Bouwman lascia la Visma e parla di Roglic e dell’anno nero

28.10.2024
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La maglia azzurra messa sulle spalle nel 2022, quella rosa conquistata dal suo capitano Roglic nel 2023 e quella giallonera riposta quest’autunno definitivamente nell’armadio dopo un decennio in casa Visma. Koen Bouwman guarda con curiosità al 2025 che lo vedrà vestire un nuovo completo, quello della Jayco-AlUla, la formazione australiana che l’anno prossimo punterà fortissimo su Ben O’Connor nei Grandi Giri.

Le corse di tre settimane sono il pane quotidiano per il trentenne olandese, che vuole tornare a disputarle dopo averle viste da spettatore nel 2024. Il successo alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali in primavera, infatti, non ha poi portato fortuna per il resto dell’annata e la voglia di rivalsa è tanta per il corridore oranje che compirà 31 anni il prossimo 2 dicembre.

Finalmente in vacanza?

In realtà non proprio, perché ho appena comprato casa con la mia fidanzata e ci hanno consegnato le chiavi da poco, per cui ho un po’ di appuntamenti e lavori da fare. Abbiamo deciso di prenderla nella città in cui sono nato e cresciuto: Ulft, nella parte orientale dei Paesi Bassi, vicino al confine con la Germania. Avevo pensato di trasferirmi in Andorra, a Girona o da qualche altra parte, ma essendo spesso in ritiro, quando sono a casa preferisco essere davvero a casa e in questo posto mi sento così.

Il tuo 2024 si è chiuso col Tour di Guangxi: qual è il tuo bilancio?

Direi che è stato un mix di sensazioni contrastanti. Era cominciato in Australia, quasi inaspettatamente, ma mi sentivo già bene pur senza troppi allenamenti ed è stato positivo direi fino al Romandia. Alla Parigi-Nizza, così come alla Coppi e Bartali, ho raggiunto il livello più alto della stagione. Era dall’inverno che puntavo a vincere almeno una corsa e direi che con quest’ultima ho centrato l’obiettivo, poi sono andato ad allenarmi in altura. Non dovevo fare Grandi Giri, ma ero riserva per il Giro d’Italia, per cui volevo farmi trovare pronto in caso di rinunce o infortuni. Sono andato al Romandia e lì purtroppo mi sono ammalato. Ho avuto la febbre quasi a 40 per una settimana e così, pur essendo arrivata la chiamata per il Giro, ho dovuto rinunciare. Dal Tour of Norway in poi, non ho più ritrovato le sensazioni giuste. In Polonia non è stato niente di eccezionale, poi ho fatto qualche gara di un giorno e ad Amburgo sono caduto male, incrinandomi qualche costola con annessi problemi a un rene. Ho fatto di tutto per esserci al Guangxi per dare il mio ultimo supporto alla squadra e finire in sella la mia lunga avventura in giallonero e non con una caduta.

Com’è andata?

Sono arrivato in Cina con appena 25/30 ore di allenamento ed è stata una corsa durissima. Negli ultimi giorni ero davvero al limite, ma alla fine sono felice di esserci stato e di aver chiuso così il capitolo con la Visma. 

Com’è stata l’ultima stagione dopo la partenza di Roglic e cosa ti porti dietro di questo decennio?

Il 2023 è stato un anno pazzesco perché ci è mancata soltanto una Monumento, ma per il resto è stato tutto incredibile. Il 2024 è stato tutto il contrario perché, dopo una stagione come quella, non siamo riusciti a raggiungere nessuno degli obiettivi prefissati in inverno, anche a causa di diversi episodi sfortunati. Salverei Matteo Jorgenson, che ha avuto una grande stagione e ha mostrato quello di cui è capace, ma per il resto tutte le cadute dei leader hanno mandato in frantumi i sogni di gloria. Forse un’annata così può comunque far bene alla squadra, per far capire che quello che abbiamo ottenuto nel 2023 è stato qualcosa di fuori dal normale e che sedersi sugli allori non basta. Nel complesso, non è stata una stagione pessima perché tutti abbiamo lottato finché abbiamo potuto, ma al tempo stesso non è stata facile. Lo si è visto anche in Cina dove eravamo soltanto in 6 a causa dei vari acciacchi. Alla fine però, bisogna accettarla per quello che è stata. 

Che cosa ti ha portato a cambiare squadra?

Il punto di svolta è stato già lo scorso inverno, quando abbiamo cominciato a pianificare il 2024 con lo staff. In quel momento, conosci il tuo calendario per la prima parte di stagione e anche un pezzo della seconda. Per me è stata una grande sorpresa non essere nelle liste per un Grande Giro ed ero molto contrariato sul programma che mi avevano assegnato e la preparazione era totalmente differente rispetto al 2023. Lì ho capito che era il momento di cambiare. Abbiamo parlato un po’ con la squadra, ma ho cominciato a guardarmi attorno. Verso metà aprile, sono cominciati i dialoghi con la Jayco-AlUla e in breve tempo abbiamo trovato un accordo.

Che cosa ti aspetti dalla nuova sfida?

Sono molto felice di questa scelta e sono certo che così potrò di nuovo focalizzarmi sui Grandi Giri e avere qualche occasione di vincere gare di un giorno. Non so ancora se supporterò Ben (O’Connor, ndr) per la classifica generale in un Grande Giro o se aiuterò Dylan (Groenewegen, ndr) per gli sprint, perché è ancora tutto da decidere. A dicembre ne capirò qualcosa di più, ma non vedo l’ora, soprattutto di tornare ad avere libertà in alcune corse.

Al Polonia ha aiutato per l’ultima volta un leader della Visma a vincere: qui l’abbraccio con Vingegaard
Al Polonia ha aiutato per l’ultima volta un leader della Visma a vincere: qui l’abbraccio con Vingegaard
Quali sogni di vincere, se potessi scegliere?

Domanda difficile, ma forse direi un’altra tappa al Giro o alla Vuelta: sarebbe un sogno arrivare a braccia alzate.

Se avessi tu in mano il pallino, che Grande Giro vorresti fare?

Beh, un giorno mi piacerebbe andare al Tour de France. Ma anche l’accoppiata Giro e Vuelta mi stuzzica, per cui davvero non saprei scegliere. So solo che le corse di tre settimane si addicono alle mie caratteristiche e adoro anche tutta la fase di preparazione per arrivarci. Mi auguro di mostrare una buona forma sin dall’inizio e poi vedremo che sarà.

Hai aiutato Roglic a vincere un Giro: che suggerimento daresti a O’Connor per ripetere un’impresa simile?

Ben forse non è del livello di Vingegaard, Roglic e Pogacar, ma senza dubbio gli è molto vicino e quest’anno ha dimostrato di essere uno dei contendenti quando si parla di Grandi Giri. A parlare saranno le gambe, ma sono sicuro che con la nostra squadra potremmo aiutarlo in questa sfida.

Che emozione è stata la cavalcata rosa con Primoz?

Il momento più bello è stato al Monte Lussari. Sin dal primo camp in altura, Primoz parlava soltanto del Monte Lussari e ci era già andato a piedi in inverno, durante una passeggiata con sua moglie. Era certo che il Giro si sarebbe deciso lì. Non è stato facile perché durante le tre settimane ha avuto momenti in cui non stava benissimo ed è stato speciale vivere tutti quei momenti da così vicino, sia quelli positivi sia quelli negativi. È stato incredibile, poi persino col salto di catena. Quando ha tagliato il traguardo e abbiamo capito che aveva vinto, è stato un momento che non mi scorderò mai, un’esplosione di emozioni.

Bouwman in azione sul Monte Lussari al Giro del 2023: è il giorno in cui Roglic prenderà la maglia rosa a Thomas
In azione sul Monte Lussari al Giro del 2023: è il giorno in cui Roglic prenderà la maglia rosa a Thomas
Che ne pensi della sua dichiarazione recente in cui afferma che correrà dove non ci sarà Pogacar al via?

Conosco Roglic abbastanza bene per i nove anni fatti insieme e per il grande rapporto che ci lega. Posso affermare che il 90% di quello che dice è solo per divertimento. So che lui vuole vincere il Tour più di ogni altra cosa, per quanto anche un altro successo al Giro o alla Vuelta sarebbero davvero grandiosi, per cui non mi stupirei di vederlo di nuovo in Francia.  

Come sei arrivato al ciclismo da bambino?

Giocavo a badminton e calcio, ma già da piccino avevo chiesto a mamma e papà di regalarmi una bici e se non ricordo male, la prima è arrivata quando avevo 4 anni. Giocavo abbastanza bene a calcio a livello regionale, ma quando ho iniziato ad allenarmi tre volte a settimana sul rettangolo verde oltre alla bici, ho capito che era arrivato il momento di scegliere.

De Pretto, un anno in più: il giovane cresce e sogna in grande

20.10.2024
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TORINO – Se tanti in gruppo gli dicono «Bravo, giovane», un motivo ci sarà. La prima stagione nel WorldTour per Davide De Pretto è stata tutta una scoperta, ma il ventiduenne di Thiene ha dimostrato di avere stoffa. Basti pensare che, pochi giorni dopo la chiacchierata con noi, ha sfiorato il podio del Giro del Veneto, chiuso al 4° posto. Senza dimenticare il primo hurrà tra i grandi al Giro d’Austria a luglio.

Come ci ha raccontato Luka Mezgec, arriverà il tempo in cui lo vedremo a braccia alzate in corse di spessore. Ma per il momento godiamoci, pedalata dopo pedalata, questo talento in erba e ci facciamo raccontare che cosa vuol dire limare tra i grandi verso le posizioni che contano.

Il 3 luglio a Bad Tatzmannsdorf arriva la prima vittoria da pro’ su Oliveira (foto Tour of Austria)
Il 3 luglio a Bad Tatzmannsdorf arriva la prima vittoria da pro’ su Oliveira (foto Tour of Austria)
Raccontaci la tua prima volta al Lombardia: com’è stata?

Impegnativa, senza dubbio. Sapevo che sarebbe stata una gara dura, ma ci sono arrivato preparato. Come squadra, forse ci aspettavamo qualcosa di più. Il mio lavoro era tenere davanti i miei compagni fino all’ultima salita lunga, poi io ho fatto il mio ritmo. Comunque, è stata una bella esperienza per il futuro.

Era come lo sognavi?

L’anno scorso ero andato all’arrivo del Lombardia e, vedendo vincere Pogacar, mi sono detto: «Sarebbe bello fare questa gara l’anno prossimo». In realtà, avevo fatto anche la Sanremo in primavera ed era stata anche quella una bella avventura.

Hai aperto e chiuso con due Monumento una stagione da ricordare: è quello che ti aspettavi dalla tua prima da pro’?

In realtà, non mi aspettavo tutti questi risultati da subito, già da gennaio. Sin dall’Oman, ho capito che potevo dire la mia e sono riuscito poi a mantenere la condizione per tutta la stagione.

Il 2024 di De Pretto è iniziato con la Sanremo e ha visto anche il Lombardia, corso in appoggio ai compagni
Il 2024 di De Pretto è iniziato con la Sanremo e ha visto anche il Lombardia, corso in appoggio ai compagni
Ci spieghi che cosa cambia col grande salto nel WorldTour?

L’organizzazione delle squadre prima di tutto. Sei seguito in ogni piccolo particolare, soprattutto negli allenamenti, monitorato dai fisio e ti controllano dai piedi alla testa. Ognuno viene trattato allo stesso livello, senza che il palmares abbia un peso.

Hai fatto più o meno chilometri dello scorso anno?

Secondo me qualcuno in meno come totale, tipo 2.000 in meno, però quest’anno ho corso decisamente di più. Mi sono divertito molto ed essere al via con la maglia di una squadra importante è stato davvero stimolante.

Chi è il corridore che ti ha insegnato di più o che ti ha colpito?

Le prime gare mi guardavo attorno e scovavo corridori che ero abituato a seguire la tv. Mi ricordo ad esempio che mi ha impressionato Mohoric in Spagna, quando è andato via in discesa e ha vinto alla Vuelta Valenciana. Oppure in un’altra occasione McNulty. Poi ci fai l’abitudine, a forza di correrci insieme e cominci a pensare a te stesso. 

Ti piace come ti ha accolto il gruppo?

Sì, in tanti mi dicono: «Bravo, giovane». Essendo neopro’, è così che vengo chiamato da chi è già nel circuito da qualche annetto. Sanno che posso essere pericoloso perché ho iniziato a farmi notare.

Dopo le top 10 al Pantani e al Matteotti, De Pretto ha partecipato al mondiali U23, ma non li ha terminati a causa del freddo
Dopo le top 10 al Pantani e al Matteotti, De Pretto ha partecipato al mondiali U23, ma non li ha terminati a causa del freddo
Che cosa ti aspetta nel futuro prossimo?

Un po’ di vacanza in Kenya con la mia fidanzata Elisa (con lui nella foto di apertura dopo il quarto posto al Giro del Veneto, ndr). Ci conosciamo dalle medie e quest’anno mi ha seguito praticamente ovunque, sin dalle corse di inizio stagione in Spagna. Per cui ora voglio godermi qualche giorno di relax con lei per arrivare all’anno prossimo ancora più carico.

Piani per il 2025?

Spero di fare il primo Grande Giro della mia carriera e mi auguro sia proprio il Giro d’Italia. Poi sarebbe bello qualche vittoria o podio importante in gare che contano. Ci saranno nuovi corridori in squadra, per cui sono pronto ad aiutarli.

Ti stuzzicano arrivi come quelli di Ben O’Connor e Koen Bouwman?

Ho incrociato Ben alle visite qui a Torino e abbiamo cominciato a conoscerci. Lui come Koen sono corridori importanti e ti stimola anche aiutarli perché sai che possono ottenere buoni risultati.

Ti senti più uomo da classiche o da Grandi Giri?

L’anno prossimo spero di testarmi sulle tre settimane così vedremo. Per ora mi trovo bene nelle gare a tappe più corte, quelle di una settimana, poi nelle gare di un giorno ravvicinate l’una all’altra ho visto che se ho un recupero in mezzo di uno o due giorni, riesco a farmi trovare pronto. 

Una settimana dopo il ritiro dal mondiale U23, per De Pretto è venuto l’ottavo posto alla Coppa Agostoni
Una settimana dopo il ritiro dal mondiale U23, De Pretto è arrivato ottavo alla Coppa Agostoni
Sogni nel cassetto?

Ho fatto la Sanremo quest’anno e sono arrivato nel secondo gruppo, a 30 secondi dal primo. Quindi, direi che è una gara che mi si addice. Sarebbe un sogno, perché sono quelle vittorie che ti svoltano la carriera.

Hai chiesto qualche consiglio a Matthews che l’ha sfiorata a ripetizione?

Non l’ho visto tanto in verità, perché abbiamo fatto un calendario abbastanza diverso. Però, ero presente quando ha fatto 2° alla Sanremo lo scorso marzo. Era dispiaciuto, ma anche contento perché un secondo posto in una Monumento è pur sempre un bel traguardo. E’ un ragazzo come gli altri, molto tranquillo e disponibile.

La Sanremo dal 2025 aprirà anche alle donne: il tuo commento?

Penso che oramai tutte le gare più importanti abbiano una versione femminile, per cui questo è un altro bel passo in avanti.

Ai giovani che sono lì per fare il salto da pro’, che consiglio daresti?

Di prepararsi bene durante l’inverno, poi fare sempre le cose fatte bene e i risultati si manifestano già nel corso della stagione. Non bisogna mai aver fretta e lavorare duro ogni giorno.

Vuelta, mondiali e nuova squadra: cosa dice O’Connor?

19.10.2024
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TORINO – Il peso di una Nazione sulle spalle, ma Ben O’Connor non è uno che si lasci influenzare dal giudizio altrui né dalle pressioni. L’ha dimostrato con un finale di stagione da applausi, andandosi a prendere il tanto agognato podio in un Grande Giro alla Vuelta, riscattandosi così di quello sfuggitogli all’ultimo Giro d’Italia e in precedenza al Tour del 2021. Non contento, ha sfoderato un’altra piazza d’onore di prestigio nella rassegna iridata in quel di Zurigo.

Mentre lo guarda svolgere i test all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torino, Brent Copeland si frega le mani pensando al gioiellino che sarà il farò della Jayco-AlUla per il 2025. L’aspetto che lo stuzzica di più è proprio il fatto che i due secondi posti ottenuti dal ventottenne di Perth siano arrivati in corse così diverse sia come tipologia sia per le condizioni ambientali e metereologiche. Ora il manager della squadra australiana è ancora più convinto nell’avergli affidato il compito di raccogliere l’eredità di Simon Yates.

Abbiamo incontrato Ben O’Connor in occasione delle visite del Team Jayco-AlUla presso il Centro IRR di Torino
Abbiamo incontrato Ben O’Connor in occasione delle visite del Team Jayco-AlUla presso il Centro IRR di Torino
Ben, che effetto ti fa il pensiero di indossare dal 1° gennaio 2025 la maglia di una squadra australiana?

I quattro anni con la Decathlon hanno rappresentato un’esperienza completamente nuova, ma sarà speciale far parte di una squadra del mio Paese. Mi conforta molto perché, pur vivendo a migliaia di chilometri dalla nostra Australia, in effetti mi sentirò un po’ a casa. Sono contento di ritrovare un amico come Luke Durbridge e uno staff di connazionali. Essere il capitano della Jayco-AlUla in un Grande Giro poi, sarà una motivazione enorme ad alzare ancora l’asticella per portare in alto la nostra bandiera comune. Spero di ripetere quanto fatto quest’anno.

Sei cresciuto in una Nazione esplosa con i successi di campioni come Cadel Evans e Simon Gerrans: hai sempre pensato di fare il ciclista?

In realtà, no. Ho provato moltissimi sport, come ad esempio il cricket, il calcio e anche la corsa. Il Tour de France era sempre in tv da noi, ma il ciclismo non è mai stata un’ossessione, semmai un’opportunità che si è creata. Ci ho provato e, con il supporto dei miei genitori che mi hanno comprato la prima bici da corsa, è cominciato tutto. E’ successo tutto in fretta e in maniera inaspettata. In poco tempo mi sono trovato da correre nelle gare nazionali in Australia a gareggiare col primo team Continental in Asia. Fino ad arrivare in Europa l’anno dopo, nel 2017, e cominciare a vivere come un ciclista professionista

Nell’ultima settimana, O’Connor ha perso l’occasione di scalare il podio del Giro. Sul Grappa 9° posto di tappa
Nell’ultima settimana, O’Connor ha perso l’occasione di scalare il podio del Giro. Sul Grappa 9° posto di tappa
Sei passato da essere spettatore alla tv a esserne protagonista, visto che negli ultimi anni ti abbiamo visto parecchio anche nella serie sul Tour de France trasmessa da Netflix. Ti sei divertito?

Forse sono stato in onda pure troppo e chiedo scusa a tutti gli utenti che mi hanno guardato. Dai, almeno non ci sono nella prossima stagione, per cui vi do un po’ di sollievo. E’ stato interessante, ma direi che preferisco vedere le corse piuttosto che la serie di Netflix.

Beh, il tuo 2024 è stato un film avvincente, sei d’accordo?

Direi proprio di sì, penso di aver finalmente espresso il mio potenziale. Al Giro mi è spiaciuto stare male l’ultima settimana. In quel momento pensavo soltanto al podio perso nella generale e non sapevo se e quando mi sarebbe ricapitata un’altra occasione del genere. Poi, quando mi sono trovato in testa alla Vuelta per due settimane, è stato folle.

La vittoria di Yunquera ha permesso a O’Connor di salire in testa alla Vuelta e di restarci fino alla 19ª tappa
La vittoria di Yunquera ha permesso a O’Connor di salire in testa alla Vuelta e di restarci fino alla 19ª tappa
Com’è stato per la prima volta trovarsi al comando di un Grande Giro?

E’ stato pazzesco indossare una maglia iconica come quella rossa. Vedi gli altri farlo nei Grandi Giri e ti chiedi mille volte che cosa si provi. Poi tocca a te ed è incredibile, un mix di orgoglio e consapevolezza di essere un vincente. In quel momento, comunque, sei davanti a tutti. Non c’è niente di meglio e se non ti fai distogliere dalle tante attenzioni, è una carica in più.

A volte non ti sembra ti chiedere troppo a te stesso?

Sono entusiasta del mio finale di stagione perché ho raggiunto il livello che sapevo di valere. Il quarto posto al Giro mi aveva lasciato una sensazione di incompiutezza perché sentivo di poter valere di più, così come già all’Uae Tour perso all’ultimo giorno per appena due secondi. Il secondo posto alla Vuelta, invece, è stato come una vittoria per me.

Indossare la maglia rossa e difenderla (qui ai Lagos de Covadonga) ha fatto crescere la consapevolezza di O’Connor
Indossare la maglia rossa e difenderla (qui ai Lagos de Covadonga) ha fatto crescere la consapevolezza di O’Connor
E tra quella piazza d’onore sudata per tre settimane e quella della domenica mondiale, che punti in comune ci sono?

In entrambi i casi ho dato tutto quello che avevo e ho finito senza nessun rimpianto né alcun pensiero negativo. Sia in Spagna sia in Svizzera ho interpretato la corsa nel migliore dei modi. Punto. E ora sono carichissimo per la prossima stagione.

Non ti ha un po’ sorpreso essere sul podio nella gara di un giorno, primo degli umani dopo l’imprendibile Pogacar?

Il mio allenatore alla Decathlon continuava a ripetermi che avrei dovuto fare più corse di un giorno perché si addicono alle mie caratteristiche, per cui penso che ora possa essere orgoglioso. Forse perché sono arrivato al mondiale senza troppe aspettative, non sapendo se avrei finito la corsa né tantomeno in che posizione, per cui figuriamoci sul podio. E’ stata una bella sorpresa, perché ero così stanco dopo la Vuelta che non ho fatto nemmeno la crono e così sono arrivato molto tranquillo alla prova in linea. 

Dopo la crono finale di Madrid, il prevedibile crollo emotivo: il podio è suo
Dopo la crono finale di Madrid, il prevedibile crollo emotivo: il podio è suo
Com’è stato lottare contro Pogacar?

Non ho lottato con lui, anche se in realtà ero proprio alla sua ruota quando è partito. Ho avuto un momento di riflessione e mi sono chiesto se avessi dovuto seguirlo. Ci ho provato e non ero così lontano. Lui viaggiava su un altro pianeta, per cui sono stato contento di aver sfruttato l’occasione per avvantaggiarmi sugli altri perché chiunque degli inseguitori avrebbe potuto fare secondo o terzo. 

Hai qualche hobby quando non pedali?

Mi piace stare comunque all’aria aperta e passare tempo con mia moglie o con i miei amici. Magari mi concedo qualche bicchiere di vino o di birra o un buon caffè, niente di speciale. Preferisco fare un bel picnic, una camminata in montagna o comunque qualunque attività outdoor.

Pensi già ai piani per il 2025?

E’ ancora tutto da decidere, ma mi piacerebbe tornare al Tour de France. Se poi riuscissi a inserire anche Giro o Vuelta non sarebbe male, ma non devi fare due Grandi Giri per forza e magari potrei tenermi questo piano per il 2026. Mi è sempre piaciuta la combinazione Giro-Vuelta, mentre non sono così sicuro dell’abbinamento Tour-Vuelta. Giro-Tour, invece, potrebbe essere stimolante perché d’altronde il Giro è il Grande Giro che forse si addice di più alle mie caratteristiche

Ai mondiali di Zurigo, O’Connor ha fatto la sua parte per la vittoria australiana nel Team Relay
Ai mondiali di Zurigo, O’Connor ha fatto la sua parte per la vittoria australiana nel Team Relay
A maggio non le avevi mandate a dire a chi criticava la neutralizzazione della tappa di Livigno sotto la neve. Hai visto quanto successo di recente con la cancellazione delle Tre Valli Varesine e che ne pensi delle reazioni del pubblico?

Non mi sognerei mai di dire a nessuno come deve svolgere il proprio lavoro. Non dirò mai a un avvocato come deve comportarsi né a un giudice o un investitore. Per questa ragione, mi è parso alquanto paradossale che ci fosse gente che parlasse alle nostre spalle riguardo a un lavoro che non conoscono e che non saprebbero nemmeno fare. Chiunque può andare in bicicletta, non è così difficile. Ma gareggiarci e fare il ciclista professionista è totalmente un altro mondo. Ho chiuso coi social media e preferisco non leggere cosa scrive la gente che pensa di poter fare il nostro mestiere. Dovremmo essere noi ciclisti, insieme agli organizzatori, a prendere le decisioni, non il pubblico. 

La tua salita preferita?

Port de Cabus, in Andorra, forse una delle più belle che abbia fatto. E poi anche Arcalis non scherza affatto.

Mezgec e la Slovenia, un popolo a ruota dei giganti

16.10.2024
6 min
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TORINO – «In ogni angolo della Slovenia si parla soltanto di ciclismo». Sorride sornione Luka Mezgec, prima di sottoporsi alle visite oramai di rito di fine stagione della Jayco-Alula all’Istituto delle Riabilitazioni Riba. Il Lombardia ha consacrato la stagione magica di Tadej Pogacar, faro di una Nazione che si è presa tutti e 3 i Grandi Giri (e non solo!) grazie al poker calato alla Vuelta da Primoz Roglic. 

Così abbiamo chiesto a chi era a Zurigo per contribuire al trionfo iridato di svelarci come si vive da dentro questa epoca d’oro delle due ruote per un Paese abituato a celebrare i campioni della neve o del basket. Una panoramica del travolgente momento sloveno, prima che l’uomo di fiducia delle volate per Dylan Groenewegen si rituffi sulle sue prospettive verso la decima stagione con la formazione australiana di cui oramai è una bandiera. Non è sfuggito, fra l’altro, che la sua vittoria nella tappa di Trieste al Giro del 2014 sia stata una fortissima ispirazione per il piccolo Pogacar, che lo ha più volte raccontato.

Abbiamo incontrato Mezgec durante le visite del Team Jayco-AlUla all’Istituto Riba di Torino, all’indomani del Lombardia
Abbiamo incontrato Mezgec durante le visite del Team Jayco-AlUla all’Istituto Riba di Torino
Il 2024 ha segnato lo strapotere sloveno nei Grandi Giri e l’anno perfetto di Tadej Pogacar: quali sono le tue impressioni?

E’ difficile fare meglio di così. Fa specie pensare che la Slovenia conti appena 2 milioni di abitanti e 3 squadre continental. In più, a parte poche eccezioni, la maggior parte delle formazioni nel nostro Paese fanno fatica economicamente dal punto di vista degli sponsor. E’ davvero un miracolo quello che sta accadendo. Ora abbiamo 7 corridori nel WorldTour e alle spalle di questi ci sono giovani talenti che stanno emergendo, dagli juniores in su. Ogni anno in Slovenia diciamo che sarà dura ripetere quanto fatto, ma questa stagione è stata qualcosa di pazzesco. Pensando anche alla vittoria di Roglic alla Vuelta, sono certo che molte persone non si rendano conto del periodo che stiamo vivendo. Siamo in un’epoca d’oro e dobbiamo solo goderci questo show, sperando che sia d’ispirazione per i ragazzini che stanno cominciando a pedalare.

Ci racconti il trionfo mondiale?

E’ stato un momento incredibile. Per la prima volta da quando la corro, eravamo al via della prova in linea per vincerla e non “soltanto” per un piazzamento sul podio. A Zurigo per noi contava soltanto l’oro e chiunque sarebbe stato deluso se ci fossimo fermati all’argento. C’erano grandissime aspettative, eppure la squadra era molto rilassata.

Ci spieghi com’è stata possibile quest’atmosfera al netto delle pressioni?

Siamo tutti abituati a vivere in un ambiente molto stressante, per cui non c’erano grosse differenze. Tutti sapevano cosa dovevano fare e l’hanno fatto alla grandissima. Tadej ha leggermente modificato il piano, attaccando prima del previsto, ma a parte quello è andato tutto secondo i piani. Tratnik è stato perfetto. Sapeva esattamente cosa fare quando ha capito che Pogacar era partito alle sue spalle.

Questa la vittoria di Mezgec al Giro del 2014 che ispirò il giovane Pogacar
Questa la vittoria di Mezgec al Giro del 2014 che ispirò il giovane Pogacar
Che cosa hai detto a Tadej dopo l’apoteosi iridata?

La domanda che gli ho fatto è stata: «Ma perché hai attaccato a più di 100 chilometri dal traguardo? A che pensavi?». E lui, senza fronzoli, mi ha risposto: «Stavano attaccando in tanti, mi sono guardato attorno e ho visto che tutti stavano soffrendo, mentre io non mi sentivo così male e così ci ho provato». Insomma, la tipica mossa imprevedibile alla Tadej. Ma quando sei così tanto più forte degli altri come lo è lui in questo momento, il ciclismo diventa un giochino divertente.

E del suo assolo al Lombardia, cosa dici?

Quest’anno Tadej ha davvero alzato l’asticella. Sappiamo che ha cambiato allenatore e i risultati si sono visti. Nella prima parte della stagione si è focalizzato sui giri di tre settimane, mettendo nel mirino Giro d’Italia e Tour de France. Una volta vinto quest’ultimo, il suo unico pensiero era diventare campione del mondo. Così è riuscito ad avere un secondo picco di forma sul finale, rinunciando anche ai Giochi di Parigi. E’ imbattibile al momento e anche al Lombardia si è visto che non ha dovuto nemmeno attaccare a tutto gas per fare la differenza. 

Sei alla Jayco-Alula da quasi un decennio, ci dai un bilancio di quest’anno?

Penso che il 2024 sia stato sopra la media se si parla di successi come squadra. Abbiamo centrato quasi tutti gli obiettivi che ci eravamo posti a inizio stagione, grazie a una ottima Vuelta con due vittorie di tappa, senza dimenticare il successo al Tour di Dylan (Groenewegen, ndr). Forse ci saremmo aspettati qualcosa di più per quanto riguarda la classifica generale nei Grandi Giri, ma abbiamo visto com’è andato quest’anno con tanti acciacchi e malattie. Ad esempio Simon (Yates, ndr) non si è sentito bene un giorno e la posizione in graduatoria al Tour è peggiorata. Nel complesso, possiamo essere contenti. Il team sta ringiovanendo e questo è molto positivo per il futuro e per noi corridori più esperti si tratta di trasferire le nostre conoscenze e la nostra esperienza ai giovani.

Come vedi De Pretto?

E’ davvero un ottimo corridore. Davide è arrivato in squadra come talento promettente, in virtù di alcuni buoni risultati a livello giovanile. Ha subito mostrato che può dire la sua anche nel WorldTour. Sarà interessante seguire la sua crescita nei prossimi due anni e assistere ai suoi successi.

La vera rivoluzione però avviene con la fine dell’era Yates e l’arrivo di Ben O’Connor: che ne pensi?

Ben si prepara a indossare scarpe molto più grandi delle sue, ma ha già dimostrato di poterlo fare al meglio. Ha fatto una grandissima stagione con i secondi posti nella classifica generale della Vuelta e poi ancora ai Mondiali di Zurigo. Se lavorerà ancora sulle corse di un giorno, può far risultato anche nelle Monumento come ad esempio la Liegi-Bastogne-Liegi. Sarà bello lavorare con un nuovo capitano per la generale dopo tanti anni al servizio dei fratelli Yates. Poi, un australiano in una formazione australiana…

Che cosa ti aspetti dal 2025?

Il mio obiettivo personale è di assistere Dylan nel miglior modo possibile, come ho fatto in passato. So che invecchio, ma penso di avere ancora un paio d’anni al top. Conto di essere lì per aiutarlo a vincere il più possibile. Come squadra abbiamo grandi piani con Ben O’Connor per la classifica generale del Tour o di quel che metterà nel mirino. Poi, vincere una tappa nei tre Grandi Giri: quest’anno ci è mancato solo il Giro d’Italia.

Al Tour la vittoria con Groenewegen è stata uno degli highlight 2024 per la Jayco-AlUla
Al Tour la vittoria con Groenewegen è stata uno degli highlight 2024 per la Jayco-AlUla
Anche perché al Tour ci hai messo lo zampino tu…

Dylan era in forma smagliante ed è stato bellissimo guidarlo al successo. In quello sprint non tutto è stato perfetto, ma non ci siamo fatti prendere dal panico quando ci siamo persi l’un l’altro prima di un punto cruciale come i -2 dall’arrivo. Elmar (Reinders, ndr) è stato fantastico e, con tutta calma, ci ha riportato avanti. Io ho creato un po’ di spazio all’ultima rotonda e Dylan ha preso la ruota giusta. Quando lavori 6 mesi per un momento così, quello che senti è qualcosa di speciale. Provo la stessa sensazione di quando vinco in prima persona.

L’Avenir sul Finestre: Torino diventa patria del ciclismo

11.07.2024
5 min
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La partenza del Giro d’Italia. La tappa del Tour de France. L’annuncio della grande partenza della Vuelta 2025 e nel mezzo, fra qualche settimana, la conclusione del Tour de l’Avenir (18-24 agosto). Il Piemonte e la Città Metropolitana di Torino, al pari dell’Emilia Romagna e dell’Abruzzo, hanno colto le potenzialità del ciclismo come veicolo promozionale per il territorio. E proprio in quest’ottica si inserisce l’approdo del Tour de l’Avenir, gara under 23 per uomini e per donne, che si correrà contemporaneamente per donne e per uomini: al mattino le prime, di pomeriggio l’arrivo dei ragazzi.

Il passaggio più curioso della vicenda è che l’approdo italiano è stato propiziato da Marco Selleri, uomo di Extra Giro che in passato ha organizzato il mondiale di Imola e ha tenuto in mano per anni il Giro d’Italia U23, prima che il celebre bando propiziasse il passaggio di tutti i Giri a RCS Sport.

«Ho sentito anche io che il Colle delle Finestre sia un possibile approdo futuro per il Tour de France – spiega Selleri – però magari ne sapremo di più a fine luglio quando andrò su per fare il punto finale e la presentazione delle tappe italiane, che ci sarà il 29 luglio a Torino. In ogni caso il contatto con i francesi c’è stato lo scorso settembre, quando Laurent Bezault e Philippe Colliou mi scrissero due righe dicendo che l’anno successivo, quindi quest’anno, avrebbero avuto delle difficoltà a chiudere l’Avenir in Francia a causa delle Olimpiadi. Tutte le forze di sicurezza sarebbero state dirottate su Parigi, in più ora ci sono state anche le elezioni…».

Il Tour de l’Avenir per come è illustrato ancora sommariamente sul sito ufficiale
Il Tour de l’Avenir per come è illustrato ancora sommariamente sul sito ufficiale
Che cosa gli hai risposto?

Di lasciarmi un po’ di tempo e avrei visto se potevo dargli una mano, visto che comunque in Italia qualcosa abbiamo fatto. L’occasione è stata una telefonata con Aldo Peinetti, giornalista dell’Eco del Chisone, che mi aveva presentato Chiatellino quando nel 2022 finimmo il Giro U23 a Pinerolo. Lui è un appassionato di ciclismo e mi ha chiamato dicendomi che avrebbero voluto promuovere il loro territorio a livello cicloturistico. Così con Marco Pavarini siamo andati a vedere la bellissima salita al Rifugio Barbara Lowrie che hanno appena asfaltato in zona Bobbio Pellice, con la strada che finisce appunto in un rifugio dove si potrebbe far arrivare una corsa. Ci siamo seduti per fare due chiacchiere e gli ho detto che se davvero volevano promuovere la zona, arrivavano a puntino, dato che avevo ricevuto una mail dagli organizzatori del Tour de l’Avenir.

Sono parsi interessati?

Molto, così ho messo in contatto Peinetti con Philippe Colliou, che è il direttore di Alpes Velo e organizza il Tour de l’Ain e altre corse. Da quel punto io ho fatto un passo indietro e sono andati avanti loro, fino a che hanno raggiunto l’accordo con la Città Metropolitana di Torino e qualche comune della Val Pellice. L’ho saputo quando mi ha scritto Peinetti dicendo che era fatta. E’ partito tutto così, finché siamo arrivati ai primi di maggio, quando Colliou mi ha riscritto dicendo che aveva bisogno di una mano per delle questioni tecniche in Italia.

Philippe Colliou è il direttore di Alpes Velo, società francese che organizza il Tour de l’Avenir, ma anche il Tour du Rwanda e il Tour de l’Ain
Philippe Colliou è il direttore di Alpes Velo, società francese che organizza il Tour de l’Avenir, ma anche il Tour du Rwanda e il Tour de l’Ain
Cioè?

La scelta dei percorsi è stata fatta dalla Città Metropolitana di Torino insieme a Peinetti. C’è la Val Pellice e poi c’è appunto il Colle delle Finestre, dove prepareranno il fondo sterrato come quando vinse Froome, quindi battendola molto bene. Io ho fatto la ricognizione il 3-4 giugno, quando sulla strada c’era ancora neve. Mi sembra che sia un po’ impegnativa, soprattutto per il Tour de l’Avenir delle ragazze, perché i percorsi sono identici. Non cambia una virgola, sia per la tappa che arriverà a Condove, sia per quella che partirà da Bobbio Pellice e arriverà al Colle delle Finestre. Si arriva in cima. Si premiano lassù i primi tre di tappa e poi ci si sposta a Usseaux, uno dei borghi più belli d’Italia, bello davvero come un confetto. Lì ci saranno le premiazioni protocollari dei vincitori dei due Tour.

A quali questioni tecniche si riferiva Colliou?

In Italia abbiamo le nostre leggi, di conseguenza è necessario anche l’intervento della Struttura tecnica nazionale. L’idea adesso è che l’incarico ufficiale di fare le cose in regola arrivi dal Consiglio federale del 20 luglio. L’Uci ha un articolo per cui l’organizzatore straniero dovrebbe chiedere alla Federazione ciclistica italiana l’autorizzazione per arrivare con due tappe in Italia. Quindi si sta cercando di fare in modo che queste ultime due tappe diventino come gare italiane, pagando le tasse federali, con i nostri direttori di corsa e l’assicurazione italiana. E questo è al vaglio del Consiglio federale del 20 luglio. Trattandosi dell’ultima tappa della Nations’ Cup, quindi una prova UCI che partecipa alle spese, spero non ci siano problemi.

Dopo l’arrivo finale sul Colle delle Finestre, le premiazioni del Tour de l’Avenir si svolgeranno a Usseaux
Dopo l’arrivo finale sul Colle delle Finestre, le premiazioni del Tour de l’Avenir si svolgeranno a Usseaux
Come mai Bezault e Colliou si sono rivolti a voi?

Perché sono stati entrambi con noi per 15 giorni durante i mondiali di Imola, dato che erano i referenti dell’UCI. E poi perché l’Italia interessa, ci sono anche altri organizzatori che provano a venire da noi

Quindi il prossimo passo è la presentazione di Torino?

Il 29 luglio a Torino ci saranno Philippe Couliot e Bernard Hinault, perché lui all’Avenir c’è sempre. Presenteranno le tappe italiane a Torino, dato che la Città Metropolitana di Torino è coinvolta in modo importante. Hanno capito qual è lo sport che genera economia e che genera visibilità in giro per il mondo. La Val Pellice ne avrà una bella promozione, perché è spettacolare. Vedrete che richiamo…

La gialla di Carapaz, progettata e raggiunta. Ecuador in festa

02.07.2024
6 min
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TORINO – Tutta l’America Latina in visibilio nel nome di Richard Carapaz. Il campione olimpico di Tokyo 2020 ha un rapporto speciale con Torino. E dopo averci sfrecciato in rosa il 21 maggio di due anni fa, ieri ha coronato il lungo inseguimento giallo, regalandosi una giornata storica non soltanto per l’Ecuador ma per l’intero Continente.

Dopo la maglia conquistata quasi per sbaglio da Tadej Pogacar a Bologna, ne arriva una cercata, voluta e sudata nel primo arrivo per ruote veloci nonché la tappa più lunga di questo Tour (230,8 km). Nell’arzigogolata classifica dopo le prime due tappe, erano ben quattro e a pari tempo i pretendenti al simbolo del primato. Oltre all’asso sloveno c’erano Remco Evenepoel, Jonas Vingegaard e appunto Carapaz. Quest’ultimo, con la rabbia ancora in corpo per l’esclusione dai Giochi di Parigi 2024 da campione uscente, era per tanti il candidato numero uno a indossare la maglia tanto ambita. E così è andata con il quattordicesimo posto nella tappa vinta da Biniam Girmay.

«Richard, ma sei in maglia?», gli chiediamo pochi metri dopo lo sprint. Lui ribatte: «Credo di sì», ma al tempo stesso fa segno di aspettare e butta giù alcuni orsetti gommosi. Poi arriva l’ufficialità e comincia la festa. «Good job, guys» il messaggio di un euforico Carapaz al traguardo, dopo la conferma che la missione era compiuta e prima di abbracciare il campione portoghese Rui Costa, tutti i compagni che arrivano alla spicciolata, artefici dell’impresa corale.

Carapaz è 14° all’arrivo: sta realizzando proprio ora di aver preso la maglia gialla
Carapaz è 14° all’arrivo: sta realizzando proprio ora di aver preso la maglia gialla

Il piano giallo

A pilotarlo fuori dal traffico nel concitato finale, evitando la caduta ai – 2 km è stato Marijn Van der Berg (13°) che, mentre defatica sui rulli, rivive quegli istanti con noi: «Ho provato a tirargli la volata – dice – è stato qualcosa di nuovo trovarsi lì davanti con uomo di classifica alle tue spalle, ma è stato spettacolare e penso che Richard fosse super felice di quello che abbiamo come squadra».

Poi, racconta il piano maglia gialla: «Al mattino, prima della partenza da Piacenza, abbiamo cominciato a studiare come prenderla e abbiamo fatto di tutto perché diventasse realtà. Avere la maglia gialla è super speciale. Ovviamente, tutti sognano di conquistarla in prima persona, ma se la indossa un tuo compagno, la senti davvero vicino ed è qualcosa di pazzesco. Siamo stati uniti come squadra e ora speriamo di tenerla per un po’, anche se ci aspetta subito una giornata molto dura, ma ci proveremo».

L’irlandese Ben Healy gli fa eco: «Ce l’abbiamo fatta, siamo andati a tutto gas e ci siamo riusciti. Il mio lavoro è stato meno tattico e più di fatica perché è arrivato ben lontano dal traguardo, ma credo che faremo un po’ di festa ora. Sarà bello vedere Richard vestito di giallo».

Una festa di paese

Il diesse della EF Procycling Charly Wegelius racconta ancora: «Dopo la grande prestazione di Richie a Bologna, abbiamo guardato la classifica. Sapevamo che in caso di parità, si sarebbe guardata la somma dei piazzamenti. Valeva la pena lavorare per un obiettivo di questo calibro, ma sapevamo che in un arrivo così concitato allo sprint poteva succedere di tutto».

E a chi mormora che Pogacar volesse comunque cedere la maglia, ribatte: «Abbiamo fatto il nostro lavoro senza pensare a chi la voleva lasciare. Ora teniamo i piedi per terra e cercheremo di difenderla, ma sarà la strada a parlare».

I tifosi al motorhome fucsia attendono il loro beniamino e fanno un gran fracasso. «Eravamo a Verona quando ha trionfato al Giro 2019. Ora siamo qui per questa festa gialla che proseguiremo a Pinerolo, acclamandolo alla partenza della quarta tappa», racconta Osvaldo, originario di Ambato, ma oramai trapiantato a Torino, e a capo della curva ecuadoregna.

Attorno al bus della squadra americana si sono radunati tifosi provenienti anche da Panama, Costa Rica, Colombia tutti uniti nella festa della Locomotiva del Carchi. Accanto al costaricano Ricardo e alla panamense Argelia si fa largo Josè, ecuadoregno arrivato da Varese, che fa da capocoro col suo megafono e poi ci racconta. «Sono originario di Milagro – dice – ma oramai vivo qui ed è fantastico averlo visto raggiungere questa maglia storica. Ora speriamo che vinca il Tour».

Il sogno giallo

Il bus della squadra se ne va, non c’è nemmeno la troupe di Netflix a immortalare questo giorno storico perché oggi aveva la giornata libera. Però Johannes Mansson, video e social manager della squadra ci assicura che la nuova maglia gialla è in arrivo ed è pronto a filmare tutto. La strada viene riaperta e comincia a ripopolarsi di macchine, scendono le prime gocce di pioggia, ma ecco che alle 18,11 compare un puntino giallo in lontananza e si sente musica latina nell’aria.

I tifosi rimasti in via Filadelfia, proprio davanti allo Stadio Olimpico Grande Torino, vengono ricompensati dalla visione paradisiaca. Richard sorride a tanto affetto e ci concede qualche battuta: «Mi sto godendo questo momento unico. Ho sempre sognato di portare questa maglia, è davvero speciale e non potete capire quanto sono felice in questo momento».

Il pullman è andato in hotel: Carapaz tornerà su questo van della squadra
Il pullman è andato in hotel: Carapaz tornerà su questo van della squadra

Torino porta bene

Torino gli ha regalato un’altra giornata magica, da aggiungere al cassetto dei ricordi: «E’ una bella casualità. Passai proprio qui da leader del Giro nel 2022 e ora guardate, sono qui vestito di giallo».

E’ il primo sudamericano a indossare tutte le tre maglie dei Grandi Giri in carriera, lui sorride e replica: «Sono molto contento di questo». E chissà che non ci torni l’anno prossimo nel capoluogo piemontese che dice bene ai ciclisti dell’Ecuador. Lo aveva già dimostrato l’accoppiata tappa e maglia di Jhonathan Narvaez (preferito a Carapaz per l’imminente Olimpiade) nella prima tappa dello scorso Giro. Torino, infatti, ospiterà anche la grande partenza della Vuelta nell’agosto del 2025 come confermato ieri da più fronti istituzionali per un tris inedito.

Sul calore proveniente da ogni angolo del Centro e Sud America, commenta: «E’ qualcosa di splendido rappresentare insieme questi Paesi e vedere che il ciclismo sta crescendo anche lì. È una grande cosa e mi rende molto felice». La dedica? «E’ per la famiglia, perché soltanto loro sanno quanti sacrifici ho fatto e quanto tempo passo lontano da casa. I miei figli quando saranno grandi potranno rendersi conto di quello che ho fatto e sono questi gli sforzi che vale la pena fare». 

Johannes carica la bici sul tetto, le porte si chiudono, ma il tripudio latino-americano prosegue per le strade torinesi: «Carapaz-Carapaz-Carapaz». Un ritornello che travolgerà anche Pinerolo in un altro abbraccio giallo prima che la corsa lasci l’Italia.

Anche Gaviria rivede la luce. Prima il Tour, poi Parigi (su pista)

01.07.2024
4 min
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TORINO – Gaviria arriva che tutti i compagni sono già sul pullman. Sorride. Non sorride. Dice che è contento. Dice di no. Arrivare secondo per un velocista di razza è difficile da accettare. Anche se a ben vedere è da tanto che Fernando non alza le braccia. L’ultima volta fu a Duitama, prima corsa di stagione, nel Giro del suo Paese. Poi tanti piazzamenti nei dieci, con il quarto posto nella tappa di Roma del Giro come miglior risultato di primavera e il secondo di oggi a Torino alle spalle di Biniam Girmay.

«Non è vero che è mancato poco – dice – non abbiamo dimostrato nulla. Se avessi avuto le gambe migliori, avrei vinto. Però ci abbiamo provato. La squadra ha fatto un lavoro molto buono, è un peccato non aver ottenuto la vittoria».

Una volta che Girmay ha preso la testa, per Gaviria non c’è stato margine di recupero
Una volta che Girmay ha preso la testa, per Gaviria non c’è stato margine di recupero

Scalatori contro giganti

Max Sciandri passa per un saluto. Stasera il toscano tornerà a casa e scherzando dice di aver avviato la squadra sulla strada giusta. Intanto attorno al corridore del Movistar Team arrivato secondo si concentrano anche le telecamere colombiane. Lui tiene gli occhiali e il casco giallo perché la Movistar è in testa alla classifica. Parla calmo e continua a spiegare.

«Sono soddisfatto di quello che abbiamo fatto – dice – la squadra mi ha aiutato molto. Vedere compagni come Nelson Oliveira e Alex Aranburu davanti a me, che mi sostenevano e mi stavano accanto, è stato importante. Perché alla fine qui ci sono corridori di 90 chili che ti toccano e scalatori che ne pesano 50, quindi il lavoro che hanno fatto per me è da ammirare. Eravamo così concentrati che nemmeno mi sono reso conto della caduta. Oggi volevo fare bene. Ho sentito che era successo qualcosa. Ho sentito che parlavano alla radio, ma ero in un altro mondo».

Al Giro assieme a Consonni, suo buon amico: Gaviria arriva così sul Brocon
Al Giro assieme a Consonni, suo buon amico: Gaviria arriva così sul Brocon

Tra il dire e il fare…

Questa prima tappa, che si pensava sarebbe stata il terreno del primo assalto di Cavendish si è trasformata nel ritorno di Girmay, che a sua volta non vinceva dalla fine di gennaio. Non è più il Tour di una volta che nelle prime settimane proponeva volate su volate. Dopo le prime due tappe piene di dislivello, domani il Galibier sarà un alto ostacolo da scavalcare per poter puntare ad altre volate successive.

«Speriamo di vincerne una – risponde laconico – non so se lo sapete, ma noi corridori vinciamo tante tappe in anticipo e poi alla fine dobbiamo fare i conti con la realtà. Difficile dire se oggi io abbia capito di poter vincere. E’ difficile, perché ogni giorno lo sprint è diverso. Oggi puoi finire secondo, la prossima volta magari avrai le gambe migliori e ugualmente finisci ventesimo. E’ molto difficile sapere come andrà a finire ogni tappa, ma alla fine cercherò di fare ogni giorno del mio meglio».

L’ultima apparizione olimpica di Gaviria in pista fu a Rio 2016, quarto nell’Omnium
L’ultima apparizione olimpica di Gaviria in pista fu a Rio 2016, quarto nell’Omnium

Da Nizza a Parigi

La sua strada porta a Nizza attraverso le montagne e le volate. Poi però da Nizza porterà a Parigi. Nonostante le polemiche, Gaviria correrà infatti le Olimpiadi dell’omnium in pista, tornando a sfidare Viviani davanti cui si inchinò nel 2016 a Rio.

«Però adesso la priorità è il Tour de France – dice – come per tutti i corridori. E’ una delle corse più importanti del mondo ed è una priorità. Più tardi penseremo ai Giochi Olimpici. Forse la preparazione che ho fatto è più adatta a quell’obiettivo, ma in questo momento sono concentrato sul Tour, cercando di fare il meglio che posso. Quando mi hanno detto che sarei andato a Parigi, le sensazioni sono state molto buone.

«Alla fine dello scorso anno ero tornato ad allenarmi in pista e ho fatto il campionato Panamericano. Quest’anno ho ricominciato ad allenarmi in velodromo e nell’ultimo mese ho fatto ancora di più. Quindi mi sento abbastanza bene e motivato da questi nuovi obiettivi che ci siamo prefissati, sia con la squadra che con il Comitato Olimpico. Hanno preso questa decisione e sono contento di rappresentare nuovamente il Paese ai Giochi Olimpici. Perciò innanzitutto speriamo di non superare il tempo massimo di domani sul Galibier. E poi avremo il tempo per pensare a cosa verrà dopo…».

Primo eritreo al Tour. Girmay colpo storico a Torino

01.07.2024
5 min
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TORINO – «Bi-ni, Bi-ni, Bi-ni». Corso Galileo Ferraris si trasforma nella Curva Maratona dello Stadio del Toro che è proprio qui a fianco. E’ una bolgia quella degli eritrei che, incredibilmente, spuntano all’improvviso ovunque si corra. Dal Sud della Spagna al Nord del Belgio. Dall’Italia alla Francia. Loro ci sono sempre e sono anche felicemente rumorosi.

La terza tappa di questo Tour de France va a Biniam Girmay e ci va anche con margine. Il corridore della Intermarché-Wanty è autore di uno sprint di personalità. Preso in testa con la squadra, dominato e senza nessuno che sia stato in grado di affiancarlo nel lungo rettilineo finale.

Biniam Girmay (classe 2000) festeggiato a gran voce dai suoi connazionali
Biniam Girmay (classe 2000) festeggiato a gran voce dai suoi connazionali

Sprint perfetto

E’ festa grande. I giornalisti, i fotografi, i compagni… tutti lo assalgono. Le Cube sono appoggiate ad una transenna, mentre i corridori si abbracciano. Girmay si mette la faccia tra le mani. Quasi non ci crede dopo l’anno (e mezzo) difficile che ha passato. Di fatto era dalla tappa del Giro, finita con il tappo di spumante nell’occhio, che Bini non andava tanto forte.

Okay il recente titolo nazionale, ma qualche certezza iniziava a schricciolare. Sono bastati 300 metri fatti alla grande per cancellare tutto.

«E’ stato uno sprint molto duro, fisico – racconta Girmay – i miei compagni hanno aiutato moltissimo. Ma lo hanno fatto anche nei primi due giorni. Hanno cercato di mettermi nelle migliori condizioni possibili.

«E’ stato uno sprint nervoso. Negli ultimi chilometri avevo perso i mei compagni e ho dovuto fare uno sprint per riprenderli e ritrovarli. Poi siamo stati uniti. Mi hanno portato fuori benissimo (all’ingresso del rettilineo finale erano in tre, ndr). Devo ringraziarli tantissimo.

«Sapevo che sul lato sinistro c’era più vento e quindi mi sono tenuto sul lato opposto, molto stretto alle transenne. E lì ho passato Mads Pedersen».

Un africano a Torino

A Torino si è fatta la storia? Quando Girmay iniziò a seguire il ciclismo i vincenti erano Sagan e Cavendish. In Eritrea si corre o si gioca a pallone. Il ciclismo però rispetto a molti altri Stati limitrofi la bici ha un certo peso specifico. 

«Un africano nero che vince una tappa al Tour è incredibile – dice Girmay – Abbiamo il ciclismo nel sangue. Ciò che è che è successo oggi è formidabile. Questa vittoria è importante per me e per il mio continente. Gli africani conoscono il Tour. Per il ciclismo eritreo è un grande momento.

«Mio padre guardava il Tour dopo pranzo e mi sedevo con lui. Mi diceva che il ciclismo era uno sport difficilissimo. Era il 2011. Poi vennero Merhawi Kudus e Daniel Teklehaimanot. La svolta vera c’è stata quando proprio Teklehaimanot è salito sul podio del Tour e ha vestito la maglia a pois. Questo mi ha dato una grande spinta. Ma c’erano ancora grandi ostacoli per arrivare sin qui. In Africa bisogna fare molte corse locali e non c’è tanto spazio per mostrare il nostro potenziale. Arrivi in Europa a 22-23 anni e ti ritrovi in un altro mondo. Ma adesso penso ai tanti nostri giovani e voglio dirgli che tutto è possibile».

La cabala del bus

Ma l’emozione è anche quella del team manager Jean-François Bourlart. E’ grande e grosso, un tipico “omone del Nord”, eppure si commuove quando inizia a raccontare.

«Per noi è incredibile – dice Bourlart – una piccola squadra che riesce a vincere qui: il sogno si è avverato. Bini ha vinto al Giro e ora anche al Tour. E’ qualcosa d’incredibile. Questa è una vittoria per tutta la squadra. Tutta.

«Si sapeva che era forte, che era sempre là e che poteva fare bene. Ma in questo periodo difficile ha anche ricevuto messaggi poco belli. E’ stato attaccato. Tutti pensavano che la sua vittoria alla Gent-Wevelgem era stato un colpo di fortuna. Sappiamo tutti che ha talento, ma anche che non è facile per un ragazzo così giovane vincere gare importanti. E’ stato un periodo duro per lui, per la sua famiglia. 

Tra l’altro in questo Tour si sta diffondendo la cabala del bus rotto. A quanto pare se il grande mezzo va ko il leader vince. E’ stato così per la maglia gialla di Bardet ed è stato così per la Intermarché-Wanty di Girmay, che a Torino aveva per supporto un piccolo camper.

«E’ la vittoria della passione – va avanti Bourlart – al Giro d’Italia era caduto. Le cose non vanno sempre bene. Abbiamo portato la miglior squadra possibile per sostenerlo per gli sprint: Gerben Thijssen, Mike Teunissen, Laurenz Rex. Gli ho detto di mettersi alla ruota di Gerben. E oggi tutto ha funzionato bene… Ora vado ad abbracciare Biniam».

La passione, la fatica, i dubbi e la iella nel lungo viaggio di Felline

11.05.2024
7 min
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Il progetto Giro d’Italia di Felline è durato quanto quello di Ciccone. Quando a causa della nota cisti e il relativo intervento ai primi di febbraio l’abruzzese ha dovuto rinunciare al grande obiettivo, la Lidl-Trek ha rimodulato la squadra e del gruppo costruito attorno a Giulio è rimasto ben poco. Il piemontese ha avuto tutto il tempo per farsene una ragione: l’annuncio è arrivato il 14 marzo e da allora il suo calendario è stato riscritto.

Fabio non è mai stato un corridore banale e probabilmente vale più di quanto sia riuscito a ottenere, che è comunque tanto. In questi giorni è al Giro d’Ungheria e la vittoria di Nys nella tappa di ieri vedrà probabilmente la squadra in difesa della maglia di leader. Perché Felline alla Lidl-Trek c’è arrivato per lavorare, mettendo in un angolo le velleità personali.

Il Giro da fuori

Quando la squadra americana si è ritrovata con i bimbi del Motovelodromo della sua città, Fabio si è fermato dietro le quinte della manifestazione che aveva contribuito a organizzare. Chi c’era lo ha visto un po’ malinconico, come è facile intuire se il Giro d’Italia parte da casa tua e tu non ne fai parte.

«Dispiace – dice – certo che dispiace, ma non ho problemi a riconoscere un limite fisico. L’anno scorso il Giro d’Italia dovevo farlo, ma non andavo, era un periodo no, quindi alla fine sono stato anche contento di saltarlo. Diciamo però che quando la scelta non si basa su un discorso di watt o di forza, ma su ragionamenti tattici che non dipendono dal corridore, bisogna accettarli in maniera professionale. E’ stata una scelta, semmai ora potrei sperare di entrare nella rosa della Vuelta. Ma la mia non era la delusione di uno che è stato fatto fuori, sapevo da tempo che avrei cambiato programmi. Tutte le gare che ho fatto da marzo a oggi non erano finalizzate al Giro. L’idea del Motovelodromo è nata quando ero ancora nel gruppo del Giro. Ho dato il mio contributo, ma era un progetto talmente nobile, importante e bello che era giusto farlo a prescindere dalla mia presenza».

Le gare di primavera di Felline sono cambiate quando è sparito l’obiettivo Giro
Le gare di primavera di Felline sono cambiate quando è sparito l’obiettivo Giro
Come sta andando il ritorno in Lidl-Trek?

Mi trovo da Dio, qui mi sono sempre sentito a casa. E’ stata la mia prima grande squadra, poi sono andato in Astana, ma sul piano affettivo non è scattata la scintilla. Ci siamo lasciati bene, solo che dopo i primi due anni la squadra ha cambiato pelle e obiettivi. Sono spariti uno ad uno i leader per il Giri e io mi sono ritrovato senza riferimenti che prima valorizzavano il mio lavoro. Sono arrivato che c’erano Vlasov e Fuglsang, poi è venuto Nibali e mi sono trovato benissimo, poi la squadra ha cambiato obiettivi.

Cosa prevede ora il tuo programma?

Avevo valutato se staccare, anche perché non rientro nel gruppo del Tour. Però abbiamo deciso di tenere duro fino all’italiano, facendo Norvegia e Belgio. Questo vuol dire che correrò fino a giugno e poi il vero stacco lo farò dopo i tricolori.

Coppa Bernocchi 2023, Felline ha già firmato con la Lidl-Trek: aiuterà Giulio Ciccone al Giro…
Coppa Bernocchi 2023, Felline ha già firmato con la Lidl-Trek: aiuterà Giulio Ciccone al Giro…
In Ungheria si lavora per qualcuno in particolare?

Onestamente siamo partiti abbastanza liberi. L’altro giorno abbiamo provato a fare la volata e siamo arrivati quarti con Vacek. Io le volate di gruppo non le faccio più, per cui mi sono spostato all’ultimo chilometro e mezzo dopo aver tenuto davanti i miei compagni. Ieri c’era un arrivo in salita in cui ero libero di tenere duro. Ha vinto Nys, che aveva già vinto al Romandia. Il nostro obiettivo qui non era fare la classifica, vediamo adesso cosa cambierà.

Dopo 14 anni da professionista, ti sei dato un termine o si va avanti?

L’anno scorso, onestamente, ho pensato di smettere. Ho saputo a luglio che sarei venuto alla Lidl-Trek e ho rivisto la luce, ma prima ero abbastanza giù. Ho fatto 15 anni di professionismo e penso anche di aver fatto grandi cose. Magari non tutto quello che la gente si aspettava e questo l’ho sempre sofferto. Il fatto è che mi hanno sempre additato per quello che non ho fatto, piuttosto che applaudito per quello che sono riuscito a fare. Ho vinto 14 corse. Ho fatto 9 volte podio nelle tappe dei Grandi Giri, ma nessuno lo sa. Quando sono passato si aspettavano che vincessi il mondiale, la Liegi, questo e quest’altro. Non so se non ci sono riuscito perché non avevo abbastanza qualità, ma non sono uno che si piange addosso. Non sono uno che si sfoga sui social, sbandierando le sventure passate. Eppure, quando mi fermo a raccontare la mia vita d’atleta e metto in fila tutti gli infortuni e le coincidenze sfortunate, è veramente una barzelletta.

Felline passò pro’ nel 2010 a vent’anni e debuttò subito al Tour
Felline passò pro’ nel 2010 a vent’anni e debuttò subito al Tour
Qual è stato il momento in cui hai scelto di diventare un gregario?

Quando all’Astana ho capito che davo più garanzie aiutando un capitano, che cercando il risultato per me. In più c’è stato un ricambio generazionale ed è oggettivo che ci sono dei giovani che vanno fortissimo e che hanno cambiato il ciclismo. Forse il mio più grosso rammarico è stato aver perso i primi 7-8 anni in cui ero più rampante e forse avrei avuto la possibilità di svoltare.

Sei passato a vent’anni e sei subito andato al Tour: super giovane anche tu?

Non lo so, ma so che l’anno dopo la squadra è fallita e io ho avuto paura di andare nuovamente in una grande squadra. Sarei potuto andare alla Liquigas, ma pensai di non avere la solidità necessaria e andai all’Androni. A Savio devo un grazie grande così, ma se non avessi avuto quel blocco psicologico, magari la mia crescita sarebbe iniziata a 22 anni e non a 25 quando sono arrivato alla Trek. Quindi per tornare alla domanda di partenza…

Ti sei dato una scadenza?

So che la squadra è contenta, io sono stato chiaro sulle mie intenzioni. Ho detto che il mio lavoro penso di poterlo fare ancora un paio d’anni: mi piacerebbe e spero di rientrare ancora nei loro progetti. Non voglio diventare un corridore che si trascina o che la gente guarda chiedendosi perché non abbia ancora smesso. Mi piacerebbe uscire dal ciclismo a testa alta, dicendo che fino all’ultimo sono stato utile a qualcosa. In questo momento però non ho nulla di certo in nessun senso, magari se ci risentiamo fra un mese avrò le idee più chiare…

Al Tour of the Alps, per Felline un buon 6° posto nella tappa gelata di Stans
Al Tour of the Alps, per Felline un buon 6° posto nella tappa gelata di Stans
E’ frustrante lavorare se poi alla fine non si vince?

No, perché so che vincere è durissimo. Per cui non ce l’hai con chi non vince, mentre è frustrante per quelli che ti valutano. Il valore di un atleta e quello che può fare dovrebbe essere riferito alla tipologia di squadra. Chiaro che il rendimento atletico tu debba garantirlo, ma se sei sempre dove serve e aiuti bene la squadra, allora hai fatto la tua parte. Sono contento di come sto andando. E alla fine sarò soddisfatto se potrò continuare a fare il mio lavoro come lo sto facendo ora.

Dopo così tanti anni, quanto c’è ancora di passione?

Ti rendi conto che a volte odi il ciclismo, se si può dire così. Succede quando fai tanta fatica e non viene ripagata dalle soddisfazioni. Poi però, appena ritrovi il filo conduttore, la passione ritorna. Sfido chiunque ad avere passione se semina, semina e semina ancora e alla fine non nasce nulla. Dopo un po’ diventa dura, in qualsiasi ambito lavori. Sono fasi che vengono e vanno via. Adesso quello che sto facendo mi piace davvero molto…