Narvaez in rosa. Pogacar ha capito che non sarà una passeggiata

04.05.2024
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TORINO – Tadej Pogacar non ha vinto. E questa è già una notizia, se non altro per come la sua UAE Emirates ha impostato la corsa. Nel clan dello sloveno assolutamente non ci sono musi lunghi, però quel pizzico di amarezza aleggia. E ci sta. Jhonatan Narvaez è stato più veloce in volata e scaltro a sfruttare scia e lavoro dello sloveno.

I compagni di Pogacar hanno lavorato sodo per tutta la tappa e perdere per un soffio non fa piacere, tanto più che sul piatto c’era anche la maglia rosa. Segno che non è stato (e non sarà) tutto così facile come ci si poteva attendere da parte di tutti. Tifosi, media, team, atleti.

Il forcing di Pogacar sullo strappo di San Vito. Narvaez, che s’intravede dietro di lui, resiste e poi vince in volata
Il forcing di Pogacar sullo strappo di San Vito. Narvaez, che s’intravede dietro di lui, resiste e poi vince in volata

Un solo gregario

Di bello è che Pogacar e la UAE Emirates hanno fatto divertire. Hanno corso a carte scoperte sin da subito, all’attacco già dalla prima frazione.

«Se sarà tutti i giorni così? Speriamo – ha detto a caldo il Ceo della UAE, Gianetti quando ancora Pogacar doveva sfilare tra i fotografi e i giornalisti dietro il traguardo – Siamo stati davanti, peccato che non abbiamo vinto. Ma il Giro d’Italia è lungo».

Il Giro è lungo. Tadej sta bene perché comunque è arrivato davanti e ha già messo un piccolo gap tra se e gli altri uomini di classifica, però è innegabile che qualcosa non abbia funzionato. Di fatto è rimasto con un solo uomo, Rafal Majka, un po’ troppo presto. E da quel momento ha avuto di fatto l’intero gruppo contro più che mai. Se non è un campanello d’allarme poco ci manca.

Mentre Pogacar, dapprima silenzioso e serio e poi un po’ più sciolto fa defaticamento sui rulli, intercettiamo Fabio Baldato, il direttore sportivo che lo ha guidato in ammiraglia.

Fabio, subito spettacolo…

Sì, spettacolo… l’idea era di correre aggressivi. Il tracciato era tecnico, le discese insidiose e rischiose. Volevamo appunto fare corsa dura per stare davanti, ridurre il “traffico” e appunto evitare rischi e pericoli. E facendo corsa dura sono rimasti in pochi presto.

Corsa dura, ma non si è potuto fare a meno di notare che siete rimasti con un solo uomo, Majka. C’è qualche dinamica che non ha funzionato?

Un paio di ragazzi hanno reso un po’ meno del previsto. Non sono stati all’altezza di quel che ci aspettavamo ma non ne facciamo un dramma. Siamo al primo giorno di corsa e può succedere. In più era una tappa di 140 chilometri, quindi breve, e gente come Novak e Grosschartner hanno fatto un po’ più di fatica. Forse qualcosa è andato storto, ma davvero nulla di particolare.

In molti hanno pagato in effetti…

Tappa corta, esplosiva che qualcuno ha digerito bene e qualcun altro ha pagato. Ma non credo sia oggi che si capiscano i reali valori del Giro. Si può andare a vedere chi è stato più in difficoltà di altri, quello sì. Ma un primo giorno così esplosivo poteva riservare qualche sorpresa. Tanto più dopo tre giorni tra prove, interviste, presentazioni… 

C’era incertezza?

E’ facile trovarsi imballati e con le gambe non a posto. E’ successo ad un paio dei miei, ma anche ad altri. Adesso aggiusteremo il tiro e sono convinto che tra qualche giorno ognuno troverà il suo posto.

La sensazione è che Pogacar sullo strappo fosse il più forte, nonostante Narvaez lo abbia tenuto. Lo sloveno sembrava in pieno controllo, come se avesse avuto l’input di non esagerare con i fuorigiri. E’ così?

Sarebbe stato bello vincere la tappa, ma non era comunque qui che si sarebbe vinto il Giro. Adesso ci devo parlare e vediamo cosa dice. Tadej era lì e questo è l’importante. Gli altri hanno corso sulla sua ruota e su di noi.

Ecco: “Hanno corso su di noi”. Sarà questo il leitmotiv di questo Giro?

Sicuramente. E noi dovremmo essere bravi a non perdere il controllo, la pazienza, la lucidità. Questa tappa ci servirà da monito che non bisogna abbassare la guardia e non si deve sottovalutare nessuno.

Fabio, hai detto che ci devi parlare. Nel ciclismo dei numeri il dialogo resta importante dunque?

Certo, almeno per capire le sue sensazioni e cosa si può fare meglio. E’ il primo giorno di gara, ne abbiamo altri venti davanti ed è importante trovare la giusta armonia.

La UAE Emirates ha preso in mano la tappa, ma nel finale aveva un solo uomo vicino a Pogacar
La UAE Emirates ha preso in mano la tappa, ma nel finale aveva un solo uomo vicino a Pogacar

Fare meglio

Intanto il bus inizia a richiudere i battenti. Anche Molano, l’ultimo della UAE Emirates, al traguardo ha finito di fare il defaticamento sui rulli, come per primo aveva fatto Pogacar.

Si parla di crampi: in tanti ne hanno avuti. Oggi a Torino non era caldo, ma neanche così fresco. All’ombra serviva in giacchino, ma al sole i raggi picchiavano. E in questi casi l’umidità è forte. Questo meteo variabile ha messo in crisi più di qualcuno sul fronte dell’idratazione. 

La UAE Emirates ci dicono è solita fare il debriefing sul bus mentre si ritorna in hotel. «Adesso – dice Matxin – dovremmo parlare. Non è andata male, volevamo correre così, ma sicuramente c’è qualcosa da mettere a punto». 

Quinto a Torino, ma Conci comincia col piede giusto

04.05.2024
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TORINO – Quando si è voltato a pochi metri dallo scollinamento di San Vito, Nicola Conci ha avuto la percezione del sogno che finiva. Quella sagoma bianca non lasciava spazio a dubbi, ma non ha cancellato la bellezza della sua azione. Il trentino ha attaccato, come pure Caruso e l’indomito Pellizzari. E per la prima volta da qualche anno ha sentito che tutto funziona come deve. La gamba spinge, il cuore la sostiene: a queste condizioni sognare non è più vietato.

Quella sagoma bianca

Prima tappa del Giro d’Italia, la sconfitta di Pogacar fa sembrare tutto più grande di quanto sia davvero. La UAE Emirates ha frantumato il gruppo e alla fine è lì a masticare sul terzo posto di Tadej. Lo sloveno non ce l’ha fatta a stare fermo e ha subito l’astuzia e la freddezza di Narvaez, ma quando ha preso e saltato Conci, la sensazione era che avrebbe fatto di tutti un sol boccone.

«E’ stata come ci si aspettava – dice Conci – una corsa dura nella seconda parte, soprattutto nel momento in cui la fuga cominciava ad avere un vantaggio discreto, considerata la lunghezza della tappa. Ho visto due ragazzi che si muovevano, uno era Honoré e l’altro Echachmann. Sono dei pedalatori, mi sono inserito ed è nata una bella azione. Stavo molto bene. Ho visto il momento in cui c’era un piccolo gap dietro di me. Ho accelerato un attimo e sono riuscito a prendere vantaggio. Fino a metà della salita finale ci ho creduto abbastanza, non nascondo che un pochino il sogno l’ho cullato.

«Poi mi sono girato. Ho visto una sagoma bianca con i colori della Slovenia e ho capito. Certo un po’ di rammarico c’è, perché sono esploso negli ultimi cento di metri di salita. Se non avessi fatto un fuorigiri così, magari sarei riuscito a rimanere con i primi tre. Anche se dubito che poi avrei avuto le gambe per fare una buona volata…».

Dopo l’arrivo, un po’ di delusione, ma soprattutto la sensazione di avere buone gambe
Dopo l’arrivo, un po’ di delusione, ma soprattutto la sensazione di avere buone gambe

Lo avevamo sentito ad aprile, deluso per non aver corso le Ardenne eppure motivato per arrivare bene al Giro. Vedendolo inquadrato durante la fuga, nel box dei giornalisti all’arrivo si ragionava su quanto sembrasse predestinato da junior e i mille intoppi degli ultimi anni. Finalmente però si comincia a vedere un bel Conci al Giro d’Italia…

Era ora?

Non nascondo che il Giro sia una corsa a cui tengo fin da bambino. L’ho detto più volte: i primi quattro anni da professionista sono stati difficili. Il quinto è stato travagliato con la storia della Gazprom e l’anno scorso non nascondo di aver preso una batosta a livello morale non indifferente, dovendomi ritirare dopo solo sei tappe. Quindi quest’anno ho mantenuto la calma, ho avuto qualche malanno di influenza. Sono caduto ai Baschi, quindi non sono riuscito a esprimermi al meglio, ma negli ultimi dieci giorni ho cominciato a stare veramente molto bene.

Quel che serve per arrivare giusti alla partenza?

Sapevo di aver lavorato bene, quindi arrivo a questo Giro fiducioso di poter far bene e con la voglia di godermelo fino in fondo. Non lo nascondo, ma uno dei miei primi obiettivi è quello di arrivare a Roma e godermi queste tre settimane. Finire un grande Giro sembra scontato, una volta che si è professionisti, ma è comunque un sogno. Nel momento in cui si arriva al traguardo finale ci si rende conto di aver fatto qualcosa di grande. Quindi ho la condizione, cercherò di far bene in diverse tappe, ma uno dei miei obiettivi rimane quello di vedere il Colosseo.

L’attacco di Conci è venuto nel tratto di pianura che precedeva l’ultima ascesa a San Vito
L’attacco di Conci è venuto nel tratto di pianura che precedeva l’ultima ascesa a San Vito
Eri partito per andare in fuga?

Sì. Ieri ho fatto un paio di lavoretti cosiddetti opener, azioni ad alti giri, e in certi momenti mi domandavo se il power meter funzionasse, perché veramente stavo bene. Oggi ero anche molto nervoso e un po’ lo sentivo nelle gambe. Poi ho visto il momento, stavo bene, ho capito che era un buon momento e sono andato. E alla fine è venuta fuori una bella prestazione.

Com’è la sensazione di quando si vede arrivare Pogacar? Probabilmente nelle prossime tre settimane la vivranno in tanti…

Sinceramente non è che fossi tanto sorpreso. Ho sentito che avevo 20 secondi sul gruppetto e 25 dal gruppo dietro. Fino a poco prima della salita avevamo un gap maggiore rispetto al grosso, quindi ho immaginato che avessero aperto il gas. Se c’era un corridore che mi aspettavo di vedere per primo era lui e così è stato.

E’ parso che per un po’ abbiate discusso in fuga…

C’era la sensazione che si andasse via con il freno non tirato, ma non al massimo. Ognuno sapeva che anche se fossimo arrivati insieme e ci fossimo giocati la tappa, avremmo dovuto combattere tra noi sulla salita, quindi ognuno giustamente ha cercato di risparmiarsi. Restano la bella sensazione e l’orgoglio di aver fatto una mossa intelligente.

Quindi è stata un’azione voluta?

Sinceramente era già qualche minuto che acceleravo, poi frenavo. Acceleravo e frenavo, perché alla fine tutti giustamente guardavano Tadej e lui ormai aveva solamente Maika a tirare. Sapevo che se ci fossero stati degli attacchi, alla fine sarebbe toccato a Rafal tirare contro gli elementi della fuga. E di conseguenza sapevo che c’era la possibilità di andare lontano. E così ci ho provato. Io e anche altri…

Majka ritorna al Giro, dopo le Asturie con baby Del Toro

03.05.2024
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TORINO – Piove che Dio la manda, la notte piemontese è anche fredda, mentre sul palco al Castello del Valentino scorrono le squadre del Giro d’Italia. Arrivano. Si infilano nella zona mista per le interviste. Sfilano. E a tratti tornano per rispondere ad altre domande. Rafal Majka fa così, ma quando torna, le telecamere e i fari si sono spostate tutte attorno a Pogacar, così di colpo la scena si fa buia.

Il polacco è un personaggio a metà fra un buffo moschettiere e un guerriero d’altri tempi. Ha tante storie da raccontare e gambe che hanno sopportato ogni genere di fatica. Dagli anni accanto a Contador, poi quelli nella Bora e da qualche anno al fianco di Pogacar. A ben vedere, Rafal è stato il primo vero rinforzo preso dal UAE Team Emirates nel 2021 all’indomani della vittoria dello sloveno nel primo Tour. Il suo palmares parla di otto partecipazioni al Tour e alla Vuelta, cinque al Giro. Proprio qui dovrà fare da guida al capitano, che promette di vincerlo già al debutto. Mentre nell’avvicinamento al via di Torino, per scaldare le gambe Rafal ha scortato Del Toro alla vittoria della Vuelta Asturias, arrivando a sua volta secondo. Dal capitano di oggi a quello di domani: a un campione di 34 anni come lui certe cose puoi chiederle ed essere certo che le porterà a termine con impegno e successo.

Rafal Majka è polacco e ha 34 anni. E’ pro’ dal 2011
Rafal Majka è polacco e ha 34 anni. E’ pro’ dal 2011

Il giorno più duro

Accanto c’è Alan Marangoni, che sta facendo a tutti la stessa domanda per GCN. Qual è stata, gli chiede, la tua più grande fatica al Giro? E qual è stato il massimo dislivello che hai fatto in allenamento? Majka ci pensa un attimo e poi allarga un sorriso grande così.

«Mi ricordo – dice – è stato dieci anni fa, su Stelvio, quando faceva neve. Faceva un freddo cane, però è passata: meglio così. Il dislivello invece… 6.500 metri, non ci credi? A Sierra Nevada».

Poi si gira e viene da noi. Ha voglia di parlare. E’ spiritoso. Sa che in qualche modo in questo Giro si divertirà e la serata un po’ tenebrosa e umida offre a suo modo qualche spunto di divertimento.

La UAE Emirates del Giro è un gruppo molto forte, al pari di quello che poi andrà al Tour
La UAE Emirates del Giro è un gruppo molto forte, al pari di quello che poi andrà al Tour
Fino a ieri con Del Toro, oggi con Tadej: cosa ti pare?

Sono questi giovani portentosi, fortissimi. Ho già 34 anni, però sono molto contento di essere qui al Giro. Dopo quattro anni al Tour de France, torno in Italia. Io ho cominciato con il Giro da giovane, è una bella corsa, ma speriamo che ci sia bel tempo. Adesso con Tadej, prima con Del Toro. Sono due fenomeni. Vediamo cosa arriva con il più giovane, mentre di Tadej siamo certi.

Sei stato il primo rinforzo preso per aiutarlo e ora dovrai guidarlo nei meccanismi del Giro…

Non sono tanto preoccupato di questo, sono più preoccupato che possa sprecare troppe energie. Con lui bisogna fare il Giro e il Tour, spero che qui vinca qualche tappa, ma che non dia fondo a tutte le forze per arrivare bene in Francia. Io per fortuna non faccio parte del gruppo del Tour, non per ora almeno.

Primo Giro per Tadej Pogacar, il pubblico lo accoglie con un boato, nonostante la pioggia
Primo Giro per Tadej Pogacar, il pubblico lo accoglie con un boato, nonostante la pioggia
Quindi si tratta di tenerlo a freno? E’ una cosa possibile?

Difficile tenerlo fermo, veramente. E’ un fenomeno e quando le gambe ci sono, va via. Speriamo di salvarci nella prima settimana e poi vediamo sulle salite lunghe come andrà il nostro Pogacar.

Tu come stai?

Io sto bene, sono stato un mese a Sierra Nevada. Ho fatto le Asturie con Del Toro e adesso sono qua al Giro d’Italia. Isaac (Del Toro, ndr) è un altro fenomeno, scusate se mi ripeto. Speriamo che fra due anni venga fuori come Tadej. Mi ha sorpreso perché è un ragazzo umile, veramente bravo. E’ veloce, va forte a crono e va forte anche in salita. E’ completo, pare che sarà un’altra rivelazione fra i grandi talenti della UAE. In più, è molto giovane, però ha già una grande professionalità. Questi giovani quando arrivano sono già ben avviati.

Prima del Giro, Majka ha scortato Del Toro alla vittoria nelle Asturie. Con loro c’è Matxin
Prima del Giro, Majka ha scortato Del Toro alla vittoria nelle Asturie. Con loro c’è Matxin
Secondo te ci sarà una tappa chiave per Pogacar in questo Giro?

Questo non lo posso dire, perché parte in tutte le corse con il gusto di correre, spaccare del mondo e andare via da solo. Vediamo come va, sarà una scoperta anche per noi. Però attenti a non pensare che sia facile. Sappiamo che i grandi Giri non sono come le classiche e bisogna stare anche un po’ calmi. Ma se mantiene la condizione che aveva prima di Liegi e poi a Sierra Nevada, allora ci farà divertire.

Come è stato per lui tornare al top dopo l’infortunio dello scorso anno?

Non facile. Uno che arriva secondo al Tour de France dopo che non si è allenato per un mese è ugualmente un fenomeno. Vero che non ha vinto, ma nella prima settimana giocava. Ha perso il Tour in due giorni, perché alla fine è venuto fuori il buco di condizione di quel mese che non si è allenato. Adesso però è al top, ha trovato la condizione senza problemi. Secondo me è anche più forte degli anni scorsi. Almeno per come si allena e come lo vedo andare forte. Ormai si comincia, ormai capiamo tutto. Speriamo che faccia bello…

Nibali, Pogacar, il Giro e i ricordi di un altro Grappa

02.05.2024
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Vincenzo Nibali sta guidando. Provando a seguire i puntini dei suoi tragitti, si capisce perfettamente che il siciliano sia davvero a tutta. Gli ultimi tempi poi sono particolarmente convulsi, fra il Giro d’Italia che inizia, i 100 giorni alla partenza del Tour, varie inaugurazioni e probabilmente la prima del docufilm sui suoi inizi, girato a Messina fra gli amici della sua infanzia.

Al Giro con Vegni

Il Giro d’Italia di quest’anno si deciderà o probabilmente appenderà il cartello fine sulla salita che per lui fu l’inizio: il Monte Grappa. Scollinò per primo e si lanciò come una furia nella discesa verso Asolo. Era il 2010, il Giro doveva ancora affrontare lo Zoncolan e il Mortirolo, ma per Vincenzo arrivò la prima vittoria di tappa. Ed è così che dopo qualche passo nel presente, è semplice e fantastico scivolare nel passato, ricordando quel ragazzo di 25 anni, che si affacciava sulla porta dei grandi e ne reggeva lo sguardo e il passo.

«Vediamo un po’ cosa combina Pogacar al Giro – dice – i primi giorni non sono proprio robetta semplice. Bisogna essere belli pronti e poi avere una condizione da portare avanti sino alla fine. Io vi seguirò a puntate. Ho rinnovato la collaborazione con RCS, per cui in alcune occasioni sarò accanto a Vegni e anche ad altri. Il ruolo di direttore di Mauro è molto importante e forse per certi versi sottovalutato da chi è fuori. Ho avuto modo di seguire qualche tappa con lui e ti rendi conto del lavoro che c’è. Il suo e di tutto il gruppo che lavora per la sicurezza. La prima volta che l’ho visto, ho ammesso che non mi aspettavo ci fosse dietro tanto impegno.

«L’atleta pensa a correre e vincere, di tutto il resto non ha un’idea. Ho proposto di fare una riunione solo con i corridori, per spiegare come si muovono le staffette. Si potrebbe fare quando vengono per la presentazione delle squadre. Magari perdi un’ora in più, però a livello di sicurezza gli daresti delle informazioni molto preziose. Sono andato in auto con Longo Borghini a vedere i primi pezzi della strada, a mettere a posto dettagli in apparenza banali: le strisce, le transenne, i cartelli. A segnare cose che magari durante le prime ricognizioni non erano state annotate e che si vedono meglio quando la strada è chiusa e senza macchine. Oppure i finali d’arrivo più pericolosi».

22 maggio 2010: il Grappa è iniziato, la selezione è stata dura: restano Scarponi, Basso, Nibali ed Evans
22 maggio 2010: il Grappa è iniziato: restano Scarponi, Basso, Nibali ed Evans
A proposito di finali ad alta tensione, si torna sul Monte Grappa e alla picchiata su Bassano del Grappa. Tu arrivasti più avanti, ad Asolo, ma il versante è lo stesso…

La mia prima vittoria al Giro d’Italia. Era una tappa che puntavo. Il giorno prima, anche a tavola, l’avevo dichiarata. Ridendo e scherzando, dissi a Ivan: «Domani, quando si scollina lassù in cima, in discesa scansati perché attacco!». Un po’ se la prese, non era spiritoso al riguardo, ma devo essere sincero al di là delle battute: mi diede una bella mano a vincere quella tappa. Ero un giovane che voleva mettere subito “i puntini sulle i”, ma da lui ho appreso molto.

Era il famoso Giro della fuga dell’Aquila, per cui vi toccò tirare ogni santo giorno…

Ero andato forte in quel Giro d’Italia. Sostanzialmente avevo fatto lo stesso percorso di avvicinamento di Ivan Basso, con l’eccezione del Romandia. Non dovevo farlo il Giro, toccava a Pellizotti. Dopo la Liegi ero andato in Sicilia e avevo, come dire, le orecchie basse perché in Belgio non ero andato benissimo. Soffrivo di allergia e mi ricordo che facevo fatica a respirare. Mi sentivo strano, un po’ debole. Ricordo che un giorno mi arrivò la chiamata, ero giù da neanche una settimana. Mi chiamò Zanatta e mi disse che avevano pensato di portarmi al Giro d’Italia. Aveva parlato con Slongo (il preparatore che lo ha seguito per quasi tutta la carriera, ndr) e avendo fatto lo stesso programma di Basso, erano certi che avessi le carte in regola.

E tu?

Io ero onestamente un po’ dubbioso. Il Giro del 2010 partiva dall’Olanda e lassù piovve per tutto il tempo e questo mi cambiò la vita. Iniziai a sentirmi un’altra persona. Con la pioggia si erano abbassati tutti i polini e giorno dopo giorno iniziai a stare meglio. Infatti andai subito bene, forte già dalle prime tappe. E’ lo stesso Giro in cui presi la maglia rosa nella cronosquadre di Cuneo, sotto un bel diluvio, e la persi nel fango di Montalcino. Quando arrivammo al Monte Grappa, la maglia rosa ce l’aveva Arroyo e l’aveva presa appunto all’Aquila. Dovevamo ancora recuperargli sette minuti.

Manca poco allo scollinamento, Evans si appesantisce: è l’occasione che Nibali aspetta
Manca poco allo scollinamento, Evans si appesantisce: è l’occasione che Nibali aspetta
Il Grappa lo conoscevi? Ci avevi messo mai le ruote sopra?

No, era la prima volta. Ne avevo fatto qualche pezzettino negli anni precedenti quando ero in quelle zone ad allenarmi, però in cima non ero mai arrivato e in gara ovviamente era tutt’altra cosa.

Cosa ricordi di quel giorno?

La presero forte quelli del Team Sky, che erano al primo anno: mi ricordo che c’era anche Wiggins. Subito dopo però calarono un po’ l’andatura e così dalla metà in poi prendemmo in mano noi le redini della corsa. Iniziammo a tirare con il solito protocollo di azione per la salita. Per cui c’era prima Kieserlowski, poi Agnoli, quindi Sylvester Szmyd che era l’ultimo. Quando finì lui, vidi che eravamo rimasti in pochi. Finché nell’ultimo pezzettino, quando eravamo proprio in cima, ci accorgemmo che Cadel Evans (uno degli avversari più pericolosi di Basso, ndr) aveva scollinato leggermente staccato. Così una volta in cima, scollinai insieme a Basso, presi la discesa e andai via.

Era quello lo schema di cui avevate parlato a cena la sera prima?

Esatto, anche se a metà discesa mi arrivarono un po’ di crampi. C’era un pezzettino in cui dovevi pedalare di nuovo (da Ponte San Lorenzo a Il Pianaro, ndr) e le gambe picchiavano. Però fu il modo per farle ripartire gradualmente e a farle girare piano piano, i crampi mi passarono. Feci l’ultima parte della discesa e poi gli ultimi 7-8 chilometri per andare all’arrivo. Arrivai con 23 secondi di vantaggio, mi sembra.

Planata dal Grappa e arrivo solitario ad Asolo. Per Nibali la prima tappa vinta al Giro
Planata dal Grappa e arrivo solitario ad Asolo. Per Nibali la prima tappa vinta al Giro
Se ci pensi adesso con tutta la carriera che hai avuto dopo, quel giorno resta un po’ importante?

E’ stato importante, perché io ero andato al Giro pensando di provare a vincere qualche tappa, non avevo obiettivi di fare la classifica. Per quella c’era Ivan Basso, io già qualche Giro l’avevo fatto e quell’anno avrei dovuto fare il Tour de France, ma lo scambiai con il Giro d’Italia. Venne stravolta tutta la mia stagione. Arrivai terzo al Giro e poi andai alla Vuelta, che vinsi: il mio primo grande Giro. Quindi il giorno di Asolo è stato un passaggio importante, la prima vittoria, la svolta della carriera. Quell’anno mi ero messo in testa di avere l’asticella sempre più alta…

Una salita come il Grappa nel gruppo di oggi come la vedi?

E’ sempre una salita che si fa rispettare e se viene fatta forte, fa parecchio male. Anche la prima parte della discesa è bella impegnativa. Quando l’ho fatta io, era pure bagnata. E’ stretta, in cima l’asfalto era viscido. E’ una tappa che se qualcuno decide di farla forte da sotto fino a sopra, fa dei danni. Ovviamente con l’aiuto della squadra, non da soli…

Cosa ricordi degli ultimi metri: quando sei lì senti lo speaker che urla il tuo nome? Ti viene la pelle d’oca?

Senti il boato della gente, quello sì. La pelle d’oca, quella vera, ti viene però quando pedali in cima ai passi di montagna in mezzo a quelle due ali di folla, sperando che tutto vada bene. C’è la gente che ti incita e che ti urla, quello per me è sempre stato il massimo dell’adrenalina. Quel giorno là in cima non c’era tanta gente, forse anche perché pioveva, ma all’arrivo di Asolo c’era un mare di tifosi: questo me lo ricordo veramente, ad Asolo c’è sempre gente. Il giorno dopo provai a entrare nel villaggio, ma non riuscii perché venni… asfaltato dai tifosi (ride, ndr). Io poi io con quella città ho sempre avuto un buon rapporto.

Nibali ha ancora 25 anni, la prima tappa al Giro inaugura il 2010 della vittoria alla Vuelta
Nibali ha ancora 25 anni, la prima tappa al Giro inaugura il 2010 della vittoria alla Vuelta
Come mai?

Perché ci vinsi anche un campionato italiano juniores. Le persone si ricordavano anche di quel ragazzino in maglia tricolore. In Veneto ho avuto dei bei trascorsi, da quando andai a correre con la Fassa Bortolo e poi con la Liquigas.

Ci vediamo al Giro, quindi?

Certo. Faccio le prime tre tappe, poi vado a Genova perché intitolano una ciclabile a Michele Scarponi. Poi rientrerò più avanti , magari in qualche tappa vicina e poi per il gran finale. A Livigno non ci sono, però penso che salirò il giorno dopo, per il riposo. Nel frattempo esce anche il mio docufilm e non so se vogliono fare una prima visione proprio quel giorno.

E’ vero che l’avetre girato tutto in Sicilia?

Tutto giù, esatto. L’ha girato Marco Spagnoli, che ha fatto docufilm anche su Franco Battiato, Pino Daniele, Sofia Loren e Dino Zoff. Il mio sarà concentrato sulle origini, il luoghi da dove sono partito. Ci sono un po’ di racconti della famiglia, siamo andati a vedere il paese dove sono cresciuti i miei genitori. Ci sono un po’ di miei amici, qualche racconto di mio cugino Cosimo e quelli che sono riusciti a venire. Carlo Franceschi non ha potuto per la distanza, invece Malucchi ha tirato fuori ricordi che riguardavano suo papà. Non so ancora dove sarà trasmesso, ma la produzione un po’ è della Regione Sicilia e un po’ di RAI. Vediamo quando ci sarà la prima. Intanto ci si vede a Torino…

I campioni e le Olimpiadi: entusiasmo raffreddato?

01.05.2024
5 min
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Quando Bettini vinse le Olimpiadi su strada, l’Italia corse con cinque uomini, al pari di Germania, Spagna, USA, Australia, Olanda, Danimarca, Polonia, Kazakhstan, Francia, Belgio, Svizzera, Russia e Ucraina. Ci favoriva il ranking UCI, nel quale spiccavamo per vittorie su strada di gran peso e il fatto che il CIO non avesse ancora deciso di snaturare il gioco.

Con cinque uomini si poteva ragionare di impostare una tattica e ben ricordiamo quale grande lavoro si sobbarcarono Pozzato, Paolini, Nardello e Moreni per portare Paolo nella giusta posizione al momento dell’attacco. Anche in quel caso Ballerini fu un mago e aprì il ciclo di Bettini, che di lì a tre anni avrebbe vinto anche due mondiali.

Bettini vinse l’oro olimpico ad Atene, davanti a Paulinho (Portogallo) e Merckx (Belgio)
Bettini vinse l’oro olimpico ad Atene, davanti a Paulinho (Portogallo) e Merckx (Belgio)

Villaggio svuotato

Come tristemente noto, a causa del ranking che ci vede indietro, l’Italia correrà le Olimpiadi di Parigi su strada con soli tre atleti, come a Barcellona 1992 quando però in gara c’erano i dilettanti. Per il ranking, certo, ma anche a causa di un ulteriore taglio che il CIO ha fatto delle quote degli atleti convocabili. Se accanto a questa esigenza di contenimento dei costi ci fosse stato uno studio conseguente del calendario, probabilmente non saremmo qui a importunarvi. Invece hanno ridotto all’osso il numero dei corridori e ammassato le prove in pochi giorni, impedendo partecipazioni… trasversali. Di conseguenza Ganna e Milan non possono correre su strada, avendo l’inseguimento a squadre due giorni dopo. Come loro Elisa Balsamo è alle prese con lo stesso dilemma. Mentre per dare al quartetto una riserva di sostanza come Manlio Moro, sarà necessario iscrivere Viviani come stradista, nonostante avrà testa soltanto per la pista (nella foto di apertura, ai piedi della Tour Eiffel in rosso il Pont d’Iena in cui sarà l’arrivo della gara su strada).

«La verità – dice il veronese – è che almeno una delle due considerazioni andrebbe fatta. Se dai poche quote e metti la strada come prima prova e la pista negli ultimi tre giorni delle Olimpiadi, allora funziona. Ma se vuoi tenere questo calendario, allora devi dare più quote. Le cose stanno cambiando, le Olimpiadi non sono più come una volta. Noi e anche altri non alloggeremo nel Villaggio, andremo in hotel. Quindi se il problema sono i posti, non c’è bisogno che il Villaggio Olimpico sia gigantesco. In questo caso, cosa cambia al CIO avere più quote? Lasciaci portare il corridore in più, non significa avere più costi. Oppure fate un calendario che permetta di organizzare bene gli atleti».

Questo il rendering del Villaggio Olimpico di Parigi 2024 sulla Senna: i lavori sono quasi ultimati
Questo il rendering del Villaggio Olimpico di Parigi 2024 sulla Senna: i lavori sono quasi ultimati

I dubbi dei campioni

Un aspetto che discende direttamente da questa riorganizzazione è anche lo scetticismo dei campioni davanti alla sfida olimpica su strada. Non si può pianificare molto: come ha detto di recente il cittì francese Voeckler, si tratta di una sfida che lo diverte, ma fuori da ogni logica del ciclismo. Come fai a gestire senza compagni una corsa di 270 chilometri e un gruppo di appena 90 corridori? Non a caso, lo stesso Pogacar che avrebbe tutte le carte in regola per puntare alla medaglia d’oro, ha ammesso che ci andrà, ma di ritenere molto più concreto e programmabile il mondiale di Zurigo.

«Queste quote – conferma Viviani – hanno anche stravolto l’impostazione stessa delle gare. E’ questo, vi devo dire la verità, che secondo me smonta anche un po’ di stradisti. Uno che deve investire del tempo per fare un’Olimpiade, che è indubbiamente un appuntamento importante, ci riflette sopra. Pensa: “Ok, vado là, ma è una gara folle, perché ci sono solo 90 corridori e se perdo il controllo, non posso farci nulla”. Alla fine deve andarti bene e allora magari neppure la prepari in modo maniacale. Potrebbe andare via la classica fuga bidone, di quelle che ai mondiali stanno fuori per mezza giornata, ma non avendo uomini per tirare, la ritrovi al traguardo. Anche perché, lasciate stare che noi siamo solo tre per il ranking, da 5 siamo passati a 4 e tutte le nazionali dovranno sacrificare qualcuno. Sennò la corsa esplode e addio…».

Pogacar, terzo a Tokyo, ha detto più volte di considerare le Olimpiadi un appuntamento, ma anche una lotteria
Pogacar, terzo a Tokyo, ha detto più volte di considerare le Olimpiadi un appuntamento, ma anche una lotteria

Il ranking per Nazioni

Il ranking su strada è un oggetto da maneggiare con cura. I team sono molto attenti nel fare punti che li tengano avanti nella classifica loro dedicata, mentre il discorso si complica quando si devono sommare i punti di atleti della stessa nazionalità.

«La verità è che il ranking strada – dice Viviani – non è come quello su pista, che possiamo controllare. Non è facile dire ai ragazzi che bisogna far punti, perché comunque gestiscono tutto le squadre. Come Italia paghiamo qualche mancanza di risultati soprattutto nelle classifiche generali, che danno più punti. Mancandoci corridori da classifica, arranchiamo anche nel ranking. Dall’altra parte, secondo me bisogna pensarci a livello federale, su questo aspetto dobbiamo tenerci un po’ più l’occhio. Non so, col tempo guardare di fare delle gare di un giorno, provare come Federazione a non cadere più in fallo. Qualche nazione lo fa, ad esempio gli inglesi e gli australiani. L’anno scorso avevo in squadra Luke Plapp e lui mi diceva che se la giocavano ai punti con la Francia e mi spiegava i ragionamenti che facevano. In pista il programma è chiaro. Hai le coppe del mondo, l’europeo, il mondiale: sono tutte gare cui partecipi con la nazionale. Però col senno di poi per Los Angeles 2028 a livello federale dovremo stare attenti anche alla strada».

In questi giorni, Viviani è a Livigno per il primo blocco di lavoro in quota, preparando le Olimpiadi (immagine Instagram)
In questi giorni, Viviani è a Livigno per il primo blocco di lavoro in quota, preparando le Olimpiadi (immagine Instagram)

Lo salutiamo dicendogli di tenerlo bene a mente per quando sarà presidente federale, ma Viviani si fa una risata e allunga le mani come ad allontanare il calice. Eppure, per l’impegno che ci ha sempre messo, l’attaccamento all’azzurro e alla pista, la sua capacità di ragionare e il carattere deciso, noi un presidente federale come lui lo vedremmo davvero bene. Un passo per volta, tuttavia, la stagione è ancora lunga, la carriera pure…

Caccia ai 5 Monumenti, chi farà prima: Pogacar o Van der Poel?

28.04.2024
5 min
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Prima di chiudere definitivamente il capitolo classiche – solo una settimana fa eravamo alla Liegi e sembra passato un secolo – restiamo ancora un po’ sul tema. E lo facciamo con Paolo Slongo, preparatore di lungo corso. Lui ha vinto classiche anche “fuori portata” con i suoi atleti, uno su tutti Nibali alla Sanremo, quindi ha una certa esperienza. La questione in ballo è: chi farà prima a conquistare tutti e cinque i Monumenti, Tadej Pogacar o Mathieu Van der Poel?

Lo sloveno e l’olandese sono stati i mattatori di questa prima parte della stagione. Il corridore della Alpecin-Deceuninck più di quello della UAE Emirates. In ogni caso i due fuoriclasse sono 3 a 3 in questa spettacolare rincorsa ai cinque monumenti che, ricordiamo, nella storia sono riusciti a conquistare solo tre corridori: Eddie Merckx, Rick Van Looy e Roger De Vlaeminck.

Già solo poter tornare a parlarne dopo tanto tempo è un piccolo traguardo. Il ciclismo ci sta regalando dei campioni assoluti e ce li dobbiamo godere. Pogacar ha vinto: Lombardia, Liegi e Fiandre. Van der Poel: Sanremo, Fiandre e Roubaix.

Paolo Slongo è oggi uno dei preparatori della Lidl-Trek
Paolo Slongo è oggi uno dei preparatori della Lidl-Trek
Paolo, dunque, chi dei due potrà arrivarci prima? Ammesso che sia possibile…

La Sanremo è difficile per Pogacar. Non è una corsa impossibile, ma proprio per questo è difficile da vincere… per tutti. Van der Poel già l’ha messa nel sacco, Pogacar no. Due anni fa, ricordo che incontrai Tadej a Cittiglio, era venuto a vedere la sua compagna Urska Zigart al Trofeo Binda. Glielo dissi: «Vincerai la Sanremo quando diverse cose si metteranno insieme, a partire dal clima particolare».

Cioè?

Mi riferisco ad un insieme di cose che potranno agevolarlo. Lui è uomo da corse a tappe, da grandi Giri quindi rispetto ad altri spende di meno, pertanto se incontra una giornata difficile, magari con freddo e pioggia le sue possibilità aumentano. Quando vinse Nibali era freddo, incontrammo due, tre acquazzoni e questo cambiò certi equilibri e il dispendio energetico. E infatti nel finale Vincenzo era più fresco di altri. Per la Sanremo quindi a Tadej, ma anche ad altri, serve anche un pizzico di fortuna e che tutto giri per il verso giusto. Alla fine non la vincemmo con Sagan… ed era la corsa perfetta per lui!

E la Roubaix? Lo stesso Pogacar ha fatto intuire che sente più fattibile la corsa delle pietre che non la Classicissima: perché? E’ questione anche di tecnologia che favorisce uno più leggero come lui?

La tecnologia credo che favorisca tutti, quindi il gap eventualmente resterebbe lo stesso. Piuttosto la Roubaix è una corsa meno aperta. Con meno sorprese. Per certi aspetti somiglia alla Strade Bianche, non tanto per il fondo particolare quanto per i settori, che siano pavè o sterrati appunto, che ti portano ad andare in soglia o fuorisoglia. In più è una corsa lunga, di resistenza, di sfinimento… in cui il dispendio energetico è enorme e uno come lui potrebbe avere meno problemi ad emergere. 

Insomma confermi che la Roubaix è più “facile” per Pogacar?

Sì, da un punto di vista tecnico il suo vero tallone d’Achille è la Sanremo, la Roubaix potrebbe esserlo da un punto di vista della programmazione.

Nella tappa del pavè del Tour 2022 Pogacar si è trovato a suo agio, ma si sa che le pietre della Roubaix sono un’altra cosa
Nella tappa del pavè del Tour 2022 Pogacar si è trovato a suo agio, ma si sa che le pietre della Roubaix sono un’altra cosa
Cosa intendi?

Che lui punta anche ai grandi Giri e la Roubaix è rischiosa. Magari rimanda un anno, rimanda un altro alla fine perde occasioni ed esperienza.

Passiamo a Van der Poel, per lui mancano all’appello Liegi e Lombardia…

Sono due corse simili, ma differenti e in periodi differenti. Sono distanti tra loro pertanto bisogna vedere con che calendario arriva al Lombardia soprattutto. In teoria essendo uomo da mondiale, potrebbe sfruttare la condizione, ma poi lì subentrano anche le strategie di squadra, che priorità danno.

Più Liegi quindi o Lombardia per VdP?

Per la Liegi ha dimostrato di poter lottare, certo è che dovrebbe tralasciare la prima parte di classiche, quella a lui più congeniale (e qui torna il discorso delle priorità del team, ndr) o quantomeno la Roubaix. Quella ti resta nelle gambe ed è vicina alle classiche delle Ardenne si è visto anche come stava all’Amstel. La Liegi è più fattibile del Lombardia.

Perché?

Perché le salite sono più lunghe e può sfruttare un po’ meno le sue caratteristiche di forza ed esplosività.

Sin qui per Van der Poel una sola partecipazione al Lombardia: era il 2020 e arrivò 10°
Sin qui per Van der Poel una sola partecipazione al Lombardia: era il 2020 e arrivò 10°
Quanti chili dovrebbe perdere Van der Poel per queste due classiche?

E’ difficilissimo rispondere, anche perché non ho i suoi dati. Ma poi siamo sicuri che possa dimagrire? Perché un conto è essere grossi e muscolati e un conto è essere “grassi”. Magari lui è già al 4-5 per cento di massa grassa e cosa vai a limare? Van der Poel ha una muscolatura ben definita e e bisognerebbe andarlo a snaturare e abbiamo visto che chi lo ha fatto spesso ci ha rimesso. E’ andare contro natura.

E il discorso dei carboidrati l’ora in teoria dovrebbe agevolare uno come VdP che può “dare da mangiare” ai suoi muscoli di più che in passato. Ci può stare questa teoria?

Non credo, ormai tutti si alimentano bene e con grande cura. E’ un po’ come il discorso della tecnologia e vale per entrambi.

Hanno un limite di tempo per questa assalto ai cinque Monumenti?

Un limite preciso non c’è. Questo dipende soprattutto da loro e dai loro stimoli più che dai loro fisici. E sotto questo aspetto Van der Poel è leggermente avvantaggiato perché lui non è uomo da corse a tappe. Queste ti usurano di più sia durante la gara stessa che nell’avvicinamento. Per Mathieu è più facile prendersi delle pausa nel corso della stagione.

Quindi secondo te ce la possono fare?

Possono senza dubbio invadere l’uno il campo dell’altro, come è già successo al Fiandre. Dico che hanno più o meno le stesse probabilità, tutto sta a quanto sono disposti a trascurare altre corse per raggiungere questi due obiettivi.

Cosa sappiamo del 55 usato da Pogacar alla Liegi?

23.04.2024
4 min
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LIEGI (Belgio) – Vedendo la corona da 55 sulla Colnago di Pogacar dopo l’allenamento del venerdì, era venuto spontaneo chiedersi se fosse davvero necessaria in una corsa come la Liegi. Quando poi abbiamo assistito all’assolo dello sloveno, è stato chiaro che quel plateau così originale e insieme grande avesse ragione di esserci anche nella Doyenne.

Alla partenza della corsa, uno dei meccanici del team ci ha fatto notare che ad usarlo siano soltanto Tadej e Novak e che lo usino ormai in tutte le corse. Pare che il capitano lo avrebbe montato per la prima volta soltanto alla Sanremo. Siccome però la scelta è curiosa, così come l’abbinamento fra il 55 e il 40, siamo andati diretti alla fonte e abbiamo chiamato Marco Monticone, Product Manager presso Carbon-Ti.

Pogacar l’avrebbe usata per la prima volta alla Milano-Sanremo
Pogacar l’avrebbe usata per la prima volta alla Milano-Sanremo

All’indomani della grande impresa, il tono è comprensibilmente allegro. Dice di aver appena chiuso il telefono con Alberto Chiesa, responsabile dei meccanici del UAE Team Emirates, che gli ha chiesto la stessa guarnitura per tutta la squadra. Se il capo la usa ed è contento, come fai a dire di no a tutti gli altri? Anche perché nella squadra di Gianetti, a ben vedere sono tutti capitani.

Allora Marco, come viene fuori l’idea di avere quel dente più del 54 di serie?

E’ stata una richiesta di Tadej, un atleta estremamente esigente. Ha le idee chiare e quando chiede qualcosa, tutti si attivano per accontentarlo, anche perché le sue richieste non sono capricci. Che poi chieda cose non facili da fare, questa è un’altra storia (ride, ndr)…

Quando vi è arrivata la sua richiesta?

Al Tour de France del 2023, quando abbiamo incontrato il team nel giorno di riposo a Megeve. Non abbiamo parlato direttamente con gli atleti, perché preferivano tenerli nella bolla, ma i dirigenti ci hanno espresso la richiesta di Pogacar. Voleva una corona più grande per avere un rapporto più lungo soprattutto in discesa. Credo sia stato il modo per contrastare alcuni rivali che hanno il pignone da 10 sulle loro bici. Una scelta che meccanicamente non è delle più convenienti, ma che di certo allunga il rapporto.

Bici pronta per la partenza: la Liegi sta per scattare
Bici pronta per la partenza: la Liegi sta per scattare
Da come ne parli, non deve essere stata la richiesta più semplice da esaudire…

La sfida era farla funzionare con la corona interna da 40. Ogni nostra corona viene progettata considerando la sua corrispondente all’interno. Facciamo progetti e simulazioni in 3D, in pratica si parte da una corona per realizzarne un’altra. E se la 54 è compatibile con la 40, per forza di cose doveva esserlo anche la 55.

Sembra che alla fine ci siate riusciti.

Abbiamo progettato e consegnato in qualche settimana. Ci risulta che Tadej l’abbia usata alla Sanremo, ma altri potrebbero averla provata prima e a breve sarà in vendita. La cosa ha destato interesse, tanto che altri team hanno chiesto di poterla comprare.

Quali team?

Posso parlare della Bahrain Victorious, come pure di Decathlon e Jayco. Con loro non abbiamo gli stessi rapporti stretti della UAE Emirates e al momento il 55 è una loro esclusiva. Ma quando andrà in vendita, non potrà più esserlo. Decathlon ne sta prendendo un quantitativo importante, presto sarà evidente. Anche se per averne, c’è un tempo di attesa di 4-5 mesi. Siamo una piccola azienda, abbiamo tante richieste.

Stessa lavorazione, progetto diverso?

Esatto. La lavorazione non cambia e per la progettazione si parte dal know-how delle altre corone, ma è un prodotto completamente diverso. Le macchine CNC vanno riprogrammate, è proprio una storia nuova.

E’ vero che le vogliono per tutta la squadra?

Se va bene per Tadej… E poi non è un team con pochi capitani e tanti gregari. Anche quelli che lavorano sarebbero leader nelle altre squadre, per cui davvero non si può dirgli di no.

Sorpreso che Tadej abbia deciso di usarla già dalla Sanremo e poi domenica nella Liegi?

Con lui abbiamo spesso certe sorprese, veniamo informati appena prima. Come quando gli demmo i prototipi delle corone in carbonio. Le provò, gli piacquero e le usò subito in corsa al Fiandre che vinse e poi anche nell’Amstel. Lui è fatto così. Se fa una richiesta, ne ha davvero bisogno. E se ne ha bisogno, perché non dovrebbe usarla?

Van der Poel si inchina, ma non bacia l’anello

22.04.2024
4 min
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LIEGI (Belgio) – Van der Poel rispolvera un po’ di sano realismo e si arrende con l’onore delle armi. Sul podio c’è salito, sia pure a più di due minuti dal vincitore. E siccome è un ragazzo dotato di cervello fino, il suo bilancio di fine Liegi è lucidissimo.

«Anche con le gambe migliori non avrei potuto seguire Tadej – dice – non so davvero come sono riuscito a salire sul podio. Ora capisco perché dicono che la Liegi-Bastogne-Liegi sia difficile da abbinare alle classiche del pavé. Il recupero dopo il Fiandre e la Roubaix si è rivelato più complicato del previsto e ciò fornisce spunti di riflessione per il futuro. Vincere qui, se al via ci sarà anche Tadej, sarà molto difficile e forse addirittura impossibile».

Quando arriva per raccontarsi, l’olandese iridato è straordinariamente rilassato, come chiunque abbia vinto Fiandre e Roubaix e volendo potrebbe andarsene in vacanza e nessuno gli chiederebbe altro.

Van der Poel prima del via è stato accolto da una salva di applausi e si è concesso ai tifosi
Van der Poel prima del via è stato accolto da una salva di applausi e si è concesso ai tifosi
Sei felice o pensi ti sia mancato qualcosa?

Sono felice. Fino a cinque chilometri dalla fine, non credevo nel podio. Penso che tutti abbiano capito che oggi (ieri, ndr) era il massimo possibile per me. Rientrare è stato un grande sforzo. Ero dietro per togliermi gambali e guanti, quando davanti c’è stata la caduta e la strada si è bloccata. Pensavo che non avremmo mai rivisto la parte anteriore della corsa, quindi ero già felice che dopo un lungo inseguimento fossimo rientrati. Già sentivo che le mie gambe erano un po’ stanche, ma credo che anche con gambe migliori non avrei potuto fare niente di meglio.

Un terzo a Liegi chiude un’ottima stagione delle classiche…

Penso che la mia stagione sia già più che soddisfacente, ma sono davvero felice di essere salito sul podio anche oggi. E’ stata una decisione attentamente ponderata quella di far durare il mio picco di forma così a lungo e non vedo perché sarebbe impossibile non farlo di nuovo nei prossimi anni. Dalla Sanremo alla Liegi. E’ qualcosa che conosco da quando gareggio in inverno nel ciclocross e poi passo su strada. Mi regala lunghi periodi di competizione ad alto livello. L’unico dettaglio che forse ho sottovalutato è stato il calo di tutta la squadra dopo Roubaix. Avevamo vinto i primi tre Monumenti, è stato difficile per tutti rimanere così concentrati e motivati per il quarto. Non c’è vergogna nell’ammettere che siamo stati battuti da atleti migliori di noi.

Tanto è potente e perfetto in pianura, per quanto appare quasi fuori posto in salita
Tanto è potente e perfetto in pianura, per quanto appare quasi fuori posto in salita
Si è sempre detto che la Liegi sia una gara per scalatori.

Vero, ci sono stati scalatori migliori di me, ma alla fine mi sono trovato a sprintare contro altri scalatori e ho avuto io la meglio.

Ti pesa pensare che potresti non vincere mai una Liegi?

E’ una domanda che non mi pongo, siete voi giornalisti a farvela. Sono una persona abbastanza realistica, so che se Pogacar avrà una buona giornata, non potrò mai seguirlo nemmeno con le mie gambe migliori. Ho solo una cosa da sperare e cioè che un giorno non stia bene, altrimenti sarà sempre difficile vincere qui.

Non dipende da te in nessun modo?

Per pensare di vincere dovrei forse rinunciare ad altre corse e magari perdere qualche chilo. Preferisco andare per gradi. Come ho sempre fatto, mi concentro sulle cose che so fare meglio e questo per me significa fare Fiandre e Roubaix, che mi si addicono di più. Se per vincere la Liegi dovrò cambiare tutto, allora non sarà per i prossimi anni.

Chiamato sul podio peril terzo posto, Mathieu non sa ancora se essere felice o deluso
Chiamato sul podio peril terzo posto, Mathieu non sa ancora se essere felice o deluso
Arriva l’estate e arrivano le Olimpiadi: hai deciso fra strada e mountain bike?

Penso che la prossima settimana sarà tempo di vedere come riempiremo quest’estate, ma non ne ho ancora idea, altrimenti lo direi. Non so ancora cosa farò, tranne che adesso andrò a prendere un po’ di sole. Adoro ancora la mountain bike, ma è un anno speciale con le Olimpiadi. Posso vincere la strada e come ho già detto, non voglio scommettere due cavalli e poi magari fallire con entrambi. Quindi vedremo dove porta l’estate.

L’ago della bilancia si va spostando verso la strada, ma forse gli scoccia anche ammetterlo. La lezione di Glasgow è stata chiara: dopo la vittoria del mondiale su strada, quello in mountain bike contro Pidcock è sembrato un brutto sogno. E va bene che inseguirli fa restare giovani, ma siamo certi che abbia senso rinunciare a un oro olimpico su strada per inseguirne uno anche più improbabile sulla Mtb?

Niente di facile, ma tutto secondo copione: la Liegi è di Pogacar

21.04.2024
6 min
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LIEGI (Belgio) – Facile come una lezione imparata così bene da non ammettere repliche. Tadej Pogacar ha fatto quello che si era proposto e agli altri non è restato che il podio. Una giornata fredda. Due gradi al mattino a Baraque de la Fraiture, la neve sugli alberi. Pioggia a scrosci a rendere davvero crudele una domenica già dura di per sé. Poi lentamente il sole si è fatto largo e la corsa è entrata nel vivo. La UAE Emirates ha scandito la marcia su ogni salita in direzione di Liegi, lasciando intuire una strategia chiara e condivisa. Lo spauracchio Van der Poel non si è mai visto se non alla fine, costretto a inseguire dopo una caduta, ma mai realmente in gara. Se la sua presenza era dovuta al voler omaggiare la corsa, la maglia che indossa e il suo grande rivale, l’applauso sarà ampiamente meritato.

L’attacco è arrivato sulla Redoute, dopo che Novak ha dato l’ennesima tirata di una giornata per lui memorabile. A quel punto non restava che andare e Tadej è andato. E’ partito nella parte bassa della salita: presto rispetto al solito, ma se avesse aspettato magari qualcun altro avrebbe avuto la stessa idea. Ci ha provato Carapaz a stargli dietro, poi anche il campione olimpico di Tokyo ha perso il conto dei battiti e si è rimesso a sedere.

Nella prima fuga della Liegi, anche Christian Scaroni: il gruppetto è arrivato fino a Stavelot
Nella prima fuga della Liegi, anche Christian Scaroni: il gruppetto è arrivato fino a Stavelot

Il copione perfetto

Da quel punto, la Liegi-Bastogne-Liegi si è trasformata in un assolo. Un copione cui dovremmo ormai essere abituati, dato l’andamento recente delle grandi classiche, ma che ci lascia ogni volta senza fiato. Elegante come chi non è davvero al limite, cattivo come chi non ha bisogno di mettersi strane espressioni sulla faccia. Pogacar ha spinto duro per 34 chilometri con la guarnitura 55-38 che ha scelto dente dopo dente e gli è stata consegnata a tempo di record, perché aveva in mente un’azione simile e ha voluto avere gli strumenti giusti.

«C’era una strategia – spiega il diesse Hauptman, che blocchiamo appena scende dall’ammiraglia – ma la teoria è una cosa e la corsa un’altra. Bax ha tirato quasi 160 chilometri, ha fatto un gran lavoro. Poi Novak, con Finn e Diego (Ulissi, ndr), hanno fatto un ritmo forte in salita per far soffrire gli altri. Il nostro programma era che Tadej partisse sulla Redoute e abbiamo lavorato per questo. Quando Van der Poel è caduto, noi eravamo già davanti a tirare, ma abbiamo fatto un passo normale, visto che sono rientrati pur avendo già un minuto e mezzo.

«Cosa ho pensato quando Tadej è partito?  Ho incrociato le dita (sorride, alzando gli occhi al cielo, ndr), perché non sai mai. Dopo una classica così, se vai in crisi negli ultimi 10 chilometri, puoi avere un grande vantaggio, ma perdi tutto. Per cui, finché non siamo arrivati all’ultimo rettilineo, ero un po’ teso. Guidare uno come Tadej è un orgoglio, una responsabilità e anche una preoccupazione. Però mi piace…».

Sullo Stockeu, come su tutte le salite della Liegi, il UAE Team Emirates ha scandito un ritmo alto
Sullo Stockeu, come su tutte le salite della Liegi, il UAE Team Emirates ha scandito un ritmo alto

La forza del gruppo

La zona dell’arrivo è un ribollire di birre e tifosi, attirati dalla tregua del maltempo. Davanti al pullman della UAE Emirates, in attesa di parlare con Pogacar, c’è Matxin che ne descrive la grandezza, la perfezione, l’ineffabilità. E così dopo questa lunga teoria di lodi, ci viene la curiosità di chiedergli se in realtà non sia difficile essere così perfetti. E lui risponde con un sorriso.

«Secondo me – dice – la cosa più difficile è creare un gruppo, quando ci sono corridori dal livello di Hirschi, Almeida e Ulissi. Come lo convinci uno come Diego, con il palmares che ha, che deve tirare quando mancano tanti chilometri perché consideriamo che è la cosa giusta da fare? Sono orgoglioso di avere creato l’atmosfera giusta. E credo che la squadra abbia funzionato bene anche quando Tadej era solo. Quando hanno visto che Hirschi e Almeida facevano buona guardia, quelli dietro hanno capito che non si sarebbero potuti organizzare e contro un Pogacar in condizione così perfetta hanno perso la speranza».

Attacco sulla Redoute: ci siamo. Pogacar fa il vuoto e se ne va
Attacco sulla Redoute: ci siamo. Pogacar fa il vuoto e se ne va

La dedica speciale

Pogacar arriva riguardandosi l’arrivo nel cellulare. Fende la sala stampa e va a sedersi sulla sedia della cattedra. Oggi la Permanence si trova all’interno di un polo universitario e tutto fa pensare di essere tornati a scuola, a cominciare dai bagni. Il berretto di lana in testa e lo sguardo normale, come se non avesse appena vinto la Liegi. In realtà la scarica delle emozioni le ha tenute dentro sul traguardo, con quelle dita al cielo che ora spiega con un filo di commozione.

«Due anni fa – dice – in questo stesso giorno, la madre di Urska morì poco prima della Liegi e io rinunciai a correre e corsi a casa. Anche l’anno scorso qui sono caduto e ho rovinato la mia stagione. Oggi è stata una corsa piuttosto emozionante e ho pensato molto a Daria, la mamma di Urska. E penso che questo mi abbia dato la forza anche per venire e arrivare da solo fino al traguardo. Ho attaccato davvero forte, a tutto gas dalla base della Redoute fino alla cima. Novak ha fatto un ottimo lavoro tirando per le prime centinaia di metri e poi è toccato a me. Serviva tanta forza e l’ho avuta».

Normalità disarmante

Lo guardi e pensi a quella che per lui è normalità e fai anche fatica a trovare qualcosa da chiedergli, vista l’assenza di pathos in una vittoria così grande da non aver aperto neanche una crepa nella sua corazza.

«In realtà è stata piuttosto dura – ci smentisce – con il vento contrario dopo 230 di gara e con questo freddo. Non è bello e non è scontato, ma una volta che senti che il divario è di un minuto, allora ti sembra più facile. Oddio, facile proprio no. Diciamo che ti dà una motivazione in più (sorride, ndr). Sono azioni che si progettano, in cui credi, ma che non prepari a casa. Non sono cose che alleni, non avrebbe senso. Ma per me le corse sono così: devi provarci. Può andare bene o anche male, ma devi provarci. Cosa vorrei fare adesso? Ci starebbe bene una bella settimana di vacanze, come ha detto Mathieu (lancia lo sguardo a Van der Poel seduto accanto, che ride, ndr) che sta per andare a Dubai. E’ una bella scelta, non dispiacerebbe neanche a me, ma ho un lavoro da fare in Italia».