Dopo il podio di via Roma, la Ruegg ambisce al tetto del mondo

30.03.2025
6 min
Salva

Vollering, Wiebes, Longo Borghini? Sì, sono le protagoniste di questo inizio di stagione, ma non sono le più costanti, ossia quelle che a livello di WorldTour hanno ottenuto più punti. Il primato spetta infatti a Noemi Ruegg, svizzera ventiquattrenne che paradossalmente non appartiene a un team della massima serie, correndo per l’EF Education-Oatly.

L’elvetica ha iniziato in Australia conquistando di forza il successo al Santos Tour Down Under, ma poi ha colto anche il terzo posto alla Cadel Evans Great Ocean Race, per poi collezionare Top 10 nelle classiche di casa nostra, tra Strade Bianche, Trofeo Binda fino al podio a sorpresa nella Milano-Sanremo. Ce n’è abbastanza per andare alla sua scoperta e capire come sia spuntata fuori tra le grandi del panorama internazionale.

Willunga Hill: la Ruegg mette le mani sul Santos Tour e da lì parte la sua entusiasmante stagione
Willunga Hill: la Ruegg mette le mani sul Santos Tour e da lì parte la sua entusiasmante stagione
Qual è la tua storia ciclistica, come hai iniziato e sei arrivata a questo punto?

Ho iniziato attraverso la mia famiglia. Ho un fratello maggiore di 5 anni, Timon, ora è un professionista di mountain bike ma a ispirarci è stato nostro padre. Con lui che era un ciclista per diletto andavamo a vedere le gare di ciclocross di mio fratello maggiore e a un certo punto ho voluto provarci anch’io. Soprattutto quando dovevo andare a scuola in bici, me ne sono davvero innamorata. Ho voluto provare anche io una gara di ciclocross, e mi è piaciuta molto. Lì ho cominciato davvero.

Dall’inizio dell’anno sei la ciclista che ha ottenuto più risultati: che cosa è cambiato per farti fare questo progresso?

Mi alleno in modo molto costante e ho sempre saputo che questi risultati erano dentro di me. Mi sentivo abbastanza forte per farlo, ma avevo solo bisogno di acquisire molta esperienza. Penso che ora il lavoro stia semplicemente dando i suoi frutti come tutto quello che ho fatto negli ultimi anni. Acquisire esperienza nelle gare significa saperle leggere in anticipo, cogliere tutte le tattiche e reggere anche fisicamente. Sono migliorata molto e penso che potrei fare un altro passo avanti. Ma non c’è niente che abbia fatto di diverso in modo specifico. Penso che sia solo che ho lavorato sodo e costantemente.

La gioia della ventitreenne di Schlofflisdorf per la sua vittoria al Santos Tour Down Under
La gioia della ventitreenne di Schlofflisdorf per la sua vittoria al Santos Tour Down Under
Quanto ha inciso vincere il Tour Down Under nella tua consapevolezza?

Di sicuro mi ha dato molta sicurezza perché era la prima gara della stagione e non sai mai dove ti trovi dopo l’inverno. Per me è stato un sollievo perché sono rimasta per lo più a casa in Svizzera a causa del vento. Quindi ho passato un sacco di ore anche sui rulli e pensavo «Oh, forse avrei dovuto andare in Spagna come tutti gli altri per fare un buon ritiro di allenamento». Ma ho deciso di restare a casa. Quindi ero un po’ dubbiosa su quel che avrei ottenuto. Sì, ho fatto la cosa giusta e questo mi ha dato molta sicurezza.

Tu emergi sia nelle corse a tappe che nelle classiche: quali sono le corse che preferisci?

E’ difficile dirlo. Mi piacciono molto entrambe. Penso che le corse a tappe siano qualcosa di veramente speciale perché hai la possibilità ogni giorno di migliorare immediatamente. Gli errori che hai fatto come squadra, li puoi annullare. Le classiche di un giorno mi piacciono molto perché sono sempre piene di incognite. Non riesco davvero a decidere cosa mi piace di più.

L’elvetica, campionessa nazionale lo scorso anno, ha trovato nel team la realtà giusta per emergere
L’elvetica, campionessa nazionale lo scorso anno, ha trovato nel team la realtà giusta per emergere
Hai cambiato team lo scorso anno lasciando il WorldTour: che differenze hai trovato?

In realtà la EF è strutturata come un team del WorldTour. Tutto è perfettamente organizzato e lavoriamo anche abbastanza in contatto il team maschile. A me sinceramente sembra di essere sempre in un team della massima serie. Ovviamente le due squadre sono un po’ diverse. In questo mese ho avuto davvero il mio ruolo di leader, che mi è anche piaciuto molto. E penso che potrei imparare molto anche da questi due anni, diventare una leader a tempo pieno e ho avuto davvero la possibilità di farlo nel team EF. Prima mi sentivo un po’ bloccata in questo ruolo di aiutante, gareggiando soprattutto nel calendario nazionale. Avevo bisogno di cambiare qualcosa.

Hai chiuso sul podio la Milano-Sanremo: che corsa è stata per te?

E’ stato fantastico. Io ancora non riesco a pensarci. Sono salita sul podio in una delle gare monumento. La gara è stata abbastanza frenetica fin dall’inizio, penso che tutti fossero super nervosi perché quella era la prima edizione e non sapevamo a che cosa andavamo incontro.  Ci sono anche state un paio di cadute che mi hanno costretto a fermarmi e ripartire. Quindi la mia squadra ha dovuto riportarmi nel gruppo. Non è stata una gara perfetta dall’inizio alla fine ho fatto qualche errore, ma alla fine ero lì quando dovevo essere nei punti chiave e mi sentivo forte su entrambe le salite decisive. E potevo fidarmi del mio sprint.

Una Ruegg raggiante sul podio della Sanremo. Eppure a ripensarci poteva anche far saltare il banco…
Una Ruegg raggiante sul podio della Sanremo. Eppure a ripensarci poteva anche far saltare il banco…
Ma l’hai trovata molto diversa dalle altre classiche e così particolare per quanto riguarda la strategia come la gara maschile?

Non possiamo davvero paragonare la gara maschile a quella femminile. C’è un chilometraggio molto diverso, ma abbiamo dimostrato che possiamo davvero fare una gara emozionante anche noi. Come nella gara maschile. Non è un caso se all’arrivo sia arrivato un gruppo ristretto e il finale sia stato così emozionante.

Tre volte in top 10 nelle classiche italiane del WorldTour: pensi che avresti potuto fare meglio e dove?

Bella domanda, in effetti c’è una cosa in cui avrei potuto fare un po’ meglio. Lo sprint mi sarebbe andato molto bene con il leggero arrivo in salita, ma ero troppo indietro all’ultima curva. Così non sono riuscita a fare il mio sprint perfetto. Chissà, in una posizione migliore poteva anche andare diversamente. Comunque tre volte nella top ten e il podio a Sanremo è già incredibile.

Per l’elvetica i risultati ottenuti stanno portando grande popolarità anche in patria
Per l’elvetica i risultati ottenuti stanno portando grande popolarità anche in patria
In corsa ti piace avere l’iniziativa o studi le avversarie per scegliere la tattica migliore?

Mi piace molto avere la mia strategia e un mio piano che mi dia risultati. All’avvicinamento di una gara mi dedico sempre a molto riposo. Poi vado in gara e mi domando «Cosa devo fare? Qual è il piano?». Nel ciclismo devi sempre essere flessibile. Devi adattarti, ma anche fidarti del tuo istinto, e penso di stare migliorando anche in quello.

Per una ragazza svizzera la mountain bike è ancora la prima scelta o i risultati della Reusser e tuoi stanno cambiando la situazione?

Ho anche fatto un po’ di mountain bike in passato ma non mi sono mai impegnata davvero. Non mi è mai piaciuta molto, ma è ancora la disciplina più praticata da noi. Però il cambiamento è in atto. Possiamo avere più ragazze anche sulla strada, ma non solo grazie a me, penso a Marleen Reusser, Elise Chabbey, Linda Zanetti, siamo tutte dei buoni modelli e penso che ora possiamo ispirare le giovani.

La svizzera ora punta con decisione ai Grandi Giri, a cominciare dalla Vuelta
La svizzera ora punta con decisione ai Grandi Giri, a cominciare dalla Vuelta
Che cosa desideri ora dalle prossime gare?

Voglio solo restare me stessa e concentrarmi solo sul mio processo. Se continuo a crescere credo che i risultati arriveranno automaticamente. Non voglio mettermi troppa pressione. Non c’è un obiettivo specifico. Sono curiosa di vedere come andrò in un grande giro. Cominciando intanto alla Vuelta e sarebbe incredibile andare sul podio anche lì, ma di sicuro è quella la mia ambizione. Proverò a vincere qualche tappa e poi aiuterò la squadra per la classifica generale.

Narvaez torna in Europa, con le certezze dell’Australia

20.02.2025
6 min
Salva

Una toccata e fuga. Jhonathan Narvaez ha esordito con la nuova maglia della Uae dimostrando subito di che pasta è fatto, conquistando al Santos Tour Down Under quel successo finale che gli era sempre sfuggito in una corsa di livello WorldTour. Già solo quel risultato porterebbe a dire che la scelta di lasciare la Ineos dopo ben 6 anni è stata giusta. Jhonatan è tornato in Ecuador, riconfermandosi campione nazionale e poi ha continuato ad allenarsi in altura, nella “sua” altura. Doveva venire in Europa per le corse iberiche, ma poi si è scelto di posticipare alle prime classiche belghe.

Per parlare con lui lo abbiamo praticamente buttato giù dal letto, fissando un appuntamento quando da lui erano le 7 del mattino. Eppure era già sveglio e pronto, davvero desideroso di raccontare la sua nuova dimensione e di riassaporare presto quel mondo messo solo provvisoriamente da parte.

Nella classifica del Tour Down Under, Narvaez ha prevalso con 9″ su Romo (ESP) e 15″ su Fisher Black (NZL)
Nella classifica del Tour Down Under, Narvaez ha prevalso con 9″ su Romo (ESP) e 15″ su Fisher Black (NZL)
Che cosa ha rappresentato per te la vittoria in Australia?

Per me è stata una vittoria importante perché è un appuntamento prestigioso. Ci tenevo particolarmente per dimostrare di essere un buon elemento per quel tipo di corse, lunghe una settimana. Sapevo che aveva le caratteristiche giuste, con salite non troppo lunghe. Lo scorso anno la vittoria finale mi era sfuggita per 9”, pensavo che dovevo solo fare le cose per bene e avrei colto il bersaglio grosso. Così è stato.

Qual è stato il momento più bello e quello più difficile?

Sicuramente il penultimo giorno, quello di Willunga perché c’era un vento molto forte che ha spaccato in due il gruppo e io mi sono ritrovato nella seconda metà. Ho pensato che non saremmo più riusciti a rimettere insieme i pezzi, che la corsa era ormai andata. Ma poi ho pensato anche che dovevo mantenere la calma, infatti sono rientrato e nell’ascesa finale ho messo insieme il tutto e ho vinto. Quindi nella stessa tappa c’è stato anche il momento migliore.

La volata vincente nella penultima tappa a Willunga Hill, battendo Onley e Fisher Black
La volata vincente nella penultima tappa a Willunga Hill, battendo Onley e Fisher Black
Le corse a tappe come il Santos Down Under sono la tua dimensione ideale come ciclista?

Credo di sì. Per me è una gara dura, ma non prevede lunghe salite da 20 minuti, quindi è adatta a me. Si tratta di fasi esplosive in cui bisogna essere veloci. Quindi posso dire che è una gara che si adatta alle mie caratteristiche. La cosa che mi dispiace è che di corse così, di una settimana intera, non troppo lunghe né brevi, non ce ne sono altre in cui potrò essere leader. Il che significa che avevo solo un colpo in canna…

Come ti sei trovato a fare il leader alla Uae?

E’ stato molto positivo, mi hanno dato fiducia sapendo che potevo essere un valido candidato al successo. Ho già fatto gare come capitano, gestendo la squadra, so come muovermi anche nei momenti difficili, ma il team mi ha dato molta sicurezza e soprattutto i compagni hanno lavorato in maniera splendida. Non dimentichiamo che era comunque una gara WorldTour, non si può mai dire come andranno le cose in un livello così alto.

L’ecuadoriano con compagni e staff ad Adelaide. Lo scorso anno aveva perso per appena 9″
L’ecuadoriano con compagni e staff ad Adelaide. Lo scorso anno aveva perso per appena 9″
Tu hai sorpreso tutti al Giro d’Italia battendo Pogacar il primo giorno: ripensa a quella tappa non come avversario ma come compagno di Pogacar, come potreste lavorare insieme nella stessa situazione?

Questa domanda non mi è mai passata per la testa, ma non so davvero cosa sarebbe successo in quello scenario, se lui fosse stato il mio socio e compagno di squadra. E’ un tema interessante, per trovare una risposta adeguata dovrei trovarmi a gareggiare insieme e non è ancora successo. Ho fatto solo dei training camp in cui abbiamo condiviso piccoli momenti in bici, in hotel e niente di più. Devo imparare a conoscerlo, sarà anche importante in vista del Tour.

Che tipo è e come ti trovi a essere un suo aiutante, magari proprio alla Grande Boucle?

Partiamo col dire che il Tour è un pensiero che mi entusiasma, perché non l’ho mai affrontato. Per me è molto importante portare a termine la gara. Ed è ancora più bello farlo in una squadra come la sua, accanto al campione in carica, quindi sarà una bellissima avventura e speriamo di arrivare in buone condizioni.

Appena tornato dall’Australia, Narvaez si è laureato campione nazionale, per la terza volta (foto Prensa Latina)
Appena tornato dall’Australia, Narvaez si è laureato campione nazionale, per la terza volta (foto Prensa Latina)
Le tue vittorie in Ecuador che risalto hanno avuto?

Ora il ciclismo sta crescendo poco a poco. Sia per quanto riguarda i giovani corridoi che per gli appassionati, c’è molto più fermento rispetto a sei anni fa, oggi il ciclismo è molto diffuso. Anche le corse sono molto più seguite. Le mie vittorie mi hanno reso piuttosto popolare, il successo in Australia ha avuto risalto. Prima non era così. Soprattutto nella zona in cui vivo, quella montuosa dell’Ecuador. Qui si va molto in bicicletta.

Tra poco torni in Europa: lasciare casa che sensazioni ti dà?

Non è tanto un peso perché viaggio sempre con la mia famiglia, ho mio figlio che ha un anno e quindi posso seguirlo insieme a mia moglie. Ci siamo adattati bene alla vita europea. Apprezzo i benefici della mia professione: tutta la mia vita è quasi organizzata e non mi costa nessuno sforzo tornare indietro. Ovviamente mi manca il mio Paese, poi in questo momento è bellissimo perché il clima è molto buono, ma fa parte del raggiungimento dei propri obiettivi professionali, è un sacrificio che faccio volentieri.

Il suo successo nel 2020 a Cesenatico, nel Giro d’Italia dove si è rivelato come ottimo finisseur
Il suo successo nel 2020 a Cesenatico, nel Giro d’Italia dove si è rivelato come ottimo finisseur
Tu farai tutto il periodo delle classiche, qual è quella che ti piace di più e con che ambizioni le affronti?

A me piacciono tutte molto, ma soprattutto quelle fiamminghe che meglio mi si adattano, ad esempio il Giro delle Fiandre. Ma anche quelle delle Ardenne mi piacciono molto. Le affronto tutte con molta ambizione, puntando a fare bene e portare a casa qualcosa, d’altronde un corridore non va avanti con l’ambizione. So che ci saranno gare dure, ma arriverò nelle migliori condizioni possibili, ho lavorato per quello.

Hai vinto due volte al Giro d’Italia: che differenza c’è tra il Narvaez del 2020 e quello dello scorso anno?

Ora riconosco di essere un corridore un po’ più maturo. Nel 2020 ho commesso ancora molti errori come professionista, forse un po’ di ignoranza su cosa bisogna fare in allenamento e a riposo. Negli ultimi anni ho lavorato meglio, sono stato più disciplinato con l’alimentazione, l’allenamento, il riposo e questo mi ha fatto fare un salto in avanti. Penso che la chiave sia cercare di fare le cose bene per poter emergere.

Watt, ritmi, alimentazione: dagli U23 al WorldTour il debutto di Epis

06.02.2025
6 min
Salva

Il primo impatto con il WorldTour è un momento speciale per ogni giovane ciclista e Giosuè Epis lo ha vissuto in Australia, al Tour Down Under. Il corridore dell’Arkea-B&B Hotels ha affrontato il passaggio dagli under 23 alle corse più importanti del calendario internazionale, tra ritmi elevati, numeri di potenza da interpretare e una gestione dell’alimentazione ancora più accurata.

Tra fughe, wattaggi e sensazioni nuove, Epis ci racconta la sua esperienza nel grande ciclismo. L’ex Zalf è passato dalla devo team alla prima squadra del team bretone. Segno che nel corso del 2024 ha convinto i suoi tecnici al grande salto.

Epis (classe 2002) ha esordito nel WorldTour al Tour Down Under lo scorso gennaio (foto Facebook – Team Arkea)
Epis (classe 2002) ha esordito nel WorldTour al Tour Down Under lo scorso gennaio (foto Facebook – Team Arkea)
Giosuè, debutto nel WorldTour in Australia: come è andata?

Come prima corsa, forse è stata la migliore per iniziare nel WorldTour. Il viaggio in Australia non è semplice, quindi molti corridori preferiscono iniziare la stagione in Europa, rendendo il livello meno stellare rispetto ad altre gare. Il clima era buono, faceva caldo ma non troppo, e le strade australiane non erano pericolose. Anche i percorsi non erano troppo impegnativi, quindi per un giovane che si approccia al WorldTour, il Tour Down Under è una scelta ottimale.

Che differenze hai notato rispetto alle gare under 23 a livello di potenza e ritmo?

Ho iniziato a rendermi conto del livello generale del gruppo. La principale differenza è che, pur facendo numeri importanti, anche più di 400 watt per tanti minuti, ti giri e in gruppo ci sono ancora 130 corridori e non 30, come accade spesso negli under 23. Il livello medio è alto per tutti, quindi anche spingendo watt importanti, i corridori che restano in gara sono tanti. Questa è una delle difficoltà del WorldTour.

Quali valori hai espresso in corsa rispetto agli allenamenti, magari di questo inverno? Sono stati tanto diversi?

Non è tanto una questione di numeri assoluti, perché in allenamento si possono raggiungere wattaggi simili su sforzi brevi. La differenza sta nel farli più volte durante la gara e con la fatica accumulata. Parliamo di 5 minuti a 6 anche 7 watt per chilo per restare competitivi e non tutti i giorni si riesce a performare al massimo. Sono ancora giovane e devo fare esperienza, ma questi numeri verranno con il tempo.

Epis in fuga nella 4ª tappa, al fianco di Schmid che poi vincerà (foto Getty)
Epis in fuga nella 4ª tappa, al fianco di Schmid che poi vincerà (foto Getty)
Chiaro, poi avverrà anche un adattamento fisiologico…

Sì, già negli allenamenti successivi ho visto che la gamba era diversa. Vuoi o non vuoi, correre nel WorldTour ti cambia il motore. Sei giorni di corsa con il caldo in Australia mi hanno fatto tornare a casa con sensazioni migliori rispetto a quando sono partito. Accumulare esperienza e chilometri in gruppo è fondamentale per crescere.

Hai vissuto una fuga importante: come l’hai gestita?

Venivo da tre giorni complicati perché avevo sbagliato l’approccio alla corsa e avevo faticato molto, soprattutto nella terza tappa. Nella quarta non avevo aspettative, anche perché la sera prima non ero stato bene. In partenza ero tranquillo e ho seguito l’azione di due corridori, anche perché le indicazioni della squadra erano quelle di cercare di andare in fuga. Le gambe giravano e mi sono ritrovato all’attacco. Quando poi Mauro Schmid ha deciso di accelerare, ho fatto fatica, ma è tutta esperienza.

Visto che parliamo di valori, dacci un po’ di numeri della fuga…

Fino ai 90 chilometri dall’arrivo, in salita viaggiavamo tra i 320 e i 330 watt. Poi Schmid ha parlato a tutti noi della fuga e ci ha detto chiaramente che avremmo dovuto accelerare, così ha alzato il ritmo a 370-380 watt in salita, che per me sono valori importanti. E infatti poi da cinque che eravamo, siamo rimasti in quattro. In pianura, quando si tirava, non quando si stava a ruota sia chiaro, non vedevi mai meno di 400 watt, con velocità che si aggiravano intorno ai 50 all’ora.

In effetti sono numeri importanti. E ti hanno colpito queste differenze rispetto agli under 23?

Più che la differenza sulla durata totale della gara, quello che mi è rimasto impresso è quando il gruppo decide di fare la corsa: cambia tutto. Un divario che diventa ancora più ampio dopo quattro o cinque ore di gara. Quando il ritmo si alza e iniziano a spingere 6-7 watt per chilo, se non sei almeno al 95 per cento della condizione non puoi reggere. E quelli sono i wattaggi del ritmo per tutti, non per l’attacco. La vera differenza è qui: la corsa resta sempre tirata e quando arriva l’accelerazione decisiva, bisogna avere gambe fresche per rispondere.

Epis è arrivato all’Arkea (devo) lo scorso anno…
Epis è arrivato all’Arkea (devo) lo scorso anno…
Cambiamo, in parte argomento, come ti sei gestito dal punto di vista alimentare?

In squadra abbiamo persone che si occupano della nostra alimentazione e in Australia l’organizzazione della corsa era ottima. In hotel avevamo pasta, riso, pollo, pesce: si mangiava bene, come in Europa.

E in corsa?

Erano tappe corte, ma intense, e se non ti alimenti bene rischi di andare fuori giri. L’obiettivo era di restare sui 100-110 grammi di carboidrati all’ora.

E ci sei riuscito bene?

Sì, perché già prima di diventare professionista avevo lavorato su questo aspetto e in squadra mi seguono attentamente. Una cosa che mi sono accorto con le corse a tappe e quest’ultima in particolare, è che l’alimentazione è fondamentale non solo per la gara, ma soprattutto per il recupero. Se non mangi bene, il giorno dopo non recuperi. Hai mal di gambe. E questo vale anche per gli allenamenti. Se fai uno sforzo intenso e non mangi correttamente, il giorno dopo non recuperi al meglio.

Quindi hai sentito differenze nel mangiare bene? Ti sei mai “dimenticato” perché preso dal ritmo?

Come ho detto, ci ero abituato sin dagli under 23, quindi ero abbastanza tranquillo. So che oggi per performare è necessario stare intorno ai 100 grammi di carboidrati all’ora e su quelli mi attesto.

Grandi trenate durante il Down Under e la consapevolezza di essere tornato a casa con qualcosa in più nel motore (foto Getty)
Grandi trenate durante il Down Under e la consapevolezza di essere tornato a casa con qualcosa in più nel motore (foto Getty)
Prima hai parlato di un approccio sbagliato nelle prime tappe. Puoi dirci di più?

Le prime tappe sono state un calvario perché ho sbagliato l’approccio. Io ho bisogno di fare chilometri prima di una gara per “sgolfarmi” e questa volta per vari motivi non l’ho fatto nel modo giusto. Ero troppo scarico. Anche l’adattamento al caldo ha inciso. Inoltre, ho esagerato un po’ con le porzioni di carboidrati nei giorni prima della corsa, presentandomi al via un po’ appesantito. Poi col passare dei giorni ho preso il ritmo.

E invece, Giosuè, cosa ti ha colpito di più a livello umano ed emozionale?

Trovarmi in gruppo con corridori come Geraint Thomas, Alberto Bettiol e molti altri è stato incredibile. Era il sogno di un bambino che si avverava. Osservavo come si muovevano, cosa mangiavano, come affrontavano la gara. Sono tutti ragazzi tranquilli e questo fa capire che a volte i giovani arrivano con troppa ansia e tensione. Se riesci a liberare la mente, vai più forte.

Che bilancio fai di questa esperienza?

Anche se i risultati non sono stati eclatanti, è stata un’esperienza che mi servirà per il futuro. Ho capito come gestire meglio i giorni prima della corsa, l’importanza dell’alimentazione e ho avuto un assaggio del livello del WorldTour. Adesso ho più consapevolezza su dove devo migliorare.

Manlio Moro: l’Australia, la transenna, la spalla e il ritorno

06.02.2025
5 min
Salva

Quasi una… luna di miele con la sua Rachele, la visita agli zii d’Australia, i giusti allenamenti e poi alla prima curva un po’ veloce del Villawood Men’s Classic, criterium che annunciava il Tour Down Under, l’avvio di stagione di Manlio Moro si è infranto a tutta velocità contro una transenna (in apertura con il meccanico Alessandro Gaia, tornando verso l’arrivo).

«In pratica siamo entrati a 195 chilometri all’ora in curva – sorride amaramente, ovviamente ricorrendo al paradosso – e a quello davanti a me è partita la ruota. Non ho potuto fare niente per evitarlo e gli sono andato addosso. Abbiamo urtato molto forte le transenne e mi è uscita la spalla. Ero immobilizzato, ho fatto due minuti per terra che non riuscivo più a muovere il braccio. Qualche anno fa avevo già rotto la clavicola e la sensazione era la stessa. Poi ho fatto un movimento un po’ più brusco, ho provato a forzare la rotazione, ho sentito “cloc” e la spalla è come ritornata dentro. Lì per lì, fra l’adrenalina e tutto il resto, la muovevo, facevo tutto, mi sentivo un eroe. Invece la sera mi sono raffreddato un po’ e ha ricominciato a fare male. La mattina dopo non riuscivo neanche a tirarmi su i pantaloni…».

Villawood Men’s Classic, la firma di Moro per la prima gara nella sua seconda stagione da professionista
Villawood Men’s Classic, la firma di Moro per la prima gara nella sua seconda stagione da professionista
E quindi?

Siamo andati subito a fare raggi e risonanza magnetica e hanno trovato una microfrattura alla testa dell’omero, con la cartilagine un po’ rovinata perché ovviamente nell’uscire e poi rientrare, si sono rovinati sia l’osso sia la cartilagine. Per cui è finito tutto lì. Quando si è capito che non sarei potuto partire per il Tour Down Under, mi hanno messo su un aereo e mi hanno rimandato a casa. Praticamente sono andato in Australia per farmi la vacanza. Sono stato là venti giorni. Mi sono allenato al caldo con la mia morosa. Sono andato a cena e a vedere qualche posticino, poi sono tornato qua.

Chi sono questi parenti d’Australia?

L’ultima volta li avevo visti l’anno scorso quando andai per correre il Tour Down Under per la prima volta. Si sono trasferiti giù da cinque anni e quindi li vedo sempre poco, per cui ho sfruttato la possibilità di anticipare il viaggio per allenarmi e ambientarmi. Ci hanno dato un alloggio, filava tutto alla perfezione. Ho fatto un’ora di gara a blocco con ottime sensazioni e poi dritto a casa. Però fino a quel momento era stato tutto perfetto.

E adesso come stai?

Bene, la spalla ormai è a posto. Sono tornato in bici, sto facendo fisioterapia tre, quattro volte a settimana. Mi stanno dando degli esercizi da fare a casa per rinforzare tutta la muscolatura e riprendere un po’ di mobilità. Per fortuna non ho avuto dolori se non i primi due-tre giorni in cui non riuscivo a muovere il braccio. Poi però ho ripreso la funzionalità, anche se certi movimenti erano più complicati. Adesso riesco a fare praticamente tutto. Sono ritornato in bici, non ho dolori neanche a prendere buche o fare qualche volata e dei rilanci. Per cui mi alleno bene, mentre all’inizio ho ripreso sui rulli per non fermarmi, tenendo le mani sul manubrio e facendo girare le gambe.

Moro racconta che le sensazioni nella prima ora di gara sono state buone, poi la caduta…
Moro racconta che le sensazioni nella prima ora di gara sono state buone, poi la caduta…
Quando si torna in gruppo?

Subito, al UAE Tour di fine febbraio. La prima corsa è stata da cancellare, però poi riprendo tutto come da programma. Per fortuna si riesce. Io ho sempre insistito di voler ripartire subito e loro me l’hanno concesso. Del resto, se sto bene, perché saltare?

Quindi, a parte questa botta di sfortuna, come si annuncia il 2025?

La squadra mi ha detto che vorrebbero darmi l’opportunità di provare a fare qualche volata. Magari nelle corse dove non ci sono Cimolai e Gaviria. Magari un po’ più avanti nella stagione in gare più piccole come Boucle de la Mayenne o altre simili. L’idea è di buttarmi in mezzo, ma senza pressione. Così comincio a capire come funziona. Però prima, fatto il UAE Tour, si comincia al Nord.

Quindi le classiche restano il piatto forte del menù?

Sì sì, le classiche del Nord rimangono. Mentre credo che per quest’anno nel calendario non ci saranno gare in pista. E’ da un bel po’ che non vado a girare, ma ho anche avuto questa sfortuna. Continuerò a frequentare Montichiari, però credo che per quest’anno non farò gare. Voglio concentrarmi al 100 per cento su strada.

Il Tour Down Under iniziava 3 giorni dopo la caduta: il test sui rulli ha fugato ogni dubbio e Moro è tornato a casa
Il Down Under iniziava 3 giorni dopo la caduta: il test sui rulli ha fugato ogni dubbio e Moro è tornato a casa
Torniamo per un attimo alla caduta, quando eri lì per terra, hai pensato che saresti rimasto fuori più a lungo? 

Sono stato fortunato, anche perché il dolore è passato quasi subito e ho potuto ricominciare presto a fare dei movimenti. All’inizio magari faticavo a prendere una bottiglia d’acqua, adesso sono tornato alla normalità. E faccio esercizi con i pesi, con gli elastici, faccio plank, per rinforzare tutta la muscolatura. Diciamo che sono partito con un handicap, ma penso di poterlo recuperare.

Pensi che quest’anno debutterai in un Grande Giro?

Non credo, ad ora nel mio programma non ce ne sono. Però non si sa mai, perché la stagione è lunga. Magari se vado al UAE Tour e vinco quattro tappe (ride, ndr), si cambiano i programmi.

Come è stato passare dai 35 gradi australiani all’inverno italiano?

Al momento sono in Friuli, visto che Rachele dopo il Tour Down Under si è fermata direttamente al UAE Tour Women che comincia oggi. E allora invece di andare a San Marino sono venuto a salutare i miei, che non vedevo da un bel pezzo. Al momento ci sono 12-13 gradi, non si sta neanche male, anche se il confronto con le temperature australiane è improponibile. Però c’è tutto quello che serve per ricominciare. Al momento non sto ancora facendo grandissime distanze, dato che non sono ancora al top. Faccio dei percorsi un po’ più tranquilli, fuori dai rischi. Ho davanti a me una decina di giorni prima di mettermi a posto per il UAE Tour, vedrete che ci arrivo bene.

L’inverno di Sara Fiorin: dall’Australia al UAE per fare esperienza

05.02.2025
4 min
Salva

I primi passi, anzi le prime pedalate di Sara Fiorin con la nuova maglia della Ceratizit Pro Cycling Team sono arrivate in Australia. La velocista e pistard azzurra è al suo primo anno nel WorldTour, un salto importante che ha voluto fare insieme al team tedesco. Una scelta legata anche alla doppia attività, infatti con la Ceratizit, pista e strada riusciranno a combaciare.

Per Sara Fiorin (a destra) l’approccio con il mondo Ceratizit è stato facile, con le compagne ha trovato subito il giusto feeling
Per Sara Fiorin (a destra) l’approccio con il mondo Ceratizit è stato facile, con le compagne ha trovato subito il giusto feeling

Subito WorldTour

Dopo il Santos Tour Down Under Fiorin ha continuato a correre in Australia prendendo parte ad altre gare di un giorno terminando di correre l’1 febbraio. Da lì è volata in direzione Emirati Arabi per prendere parte al UAE Tour Women. In poco meno di un mese la velocista classe 2003 ha già preso parte a diverse gare di categoria WorldTour. 

«E’ stato sicuramente un inizio di stagione bello intenso – ci racconta a poche ore dalla prima tappa del UAE Tour Women – ma devo dire che è un bene aver iniziato la stagione con le gare in Australia. Questo mi ha aiutato anche per l’adattamento al caldo, rendendo più semplice il passaggio a temperature alte, cosa che abbiamo trovato qui negli Emirati Arabi».

L’esordio in Australia, seppur difficile all’inizio, le ha permesso di fare tanti chilometri e aumentare il volume
L’esordio in Australia, seppur difficile all’inizio, le ha permesso di fare tanti chilometri e aumentare il volume
Facciamo un passo indietro, com’è andato il ritiro invernale?

La preparazione con la nuova squadra è andata bene, siamo state a Calpe dall’8 al 20 dicembre e in quei giorni ho subito alzato l’asticella, si può dire, perché sono aumentati per me volume, intensità e dislivello. Direi che è stato un gran blocco di lavoro, anche se non semplice, ma comunque è sempre bello poter lavorare tutte insieme e iniziare a entrare in sintonia con le compagne.

Raccontaci dell’esordio in Australia.

I primi giorni non sono stati semplicissimi a causa del jet lag e delle alte temperature, che in alcune tappe sono arrivate anche a 36/37 gradi centigradi. E’ stato un po’ difficile gestire questo lato, ma giorno dopo giorno mi sono sentita sempre meglio. Dopo le prime due tappe ero più a mio agio in bici. Nelle altre gare dopo il Tour Down Under le temperature si sono abbassate ed è stato tutto un po’ più semplice.  

Il confronto con le compagne serve per crescere e migliorare
Il confronto con le compagne serve per crescere e migliorare
In gara le gambe come stavano?

In generale non ho iniziato a correre al mio massimo, nella settimana prima di partire non sono stata molto bene fisicamente e sono arrivata un po’ vuota alle gare. Con il passare dei chilometri la condizione è migliorata, comunque in queste prime gare dovevo restare vicina alle mie compagne a dar loro supporto. Nelle tappe adatte a me non arrivavo abbastanza fresca nel finale per provare a giocarmi qualche chance allo sprint.  

Cosa ti aspetti da questo primo anno nel WorldTour?

Sarà un anno di adattamento, l’obiettivo principale è di aumentare il volume in modo da arrivare più pronta nel finale. Non ho fretta di cercare risultati, anche la squadra mi lascia tranquilla e senza pressioni. Questo aspetto mi mette a mio agio e non vedo l’ora di fare i giusti passi di crescita. 

Visti i tanti impegni su strada Sara Fiorin non parteciperà all’europeo su pista a Zolder
Visti i tanti impegni su strada Sara Fiorin non parteciperà all’europeo su pista a Zolder
Dopo le gare in Australia subito un’altra corsa a tappe…

E’ un inizio di stagione intenso, ma devo ammettere che è un bene soprattutto in vista del fatto di voler mettere chilometri e volume nelle gambe. 

Prenderai parte ai campionati europei su pista?

Visto l’esordio in Australia e poi l’impegno del UAE Tour, non ho avuto modo di prepararli nel migliore dei modi. Ho comunque mantenuto la doppia attività, aspetto di cui la squadra è felice e mi supporta. Infatti anche prima di partire per il Tour Down Under sono stata spesso in pista ad allenarmi e sono riuscita a fare parecchi lavori ad alto ritmo e di intensità.

Dopo il UAE Tour cosa farai?

Torno in Italia e dopo un periodo di recupero e di allenamento riprenderò a gareggiare al Trofeo Oro in Euro a Montignoso il 9 marzo.

Skerl: l’esperienza in Australia e un grazie al CTF

02.02.2025
5 min
Salva

L’esordio di Daniel Skerl con la maglia del team Bahrain Victorious è avvenuto al Santos Tour Down Under, dal quale è rientrato martedì. Un viaggio lungo per la sua prima gara da professionista, un’esperienza che gli ha permesso di aprire gli occhi e capire cosa vuol dire correre nel WorldTour. Anche se prima c’è da smaltire la trasferta. 

«Sto recuperando dal jet lag – racconta mentre si trova a casa – a dire il vero non è stato così pesante, mi sarei aspettato di peggio. Era la prima volta che andavo a correre tanto lontano da casa, la trasferta più lunga in passato era stata in Belgio (dice con una risata, ndr)».

Daniel Skerl ha fatto il suo esordio nel WorldTour al Santos Tour Down Under
Daniel Skerl ha fatto il suo esordio nel WorldTour al Santos Tour Down Under

Gamba ancora da costruire

Partire con il Santos Tour Down Under a gennaio è sempre impegnativo, per due motivi: il primo è la preparazione accelerata. Infatti i corridori devono forzare già la mano nel ritiro di dicembre e ogni minimo intoppo si sente doppiamente. A seguire, a rendere difficile arrivare pronti all’appuntamento australiano sono la trasferta e l’ambientamento.

«L’esperienza in sé – dice ancora Skerl – è stata molto bella e abbiamo fatto una cosa molto buona, ovvero arrivare dieci giorni prima della corsa. Non mi era mai capitato di stare così tanto in un Paese nel quale avrei corso, questo mi ha dato modo di visitare un qualcosa. Di solito quando si corre non si ha modo di alzare la testa dalla lingua di asfalto sulla quale scorrono le ruote. Un giorno siamo stati in un Parco Nazionale nel quale abbiamo visto tutti gli animali autoctoni in libertà. In gara sono arrivato senza la migliore delle preparazioni».

Skerl e i compagni della Bahrain Victorious sono stati dieci giorni in Australia prima della corsa, un modo per scoprire il luogo
Skerl e i compagni della Bahrain Victorious sono stati dieci giorni in Australia prima della corsa, un modo per scoprire il luogo
Come mai?

A dicembre ho avuto due settimane di dolore al ginocchio, niente di grave però ho dovuto rallentare la preparazione. Non ero al meglio. Per la squadra alla fine è stata una trasferta positiva nella quale abbiamo avuto un po’ di sfortuna nelle prime due tappe, ma poi siamo riusciti a trovare due bei piazzamenti con Bauhaus. 

Per te invece che esordio è stato?

Era la prima gara con la Bahrain e inoltre era di categoria WorldTour. In sé le tappe non erano durissime, anche se nel momento in cui il gruppo apriva il gas la fatica si faceva sentire. In questo, il passaggio da una formazione continental a una WorldTour si sente.

Prima di partire la visita di un parco nazionale, con il tempo di farsi un nuovo amico
Prima di partire la visita di un parco nazionale, con il tempo di farsi un nuovo amico
Cosa intendi con “aprire il gas”?

L’intensità che si mette nei momenti cruciali e come lo si fa. Approcciare le volate era molto impegnativo, gli ultimi venti chilometri si facevano a manetta, con la parte finale sopra i sessanta chilometri orari di media. Si faceva fatica anche a stare in gruppo. 

I percorsi com’erano?

Penso di aver fatto gare più impegnative nelle mie esperienze precedenti tra i professionisti con il CTF. In Australia la tappa con maggiore difficoltà è stata la terza, nella quale c’era una salita nei primi chilometri, che abbiamo fatto a tutta perché la fuga non era ancora andata via. Poi è calato il ritmo e siamo andati del nostro passo. Nel finale ho fatto gruppetto con i velocisti, c’era anche Welsford. 

Al Tour Down Under, la Bahrain Victorious aveva in Bauhaus il suo velocista di punta
Al Tour Down Under, la Bahrain Victorious aveva in Bauhaus il suo velocista di punta
Ti sei trovato subito bene in corsa?

Rispetto alle gare under 23 la gara si svolge in maniera più tranquilla e lineare, in gruppo non c’è mai quella lotta tutti contro tutti. Correre con accanto certa gente come Geraint Thomas o Kwiatkowski fa un certo effetto, ma una volta che attacchi il numero passa in secondo piano.

Che ruolo avevi per questa tua prima uscita?

Aiutare Bauhaus a trovare il posizionamento per le volate, il suo ultimo uomo era Arndt che lo accompagna da tanti anni. Per me è stato meglio agire lontano dal traguardo così ho avuto modo di capire come si approcciano le volate nei professionisti.

Le tappe australiane non erano impegnative ma nelle fasi salienti il ritmo si alzava vertiginosamente, bisogna prendere le misure
Le tappe australiane non erano impegnative ma nelle fasi salienti il ritmo si alzava vertiginosamente, bisogna prendere le misure
E come si fa?

Per quello che ho visto al Tour Down Under c’è un treno che comanda, in quei giorni era la Red Bull-BORA- hansgrohe di Welsford. Dietro si crea la bagarre per prendere le ruote e la cosa più importante da fare è imparare a limare. La cosa più difficile è fare gli ultimi cinque o sei chilometri a velocità folli e poi riuscire a lanciare la volata. 

Dopo tanti anni un corridore di Trieste torna nel professionismo.

E’ una cosa che mi rende orgoglioso, in Friuli ci sono tanti atleti di livello ed entrare in questo circolo mi fa piacere. Speriamo di essere un esempio per i giovani ad andare in bici. Essere qui mi fa sentire di aver realizzato un sogno, ed avere l’occasione di fare il ciclista come lavoro mi dà la spinta per lavorare al massimo ogni giorno. Un grande grazie lo devo al CTF perché ho corso dieci anni con loro e mi hanno fatto crescere parecchio, senza mai lasciarmi andare. Quando ho firmato con il Bahrain devo ammettere che ho pensato anche a loro.

Intanto Ciabocco porta a casa un piccolo titolo

27.01.2025
5 min
Salva

Il primo squillo tutto azzurro della stagione arriva dall’Australia. Qualcuno potrà dire che è uno squillo sommesso, che parliamo solo della vittoria nella classifica per le giovani. Ma se si tratta di una prova del WorldTour, anzi di quella che di fatto lo ha aperto, ha pur sempre un suo valore. Nel Santos Tour Down Under Eleonora Ciabocco ha portato a casa la maglia della migliore nella classifica specifica e questo conta, anche perché la ragazza di Macerata è stata la migliore delle italiane.

Per lei quella agli antipodi non era la prima trasferta così lontano: «In Australia ero già stata ai mondiali di Wollongong e poi lo scorso anno, sempre al Santos Tour Down Under, ma se devo dire questa è stata un’esperienza diversa».

Per Eleonora la vittoria nella classifica dei giovani è un bel viatico verso la nuova stagione
Per Eleonora la vittoria nella classifica dei giovani è un bel viatico verso la nuova stagione
Perché?

Intanto perché mi sono sentita più sicura di me stessa, cresciuta a livello mentale e come coscienza delle mie capacità. Poi perché la squadra mi ha dato una grande responsabilità: ero in pratica la regista in corsa e questo per una ragazza di soli 20 anni non è cosa da poco, significa che hanno grande fiducia nelle mie qualità. Penso che molto dipenda anche da quel che avviene al di fuori delle corse: in quest’anno il mio inglese è migliorato molto, poter comunicare con maggior facilità aiuta. Ora devo dire la verità: mi sto godendo il mio team, il rapporto con le altre molto più di prima.

Che valore ha la tua prestazione?

Io credo che sia un bel segnale, anche perché non l’ho inseguito specificamente, è arrivato un po’ per caso. Io ho continuato a svolgere i miei compiti: non avevamo una capitana che puntava alla classifica, si operava soprattutto per le singole tappe, si cercava di leggere al meglio ogni situazione tattica e il fatto che chiedessero a me che cosa fare credo abbia un valore anche superiore alla classifica finale.

Il team ha ruotato nella corsa australiana intorno a lei, aiutandola nella difficile seconda tappa
Il team ha ruotato nella corsa australiana intorno a lei, aiutandola nella difficile seconda tappa
Che corsa è stata?

Il livello era sicuramente alto e le corse non sono sempre andate com’erano i piani. La prima tappa ad esempio eravamo convinti che sarebbe finita in volata e infatti tutte lavoravamo per Rachele (Barbieri, ndr), cercavamo di tenere chiusa la corsa per favorire lo sprint, invece nel finale molto tecnico è andata via la Hengeveld. La seconda era la più impegnativa, infatti nella prima salita ho perso terreno e faticavo. Lì la squadra si è messa a mia disposizione per farmi superare la crisi e infatti sono rientrata. Le compagne mi portavano ghiaccio e borracce perché soffrivo molto il caldo.

Che ha contraddistinto anche la tappa finale…

Sì e per noi che venivamo dall’Europa il contraccolpo termico c’è stato, alcune lo hanno superato meglio, altre come me no. In certi momenti proprio non si respirava…

E’ stata, quella australiana, una corsa abbastanza sorprendente nel suo epilogo finale, vi aspettavate la vittoria della svizzera Ruegg?

Sinceramente no, ma più che la sua vittoria mi ha colpito quella dell’olandese nella prima che per certi versi mi ha anche fatto piacere. Fino allo scorso anno correvamo insieme, la conosco bene e so che è forte.

La trasferta australiana ora va avanti, che cosa hanno chiesto a te?

Continuerò nel lavoro a favore del team, anche perché alla base del nostro gruppo c’è proprio questa commistione di ruoli. Per noi conta che a vincere sia il team, non il singolo. Ognuna corre per le compagne. Certamente poi se capiterà l’occasione mi farò trovare pronta, intanto quella maglia messa in valigia è sempre un’iniezione di fiducia, anche perché come detto è arrivata per caso, io ho sempre pensato a lavorare per le altre senza guardare la classifica. Infatti nella tappa finale, dopo aver esaurito i miei compiti mi sono lasciata staccare.

La maceratese è alla Picnic DSM dal 2023. Lo scorso anno ha affrontato 46 giorni di corsa
La maceratese è alla Picnic DSM dal 2023. Lo scorso anno ha affrontato 46 giorni di corsa
In che cosa pensi di essere migliorata?

Credo che il mio rendimento in salita sia migliorato, lo dicevano i numeri in allenamento e l’ho constatato anche in corsa. Ma siamo a inizio stagione, è ancora molto presto per dare giudizi. I veri obiettivi credo arriveranno tra maggio e luglio, voglio guadagnarmi la selezione per i grandi giri, poi lì vedremo che cosa fare, magari trovando anche spazio per le mie aspirazioni personali.

Sono Hutchinson gli pneumatici della Intermarché-Wanty

18.01.2025
4 min
Salva

Il brand francese Hutchinson, storico produttore di pneumatici per il ciclismo, distribuito commercialmente in Italia da Beltrami TSA, ha annunciato il proprio ritorno ai vertici del ciclismo professionistico attraverso una partnership pluriennale con il team belga WorldTour Intermarché-Wanty.

In qualità di fornitore ufficiale di pneumatici del team, Hutchinson equipaggerà sia la squadra principale Intermarché-Wanty che il devo team con i suoi prodotti strada alto di gamma, garantendo prestazioni eccellenti nelle gare più impegnative al mondo: dalle classiche di un giorno alle salite in alta quota dei tre Grandi Giri.

Una collaborazione che andrà oltre le gare, poiché Hutchinson e Intermarché-Wanty stanno già lavorando fianco a fianco nella ricerca e sviluppo. I feedback dei ciclisti del team saranno difatti fondamentali per sviluppare nuove aggiunte alla gamma di pneumatici da strada ad alte prestazioni di Hutchinson. Questa partnership tecnologica è iniziata con il team che utilizza prototipi di pneumatici di prossima generazione, progettati specificamente per le sfide del ciclismo d’élite. Questi nuovi pneumatici migliorano ulteriormente la velocità e l’aderenza del Blackbird, il modello di punta di Hutchinson, riaffermando il marchio francese come un protagonista per quanto riguarda le prestazioni degli pneumatici. I nuovi sviluppi debuttano al Santos Tour Down Under e, in seguito, saranno disponibili per i ciclisti di tutto il mondo come prodotto ufficiale Hutchinson.

170 anni di storia

La squadra belga Intermarché-Wanty rappresenta uno dei team più veloci del gruppo, avendo ottenendo nelle ultime stagioni vittorie e podi importanti negli eventi WorldTour. Conosciuto per il suo stile di corsa aggressivo e una rosa diversificata di talenti, tra cui Biniam Girmay, uno dei migliori velocisti al mondo, il team identifica la partnership con Hutchinson come un passo chiave per la stagione 2025.

Questa collaborazione si basa sulla ricca storia di successi di Hutchinson ai massimi livelli del ciclismo professionistico, con vittorie di tappe e classifiche generali al Tour de France nel corso dei 170 anni di storia del marchio. Tornare al WorldTour attraverso la partnership con Intermarché-Wanty rappresenta un’importante affermazione, mentre Hutchinson continua a sviluppare pneumatici tra i più performanti al mondo.

Sylvie Woroniecki, Global Communications & Brand Manager Hutchinson
Sylvie Woroniecki, Global Communications & Brand Manager Hutchinson

Verso nuovi traguardi

«Quando siamo passati agli pneumatici tubeless anni fa – ha affermato Mikey Van Kruiningen, il responsabile tecnico di Intermarché-Wanty – siamo stati tra i primi a ottenere un vantaggio significativo in termini di velocità. Ora che tutti i team utilizzano i tubeless, cercavamo un modo per recuperare il nostro vantaggio tecnologico. Con Hutchinson abbiamo trovato un partner disposto a lavorare con noi su pneumatici con una buona aderenza, che finora è stato il tallone d’achille del sistema tubeless, soprattutto in condizioni di bagnato. Basandoci sull’esperienza acquisita con lo sviluppo del Blackbird, stiamo ora lavorando su nuovi pneumatici tubeless del laboratorio Hutchinson Racing. Questi nuovi pneumatici larghi combinano leggerezza estrema, resistenza al rotolamento di alto livello e un’aderenza eccezionale: i nostri corridori li chiamano pneumatici MotoGP. Abbiamo iniziato presto test approfonditi dei prototipi con risultati eccellenti. Siamo molto soddisfatti di questa nuova partnership con Hutchinson e del nostro setup completo per il 2025. Le attrezzature con cui corrono i ciclisti Intermarché-Wanty sono di qualità assoluta, e continuiamo a lavorare a stretto contatto con tutti i nostri partner tecnici per poter migliorare continuamente». 

«Siamo entusiasti di collaborare con Intermarché-Wanty – ha ribattuto Sylvie Woroniecki, responsabile globale delle comunicazioni e del marchio di Hutchinson – un team che ha costantemente dimostrato resilienza, ambizione e incredibile spirito di squadra sulla scena globale. Il loro approccio rigoroso e la sete di vittoria ai massimi livelli ci aiuteranno a spingere oltre lo sviluppo dei nostri prodotti. Siamo fiduciosi che questa partnership svolgerà un ruolo fondamentale nel portare il team a nuovi traguardi».

Beltrami TSA

In Australia il battesimo di Philipsen, il “bimbo prodigio”

15.01.2025
5 min
Salva

21 gennaio. Una data fatidica per Albert Withen Philipsen che non solo indosserà per la prima volta in gara la divisa della Lidl-Trek, ma inizierà anche ad assaggiare la realtà del WorldTour attraverso il Santos Tour Down Under, quindi partendo direttamente dalla cima.

Il danese, intercettato proprio in aeroporto prima di effettuate il lunghissimo viaggio, non è per nulla spaventato, anzi ha una gran voglia di mettersi all’opera e forse mettersi alle spalle un biennio da junior che gli ha dato tantissimo a livello di risultati, ma che cominciava a sentire un po’ stretto.

Per il danese due anni di grande crescita su strada, con titolo mondiale in linea ed europeo a cronometro nel 2023
Per il danese due anni di grande crescita su strada, con titolo mondiale in linea ed europeo a cronometro nel 2023
Come sono state queste prime settimane alla Lidl-Trek?

È stato davvero bello. Il team mi ha supportato molto e mi ha dato molta spinta per avvicinarmi a questo che rispetto agli juniores è un mondo tutto nuovo. Esco da questo periodo di allenamento molto carico, con una buona condizione e mi sento davvero felice nell’affrontare questa trasferta che farà da rompighiaccio.

Sei il più giovane del team e sei passato subito alla squadra WorldTour, che cosa ti aspetti da questo primo anno?

Penso che sia un anno delicato, io non voglio avvicinarmi al nuovo mondo con l’atteggiamento sbagliato. Credo che sia importante soprattutto per imparare, acquisire un po’ più di esperienza e abituarsi a essere al livello dei grandi. Intanto mettendomi a disposizione e svolgendo i compiti che mi verranno dati. D’altronde è difficile avere grandi aspettative perché non so nulla del livello, intanto si tratta di abituarmi al nuovo livello di corsa.

21 giorni di gara nel 2024, con 9 vittorie e qualche delusione, come alla Roubaix e al mondiale
21 giorni di gara nel 2024, con 9 vittorie e qualche delusione, come alla Roubaix e al mondiale
Partirai subito dall’Australia, che sentimenti provi ad affrontare subito una corsa a tappe WorldTour contro molti grandi corridori?

In realtà mi sento abbastanza carico, sono contento di iniziare subito e anche di farlo a un livello così alto. Penso che anche la squadra sia un po’ più rilassata al riguardo. Non hanno aspettative molto alte per me per fare qualcosa di folle perché è così presto nella stagione. E’ la mia prima gara, sarà un po’ un test che mi incuriosisce ma che affronto con tranquillità e il fatto di rientrare nel gruppo, di mettere da parte tutto quel che è successo in questi due anni non mi dispiace. Io comunque voglio crescere velocemente e guardo già alle gare più avanti nella stagione.

Com’è stato il tuo 2024?

La mia stagione è stata piuttosto buona. Ho raggiunto quasi tutti i miei obiettivi, tranne per i campionati del mondo, dove ho dovuto fare i conti con la sfortuna, che si è un po’ accanita… Alla fine comunque posso dirmi soddisfatto.

Philipsen e Finn nella fuga decisiva dei mondiali. Una rivalità che potrebbe svilupparsi fra i grandi
Philipsen e Finn nella fuga decisiva dei mondiali. Una rivalità che potrebbe svilupparsi fra i grandi
Torniamo al mondiale, senza la caduta pensi che vi sareste giocati il titolo tu e Finn e che cosa pensi del corridore italiano?

Devo dire che Finn stava andando davvero forte. Per questo mi è spiaciuto come sono andate le cose, sarebbe stata una bella sfida, incerta, un ultimo giro tutto da vivere, ma nel ciclismo bisogna anche pagare dazio. Io penso che anche lui avrebbe voluto giocarsi la vittoria ad armi pari e credo che anche il pubblico, a prescindere dal tifo, avrebbe gradito. Vorrà dire che ci affronteremo nella categoria superiore…

Continuerai a fare strada e mountain bike?

Per quest’anno ho intenzione di continuare sia per la strada che per la mountain bike, concentrandomi principalmente sulla corsa su strada e poi facendo solo una manciata di gare di mountain bike parallelamente. Diciamo che quest’anno la bilancia penderà molto più che in passato verso il ciclismo su strada e non potrebbe essere altrimenti, è un grande investimento che sto facendo io su me stesso e che sta facendo la squadra.

Philipsen intende continuare nella mtb, dove vanta 2 titoli mondiali e uno europeo da junior
Philipsen intende continuare nella mtb, dove vanta 2 titoli mondiali e uno europeo da junior
Il ciclocross lo hai abbandonato del tutto?

Qualcosa dovevo per forza lasciarla da parte. Ho deciso di non fare più il ciclocross solo per potermi allenare meglio in inverno e prendermi una pausa mentale dalle gare. A questo punto era diventata una necessità.

Perché hai scelto la Lidl-Trek?

E’ difficile dire esattamente perché ho scelto il team. Direi che sono stati loro che mi hanno dimostrato grande interesse e prospettato un programma ideale per la mia crescita, devo dire che la cosa che mi ha colpito di più è che erano davvero entusiasti. In generale ero una buona atmosfera e poi mi piace molto anche l’attrezzatura che utilizzano, sono davvero contento delle bici da corsa e anche degli altri corridori che corrono nel team. Soprattutto in squadra ho trovato un buon numero di corridori danesi che possono aiutarmi e darmi qualche consiglio importante.

Il diciottenne di Holte è molto cresciuto a cronometro, il che ne fa un elemento di punta per le corse a tappe
Il diciottenne di Holte è molto cresciuto a cronometro, il che ne fa un elemento di punta per le corse a tappe
In questi due anni da junior hai vinto molto, ma al di là di questo, come stradista quanto pensi di essere cresciuto?

Molto, sono stati gli anni in cui mi sono concentrato davvero sulle corse su strada, quindi la mia curva di apprendimento è stata piuttosto ripida. Certamente non sono più il Philipsen vincitore a sorpresa del titolo mondiale nel 2023, sono migliorato molto a livello tattico e su come comportarmi in gruppo e come correre. Ma so di avere ancora molto lavoro da fare. Comunque mi sento molto più a mio agio con la bici da strada e mi sento più sicuro del mio stile di corsa e di come affronto le gare.