Il Dombrowski ritrovato è rinato… dalla tavola

12.05.2021
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Dietro la transenna al traguardo di Sestola, ieri, Mauro Gianetti era al settimo cielo. Joe Dombrowski aveva appena vinto la tappa e il general manager della Uae Team Emirates spiegava che quando due anni fa decisero di prenderlo, erano consapevoli del suo valore, ma insieme si erano presto resi conto che ci fosse tanto da raddrizzare. Il talento rischiava di spegnersi, in un ragazzo di 29 anni che aveva bisogno di rivedere il modo di allenarsi e quello di mangiare. Perché Dombrowski è uno di quelli che con il cibo ha sempre avuto qualche problemino. «Lui è uno di quelli che non mangiava proprio niente», bisbiglia Gianetti andando verso il podio. Magrissimo da U23 quando nel 2012 vinse il Giro d’Italia U23 militando nella squadra di Lance Armstrong, sempre più magro da neoprofessionista al Team Sky. Come pretendere che avesse margini di crescita senza un rapporto sereno col cibo?

Mauro Gianetti è fra i primi ad abbracciarlo dopo l’arrivo
Mauro Gianetti è fra i primi ad abbracciarlo dopo l’arrivo

Svolta 2021

Oggi le cose sono migliorate. Tanto che quando lo scorso anno, finito il Giro, decise di rimanersene con la compagna a Milano, tra le varie informazioni chiese anche il nome di un paio di ristoranti. Un interesse che in altri tempi non avrebbe mostrato. Lo stesso dottor De Grandi, medico del team, ci parlò di una revisione nella squadra.

«Il ciclismo e le corse sono sempre più veloci – spiega Dombrowski – il livello e le attese sono alte e in questo team abbiamo un ottimo supporto con lo staff e lo chef. Meglio di quando dovevo pensarci da me. Quando sono venuto qui, arrivavo da una squadra americana. E’ difficile per noi vivere in un Paese straniero, lasciare gli Usa e la famiglia. Il team sta crescendo. Trovo molto comodo essere supportato anche nell’alimentazione. Non è facile seguirla da soli».

Le pressioni

In poche parole, la sintesi di quanto cominciammo a scrivere su queste pagine, interpellando nutrizionisti, psicologi e atleti, sulla necessità dei team di dotarsi di figure all’altezza e a proposito della fragilità emotiva di alcuni soggetti contrapposta al clima di pressione che sul tema si respirava e ancora si respira in alcuni ambienti. Dombrowski vinse il Giro d’Italia degli under 23 nel 2012 battendo l’Aru più forte. E quando Fabio tornò in ritiro, si sentì dire davanti a tutti che si era fermato al secondo posto perché credeva di essere magro, mentre l’americano lo era di più. Già, ma quali margini aveva Dombrowski?

Nel finale fra i big soltanto Bernal e Landa hanno messo fuori il naso. Con loro, Ciccone
Nel finale fra i big soltanto Bernal e Landa hanno messo fuori il naso. Con loro, Ciccone

«Il successo non è mai una linea retta – dice – ci sono alti e bassi, momenti più o meno difficili. Se guardo indietro, penso che avrei potuto aspettare un paio d’anni prima di passare. Sono arrivato al ciclismo tardi ed è un bel salto da U23 al WorldTour, per il modo di correre del gruppo. Ho avuto delle belle cose da tutti i team in cui sono stato, ognuno mi ha dato una bella esperienza, ma di sicuro da me ci si aspettava altro».

Interferenze radio

Il suo attacco nel finale valeva doppio. Per la tappa e per la maglia e chissà come sarebbe finita se i corridori non fossero stati collegati con le ammiraglie. De Marchi avvertito dai suoi di non pensare soltanto a Oliveira, rimasto indietro, ma anche di non lasciar allontanare troppo Dombrowski. L’americano spinto a gran voce, ma con indicazioni non proprio veritiere.

«Un po’ mi dispiace di non aver preso la maglia – dice – anche se è dura dire che sono dispiaciuto dopo che ho vinto la tappa. A 4-5 chilometri dall’arrivo, ho capito che andavamo per vincere e insieme sapevo che De Marchi era più vicino di me, che aveva 33 secondi. L’ho sentito tante volte alla radio. A volte ti danno distacchi diversi dalla realtà. Parlavano di 20-25 secondi a mio vantaggio, così ho voluto spingere fino alla riga, ma i secondi alla fine erano 13. Sarebbe stato bello prendere la maglia, ma non è stato possibile. Vedremo nei prossimi giorni. Oggi ci sarà una volata, domani con l’arrivo in salita potrebbe essere un’opportunità».

Mente aperta

C’è da capire se adesso il Uae Team Emirates cambierà i suoi piani oppure offrirà all’americano il supporto necessario per puntare alla maglia nei prossimi giorni, magari già domani a San Giacomo, in attesa che le grandi montagne portino davanti i capitani.

«Prima della corsa – dice – il piano era aiutare Formolo per la generale e Gaviria e Diego per le loro tappe. Ho vinto la tappa, ho preso la maglia azzurra, sono secondo in classifica. Di solito vengo fuori nella terza settimana sulle grandi montagne. Sestola non era pianificata, ma il percorso mi si addiceva. Non ho mai pensato di venire qui per la maglia rosa, sono abituato ad andare alle corse con la mente aperta. I grandi Giri sono diversi dalle corse di una settimana. Le cose possono cambiare rapidamente, per cui prendo le occasioni quando capitano. E in tre settimane ci sono tante occasioni, 21 corse nella corsa. Ieri è stato un buon giorno per me».

La favola in rosa del friulano con i capelli rossi

11.05.2021
6 min
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Valentino Sciotti che gli corre intorno e gli grida che ce l’ha. Alessandro De Marchi che precipita fra le sue braccia. Che lo guarda. Che poi si butta sul manubrio, con la faccia fra le mani. Piove, ma nessuno sembra farci caso. Sciotti che continua a strattonarlo e abbracciarlo, mentre uno dopo l’altro arrivano gli altri componenti della Israel StartUp Nation. Il Rosso di Buja ha conquistato la maglia rosa. Non riesce a parlare. Pensiamo a Bressan e Boscolo a Udine, a quante bottiglie stapperanno stasera.

Un viaggio profondo

Il suo racconto è un viaggio profondo. Lo vedi che non si rende conto e che ha dentro qualcosa che lo scuote, ma non sa nemmeno lui con esattezza che cosa sia. Così parla, dando vita a un percorso interiore che sarà a volte perplesso, altre volte commosso.

«Per il modo di correre che ho io – dice – la percentuale dei tentativi che vanno a buon fine è sempre minore di quelli che riescono. Non credo di aver sbagliato o fatto delle scelte sbagliate in questi 11 anni, però è così. La generosità che ho sempre dimostrato era quasi scontato che finisse un po’ così, come ho detto anche altre volte. Alla fine però non bisogna mollare, perché le cose grandi a volte succedono anche a quelli come me».

Da soli non si beve, ma un brindisi a se stesso ci sta davvero tutto
Da soli non si beve, ma un brindisi a se stesso ci sta davvero tutto
Quelli come me?

Non lo so, una sensazione. Mi fa piacere che la gente possa essere contenta per la mia maglia rosa. Vuol dire che ho seminato bene in questi anni (trattiene a stento le lacrime, ndr). Forse questa cosa è ancora più gratificante della vittoria, dei risultati, magari addirittura più di questa maglia. Sapere che tante persone sono contente per quello che hai fatto e le cose che hai raggiunto… vuol dire che qualcosa di buono sono riuscito a fare».

Da bambino l’hai mai sognata?

In questi anni non avevo mai sfiorato e neanche mi era venuto in mente di pensarci. E’ un simbolo che quando un bambino inizia a pedalare è lì in alto. Non so esattamente perché, ma due giorni fa mi è venuta questa idea. E alla fine con una crono e due tappe in gruppo, siamo arrivati a oggi. Quello che ha fatto subito la differenza è stato capire nei primi chilometri che c’era battaglia. Non era una fuga a perdere, con la giusta situazione poteva crearsi questa opportunità.

Dombrowski lo attacca, Alessandro lo controlla: l’idea rosa prende corpo
Dombrowski lo attacca, Alessandro lo controlla: l’idea rosa prende corpo
Quando l’hai capito?

Alla fine. Primo ero concentrato su Oliveira e ovviamente sul riacchiappare i due fuggitivi. Nel momento in cui questo si stava sistemando, dalla macchina mi hanno detto di fare attenzione anche a Dombrowski, perché non potevo permettermi di farlo allontanare troppo. E quindi fino alla fine è stata una via di mezzo: ce l’ho, non ce l’ho. Una volta arrivato ho visto Valentino Sciotti che mi correva incontro e dalla faccia che mi ha fatto, ho capito che ero la nuova maglia rosa.

Cercavi qualcosa da dedicare a Silvia Piccini, la ragazza morta sulla strada poche settimane fa…

Sono pronto a portare qualcosa alla famiglia. Sarà un piccolissimo pensiero, ma è quello che possiamo fare noi, ora che lei non c’è più. Ho già risposto a tante domande, è il problema più vecchio del mondo. Siamo a volte molto incivili, non riusciamo ad avere il minimo rispetto per gli altri e ormai sulla strada questo è evidente. Silvia è l’ultima, ma purtroppo non lo resterà a lungo.

«Sono un padre, per questo mi espongo sulle questioni di diritto. Corro per Giulio Regeni»
«Sono un padre, mi espongo sulle questioni di diritto. Corro per Giulio Regeni»
Ci hai sempre messo la faccia…

Mi sono sempre espresso su temi che stanno al di sopra di ogni colore e schieramento. I diritti fondamentali, i diritti civili, cose che non hanno colore e non possono essere strumentalizzate. Più di qualcuno, anche persone care, mi hanno criticato su questo. Però prima che ciclista – ormai sono stufo di ripeterlo – sono un marito, un papà, un cittadino. Quindi domani vestirò ancora il braccialetto giallo per Giulio Regeni e parlerò ancora di sicurezza sulle strade, senza problemi. Non cambierò idea.

Resterai fedele anche al tuo modo di vedere il ciclismo?

Ho un modo di fare più romantico di quello che ti viene richiesto nel ciclismo attuale. Mi è sempre stato insegnato così, sin da quando sono passato professionista con il buon Gianni Savio. Forse c’è molto di quello stampo nel mio modo di fare. E’ anche vero però che il ciclismo va avanti e anche io mi devo scontrare con questo cambio di stile. Anche io devo fare attenzione a mangiare nel modo giusto, ad avere i vestiti giusti, a usare il body, ad avere il casco aerodinamico, ad avere una bicicletta leggera e veloce… Sono tutte cose che fanno parte delle regole del gioco di adesso. Probabilmente questo stile non è il più redditizio, utile a fare risultati e aumentare il numero di vittorie. Però…

Però?

Ci sono state tappe in cui ho passato la giornata in fuga e sono stato ripreso, in cui ero più soddisfatto di quando ho fatto un piazzamento. Io cercherò di continuare a interpretare il ciclismo in questo modo, fino a quando potrò farlo.

Taglia il traguardo, ma ancora non si rende conto dell’impresa
Taglia il traguardo, ma ancora non si rende conto dell’impresa
E intanto sei il faro per i ragazzi del Ct Friuli.

Sono stato il primo a sfruttare quello che è diventato un sistema e una squadra che non hanno niente da invidiare ai team professionistici. Lo dobbiamo a Roberto Bressan, Renzo Boscolo e ora Andrea Fusaz, Alessio Mattiussi e Fabio Baronti. Queste sono le persone che hanno dato il via a quella bellissima realtà che è il Cycling Team Friuli. E i ragazzi che arrivano adesso nel mondo del professionismo stanno sfruttando appieno questa squadra. Milan, Fabbro, Aleotti, Venchiarutti, i fratelli Bais. Ormai siamo in tanti ed è giusto che il mondo dei professionisti guardi sempre di più a questa realtà.

Non sarebbe male chiudere in Italia…

A parte i primi anni qua, ho subito intuito che purtroppo in Italia era difficile continuare a stare ad un certo livello. Sono felice di aver capito subito la necessità di partire. Ma è il segno che il mondo va in questa direzione, non possiamo essere troppo chiusi su di noi e le nostre piccole realtà. Ormai siamo interconnessi, siamo globali in tutto e anche il lavoro deve essere così. Spero di insegnare questo a mio figlio. Sono cresciuto in una famiglia che ha sempre avuto un occhio verso lidi diversi, mondi un po’ più lontani. Mio fratello vive in Nuova Zelanda da tanti anni ed è una cosa di cui i miei genitori vanno fieri, nonostante ci siano migliaia di chilometri. Avere sperimentato squadre di Paesi diversi è stimolante, ma sarebbe bello anche ritrovare una squadra italiana nel WorldTour in cui magari finire la carriera.

Lo sguardo di chi su quel palco rosa non c’è mai stato: che cosa mi aspetta?
Lo sguardo di chi su quel palco rosa non c’è mai stato: che cosa mi aspetta?

Ha raccontato. Si è commosso. Non ha avuto paura di mostrare le sue emozioni. Prima di lui, forse, soltanto Simoni era riuscito a entrare nel cuore della sua gente per la stessa cocciuta coerenza. Stasera si farà festa, magari con il vino dello sponsor. Da domani però il Rosso di Buja sarà sulla strada per difendere il suo sogno rosa e cercherà di portarlo il più avanti possibile. Ganna è passato con l’espressione sfinita ed è sfilato verso il pullman. Da stasera il Giro ha trovato un’altra storia da raccontare.

La filosofia di Diego: «Poche storie e lavorare…»

11.05.2021
3 min
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A cose normali, se cioè non fosse sopravvenuto quel complicato e fastidioso problema al cuore, al via di una tappa come quella di Sestola, Diego Ulissi sarebbe stato il corridore italiano più gettonato. La sua confidenza con il Giro d’Italia e l’altimetria del percorso che stamattina attendeva i corridori avrebbero fatto sicuramente di lui uno dei favoriti per il traguardo di giornata.

Stamattina alla partenza il meteo era decisamente inclemente, aggiungendo un elemento di fastidio alla ricerca della buona condizione. Non dimentichiamo che Ulissi è arrivato al Giro avendo iniziato a correre appena il 3 aprile, presentandosi a Torino con 13 giorni di corsa. Tutti di seguito (Gp Indurain, Paesi Baschi, Romandia), senza tirare il fiato.

Diego è arrivato al Giro con 13 giorni di corsa nelle gambe
Diego è arrivato al Giro con 13 giorni di corsa nelle gambe

«La condizione è in crescita – diceva alla partenza da Piacenza – vedremo giorno dopo giorno come andrà. Ritrovarsi a correre senza la condizione su percorsi che potevano essere miei non è bello, ma neanche un fastidio. D’altronde non si può cancellare quello che è successo. Adesso l’obiettivo è fare le cose gradualmente fino a trovare una condizione sempre migliore».

Non immaginavi davvero una primavera come questa…

Mi sarebbe piaciuto arrivare a questo Giro in condizioni migliori, ma come detto quello che è successo non si può cambiare. Per cui bisogna prenderla con filosofia e continuare a lavorare.

Per valutare la condizione di un corridore ormai si guardano quasi esclusivamente i suoi valori, ma come andiamo con le sensazioni?

In questi giorni le sensazioni sono state buone, sin dalla crono di Torino. Per questo ho fiducia che nei prossimi giorni le cose miglioreranno.

Quanto conta la testa e quanto contano le gambe?

Purtroppo in queste situazioni fanno più le gambe della testa. Con l’allenamento che ho perduto di recente e la preparazione invernale saltata, mi ritrovo a questo punto a essere indietro. La testa invece va bene, sono sereno, tranquillo. Del resto non si possono fare le cose con la fretta, è meglio crescere gradualmente e non compromettere il resto della stagione.

L’anno scorso per Diego 2 tappe vinte: qui a Monselice, su un tracciato simile a quello di Sestola
L’anno scorso 2 tappe vinte: qui a Monselice, su un tracciato simile a quello di Sestola
Si può cominciare a pensare che il Giro d’Italia sia la miglior preparazione per il resto della stagione?

Intanto siamo qui, perciò se le gambe me lo permettono, provo a portare a casa qualcosa. Di sicuro non mi tiro indietro. Ma il Giro d’Italia da questo punto di vista sarà sicuramente un passaggio utile per il resto dell’anno. Le Olimpiadi ad esempio sono un sogno per chiunque, anche per me.

Mentre Diego si allontana, si fa largo il pensiero di quanto sia difficile essere un atleta di vertice e dover ricominciare tutto da capo per un infortunio che non dipende da te. In questo caso conta più la testa di quanto contino le gambe. Se davvero l’origine dei suoi problemi al cuore risale a una polmonite di quando era ragazzo, era davvero impossibile che qualcuno se ne accorgesse prima? Il corridore intanto cammina sotto la pioggia per recuperare la bicicletta e schierarsi al via della tappa. Avere la voglia e il tempo di raccontarsi prima di una giornata come questa li rende ancora più grandi.

Sestola, i trabocchetti del primo arrivo in salita

11.05.2021
5 min
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Il primo arrivo in salita è sempre un bell’enigma nei grandi Giri. Aspettative, dubbi, voglia di attaccare o necessità di difendersi… e soprattutto gran parte della corsa ancora davanti. E’ una delle tappe più delicate. Anche Pantani che in salita non doveva certo imparare nulla da nessuno, qualche volta ha pagato dazio. E oggi il Giro d’Italia arriva a Sestola, Appennino Emiliano.

Ci si stacca dalla pianura Padana e si inizia a prendere quota. Una tappa così delicata potrà anche non cambiare molto i distacchi tra i big, ma merita comunque un occhio di riguardo. E noi quest’occhio lo diamo con Claudio Cucinotta, uno dei preparatori dell’Astana Premier Tech.

Prime vere asperità e sotto la pianura si fa più “piccola”
Prime vere asperità e sotto la pianura si fa più “piccola”

Chi parte forte e chi no

Quali incognite nasconde quindi questa tappa? La prima vera scalata del Giro?

«Sicuramente incide più sul piano psicologico che non su quello fisico – dice Cucinotta – E’ come il primo esame. Ogni corridore in cuor suo sa di avere una buona condizione e di avere svolto un buon lavoro, ma fino al primo riscontro reale non può avere risposte certe. Psicologicamente quei secondi di vantaggio o svantaggio a fine tappa possono incidere». Ma non devono e non possono essere decisivi. E’ solo una battaglia. Salvo casi eccezionali, s’intende.

«Molto conta come si è deciso d’impostare il Giro. C’è chi parte forte e poi magari paga nel finale e chi invece arriva al Giro al 90% e trova il 100% strada facendo».

Il profilo della salita di Sestola, dopo lo scollinamento ancora 2,5 chilometri (circa)
Il profilo della salita di Sestola, dopo lo scollinamento ancora 2,5 chilometri (circa)

Quei vecchi percorsi

Una volta con i vecchi percorsi, soprattutto al Tour de France, c’erano dieci giorni o una settimana di pianura e poi la salita all’improvviso. Questa poteva dare esiti ancora più imprevedibili. Gli scalatori pagavano molto il fatto di spingere per giorni e giorni rapporti lunghi, mentre per i passisti era la normalità. Non erano loro che andavano forte ma gli scalatori che andavano più piano.

«Non è il caso del Giro – riprende Cucinotta – soprattutto quest’anno, ma l’effetto sorpresa può starci lo stesso. Dopo qualche giorno di pianura non è facile affrontare all’improvviso un sforzo di 30′ o 40′ fatti al massimo, anche se Sestola sarà più breve».

Per questo l’avvicinamento è molto importante, ma va fatto prima. Chiaramente non ci si può preparare per quella tappa a Giro iniziato. Non cambiano i massaggi, né si osserva un defaticamento particolare il giorno prima. 

«I massaggi ormai li fanno tutti, anche perché c’è più personale e non è più come una volta che alcuni corridori li saltavano. Però il defaticamento è ormai assodato. Quei 10-15′ sui rulli a fine tappa aiutano moltissimo» e ieri infatti dopo il traguardo di Canale li hanno fatti in molti. 

«C’è chi tollera più facilmente l’improvviso sforzo intenso e chi invece fa fatica ad adattarsi e avrebbe bisogno di una tappa intermedia prima. Ma questo non vuol dire che non sia in condizione».

Oggi un piccolo vantaggio per gli scalatori è la presenza di altre salite prima della scalata finale, Colle Passerino.

Nel 2016 si arrivò quassù da un altro versante. Vinse Ciccone e l’Astana di Nibali tirava in salita
Nel 2016 un versante diverso. Vinse Ciccone e l’Astana di Nibali tirava in salita

Scalatori svantaggiati

Ma quindi chi avvantaggia il primo arrivo in salita?

«Più che altro direi chi svantaggia – dice Cucinotta – ne farà le spese chi ha buone doti di recupero ed esce bene nella terza settimana. Mi viene in mente il Nibali della situazione, perché magari non è esplosivo e alla lunga cala meno. Ad uno come lui o che ha programmato di entrare in forma strada facendo servono 3-4 tappe dure per essere al 100 per cento. 

«Il primo arrivo in salita quindi può favorire chi è più esplosivo e chi ha corso di più prima. Ma poi bisognerà vederlo più avanti, nella seconda metà del Giro. Ricordiamoci di Yates tre anni fa. Nella prima parte aveva vinto diverse tappe, attaccando anche da lontano e così facendo spese molto. Poi nella terza settimana ha pagato molto. Magari adesso uno come lui, esplosivo e che sta bene, può pensare che anziché attaccare per guadagnare 5” sia meglio restare calmo e risparmiare energie per il futuro. Insomma non è detto che tutti diano il 100%».

Wilko Kelderman, Etna, Giro d'Italia 2020
Kelderman, passista-scalatore, nel 2020 fu il migliore tra gli uomini di classifica sull’Etna
Wilko Kelderman, Etna, Giro d'Italia 2020
Kelderman, passista-scalatore, nel 2020 fu il migliore tra gli uomini di classifica sull’Etna

Non solo Sestola

Infine ci sono da valutare le caratteristiche dell’arrivo. Queste incidono?

«Assolutamente incidono – riprende Cucinotta –  un conto è una salita di 5-6 chilometri e un conto una salita lunga come fu l’Etna l’anno scorso. Sestola, che è lunga circa 4,5 chilometri, ma con pendenze molto impegnative, può strizzare l’occhio al corridore esplosivo anziché allo scalatore puro. Penso ad un Alaphilippe, anche se non è al Giro. Potrebbe essere una salita molto adatta a lui, una salita quasi da Liegi. Oggi ci sono da fare 400 metri di dislivello a occhio e croce si tratta di una scalata che dura 15′-18′ e un corridore può perdere 30”-40”. Mentre in una scalata come quella dell’Etna, primo arrivo in quota dell’anno scorso, se si andava in crisi si potevano perdere anche 2′-3′.

«Quindi Sestola è corta. Per me è più un vero arrivo in salita quello di dopodomani ad Ascoli. Una salita ben più lunga ma anche più pedalabile in cui a ruota si “sta bene” e se non si è al massimo si può camuffare. E’ anche vero però che se è più difficile staccarsi, se lo si fa si perde tanto».