L’eco del mondiale sta ormai per esaurirsi, anche per quello che concerne la gara femminile in casa azzurra. Sono fuori discussione il bis iridato di Kopecky e la splendida prestazione di Longo Borghini, che meritava sicuramente di più di un pur ottimo bronzo. Tuttavia la mancata convocazione di Francesca Barale tra le U23 da parte del cittì Paolo Sangalliaveva lasciato qualche piccolo strascico alla vigilia della trasferta a Zurigo.
«A quell’età quando hai un’opportunità di confrontarti con i pari età, dovresti coglierla. Anche perché chi ha vinto il Tour de l’Avenir aveva fatto anche il Tour de France, arrivando molto avanti e dimostrando di aver trovato una grande condizione». Riassumendo, il tecnico italiano avrebbe voluto che la giovane del Team DSM-Firmenich PostNL avesse seguito l’esempio di Marion Bunel. Per la verità poi la 19enne francese ha chiuso ottava tra le U23 a 8′ da Pieterse (tredicesima assoluta e vincitrice della categoria), ma alla base della decisione di Sangalli c’erano determinate e valide motivazioni. Abbiamo cercato di capire se nel frattempo sia cambiato il punto di vista di Barale.
Nessun dramma
Il botta e risposta a distanza che è nato tra Sangalli e Barale affonda radici profonde nei rispettivi ruoli. Fin da subito il cittì – che lascerà l’incarico a fine stagione per accasarsi in Lidl-Trek a partire dal 2025 – aveva individuato in Barale la U23 da portare in Svizzera e magari giocarsi una medaglia. Per contro Barale sapeva che doveva rispettare i compiti di luogotenente in DSM nelle gare più importanti, sperando di trovare la condizione migliore possibile per arrivare in forma al mondiale.
«Ho letto quello che ha detto Paolo nella vostra intervista – analizza Francesca – ma io per natura sono una persona che non vuole mai fare dei drammi in generale. Onestamente mi verrebbe da dire che forse se ne sta facendo una questione più grande di quello che è. Non mi piace mai rispondere in circostanze simili, anche perché sono opinioni personali. Io sono contenta della mia decisione di non aver corso l’Avenir Femmes. Faceva parte di un calendario e di un programma di preparazione già stabilito».
Paragoni e consapevolezze
Ciò che ha fatto la Bunel ha posto una sorta di traguardo immaginario da tagliare e replicare. Per Sangalli anche Barale aveva tutte le carte in regola per fare altrettanto, che equivale ad un grande attestato di stima. Nelle speranze del cittì azzurro c’era quella anche di poter andare all’Avenir Femmes con la piemontese e competere con la francese più di quello che ha fatto comunque una buonissima nazionale capitanata da Ciabocco, compagna di club di Barale e sesta nella generale. Il piccolo Tour de France femminile sarebbe stato quindi il miglior viatico per presentarsi al mondiale.
«Ho rispettato la scelta di Paolo – prosegue Francesca – e bisogna sempre prenderne atto. Non sono pentita di come sono andate le cose. O meglio, il mio unico rammarico è di non aver partecipato al mondiale in quanto tale, indipendentemente da quello che sarebbe stato il mio compito. E’ vero, era un obiettivo stagionale, ma non ho mai pensato di andare a Zurigo per puntare a fare risultato nella mia categoria. Sapevo come stavo andando e quello che stavo facendo. Tuttavia sarei stata prontissima a lavorare per Elisa (Longo Borghini, ndr), visto che oltretutto è una cara amica. Sarebbe stato bello esserci per condividere il suo bel bronzo, però è andata così.
«Mi spiace – conclude Barale – che tutto si riduca ad un semplice paragone tra me e Bunel senza magari approfondire un po’ meglio. E non lo dico per rispondere a Paolo, con lui ci siamo già confrontati. Lo faccio più in generale, perché poi ne esce un quadro non veritiero. Bunel ed io siamo due atlete diverse, per caratteristiche e programmi. Se io avessi corso come e quanto ha fatto lei, probabilmente sarei arrivata prima all’Avenir e poi al mondiale non in forma come ci si sarebbe aspettati. Ripeto, è andata così e per me è tempo di chiudere al meglio la stagione. Correrò il Giro dell’Emilia in appoggio di Labous, visto che l’arrivo sul San Luca è proprio per lei. Poi finirò il 2024 alla Tre Valli Varesine, una gara aperta a più soluzioni. L’anno scorso avevo fatto quarta e su quel percorso posso avere più libertà».
Al netto di questa situazione, in cui è emerso il ruolo importante ma non ancora primario di una giovane italiana in un team WorldTour, siamo certi (e ce lo auguriamo) che Barale nel 2025 guadagnerà gradi nella propria squadra e che sarà una delle punte del futuro nuovo cittì e della nazionale U23 ai mondiali in Rwanda.
Sembrano davvero lontani i tempi degli infortuni, della depressione, dei mille dubbi fra il continuare a insistere e mollare la presa. Per anni Thalita De Jong ha vissuto la sua attività ciclistica sull’altalena, pensando mille volte di mollare e per mille volte rilanciando sulla base delle sue ambizioni. Alla fine ha trovato la pace, la serenità, il fisico ha cominciato a rispondere, fino a questo 2024 davvero pieno di successi, scintillante.
La sua storia l’avevamo raccontata tempo fa, ma non l’avevamo mai persa di vista e finalmente oggi possiamo raccontarne una diversa, insieme a lei, disponibile e “chiacchierona” come la definiscono nel suo ambiente alla Lotto Dstny. E sapendo quel che ha passato, sentirla parlare è un piacere potendo finalmente parlare di vittorie e non di sofferenze.
Ti aspettavi una stagione così positiva?
Ho sempre lavorato duramente durante la stagione invernale e anche tra una gara e l’altra, quindi sapevo che il mio livello fosse tendente verso l’alto. Anche se ogni anno bisogna migliorare un po’ perché tutte sono più forti dell’anno precedente. Quindi ogni volta che inizi una nuova stagione è sempre una sorpresa sapere a che punto sei rispetto alle avversarie. In realtà sapevo di essere forte, ma non sapevo quanto e non potevo credere di essere così costante ad alti livelli. Me la sto godendo al massimo, è fantastico che stia andando tutto così bene.
Non vincevi dal 2022, cosa è cambiato da allora?
Ho vinto alcune kermesse in Belgio e criterium olandesi, ma anche una gara UCI, il GP de Mouscron. Da giugno 2022 correvo in una squadra WWT in cui c’erano chiaramente 2 leader. Un corridore per gli sprint e un corridore per i percorsi di salita e le corse a tappe. Abbiamo lavorato per anni interi, io non mi sono tirata indietro e ho dato il mio contributo. Ora ho le mie possibilità e posso correre per me stessa. Non è cambiato molto, solo che ho molta fiducia in me stessa e da parte delle persone intorno a me.
I grandi problemi fisici dal 2017 al 2021 sono ormai dimenticati, ma quella lunga e dura esperienza che cosa ti ha lasciato?
Tanto.Che hai “amici” solo nei momenti belli e non quando le cose vanno male. Che il mondo è abbastanza egoista. Mi ha reso davvero più forte della persona che sono e so che cosa posso aspettarmi dalle altre persone. Ho imparato che hai solo un corpo, quindi me ne prendo cura come sempre, ma ora tutto sta andando per il verso giusto e questo rende le cose molto più facili.
Quest’anno hai già conquistato 5 vittorie e ben 46 top 10: c’è stata una gara in particolare nella quale hai capito che qualcosa era cambiato?
Non una gara specifica, io guardo l’intera stagione ad alto livello, nella quale ho mancato solo poche volte il gradino più alto del podio che meritavo, ma dal Tour de France e dal Tour de Ardeche si vede tutto il mio duro lavoro ripagato. E’ fantastico, ma sapevo già che stavo andando forte. Quindi forse le vittorie sono state la ciliegina sulla torta.
Le corse a tappe sono la tua dimensione ideale?
Sapevo già dai miei primi anni che le corse a tappe mi si addicono bene, il mio corpo ha ottime doti di recupero, ma dipende anche dal tipo di gara. Dai percorsi, per ottenere un buon risultato, se si adattano alle mie caratteristiche. Ma mi piacciono di sicuro le corse a tappe!
Il ciclocross lo hai completamente messo da parte o pensi di tornare a fare qualche gara?
Non c’è abbastanza tempo per combinare entrambe le cose nella maniera giusta. Sto correndo in una squadra di corse su strada, quindi devo fare un’intera stagione su strada, il calendario è già ricco a febbraio fino a metà ottobre, quindi non c’è molto tempo per riposare e prepararsi per la nuova stagione. Il ciclocross mi piace, ma devo metterlo da parte come un bel ricordo del passato.
Quanto ha influito nella tua stagione l’approdo alla Lotto e quanto influisce il fatto che non sia un team WorldTour?
Mi hanno dato la “libertà” in inverno e durante la stagione. Potevo gestirmi nel mio programma di gare, allenamenti e periodi di riposo. Con la mia esperienza di così tanti anni, hanno creduto in me e in quello che ho fatto, e questo è anche qualcosa che aiuta. Ho sempre avuto un buon equilibrio riposo/allenamento/gara e non troppa pressione. Ovviamente ho avuto pressione nelle corse perché ero io quella che doveva portare a casa un buon risultato, in qualsiasi tipo di percorso. Ma sapevano anche che per questo dovevo gestirmi e essere presente solo nel finale o già a metà gara, quindi non è stato più facile conquistare un risultato di alto livello.
Cos’è che apprezzi del team belga?
Il fatto che mi piace molto lavorare con cicliste più giovani che devono anche imparare e crescere, quindi a volte non è che non volessero, ma semplicemente non potevano aiutarmi. Anche lavorare con la diesse Grace Verbeke, ex vincitrice del Giro delle Fiandre, è stato super bello. Abbiamo imparato l’una dall’altra e avevamo una “band speciale”, ci confrontavamo e ci ascoltavamo a vicenda.
A questo punto, quali sono le tue ambizioni per il prossimo anno?
Vincere una grande gara Uci, fare progressi su più aspetti e lavorare in squadra per raggiungere gli obiettivi di ciascuna di noi.
Dopo il faticoso passaggio olimpico e il Tour per rimettersi in bolla, Balsamo riparte dalla primavera e dalla voglia di divertirsi. Il tunnel è alle spalle
Nel video che riprende l’ammiraglia della Canyon Sram che si avvicina al traguardo finale dell’Alpe d’Huez e realizza che “Kasia” Niewiadoma ha vinto il Tour Femmes, Adam Szabo è il passeggero che a un certo punto non riesce più a parlare per le lacrime. Non era stato un giorno facile, per cui ogni colpo di pedale della polacca in maglia gialla era stata una fitta al cuore, fino al momento finale della vittoria. A quel punto tutto è andato giù, anche il contegno che ti aspetteresti da un direttore sportivo WorldTour. Evviva chi non si vergogna delle proprie emozioni!
Adam Szabo ha 34 anni, è slovacco, ma vive a Girona. Si è laureato e ha poi conseguito un master in scienza dello sport all’università di Bratislava. E dopo vari incarichi nella federazione slovacca, come tecnico e analista della performance, ha conseguito l’abilitazione come tecnico UCI e tre anni fa è approdato alla Canyon Sram. La sua base è in Spagna e lì lo troviamo, alla vigilia delle ultime corse di stagione. Vorremo parlare con lui del Tour vinto con Niewiadoma, partendo da quello che ci ha raccontato Soraya Paladin. Cioè che quando Kasia si è presentata davanti alla squadra, dicendo che avrebbe potuto vincere il Tour, ci hanno creduto subito tutti. Lui accetta, il viaggio comincia. Ma dalla fine…
Partiamo da quei momenti in ammiraglia sull’Alpe d’Huez, che cosa hai provato?
Oh, è stata una vera montagna russa. All’inizio della salita eravamo fiduciosi, eravamo ancora in lotta. Però la prima parte dell’Alpe d’Huez è piuttosto ripida e infatti abbiamo iniziato a perdere terreno. Poi il distacco si è fermato fra 1’10” e 1’20”. La sensazione era che Kasia non stesse andando molto bene. In quel primo tratto ha fatto davvero fatica, poi nella parte centrale la pendenza era inferiore e ha iniziato a difendersi. Finché a un certo punto abbiamo visto che il divario di tempo si stava effettivamente riducendo e questo ci ha dato un po’ di speranza. Dal pensare che sarebbe finito tutto, abbiamo iniziato a dirci che potevamo farcela.
La seguivate dalla televisione?
Inizialmente un po’, poi non abbiamo avuto più bisogno di farlo. Soprattutto alla fine, appena prima che iniziasse il paese, vedevamo tutto perché eravamo la macchina numero uno. Prima il gruppo di Kasia, che nel frattempo stava un po’ meglio. Quando poi la valle si è aperta, abbiamo iniziato a vedere anche Demi e Pauliena (le attaccanti Vollering e Rooijakkers, ndr). Le ha viste anche Kasia e questo mentalmente è stato decisivo. Noi eravamo con Realini e Muzic, che tiravano di più. E a quel punto, quando mancavano 4-5 chilometri, abbiamo detto a Kasia di non cambiare più ritmo, ma di andare col suo passo. Perché dietro stavano rallentando e le abbiamo detto che se ne aveva, negli ultimi 4 chilometri sarebbe potuta andare da sola. Non ce l’ha fatta a staccare Muzic, invece Realini è rimasta dietro.
Quando ha detto che avrebbe potuto vincere il Tour, vi siete fidati subito?
Il primo a dirlo è stato il nostro team manager, Ronny Lauke, che è venuto a fare il primo discorso. E ha detto chiaramente che eravamo venuti per vincere il Tour. In realtà è quello che diciamo prima di ogni gara importante, ma questa volta sapevamo che Kasia fosse in una forma super buona. Perciò l’idea era di provarci e fare il possibile, ma senza certezze se non quella che l’avremmo supportata il più possibile. Ed è quello che abbiamo fatto praticamente per tutto il Tour.
Ci sono stai momenti di svolta?
Quando siamo arrivati alla sera della crono e ci siamo trovati 30 secondi dietro Demi Vollering, ho pensato che sarebbe stato tutto super difficile. Non ci aspettavamo che avrebbe vinto lei la crono. Sapevamo che saremmo cresciuti, ma anche che Demi sarebbe stata forte sino alla fine. Quindi per noi recuperare quei 30 secondi non era impossibile, ma sarebbe stata davvero dura. Però il giorno in cui abbiamo iniziato a credere che potevamo vincere è stato quello prima del gran finale.
C’era qualcosa di diverso in Kasia quest’anno? E’ parsa più sicura e anche motivata…
Sì, stiamo iniziando a vedere il frutto di un processo a lungo termine. Due anni fa ha cambiato allenatore e con lui ha avuto un approccio diverso alla stagione. Non fa così tante gare rispetto a prima, in compenso trascorre più tempo in altura. Anche prima delle Ardenne, quando poi ha vinto la Freccia Vallone, era stata sul Teide per due settimane.
Che tipo di leader è la nuova Niewiadoma? La squadra sembra un gruppo di amici, lei è una leader dalle tante pretese?
Non è esigente, è una compagna di squadra davvero brava. Penso che la forza della nostra squadra sia proprio questa. Abbiamo creato un legame tra le atlete, al punto che sono contente di venire alle corse. Non è lo sbuffare perché si deve andare, ma la voglia di stare con quel gruppo di persone. Non so che immagine diamo all’esterno e se questa sia solo una mia impressione soggettiva, ma quando c’è una corsa, non vedo l’ora di incontrare il mio gruppo. Siamo felici di stare insieme, perché siamo un bel gruppo di amici. Okay, non i migliori amici. Non andiamo a bere una birra ogni sera, ma siamo amici.
Che cosa ha rappresentato per te questa vittoria?
E’ il risultato più importante. Questa è la mia terza stagione con la squadra, ho iniziato a ottobre del 2021. Però all’inizio ero il responsabile dello sviluppo e delle atlete più giovani. Poi invece sono stato nominato per fare il primo direttore sportivo al Tour: lo hanno chiesto i corridori e volevano che fossi lì. Penso sia stato bello e anche speciale che i membri della squadra lo abbiano chiesto alla dirigenza, però ero un po’ spaventato…
Per la grandezza del Tour?
Tutti dicevano che fosse diverso e in parte lo è. L’anno scorso ho fatto il Giro e quest’anno l’ho fatto ancora e prima anche la Vuelta. Il Tour è stato lo stesso, giusto un po’ più grande. Ma non mi è parso così più grande da mettermi paura. Anche il Giro ha deciso la maglia all’ultima tappa, alla fine sono stati abbastanza simili.
Cosa hai provato quando Vollering ha attaccato?
Sapevo che lo avrebbe fatto, ma quando si è mossa sul Glandon, per Kasia è stato un momento davvero brutto. E’ rimasta sola e Demi ha preso un grande vantaggio. Ci siamo spaventati e la nostra leader in quel momento era sotto forte stress. Sapevamo che Vollering avrebbe attaccato, eravamo preoccupati di non poter rispondere. Invece alla fine la difesa è riuscita e abbiamo vinto il Tour.
Pensi che questa vittoria cambierà qualcosa per la squadra?
Abbiamo una buona strategia a lungo termine che era già stata impostata prima del Tour. Ovviamente cambierà qualcosa. Non siamo mai stati una squadra che vince molto, non siamo la squadra migliore, saremo sempre i secondi o i terzi. Ma da questo Tour abbiamo imparato come fare meglio. Abbiamo un’atleta davvero forte e la certezza che non abbiamo ancora mostrato il nostro pieno potenziale. Questo è ciò che vogliamo cambiare nei prossimi mesi e penso che siamo sulla buona strada. Ora Kasia potrà mostrare il suo pieno valore, ma abbiamo anche bisogno che la squadra cresca e sia alla sua altezza.
Stiamo parlando di rinforzarla?
E’ una cosa che dobbiamo fare per la prossima stagione. Vogliamo concentrarci di più su questo, ci saranno molti cambiamenti. All’inizio della stagione sarà come essere seduti a un tavolo da poker, ci daranno le carte e vedremo chi avrà le migliori. Poi però dovremo giocarcele al meglio. L’anno prossimo ci saranno molti cambiamenti nel mercato di tutti, ma fortunatamente per la nostra squadra non dovremo cambiare pelle. Altri avranno più punti interrogativi sul loro organico e questo dà a me e al team la sicurezza che il prossimo anno potremo fare ancora meglio. Però non chiedetemi che cosa cambierà, perché non è ancora ufficiale.
Settima al Giro, ma soprattutto quinta al Tour de France Femmes, Gaia Realini si è trovata sparata da zero a cento in quella mischia immensa con un ruolo del tutto inaspettato. Stando a quanto le era stato detto, della classifica si sarebbero occupate Elisa Longo Borghini e Shirin Van Anrooy. Quando però la defezione della piemontese dopo le Olimpiadi è diventata ufficiale, la squadra l’ha chiamata e le ha passato il testimone: la classifica sarebbe toccata a lei.
In questi giorni l’abruzzese della Lidl-Trek si sta allenando, cercando da un lato di recuperare del tutto e dall’altro di arrivare pronta al Tour de Romandie (6-8 settembre), che sarà l’anticamera dei mondiali di Zurigo cui le piacerebbe prendere parte.
«Come è stato il Tour?», sorride con quella punta di ironia che basta più di mille risposte. «E’ stato duro, devo dire la verità, ma anche bellissimo. Non avevo mai vissuto un’atmosfera del genere. Soprattutto le prime tappe, fra l’Olanda e il Belgio che sono la patria della bici. E poi sull’Alpe d’Huez. Era la prima partecipazione, non sono in grado di fare confronti. Ma se guardo al Giro e alla Vuelta, il Tour de France è stato molto più grande e molto più duro».
Eppure quando nell’ultima tappa, Gaia si è ritrovata a darsi cambi con Kasia Niewiadoma ed Evita Muzic sull’Alpe d’Huez (foto di apertura) non sembrava la ragazzina che davanti a una simile sfida avrebbe potuto bloccarsi.
Le tue colleghe hanno parlato di nervosismo e tappe lunghe.
Ogni giorno erano più di 160 chilometri e confermo che il gruppo era nervoso, forse perché il Tour è la corsa più attesa e tutti vogliono farlo bene. Anche il livello delle atlete era molto alto. Basti pensare che Kasia Niewiadoma e Demi Vollering hanno saltato il Giro d’Italia per arrivare pronte in Francia e andavano davvero fortissimo. Per me all’inizio non erano un problema, non avrei dovuto fare io la classifica. L’avevo presa come una prima partecipazione, in cui avrei potuto guardarmi intorno e prendere le misure.
Invece?
Invece la squadra mi ha dato il ruolo che sarebbe stato di Elisa Longo Borghini e a quel punto non mi sono tirata indietro. All’inizio magari un po’ la cosa mi ha colpito, però poi sono stata contenta che mi abbiano dato il ruolo e la fiducia. Dato che Elisa il prossimo anno ci abbandonerà, ho iniziato a prendermi le mie responsabilità e a fare da me. La squadra mi è stata molto vicina, è bastato che i direttori dicessero che sarei stata una delle leader e il meccanismo è stato perfetto.
Lizzie Deignan al Tour non ha vinto, ma è stata una super guida per la debuttante RealiniL’abbraccio con Longo Borghini dopo la vittoria del Giro parla più di mille parole. Dal 2025 la coppia si scioglierà
Che leader hai scoperto di essere?
Sono una leader silenziosa, non sono una che pretende e detta regole. Ho visto che le compagne non hanno avuto problemi ad aiutarmi. Ho avuto vicina per tutto il tempo Lizzie Deignan e mi è sembrato che mi abbia avvolto in una coperta. Pure essendo una campionissima, è stata la mia matrioska: dov’era lei, c’ero anche io. In certi casi non serviva neanche parlare. Per fare un esempio, un giorno ho pensato che potesse avere sete e le ho preso una borraccia, scoprendo che lei aveva appena fatto la stessa cosa per me.
Non stai parlando di una gregaria qualsiasi, il suo palmares è notevole…
Infatti accanto a lei mi sentivo come una ragazzina e pensavo a come si sentisse a dover accudire una bambina di 23 anni. A volte mi parla da mamma, si capisce che lo sia davvero. Abbiamo condiviso la stanza al Giro e poi al Tour. Mi piace il suo modo di fare perché non mi fa sentire la mancanza della mia vera mamma.
Sfinita sull’Alpe d’Huez, Realini alla fine ha pagato 30″ rispetto a NiewiadomaSfinita sull’Alpe d’Huez, Realini alla fine ha pagato 30″ rispetto a Niewiadoma
Che cosa ti ha lasciato questo Tour de France?
Sicuramente non nego di dover crescere e imparare tanto. Chi è arrivato davanti ha più anni e più esperienza di me. Ma guardando e correndo, ho imparato tanto. E magari facendo degli altri passi di avvicinamento, potrei pensare che un giorno anche io potrò salire sul gradino più alto di quel podio.
Quindi fra una settimana si va al Romandia, poi il sogno è andare ai mondiali?
Esatto. Mi piacerebbe davvero molto ricevere la chiamata di Sangalli.
Parliamo di Gaia Realini con Azzolini, il suo allenatore. Cosa ha capito alla fine del primo anno con la Lidl-Trek? E' forte in salita, ma anche in pianura
«Una cosa buona che ho portato via da Parigi – dice Elisa Balsamo – la cosa per me più bella è stato il pubblico sul percorso della gara su strada. La gente sulla salita di Montmartre è stata una cosa veramente impressionante. Potrò dire per sempre che io c’ero. Secondo me ci saranno poche gare spettacolari come quella».
Il capitolo delle Olimpiadi di Parigi lo chiudiamo volutamente così. Nulla di tutto quello che potremmo raccontare cambierebbe il succo di un’esperienza falsata dalla cattiva sorte, che nelle dichiarazioni successive è diventata la sola causa di risultati al di sotto delle attese. Quello che interessa, parlando con Elisa alla vigilia della corsa di Plouay (la piemontese ha chiuso al quarto posto) è la nuova pagina su cui proprio dalla corsa francese si inizierà a scrivere la seconda parte di stagione.
Le fatiche del Tour dopo le Olimpiadi hanno creato la base da cui ripartireLe fatiche del Tour dopo le Olimpiadi hanno creato la base da cui ripartire
Si può dire che da oggi comincia una seconda parte di stagione che sarà folgorante e bellissima?
Speriamo! Sto bene (sorride, ndr), devo dire che il Tour de France è stato decisamente duro, però mi sono sentita meglio ogni giorno. Speriamo che questo finale di stagione sia positivo.
E’ un Tour che ci voleva per rimetterti completamente in carreggiata dopo il ritiro dal Giro?
Ho fatto delle belle volate nei primi giorni, sono contenta. Ma diciamo, come avete ben capito, che era un Tour per cercare di rimettersi in sesto. Nel senso che arrivando da un periodo un po’ travagliato, l’obiettivo era più che altro quello di riuscire a creare una buona condizione e aiutare le compagne. Quindi direi che è andata bene.
Adesso si guarda giorno per giorno o si fissano grandi obiettivi?
Credo che l’europeo possa essere una bella occasione per me. Ma non voglio pensare a un solo obiettivo, parteciperò ancora a delle grandi gare interessanti. L’obiettivo è quello di raccogliere il più possibile e divertirsi. Ci sono ancora delle belle occasioni.
La vittoria nel Trofeo Binda su un’atleta in forma come Kopecky e Puck Pieterse ha ribadito che Balsamo non è solo una velocistaLa vittoria nel Trofeo Binda su un’atleta in forma come Kopecky e Puck Pieterse ha ribadito che Balsamo non è solo una velocista
Divertirsi è un bel verbo: c’è stato spazio per il divertimento in questi primi mesi?
Sono molto contenta della mia primavera. Mi sono divertita e sono arrivati degli ottimi risultati. Sicuramente gli ultimi due mesi e mezzo dalla caduta non sono stati facili, però ormai si guarda avanti. Penso di essere uscita dal tunnel, quindi questa è la cosa più importante. Devo dire che gli ultimi due anni non sono stati particolarmente fortunati, soprattutto a causa delle cadute. Farsi male non è mai bello…
Fatte le debite proporzioni, sei forte in pista e hai una grande punta di velocità: si potrebbe pensare a te come a un Jonathan Milan. Forse tu tieni meglio in salita, come dimostra la vittoria al Trofeo Binda. Quale pensi che potrebbe essere un tuo sviluppo?
Devo dire che volendo immaginare un’Elisa a lungo termine, a me piacerebbe cercare di diventare sempre più completa. Da questo punto di vista, quello che ho fatto in primavera è stato un passo avanti rispetto all’anno scorso. Ovviamente non voglio perdere lo spunto veloce, perché alla fine credo che sia il mio punto di forza. Però vorrei cercare di migliorare un pochino sulle salite, sugli strappi. E’ quello il mio obiettivo.
Di solito si dice che dopo le Olimpiadi quelli che hanno fatto pista tornano tra le mani delle proprie squadre e si dedicano solo alla strada. Sarà così anche per te?
In realtà per adesso non mi sono fatta grandi idee. Quindi prima di dichiarare cose ai giornali, vorrei parlare con tutti. Sentire quello che pensa Villa, confrontarmi con lui e poi prenderò la mia decisione. La pista fa parte del mio bagaglio e mi ha dato molto. In questi ultimi anni mi sono tolta davvero delle belle soddisfazioni. E penso che con l’equilibrio giusto, la pista possa dare qualcosa anche per la strada. Però non è facile. Soprattutto nel ciclismo del giorno d’oggi in cui se non arrivi alle gare al 110 per cento, fai solo una grande fatica e nient’altro.
Divertirsi significa anche essere in pace dopo un secondo posto: Balsamo-Consonni alla Gand, entrambe battute da WiebesDivertirsi significa anche essere in pace dopo un secondo posto: Balsamo-Consonni alla Gand, entrambe battute da Wiebes
Come si vive in casa la partenza di Davide per le Paralimpiadi?
Credo che se lo sia veramente meritato. E’ stato vicino ad andare a Tokyo, quindi penso che per lui sia veramente il coronamento di un sogno. Per di più lo sta facendo aiutando un’altra persona e forse è una cosa ancora più nobile (Davide Plebani, compagno di Elisa, correrà le Olimpiadi sul tandem con Lorenzo Bernard, ndr). Ho sempre saputo che Davide è una persona molto buona, nato per aiutare le altre persone, quindi questo secondo me gli permette davvero di coronare un sogno. Nei primi tempi dopo la caduta, mi è stato vicino e senza di lui non sarei sicuramente riuscita a venirne fuori. Adesso diciamo che sto cercando di ricambiare, dandogli il massimo supporto per questo grande obiettivo.
Dopo non essere andato a Tokyo era amareggiato…
E anche quello l’ha portato a decidere di smettere di correre in bici, prima che gli venisse fatta questa proposta del paraciclismo. Sono state dette delle cose non tanto belle e a quel punto ha scoperto di essere un po’ stufo dell’ambiente. Penso che questa sia la rivincita più grande che si potesse prendere. Sono già molto felice per lui e secondo me hanno possibilità di portare a casa un buon risultato e alla fine il valore di una medaglia è sempre il valore di una medaglia.
Plebani, qui con Balsamo, è tornato in bici dopo la delusione di Tokyo per puntare alle Paralimpiadi e prendersi una rivincitaPlebani, qui con Balsamo, è tornato in bici dopo la delusione di Tokyo per puntare alle Paralimpiadiadi
Tornando a te, hai ritrovato le sensazioni dei bei tempi?
Sì, insomma, sento di essere in ripresa. Sicuramente il mio corpo ultimamente è stato sottoposto a tanti stress che, sovrapposti uno all’altro, hanno reso le cose abbastanza complicate. Però devo dire che adesso mi sento in salute e questa penso sia la cosa più importante. Prima sentivo davvero molto instabile da quel punto di vista. Nel momento in cui invece una persona si sente in salute, può cercare di lavorare sulla prestazione, fare allenamenti più specifici e tutto quello che serve. Adesso sono in questa fase, con l’incognita di come reagirò nell’immediato alle fatiche del Tour. Perché il Tour è stato impegnativo, oltre che per le distanze, anche per i dislivelli. Ma è quello di cui avevo bisogno. Speriamo davvero da adesso di iniziare a scrivere una storia un po’ diversa.
Il Tour Femmes è finito quasi una settimana fa ed è tempo di brevi “ferie” per chi lo ha corso prima di riprendere col proprio calendario, ma è ancora fresco l’epico duello Niewiadoma-Vollering risolto per 4 secondi in vetta all’Alpe d’Huez. Un finale romanzesco addirittura ripreso dalla stampa estera non di settore. Un margine – il più basso della storia nelle più importanti gare a tappe maschili e femminili – da analizzare stavolta dalla parte della sconfitta dopo quella di ieri della vincitrice.
Quando il divario tra i primi due della generale è così risicato, scattano l’interesse e la curiosità. In molti si sono scatenati nel chiedersi se Vollering, e di conseguenza la sua SD Worx-Protime, abbia fatto tutto il possibile o meno per aggiudicarsi nuovamente il Tour. E se prima ancora, nelle due volate non vinte da Wiebes, si fosse inceppato un ingranaggio perfetto. La discussione è aperta e sicuramente fa bene a tutto il movimento perché significa che il ciclismo femminile è cresciuto ed appassiona sempre di più. Ne abbiamo parlato quindi con Barbara Guarischi, andando dietro le quinte della corazzata olandese per capire come sono andate le cose, senza tralasciare il primo cartellino giallo del ciclismo che i rigidi giudici UCI le hanno comminato. Ora prendetevi qualche minuto e scoprite le sue parole.
Dopo il Tour, Guarischi prepara il finale di stagione. Potrebbe vestire la maglia azzurra all’europeoDopo il Tour, Guarischi prepara il finale di stagione. Potrebbe vestire la maglia azzurra all’europeo
Barbara partiamo dalle impressioni avute dal tuo primo Tour.
Non avendolo mai fatto in precedenza non ho termini di paragoni, ma posso dirvi che abbiamo fatto ritmi folli. Me lo confermavano compagne e colleghe che lo avevano già corso, considerando anche dislivelli importanti in alcune tappe. L’ultima io non l’ho fatta, ma fino ai piedi del Glandon avevano oltre i 43 di media, dopo una settimana a quelle velocità. Sono rimasta scioccata.
E’ stato invece uno shock non aver vinto i due sprint con Wiebes?
Non posso nascondere che resti con l’amaro in bocca. Con Lorena ci eravamo preparate molto bene, anche mentalmente per affrontare il caos e lo stress, non solo le avversarie. Nella prima tappa fino ai 150 metri eravamo state brave. Peccato che a Lorena le siano entrate con la ruota anteriore nel cambio e non sia riuscita più a pedalare. Le si è tranciato di netto, ma è stata fortunata che sia successo mentre era ancora seduta, altrimenti se fosse stata in piedi si sarebbe potuta fare molto male.
Cartellino giallo storico. Kool batte Wiebes alla seconda tappa. Dopo il traguardo scatta l’ammonizione a Guarischi per comportamento scorrettoCartellino giallo storico. Kool batte Wiebes alla seconda tappa. Dopo il traguardo scatta l’ammonizione a Guarischi per comportamento scorretto
Il giorno dopo è stata una questione di fotofinish.
Esatto, ma sappiamo che le volate sono così. Forse Lorena è partita un filo appena prima del solito, questione di attimi. E’ partita ai 220 metri anziché ai tradizionali 200 e alla fine potrebbero esserle mancati per vincere. Però è stata battuta da Kool che è una velocista molto forte, in forma e che conosce bene (sono coetanee ed ex compagne alla DSM nel 2022, ndr). Charlotte non ha rubato nulla e noi comunque avevamo lavorato bene in entrambe le occasioni.
Tra l’altro proprio al termine della seconda tappa, sei diventata la prima ammonita da parte dell’UCI. Cosa è successo?
Dopo il traguardo ci hanno comunicato l’ammonizione senza la motivazione. Volevamo conoscerla per evitare di commettere lo stesso errore una prossima volta. Dopo il leadout a Wiebes ho alzato una mano dal manubrio per parlare alla radio (nel comunicato si riassume “rallentando bruscamente la velocità e creando una condotta della bici pericolosa per tutte le altre atlete”, ndr). Abbiamo accettato la decisione, ma siamo rimasti sorpresi. Le volate sono così negli uomini e nelle donne. Tutte noi sappiamo quello che facciamo a 60 all’ora, per altro da tanti anni. Soprattutto ci teniamo ad arrivare sane e salve. E’ un’azione che faccio spesso, come tante che fanno il mio lavoro. Di solito mi sposto dalla parte opposta in cui viene lanciata la volata, ma in quella circostanza ho proceduto dritta perché stavano uscendo da tutte le parti. Anzi, molte colleghe mi hanno detto che se mi fossi spostata sarebbe peggio e saremmo cadute. Starò più attenta, però temo che probabilmente mi prenderò altri cartellini gialli perché le volate le facciamo sempre così (sorride, ndr).
Abbuono fatale? Vollering a Liegi perde al fotofinish da Pieterse (terza Niewiadoma) prendendo solo 6 secondi anziché 10Abbuono fatale? Vollering a Liegi perde al fotofinish da Pieterse (terza Niewiadoma) prendendo solo 6 secondi anziché 10
Sono poi arrivate le tappe dure. In generale vi è mancata un po’ di fortuna fino a metà Tour?
Dal terzo giorno in avanti per me iniziava un Tour di sopravvivenza (sorride ancora, ndr), ma sapevamo che la squadra sarebbe stata tutta a disposizione di Demi. Se vi riferite alla sua caduta nel finale della quinta tappa, allora dico che abbiamo avuto molta sfortuna. Anche perché nello stesso momento ha bucato pure Fisher-Black che comunque fino a quel momento era in classifica e stava lottando per la top 10. Tuttavia quel giorno almeno abbiamo vinto la tappa con Vas.
Quell’episodio è stato considerato da tutti lo spartiacque del Tour di Vollering. Sei d’accordo?
Tutti hanno detto che Demi fosse rimasta da sola e che non fosse bello vedere la maglia gialla abbandonata a se stessa. E’ stata fermata Mischa (Bredewold, ndr) che era poco avanti e ha dovuto mettere piede a terra per aspettare Demi. L’ha aiutata fin dove poteva, ma considerate che l’ultimo chilometro e mezzo era in salita e Vollering lo ha fatto alla morte. Quando lei va alla morte, chi può starle davanti a tirare? Credetemi, la scelta della squadra è stata giusta così, non potevamo fare altro.
Come avete analizzato quella situazione?
Ci poteva anche stare di perdere la maglia gialla, così avremmo avuto meno responsabilità in corsa. Il vero guaio è stato il così tanto tempo perso, ma quello era un punto pericoloso. Era una curva veloce che chiudeva stretta. Forse se ci fosse stato un addetto a segnalarcela, probabilmente l’avremmo affrontata con più attenzione. Lì si andava molto forte e Demi ha picchiato duro. Comunque alla fine sapevamo che per rivincere il Tour, avremmo dovuto recuperare e tentare il tutto per tutto.
All’ultima tappa Vollering sfiora l’impresa clamorosa con Rooijakkers incollata a ruota. Il Tour Femmes andrà a Niewiadoma per 4 secondi“Thanks Barbs”. Guarischi salta l’ultima tappa e sul Glandon aiuta Vollering ad indossare la mantellina (foto tv Tour Femmes)All’ultima tappa Vollering sfiora l’impresa clamorosa con Rooijakkers incollata a ruota. Il Tour Femmes andrà a Niewiadoma per 4 secondi“Thanks Barbs”. Guarischi salta l’ultima tappa e sul Glandon aiuta Vollering ad indossare la mantellina (foto tv Tour Femmes)
Che è quasi riuscito a Vollering. Secondo te si poteva fare di più?
Con i se e con i ma, si possono dire tante cose. Se invece di fare seconda dietro Pieterse, Demi avesse vinto la tappa di Liegi avrebbe avuto 4 secondi in più di abbuono. Se all’ultima tappa Rooijakkers le avesse dato un paio di cambi in più in pianura, avrebbero guadagnato ulteriormente. Ed altro ancora, però capite che non si può ragionare così, esistono anche le avversarie. Lorena e Christine (Wiebes e Majerus, ndr) hanno dato l’anima prima del Glandon. Demi stava facendo l’impresa, tanto che la stessa Niewiadoma, che non ha rubato nulla e se lo è guadagnato il Tour, ha detto che quando l’ha vista partire si era demoralizzata. E lei ha ringraziato il lavoro della Brand prima dell’Alpe d’Huez. E’ vero che si può sempre fare meglio, ma secondo noi la nostra tattica non è stata sbagliata, malgrado una serie infinita di critiche.
Ne avete avute molte? Il tuo sfogo social è anche frutto di questo?
Fin dai primi giorni abbiamo ricevuto di tutto sui nostri profili. Ho visto Lorena rimanerci male e piangere perché in privato le scrivevano cose non carine. Oppure che Demi era rimasta da sola apposta perché tanto a fine stagione andrà via. Non scherziamo. Per me c’è sempre una linea da non oltrepassare e questo è troppo. Però ci siamo ricompattate ulteriormente grazie allo staff che ci ha fatto da parafulmine per tutelare il nostro morale. A riprova che siamo davvero un grande team dove tutti sono utili alla causa.
Vollering a fine stagione lascerà la SD Worx per la FDJ. Per Guarischi sarà insostituibileVollering a fine stagione lascerà la SD Worx per la FDJ. Per Guarischi sarà insostituibile
Nel 2025 in pratica Vollering sarà rimpiazzata da Van der Breggen. Cambierà qualcosa per voi?
Bisogna dire che Demi non è rimpiazzabile, lei rimarrà sempre lei per noi ragazze e per questa squadra. Chiunque arriverà, pur forte che sia, non sarà mai Demi. Personalmente sono molto legata ad entrambe. Naturalmente dispiace molto che ci lasci perché è una grande persona prima ancora che una grande leader, mentre Anna è la mia allenatrice. Nello sport però sappiamo che ci sono cicli che possono finire e nuove avventure che possono iniziare. Anna riprende perché le mancava correre. In questi anni ha vissuto l’atmosfera bellissima tra di noi e vedevamo che aveva voglia di tornare a respirarla. In ritiro si è sempre allenata bene con noi. Ovvio che poi bisognerà vedere quanto impiegherà a ritrovare il ritmo. Ma lei, come Demi, ha tanta classe e non avrà problemi.
Wiebes di nuovo sul tetto d'Europa, davanti a Balsamo come nel 2022 a Monaco. Terza Pikulic. Ottima prova delle azzurre. Parlano Sangalli e Bastianelli
«Alle mie compagne ho detto subito che ero la Pimpa fatta e finita, ma in Spagna non esiste quel cartone animato. Mi hanno guardato felici e stranite». Se conosciamo un poco Cristina Tonetti ci avremmo scommesso forte su questa battuta quando alla fine della prima tappa del Tour Femmes ha indossato la maglia a pois.
Un’azione di alto coraggio per un basso “gpm” posizionato in… vetta al tunnel sulla Mosa. Ma se corri in Olanda quelle strade (in questo caso un sottopasso di venticinque metri sotto il livello del mare, anzi del fiume) diventano le salite di giornata e se sei in gara al Tour de France stai certo che nessuno ti regala nulla. Così Tonetti a Rotterdam ha azzardato il colpo portandolo a termine per la gioia della sua Laboral Kutxa. La nostra chiacchierata con la 22enne brianzola parte da qui, anche per fare un confronto su Vuelta, Giro Women e Tour Femmes, i tre grandi giri WorldTour che ha disputato.
A metà della prima frazione, Tonetti conquista il “gpm” sul Maasdeltatunnel dopo una fuga di 20 chilometri (foto tv Tour Femmes)A metà della prima frazione, Tonetti conquista il “gpm” sul Maasdeltatunnel dopo una fuga di 20 chilometri (foto tv Tour Femmes)
Cristina ti stai godendo un po’ di riposo?
Dopo il rientro dalla Francia sto facendo qualche giorno senza bici. Ne avevo bisogno, sia fisicamente che mentalmente, e so che mi farà molto bene. Riprenderò a correre l’8 settembre a Fourmies quindi ho tutto il tempo per prepararmi a dovere. D’altronde quest’anno ho corso tanto. In realtà mi è mancata solo la parte delle classiche perché per il resto ho fatto sette corse a tappe. Vuelta, Giro e Tour come Kuss l’anno scorso, ma con risultati decisamente più bassi (dice ridendo, ndr).
Che differenza hai notato tra le tre corse?
La prima riguarda il livello medio e il ritmo in corsa. Vuelta, Giro e Tour questo è l’ordine crescente. In Spagna e in Italia se hai una giornata storta ti salvi, in Francia no, perché ci arriva il meglio del ciclismo femminile mondiale e nessuna vuole fare brutte figure. Al Tour si va molto forte, troppo (sorride, ndr). Sul piano organizzativo invece devo dire che non ho notato grandi diversità. Il Giro Women con l’avvento di Rcs è cresciuto tantissimo ed è totalmente un’altra gara rispetto a prima. Le differenze però più importanti sono altre due, se vogliamo anche legate fra loro.
Solo quando è salita sul podio per la maglia a pois Tonetti ha realizzato veramente ciò che aveva fatto«Col body da crono sembro la Pimpa», così si è definita Tonetti riferendosi al cartone animatoSolo quando è salita sul podio per la maglia a pois Tonetti ha realizzato veramente ciò che aveva fatto«Col body da crono sembro la Pimpa», così si è definita Tonetti riferendosi al cartone animato
Spiegaci pure.
Sono il pubblico e il riscontro mediatico. Al Giro c’è molta gente sia in partenza che in arrivo, ma non lungo il percorso. Al Tour invece le strade sono piene, poi figuratevi partendo dall’Olanda quante persone c’erano. Sono rimasta impressionata dalla tappa che partiva da Valkenburg. Dopo circa quindici chilometri affrontavamo il Cauberg. C’era così tanta gente che facevi fatica a sentire il tuo respiro. E naturalmente il richiamo internazionale è incredibile. Siamo riconosciute da tutti. La cassa di risonanza del Tour è tutta amplificata. Ed anche lo stress purtroppo.
Il tuo Tour però è iniziato bene, diremmo con lo stress positivo della maglia a pois. Te lo aspettavi?
Innanzitutto devo dire che già solo essere alla partenza è stato bellissimo. Ho capito che sono vere tutte le cose che si dicono sulla sua atmosfera, proprio per i motivi a cui mi riferivo prima. Andare a caccia della maglia a pois era stata una mossa studiata, anche se non eravamo l’unica squadra ad averci pensato. Era un interesse di tante ragazze. Infatti vincere il “gpm” della prima tappa ti garantiva di salire sul podio anche per le successive due che erano piatta e a cronometro. Però tra il dire e il fare lo sapete anche voi che non è così facile. Anzi…
Il rituale dello schieramento delle maglie al via è stata una delle emozioni più forti per Tonetti (qui con Vollering)In ogni partenza si immortalano le maglie con un selfie. Tonetti qui con Vos, Kool, Ahtosalo e la sua compagna Blanco (la più combattiva del giorno prima)Il rituale dello schieramento delle maglie al via è stata una delle emozioni più forti per Tonetti (qui con Vollering)In ogni partenza si immortalano le maglie con un selfie. Tonetti qui con Vos, Kool, Ahtosalo e la sua compagna Blanco (la più combattiva del giorno prima)
Com’è nata quella tua fuga?
Prima che partissi io, ci aveva provato una mia compagna con a ruota Gaia Masetti, ma non il gruppo non gli ha lasciato spazio. Forse era troppo presto. Così dopo ci ho provato io da sola e probabilmente ho fatto male i conti perché mancavano più di venti chilometri. Significava un bello sforzo. Tuttavia sono riuscita a guadagnare subito un minuto e ho iniziato a gestirmi. Che poi non ti gestisci perché devi andare a tutta. Dall’ammiraglia mi incitavano costantemente dicendomi di resistere che il mio vero traguardo era il “gpm” e che poi avrei potuto rialzarmi. So che dietro l’inseguimento del gruppo ha subito un rallentamento a causa di una caduta. Non so se è stato quello o io che non ho mollato, ma alla fine ho vinto quel traguardo di metà tappa. E a quel punto ho fatto i restanti 60 chilometri col gruppo principale.
Immaginiamo che da quel momento in poi siano iniziate le emozioni.
Assolutamente sì. I miei diesse mi hanno fatto subito i complimenti, ma finché sei ancora in gruppo non te ne rendi conto perché c’è una corsa da finire e prestare attenzione. Ho veramente realizzato che avevo preso la maglia a pois quando sono salita sul podio del Tour. Quando ho visto tutto quel pubblico ero come pietrificata. Fortuna che dietro le quinte ho un po’ stemperato la tensione con qualche battuta e selfie assieme a Ahtosalo, la maglia bianca. Il mattino successivo alla partenza ancora imbarazzo.
Quest’anno Tonetti ha disputato Vuelta, Giro e Tour. Ora punta alla convocazione per l’europeo U23Quest’anno Tonetti ha disputato Vuelta, Giro e Tour. Ora punta alla convocazione per l’europeo U23
Ovvero?
Prima di partire chiamano tutte le maglie davanti come tradizione ed io ero nuovamente pietrificata. Avevo di fianco a me Marianne Vos, che per me rappresenta il mito assoluto. Quindici anni fa quando ho iniziato a correre lei era già la più grande. Stare accanto a lei in partenza al Tour, nel rituale delle maglie, mi ha fatto tremare le gambe. Ma anche qualche giorno dopo con Vollering avevo una sorta di reverenza nei suoi confronti. Sono atlete fantastiche. Non ho avuto il coraggio di parlare con loro prima del via, non volevo disturbarle. Solo con Kool, che è più vicina a me come età, ho scambiato un po’ di parole. Sono stati comunque momenti bellissimi.
Poi è iniziato un altro Tour?
Direi proprio di sì. Dalla quarta tappa sapevo che sarebbe diventato tutto più duro. Partivamo da Valkenburg con le salite dell’Amstel e arrivavamo a Liegi dopo aver superato le varie côte. E lì, quando vuoi difendere la maglia a pois, scattano corridori come Puck Pieterse o Persico o Niewiadoma, sai che puoi fare veramente poco. In ogni caso ho fatto quello che potevo e non posso rimproverarmi nulla. Poi le tappe successive con tanto dislivello paradossalmente sono andate meglio. Cioè, il mio lavoro per le compagne scalatrici si esauriva ai piedi delle salite, ma almeno potevo impostare il mio ritmo e stare più rilassata mentalmente. Certo, c’è sempre da arrivare al traguardo entro il tempo massimo, però nel gruppetto ci concedevamo qualche battuta, aiutandoci.
La maglia a pois di Tonetti è stata una soddisfazione condivisa con le compagne di squadra (foto Markel Bazanbide)La maglia a pois di Tonetti è stata una soddisfazione condivisa con le compagne di squadra (foto Markel Bazanbide)
Cos’ha dato il primo Tour Femmes a Cristina Tonetti?
Mi ha fatto capire diverse cose. Ti rendi conto di cosa sia veramente il ciclismo e di quanta professionalità ci sia dietro certe atlete. Ti rendi conto di quanta strada ci sia ancora da fare. Stare davanti in certe tappe è molto difficile. E a proposito di strada, personalmente credo di essere su quella giusta. Come squadra abbiamo fatto un salto di qualità ed anch’io voglio alzare ulteriormente il livello. Per quest’anno ho davanti a me ancora molte corse. La stagione potrebbe finire con le gare cinesi, ma prima vorrei provare a guadagnarmi una chiamata per l’europeo U23.
In partenza per Plouay, Soraya Paladin scherza sul fatto che alla prima uscita dopo il Tour de France Femmesal suo corpo sono servite due ore per provare nuovamente sensazioni da corridore. Quella che si è conclusa domenica scorsa sull’Alpe d’Huez è stata una settimana faticosa per tutte, per le ragazze della Canyon Sram Racing ha portato però la maglia gialla. La difesa di Kasia Niewiadoma dall’attacco frontale di Demi Vollering è ancora negli occhi, ma il duro lavoro che c’è stato per arrivare a quel momento magari non tutti lo hanno colto. A farlo ci aiuterà Soraya, atleta classe 1993 che della squadra è riferimento per gambe e carisma.
Niewiadoma era già stata terza al Tour de France Femmes dello scorso anno, in una carriera di qualche bella vittoria e tantissimi piazzamenti. Eppure nella stagione che l’ha vista vincere alla Freccia Vallone, la polacca si è presentata davanti alle compagne con lo sguardo alto e la sicurezza di essere pronta per la maglia gialla. E questo è bastato perché loro si siano messe totalmente a sua disposizione. Paladin racconta, le domande e le risposte si rincorrono ricordando il lungo viaggio.
Niewiadoma era partita per vincere il Tour e ci è riuscitaNiewiadoma era partita per vincere il Tour e ci è riuscita
Eravate davvero partite con l’idea che potesse vincere?
Con l’idea di provare a vincerlo, perché credevamo in Kasia. Ha dimostrato di andare a forte. Ha detto che lo aveva preparato bene, quindi perché no? Sapevamo che dall’altra parte c’era un’avversaria forte, però era giusto darle l’importanza che meritava. E’ arrivata con la consapevolezza di avere tra le mani una grande occasione, quindi anche noi come squadra ci siamo messi al suo fianco e siamo partite per provare a vincerlo.
Hai parlato di settimana molto dura: quanto è stato impegnativo?
Ogni anno il Tour, si sa, è una gara impegnativa perché il livello è altissimo. Quest’anno poi siamo partiti dall’Olanda, quindi gare piatte e tanto nervosismo in gruppo. Non voglio dire che fossero tappe pericolose, ma si sentiva la tensione. Le strade dell’Olanda non ti lasciano un attimo di respiro, devi sempre essere attento alla curva, alla strada pericolosa che si trova… Quindi siamo sempre andati forte, sempre tappe a tutta. Non c’è mai stato un giorno in cui si è arrivati all’arrivo dicendo che tutto sommato ce la fossimo cavata con poco. In più, dover proteggere Kasia tenendola davanti è stato uno stress mentale in più. Per cui siamo arrivate alla fine un po’ più stanche del solito. In più le ultime tappe erano quelle più pericolose per la generale, per cui sei sempre in tensione.
Quanto si è consumato in Olanda, anche se non c’erano grandi salite, per stare davanti?
Sapevamo che erano le tappe sulla carta più facili, dove però si poteva perdere tutto. Kasia inoltre è una cui piace correre davanti, quindi ha chiesto espressamente di avere le compagne attorno per passare indenni queste tappe, con meno rischi e meno stress possibili. Quando è così, c’è tanta tensione. E al netto della fatica fisica, ci sono le dinamiche di gara in cui può succedere di tutto. Tutti vogliono stare davanti, ma non c’è spazio. E quindi succede che pur nei limiti della correttezza, qualche gomito viene alzato.
Paladin sapeva dall’inizio che al Tour avrebbe lavorato per NiewiadomaPaladin sapeva dall’inizio che al Tour avrebbe lavorato per Niewiadoma
Di questo Tour sin alla presentazione si disse che si sarebbe deciso sull’ultima salita. C’è mai stata l’idea di dargli una svolta prima del finale?
L’unico giorno in cui c’è stata l’idea di provare, ma dipendeva da come sarebbe andata la gara, è stato quello sul percorso della Liegi. Ad aprile su quelle strade Kasia aveva dimostrato di saper andare forte e di fatto è riuscita a guadagnare qualche secondo su alcune avversarie. Però fare qualcosa nelle altre era troppo difficile. Nel ciclismo di adesso, nel nostro ciclismo, anche per le donne è difficile fare differenza in una tappa non troppo dura, perché le squadre sono ben organizzate per aiutare il proprio leader. In più nessuna aveva mai fatto così tanti chilometri con così tanto dislivello negli ultimi giorni di un Tour così impegnativo, quindi si vedeva che erano tutte un po’ preoccupate dalle ultime due tappe.
Quanto si è sentito il fatto che il Tour abbia allungato mediamente tutte le tappe?
Si è sentito parecchio, perché poi c’erano anche dei trasferimenti abbastanza lunghi ed è stato difficile riposare. Eravamo sempre tirati.
Avevate fatto qualche recon sui vari percorsi?
Io ero andata a vedere la tappa della Liegi e quelle olandesi nei giorni fra l’Amstel e la Freccia Vallone. Invece Kasia, con Bradbury e Chabbey, aveva fatto la ricognizione delle ultime tre, quattro tappe. Per questo quando siamo arrivati alla partenza delle ultime, almeno loro sapevano cosa le aspettava. Io per fortuna ho fatto l’Alpe d’Huez solo una volta e mi è bastata. In realtà è una salita bellissima e molto pedalabile. Secondo me il Glandon, che abbiamo fatto prima, è molto più duro. Gli ultimi chilometri sono stati un inferno.
L’arrivo all’Alpe d’Huez: salita gestita con freddezza e grandi gambeL’arrivo all’Alpe d’Huez: salita gestita con freddezza e grandi gambe
Sapevate che Vollering avrebbe attaccato…
Ne avevamo parlato in riunione e l’avevo immaginato. Un minuto e 15 da recuperare per Demi era tanto, ma anche poco. Ho detto a tutte che se voleva provare, visto che lei non aveva niente da perdere e conoscendo come ha sempre corso, secondo me non avrebbe aspettato l’Alpe d’Huez. Poi quando ho visto che avevano mandato delle compagne in fuga, a maggior ragione ho detto a Kasia che avrebbe provato ad attaccarla sulla prima salita. Sperava che quelle in fuga scollinassero davanti per ritrovarsele nella valle. Perciò la nostra tattica sarebbe stata rimanere con Kasia anche se fossero andate via fughe pericolose. E poi nella valle prima del Glandon avremmo cercato di chiudere più possibile il gap.
Ti aspettavi che Kasia riuscisse a fare una difesa del genere?
Lo speravo e penso che anche lei lo sperasse. Però sapevamo che dall’altra parte c’era una grande campionessa, che ha dimostrato di fare imprese grandiose. Quindi ci speri, ma sai anche che potrebbe non avverarsi. E’ stata brava, lucida mentalmente per tutta la gara. Non si è fatta prendere dalle emozioni e dal fatto che a un certo punto stava per perdere la maglia. Ha fatto quello che doveva fare e c’è riuscita.
Si è un po’ mormorato sul vostro tirare dritto del giorno di Ferragosto quando Vollering in maglia gialla è caduta a 6 chilometri dall’arrivo di Amneville, cosa si può dire? Vi siete accorti che era caduta?
Come ho detto prima, eravamo più che altro focalizzate sullo stare davanti nei momenti pericolosi. Sapevamo che quello era un finale complicato e insieme adatto per Kasia, quasi una classica. Per cui siamo partite per farle un leadout, sperando che riuscisse a fare il podio per prendere gli abbuoni (Niewiadoma è poi arrivata seconda dietro Vas, prendendo 6” di abbuono, ndr). Sapevamo che c’era questa strada grande in discesa e poi delle curve, che abbiamo preso davanti.
Giorno di Ferragosto: Vollering nervosa. Per una caduta ha appena perso la magliaIl giorno dopo, Kasia è in giallo, ma Demi promette la vendettaGiorno di Ferragosto: Vollering nervosa. Per una caduta ha appena perso la magliaIl giorno dopo, Kasia è in giallo, ma Demi promette la vendetta
Non avete sentito nulla?
Ho sentito della confusione dietro, però in quei momenti fai fatica a girarti e capire cosa stia succedendo. In più davanti c’erano ancora due atlete della SD Worx che giravano a tutta e non mi sono neanche posta il problema che Demi fosse caduta, sennò immagino che si sarebbero rialzate. Quindi abbiamo continuato a fare il nostro treno e solo dopo abbiamo saputo che Demi era caduta e aveva perso secondi. Tanto che Kasia quando è arrivata non sapeva neanche di aver preso la maglia.
Come sono state le serate dopo le tappe?
Ci sono stati alti e bassi, perché abbiamo perduto Elise Chabbey nei primi giorni, che era un’atleta importante per noi sulle salite. Quello è stato un momento negativo. Poi Kasia è caduta, ma per fortuna non si è fatta niente. Anche Chloe (Dygert, ndr) è caduta e pensavamo si fosse fatta peggio di quello che poi è stato. Ci sono sempre quei momenti di tensione che devi saper gestire, però per il resto l’umore era alto. Sapevamo che avremmo dato tutto per arrivare in cima all’ultima tappa senza rimpianti.
E come è stata la sera in cima all’Alpe d’Huez?
Non avevamo programmi, la squadra non aveva voluto programmare niente per scaramanzia. Poi una volta che abbiamo vinto, prima abbiamo festeggiato in bus mentre aspettavamo Kasia, poi lo staff ha organizzato un’apericena in un hotel della zona e abbiamo brindato tutti insieme. E’ stato bello. Poi siccome avevamo l’hotel a Grenoble, dato che alcune ragazze avrebbero avuto il volo il mattino dopo, nel cuore della notte si è fatto anche quell’ultimo trasferimento.
La festa sul pullman e poi in strada quando Niewiadoma è tornata dal protocollo (foto Instagram)La festa sul pullman e poi in strada quando Niewiadoma è tornata dal protocollo (foto Instagram)
Aiutare Kasia ha significato che tu sei partita sapendo di non avere possibilità personali?
Ce lo avevano detto dall’inizio. Non sarebbe stato impossibile trovare spazio, ma tutto dipendeva da come andava la gara. Però non mi è pesato. Kasia è una ragazza molto onesta e so che se lei dice che ha preparato bene un obiettivo, è davvero lì per vincerlo. Non mi sono neanche preoccupata del fatto che non avessi possibilità di fare del risultato e ne è valsa la pena.
Hai anche dimostrato di essere arrivata nei giorni delle Olimpiadi con la giusta condizione…
Diciamo che è andata così, dai. Non ho ancora sentito Sangalli a proposito di programmi futuri, però mi ha fatto i complimenti per il Tour. Adesso pensiamo a Plouay. Una corsa così una settimana dopo il Tour è un’incognita. Il fisico deve sbloccarsi, quindi può reagire molto bene come pure il contrario. Il percorso mi piace molto, magari riesco a farmi un bel regalo…
E’ cominciato tutto sul Col du Glandon a 54 chilometri dall’arrivo, quando Demi Vollering ha sferrato l’attacco da lontano per riaprire il Tour de France Femmes. Il ritardo di 1’15” non le consentiva di aspettare troppo e anche per questo alla sua ruota si è incollata Pauliene Rooijakkers, staccata a sua volta di 1’13”. E’ stata una giornata eterna, a capo di un Tour di quasi mille chilometri. Eppure si decide tutto negli ultimi due chilometri dell’Alpe d’Huez, a capo di due scalate parallele. Davanti quella delle due olandesi, dietro quella di Kasia Niewiadoma in maglia gialla, con Gaia Realini ed Evita Muzic. Le due davanti, all’attacco della maglia gialla. Le due dietro, che involontariamente l’hanno aiutata a contenere il ritardo, all’attacco di un miglior piazzamento finale.
La SD Worx fa il ritmo subito dopo la partenza: Vollering attaccherà, Niewiadoma è a ruotaCol du Glandon, Vollering attacca. Alla sua ruota resiste solo RooijakkersLa SD Worx fa il ritmo subito dopo la partenza: Vollering attaccherà, Niewiadoma è a ruotaCol du Glandon, Vollering attacca. Alla sua ruota resiste solo Rooijakkers
L’Alpe di colpo spoglia
L’Alpe senza i suoi tifosi è un luogo strano. Oppure forse si dovrebbe dire che è strano, in quell’unico giorno quando capita, vedere centinaia di migliaia di persone allegre ed alticce su una strada di montagna. L’Alpe delle donne è silenziosa e severa. Non si vuol dire con questo che non ci sia pubblico, perché gente c’era, soprattutto in cima. Ma la strada è larga e lo sforzo sembra scolpito con maggiore profondità sui volti delle ragazze. La moto riesce a inquadrarle da vicino e di lato, non solo da dietro o dal davanti come quando ci sono le ali di folla che fanno colore e soprattutto paura.
Vollering davanti dà la sensazione di poter capovolgere il discorso. Mangia un gel. Ha il respiro sincronizzato con la pedalata e lo sguardo fisso davanti, ma più probabilmente verso un riferimento dentro di sé. Eppure fra l’ottavo e il settimo chilometro al traguardo, Niewiadoma inverte la tendenza e si mette a salire con le mani sotto, nel gesto da cui solo Pantani e a volte Bartoli riuscivano a trarre velocità vincenti. E lentamente il vantaggio, che per un paio di chilometri ha vestito virtualmente di giallo le attaccanti, torna sotto il livello di guardia. L’anno scorso si decise tutto sul Tourmalet, quando Vollering sfilò la maglia alla compagna Kopecky. La sensazione è che Niewiadoma abbia trovato il modo per tenere lontani i demoni della paura e della sconfitta.
«E’ stata una vera montagna russa di emozioni – dice la polacca – da quando Demi ha attaccato sul Glandon e io ho temuto di essere arrivata al punto di rottura. Sentivo che le gambe non spingevano più, ho pensato che fosse tutto finto. Invece nella discesa sono riuscita a ricostruirmi, a rinfrescarmi e sono stata davvero fortunata ad avere Lucinda Brand nel mio stesso gruppo. Penso che dovrò anche ringraziare molto anche la Lidl-Trek perché hanno fatto un ottimo lavoro anche per me…».
Vollering conquista l’Alpe d’Huez, ma non basta per ribaltare il TourSull’Alpe d’Huez la difesa di Niewiadoma è di testa e gambeVollering conquista l’Alpe d’Huez, ma non basta per ribaltare il TourSull’Alpe d’Huez la difesa di Niewiadoma è di testa e gambe
Un colpo alla sfortuna
L’Alpe d’Huez sistemerà tutto, vedrai Demi. La vincitrice uscente del Tour continua a spingere davanti con quel suo andare composto e potente, che sembra non dare scampo alla polacca che là dietro si alza sì sui pedali, ma sembra andare più agile. In realtà Niewiadoma sta usando la testa più dell’olandese. Chiede cambi a Realini e Muzic, mentre Vollering davanti fa da sé. Ha presto capito che la connazionale Rooijakkers ha il suo stesso obiettivo (e due secondi di meno da recuperare in classifica) e non le darà certo una mano. Demi spinge potente e sicura, ma scava nel serbatoio delle sue riserve.
La sfortuna non l’ha risparmiata. Ai meno sei dall’arrivo del giorno di Ferragosto, la caduta l’ha tirata via dalle prime posizioni della classifica. Era rimasta da sola, le ammiraglie non c’erano e non ha potuto prendere la bici da una compagna.
Alle sue spalle, Niewiadoma invece ha sentito chiaramente di avere l’occasione per rifarsi dei tanti secondi posti e della sfortuna che negli anni non le ha risparmiato alcun colpo. Quando poi ai 2 chilometri dall’arrivo ha visto correre al suo fianco il marito Taylor Phinney – quello della BMC e dei tre mondiali su pista e i due della crono – le forze si sono moltiplicate.
«Sull’Alpe d’Huez – racconta – sapevo che dovevo solo dosare bene il mio ritmo, così da poter dare il massimo negli ultimi 5 chilometri e ridurre al minimo il distacco. A essere onesta ho perso di nuovo la fiducia. Negli ultimi 2 chilometri alla radio urlavano così tanto che non ho capito più niente. E’ stato folle. Ho attraversato un momento terribile in quest’ultima salita. Ho odiato tutto, fino ad arrivare al traguardo e scoprire di aver vinto il Tour de France, il che è pazzesco!».
L’Alpe d’Huez saluta il podio finale del Tour Femmes: vince Niewiadoma su Vollering e RooijakkersLa notizia è appena arrivata: il Tour è di Niewiadoma. Vollering si china sulla biciL’Alpe d’Huez saluta il podio finale del Tour Femmes: vince Niewiadoma su Vollering e RooijakkersLa notizia è appena arrivata: il Tour è di Niewiadoma. Vollering si china sulla bici
Per quattro secondi
Demi Vollering ha conquistato l’Alpe d’Huez. Ha tagliato il traguardo con un ghigno e le dita alla testa, poi si è lasciata spingere avanti. Si è fatta sfilare la bici di sotto e si è distesa sulla strada per riprendere meglio fiato. Quando Niewiadoma è arrivata, il suo staff sul traguardo contava i secondi con le mani. E quando lei ha tagliato il traguardo, per sicurezza hanno contato ancora e si sono accorti che il Tour era vinto per 4 secondi. E quando lo hanno detto a Kasia, che era per terra attonita e all’oscuro di tutto, le lacrime hanno iniziato a scendere copiose sul suo viso.
Contemporaneamente, lacrime ben più amare hanno iniziato a scuotere il petto di Demi Vollering. Si può impazzire sapendo di aver perso un Tour de France per 4 secondi, come accadde al povero Fignon che perse quello del 1989 per 8. Ma si può anche impazzire per la gioia sapendo di averlo vinto con un margine così esiguo. Così accadde a Greg Lemond nello stesso anno e così accade a Kasia Niewiadoma, che solleva la bici al cielo e ride e non sta più nella pelle.
«E’ così incredibile – dice – perché ci sono così tante persone cui sono grata e riconoscente. A partire da mio marito, la mia famiglia, tutta la squadra. Il mio allenatore, che ha lavorato così tanto per prepararmi a questo. E i miei amici! Questa vittoria è dedicata a tutte le persone che hanno contribuito alla vittoria!».
In questo 2024 la fortuna è decisamente girata. Se ne era accorta lei e noi subito dietro quando ha spianato il Muro d’Huy, ma adesso è arrivata un’inequivocabile conferma. I secondi posti hanno continuato a inseguirla e anche la volatina persa sull’Alpe d’Huez conferma quello che storicamente è un suo punto debole. Ma questa volta non ne farà un dramma. Vestita della sua maglia gialla, troverà certamente il modo per farsene una ragione.
Presentati il Tour Femmes e il Tour uomini. Presenti Vollering e Vingegaard, vincitori 2023. Alpe d'Huez per le donne. PIrenei poi le Alpi per gli uomini