’inizio del Tour c’erano più o meno 100 invitati, modello matrimonio, nella corte di Santa Maria Novella. C’erano tutti i brand più altisonanti del Tour. Sto parlando di LCL e di Skoda, sto parlando di Tissot. Sto parlando di tutti i brand top, ma c’erano solo due marchi ben visibili. Uno era il Tour de France, perché è un brand ed ha una forza pazzesca. Il secondo era Colnago, con la bici esposta nel palco centrale. Ebbene, è stato possibile perché il nostro ufficio marketing e le persone che lo rappresentano sanno trasformare i progetti in realtà.

Che rapporto c’è fra Tadej Pogacar e Colnago?

Quando gli abbiamo proposto di portare la bici gialla sul podio, Tadej sicuramente ha gradito l’assist e gli è piaciuta l’idea di dare un riconoscimento anche a noi. Ma è successo perché qualcuno l’ha fatto succedere. Oggi è in Slovenia con il Presidente della Repubblica, fanno la festa di piazza e qualcuno di Colnago è con lui. Si è creato un rapporto per cui devo dire bravi ai miei uomini dello sport marketing che hanno costruito una relazione assolutamente pazzesca. Il Covid ci ha portato ad allontanarci dai nostri interlocutori, confinandoci nelle call e nelle telefonate. Invece Colnago dimostra ancora che alla fine il luogo fondamentale dove succedono le cose è la strada. Noi dobbiamo esserci. L’ufficio del team marketing qui a Cambiago è sempre vuoto e questo per me è un orgoglio, perché significa essere sempre sul campo. Ieri uno era in viaggio per la Slovenia, un altro era con la squadra per mettere a posto le cose dopo il Tour, un altro ancora era da un fornitore nelle Marche.

La bici gialla è stata fotografata anche più di tanti corridori importanti…

In realtà non era una sola, si vedeva dai bollini. Una era lì davanti, le altre erano sulle due ammiraglie. E’ stato bravo Gabriele Campello a sistemarla fuori dal recinto, evitando che ci parcheggiassero davanti le ammiraglie. Anche questo è possibile perché adesso con i meccanici abbiamo un rapporto bellissimo.

Con la sua Colnago gialla sul palco. Quella bici resterà a Pogacar come ricordo del suo terzo Tour
Con la sua Colnago gialla sul palco. Quella bici resterà a Pogacar come ricordo del suo terzo Tour
Si può fare una differenza fra Giro e Tour?

Dal punto di vista internazionale, il Tour ha più risonanza, perché sono stati bravi a costruirlo in un certo modo. Però vincere il Giro d’Italia con una bicicletta italiana ha generato un’onda mediatica che in Italia spacca e rimbalza fuori in maniera molto importante. Forse da azienda italiana direi che le due corse per noi hanno avuto lo stesso impatto. Il buon vecchio Giro per il quale quest’anno mi sento di fare complimenti. E’ stato un film meraviglioso. Quest’anno abbiamo visto un Giro veramente in ripresa, è stato incoraggiante, speriamo che continui così. Anche il supporto ricevuto dal Governo è qualcosa che non si era mai visto. Vuol dire che forse i nostri politici, come è sempre avvenuto in Francia, hanno capito che il Giro d’Italia e il ciclismo sono il modo migliore per promuovere il Paese.

La bici gialla resta davvero a Pogacar?

Direi proprio di sì. Se l’è davvero meritata.

VENI, VIDI, BINI! Il grandissimo Girmay del Tour

24.07.2024
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Il tempo di finire il Tour e portare a casa la maglia verde e per Biniam Girmay è arrivato il prolungamento di contratto con la Intermarché-Wanty fino al 2028. Il ferro va battuto finché è caldo e mai come ora l’occasione era propizia per chiudere un accordo favorevole.

«Questa squadra – queste le parole di Girmay sul profilo X del team – è come una famiglia per me. E’ l’ambiente perfetto per raggiungere i miei obiettivi. Mi hanno supportato nella buona e nella cattiva sorte e hanno sempre avuto fiducia in me, anche nei momenti più difficili. Prolungare di due anni la mia avventura è stata una scelta logica. Sono convinto che insieme potremo realizzare cose fantastiche. Attendo con ansia i prossimi obiettivi, a cominciare dai Giochi Olimpici».

L’uomo dei record

Mentre infatti Pogacar ha comunciato la sua rinuncia, Girmay sarà a Parigi e probabilmente avrà buone chance di dire la sua. Le tre tappe appena vinte al Tour e la Gand-Wevelgem del 2022 dicono che il corridore eritreo, che fra i suoi primati ha anche quello di aver dato la prima tappa al Tour alla Intermarché, ha tutto quello che serve per restare a galla in una corsa che si annuncia priva di controllo e schemi.

I suoi record si succedono. Il primo africano a vincere una classica del Nord. Il primo a vincere una tappa al Giro. Il primo a vincere una tappa al Tour. E il primo a vincerne la classifica a punti. Nella considerazione di chi opera nel mondo del ciclismo, i suoi risultati apriranno porte molto importanti. Con perfetto tempismo, essendo nella stagione che precede il mondiale del Rwanda.

Pertanto nei giorni del Tour, approfittando del suo passaggio quotidiano nella zona mista e di qualche incontro occasionale al via delle tappe, abbiamo raccolto le risposte alle tante domande. E ora che abbiamo avuto il tempo di riordinare appunti e registrazioni, in questa settimana che conduce alle Olimpiadi, ecco quello che ha detto Girmay sui vari temi che gli sono stati proposti.

La squadra è una famiglia, qui ha tutto quello che gli serve per vincere: parola di Girmay
La squadra è una famiglia, qui ha tutto quello che gli serve per vincere: parola di Girmay

Sugli inizi

«Ho iniziato a pedalare – ha detto nel riposo di Gruissan – perché guardavo il Tour de France in TV. Sono cresciuto con quelle immagini, gli sprint e i campioni. Poi nel tempo i miei sogni sono cambiati. Quando sei bambino pensi che sia impossibile diventare un professionista. E’ solo un sogno. Poi, quando lo diventi, dici a te stesso che è impossibile vincere una tappa. E diventa anche un sogno. Ed è così bello riuscire finalmente a realizzare i propri sogni».

Sulla caduta di Nimes

«Quando cadi va sempre così. Il giorno stesso ti senti bene – ha detto dopo l’arrivo – ma il giorno dopo ti fa molto male quando ti svegli. Vedremo, spero di sentirmi bene domani. Mentalmente sto sicuramente bene, non sarà un problema. Quando mi sono rialzato, ho visto che potevo pedalare ancora ed ero felice. Non mi preoccupo se perdo o meno la maglia verde, soprattutto voglio arrivare a Nizza senza preoccupazioni».

Caduto nella tappa di Nimes: quella sera nella mente di Girmay per un attimo è passata l’idea del ritiro
Caduto nella tappa di Nimes: quella sera nella mente di Girmay per un attimo è passata l’idea del ritiro

Sulla popolarità

«Ancora non è cambiato molto – ha detto dopo la tappa di Pau – forse perché sono ancora in gara. La mia vita, per ora, consiste semplicemente nell’alzarmi, correre, mangiare e dormire. Però so che sui social il mio nome è ovunque. Sono finito sulle prime pagine. Penso che vedrò la differenza quando tornerò a casa. E’ bello vedere il mio nome per le strade, la gente con i cartelli che mi chiama, che mi fa grandi gesti. L’anno scorso nessuno mi conosceva. In squadra le cose non sono cambiate, mi pare che giri tutto allo stesso modo. Però sono aumentate le responsabilità, anche se per me si tratta sempre di fare fatica divertendosi».

Sul suo ruolo in squadra

«In realtà sono partito per tirare le volate a Gerben Thijssen – ha detto dopo la prima vittoria a Torino – ma il finale era confuso e via radio mi hanno detto di fare la mia volata e di provare a vincere la tappa. Era la prima volata del Tour, c’erano tanti velocisti ancora freschi e alla fine ho vinto io. E’ stata una sensazione incredibile. Quello che mi piace delle tappe in volata è vedere come cambia la mia concentrazione negli ultimi 10 chilometri. Smetto di pensare al resto, guardo soltanto davanti a me: penso solo a quello che devo fare».

Santini ha fatto per lui il body leggero come per Vingegaard e Pogacar: anche Girmay soffre il caldo
Santini ha fatto per lui il body leggero come per Vingegaard e Pogacar: anche Girmay soffre il caldo

Sul Tour de France

«L’anno scorso – ha detto a Nizza – non sapevo nulla di questa corsa e dopo le prime due tappe nei Paesi Baschi avevo già speso una montagna di energie. Ora ho più esperienza, lo scorso anno ho gettato le basi e ora ho imparato qualcosa ogni giorno. Ho imparato che devo lavorare duro e avere fiducia in te stesso. Però è sbagliato mettersi troppa pressione addosso. L’anno scorso guardavo molto cosa facessero gli altri, quest’anno ho ragionato solo su me stesso».

Sulla lontananza da casa

«Non è così difficile stare lontano – ha detto nel secondo giorno di riposo a Gruissan – perché cerco di far coincidere i programmi della squadra con quelli della famiglia. Bisogna trovare equilibrio. La squadra rispetta questa mia esigenza e mi permette di trascorrere del tempo con la mia famiglia. Anche i ritiri qua in Europa non sono così lunghi, parliamo di due o tre settimane prima di una gara importante. Ho fiducia nel piano e l’ho condiviso con mia moglie».

Pogacar ha due anni più di lui: anche Girmay (1,84 per 70 chili), classe 2000, è uno dei giovani portentosi
Pogacar ha due anni più di lui: anche Girmay (1,84 per 70 chili), classe 2000, è uno dei giovani portentosi

Sulla caduta del Giro

«Volevo fare bene al Giro d’Italia – ha detto dopo la vittoria di Torino – ma sono caduto nella quarta tappa e ho dovuto mollare. I medici e la squadra mi hanno proposto tre settimane per recuperare bene, ma io sapevo quanti sacrifici avessi fatto per arrivare bene al Giro e mi sono imposto di ripartire subito. Sono andato forte e ho anche vinto, non volevo aspettare a casa. E adesso ogni volta che vado in gara, parto per vincere. Lavoro per questo, non mi interessa quali avversari ho davanti, io voglio arrivare primo. Per questo non so neanche dire quale sia il mio limite, perché lavoro al 200 per cento per superarlo».

Sulla maglia verde

«Per fortuna non mi sono ritirato dopo la caduta di Nimes – ha detto domenica dopo la crono – perché per qualche momento ci ho pensato davvero. Avevo vinto tre tappe, quando l’obiettivo era vincerne una. Poi mi sono detto che forse avrei potuto vincere la quarta. E quando non l’ho vinta, mi è scattato in testa di portare la maglia verde fino a qui. I piani sono cambiati col passare delle tappe. E’ stato un viaggio incredibile. Mio padre dice che ad Asmara si è fermato tutto per seguire le tappe. Forse davvero per capire cosa ho fatto dovrò aspettare di tornare laggiù».

Se questo pullman potesse parlare, sai quante ne racconterebbe?

23.07.2024
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NIZZA (Francia) – Se questo pullman potesse parlare, sai quante ne racconterebbe? Il porto di Nizza accoglie la partenza della penultima tappa del Tour, quella che arriverà al Col de la Couillole. Nei clan degli scalatori c’è apprensione, in casa Astana Qazaqstan Team l’unica preoccupazione è quella di portare Cavendish all’arrivo anche oggi, perché domani (domenica) possa raccogliere il meritato applauso sul suo ultimo podio.

Dopo giorni di mascherine e mille attenzioni, questa volta c’è tutto il mondo. La gente si accalca come accadde a Firenze e più di un corridore è costretto a mettere piede a terra, andando e tornando dalla firma, per non cadere. Ma tutto sommato, chi l’ha detto che questo pullman non possa parlare?

Il progetto ha coinvolto tutta la squadra, che da cacciatrice di maglie, ha puntato tutto sul velocista
Il progetto ha coinvolto tutta la squadra, che da cacciatrice di maglie, ha puntato tutto sul velocista

A caccia del record

Il grosso mezzo celeste, un MAN Lion’s Coach, ha la voce di Federico Borselli, che lo guida e se ne prende cura da quando questa squadra è nata ed ha accolto l’anima italiana con Martinelli. Una sorta di filo che la tiene legata alla Saeco di Cipollini e Cunego e che ha poi visto passare Vincenzo Nibali e Fabio Aru. C’è stato a lungo anche Michele Scarponi, il cui nome viaggia sulla prua e apre la strada ai suoi fratelli. Ci sono stati anni in cui l’Astana è stata la squadra delle grandi corse a tappe. Dal 2013 al 2016 portò a casa infatti due Giri, un Tour e una Vuelta. Poi sono arrivati i nuovi giganti, il budget si è ristretto e i Giri sono diventati appannaggio di altri. E così quest’anno al Tour sono venuti per quell’unica vittoria che ha dato un senso al suo ultimo scorcio di carriera e alla loro spedizione.

«Quando porti una squadra di scalatori e lotti per vincere dei Grandi Giri – spiega il toscano, angelo custode del pullman e dei suoi racconti – sei tutti i giorni a lottare per tenere le posizioni, non perdere terreno, attaccare. Quando hai un velocista, ci sono giorni ad altissima tensione e altri in cui cerchi il modo per arrivare ugualmente al traguardo. Lottare tutti i giorni dà un altro morale, però quando si vince, la soddisfazione è uguale. Cavendish che ha vinto la 35ª tappa del Tour è stata una cosa bellissima…».

Con Gil e Tosello, Borselli è l’anima più esperta dell’Astana
Eppure era cominciato male, questo Tour. Il primo giorno si rischiava che Mark andasse a casa…

La prima settimana è stata dura, poi piano piano le cose si sono un po’ riequilibrate. I corridori hanno preso i loro ritmi e ci siamo risistemati.

Cosa si capisce portandoli avanti e indietro ogni giorno?

Riesci a capire il corridore. Come sta, il morale che ha. Lo vedi subito la mattina, quando arriva il bus. Ad esempio Mark è passato dalle tensioni del primo giorno a quell’atmosfera magica del giorno che ha vinto. C’era quella tensione buona, si percepiva che fossimo tutti lì per raggiungere questo risultato molto importante. Non so come spiegare, si sentiva che stesse per succedere qualcosa di importante.

Come ci sta Cavendish sul pullman che è stato di così grandi scalatori?

Essendo un anglosassone, è più chiuso rispetto a un Cipollini, un Simoni oppure Cunego, Scarponi e Nibali. Però alla fine è uno di noi. Uno che sta al gioco, è simpatico. Ride e scherza anche lui. E poi si è visto che dopo la vittoria è cambiato totalmente.

Raggiunta quota 35, Mark Cavendish ha mollato finalmente la tensione e festeggiato anche con la famiglia
Raggiunta quota 35, Mark Cavendish ha mollato finalmente la tensione e festeggiato anche con la famiglia
Ogni giorno una lotta per raggiungere il traguardo: come lo vedevi quando arrivava dopo le tappe?

Ha avuto una grinta incredibile, perché arrivare fino qui a Nizza per lui non è stato facile. In questi giorni che stavano nel tempo massimo per pochi minuti, quando salivano sul pullman erano davvero finiti. Però dopo un’ora il corridore, l’atleta professionista recupera e torna nella normalità. Lui ha fatto fatica, ma ce l’ha fatta anche grazie agli altri ragazzi che gli sono stati vicini.

Ti ha mai chiesto perché ci sia quel grosso cartello col nome di Scarponi?

No, credo per discrezione. Però sa il motivo per cui c’è, in gruppo penso lo sappiano tutti.

P.S. Finito il Tour, mentre la squadra si è concessa la meritatissima festa, Borselli si è rimesso al volante ed è ripartito alla volta di Calenzano. C’erano dei lavori da fare sul pullman, che dopo un Tour mostra i suoi cedimenti. E visto che il programma di Federico prevede la ripartenza per Vuelta Burgos, San Sebastian, Circuit de Getxo e poi la Vuelta Espana, bisogna che il mezzo sia a posto. Non esserci gli è dispiaciuto, ma per essere dei grandi professionisti bisogna saper individuare le priorità. E questa era superiore.

Tappa e maglia (a pois): il magico Tour del marinaio Carapaz

23.07.2024
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NIZZA (Francia) – La faccia dolce ma niente affatto mite del Tour de France ha lo sguardo di Richard Carapaz, salito con orgoglio sul podio di Nizza per la maglia a pois, dopo aver calcato nel 2021 quello di Parigi alle spalle di Pogacar e Vingegaard. Non si può essere gente qualunque per frequentare certi posti. E così quest’anno per impedire a Pogacar di conquistare anche la classifica degli scalatori c’è voluto un campione olimpico, vincitore nella sua storia del Giro d’Italia e del Giro di Svizzera. E quando è sceso da quel gradino così bello, aveva gli occhi che scintillavano, come dopo aver vinto la tappa di Superdevoluy in quel giorno altrettanto scintillante.

«Tenere questa maglia – ha detto Carapaz dubito dopo – era diventato un puntiglio ed è ora motivo di orgoglio. La squadra ha fatto un ottimo lavoro per permettermi di entrare in ogni fuga. E’ un premio prestigioso. Tutti i corridori del mio Paese la sognano perché in Ecuador ci sono molte montagne. Essere il re della montagna al Tour de France significa molto per me».

La sua cocciutaggine e la determinazione nello sfuggire ogni giorno alla morsa feroce del UAE Team Emirates, risultando l’unico in grado di sfilare un osso dalla bocca del mastino in maglia gialla, gli sono valse il premio di Supercombattivo del Tour.

A Superdevoluy, la vittoria di tappa che finora mancava nel palmares di Carapaz
A Superdevoluy, la vittoria di tappa che finora mancava nel palmares di Carapaz

Qualcosa che mancava

Dopo la maglia gialla di Torino, ceduta con orgoglio sul Galibier, il giorno più bello è stato quello di Superdevoluy. In cima a quella salita a quota 1.500, dove non c’era neanche il fresco tonificante dell’alta quota, Richard ha coronato il sogno di alzare le braccia al cielo. Qualcosa che gli mancava e che in qualche modo gli ha permesso di regolare qualche conto in sospeso con la corsa francese. 

«Tre anni fa sono salito sul podio – ha spiegato Carapaz – ma sentivo che mancava ancora qualcosa: dovevo provare a vincere una tappa. L’ho fatto e anche questo è molto speciale, è stata un’emozione molto potente. Lo senti sulla pelle che è la corsa più grande del mondo. Dopo la caduta al Giro di Svizzera, sapevo che non avrei potuto lottare per la generale. Nella prima settimana abbiamo provato a vedere in che modo avrei potuto inserirmi in quel discorso, ma è stato subito chiaro che non potevo continuare fino a Nizza. E allora abbiamo deciso di aspettare il momento giusto, cioè la terza settimana. Sapevo che avrei potuto fare la differenza in alcune tappe, come poi è successo».

Sabato verso il Col de la Couillole, con Powless a tirare: la conquista della maglia a pois ha richiesto una strategia ben precisa
Sabato verso il Col de la Couillole, con Powless a tirare: la maglia a pois ha richiesto una strategia ben precisa

Lavoro di squadra

L’idea di partenza non era questa, ma aver saputo riadattare le ambizioni e il battito del cuore ha fatto sì che il Tour nato male si sia trasformato forse nel più bello della sua carriera. Il ritiro dal Giro di Svizzera, nello stesso giorno in cui decise di non ripartire anche Alberto Bettiol dopo la caduta nella tappa del San Gottardo, non lasciava presagire niente di buono. Invece la squadra ha saputo gestire al meglio il suo avvicinamento.

Charly Wegelius, che lo ha guidato dall’ammiraglia, ha ammesso sorridendo che qualsiasi altro corridore fosse uscito così male dalla corsa svizzera, non sarebbe stato selezionato per il Tour. Eppure nessuno nella dirigenza della EF Education-EasyPost ha avuto dubbi nel concedere una chance a Richard. Di lui il capo Vaughters ha un’opinione singolare. Lo punzecchia spesso perché si impegni di più in allenamento e sfrutti meglio il suo talento. Ma Richard di fronte a queste battute sorride, annuisce e tira avanti.

«Tutti arrivano qui con la loro squadra migliore – spiega – i migliori corridori, il miglior staff e con la voglia di avere successo e noi siamo riusciti a portare a casa qualcosa di bello. La vittoria di tappa ha avuto un gusto speciale. La squadra è stata sempre in prima linea. Abbiamo parlato molto con i direttori sportivi nella riunione, sapevamo che sarebbe stata una giornata dura per il vento e il lavoro dei velocisti per la maglia verde. Non si poteva prendere vantaggio tanto presto nella tappa. Ma siamo stati intelligenti, abbiamo aspettato che le acque si calmassero e soprattutto abbiamo lavorato insieme».

Carapaz ha resistito alla voglia di Pogacar di prendere anche la maglia a pois: complimenti reciproci al Col de la Couillole
Carapaz ha resistito alla voglia di Pogacar di prendere anche la maglia a pois: complimenti reciproci al Col de la Couillole

La corsa nella corsa

Sabato, come pure il giorno prima a Isola 2000, per qualche chilometro ha pensato di poter assistere in prima persona al duello fra i primi della classe. Al Col de la Couillole, i due lo hanno preso e lasciato all’ultimo chilometro. Il giorno prima invece era stato Pogacar a saltarlo al doppio della velocità, ingolosito da quell’arrivo per lui così speciale.

«Soprattutto sabato – ammette nella zona mista di Nizza – mi sarebbe piaciuto arrivare con loro, ma andavano troppo veloci per me che avevo trascorso buona parte della giornata in fuga. E’ stata molto dura e un po’ snervante. Abbiamo dovuto fare molti calcoli e l’unico modo per blindare questa maglia era andarsela a prendere ogni giorno con un’altra fuga. Durante il Tour sono progredito giorno dopo giorno. Non dico che sia stato facile riuscire a stare davanti, ma ho avuto le gambe per farlo. Non poteva finire meglio, la squadra ha lavorato davvero bene. Conquistare una maglia  di classifica significa fare una corsa nella corsa. Studiare una strategia a parte rispetto a quella dei primi. Il Tour è sovrapposizione e intreccio di tante corse diverse, ma finché non ci sei dentro, non lo capisci».

La sua estate conoscerà ora finalmente il riposo, prima di riaccendere i motori e fare rotta vero la Vuelta e i mondiali di Zurigo. Le Olimpiadi non saranno affar suo per questa volta, il percorso iridato gli si addice invece molto di più. Se ne va con il sorriso dolce e l’appagamento del marinaio che ha raggiunto il porto anelato. Si guarda intorno, riempie gli occhi di bellezza, sapendo che presto sarà il tempo per alzare nuovamente le vele.

EDITORIALE / I giornalisti, quelli che non cambiano

22.07.2024
5 min
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NIZZA (Francia) – «E’ cambiato veramente tutto – diceva qualche giorno fa Andrea Agostini, numero due del UAE Team Emiratesl’unica categoria che non è cambiata è quella dei giornalisti».

E’ stata una delle frasi che più ci è risuonata nella testa in questi lunghi e frenetici giorni al Tour de France, probabilmente sentendoci chiamati in causa vista la lunga militanza in gruppo. Il mondo è cambiato completamente, le sale stampa sono piene di facce nuove. Ci sono all’opera tanti ragazzi super tecnici, che non hanno vissuto minimamente il ciclismo degli anni 90 e quello subito successivo. Ci sono pochissimi italiani. Facendo i conti a spanne, tolti gli inviati di RAI Sport con il curiosare competente di Silvano Ploner, il Tour de France 2024 (nella sua parte francese) è stato seguito da cinque fotografi italiani e tre giornalisti (3-4 in più sono arrivati per le ultime due tappe). Tutto il resto che avete letto, anche su testate prestigiose, è stato confezionato da casa telefonando oppure utilizzando gli audio che gli addetti stampa inviano nelle chat dei vari team.

Non serve andare alle corse e spendere. Arrivano gli audio. Le conferenze stampa sono online. Se ti accontenti di avere gli argomenti di tutti gli altri, hai risolto il problema. Per certi editori e certi direttori è manna dal cielo. Speriamo di cuore che la differenza si noti.

La partenza da Firenze è stata vissuta come uno splendido spot cui si è dato poco seguito
La partenza da Firenze è stata vissuta come uno splendido spot cui si è dato poco seguito

Andare alle corse

Non è un bel modo di lavorare. Le corse bisogna seguirle, anche se questo ha un costo e adesso che lavoriamo in proprio lo sappiamo anche meglio. Ma è soltanto guardando in faccia l’atleta, il tecnico o qualunque interlocutore che si riesce a capire effettivamente il senso del suo discorso. Soltanto percorrendo le strade e respirandone l’aria si coglie il senso delle parole. E’ solo immergendosi nel bagno di folla attorno ai pullman che si capisce il consenso di questo o quel campione. Averlo visto al Giro o in qualche Tour di anni fa non basta per raccontarlo oggi. Aiuta, ma non basta. Ogni corsa ha la sua storia, ogni epoca le sue particolarità.

Qualsiasi giornalista che si rispetti, chi scrive per primo, avrebbe voglia di stare fuori ogni santo giorno, ma spesso la sua aspirazione si infrange davanti ai no delle amministrazioni o, peggio ancora, dei direttori. I quali certamente vengono dagli anni in cui il ciclismo era meno presentabile di oggi. E il guaio è fatto.

Il silenzio o l’evidenza ignorata per scelta ha portato agli anni bui da cui Pogacar vuole tenersi giustamente alla larga
Il silenzio o l’evidenza ignorata per scelta ha portato agli anni bui da cui Pogacar vuole tenersi giustamente alla larga

La memoria che aiuta

C’è però un’altra sfumatura nel discorso di Andrea Agostini sulla quale abbiamo ragionato a lungo. La sua frase era venuta fuori parlando dei continui sospetti sulle prestazioni di Pogacar. E’ opinione comune, da noi condivisa, che l’attuale sistema antidoping, il passaporto biologico e la reperibilità Adams siano un ottimo deterrente rispetto alle abitudini malsane di una volta.

Le stesse parole pronunciate ieri da Pogacar nella conferenza stampa danno la sensazione di una generazione meno propensa al compromesso. Forse perché questi ragazzi preferiscono pensare con la loro testa e non ascoltare i consigli di chi già c’era: in questo caso, si dovrebbe definirlo un bene. Aver parlato così significa che il ragazzo ha gli attirbuti, non ha paura di metterci la faccia e si capisce che provi fastidio a dover rispondere per gli errori di gente che correva quando lui non era ancora nato.

Non dimentichiamo però che altre generazioni di corridori giurarono sulla loro trasparenza, in primis sua maestà Lance Armstrong. Salvo scoprire che era tutto finto. Qualcuno scelse di non vedere e ordinò di non farlo. Altri ci provarono e furono messi all’indice. Per questo avere dei giornalisti che ne abbiano memoria non è assolutamente un male. Anzi, forse è una necessità. Ricordiamo bene quando l’irlandese David Walsh fu messo all’indice ed emarginato dallo stesso Armstrong e dai suoi sodali, salvo poi vincere tutte le cause in cui l’americano lo aveva trascinato. Fu lui in qualche modo la chiave per smascherare il programma di doping del team americano.

Nella conferenza stampa di ieri a fine Tour, Pogacar ha usato parole precise: «E’ da stupidi rovinarsi la salute per delle corse»
Nella conferenza stampa di ieri a fine Tour, Pogacar ha usato parole precise: «E’ da stupidi rovinarsi la salute per delle corse»

Il caso di Piccolo

La fiducia è un valore assoluto che va conquistato e mantenuta. Abbiamo applaudito Pogacar perché ci sembra un personaggio credibile, ma verremo meno al nostro lavoro se abbassassimo completamente le antenne e ci fidassimo soltanto di quello che ci viene detto. Questo non significa tornare a un clima di caccia alle streghe o dare un’interpretazione a due tinte di qualsiasi cosa farà Tadej di qui in avanti. C’è già chi lo fa e ci basta.

Significa però osservare, fare la domanda in più e guardarlo negli occhi mentre risponde. Documentarsi e studiare. E questo puoi farlo meglio se ci sei, lo schermo è inaffidabile. Lo sloveno dà la sensazione di essere al di sopra di queste problematiche: evviva per lui, per il ciclismo, per tutti noi. Purtroppo l’episodio che ha coinvolto Andrea Piccolo di recente fa capire tuttavia che il male è ancora nella testa di alcuni atleti. Forse mal consigliati da personaggi del passato. Forse incapaci di pensare che si possa andare avanti con le proprie forze. Oppure forse dediti ad altro e convinti di aver trovato il modo per fare meno sacrifici.

Il Tour del 2024 ha offerto decine di spunti che sono stati colti bene dagli inviati presenti sul posto
Il Tour del 2024 ha offerto decine di spunti che sono stati colti bene dagli inviati presenti sul posto

Racconta, non fare il furbo

In questo mondo che è cambiato tanto, davvero gli unici a non essere cambiati (forse in parte) siamo noi? C’è bisogno soprattutto di giornalisti bravi: conoscerne arricchisce e possiamo garantirvi di averne incontrati tanti sulle strade del Tour, anche molto giovani, ma animati da quel fuoco speciale che riconosci se l’hai addosso. Persone disposte a non avere orari, a lavorare (se serve) nel cuore della notte e a guidare per centinaia di chilometri, per portare a casa una storia originale. Racconta – diceva un vecchio maestro, purtroppo inascoltato – non fare il furbo. Per gente così a bici.PRO c’è sempre posto. Quelli che rielaborano i loro articoli copiando, incollando e rassegnandosi all’omologazione, continuino pure sulla loro strada. Ma forse questo mondo che così tanto è cambiato di loro davvero non ha bisogno.

Jonas al Tour, l’azzardo ha pagato. Zeeman racconta

22.07.2024
5 min
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MONTECARLO (Principato di Monaco) – Merijn Zeeman resta in piedi davanti a noi, rispondendo alle domande, un po’ perché ci tiene e un po’ perché la sottile pioggerella offre refrigerio nella domenica torrida. A Tour ormai finito, anche se l’ultima crono nel momento in cui parliamo non s’è ancora corsa, abbiamo deciso di vederci chiaro. E’ possibile che dopo l’incidente, in questo sport così misurato, la Visma-Lease a Bike pensasse di avere a disposizione uno Jonas Vingegaard nella condizione ottimale?

Il discorso non torna, soprattutto se lo scorso anno abbiamo accettato che Pogacar non fosse arrivato al suo massimo per la frattura dello scafoide, che non aveva certo toccato polmoni e costole.

«Jonas ha fatto un’ottima gara», dice il capo dei tecnici della Visma, che dal 2025 sarà nel calcio di serie A, nella squadra di Alkmaar. «Voglio dire prosegue – ha fatto quello che poteva e penso che sia stato molto bravo e molto forte. Ha trovato in Pogacar un avversario migliore che ha meritato di vincere, ma Jonas può comunque essere orgoglioso di ciò che ha fatto qui».

Zeeman è stato il capo dei tecnici della Visma: dal prossimo anno passerà al calcio nella squadra di Alkmaar (foto Anp)
Zeeman è stato il capo dei tecnici della Visma: dal prossimo anno passerà al calcio nella squadra di Alkmaar (foto Anp)
Onestamente, puoi dire che sia arrivato al Tour al suo meglio?

E’ quello che pensavamo, come pensavamo che il divario con Pogacar sarebbe stato inferiore. Eravamo molto fiduciosi e penso che comunque Jonas avesse raggiunto un livello molto alto. Il Tour non è una grande cronometro, in cui vince sempre il migliore. C’è anche una componente tattica o la capacità di stare fuori dai guai. E poi speravamo che Jonas sarebbe cresciuto durante il Tour de France. Ora il lavoro sarà continuare a migliorare per arrivare ancora meglio il prossimo anno.

Che cosa ha perso durante l’incidente?

Ovviamente non ha potuto allenarsi per molte settimane: sdraiato in un letto d’ospedale, non ha potuto fare alcun esercizio. In questi casi perdi tutto e devi ricominciare da capo ed è quello che ha fatto. E’ stato un puzzle molto difficile, Jonas era davvero in guai seri. Quando ha ripreso ad allenarsi, si è messo in moto il meccanismo per portarlo pronto al Tour. Però allenarsi è una cosa, ma essere competitivo è un’altra.

Eri sicuro che potesse rimettersi in forma?

Non ho mai disperato, perché settimana dopo settimana ha iniziato a migliorare, quindi penso che in questo senso abbia fatto un ottimo lavoro. Abbiamo sempre avuto fiducia però non siamo mai stati certi che alla fine l’avrebbe fatta. Siamo molto orgogliosi che alla fine ci sia riuscito e abbia fatto un’ottima gara.

C’è mai stato un piano B?

Qualunque fosse la situazione, siamo partiti dicendo che non avremmo mai gettato la spugna. Nessun piano B. Naturalmente abbiamo dovuto fare i nostri calcoli, avendo subito qualcosa da recuperare. Come i due Tour precedenti, anche questo in avvio sembrava disegnato per Pogacar. Rientrare in modo così esplosivo dopo tanta assenza non è stato il massimo.

Vingegaard era pronto, ma non al suo massimo: prevedibile dopo tanto infortunio
Vingegaard era pronto, ma non al suo massimo: prevedibile dopo tanto infortunio
La caduta ha lasciato qualche strascico?

Non dobbiamo dimenticare che è stata molto violenta. Non è stata solo una clavicola rotta, ma diverse costole e il pneumotorace. Oltre a tutto il resto, rimane la paura per una caduta così estrema. Dopo il Delfinato sono andato a Tignes e gli ho parlato molto proprio di questo.

L’anno scorso si è parlato molto del polso di Pogacar, l’incidente di Jonas è stato molto peggiore. Avete mai pensato di usarlo come scusa?

No, perché sarebbe anche poco rispettoso nei confronti di Pogacar. E’ un vincitore che merita, è stato il miglior corridore e merita che nessuno cerchi di sminuire la sua vittoria accampando scuse.

Vingegaard è nato il Danimarca il 10 dicembre 1996. Ha vinto i Tour del 2022 e 2023
Vingegaard è nato il Danimarca il 10 dicembre 1996. Ha vinto i Tour del 2022 e 2023
Avete già individuato gli ambiti su cui lavorare per il prossimo anno?

Ci stiamo pensando, ma in assoluto è qualcosa che dovremo individuare nei prossimi mesi. Qualcosa che dobbiamo scoprire, discutere e analizzare: è troppo presto dirlo ora. Di certo un Pogacar così forte diventa la nostra miglior motivazione per rimboccarci le maniche e fare il massimo il prossimo inverno. Un avversario così forte diventa lo stimolo migliore per lavorare meglio e di più.

A conclusione del discorso, troviamo che la Visma-Lease a Bike non potesse permettersi di arrivare al Tour senza il vincitore uscente. La squadra ha perso appeal da quando lo sponsor più ricco è uscito di scena. Senza più Roglic e con Kuss infortunato, andare al Tour soltanto con il convalescente (anche lui) Van Aert sarebbe stato un ridimensionamento difficile da accettare. Il secondo posto finale, viste le premesse, vale anche più dell’oro.

Invece Evenepoel non ha dubbi: terzo posto al gusto di vittoria

22.07.2024
4 min
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NIZZA (Francia) – Dei tre del podio, Evenepoel è quello che ha qualcosa da dire e non vede l’ora di tirarla fuori. Il ragazzo è orgoglioso e non si tiene niente in bocca, per cui quando un giornalista gli chiede il perché della commozione dopo l’arrivo della crono, ecco che parte l’affondo.

«Voi belgi – dice guardandolo dritto – avete sempre dubitato di me. Continue domande se fossi convinto o a che scopo andassi al Tour. Ebbene, ecco perché sono venuto. Finire terzo dietro Pogacar e Vingegaard, con un grande gap alle mie spalle, dimostra che io ci sono. Ci sono state di continuo pressioni dal mio Paese. Dal mio punto di vista, sono molto orgoglioso di quello che ho fatto. La gente a volte non capisce quanto carico metta sulle spalle con i suoi commenti. E’ stato detto anche che il secondo posto alla Parigi-Nizza non era abbastanza. Ecco perché ero emozionato…».

A dire il vero neppure lui era troppo convinto di poterlo fare. Dalla vittoria nella Vuelta a oggi sono passati diversi insuccessi al Giro e la stessa corsa spagnola non l’ha più visto dominante come nel 2022 in cui volò poi in Australia per prendersi il mondiale di Wollongong.

Dopo l’arrivo Remco ha ceduto all’emozione di tre settimane ad altissimo livello
Dopo l’arrivo Remco ha ceduto all’emozione di tre settimane ad altissimo livello
Un grande risultato.

Questo podio è uno dei risultati maggiori della mia carriera. Ho vinto un mondiale, ma correre il primo Tour e finire dietro i due migliori al mondo è un grande conquista per me stesso. Penso che il risultato di oggi mostri quale fosse il livello di questa corsa. Sono il campione del mondo della crono, ma sono finito alle loro spalle. Vanno fortissimo.

E’ immaginabile un confronto fra la Vuelta che hai vinto e questo podio?

I numeri che faccio adesso sono più alti rispetto alla Vuelta che ho vinto. Ogni anno andiamo più veloci, in salita, in pianura e nelle crono. Penso che questo podio parli per il mio futuro. Essere terzo dietro ai due corridori che negli ultimi 5 anni hanno lottato e preso la maglia gialla per me è come una vittoria. Il loro vantaggio sta nella grande esperienza.

Evenepoel voleva vincere la crono, ma l’ordine di arrivo ricalca la classifica finale. Per lui, terzo posto
Evenepoel voleva vincere la crono, ma l’ordine di arrivo ricalca la classifica finale. Per lui, terzo posto
Anche tu sei caduto con Vingegaard, pensi che questo ti abbia penalizzato?

Jonas è caduto esattamente nello stesso posto, abbiamo avuto lo stesso percorso, anche se il suo infortunio è stato peggiore del mio. Per questo non credo che mi abbia condizionato. Direi di no.

Terzo dietro i primi due al mondo: che effetto fa?

Dimostra che la base c’è per essere forse un vincitore del Tour. Quello che devo fare è lavorare sulle mie capacità. Le salite più lunghe. Mettere insieme un’esperienza superiore. Non voglio parlare male della mia squadra, ma si è visto che avevamo meno esperienza della UAE, della Visma, della Ineos… Penso che il primo step sia crescere come squadra, mentre io devo diventare più forte alla luce di questa esperienza. Dobbiamo costruire, chiaramente non domani (sorride, ndr), ma nei prossimi mesi. Guardare questo Tour servirà per imparare.

Remco nuova maglia bianca: un giovane che ha vinto due Liegi e due mondiali…
Remco nuova maglia bianca: un giovane che ha vinto due Liegi e due mondiali…
Ti ha stupito essere rimasto tanto freddo quando gli altri andavano via in salita?

E’ l’insegnamento di questo Tour. Se c’è qualcuno migliore di te, continua a fare le tue cose. Anche nella crono, Tadej è stato eccezionale. Io mi sono ritrovato di nuovo molto vicino a Jonas. Potrebbe non essere stata la mia migliore cronometro, sul Col d’Eze non sono stato irreprensibile. Ma sono riuscito a recuperare terreno in piano. Presumo che ci sia ancora molto margine e che sicuramente tornerò per provare a vincere. Come vorrei dire che non ho rischiato tanto in discesa su questo percorso così rischioso perché ho davanti due grandi obiettivi olimpici e con la squadra abbiamo concordato di non rischiare cadute.

Tempo di far festa?

Decisamente, per brindare a qualcosa di speciale: la maglia bianca e il podio finale. Oggi potrebbe essere stata l’unica volta nella mia carriera in cui sono salito sul podio finale del Tour. Godiamoci il presente, da domani mi concentrerò completamente sulla cronometro olimpica perché voglio vincerla.

Vingegaard indeciso: bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?

22.07.2024
4 min
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NIZZA (Francia) – Nel raccontarsi davanti alla platea dei giornalisti, Vingegaard comincia a pensare che forse tanto male non gli è andata. Essere arrivato secondo dietro un Pogacar così forte ha smesso di bruciare come nei primi giorni, quando non riusciva a capacitarsi che, nonostante i suoi numeri stellari, l’altro fosse così tanto più forte. Ora, messa insieme la consapevolezza di una preparazione frettolosa e il livello del rivale che invece continua a parlare di perfezione, anche le sue risposte suonano meno ferite. Anche se dentro si vede che ci sta male. E basta guardarlo negli occhi per capire che sta combattendo fra le sensazioni che prova e le parole che può dire.

«Arrivare secondo al Tour de France – dice – è sempre un grande risultato dopo quello che è successo. Quando avrò tempo di riflettere, magari fra qualche settimana, sarò anche orgoglioso di questo risultato. Ho creduto a lungo di poter vincere. Però a Isola 2000 mi sono sentito davvero male. Quando ho tagliato il traguardo ero davvero vuoto e quel giorno ho capito di dover cambiare la mia mentalità. Passare dall’attaccare al difendermi da Remco».

Con il ragionamento, Vingegaard ha capito che il suo secondo posto è una conquista
Con il ragionamento, Vingegaard ha capito che il suo secondo posto è una conquista

Voleva lasciare il segno anche nell’ultima crono ed è per questo che ce l’ha messa tutta. Aveva ancora negli occhi lo splendido giorno di Combloux al Tour del 2023, quando rifilò 1’38” a Pogacar. Ma gli anni non sono tutti uguali e questa volta il risultato si è invertito: Pogacar ha vinto e lui è arrivato secondo a 1’03”. L’ultima crono di un Grande Giro è il confronto fra energie residue ed è per questo che, in modo molto onesto, il podio di giornata ricalca quello nella classifica finale.

Hai pensato che non poteva essere tutto come prima, con quello che hai avuto?

Di sicuro non è stato facile tornare in gruppo. Non avevo paura, ma quando hai una caduta come quella, non sai mai come reagirai nelle varie situazioni. Essere in gruppo, magari in discesa. Sono stato per tre settimane super concentrato, certi giorni ho avuto un livello, certi giorni era diverso. Credo che con la preparazione che ho avuto, io abbia fatto anche bene.

Vingegaard ha chiuso il Tour in crescendo: la condizione sta arrivando. La caduta lo ha penalizzato
Vingegaard ha chiuso il Tour in crescendo: la condizione sta arrivando. La caduta lo ha penalizzato
Un fatto di qualità o di quantità?

Ho avuto solo un mese e mezzo di vero allenamento e in precedenza sono stato per due settimane in ospedale con otto giorni in terapia intensiva. Ho perso tanto lavoro. Questo mi fa credere che facendo la giusta preparazione, io posso fare molto meglio. Per il prossimo anno sarebbe già buono non rompermi ogni osso della parte superiore del corpo e non bucarmi un polmone. Essere sano sarebbe già un bel passo avanti, guardando anche i miglioramenti atletici e tecnici che magari posso ancora fare.

Hai pensato per qualche momento di poter riaprire il Tour?

Quando ho vinto la tappa a Le Lioran, ho creduto che avrei potuto vincere il Tour de France e magari anche qualche giorno prima. Poi a Plateau de Beille ho fatto i miei migliori 40 minuti, guardando i valori di potenza. Tadej è stato più forte. Per un po’ ho sperato che calasse, ma non è successo. Per questo ha meritato di vincere.

Adesso nella conta dei Tour, Pogacar guida per due a uno. Il 2025 è già nell’aria
Adesso nella conta dei Tour, Pogacar guida per due a uno. Il 2025 è già nell’aria
Il fatto di tornare competitivo è stato più mentale o fisico?

Bella domanda, ma direi mentale. Alla fine dell’anno, a novembre, ero così stanco che avrei avuto bisogno di diversi giorni per staccare completamente e invece non l’ho fatto. Partecipare alla Vuelta ha cambiato la mia stagione. Così quando si è trattato di ripartire dopo l’incidente, ero già stanco e ho dovuto affrontare un grande combattimento con me stesso. Non sapevo neanche se avrei mai più pedalato. Così sono arrivato già provato all’inizio del Tour. Ed è questo il motivo per cui questa volta non andrò alla Vuelta. Adesso ho davvero bisogno di riposare e capire che cosa sia meglio per me.

Notte fonda in sala stampa, arriva Pogacar. Stiamolo a sentire

21.07.2024
8 min
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NIZZA (Francia) – Immagina di iniziare a scrivere il pezzo sulla vittoria di Pogacar al Tour alle 21,39. Hai poco da sviolinare, meglio andare sul concreto. Tadej entra nella grande sala stampa con tanta voglia di andare a festeggiare. Poi si siede e lo vedi che il rispondere alle domande di tante voci diverse lo riporta con il pensiero al fruscio della strada, il vociare del pubblico, l’adrenalina dei momenti. E allora per una ventina di minuti è come se davanti agli occhi scorressero le immagini di corsa, disegnate dal suo ricordo.

La conferenza stampa è l’ultimo atto di Pogacar in queste tre settimane trionfali
La conferenza stampa è l’ultimo atto di Pogacar in queste tre settimane trionfali
Hai di nuovo la maglia gialla, che effetto fa?

Non posso descrivere quanto sono felice dopo due anni difficili al Tour de France. C’è sempre stato qualche errore, quest’anno invece è andato tutto alla perfezione. Penso che questo sia il primo Tour in cui ho avuto piena fiducia ogni giorno. Anche al Giro ricordo di aver avuto una brutta giornata, ma non dirò quale. Invece il Tour de France è stato fantastico. Mi sono divertito dal primo giorno fino ad oggi. E avevo un così grande supporto dietro di me, che non potevo deludere nessuno, quindi mi sono divertito anche per loro.

Di quali errori parli?

Nel 2022 la Jumbo-Visma, con Roglic e Vingegaard, ha pizzicato l’unico giorno in cui non ero super e io li ho assecondati correndo male. Mi hanno stroncato. Così l’anno dopo volevo fare tutto alla perfezione. Ho fatto una stagione pazzesca. Ho vinto la Parigi-Nizza, il Fiandre, l’Amstel, la Freccia Vallone, poi sono caduto alla Liegi e mi sono rotto il polso. E’ crollato tutto, sono andato giù di testa. Sono arrivato al Tour senza fiducia ed è finita come avete visto. Quest’anno è stato tutto perfetto.

Avevi detto di volerti godere il pubblico e hai vinto la crono…

E’ stata una partenza davvero fantastico sulla griglia della Formula Uno. Uno dei migliori circuiti di Formula Uno al mondo, penso il migliore in assoluto. Durante la crono non ho avuto altri aggiornamenti tranne il primo intermedio di Remco, ma alla fine mi sentivo molto bene. In cima alla prima salita, stavo benissimo. Nella mia testa avevo tutte le volte che Urska mi ha odiato per averla costretta a fare la strada della crono in ogni allenamento. L’abbiamo provata così tante volte quest’anno, che non ho voluto sciupare l’occasione. Quando corri una tappa del Tour e ti alleni tanto sulle sue strade, vuoi anche vedere cosa puoi fare. La gente intorno mi ha dato una motivazione supplementare.

E alla fine è arrivata anche la doppietta Giro-Tour…

Non ci avrei mai pensato. Alcuni dicevano che il Giro sarebbe stato una rete di sicurezza casomai non fossi riuscito a vincere il Tour, ma questo è un anno incredibile. Vincere il Tour de France è un altro livello, fare le due cose insieme è ancora superiore. Sono super felice e davvero orgoglioso di averlo fatto. Il prossimo passo? Credo che Van der Poel stia benissimo con la maglia di campione del mondo, ma quest’anno voglio prenderla io. Vorrei avere almeno per una volta la maglia iridata, ma tutto sommato c’è tempo. Fare un bel mondiale sarebbe la ciliegina sulla torta.

Tanti non sono riusciti a gestire bene il tempo fra il Giro e il Tour, tu come lo hai passato?

In modo molto semplice. Dopo il Giro, ho passato un po’ di tempo con Urska, che mi aiuta a staccare mentalmente. Poi siamo andati insieme a Isola 2000. Lei si preparava per il Giro di Svizzera e i campionati nazionali. In Svizzera ha fatto una top 10 e in Slovenia ha vinto entrambe le maglie. E’ stata una preparazione che volevamo entrambi e che è andata bene. Un paio di allenamenti duri e il tempo è passato bene.

Hai detto più di una volta che si è trattato di un Tour pazzesco. Che momento di ciclismo stiamo vivendo?

Penso che negli ultimi due anni abbiamo detto spesso che questa è la migliore era del ciclismo, con le migliori gare di sempre. Se non fossi coinvolto io stesso, potrei anche dire che questa è la migliore era del ciclismo di sempre, almeno per le classifiche dei Grandi Giri. Il livello di questo Tour, con Remco, Jonas e Primoz finché c’è stato, è semplicemente incredibile. C’erano una grande attesa e grandi aspettative, per un grande spettacolo che indubbiamente c’è stato. Ognuno a un certo punto ha mostrato le palle. E’ stato un grande show. E alla fine sono felice e orgoglioso di esserne uscito vincitore. Penso che tutto il ciclismo ora possa festeggiare questo bel momento di competizione.

Qual è stato il momento più emozionante di questa serata?

La squadra è stata eccezionale. Siamo stati insieme tutto il Tour, una super atmosfera sul pullman, mai un momento di tensione. Questa squadra è il mio sogno che si è avverato. Devo dire che non ho ricordi molto chiari di questa giornata, ma stare sul podio con loro è uno dei momenti di gioia che porterò con me per il resto della mia vita. Il Galibier invece mi ha fatto capire che ero sulla strada giusta.

Perché fai sempre fatica a parlare di Marco Pantani?

Vorrei che Marco riposasse in pace. Non è stato un corridore del mio tempo. So che in Italia lo amano. Siamo passati su alcune salite dove lui si allenava. Il Giro ha la Salita Pantani. Quest’anno ho sentito tanto parlare di lui, in Italia. Non saprò mai come lo avete vissuto, ma credo che sia stato uno dei grandi. Diciamo che quest’anno è stato celebrato come merita.

Sembra che tutto ti riesca facile, non sembri neanche stanco: lo sei almeno un po’?

Sono super stanco, per questo ho bisogno di recuperare. Voglio vedere gli amici, la famiglia, stare con Urska, perché gli ultimi quattro mesi sono stati full gas. Quando a dicembre abbiamo fatto il programma e ho scelto il Giro non potevo prevedere sino in fondo quanto sarebbe stato pesante. Però abbiamo azzeccato il programma delle gare. Non ne ho fatto tante e alla fine con il giusto bilanciamento, è riuscito tutto alla perfezione. Ovviamente non guasta avere buone gambe (sorride, ndr).

Con la sua Colnago gialla sul palco: un altro muro abbattuto da Tadej Pogacar
Con la sua Colnago gialla sul palco: un altro muro abbattuto da Tadej Pogacar
Cavendish ha battuto il record, tu potresti attaccare quello dei cinque Tour…

Parliamo del record di Mark, perché tutti volevano che lo battesse e addirittura in gruppo tifavamo perché ne vincesse un’altra. Ci ha sempre creduto, anche quando aveva quasi smesso. Si merita il suo posto nella storia di questo sport. Quando ai record di Pogacar, non voglio vedermi nei record, forse lo farò a 30 anni. Ora voglio vivere giorno per giorno e se anche non tornassi più al Tour, sarò ugualmente soddisfatto.

Qualcuno ha parlato di te come di un extraterrestre. Pensi che sia giusto sospettare?

Ci saranno sempre dubbi, perché il ciclismo è stato devastato prima dei miei anni. Chiunque vinca ha gelosie e haters. Se non hai haters, non hai successo. Penso che nel ciclismo la WADA e l’UCI investano molti soldi per rendere questo sport pulito. Credo che il ciclismo sia uno degli sport più puliti in generale e lo è a causa di quello che è successo tanti anni fa. Ora non è più come allora, rischiare la salute è super stupido. La carriera arriva a 35 anni, poi c’è ancora un lungo periodo per godersi la vita. E’ stupido rischiare la vita per delle stupide corse. Vogliamo vincere, ci dedichiamo anima e corpo, ma alla fine è divertimento, vincere non è la cosa più importante. E’ importante essere in salute e non c’è motivo di spingere il corpo oltre i suoi limiti, usando chissà che cosa. E ora ragazzi, grazie, siete stati fantastici, ma io me ne vado.

Si alza. Si avvia con il suo giallo che illumina il cammino. Posa con dei bambini per una foto e poi si avvia con passo spedito verso l’uscita. L’applauso lo accompagna giù dalle scale. La sua serata speciale sta per iniziare. E se l’è davvero meritata.