5 minuti con Gee: nato in Canada, diventato grande in Europa

06.05.2025
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Derek Gee è alto e a differenza di tanti altri scalatori la sua fisionomia è ben più possente, o comunque dà l’idea di esserlo. Gli occhi stanchi con qualche ruga che li piega all’ingiù, accentuando la sensazione di essere davanti a un corridore provato da tante fatiche. Qualche capello grigio, tagliato corto, si fa largo da sotto al casco. Il canadese della Israel Premier Tech sembra molto più vecchio di quanto sembri, in realtà ha ventisette anni e tanto ancora da fare

Lo scorso anno il corridore di Ottawa ha preso parte al Tour de France mettendosi alla prova nella corsa a tappe più importante al mondo. Nonostante l’età nel 2024 Derek Gee, a Firenze, aveva iniziato il secondo Grande Giro in carriera. Il risultato non è stato affatto da poco, nono in classifica generale. La top 10 l’ha conquistata grazie alla fuga della tappa numero nove e l’ha consolidata man mano, affermandosi anche nella cronometro finale di Nizza. 

Il 2024 ha dato una grande consapevolezza a Gee nei propri mezzi
Il 2024 ha dato una grande consapevolezza a Gee nei propri mezzi

Direzione Grandi Giri

Il 2025 è iniziato in maniera altrettanto solida. Con il Gran Camino Gee ha fatto sua la prima corsa a tappe della carriera. Non un parterre di prim’ordine, ma ha vinto appena arrivato in gruppo e questa non è cosa da poco. Il passo successivo è arrivato alla Tirreno-Adriatico, nella Corsa dei Due Mari ha mostrato a tutti le sue doti da cronoman. Sesto nella prova contro il tempo a Lido di Camaiore, a soli cinque secondi da Tiberi e otto secondi da Ayuso

«Gran parte di questo cambiamento – racconta – è dovuto alla preparazione, alla maggiore attenzione per la classifica generale. Ovviamente devo ancora capire come raggiungere la forma migliore in determinati momenti». 

Il canadese è partito forte anche nel 2025, dopo aver vinto il Gran Camino è arrivato anche il podio al TotA
Il canadese è partito forte anche nel 2025, dopo aver vinto il Gran Camino è arrivato anche il podio al TotA
Com’è andata la preparazione verso il Giro?

Sicuramente speravo che le gambe andassero un po’ meglio, soprattutto al Tour of the Alps. Non mi sono sentito male in bicicletta, mi è mancata solamente dell’intensità, che però è arrivata con il passare dei giorni. Il podio finale mi fa capire di aver lavorato bene. 

Sei stato in ritiro prima?

Sono andato per la prima volta in carriera a Tenerife. E’ un posto bellissimo per andare in bicicletta. Mi avevano promesso un tempo soleggiato e invece ha piovuto più di quanto sperassi (dice con una risata, ndr). Ma a parte questo penso che il training camp sia andato bene

Com’è vivere in cima al Teide?

E’ piuttosto desolato lassù, ma è davvero fantastico. Si sta bene. Prima andavo ugualmente in Spagna ma in altre parti, come Sierra Nevada

Gee ha indossato la maglia di leader della generale al Giro del Delfinato 2024 dopo aver vinto la terza tappa
Gee ha indossato la maglia di leader della generale al Giro del Delfinato 2024 dopo aver vinto la terza tappa
La cosa che ha impressionato è la tua forza a cronometro. 

Ci abbiamo lavorato molto, anzi moltissimo sia l’anno scorso al Tour de France e questo inverno. E credo che abbia dato i suoi frutti, ho fatto un buona prova sia al Gran Camino che alla Tirreno-Adriatico. 

Pensi di essere pronto per vincere un Grande Giro?

E’ molto più importante essere attivi ogni giorno. Quando ho fatto la mia prima grande corsa a tappe due anni fa (il Giro d’Italia, ndr) puntavo alle tappe. Era molto meno stressante ed ero molto più concentrato su giornate specifiche. Mentre se guardi alla classifica finale non puoi prenderti un giorno di riposo, nemmeno in una tappa pianeggiante. Per vincere credo serva un altro step, è un processo lungo. Non si tratta solo di ottenere la giusta forma fisica, ma anche di fare esperienza e non commettere errori. Insomma migliorare fisicamente e tatticamente. 

Derek Gee ha trovato un alleato in Chris Froome, il quattro volte vincitore del Tour ha tanto da insegnare al canadese
Derek Gee ha trovato un alleato in Chris Froome, il quattro volte vincitore del Tour ha tanto da insegnare al canadese
Negli anni passati cosa hai imparato per essere un corridore da classifica?

Tantissimo. Non pensavo di diventare un corridore da Grandi Giri a inizio carriera. Ho imparato tutto man mano, prima non sapevo nulla. Non sono entrato nel ciclismo con quell’obiettivo. La squadra mi ha aiutato tanto, soprattutto i miei compagni più esperti come Froome o Fuglsang. Ragazzi che hanno ottenuto risultati ai massimi livelli. Ho apprezzato ogni minimo consiglio e sento di stare ancora imparando. 

Quali consigli hai chiesto?

Ci siamo parlati tanto lo scorso anno al Giro del Delfinato. Era la mia prima volta che lottavo concretamente per la classifica generale. Ho chiesto a Froome e Fuglsang ogni genere di domanda su come correre, in particolar modo tatticamente. All’inizio ero un po’ perso, ma sono molto fortunato ad avere questi ragazzi al mio fianco.

«Credo di aver fatto il grande passo per diventare un corridore da corse a tappe – ha detto Gee – nel 2024 ora si tratta di lavorare sui dettagli»
«Credo di aver fatto il grande passo per diventare un corridore da corse a tappe – ha detto Gee – nel 2024 ora si tratta di lavorare sui dettagli»
Arrivi dal Canada, come ti sei avvicinato al ciclismo?

Non è uno sport così famoso da noi. Tuttavia c’è un bacino di grandi appassionati e da quando sono professionista sento tanto il loro supporto quando torno a casa. Io vengo da Ottawa, che ha un’ottima scena ciclistica, ma nel complesso non è così grande. 

Con quali gare ti sei appassionato?

Il Tour de France è l’unica corsa che ho seguito quando ero più giovane, ma è anche l’unica che conoscono in Canada. Nel 2012 Hesjedal ha vinto il Giro e il ciclismo canadese è apparso sulla mappa.  

Pogacar, che fatica uscire dall’ombra del Cannibale…

30.04.2025
5 min
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Il dannato paragone con Merckx sembra una tappa che Pogacar sarà destinato ad affrontare per tutta la vita e non sarà possibile stabilire se ne avrà mai passato il traguardo. Nei giorni successivi alla disarmante vittoria della Liegi, media di ogni genere si sono sforzati di cercare punti di contatto e differenze, immaginando che gli avversari del vero Cannibale si siano sentiti come quelli attuali dello sloveno. «Mi è stata posta questa domanda tantissime volte – ha detto Pogacar –  e io non posso che essere felice e umile perché ho un talento incredibile per il ciclismo».

Troppo intelligente per esporsi. Probabilmente gratificato dal fatto che tanti intorno a lui abbiano tempo da dedicare alla faccenda. Fondamentalmente disinteressato da tutto quello che accadde così tanti anni fa.

Tadej Pogacar ha 26 anni e 7 mesi. E’ professionista dal 2019, ha vinto 95 corse
Tadej Pogacar ha 26 anni e 7 mesi. E’ professionista dal 2019, ha vinto 95 corse

I Giri di Merckx

I Belgi di Het Nieuwsblad, che probabilmente hanno voluto rivendicare l’originalità del… “cannibalismo merxiano”, hanno così messo qualche picchetto per evitare che il vento delle parole porti il discorso troppo lontano.

Pogacar si è annunciato a 20 anni, vincendo tre tappe della Vuelta 2019 e salendo sul podio. L’anno dopo ha vinto il primo Tour. A distanza di cinque anni, ha in bacheca tre maglie gialle e una rosa, con 17 tappe in Francia e 6 al Giro.

Cosa aveva combinato Merckx nei Grandi Giri all’età di Pogacar? Aveva partecipato al Tour solo per tre volte (contro le cinque di Pogacar), vincendole tutte e tre, con 20 vittorie di tappa. Aveva già vinto il Giro per due volte (su 3 partecipazioni), con 12 tappe vinte.

Pogacar si è agganciato al treno di Hinault e Merckx, due campionissimi nelle classiche e nei Giri
Pogacar si è agganciato al treno di Hinault e Merckx, due campionissimi nelle classiche e nei Giri

Tutti i Monumenti

Stando ai numeri, un altro dei motivi per cui l’attuale campione del mondo viene paragonato al belga è la capacità di vincere su tutti i terreni, in mezzo a tanti campioni specializzati su una sola tipologia di gare. Anche Merckx era così. L’elenco delle vittorie di Pogacar è impressionante: 2 volte il Fiandre, 3 volte la Liegi, 4 Lombardia, 2 Freccia Vallone, 3 Strade Bianche e un’Amstel Gold Race.

Alla stessa età, Merckx aveva vinto 4 volte la Milano-Sanremo, 2 volte la Parigi-Roubaix, 3 Liegi, 3 Freccia Vallone, 2 volte la Gand-Wevelgem e un Fiandre. Per lui 10 vittorie nei Monumenti, mentre Pogacar ne ha 9. Una sola gara di scarto, con la differenza che Merckx le aveva già vinte tutte, mentre la Sanremo e la Roubaix sono ancora indigeste per Tadej.

In aggiunta si fa notare che alla stessa età, Merckx fosse già alla seconda maglia iridata e, alla stessa età di Pogacar, fosse arrivato alla Liegi con 141 vittorie da professionista contro le 95 dello sloveno.

Quaranta corridori a Liegi lottando per il 4° posto: era davvero impossibile inseguire Pogacar?
Quasi quaranta corridori a Liegi lottando per il 4° posto: era davvero impossibile inseguire Pogacar?

Quaranta inseguitori indecisi

Dopo il terzo posto della Liegi, Ben Healy si è avvicinato al fresco vincitore e gli ha chiesto quanto tempo gli manchi per andare in pensione. «Ho un contratto fino al 2030 – gli ha risposto ridendo Pogacar – forse sarà quello l’anno giusto».

Il senso di impotenza dei rivali è paragonabile a quello dei tempo di Merckx, anche se alcuni comportamenti hanno dato da pensare anche all’entourage di Pogacar.

«E’ la prima volta nella mia vita – ha detto Matxin, capo della gestione sportiva del UAE Team Emirates – che vedo quaranta corridori arrivare insieme a Liegi per giocarsi il 4° posto. Se fossero andati d’accordo, forse sarebbero riusciti a raggiungere Tadej».

Dopo la Liegi, Healy sconsolato ha chiesto a Pogacar fra quanti anni andrà in pensione
Dopo la Liegi, Healy sconsolato ha chiesto a Pogacar fra quanti anni andrà in pensione

La fatica del pavé

E a proposito del fatto che l’Amstel Gold Race abbia mostrato un Pogacar meno incisivo, il tecnico spagnolo ha convenuto che quel giorno qualcosa non sia andato nel modo migliore.

«Tadej ha solo 14 giorni di gara – ha detto – e ha viaggiato anche poco, per cui riesce a recuperare perfettamente. Tre giorni tra l’Amstel e la Freccia, poi quattro prima della Liegi, sono ben altra cosa rispetto ai Grandi Giri quando deve essere attento e sotto tensione ogni giorno. Il passaggio più impegnativo è stato dovuto al fatto che prima delle Ardenne, Tadej ha corso per due volte sul pavé, al Fiandre e alla Roubaix, e anche per lui non è stato facile riadattarsi».

E adesso Vingegaard

A proposito di differenza rispetto a Merckx, dopo aver vinto come Pogacar la Liegi e la Freccia tra i 26 e i 27 anni, il belga andò al Giro e lo vinse, correndo nel mezzo anche Francoforte e altre tre corse. Poi, battuto da Godefroot al campionato nazionale, andò al Tour de France e vinse pure quello.

Pogacar invece dopo la Liegi si è preso una settimana di stacco totale dalla bicicletta e poi si sposterà a Sierra Nevada per preparare il Tour cui arriverà dopo il Delfinato. E in Francia troverà Vingegaard, che per problemi mai risolti arriverà al Delfinato con 10 giorni di corsa e senza aver fatto una sola classica. Capito perché è davvero impossibile tentare qualsiasi tipo di paragone?

Dall’Abruzzo ecco Zimmermann. Che ci ha preso gusto

28.04.2025
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E’ mattina presto nel ritiro dell’Intermarché a Liegi. Georg Zimmermann è arrivato il giorno prima per dare il suo contributo alla Doyenne. L’appuntamento telefonico è fissato da tempo, ma si sente dalla sua voce che fa fatica a svegliarsi, a rimettersi in moto ed essere pronto per la ricognizione. A queste incombenze non era abituato, ma la vittoria al Giro d’Abruzzo ha cambiato la percezione che si ha del corridore tedesco. Destinato fino ad allora a essere uno dei tanti che girano nel mondo del ciclismo, quelli che lavorano per i capitani, che magari si fanno vedere qualche volta per fughe e che ogni tanto riescono anche a vincere. Ma quando trionfi in una corsa a tappe, seppur non di primo piano, qualcosa cambia…

Con un allungo nel finale verso Roccaraso, 3ª tappa del Giro d’Abruzzo, Zimmermann è andato a prendersi la maglia di leader
Con un allungo nel finale verso Roccaraso, 3ª tappa del Giro d’Abruzzo, Zimmermann è andato a prendersi la maglia di leader

A tanta attenzione, Zimmermann fatica ad abituarsi e un po’ di ritrosia c’è sempre, come nei dopo tappa abruzzesi, quando toccava a lui rispondere ai taccuini (anzi, agli smartphone…) dei giornalisti. Ma d’altronde molti pronosticavano proprio questo al tedesco quando passò professionista, sull’onda di importanti successi fra gli Under 23.

Qual è la tua storia di ciclista, come hai iniziato?

Abbastanza tardi, a 13-14 anni. Prima giocavo a calcio, ma non ero molto bravo. Poi ho iniziato ad andare in bici e ho visto che me la cavavo molto meglio, che ero più portato. Così ho smesso con il calcio e mi sono dedicato solo al ciclismo pensando di farne la mia professione.

Fondamentale per il tedesco è stato l’apporto del team, che lo ha protetto nella difficile tappa finale di Isola Gran Sasso
Fondamentale per il tedesco è stato l’apporto del team, che lo ha protetto nella difficile tappa finale di Isola Gran Sasso
Molti te lo hanno chiesto subito dopo la corsa a tappe: la vittoria al Giro d’Abruzzo è il momento più alto della tua carriera?

Non la reputo tale, ne ho trovati molti di traguardi di cui sono orgoglioso, ma è stato davvero bello per me. Mi sono goduto moltissimo l’accoglienza che ho avuto, il calore della gente, anche il fatto che è stata una vittoria di squadra, con il team che ha lavorato benissimo soprattutto l’ultimo giorno, preservandomi dal vento, aiutandomi a difendere la maglia. E’ stato un bellissimo successo, sì, uno dei più belli.

Con L’Italia hai sempre avuto un buon feeling sin da quando eri under 23, con le vittorie al Giro del Friuli nel 2018 e alla Coppa della Pace e al Trofeo Piva l’anno dopo. Come mai?

Ho fatto molte gare in Italia in passato. Ho corso anche per il Tirol Cycling Team che faceva molta attività in Italia. Poi si cresce molto dalle vostre parti, nel team ci sono più corridori italiani con cui vado molto d’accordo, ho avuto in Valerio Piva un ottimo direttore sportivo che mi ha insegnato molto. Mi piace sempre venirci, mi sono allenato molto sulle vostre strade e ci ho gareggiato tanto. Quindi sì, mi fa bene.

Zimmermann ha colto più vittorie in Italia da U23. Qui alla Coppa della Pace ’19, su Rastelli e Zana
Zimmermann ha colto più vittorie in Italia da U23. Qui alla Coppa della Pace ’19, su Rastelli e Zana
Pensi di essere arrivato al tuo punto più alto, alla tua piena maturazione?

No, non credo. Penso di poter essere davvero meglio di così, in un momento di evoluzione. Vedi, anche nelle gare più importanti devo alzare il mio livello, quindi se voglio davvero provare a fare una buona classifica generale, devo anche allenarmi di più e fare più gare.

Si dice che il ciclismo ormai è uno sport per giovanissimi. Quanto è stato importante stare in un team che ha saputo aspettare la tua maturazione?

Il fattore età secondo me è sopravvalutato. Ci sono ancora corridori di altissimo livello che hanno oltre trent’anni, campioni che hanno vinto anche a 40. Non importa quanti anni hai, devi solo farlo, lavorare bene, seguire tutte le tappe per crescere. Essere concentrati al 100 per cento sullo sport e poi puoi raggiungere grandi traguardi anche a 40 anni.

Per il teutonico tanta attenzione dei media è un po’ inaspettata…
Per il teutonico tanta attenzione dei media è un po’ inaspettata…
Visto il risultato in Abruzzo, pensi di essere diventato un uomo di classifica per brevi cose a tappe?

Forse sì. Io credo che possa essere la mia giusta dimensione, che possa fare davvero bene in corse come quella abruzzese, abbastanza dure ma non troppo lunghe. Aspetto con curiosità le prossime per vedere se riesco a ripetermi intanto come prestazioni.

Nel tuo programma c’è il Tour de France. Con che ruolo e obiettivi sarai alla Grande Boucle?

Più o meno il ruolo sarà lo stesso di ogni anno, quindi proteggerò Biniam Girmay il più possibile per gli sprint e cercherò di fare una buona tappa per trovare la fuga giusta, quindi ho deciso di concentrarmi su due obiettivi principali. Il Tour è la corsa più difficile di tutte, bisogna affrontarlo con idee chiare e target precisi, io credo che possiamo ricavarci il nostro spazio.

Il tedesco sarà al Tour de France per pilotare Girmay in volata e puntare a qualche fuga
Il tedesco sarà al Tour de France per pilotare Girmay in volata e puntare a qualche fuga
Ora che cosa ti aspetti da questa stagione?

Prima di tutto voglio finire il blocco di gare che stiamo affrontando. Cercando di fare davvero bene il mio dovere. lo sono in ottima forma. Quindi voglio fare una bella figura giovedì a Francoforte, nella corsa di casa. Poi mi prenderò un po’ di tempo per programmare bene l’estate ed essere pronto per il Tour. Avendo la gamba per tornare a correre davanti e farmi vedere.

Dmt e Unibet Tietema Rockets: una partnership… rivoluzionaria

19.04.2025
3 min
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Nel panorama del ciclismo professionistico moderno, poche realtà sportive riescono a unire intrattenimento, innovazione e performance come il team Unibet Tietema Rockets. Nata nel 2023 da un’idea del visionario content creator Bas Tietema, la squadra si è rapidamente affermata come un progetto unico nel suo genere, capace di fondere la passione per il ciclismo con la potenza comunicativa dei social media.

A partire da quest’anno, una nuova collaborazione entra a far parte di questa avventura: Dmt, azienda italiana specializzata nella produzione di scarpe da ciclismo ad alte prestazioni, è difatti il fornitore ufficiale del team. Una sinergia che combina artigianalità Made in Italy e tecnologia avanzata, al servizio di una squadra che vuole cambiare le regole del gioco.

Il progetto del team Unibet Tietema Rockets è ambizioso e vuole scalare le classifiche del ciclismo
Il progetto del team Unibet Tietema Rockets è ambizioso e vuole scalare le classifiche del ciclismo

Pronti a conquistare il Tour

Il percorso della Unibet Tietema Rockets è straordinario: partiti da YouTube, oggi corrono e vincono. La squadra franco-olandese ha già lasciato il segno nel calendario internazionale con successi importanti come la Paris-Camembert (grazie al belga Lander Loockx), il Cholet Agglo Tour con lo slovacco Lukas Kubis, e una tappa del Giro di Grecia vinta dal francese Adrien Maire.  

L’obiettivo dichiarato è ambizioso: arrivare al Tour de France. Ma ogni traguardo si costruisce passo dopo passo, e il prossimo appuntamento rappresenta una pietra miliare nella storia del team. Senza dimenticare che domenica scorsa, i Rockets hanno fatto il proprio esordio assoluto alla Parigi-Roubaix, una delle classiche monumento più dure e leggendarie del ciclismo. Una sfida epica sul pavé del Nord, simbolo dell’ingresso ufficiale della squadra nell’élite del ciclismo mondiale.

I corridori della Unibet Tietema Rockets gareggiano calzando i due modelli di punta della nuova collezione Dmt: le POGI, realizzate in collaborazione con lo stesso Tadej Pogacar e caratterizzate dal sistema di chiusura con laccio, e le KR0 EVO, con doppio BOA per un fit preciso e personalizzato.

Gli atleti del team professional francese correranno con i modelli POGI e KR0 firmate Dmt
Gli atleti del team professional francese correranno con i modelli POGI e KR0 firmate Dmt

Un investimento per il futuro

«Siamo orgogliosi di accogliere Dmt nella nostra squadra – ha affermato con entusiasmo Bas Tietema – le loro scarpe sono un concentrato di performance e innovazione, perfettamente allineate alla nostra filosofia. Noi vogliamo ispirare e divertire, dentro e fuori dalle gare, puntando su talento e autenticità».

«Il progetto Unibet Tietema Rockets – ha ribattuto Mattia Viel, Global Sponsorship Manager di Dmt – rappresenta una ventata d’aria fresca nel ciclismo. La loro capacità di coinvolgere il pubblico più giovane attraverso contenuti social di qualità è straordinaria. Per noi, questa partnership è molto più di una sponsorizzazione: è un vero e proprio investimento nel futuro del ciclismo. Con questa unione di visione, creatività e tecnologia, Unibet Tietema Rockets e Dmt sono pronti a riscrivere le regole del ciclismo contemporaneo, puntando dritti al cuore dei tifosi di tutto il mondo».

Dmt Cycling

Tudor, Giro e Tour. Tosatto «Lavorato da grande squadra»

16.04.2025
5 min
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Due Grandi Giri nello stesso anno: è la grande sfida che attende il Tudor Pro Cycling Team. Pochi giorni dopo aver ottenuto l’invito al Tour de France, per la squadra svizzera è arrivata la wild card anche per il Giro d’Italia. La corsa rosa era stata, l’anno scorso, il primo Grande Giro della squadra di Cancellara. Ora si fa un passo in più, la Grande Boucle appunto.

Passo più che però porta con sé più responsabilità, più lavoro… Insomma onori ed oneri, come si suol dire. E di questo aspetto, della gestione della squadra ne parliamo con uno dei direttori sportivi, Matteo Tosatto.

Matteo Tosatto (classe 1974) è alla terza stagione alla guida dell’ammiraglia della Tudor
Matteo Tosatto (classe 1974) è alla terza stagione alla guida dell’ammiraglia della Tudor
Giro e Tour insieme: una bella responsabilità per una professional, Matteo. Come vi siete preparati?

Avendo avuto l’invito sia per il Giro che per il Tour, viviamo questa cosa con un enorme orgoglio. Ma non è una soddisfazione fine a se stessa, non è solo perché abbiamo gli sponsor forti, ma perché abbiamo costruito un progetto credibile. E’ la dimostrazione che stiamo lavorando bene, che il programma è solido. A livello personale sono contento anche di tornare al Tour de France: l’ultima volta che ci sono stato era prima del Covid, nel 2019, e fu anche l’ultima vittoria della Ineos Grenadiers al Tour. E’ un bel ritorno.

Come si costruiscono le due squadre per Giro e Tour? Si parte dal percorso o dai corridori?

Per noi non è stato semplice, perché a differenza delle WorldTour, che già sanno da mesi prima delle loro presenze, l’invito per noi è arrivato solo 30 giorni prima. E questo ha complicato la gestione dei programmi dei singoli. Per il Tour abbiamo più margine. Ma abbiamo comunque impostato tutto pensando sin dall’inizio di correre entrambi, ragionando da grande squadra. Non abbiamo aspettato le wild card per cominciare a prepararci. E’ ovvio che ci sono variabili da considerare: malattie, infortuni, imprevisti. Ma la base era già pronta.

A livello tecnico: si punta alla classifica o alla vittoria di tappa?

Sicuramente l’obiettivo principale è vincere una tappa. Sarebbe la nostra prima in un Grande Giro e sarebbe un traguardo importante. Al Giro magari si può anche pensare a un piazzamento in classifica, l’anno scorso siamo arrivati decimi con Michael Storer. Il Tour è più difficile: ci vuole programmazione, uomini giusti, tempo. Non che non abbiamo ancora corridori all’altezza, ma servono altri passaggi. Al Tour andremo per vincere una tappa, con questa mentalità.

L’ingaggio di Alaphilippe ha contribuito all’invito da parte del Tour, ma chiaramente alle spalle c’è un progetto solido
L’ingaggio di Alaphilippe ha contribuito all’invito da parte del Tour, ma chiaramente alle spalle c’è un progetto solido
Avete già deciso i nomi? O ci sono ancora valutazioni in corso?

Abbiamo individuato i blocchi, questo sì, ma i nomi sono ancora in via di definizione. C’è da vedere chi ha recuperato da piccoli acciacchi, come rispondono i ragazzi nelle classiche. Ma siamo messi bene. La risposta dei corridori e dello staff è stata super positiva. Si respira entusiasmo. Anche la stampa ha percepito che stiamo facendo qualcosa di importante. E’ un’occasione grande, ne siamo pienamente consapevoli e la stiamo affrontando con professionalità.

Come gestite la selezione? C’è il rischio che i ragazzi si “giochino” la convocazione fino all’ultimo, come fosse una sorta di trials interni…

No, noi non lavoriamo così. I “trials” come fanno in altre squadre, cioè mettere i corridori in competizione diretta per strappare il posto, sono deleteri. Parlo anche da ex corridore: il rischio è che uno si svuoti per dimostrare qualcosa e poi arrivi scarico al momento giusto. Noi lavoriamo con gruppi allargati: non scegliamo solo 8 nomi, ma 12-13 per ciascun grande Giro. Poi col tempo la lista si stringe, per logica, non per sfinimento. Magari uno si ammala, uno va forte, uno perde un po’ di brillantezza… ma non mettiamo nessuno sotto pressione.

Lo scorso anno il team svizzero riuscì a piazzare Storer nei primi dieci al Giro, quest’anno saprà fare meglio?
Lo scorso anno il team svizzero riuscì a piazzare Storer nei primi dieci al Giro, quest’anno saprà fare meglio?
Avete lavorato fin dall’inizio con due gruppi separati per Giro e Tour?

Sì, l’idea era quella: due gruppi di lavoro abbastanza distinti, con percorsi diversi di preparazione. Certo, poi qualche incrocio c’è sempre, per via delle corse a tappe o delle classiche, ma la base era questa. Per esempio i Paesi Baschi li abbiamo messi in calendario perché è una corsa WorldTour molto utile come passaggio verso le classiche e i Grandi Giri. C’è sempre un motivo tecnico dietro ogni scelta.

A livello di staff, vi siete rinforzati per affrontare questo salto?

Assolutamente sì. Abbiamo fatto un passo avanti importante. E’ arrivato Diego Costa, che era con me alla Ineos come capo meccanico. Abbiamo inserito altri meccanici di alto livello, nuovi massaggiatori con esperienza in Ineos e Quick-Step, fisioterapisti. Lo staff è cresciuto molto e anche questo è un segnale del fatto che stiamo diventando una struttura importante.

Sentite di avere la pressione o è più un’opportunità?

E’ una grande opportunità, ma anche una grande responsabilità. Chi andrà al Giro lo sa bene: è la nostra seconda partecipazione, quindi un po’ di esperienza c’è. Il Tour invece sarà un debutto per noi, quindi ci sarà un po’ più di stress, ma fa parte del gioco. E i corridori lo sanno. Chi sarà scelto per partire avrà un ruolo importante e dovrà arrivare pronto. Non vogliamo solo partecipare, vogliamo lasciare il segno.

Hofstetter, il cacciatore di punti, è pronto per vincere

29.03.2025
6 min
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Dall’inizio di stagione, Hugo Hofstetter ha accumulato finora 10 giorni di corsa: dopo un anonimo Tour des Alpes Maritimes, ha messo insieme 5 presenze consecutive nella top 10, con i podi alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne e al GP Criquielion, finendo fra Moschetti e Nizzolo. Per il francese della Israel Premier Tech non è una novità: se si va a guardare il resoconto degli ultimi anni, nessuno fra WorldTour e professional è riuscito a mantenere una costanza di rendimento come la sua. Hofstetter è una garanzia di punti, è forse l’archetipo ideale del professionista odierno, che va contro la tradizione, per il quale vincere conta, ma non è tutto.

Per il trentunenne di Altkirch la caccia al piazzamento è ormai qualcosa di distintivo
Per il trentunenne di Altkirch la caccia al piazzamento è ormai qualcosa di distintivo

In attesa di ricominciare la sua caccia ai piazzamenti, già domani con la Gand-Wevelgem, Hofstetter si è prestato volentieri a un fuoco di fila di domande per conoscere meglio da che cosa nasce questa sua attitudine, che ne fa un elemento preziosissimo per la sua squadra a caccia di un difficile ritorno nel WorldTour.

Quest’anno festeggi i tuoi 10 anni fra i professionisti, com’è cambiato il mondo del ciclismo secondo te in questi anni?

Molto rispetto a quando ho iniziato, ora è più complicato, devi rendere conto ad esempio al nutrizionista pesando il cibo, la tecnologia ha fatto passi avanti. Certe volte penso che siamo un po’ come la Formula Uno o anche le moto GP, dove si investe molto nell’equipaggiamento. Ora la bici è diversa da guidare e stare in gruppo è cambiato perché si va molto più veloci e con molta più facilità.

Alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne Hofstetter coglie la terza piazza, dietro i principi della volata Philipsen e Kooij
Alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne Hofstetter coglie la terza piazza, dietro i principi della volata Philipsen e Kooij
Come giudichi questa tua prima parte di stagione?

Per il momento, ho avuto davvero dei buoni risultati. Ho iniziato aiutando Joseph Blackmore, del mio team. Poi in Belgio sono andato con molta motivazione e molto ben preparato. Ho avuto una prima settimana davvero molto buona, 3° a Kuurne con i migliori velocisti del mondo alla partenza, quindi è stato davvero un podio super bello, poi è stata una settimana molto redditizia, dove mi è spiaciuto solo non aver potuto vincere al Criquielion perché l’occasione era buona. L’occasione persa è stata però mercoledì a De Panne perché sono rimasto coinvolto nella caduta agli 800 metri, quando ero in un’ottima posizione.

Tu sei il corridore con più costanza di risultati e quindi di punti, è un po’ una tua specializzazione quella di cercare sempre il piazzamento?

Sono una persona che ama esserci sempre. Penso che vado in bicicletta per ottenere grandi risultati, dopodiché bisogna essere in ottime condizioni per farlo. Ed è anche abbastanza difficile essere costanti. Diciamo che, sì, mi sono un po’ specializzato in questo, in particolare le gare in Belgio sono qualcosa che conosco davvero molto, molto bene e questo è molto importante. E poi anche essere in buone condizioni per restare davanti, evitare cadute e così via. E’ qualcosa che mi caratterizza, l’essere sempre presente, l’essere sempre lì sul pezzo e penso che sia anche importante per una squadra poter sempre contare su qualcuno che alla fine porta qualcosa a casa. Poi è una cosa che mi piace, essere regolare nelle classifiche ed è questo che mi motiva sempre di più ad allenarmi meglio e a dare il massimo per la prossima gara.

Il podio al GP Criquielion, con Moschetti e Nizzolo. Un secondo posto dal retrogusto amaro
Il podio al GP Criquielion, con Moschetti e Nizzolo. Un secondo posto dal retrogusto amaro
Quali sono le corse dove ti trovi più a tuo agio?

E’ complicato dirlo. Alla fine ce ne sono molte, queste sono gare che conosco molto bene e che ho fatto un sacco di volte. Le Samyn ad esempio, l’ho vinta una volta e ho fatto podio in altre due occasioni. Mi si addice. Ma anche la Gand fa per me. Sono arrivato spesso in finale ma non sono mai riuscito a ottenere un risultato molto molto buono, un anno ho corso per Christophe Laporte e un altro anno sono arrivato davvero tra i primi 10, ma avevo perso un po’ lo sprint. Quindi per domenica sono super motivato.

Tu hai corso molto in Francia e Belgio, eppure sei al quarto anno all’Israel, cambiando quindi anche lingua. Che cos’ha la squadra che ti piace di più?

Quello che mi piace davvero è la mentalità, perché è vero che ci sono tante nazionalità nella squadra e questo ci aiuta a formare un gruppo composito, a metterci a confronto con tutto il nostro background. Rende un gruppo più coeso, non è facile da spiegare come: in Francia avevamo tutti la stessa visione delle cose, ma quando sei in una realtà multinazionale ognuno la vede in modo diverso, ti confronti, cresci. Questo significa essere una buona squadra e c’è sempre una buona mentalità qui. Anche prima ero stato bene, non dimentico i miei primi anni con la Cofidis, ho anche fatto il Tour de France per la prima volta in questa squadra. Quindi nutro anche molto rispetto per loro, per avermi dato delle possibilità.

Tro Bro Leon 2022, il successo in maglia Arkea Samsic. Una delle sue rare vittorie (foto team)
Tro Bro Leon 2022, il successo in maglia Arkea Samsic. Una delle sue rare vittorie (foto team)
Come hai iniziato a correre e come sei arrivato al professionismo?

Un po’ presto, all’età di 3 anni… Era mia sorella ad andare in bici, quindi all’improvviso ho iniziato così, lei andava in bici e ci andavo anche io. L’anno dopo già facevo le prime gare per bambini e non mi sono più fermato, d’altronde non sono mai stufo…

Domenica c’è la Gand-Wevelgem, è una corsa che si adatta a te e chi vedi come favoriti?

E’ complicato dirlo, sì, è una gara che mi si addice, è lunga, è dura, trovi tanto pavé. Spero davvero di fare una prestazione molto molto buona domenica. Per quanto riguarda i favoriti non si esce da quello schema che contraddistingue le ultime gare, io vedo bene Pedersen che è sempre lì e il suo compagno di squadra Milan che su questo percorso può fare molto bene, hanno una squadra molto forte. Ma penso che sia ancora una gara un po’ più aperta delle altre perché manca gente come Van der Poel che fa la differenza.

Il francese a Parigi. L’emozione di chiudere il Tour de France è sempre qualcosa di unico
Il francese a Parigi. L’emozione di chiudere il Tour de France è sempre qualcosa di unico
Qual è stata la corsa che ti ha lasciato più emozioni nel tuo passato?

Beh, non è facile rispondere. E’ chiaro che quando vinci ha tutto un sapore particolare, quando è accaduto alla Tro Bro Leon ero molto felice, ma poi ci sono le emozioni che solo le grandi classiche possono regalarti, come la Roubaix che per me è una gara speciale. L’ho sempre guardata in TV quando ero piccolo e sono già arrivato tra i primi 20. Quindi penso che anche questo sia qualcosa, al mio primo anno quando sono entrato nel Velodromo. E’ stato molto emozionante anche solo concludere questa gara che vedevo sempre in TV. Poi chiaramente il Tour de France che per uno di casa è qualcosa di unico. Quando sono arrivato sugli Champs-Élysées. Il primo Tour de France sugli Champs-Élysées, è stato uno dei miei momenti più belli in bici, diciamo, tra l’orgoglio di aver potuto fare il grande giro, di essere lì. Di essere uno di quelli che l’aveva finito.

Pronti-via e subito a segno. E’ tornato Caleb Ewan

27.03.2025
5 min
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BONDENO – Le volate sono sempre state il suo pane e Caleb Ewan non poteva che tornare a vincere alla sua maniera dopo 231 giorni di digiuno nella città del pane. Si è riempito lo stomaco in un pomeriggio ferrarese vincendo alla sprint quasi per distacco la prima tappa della Settimana Internazionale Coppi e Bartali.

C’era molta curiosità sul rientro alle gare del 30enne australiano con la Ineos Grenadiers. Un po’ per la lunga assenza dalle gare, un po’ perché gli ultimi due anni specialmente sono stati piuttosto travagliati per una serie di motivi, forse anche poco chiari. Guardando Ewan in viso mentre fa defaticamento prima di salire sul palco delle premiazioni e poi mentre parla con noi, sembra che voglia mettersi il passato lontano come i rivali sulla linea del traguardo.

Esordio vincente

Prima di quest’anno, nei suoi dodici anni di carriera Ewan aveva sempre iniziato la stagione nella sua Australia, tranne che nel biennio 2021-2022 in cui aveva aperto rispettivamente al UAE Tour e Saudi Tour. Molte volte gli era capitato di partire con una vittoria al debutto o nelle primissime gare, sfruttando anche l’estate di casa. Così, sotto un sole finalmente primaverile dopo la pioggia della prima parte di gara, Caleb ha vissuto un esordio che probabilmente non si immaginava, malgrado fosse ampiamente il più pronosticato da tutti. La chiacchierata con lui comincia in questo modo.

«Questa vittoria – racconta il tasmaniano avvolto da un sorriso – significa tanto per me. Gli ultimi mesi dell’anno scorso sono stati abbastanza duri. Sono passati duecento giorni dall’ultima volta che ho gareggiato (il Super8 Classic il 21 settembre, ndr), che è anche il periodo più lungo che ho trascorso senza corse. Quindi non sapevo davvero cosa aspettarmi. Sapevo di sentirmi piuttosto bene, ma quando non corri da tempo non sai mai dove ti trovi e cosa trovi.

«Sono molto felice – prosegue Ewan rivedendo il finale nella sua mente – che la squadra mi abbia dato fiducia e supporto. Non è scontato. I miei compagni hanno fatto un lavoro straordinario e naturalmente sono molto contento di aver potuto finalizzare tutto».

Vita nuova alla Ineos

L’annuncio di Ewan al team britannico è arrivato con le operazioni di mercato già concluse da molto tempo. Il fatto che lui non avesse ancora trovato squadra fino a fine gennaio stava facendo scalpore tanto quanto il suo pessimo 2024 alla Jayco nella quale si era rifugiato, trovandola tuttavia molto cambiata rispetto a quando l’aveva lasciata sei anni prima.

«Posso dirvi – ci risponde Caleb basandosi su questo esordio – che finora il cambio di squadra è stato fantastico. Sono alla Ineos da qualche mese, ma non avendo gareggiato prima, questa è la mia prima vera esperienza. Devo ancora conoscere tutti e completare il mio inserimento. Come dicevo prima, sono contento del loro supporto e di aver potuto ripagare il loro lavoro».

La verità è che ci è apparso subito in buona forma. Gli chiediamo quale sia il suo segreto e lui ce lo rivela con candore, quasi fosse un neopro’. La ricetta è semplice. «Non c’è nessun segreto – dice – ho solo lavorato più duro del solito. Negli ultimi due mesi volevo fortemente ripresentarmi al via già abbastanza competitivo, pronto a sostenere certi ritmi. Soprattutto volevo essere scelto dalla squadra per farmi vedere all’opera il prima possibile».

Alla Ineos da due mesi, Ewan ha vinto all’esordio stagionale e dopo 8 mesi di digiuno. Vuole guadagnarsi il Tour
Alla Ineos da due mesi, Ewan ha vinto all’esordio stagionale e dopo 8 mesi di digiuno. Vuole guadagnarsi il Tour

Palla in avanti

Se ti chiami Caleb Ewan e vai a rafforzare il reparto degli sprinter puri in una squadra come la Ineos Grenadiers, sai già che devi mettere qualcosa di importante nel mirino.

«Obiettivi e piani per il futuro – conclude – devono ancora essere definiti. Sarà molto difficile che mi vedrete al Giro d’Italia perché credo che la squadra verrà per puntare alla generale e composta di conseguenza. Spero invece di poter dimostrare il mio valore nei prossimi mesi per riuscire ad andare al Tour. Questa ovviamente è la mia volontà, anzi il mio obiettivo. Tornare al Tour de France, anche per vincere. Iniziare la stagione come ho iniziato è un ottimo modo che chiaramente mi soddisfa. Spero che questa vittoria sia solo l’inizio e che ne arrivino tante altre. Io adesso faccio rotolare la palla e vedremo dove arriverà».

Lui si è ributtato nella mischia lanciando la palla, anzi la volata più avanti degli altri. A Bondeno ha colto il sessantacinquesimo successo della carriera, il settimo in Italia da cui non vinceva dalla Tirreno 2022. Insomma, ben tornato Caleb Ewan.

Cento giorni al Tour de France. Il racconto da Lille

27.03.2025
5 min
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LILLE (Francia) – «Io sono il vento del Nord. La gente con le sue tradizioni. Io sono la terra che respira la bici». Recita così il video introduttivo del Grand Départ del Tour de France. Siamo nell’Hauts-de-France, nel Nord Ovest della Francia, laddove il Belgio, le Fiandre e le distese francesi si mescolano senza un vero confine. E infatti questa, Lille, è l’Eurometropoli che comprende le città di Tournai, Courtrai e Lille appunto e una serie di città satellite: una su tutte, Roubaix.

In città c’è un bel via via di gente. Sono ormai le 18, gli uffici e le scuole sono chiusi e ci si appresta a tornare a casa. Ma nel trambusto tutti si fermano o quantomeno rallentano quando vedono la folla radunata attorno al tabellone del Tour. C’è chi fa una sosta, chi guarda e tira dritto, chi tira fuori il telefono anche se non si ferma perché una foto, un post fanno sempre comodo.

Dopo aver premuto il grande bottone rosso, Prudhomme e le altre autorità hanno dato via al conto alla rovescia: 100 giorni alla partenza del Tour 2025
Dopo aver premuto il grande bottone rosso, Prudhomme e le altre autorità hanno dato via al conto alla rovescia: 100 giorni alla partenza del Tour 2025

Meno cento…

Ma perché siamo qui? Perché un messaggio da parte del Tour ci ha invitato a partecipare alla cerimonia dei 100 giorni dal via del Tour numero 112 della storia.
Questa è davvero terra di ciclismo. Quanti campioni di qua e di là dal confine: il Belgio è a poche centinaia di metri. Lille ha ospitato tre partenze della Grande Boucle e per 34 volte è stata sede di tappa.
Per capire dove siamo: a 65 chilometri da qui si stava correndo la Classic Brugge-De Panne vinta da Molano. E tante altre corse si disputano in questa zona durante l’anno. E’ “facile” fare del ciclismo quassù.

Dopo il countdown davanti alla stazione, l’evento si è spostato al coperto (per fortuna, l’aria è alquanto frizzante).
«Io ho studiato qui – racconta con la sua innata passione Christian Prudhomme, il direttore del Tour – è qui che sono diventato giornalista. Sono diventato giornalista per poter raccontare il Tour e ora sono qui in questa veste. Però ho sempre le immagini di quel ragazzo. Ho sempre le immagini di quando ero ragazzo ogni volta che vengo. Questa terra davvero è vicina al ciclismo».

«Basket, tennis, volley, abbiamo avuto di tutto – fa eco il presidente del Département du Nord, Christian Poiret – poi vedevamo Copenaghen, Namur, i Paesi Baschi, Firenze e noi no? Dovevamo avere il Tour, il più grande spot gratuito per la nostra terra. E’ un onore, una voglia. Il Tour porta buonumore. Vedrete che festa in ogni cittadina».

Il trofeo che ricorda le grandi partenze del Tour…
Il trofeo che ricorda le grandi partenze del Tour…

Le tappe del Nord

Ma oltre all’aspetto dell’accoglienza e della presentazione, poi si è parlato anche delle tappe qui nell’Hauts-de-France: tre frazioni più la partenza della quarta.

«Un Tour 100 per cento francese, una scelta voluta – ha ribadito Prudhomme – perché se è vero che le partenze dall’estero sono un’opportunità per la Francia, in quanto poi vediamo restare una grande capacità di attrazione, è anche vero il contrario». Insomma un po’ di tradizione ci voleva e, tutto sommato, è anche giusto così. La forza di un evento si valuta e si capisce anche da queste scelte.

«Penso che queste partenze siano la celebrazione dei grandi campioni: da Bartali, Firenze, a Coppi, Piemonte, fino al Nord della Francia con Anquetil. Per questo era giusto anche restare nel nostro Paese. Abbiamo tanti esempi, tanti campioni. E se, organizzando bene, con i giusti percorsi e i giusti punti toccati, un giorno un bambino saprà chi è stato Jean Stablinski (a cui è dedicato il velodromo di Roubaix, ndr), allora avremo fatto un buon lavoro».

Gli enti hanno indicato i punti da toccare, poi il percorso è stato creato cercando di renderlo duro il più possibile, ma compatibilmente con l’orografia del territorio. E qui, da queste parti, di salite… ce ne sono pochine!

Laurent Desbiens, ex pro’ di zona, collabora con l’organizzazione di questa grande partenza
Laurent Desbiens, ex pro’ di zona, collabora con l’organizzazione di questa grande partenza

Sprinter e non solo

Quando si è parlato delle tappe, a prendere il microfono è stato Laurent Desbiens. Corridore degli anni ’90, lui è quello che in Francia definiscono “l’enfant du pays”. Desbiens infatti è di Mons-en-Baroeul. Come c’era da immaginarsi in chi riesce a fare sistema (organizzatori, sponsor, politici) non è mancato il coinvolgimento di chi è del luogo e che in carriera ha vinto 11 corse, tra cui una tappa al Tour, e ha anche indossato la maglia gialla. La scritta Cofidis al centro, una delle prime pressofuse sulla pancia, ormai rovinate. Desbiens è parte integrante della macchina del Grand Départ.


«La prima e la terza frazione, quindi Lille e Dunkerque – ha detto – sono per velocisti. Penso, almeno per ora, a Tim Merlier, il mio favorito per la prima maglia gialla. Ma attenzione, perché soprattutto la prima frazione è breve, ci sarà tanto nervosismo col fatto che sono tutti freschi e c’è la maglia gialla in palio. La seconda frazione, Boulogne-sur-Mer, la più lunga del Tour con i suoi 209 chilometri, invece è per Pogacar. L’arrivo è duro. E’ un muro e con le sue gambe può già fare la differenza. Io finii settimo nel 1994 quando si arrivò lì».

Kittel (al centro) è stato l’ultimo vincitore del Tour a Lille. Nel 1950 invece a vincere fu un italiano: Alfredo Pasotti
Kittel (al centro) è stato l’ultimo vincitore del Tour a Lille. Nel 1950 invece a vincere fu un italiano: Alfredo Pasotti

Fra sport e storia

La terza tappa è un piattone come nei Tour degli anni ’80 e ’90 e forse ci fa anche piacere questo tocco di tradizione. Il vento, come si suol dire, può giocare un ruolo importante. Ma parlando di questa tappa, sia Desbiens che gli altri interlocutori hanno fatto riferimento alla sua storia e del suo significato.

Da Valenciennes a Dunkerque, in effetti, si comprendono tutte le sfumature di quest’area e i significati sono tantissimi. Per i francesi Dunkerque con le tracce dello sbarco in Normandia è una sorta di Caporetto della Seconda Guerra Mondiale. Andando verso Valenciennes si sfiorano le miniere, i cui proventi sono stati sostituiti dai grandi centri logistici dell’automobile. Senza dimenticare, per restare più in ambito ciclistico, i tratti in pavé della Roubaix, che tutto sommato scorre qui a fianco.

Noi abbiamo ancora impresse nella mente e sulla pelle le emozioni della Grande Partenza di Firenze. Se a Lille dovessero avere anche solo la metà dell’entusiasmo di quei giorni, avrebbero fatto centro. Ma essendo francesi ed essendo il Tour il loro vanto… c’è da giurarci che si andrà ben oltre la metà.

EDITORIALE / Il miope stillicidio delle wild card

17.03.2025
5 min
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Il 26 marzo, mercoledì dopo la Sanremo, l’UCI farà sapere se per i Grandi Giri sarà possibile aumentare fino a tre la quota delle wild card. Ad ora, il sistema prevede che gli inviti siano due: il Giro d’Italia è già in vantaggio su Tour e Vuelta perché la Lotto ha comunicato nuovamente che non sarà della partita, liberando il terzo invito. Se arrivasse anche la terza wild card, il Giro potrebbe fare 4 inviti, portando le due squadre italiane aventi diritto per punteggio (Team Polti-VisitMalta e VF Group-Bardiani), più Tudor Pro Cycling e Q36.5 Cycling Team. Il Tour invece potrebbe allargare la rosa con la squadra di Julian Alaphilippe che al momento sarebbe fuori. Non vorremmo passare per i soliti malpensanti, ma ci chiediamo se la faccenda andrebbe così per le lunghe se l’istanza venisse soltanto dal Giro d’Italia.

Le due italiane meritano esserci per diritto. Oltre alla necessità di tutelare il movimento nazionale, alla Tirreno hanno dimostrato di avere dedizione e sostanza (in apertura Tarozzi, che ha conquistato la maglia verde), anche se l’attuale gestione di RCS Sport ha dimostrato che il tricolore e i conti da far quadrare non sempre sono sovrapponibili. Tudor ha investito sul Giro con una campagna piuttosto incisiva. Q36.5 porterebbe al via Pidcock, un bel nome che farebbe anche da ottimo richiamo per il mondo anglosassone. Qualunque delle quattro squadre venisse lasciata fuori, porterebbe con sé delle spiacevoli conseguenze.

Gruppo (quasi) in pezzi

In questi giorni alla Tirreno-Adriatico, girando fra i pullman e facendo semplici domande, abbiamo registrato un campionario di risposte difformi e controverse. Qualcuno dice che le squadre siano tutte favorevoli, con l’eccezione di una professional belga. Altri sostengono che l’opposizione arrivi da alcune squadre WorldTour. Ci sarebbe poi il partito dei team francesi, che si oppone a tutte le decisioni contrarie alle regole scritte. Infine c’è chi tira in ballo Adam Hansen e il CPA (l’associazione internazionale dei corridori), che avrebbe opposto motivazioni di sicurezza.

Per le prime tre ipotesi, le domande poste si sono infrante sulla riservatezza. Per quanto invece riferito al CPA, Adam Hansen – cui la questione è stata posta da Cristian Salvato – avrebbe risposto con una fragorosa risata, avendo sostenuto come categoria la possibilità di portare a tre il numero delle wild card.

Adam Hansen, presidente del CPA, qui con Salvato nel giorno della neve di Livigno al Giro del 2024
Adam Hansen, presidente del CPA, qui con Salvato nel giorno della neve di Livigno al Giro del 2024

Sicurezza o inadeguatezza?

Il tema è delicato. Il numero dei 176 atleti al via, stabilito con la riforma tecnica del 2018, si raggiunge con 22 squadre da 8 corridori ciascuna. E’ una quota di prudenza legata alla sicurezza e alla possibilità per gli organizzatori di assicurarla. Nel 2017, al Giro d’Italia parteciparono 22 squadre da 9 corridori ciascuna, con 198 partenti. Autorizzare la terza wild card porterebbe i partenti a 184, comunque meno della quota 2017.

Si sta pensando a una variazione del regolamento oppure alla riscrittura della norma per andare incontro alle esigenze attuali del ciclismo? Sarebbe il modo per aggirare le regole di partecipazione legate ai punteggi o di renderne le maglie meno stringenti? E soprattutto quali sono i ragionamenti in seno all’UCI, che si ritrova in mezzo alle istanze dei grandi organizzatori e la necessità di tenere il punto sulla sicurezza in gara?

Qualunque sia la ragione del cambiamento, se esso avverrà, ciò che è tecnicamente insostenibile e va palesemente contro le esigenze degli atleti nel ciclismo della pianificazione estrema è che tutto questo sarà annunciato cinque settimane prima del Giro d’Italia, che venendo per prima sconta come sempre le indecisioni dell’UCI. Gli altri, i francesi che organizzano il Tour e anche la Vuelta, possono infatti permettersi di stare a guardare e fare buon viso a qualunque tipo di gioco.

Maestri e il Team Polti-VisitMalta alla Tirreno sono stati fra gli animatori di ogni tappa
Maestri e il Team Polti-VisitMalta alla Tirreno sono stati fra gli animatori di ogni tappa

Wild card biennali

Le wild card sono un ottimo strumento per invitare le piccole al tavolo dei grandi, ma sono così estemporanee e occasionali da non consentire investimenti lungimiranti. Come fai a proporre a uno sponsor di investire su di te, se a cinque settimane dal Giro d’Italia non sai ancora se vi prenderai parte? Le wild card dovrebbe essere quantomeno biennali e non strumento di regalìa da parte degli organizzatori ai manager del momento. Forse in questo modo anche chi parte da risorse più limitate può progettare un percorso solido di crescita.

E’ evidente la spaccatura fra il livello dei team che si ingegnano e spendono per raggiungere l’eccellenza e quello di chi li governa a tutti i livelli. Sembra poca cosa, al confronto, che ancora non si conoscano il percorso e le squadre che parteciperanno al Giro Next Gen. Se uno squadrone come la Tudor Pro Cycling non sa ancora se parteciperà al Giro d’Italia, cosa volete che si lamenti una qualsiasi continental per il vuoto totale di informazioni sulla corsa che la riguarda?