La Sanremo, Sagan, il dente del giudizio: il ciclismo di Bling

18.12.2024
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ALTEA (Spagna) – Guardi Matthews, lo ascolti. E mentre parla, ti rendi conto che se “Bling” non avesse trovato sulla sua strada Sagan (poi Van Aert, Van der Poel e Pogacar), a quest’ora avrebbe un palmares spaziale. E’ quello che ci diciamo fra colleghi ogni volta che si parla di lui. Eppure Michael tiene duro e ogni anno si presenta in corsa con la stessa solidità di sempre. “Bling” risale ai suoi anni a Canberra, quando era frizzante e vivace e quel nomignolo che significa “sgargiante” parve il più azzeccato.

«A Monaco – sorride – ho passato un paio di pomeriggi con Peter. Un giorno stavamo parlando delle nostre carriere, in lotta l’uno contro l’altro, e gli ho chiesto se avesse seguito la Sanremo. E lui ha risposto che gli fa male pensare che sia la sola gara che manca dal suo palmares. E così abbiamo iniziato questa conversazione. E’ stato molto bello scoprire che almeno su questo punto siamo uguali. Non siamo mai andati troppo d’accordo, perché siamo stati sempre rivali. Sagan ha avuto una carriera straordinaria. Sono davvero felice per quello che ha ottenuto. Ed è stato davvero bello sedersi e fare quattro chiacchiere sui vecchi tempi».

Michael Matthews, classe 1990 come Sagan, è professionista dal 2011. Nel 2010 vinse il mondiale U23
Michael Matthews, classe 1990 come Sagan, è professionista dal 2011. Nel 2010 vinse il mondiale U23
La differenza è che tu puoi ancora vincere la Sanremo, no? Non sei qui per questo?

Sono qui anche per questo. La Spagna è come una seconda casa, ma mi piace come la prima volta. Venire qui e incontrare tutti i nuovi corridori, essere di nuovo con la squadra. Penso che sia sempre bello quando hai nuovi sponsor, nuovi obiettivi, ma prima di partire ti guardi indietro, riflettendo sulla stagione che abbiamo appena avuto. Quest’anno avremo nove nuovi corridori, quindi un grande cambiamento che sarà interessante.

Ci sono nuovi corridori, ma se ne è andato Simon Yates, che effetto fa?

Simon ha giocato un ruolo importante nella storia del Team Jayco-AlUla. E’ stato qui fin dall’inizio, quindi penso che abbia vissuto un viaggio fantastico che ora è giunto al capolinea. Sarà interessante vedere cosa sarà in grado di ottenere in un’altra squadra. Sarà interessante vedere se la Visma-Lease a Bike potrà aiutarlo a realizzare i suoi sogni.

Al suo posto è arrivato Ben O’Connor.

Io e Ben abbiamo vinto il mondiale del Team Mixed Relay. Abbiamo fatto le Olimpiadi insieme, quindi abbiamo avuto modo di conoscerci abbastanza bene. Quello che ha ottenuto quest’anno è stato davvero fantastico e penso che portare quella fiducia nella nostra squadra sia una motivazione enorme. Dopo aver perso Simon, sarà un booster per tutti noi. In più è un volto fresco ed è australiano. Penso che sarà fantastico.

L’Australia a Zurigo ha conquistato il Team Mixed Relay. Fra gli uomini, Vine, Matthews e O’Connor
L’Australia a Zurigo ha conquistato il Team Mixed Relay. Fra gli uomini, Vine, Matthews e O’Connor
Cosa puoi dire del 2024?

Penso che sia andato davvero bene. Sono arrivato a un paio di centimetri dalla vittoria della Sanremo, sarebbe stata la prima Monumento della mia carriera, è stato difficile da digerire. Stessa storia al Fiandre. Mi hanno squalificato, ma non vale più la pena soffermarsi su questo episodio. Penso però che la mia prestazione complessivamente sia stata davvero buona e ne sono contento. Poi abbiamo avuto un po’ di montagne russe, ma verso la fine dell’anno siamo stati in grado di riprenderci. La vittoria in Quebec è stata un bel modo per mettere il giusto clima verso il finale della stagione.

Peccato per il ritiro dal mondiale…

E’ andato come è andato. Penso che avrei dovuto farmi togliere prima il dente del giudizio. Ci combattevo da prima del Tour de France, dal ritiro di Livigno. Ne parlammo con i medici e ora penso che non togliendolo abbiamo preso la decisione sbagliata. Penso che mi abbia influenzato per il resto dell’anno. Un momento volavo, quello dopo dopo non riuscivo a pedalare. Una volta che l’ho tolto a fine della stagione, mi sono sentito un uomo nuovo.

Problema risolto.

Se lo avessi tolto subito, sarei andato al Tour soffrendo nei primi tre giorni e poi mi sarei ripreso verso la fine. Ma ormai non posso cambiare le cose. So imparare dai miei errori, per cui se avrò di nuovo un problema come questo, lo risolverò subito, piuttosto che perdere tempo. Non vedo l’ora che arrivi il nuovo anno per recuperare.

Volata di Sanremo, Matthews lascia aperta la porta, Philipsen si infila e lo beffa
Volata di Sanremo, Matthews lascia aperta la porta, Philipsen si infila e lo beffa
E’ stato davvero così difficile digerire il secondo posto della Sanremo?

La Sanremo per me non è solo una gara ciclistica, è praticamente la mia gara di casa. Sono già salito due volte sul podio, sono stato vicino a vincerla. Probabilmente è la Monumento che mi si addice di più. Stava andando tutto molto bene fino agli ultimi 25 metri, quando i miei occhiali sono volati via. Sono finiti nella ruota anteriore e stavamo per volare tutti in aria. Non avevo mai visto una cosa del genere. C’è voluto molto tempo, penso che sia andata avanti fino al mattino del Fiandre. Nelle gare subito dopo, non riuscivo a concentrarmi. Non volevo neanche correre.

Pensi di aver commesso un errore facendo passare Philipsen?

Ero davanti e ho sentito un piccolo contatto sull’anca, forse questo un po’ mi ha disturbato. Non sono il tipo di corridore che spingerebbe un avversario alla transenna, per vincere una gara. Penso se lo avessi fatto, lui avrebbe protestato e io sarei stato squalificato. Tornando indietro, non farei nulla di diverso. Forse non un errore, ma resta un po’ di rimpianto.

Non è troppo prendersela così per una gara?

E’ una questione personale, un boccone che ha richiesto più tempo del normale per essere ingoiato. Passa il tempo e saranno sempre meno le opportunità di vincerla.

Abu Dhabi Tour, ottobre 2015: Sagan ha da poco vinto il mondiale di Richmond, battendo proprio Matthews
Abu Dhabi Tour, ottobre 2015: Sagan ha da poco vinto il mondiale di Richmond, battendo proprio Matthews
Andare in bicicletta ti piace più di 15 anni fa?

Credo di sì. Quindici anni fa, ero un ragazzino. Per me era tutto nuovo, mentre ora capisco molto di più il ciclismo, perché sono passato professionista dopo soli quattro anni che andavo in bici. Lo facevo per divertimento, ero molto più rilassato. Ora invece investo molto più tempo in questo mestiere e continuare a lottare contro questi ragazzi mi rende orgoglioso e lo trovo anche divertente.

Quali sono a livello personale le principali differenze tra oggi e 15 anni fa?

Il modo di correre in bicicletta è più aggressivo. Quando sono passato professionista, il copione era sempre lo stesso. Si partiva piano, ci avvicinavamo lentamente al finale e poi si giocava la vittoria. Oggi a ogni corsa battiamo tutti i record. Proprio nella Sanremo non c’è stato neanche il tempo per fermarsi a fare la pipì. La UAE Emirates stava già facendo un ritmo duro, penso fosse quello che si adattasse meglio a Pogacar. Ma noi che siamo abituati al vecchio stile della Sanremo, dobbiamo adattarci o siamo fuori. Con Sagan ho parlato anche di questo e dell’allenamento.

E lui?

MI ha chiesto come faccia a continuare. E io gli ho risposto che se avessi i suoi risultati, forse continuare sarebbe più difficile. Ma io sto ancora lottando per i miei sogni e non vedo l’ora di realizzarli: non ho intenzione di ritirarmi finché non li avrò esauditi. Questo è ciò che mi motiva ad andare avanti. Amo lo sport, stare con i miei compagni e lottare per le vittorie che mi fanno sognare.

Le renne, i salmoni, l’aurora boreale e i piani di Zana

17.12.2024
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ALTEA (Spagna) – Dopo i primi cinque minuti a chiacchierare con Filippo Zana, veniamo a sapere che il vicentino e la sua compagna sono stati in vacanza in Finlandia. La curiosità è tanta. Perciò, mettiamo da parte per un attimo il ciclismo e diventiamo turisti da tastiera. Lui sorride e tutto sommato gli farà anche piacere non parlare di sella, pedali e tabelle.

«Ci piaceva l’idea di fare una cosa un po’ diversa – racconta – e soprattutto volevamo vedere l’aurora boreale. E’ stato bellissimo. Ogni giorno facevamo piccole camminate, in un giro che è partito da Rovaniemi ed è arrivato quasi a Capo Nord. I primi giorni era… freschino, intorno ai 10 sotto zero, poi è cambiato ed è risalito a 6-7 gradi sopra lo zero. E’ stato molto strano, lo diceva anche la gente di lì. Non potrei viverci, perché non c’è niente. A me piace la natura, è stato bello, ma fa buio dal primo pomeriggio, non ce la farei».

Filippo Zana, classe 1999, è professionista dal 2020. Nel 2022 è stato campione italiano
Filippo Zana, classe 1999, è professionista dal 2020. Nel 2022 è stato campione italiano

Alcol test di mattina

L’aurora l’hanno vista più di una volta e l’esperienza è stata completata da vari assaggi di tipicità, dal salmone alla renna, passando per varie preparazioni.

«Ho assaggiato tutto tranne l’orso – ammette Zana – mentre la renna la fanno in tutti i modi possibili. Ce ne sono branchi a perdita d’occhio. La fanno a spezzatino, ma anche il filetto. E i filetti sono anche quelli di salmone, che fanno anche in una zuppa alle erbe che è molto buona. E poi bevono molto, direi troppo. Basti pensare che ci hanno fermato alle 11 del mattino e mi hanno fatto un alcol test…».

Leader per caso

Fin qui le vacanze, durate per tre settimane, ma il clima del ritiro ci richiama all’ordine. Ci sono i massaggi che premono, una stagione da riassumere e una da ricordare. La ripresa degli allenamenti è passata per una prima settimana a dir poco blanda e per un aumento progressivo delle ore e della concentrazione.

«Il 2024 è stato un anno di esperienza – ricorda – mi sono ritrovato a fare il capitano al Giro d’Italia dopo la caduta di Dunbar. Inatteso, certo, ma mi ha insegnato tanto. Ho capito che se un Grande Giro non lo prepari, si soffre. Mi ha fatto crescere? Forse sì, ma è stato davvero duro, fisicamente e mentalmente. Ero partito per puntare a qualche traguardo parziale, ma se devi fare classifica, sei meno libero di muoverti. Per cui se dovessi fare nuovamente il Giro puntando alla classifica, quantomeno vorrei arrivarci diversamente. Abbiamo vissuto un giorno per volta, mentre per fare classifica serve un’altra programmazione».

Il Giro di Zana è stato un continuo tenere duro per salvare una buona classifica
Il Giro di Zana è stato un continuo tenere duro per salvare una buona classifica

Manca la vittoria

La sintesi è che in questo ciclismo che va a mille all’ora, prima si capisce di che pasta si è fatti e prima si trova il proprio posto. A stare nel mezzo del guado, si rischia di perdere la rotta.

«C’è stata un’accelerazione molto brusca da dopo il Covid – riflette Zana – e l’aumento di tutto è diventato esponenziale. Forse l’evoluzione maggiore l’ha avuta l’alimentazione. Ora tutti hanno il nutrizionista, mentre a sentire i racconti appena poco prima non c’era nulla di tutto questo. Unitamente alle preparazioni e ai nuovi materiali, questo ha fatto crescere le velocità e i ritmi. Basta guardare la media del Giro d’Italia, la più alta da anni.

«Per questo, per il corridore che sono e il modo in cui ho vissuto il Giro, avrei preferito andare a caccia di tappe. Mi è mancata la vittoria, ho fatto dei piazzamenti alla Vuelta, ma vincere è un’altra cosa. A volte serve anche fortuna, stargli dietro, essere più pronti. E ho capito che ormai non si va più alle corse per prepararsi. Quando attacchi il numero devi essere competitivo e arrivarci con la preparazione giusta, perché ogni volta trovi qualcuno che a quella corsa ci punta».

O’Connor, quattro anni in Francia e l’inglese ritrovato

15.12.2024
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ALTEA (Spagna) – Dato che non può ancora indossare gli abiti del Team Jayco-AlUla, Ben O’Connor ha pensato bene di presentarsi in ritiro con la maglia bianca e sopra una giacca larga e marrone. Di ottimo umore e anche leggermente abbronzato, l’australiano per quest’inverno non tornerà in patria, essendo diventato da poco papà e volendosi calare appieno nella parte di leader del nuovo team. Australiano come lui.

Riepiloghiamo, per chi fosse rimasto scollegato. Dopo aver conquistato il secondo posto alla Vuelta alle spalle di Roglic (che l’ha detronizzato a tre tappe dalla fine), l’australiano ha vinto con la sua nazionale il Team Mixed Relay ai mondiali di Zurigo e poi si è piazzato secondo nella gara in linea alle spalle di Pogacar e prima di Van der Poel. Ha riannodato in un solo colpo il filo che penzolava dopo il quarto posto al Tour del 2021, guadagnando valore di mercato e stuzzicando l’ambizione della squadra di Brent Copeland, che l’ha ingaggiato per farne il leader nei Grandi Giri. Lo incontriamo nei giorni del training camp della Jayco-AlUla ad Altea, lungo la costa fra Calpe e Benidorm.

O’Connor viene dalla punta più a Sud dell’Australia Occidentale, da una cittadina di settemila abitanti che si chiama Subiaco. Se qualcuno a questo punto ha pensato che c’è una Subiaco anche in Italia, a sud di Roma, sappia che l’omonimia non è casuale. Nell’area inizialmente popolata dagli aborigeni, nel 1851 si stabilì infatti una comunità di Benedettini che fondò la città dandole il nome di New Subiaco, proprio in onore della città italiana. A Subiaco, infatti, San Benedetto aveva fondato dodici monasteri e di uno era divenuto egli stesso l’abate. Otto anni dopo gli stessi monaci costruirono un grande monastero e nel 1881 la città prese semplicemente il nome Subiaco.

Tre le vittorie 2024 di Ben O’Connor, 29 anni: la Vuelta Murcia, la 6ª tappa della Vuelta (sopra), il Team Mixed Relay ai mondiali
Tre le vittorie 2024 di Ben O’Connor, 29 anni: la Vuelta Murcia, la 6ª tappa della Vuelta (sopra), il Team Mixed Relay ai mondiali
Come sta andando l’inverno?

Bene, finora il tempo è stato molto bello, piuttosto mite. Di solito vado via da Andorra quando nevica, non credo di esserci mai rimasto con la neve fuori dalla porta. Io andavo via e la neve arrivava, con un tempismo perfetto. Ma quest’anno che non ho intenzione di partire, la neve sembra non voler venire. Curiosa coincidenza.

Come si guarda indietro alla stagione 2024?

La guardo con un sorriso, è stato fantastico. Poche cose sono andate storte, ma ce ne sono sicuramente alcune che so di poter migliorare. Si potrebbe pensare che uno sia al settimo cielo, ma ci sono sempre prestazioni migliori, risultati migliori o modi migliori di gestire le situazioni. Però è stato certamente un anno da sogno.

Hai conservato tutte le maglie rosse della Vuelta?

Ne ho un sacco, questo è certo. Anche se hai vestito la maglia di leader in una qualsiasi gara World Tour, vorresti tenerla. E’ un ricordo, una cosa speciale. Se poi parliamo di un Grande Giro, è la ciliegina sulla torta. Indossare la maglia rossa per due settimane è stato qualcosa di diverso. Scendere dall’Andalusia attraverso la Galizia fino alla Cantabria è stato davvero una cosa grande. Il bello di quest’anno è che sono riuscito a mostrare la migliore versione di me in tutte le gare.

O’Connor ha conquistato la maglia di leader della Vuelta vincendo la 6ª tappa e l’ha difesa per i 12 giorni successivi
O’Connor ha conquistato la maglia di leader della Vuelta vincendo la 6ª tappa e l’ha difesa per i 12 giorni successivi
Avete individuato un fattore chiave per ottenere questa costanza durante la stagione?

Non so se sia l’età o il fatto di aver imparato a gestire il volume di allenamento. Il corpo ha imparato ad assorbire il carico di lavoro e fisicamente sono migliorato ogni anno da quando ho iniziato. Si impara a riposare e ad allenarsi per dare tutto quando serve. La squadra ha avuto un piano molto chiaro per ogni gara e in questo contesto abbiamo deciso che io fossi l’uomo delle classifiche generali. Alla Vuelta i ragazzi erano un po’ più al guinzaglio perché avevamo la maglia, però al Giro abbiamo vinto due tappe, con Vendrame e Valentin Paret-Peintre. La chiarezza è stata alla base di tutto ed è qualcosa su cui ragionare per la prossima stagione.

Pensi che potrai ripetere quello che hai vissuto quest’anno?

Probabilmente non rimarrò in testa alla Vuelta per due settimane, ma credo di potermi avvicinare. Non so se il 2024 rimarrà l’anno migliore della mia vita di corridore, ma di sicuro l’anno prossimo potrò ottenere prestazioni simili. Non ho dubbi sul fatto che possa migliorare, perché so che posso fare di più. Poi è chiaro che i risultati sono difficili da confermare, fai del tuo meglio e le cose magari non funzionano. Serve essere intelligenti. Non credo che al mondiale fossi il secondo più forte del gruppo, ma me la sono giocata meglio e alla fine ho preso la medaglia d’argento. Il ciclismo è così, non sempre alle prestazioni corrispondono i risultati.

Cosa ti fa pensare che l’anno prossimo otterrai prestazioni migliori?

Sono fiducioso perché, per esempio, nell’ultima settimana del Giro sono stato male come un cane. Eppure alla fine è stata una grande occasione persa, perché avrei avuto ugualmente la possibilità di salire sul podio, ma non ce l’ho fatta. Sarei potuto salire sul podio in entrambi i Grandi Giri della mia stagione. Avrei potuto vincere il UAE Tour e conquistare una gara a tappe WorldTour, invece Van Eetvelt è stato migliore di me. Tante cose sarebbero potute accadere, ma non sono successe. E io so che l’anno prossimo si può migliorare, ma non si può tornare indietro e cambiare il tempo.

O’Connor non ama le classiche ma riconosce l’atmosfera unica del mondiale con la maglia della nazionale
O’Connor non ama le classiche ma riconosce l’atmosfera unica del mondiale con la maglia della nazionale
Pensi di poterti avvicinare a Pogacar e Vingegaard?

No, sono fuori portata, sono troppo forti. Posso essergli vicino in certi giorni, ma non credo fisicamente di avere il loro stesso talento.

Arriverai al punto di pianificare le tue gare in base a ciò che non fanno loro?

Sì, è possibile. Si potrebbe seguire questa linea, perché ciascuno di noi ha sempre il proprio obiettivo personale. Potrei fare ogni anno il Giro se volessi, ma significherebbe evitare il Tour, che alla fine è l’apice. E proprio per questo tutti vogliono andare in Francia, perché è la corsa più importante dell’anno e tu vuoi esserci. Lo sport è pieno di grandi campioni, è una sua caratteristica, così come il fatto che non si può vincere tutto. Non si può evitare di andare al Tour e neppure di essere sconfitti, perché così è lo sport professionistico. Devi andare avanti e affrontarlo.

Perché si guarda a te solo per i Giri quando la tua prima vittoria 2024 è stata la Vuelta Murcia, di un solo giorno, poi sei arrivato secondo al mondiale?

Le corse di un giorno sono qualcosa che il mio ex allenatore ha sempre pensato che avrei dovuto fare di più. Solo che i programmi non si sono mai allineati. Le classiche devono piacerti e io non le trovo proprio così divertenti. Non è che proprio non veda l’ora che arrivino Amstel, Freccia e Liegi. Invece il mondiale è un po’ diverso, perché ha un’atmosfera da brivido. Indossi la maglia della nazionale australiana insieme agli altri corridori australiani ed è davvero una cosa speciale e allo stesso tempo per me un’eccezione. Con le corse di un giorno devi davvero metterti in gioco, mentre nelle corse a tappe puoi aspettare. Puoi essere il migliore semplicemente alla fine, che sia con la cronometro o sulla cima di una montagna. Invece durante la gara di un giorno, devi andare a cercarti anche il vento, devi essere aggressivo ed è un modo piuttosto divertente di gareggiare. Quindi da un lato non mi fanno impazzire, dall’altro forse potrei impegnarmici di più.

Il concetto di O’Connor è chiaro: la Decathlon non era il team più forte, ma ha guidato la Vuelta grazie a ruoli ben definiti
Il concetto di O’Connor è chiaro: la Decathlon non era il team più forte, ma ha guidato la Vuelta grazie a ruoli ben definiti
Che cosa hai imparato dal 2024?

Che puoi anche non avere una squadra di superstar, ma puoi ugualmente controllare una gara. Alla Vuelta avevamo un gruppo di bravi ragazzi, ma non certo dei campionissimi. Al confronto con quelli della UAE eravamo inferiori, ma i miei compagni sono stati forti perché avevano un compito prestabilito da svolgere e sono stati in grado di farlo. Ne sono rimasti tutti colpiti e abbiamo imparato che se hai le idee chiare, puoi riuscirci a prescindere dal nome dei tuoi compagni.

E’ scontato dire che il legame con l’Australia sia stato un fattore importante nella tua scelta?

No, di sicuro è stato un fattore importante. Sono stato per quattro anni in una squadra francese e ha significato cambiare completamente il mio stile di vita, il modo di comunicare. Se vai a correre in Francia, devi imparare prima di tutto la lingua. Sei tu il leader, hai la responsabilità di fare tu la corsa, eppure i direttori sportivi che ti guidano non parlano inglese. Così ho imparato a comunicare con i compagni e tutti i membri dello staff e i direttori. Soprattutto se sei un australiano in una squadra francese, devono davvero fidarsi di te perché vieni da un diverso modo di lavorare.

Una convivenza difficile?

Da un lato mi è piaciuta, ho vissuto un bel periodo, ma allo stesso tempo ero pronto per cambiare. Essere in una squadra australiana significa ritrovare la facilità di parlare e di stare con i ragazzi, me ne sono accorto già in questi pochi giorni. E anche con lo staff fila tutto liscio, si può parlare in modo diretto. Penso che come persona mi sentirò molto più a mio agio. In Francia mi sono divertito, ma qui è come tornare a casa.

Paternoster 3.0: sguardo fisso sulla Sanremo

13.12.2024
4 min
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ALTEA (Spagna) – Bisogna prepararsi per una Paternoster 3.0. Dopo aver parlato con la trentina nel ritiro del Team Jayco-AlUla, la sensazione è quella di una determinazione nuova, che poggia su una preparazione più strutturata e sostanziosa. La presenza di Marco Pinotti sarà più incisiva e l’apporto dell’ingegnere bergamasco, che già nel 2024 aveva portato una ventata di aria nuova fino alla prima vittoria, promette di essere la base per una svolta decisiva.

Letizia sorride, come al termine di un percorso faticoso che l’ha messa alla prova in modo importante. E ora che i nodi sembrano finalmente sciolti, il futuro e le corse sembrano un luogo protetto in cui essere se stessa senza dover per forza indossare i panni del personaggio che si è cucita addosso negli anni.

«Qua mi vogliono tutti bene – annota – e ci tengono tanto a me. Veramente si curano di me come persona e anche le compagne attorno mi fanno sentire apprezzata ogni giorno. E’ come se mi trasmettessero tutta la bella energia che hanno e questo conta tanto anche in gara».

Un ottimo dicembre per Paternoster, ospite dell’Hotel Cap Negret (immagine Instagram)
Un ottimo dicembre per Paternoster, ospite dell’Hotel Cap Negret (immagine Instagram)
Lo abbiamo già visto in primavera al Nord. Una Letizia molto più guerriera di quella cui eravamo abituati…

Per me non è stata una scoperta assoluta. Conosco le potenzialità che posso avere su strada, perché le avevo mostrate appena passata. Ovviamente era solamente questione di ritrovare quella che ero. Allora avevo solo 19 anni. Ora che sono cresciuta, fra la maturazione fisica e l’esperienza, posso sicuramente puntare un po’ più in alto. Perciò ci ho creduto, ma quello che abbiamo visto nella scorsa stagione è stata una sorpresa anche per me. Non mi aspettavo di essere migliorata così tanto. Per questo sono carica, non vedo l’ora di affrontare le corse. Ci credo veramente tanto. Perché l’ho già fatto e ora credo anche di poterlo fare ancora meglio.

Perché?

Perché l’anno scorso sono arrivata senza un’aspettativa e una preparazione adeguata al 100 per cento. Poi si sa, nel ciclismo tutto può succedere, però voglio pensare che se faccio tutto nel modo giusto, può accadere qualcosa di veramente magico.

Giro delle Fiandre 2024, Letizia Paternoster chiude al nono posto, cedendo solo nel finale
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Lo scorso anno hai cominciato a lavorare con Pinotti, la collaborazione continua?

Marco è super, cura i dettagli al 100 per cento. E’ un ingegnere e si vede nel modo in cui fa le cose. Quando parla, so che quello che dice è reale. Non dice una parola in più né una in meno. Guarda ogni allenamento in tempo reale: io torno e prima di ripartire il giorno dopo ho già i suoi feedback. Mi dice che magari in un certo tratto potevo fare qualche pedalata di più, vede particolari incredibili. E allo stesso tempo riesce a trasmettermi calma e serenità e questo con me fa tanto.

Ha aumentato le quantità di lavoro? Lo scorso anno proprio Marco ci disse che per l’attività che dovevi fare, ti allenavi ancora poco…

Effettivamente lui sta sempre avanti, sempre al passo con gli studi. Il ciclismo ha avuto un’evoluzione sotto tutti gli aspetti. E’ vero che ho aumentato tutto da quando lavoro con lui ed effettivamente i risultati sono tangibili.

Paternoster e una cartolina per Natale: la squadra rimarrà in Spagna fino alla vigilia delle Feste
Paternoster e una cartolina per Natale: la squadra rimarrà in Spagna fino alla vigilia delle Feste
E’ vero che proprio Marco ti ha suggerito di fare un pensiero alla Sanremo?

E’ un grande obiettivo. Appena hanno confermato che si farà, mi ha chiamato e mi ha detto: «Lo sai che si farà la Milano-Sanremo?». Gli ho chiesto che cosa ne pensasse e lui mi ha detto che bisognava farci un bel circoletto attorno. In pochi minuti è andato a studiarsi le prime cose, per cui di sicuro ci si prova. Si sa che poi il livello della competizione sarà altissimo. E’ una corsa che può piacere alla Longo Borghini, a Lotte Kopecky, la Wiebes e anche alla Vollering. C’è un bel gruppo di ragazze che possono veramente fare bene, però perché non pensarci?

E perché non pensare anche di riprendersi il posto che avevi da junior?

Esattamente, è proprio quello che voglio fare.

Da dove nasce questo sorriso?

E’ dicembre e non sono mai partita a dicembre con un livello così alto, ne parlavo proprio prima con Marco. Siamo felici, stiamo lavorando nella direzione giusta. Ho fatto una off-season adeguata e quindi stiamo costruendo il mio percorso. Davvero non vedo l’ora di cominciare.

I pensieri di Dunbar, distrutto dal Giro, rinato alla Vuelta

11.12.2024
7 min
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ALTEA (Spagna) – Una caduta nella seconda tappa del Giro in cui avrebbe fatto classifica e la stagione di Eddie Dunbar aveva preso una piega più malinconica di quanto fosse già stata fino a quel momento per altre cadute. La Jayco-AlUla costretta a reinventarsi con Zana come leader e l’irlandese a casa a contare i giorni per togliere i punti dal ginocchio e inventarsi un nuovo inizio. Quello che è venuto dopo, le due tappe vinte alla Vuelta, ha fortunatamente pareggiato il conto. Non due vittorie qualsiasi, ma a modo loro delle imprese grazie a fughe azzeccate e poi la capacità di resistere al ritorno dei migliori dalle sue spalle. Così al Campus Tecnologico Cortizo Paron (tappa 11) e a Picon Blanco (tappa 20). Per la squadra è stato un cambio di passo ed è per questo che adesso nel parlarne Dunbar mostra leggerezza e sollievo.

La carnagione chiara di sempre, che la tuta blu fa sembrare ancora più pallida. Il tono profondo. L’estrema attenzione con cui ti guarda mentre fai la domanda e la pausa per ordinare i concetti prima di rispondere. Sono le sei di un pomeriggio spagnolo in riva al mare, nel piazzale dell’hotel si riconosce anche il camion dell’Astana, ma dei celesti di Vinokourov non si vede in giro nessuno.

Abbiamo incontrato Dunbar nel media day del Team Jayco-AlUla: circa 20 giornalisti presenti
Abbiamo incontrato Dunbar nel media day del Team Jayco-AlUla: circa 20 giornalisti presenti
Pensi che si possa dividere l’ultima stagione in parti: prima del Giro e dopo il Giro?

Sì, probabilmente sì. Prima del Giro ci sono state solo cadute, niente di buono. Troppi ritiri. Al UAE Tour e alla Valenciana, al GP Indurain e anche al Romandia. Invece al Giro ero arrivato con una forma abbastanza buona e il primo giorno a Torino era stato davvero ottimo (nel gruppo dei migliori a 10” da Narvaez e Pogacar, ndr). Invece l’indomani sono caduto per il brecciolino in quella rotonda ed è stato davvero frustrante. Ovviamente ho finito la tappa, ma sapevo che c’era qualcosa di grosso che non andava con il ginocchio destro e così è stato. E’ vero, i primi sei mesi sono stati davvero frustranti. Non riuscivo ad allenarmi bene né a correre come volevo.

Come ne sei uscito?

Restando fermo (sorride, ndr) e ricostruendomi molto lentamente. Sapevo che dovevo correre la Vuelta e appena sono potuto tornare in bici, la progressione è stata molto, molto lenta. Per fortuna la condizione ha iniziato ad arrivare durante la corsa, sono migliorato nelle ultime due settimane e sono riuscito a vincere le due tappe. E’ stata una bella sensazione, soprattutto dopo tanta sfortuna. Ottenere finalmente delle vittorie di alto livello è quello che serviva.

Firma di partenza nella seconda tappa del Giro da San Francesco al Campo a Oropa, quella della caduta
Firma di partenza nella seconda tappa del Giro da San Francesco al Campo a Oropa, quella della caduta
Quindi non sei andato alla Vuelta per fare classifica come al Giro?

Pensavo di poter entrare nei primi dieci, penso fosse quello che la squadra avrebbe voluto. Ma per me l’obiettivo principale era che la squadra vincesse una tappa. Così ho pensato che se fossi riuscito a vincerne una di montagna, allora forse sarebbe arrivata anche la classifica generale. E alla fine non è andata così male. Ho avuto una brutta giornata il giorno prima del giorno di riposo a Granada a causa del caldo. Quando si va sopra i 40 gradi, soffro davvero: quello non è il mio clima. E quel giorno ho sofferto molto e ho perso 11 minuti. Probabilmente la mia top 10 è tramontata lì e mi sono deciso a puntare soltanto sulle tappe.

Poi in realtà non sei finito troppo lontano…

Undicesimo, a tre minuti dal decimo posto. Ma è stato meglio aver vinto due tappe che portare a casa un decimo posto senza nessun acuto.

Torniamo indietro al Giro, come ti sei sentito quel giorno andando via?

Un sacco di emozioni. Ero davvero frustrato perché dovevo fare classifica e il giorno prima mi ero sentito davvero bene. Sapevamo che il ginocchio non andava bene, perché c’era un buco, ma finché non abbiamo fatto degli esami poteva essere molto più grave di quanto sia stato. Quei giorni non sono stato troppo forte mentalmente e anche fisicamente ero piuttosto malconcio. Per una settimana o anche due sono stato davvero giù. Mi chiedevo di continuo quando sarebbe finita quella sfortuna. Cambierà mai? Avrò ancora la possibilità di andare alla Vuelta? Ma per fortuna poi il ginocchio è lentamente migliorato e anche la mia visione del mondo ha iniziato a cambiare. Sono andato alla Vuelta dopo essermi allenato bene e sapevo cosa avrei dovuto fare per ricostruire la mia fiducia e provare a vincere. E per fortuna l’ho fatto.

Eddie Dunbar è nato il 1° settembre del 1996 a Banteer, in Irlanda. E’ pro’ dal 2018, è alto 1,70 per 57 chili
Eddie Dunbar è nato il 1° settembre del 1996 a Banteer, in Irlanda. E’ pro’ dal 2018, è alto 1,70 per 57 chili
La prima gara dopo l’incidente è stato il campionato irlandese a crono e l’hai vinto.

Sì, è vero (ride, ndr). Non mi aspettavo di vincerlo. A cose normali sarebbe stata una possibilità, ma mi ero allenato correttamente solo per due settimane e pensavo che fosse poco. Però ho pensato: “La crono è lunga 36 chilometri e io posso andare forte per 50 minuti, vediamo se sono capace”. Sapevo che nella gara su strada sarebbe stato più difficile perché sarebbe stato uno sforzo di quattro ore. Per cui sono andato ad Athea, dove si correva, che è a 40 minuti da casa mia in Irlanda. Conoscevo le strade perché è capitato di allenarmi da quelle parti. Ho fatto una prova del percorso e poi in gara non ho neppure guardato il Garmin. Sono partito, ho fatto la mia crono e alla fine sono rimasto davvero sorpreso. E’ stato bello vincere, buono per il morale.

Hai vinto le due tappe alla Vuelta tenendo testa al ritorno di Roglic: hai imparato qualcosa di nuovo su di te come scalatore?

Penso che forse ho bisogno di credere di più in me stesso. Soprattutto quando mi trovo contro certi corridori, non devo avere paura di andare  e spingere. Perché se riesco a farlo su quelle salite così dure, a un certo punto i più forti verranno pure a prendermi, ma avrò comunque una possibilità di vincere superiore a quella che avrei se restassi fermo ad aspettare che attacchino loro. Ed è quello che è successo. Penso che ho solo bisogno di mettermi in quel tipo di situazione e poi provare a capitalizzarla e sfruttarla al meglio. Ho solo bisogno di credere di più in me stesso, avere la fiducia di provarci.

Nel giorno di Picon Blanco alla Vuelta, Dunbar vince la sua seconda tappa e respinge il ritorno dei big
Nel giorno di Picon Blanco alla Vuelta, Dunbar vince la sua seconda tappa e respinge il ritorno dei big
Questo cambierà qualcosa per il futuro?

No, non credo. Come ho detto, di sicuro ti dà fiducia, penso che la darebbe a chiunque. Ma penso anche che rimarrò lo stesso corridore, con le qualità atletiche che so di avere, non cambierò pelle. Ora so che posso vincere, ma non diventerò quello che non sono.

Cosa ti aspetti da questo inverno?

Voglio crescere lentamente. Ho un nuovo allenatore, con cui avevo collaborato già qualche anno fa, quindi sto lavorando a stretto contatto con lui, il che è bello. Abbiamo messo in atto una buona strategia di preparazione. Cioè venire qui prima di Natale, fare un buon allenamento, tornare a casa e rilassarmi un po’ durante il Natale e poi, con quattro-cinque settimane di lavoro costruire l’AlUla Tour, che per la squadra è una grande gara, visto che si corre in casa di uno degli sponsor principali. Sarà importante andare lì ed esibirsi a un grande livello. Quindi per ora questa è la cosa principale, assieme al rimanere in salute durante il Natale, e poi andare lì e sperare di ottenere un risultato.

In azione all’ultimo Lombardia: sul ginocchio di Dunbar si notano i segni della caduta del Giro
In azione all’ultimo Lombardia: sul ginocchio di Dunbar si notano i segni della caduta del Giro
Quale Grande Giro ti piacerebbe correre nel 2025?

Penso che sarebbe bello andare al Tour e penso che sia una possibilità. Si va in Francia per aiutare Ben (O’Connor, ndr) a vincerlo o salire sul podio e magari per provare a vincere una tappa.

Il suo arrivo cambierà qualcosa nella squadra?

Non del tutto, perché Yates era davvero un buon corridore, ha vinto la Vuelta e ha fatto già bene nei Grandi Giri. Abbiamo perso Simon, ma abbiamo preso uno come Ben che quest’anno è stato uno dei migliori corridori al mondo. Ovviamente è anche australiano, quindi questo fa la differenza in un team che è a sua volta di laggiù. Quindi penso che sia bello per lui e anche per la squadra, penso che gli piacerà stare qui. E se l’anno prossimo riuscirà ad essere presente come quest’anno, sarà una buona stagione. E penso che tutti saranno felici.

L’occasione mancata: Piva e la Sanremo 2024 di Matthews

26.11.2024
4 min
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Sedici marzo del 2024, il giorno in cui Valerio Piva si è mangiato le mani per la Sanremo sfumata. Più rivedi quel finale, più ti accorgi delle sfumature che hanno impedito a Michael Matthews di conquistare il traguardo di via Roma. E si fatica a capire se nel tono di voce del tecnico del Team Jayco-AlUla prevalga la delusione o la stizza. Prosegue la nostra galleria delle incompiute (raccontate dai direttori sportivi) e questa volta in palio c’è la prima Monumento della scorsa stagione.

«Si poteva vincere – dice Piva – ma Matthews da un certo punto di vista è stato corretto, perché non ha insistito nel tenere Philipsen alla corda. Era nel suo diritto perché era davanti, invece gli ha aperto la porta e chiaramente l’altro è passato. Invece poi al Fiandre lo hanno squalificato dal terzo posto per un leggero movimento, ma questa è un’altra storia».

Pidcock viene ripreso all’inizio della volata. Prima Stuyven e poi Matthews in prima persona risucchiano il gruppo in un’accelerazione violentissima. L’australiano sogna da sempre di vincere la Sanremo: si sposta sulla sinistra del rettilineo, ma anziché tenere la linea si scosta. Anche perché sul più bello, tenendo lo sguardo verso il basso, gli scivolano via gli occhiali. La minima esitazione permette a Philipsen di infilarsi, risalire e poi batterlo al colpo di reni.

Dalla partenza, la Jayco-AlUla sapeva che Matthews avrebbe lottato per la vittoria della Sanremo
Dalla partenza, la Jayco-AlUla sapeva che Matthews avrebbe lottato per la vittoria della Sanremo
Si poteva vincere?

Era un’opzione, chiaramente Michael era uno dei papabili. Però sul momento il secondo posto ti va bene, perché in partenza non sai mai se potrai vincere. Poi vedendo com’è andato il finale, è chiaro che perdere la Sanremo a quel modo brucia parecchio. Io la vinsi alla stessa maniera con Cavendish nel 2009, quando batté Haussler. E immagino che nell’entourage di quest’ultimo ci fosse qualcuno che in quel momento si sentì come me. Non è bello perdere a quel modo una corsa di questo livello e questa importanza.

Ci sono margini di manovra per l’ammiraglia una volta che la corsa torna sull’Aurelia dopo la discesa del Poggio?

Neanche un po’. Dalla macchina vedi immagini televisive che già sono ritardate, in più si vede a scatti. Allora senti la radio, ma in quei momenti non danno tante informazioni. Per cui anche noi si sta zitti oppure si incitano e si danno le ultime raccomandazioni. Però non è che puoi guidare il corridore o dirgli esattamente cosa deve fare, da lì in poi sono loro che decidono. In più la televisione non l’ho vista e non ho neanche visto quello che è successo in volata. Ho sentito poi l’ordine d’arrivo e ho scoperto che era arrivato secondo. Ma poi vedendo il filmato, ha iniziato a bruciare anche di più.

Matthews lascia aperta la porta in traiettoria e Philipsen da dietro risale a doppia e vince la Sanremo
Matthews lascia aperta la porta in traiettoria e Philipsen da dietro risale a doppia e vince la Sanremo
Diresti che Matthews in volata è un bandito oppure è molto corretto?

Da come l’ho conosciuto quest’anno, a volte mi sembra forse un po’ tenero. Da fuori ho sempre pensato che fosse veramente un mastino, un cagnaccio, uno di quelli duri. Quando io avevo Van Avermaet, si batteva con lui e con Sagan. Ho sempre pensato che fosse veramente duro invece, imparando a conoscerlo e sentendo quello che dicono in squadra, viene fuori che è sempre un po’ dubbioso. E’ un corridore con tanta classe e per questo ottiene i suoi risultati: gli si può dire tutto tranne che sia scorretto. Anzi, purtroppo è il contrario…

Sul pullman avete rivisto il finale? Ne avete riparlato?

Di solito dopo la corsa si fa un debriefing, che alla Sanremo è abbastanza veloce, perché parti, hai già all’aereo e vai a casa. Di solito il nostro sistema, per esempio nelle corse a tappe, è confrontarsi sul bus una quindicina di minuti prima di raggiungere l’albergo. Serve per far parlare i corridori. Gli si ricorda quale fosse la tattica e si chiede perché non sia stata attuata. E se qualcuno ha commesso un errore, a quel punto deve dichiararlo. Solitamente è una discussione molto produttiva, perché permette di chiudere lì uno screzio o un’incomprensione. Quel giorno Matthews era dispiaciuto e ha raccontato il finale dal suo punto di vista. Ha fatto notare come gli fossero caduti gli occhiali e che in quel momento di esitazione, l’altro l’ha bruciato. Finire secondo per tanti sarebbe un bel risultato, però quando hai la possibilità di vincere è chiaro che la reazione è differente.

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I 50 metri di Dainese a Padova, parla Tosatto

De Pretto, un anno in più: il giovane cresce e sogna in grande

20.10.2024
5 min
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TORINO – Se tanti in gruppo gli dicono «Bravo, giovane», un motivo ci sarà. La prima stagione nel WorldTour per Davide De Pretto è stata tutta una scoperta, ma il ventiduenne di Thiene ha dimostrato di avere stoffa. Basti pensare che, pochi giorni dopo la chiacchierata con noi, ha sfiorato il podio del Giro del Veneto, chiuso al 4° posto. Senza dimenticare il primo hurrà tra i grandi al Giro d’Austria a luglio.

Come ci ha raccontato Luka Mezgec, arriverà il tempo in cui lo vedremo a braccia alzate in corse di spessore. Ma per il momento godiamoci, pedalata dopo pedalata, questo talento in erba e ci facciamo raccontare che cosa vuol dire limare tra i grandi verso le posizioni che contano.

Il 3 luglio a Bad Tatzmannsdorf arriva la prima vittoria da pro’ su Oliveira (foto Tour of Austria)
Il 3 luglio a Bad Tatzmannsdorf arriva la prima vittoria da pro’ su Oliveira (foto Tour of Austria)
Raccontaci la tua prima volta al Lombardia: com’è stata?

Impegnativa, senza dubbio. Sapevo che sarebbe stata una gara dura, ma ci sono arrivato preparato. Come squadra, forse ci aspettavamo qualcosa di più. Il mio lavoro era tenere davanti i miei compagni fino all’ultima salita lunga, poi io ho fatto il mio ritmo. Comunque, è stata una bella esperienza per il futuro.

Era come lo sognavi?

L’anno scorso ero andato all’arrivo del Lombardia e, vedendo vincere Pogacar, mi sono detto: «Sarebbe bello fare questa gara l’anno prossimo». In realtà, avevo fatto anche la Sanremo in primavera ed era stata anche quella una bella avventura.

Hai aperto e chiuso con due Monumento una stagione da ricordare: è quello che ti aspettavi dalla tua prima da pro’?

In realtà, non mi aspettavo tutti questi risultati da subito, già da gennaio. Sin dall’Oman, ho capito che potevo dire la mia e sono riuscito poi a mantenere la condizione per tutta la stagione.

Il 2024 di De Pretto è iniziato con la Sanremo e ha visto anche il Lombardia, corso in appoggio ai compagni
Il 2024 di De Pretto è iniziato con la Sanremo e ha visto anche il Lombardia, corso in appoggio ai compagni
Ci spieghi che cosa cambia col grande salto nel WorldTour?

L’organizzazione delle squadre prima di tutto. Sei seguito in ogni piccolo particolare, soprattutto negli allenamenti, monitorato dai fisio e ti controllano dai piedi alla testa. Ognuno viene trattato allo stesso livello, senza che il palmares abbia un peso.

Hai fatto più o meno chilometri dello scorso anno?

Secondo me qualcuno in meno come totale, tipo 2.000 in meno, però quest’anno ho corso decisamente di più. Mi sono divertito molto ed essere al via con la maglia di una squadra importante è stato davvero stimolante.

Chi è il corridore che ti ha insegnato di più o che ti ha colpito?

Le prime gare mi guardavo attorno e scovavo corridori che ero abituato a seguire la tv. Mi ricordo ad esempio che mi ha impressionato Mohoric in Spagna, quando è andato via in discesa e ha vinto alla Vuelta Valenciana. Oppure in un’altra occasione McNulty. Poi ci fai l’abitudine, a forza di correrci insieme e cominci a pensare a te stesso. 

Ti piace come ti ha accolto il gruppo?

Sì, in tanti mi dicono: «Bravo, giovane». Essendo neopro’, è così che vengo chiamato da chi è già nel circuito da qualche annetto. Sanno che posso essere pericoloso perché ho iniziato a farmi notare.

Dopo le top 10 al Pantani e al Matteotti, De Pretto ha partecipato al mondiali U23, ma non li ha terminati a causa del freddo
Dopo le top 10 al Pantani e al Matteotti, De Pretto ha partecipato al mondiali U23, ma non li ha terminati a causa del freddo
Che cosa ti aspetta nel futuro prossimo?

Un po’ di vacanza in Kenya con la mia fidanzata Elisa (con lui nella foto di apertura dopo il quarto posto al Giro del Veneto, ndr). Ci conosciamo dalle medie e quest’anno mi ha seguito praticamente ovunque, sin dalle corse di inizio stagione in Spagna. Per cui ora voglio godermi qualche giorno di relax con lei per arrivare all’anno prossimo ancora più carico.

Piani per il 2025?

Spero di fare il primo Grande Giro della mia carriera e mi auguro sia proprio il Giro d’Italia. Poi sarebbe bello qualche vittoria o podio importante in gare che contano. Ci saranno nuovi corridori in squadra, per cui sono pronto ad aiutarli.

Ti stuzzicano arrivi come quelli di Ben O’Connor e Koen Bouwman?

Ho incrociato Ben alle visite qui a Torino e abbiamo cominciato a conoscerci. Lui come Koen sono corridori importanti e ti stimola anche aiutarli perché sai che possono ottenere buoni risultati.

Ti senti più uomo da classiche o da Grandi Giri?

L’anno prossimo spero di testarmi sulle tre settimane così vedremo. Per ora mi trovo bene nelle gare a tappe più corte, quelle di una settimana, poi nelle gare di un giorno ravvicinate l’una all’altra ho visto che se ho un recupero in mezzo di uno o due giorni, riesco a farmi trovare pronto. 

Una settimana dopo il ritiro dal mondiale U23, per De Pretto è venuto l’ottavo posto alla Coppa Agostoni
Una settimana dopo il ritiro dal mondiale U23, De Pretto è arrivato ottavo alla Coppa Agostoni
Sogni nel cassetto?

Ho fatto la Sanremo quest’anno e sono arrivato nel secondo gruppo, a 30 secondi dal primo. Quindi, direi che è una gara che mi si addice. Sarebbe un sogno, perché sono quelle vittorie che ti svoltano la carriera.

Hai chiesto qualche consiglio a Matthews che l’ha sfiorata a ripetizione?

Non l’ho visto tanto in verità, perché abbiamo fatto un calendario abbastanza diverso. Però, ero presente quando ha fatto 2° alla Sanremo lo scorso marzo. Era dispiaciuto, ma anche contento perché un secondo posto in una Monumento è pur sempre un bel traguardo. E’ un ragazzo come gli altri, molto tranquillo e disponibile.

La Sanremo dal 2025 aprirà anche alle donne: il tuo commento?

Penso che oramai tutte le gare più importanti abbiano una versione femminile, per cui questo è un altro bel passo in avanti.

Ai giovani che sono lì per fare il salto da pro’, che consiglio daresti?

Di prepararsi bene durante l’inverno, poi fare sempre le cose fatte bene e i risultati si manifestano già nel corso della stagione. Non bisogna mai aver fretta e lavorare duro ogni giorno.

Vuelta, mondiali e nuova squadra: cosa dice O’Connor?

19.10.2024
7 min
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TORINO – Il peso di una Nazione sulle spalle, ma Ben O’Connor non è uno che si lasci influenzare dal giudizio altrui né dalle pressioni. L’ha dimostrato con un finale di stagione da applausi, andandosi a prendere il tanto agognato podio in un Grande Giro alla Vuelta, riscattandosi così di quello sfuggitogli all’ultimo Giro d’Italia e in precedenza al Tour del 2021. Non contento, ha sfoderato un’altra piazza d’onore di prestigio nella rassegna iridata in quel di Zurigo.

Mentre lo guarda svolgere i test all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torino, Brent Copeland si frega le mani pensando al gioiellino che sarà il farò della Jayco-AlUla per il 2025. L’aspetto che lo stuzzica di più è proprio il fatto che i due secondi posti ottenuti dal ventottenne di Perth siano arrivati in corse così diverse sia come tipologia sia per le condizioni ambientali e metereologiche. Ora il manager della squadra australiana è ancora più convinto nell’avergli affidato il compito di raccogliere l’eredità di Simon Yates.

Abbiamo incontrato Ben O’Connor in occasione delle visite del Team Jayco-AlUla presso il Centro IRR di Torino
Abbiamo incontrato Ben O’Connor in occasione delle visite del Team Jayco-AlUla presso il Centro IRR di Torino
Ben, che effetto ti fa il pensiero di indossare dal 1° gennaio 2025 la maglia di una squadra australiana?

I quattro anni con la Decathlon hanno rappresentato un’esperienza completamente nuova, ma sarà speciale far parte di una squadra del mio Paese. Mi conforta molto perché, pur vivendo a migliaia di chilometri dalla nostra Australia, in effetti mi sentirò un po’ a casa. Sono contento di ritrovare un amico come Luke Durbridge e uno staff di connazionali. Essere il capitano della Jayco-AlUla in un Grande Giro poi, sarà una motivazione enorme ad alzare ancora l’asticella per portare in alto la nostra bandiera comune. Spero di ripetere quanto fatto quest’anno.

Sei cresciuto in una Nazione esplosa con i successi di campioni come Cadel Evans e Simon Gerrans: hai sempre pensato di fare il ciclista?

In realtà, no. Ho provato moltissimi sport, come ad esempio il cricket, il calcio e anche la corsa. Il Tour de France era sempre in tv da noi, ma il ciclismo non è mai stata un’ossessione, semmai un’opportunità che si è creata. Ci ho provato e, con il supporto dei miei genitori che mi hanno comprato la prima bici da corsa, è cominciato tutto. E’ successo tutto in fretta e in maniera inaspettata. In poco tempo mi sono trovato da correre nelle gare nazionali in Australia a gareggiare col primo team Continental in Asia. Fino ad arrivare in Europa l’anno dopo, nel 2017, e cominciare a vivere come un ciclista professionista

Nell’ultima settimana, O’Connor ha perso l’occasione di scalare il podio del Giro. Sul Grappa 9° posto di tappa
Nell’ultima settimana, O’Connor ha perso l’occasione di scalare il podio del Giro. Sul Grappa 9° posto di tappa
Sei passato da essere spettatore alla tv a esserne protagonista, visto che negli ultimi anni ti abbiamo visto parecchio anche nella serie sul Tour de France trasmessa da Netflix. Ti sei divertito?

Forse sono stato in onda pure troppo e chiedo scusa a tutti gli utenti che mi hanno guardato. Dai, almeno non ci sono nella prossima stagione, per cui vi do un po’ di sollievo. E’ stato interessante, ma direi che preferisco vedere le corse piuttosto che la serie di Netflix.

Beh, il tuo 2024 è stato un film avvincente, sei d’accordo?

Direi proprio di sì, penso di aver finalmente espresso il mio potenziale. Al Giro mi è spiaciuto stare male l’ultima settimana. In quel momento pensavo soltanto al podio perso nella generale e non sapevo se e quando mi sarebbe ricapitata un’altra occasione del genere. Poi, quando mi sono trovato in testa alla Vuelta per due settimane, è stato folle.

La vittoria di Yunquera ha permesso a O’Connor di salire in testa alla Vuelta e di restarci fino alla 19ª tappa
La vittoria di Yunquera ha permesso a O’Connor di salire in testa alla Vuelta e di restarci fino alla 19ª tappa
Com’è stato per la prima volta trovarsi al comando di un Grande Giro?

E’ stato pazzesco indossare una maglia iconica come quella rossa. Vedi gli altri farlo nei Grandi Giri e ti chiedi mille volte che cosa si provi. Poi tocca a te ed è incredibile, un mix di orgoglio e consapevolezza di essere un vincente. In quel momento, comunque, sei davanti a tutti. Non c’è niente di meglio e se non ti fai distogliere dalle tante attenzioni, è una carica in più.

A volte non ti sembra ti chiedere troppo a te stesso?

Sono entusiasta del mio finale di stagione perché ho raggiunto il livello che sapevo di valere. Il quarto posto al Giro mi aveva lasciato una sensazione di incompiutezza perché sentivo di poter valere di più, così come già all’Uae Tour perso all’ultimo giorno per appena due secondi. Il secondo posto alla Vuelta, invece, è stato come una vittoria per me.

Indossare la maglia rossa e difenderla (qui ai Lagos de Covadonga) ha fatto crescere la consapevolezza di O’Connor
Indossare la maglia rossa e difenderla (qui ai Lagos de Covadonga) ha fatto crescere la consapevolezza di O’Connor
E tra quella piazza d’onore sudata per tre settimane e quella della domenica mondiale, che punti in comune ci sono?

In entrambi i casi ho dato tutto quello che avevo e ho finito senza nessun rimpianto né alcun pensiero negativo. Sia in Spagna sia in Svizzera ho interpretato la corsa nel migliore dei modi. Punto. E ora sono carichissimo per la prossima stagione.

Non ti ha un po’ sorpreso essere sul podio nella gara di un giorno, primo degli umani dopo l’imprendibile Pogacar?

Il mio allenatore alla Decathlon continuava a ripetermi che avrei dovuto fare più corse di un giorno perché si addicono alle mie caratteristiche, per cui penso che ora possa essere orgoglioso. Forse perché sono arrivato al mondiale senza troppe aspettative, non sapendo se avrei finito la corsa né tantomeno in che posizione, per cui figuriamoci sul podio. E’ stata una bella sorpresa, perché ero così stanco dopo la Vuelta che non ho fatto nemmeno la crono e così sono arrivato molto tranquillo alla prova in linea. 

Dopo la crono finale di Madrid, il prevedibile crollo emotivo: il podio è suo
Dopo la crono finale di Madrid, il prevedibile crollo emotivo: il podio è suo
Com’è stato lottare contro Pogacar?

Non ho lottato con lui, anche se in realtà ero proprio alla sua ruota quando è partito. Ho avuto un momento di riflessione e mi sono chiesto se avessi dovuto seguirlo. Ci ho provato e non ero così lontano. Lui viaggiava su un altro pianeta, per cui sono stato contento di aver sfruttato l’occasione per avvantaggiarmi sugli altri perché chiunque degli inseguitori avrebbe potuto fare secondo o terzo. 

Hai qualche hobby quando non pedali?

Mi piace stare comunque all’aria aperta e passare tempo con mia moglie o con i miei amici. Magari mi concedo qualche bicchiere di vino o di birra o un buon caffè, niente di speciale. Preferisco fare un bel picnic, una camminata in montagna o comunque qualunque attività outdoor.

Pensi già ai piani per il 2025?

E’ ancora tutto da decidere, ma mi piacerebbe tornare al Tour de France. Se poi riuscissi a inserire anche Giro o Vuelta non sarebbe male, ma non devi fare due Grandi Giri per forza e magari potrei tenermi questo piano per il 2026. Mi è sempre piaciuta la combinazione Giro-Vuelta, mentre non sono così sicuro dell’abbinamento Tour-Vuelta. Giro-Tour, invece, potrebbe essere stimolante perché d’altronde il Giro è il Grande Giro che forse si addice di più alle mie caratteristiche

Ai mondiali di Zurigo, O’Connor ha fatto la sua parte per la vittoria australiana nel Team Relay
Ai mondiali di Zurigo, O’Connor ha fatto la sua parte per la vittoria australiana nel Team Relay
A maggio non le avevi mandate a dire a chi criticava la neutralizzazione della tappa di Livigno sotto la neve. Hai visto quanto successo di recente con la cancellazione delle Tre Valli Varesine e che ne pensi delle reazioni del pubblico?

Non mi sognerei mai di dire a nessuno come deve svolgere il proprio lavoro. Non dirò mai a un avvocato come deve comportarsi né a un giudice o un investitore. Per questa ragione, mi è parso alquanto paradossale che ci fosse gente che parlasse alle nostre spalle riguardo a un lavoro che non conoscono e che non saprebbero nemmeno fare. Chiunque può andare in bicicletta, non è così difficile. Ma gareggiarci e fare il ciclista professionista è totalmente un altro mondo. Ho chiuso coi social media e preferisco non leggere cosa scrive la gente che pensa di poter fare il nostro mestiere. Dovremmo essere noi ciclisti, insieme agli organizzatori, a prendere le decisioni, non il pubblico. 

La tua salita preferita?

Port de Cabus, in Andorra, forse una delle più belle che abbia fatto. E poi anche Arcalis non scherza affatto.

Big Carbo, la Jayco-AlUla fa da sé con la regia di Laura Martinelli

07.10.2024
6 min
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Le squadre sono vere e proprie aziende. Hanno sponsor tecnici con cui ci confrontano per ottenere il meglio, ma in alcuni casi (molto rari) scendono direttamente in campo e producono da sé quello di cui hanno bisogno. Questo articolo è nato per caso ai mondiali di Zurigo, quando un amico ci ha fatto notare la confezione di un prodotto alimentare con sopra scritto in grande Big Carbo (in apertura Nadia Zuccherelli prepara i rifornimenti per il Giro dell’Emilia). Non abbiamo avuto il tempo di leggere cosa ci fosse scritto, ma abbiamo riconosciuto, sia pure ben stilizzati, i ricci di Laura Martinelli. Il nome non vi è sconosciuto. Martinelli è la nutrizionista del Team Jayco-AlUla, spesso nostra luce guida per quanto riguarda le tematiche legate all’alimentazione. Che cosa ci faceva la sua immagine su quella busta di integratori?

La cosa migliore è stata andare alla fonte e parlando con lei è venuto fuori uno spaccato di vita di squadra che finora non avevamo mai conosciuto. L’unione fra la ricerca, le esigenze degli atleti e, perché no, la necessità di ottimizzare le risorse. Questa è la storia di come il Team Jayco-AlUla abbia iniziato a prodursi da sé gli integratori da sciogliere in acqua, grazie alla competenza della sua nutrizionista, al parere dei corridori e a un laboratorio altamente specializzato.

Laura Martinelli, veneta, è arrivata nel team australiano lo scorso anno (foto Jayco-ALula)
Laura Martinelli, veneta, è arrivata nel team australiano lo scorso anno (foto Jayco-ALula)
Cara Laura, buongiorno. Che cosa ci fa la tua immagine sulla confezione di un integratore?

E’ nato un po’ a caso, sono sincera (sorride lei, che è il ritratto della modestia, ndr). In squadra c’era un’esigenza per la quale non si trovava soluzione a livello di prodotti già in commercio. E allora, volendo sintetizzare, ci siamo detti: perché non farcelo da soli? I corridori hanno delle esigenze molto peculiari. Quindi le abbiamo messe insieme alle nostre nozioni. Abbiamo chiesto la collaborazione del dottor Carlo Guardascione, che è il mio responsabile, e il dottor Matteo Beltemacchi, il medico principalmente coinvolto nel progetto. E alla fine abbiamo creato una bevanda. Inizialmente è stato un tentativo quasi per gioco, ma alla fine è piaciuta così tanto, che fondamentalmente ha rimpiazzato tutte le bevande glucidiche della squadra. In pratica con la stessa polvere, cambiando il dosaggio, otteniamo le varie borracce. Le chiamiamo con nomi diversi ma hanno solo concentrazioni differenti: la polvere è sempre quella.

E’ piaciuta davvero a tutti?

Davvero tanto. Inizialmente, anche per tenere i costi sotto controllo, abbiamo fatto un gusto solo e per due anni non si è lamentato nessuno. Quest’anno abbiamo introdotto due gusti nuovi, i due che avete visto a Zurigo: il lime e il thè alla pesca. Non c’è una grande storia dietro questo prodotto, c’è un’idea venuta fuori e poi testata. E poi c’è il solito santo Brent Copeland (team manager della squadra, ndr) che dà l’approvazione. Per cui, davanti a ogni mia idea un po’ strana, mi dà fiducia. E anche questa volta mi ha detto: «Laura, se te la senti conduci il progetto. Realizza questa bevanda, facciamolo». E così l’abbiamo fatta.

Fra gli atleti tester di Big Carbo ci sono De Marchi, Zana, Dunbar, Harper, Jul Jensen ed Hepburn: campione volutamente eterogeneo
Fra gli atleti tester di Big Carbo ci sono De Marchi, Zana, Dunbar, Harper, Jul Jensen ed Hepburn: campione volutamente eterogeneo
Avete realizzato la polvere in collaborazione con uno sponsor tecnico che già c’era oppure con un laboratorio terzo?

Fisicamente la fa un laboratorio belga. E’ lo stesso che realizza i prodotti 6D Sport Nutrition, che è nostro fornitore. Siccome mi serviva un laboratorio di qualità e conoscevamo già loro, gli ho chiesto a chi si affidassero. E loro con grande correttezza ci hanno indirizzato su Medix Laboratoires di Oudenaarde, gli stessi con cui producono loro. Li ho contattati, li ho trovati molto disponibili e abbiamo cominciato. Poi il nostro responsabile di marketing e sponsor, Paul Santen, ha curato l’etichetta e il packaging. A un certo punto ha chiesto chi avesse realizzato la polvere, io ero dietro che mi facevo piccola per non farmi vedere. Invece il dipartimento grafico ha fatto questa proposta e appena Brent l’ha vista, l’ha approvata. Insomma è stato un progetto creativo spontaneo e corale, che sta funzionando.

Come si fa per comporre una polvere che vada bene per tutto? Si parte da qualcosa che già c’era?

No, siamo partiti proprio da una pagina bianca. Devi avere i contatti giusti. Io sono una nutrizionista, non sono una chimica o una farmacista galenica. Ho dei rudimenti di biochimica, ma non ho le competenze per sviluppare in autonomia una bevanda. Però abbiamo trovato un ottimo supporto dal dipartimento ricerca e sviluppo di questo laboratorio belga e noi abbiamo messo il resto. E’ stato complesso, però era un’esigenza talmente sentita, che abbiamo avuto la piena collaborazione dei corridori. Quando sono arrivata in squadra c’erano problematiche gastrointestinali importanti, al punto che alcuni non riuscivano a finire le gare. Era un problema da risolvere e possibilmente in maniera veloce, ma da sola non ce l’avrei mai fatta. Invece con la squadra e il supporto del laboratorio, abbiamo fatto tutto e anche in tempi adeguati.

Questa l’immagine da Linkedin dei Medix Laboratoires di Oudenaarde, in Belgio, dove si produce il Big Carbo
Questa l’immagine da Linkedin dei Medix Laboratoires di Oudenaarde, in Belgio, dove si produce il Big Carbo
Un approccio diverso rispetto al nutrizionista che chiede l’intervento dell’azienda sponsor.

Abbiamo fatto da soli. Ho messo su un pezzo di carta quello che volevo che ci fosse e abbiamo avuto il vantaggio non da poco di togliere tutti i fronzoli commerciali. Spesso si leggono ingredienti il cui reale dosaggio è trascurabile, ma dal punto di vista commerciale fa comodo indicarlo. Noi invece abbiamo fatto un prodotto pulito, semplice, con le quattro cose che ci servivano e alla fine la soluzione più semplice è stata quella più funzionale. I corridori sono una vetrina, alla fine è l’amatore che consuma certi prodotti. Lui magari beve 10 borracce a settimana, i nostri corridori invece ne bevono 10 al giorno. Quindi anche dal punto di vista della palatabilità, hanno bisogno di qualcosa di un po’ più delicato. Perché gli stessi prodotti mandati giù ripetutamente possono dare fastidio.

C’è stato qualche corridore in particolare che avete usato come riferimento?

Abbiamo fatto così. Nella fase iniziale, quella embrionale della formulazione, ho mandato un questionario a tutti i corridori, cercando di capire quali fossero esigenze e problemi. Quando poi sono arrivati i primi campioni, abbiamo selezionato un gruppo più eterogeneo possibile. Dallo scalatore all’esperto delle classiche, dall’italiano per esempio allo straniero, perché ovviamente hanno preferenze differenti. E così siamo andati avanti.

Big Carbo viene richiesto su richiesta di Greenedge Cycling, la società di gestione del Team Jayco-AlUla
Big Carbo viene richiesto su richiesta di Greenedge Cycling, la società di gestione del Team Jayco-AlUla
L’operazione ha dei costi, ma probabilmente permette alla squadra di risparmiare, no?

Spendiamo un terzo, risparmiamo proprio tanto. Quelli di 6D sono stati molto onesti. Lo abbiamo fatto con la massima trasparenza, con loro non abbiamo alcun vincolo, ma avrebbero potuto metterci i bastoni tra le ruote. Invece ci hanno detto che se ci trovavamo bene, era giusto che andassimo avanti con il nostro progetto. Tenete conto che abbiamo tanti atleti, suddivisi su più squadre, quindi alla fine saranno decine di migliaia di euro risparmiati.

Con il gusto di un prodotto sviluppato su misura…

Anche i massaggiatori hanno dato il loro contributo. A volte capitava che si graffiassero le mani entrando con i misurini nei barattoli di latta. Allora abbiamo fatto una confezione di plastica richiudibile. E alla fine tutti quelli che hanno a che fare con questo prodotto sentono di aver fatto la propria parte. E questo lo trovo molto interessante.