Diaframma, ben più di un semplice muscolo

18.01.2024
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Spesso molti dolori che può avvertire un ciclista, magari legati alla schiena o allo stomaco, non dipendono direttamente da quella specifica zona, ma sono fastidi di riflesso. Di riflesso dal diaframma. 

Il diaframma è il muscolo più importante della respirazione. Non tutti lo “sanno usare” a fondo. Nell’era in cui gli atleti di vertice sono sempre più controllati, questa problematica emerge in modo più frequente.

Emanuele Cosentino, è uno dei massaggiatori e fisioterapisti della VF Group-Bardiani. Non è la prima volta che ci parla di diaframma, ma stavolta con lui andiamo più nello specifico. E il discorso a quanto pare è molto ampio.

Emanuele Cosentino è uno dei massaggiatori e fisioterapisti della VF Group-Bardiani
Emanuele Cosentino è uno dei massaggiatori e fisioterapisti della VF Group-Bardiani

Un muscolo, tanti benefici

«I muscoli che tratto di più – spiega Cosentino – sono soprattutto lo psoas e il diaframma. E li tratto non solo per se stessi, ma anche per la postura. Lo psoas si trova nella parte inferiore della pancia, il diaframma in quella più alta, appena sotto ai polmoni. Sembrano distanti, in realtà sono strettamente connessi. Se l’ileopsoas è contratto o teso, di riflesso il diaframma lavora male. E viceversa».

Il diaframma, come dicevamo, è il muscolo più importante della respirazione. E’ il “motore” della respirazione, quello che attiva tutto il processo. Ha la forma di un ombrello. Si alza e si abbassa a seconda delle fasi di respirazione: inspirazione, espirazione. E’ come fosse una pompa.

Questo muscolo è importante sia per il benessere di una persona normale che per le prestazioni di un atleta.

«Il diaframma è importante – prosegue Cosentino – perché svolge vari ruoli: viscerale, posturale, respiratorio. Partendo da quest’ultimo, il diaframma sbloccato che lavora bene fa sì che i polmoni si dilatino meglio e incamerino più ossigeno. Più ossigeno nei polmoni significa più ossigeno al sangue e ai muscoli, perché anche il cuore di conseguenza può pompare meglio».

Da un diaframma che lavora bene possono escludersi problemi di stipsi, una buona digestione e delle buone funzioni gastrointestinali. Per questo Cosentino lo considera una delle chiavi del benessere. I benefici dunque sono molteplici.

Un disegno che spiega come è fatto e dove si trova il diaframma, chiaramente in rosa (immagine dal web)
Un disegno che spiega come è fatto e dove si trova il diaframma, chiaramente in rosa (immagine dal web)

Più perfomance

Aumentando la sensibilità su ogni fronte, tra cui quello dell’osteopatia e della fisioterapia, anche il ciclista cura di più questo aspetto.

«Nel ciclismo – dice Cosentino – una cattiva postura spesso dipende dalla chiusura eccessiva dell’addome. Quando inquadrano i corridori di lato e si vede che gli si gonfia la pancia, è ottimo. Significa che l’atleta respira bene, sfrutta al massimo le sue capacità respiratorie.

«Un diaframma che lavora bene non so quanto possa influire direttamente sulla prestazione, ma mi sento di dire che che posticipa l’arrivo dell’acido lattico. Magari tra chi ha un diaframma bloccato e chi ha un diaframma che lavora bene ci può essere una differenza del 10-15 per cento.

«Nella nostra squadra per esempio Alessandro Tonelli è molto bravo in tal senso. E’ un ragazzo molto accorto in tutto. Forse anche perché durante un Giro d’Italia ci eravamo accorti che aveva dei problemi alla schiena dovuti proprio al diaframma. Avevamo rivisto la sua posizione in bici, poi le misure della biomeccanica, ma tutto era okay. La schiena tutto sommato era a posto… Andando per esclusione, sbloccando il diaframma ha risolto quel dolore. Oggi, ogni volta che viene al massaggio, mi chiede dello sblocco del diaframma».

La pancia che si gonfia durante la respirazione è un ottimo segnale, secondo Cosentino
La pancia che si gonfia durante la respirazione è un ottimo segnale, secondo Cosentino

Esercizio costante

Cosentino lavora molto su questo aspetto con i suoi atleti. Durante i ritiri, organizza delle sedute di stretching collettivo, in cui gli fa eseguire anche esercizi di respirazioni. Ce ne sono 3-4 che sono importantissimi affinché il diaframma resti libero e possa lavorare bene. Ma vanno fatti con costanza.

«Il primo esercizio – conclude Cosentino – è quello di respirare con la pancia. Quindi ombelico al cielo se si è sdraiati o sulle punte se si sta in piedi. Altro esercizio: portare le braccia in alto, come se ci si allungasse per prende un oggetto in alto, e inspirare. Quando poi si riportano le braccia in basso bisogna espirare. In questo modo si distende il diaframma e si rilassa anche lo psoas».

Il super fuorigiri, quando il cuore schizza (troppo) in alto

15.07.2023
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Durante questo Tour de France spesso si è sentito parlare di corridori a tutta. E quando si è a tutto gas, i battiti sono alti, a volte troppo e si fanno dei super fuorigiri, nonostante il potenziometro. Ma quando c’è la verve agonistica – e per fortuna consentiteci di dire – tutto salta e il cuore schizza in alto e il cardiofrequenzimetro (nella foto di apertura) registra cifre incredibili.

Emblematico il caso di Tobias Johannessen che proprio nella prima tappa avrebbe toccato le 210 pulsazioni.

Cosa succede al fisico quando si verifica un caso simile? Ne parliamo con il dottor Andrea Giorgi, in forza alla Green Project-Bardiani. Avvenimenti simili sono parecchio al limite e vanno analizzati con referenti esperti.

Il dottor Andrea Giorgi, dello staff del team Green Project-Bardiani CSF Faizanè
Il dottor Andrea Giorgi, dello staff del team Green Project-Bardiani CSF Faizanè
Dottor Giorgi, i super fuorigiri, chiamiamoli così, quando il cuore va oltre i 195-200 battiti al minuto: cosa succede?

Parliamo di frequenze cardiache massime, quindi molto alte. Per la gente comune la frequenza cardiaca massima si stima con la semplice formula 220 meno l’età. Oppure un altro metodo è quello di moltiplicare la propria età per un coefficiente fisso di 0,7, ma sono tutte approssimative. Per gli atleti si esegue un test massimale. Però di base mi sentirei di dire che al di sopra dei 195-200 battiti al minuto è molto difficile andare, non è qualcosa di normalmente fisiologico.

Cioè?

Posto che molto dipende dal soggetto, quando si va al di sopra delle 200 pulsazioni ci deve essere una forma patologica o comunque un disturbo… Però, ripeto, molto dipende dal soggetto, dalla sua età, dalla freschezza, dalla temperatura esterna. Quei 210 battiti sono davvero tanti, anche per un atleta di 25-30 anni. Sono più normali i 195 a 18-20 anni.

Quanto incide il soggetto, visto che lo ha rimarcato?

Parecchio. Senza fare nomi, durante i test massimali in passato avevo chi arrivava a 195 pulsazioni e chi a 147. Il limite delle 200 pulsazioni è molto alto, raro e può essere causato da patologie. E’ importante valutare l’ambiente circostante.

Tobias Johannessen dovrebbe aver toccato le 210 pulsazioni nella prima tappa. Anche sul Puy de Dome c’è chi ha superato i 195
Tobias Johannessen dovrebbe aver toccato le 210 pulsazioni nella prima tappa. Anche sul Puy de Dome c’è chi ha superato i 195
Johannessen ha detto che sul Pike c’era una grande calore dato dal folto pubblico, poca areazione. Mettiamoci anche che lui era fresco in quanto era la prima tappa. Ma altri hanno detto di aver sfiorato quei battiti sul Puy de Dome…

La temperatura ambientale influisce molto e la temperatura corporea interna ancora di più. Quando quest’ultima tocca i 40 gradi le pulsazioni aumentano di 10-15 battiti al minuto. E se questa sale è facile disidratarsi. Se ci si disidrata diminuisce il volume del sangue e per mantenere la gittata cardiaca il battito aumenta. In pratica il cuore deve battere più forte, deve pompare più sangue, per mantenere quello standard. 

Magari questi atleti che si sono ritrovati ad avere battiti alti erano anche un po’ disidratati…

Quando si superano certi limiti di temperatura e quindi salgono molto i battiti, si arriva a parlare di tachicardia sopraventricolare parossistica ed è una patologia infatti.

Ci sono magari degli integratori che associati al contesto ambientale possono portare a questa situazione?

La caffeina può essere uno stimolante per i battiti, ma non in questa misura. Questi battiti sono difficili da toccare, anche volendolo. Oggi che le prestazioni sono sempre più alte ci si allena a far salire il cuore. Si lavora molto anche con l’interval training: con i 30”-15” o i 40”-30”. Questi lavori si usano ormai di più dei 3′-4′ a tutta proprio perché stimolano di più il cuore a battere forte. Ti portano a lavorare al 110% della loro frequenza massima. Oggi i ragazzi che seguo e fanno questi lavori, mi dicono che in corsa si trovano meglio. Nel caso specifico poi, i norvegesi, grazie anche allo sci di fondo, hanno fatto degli studi importanti sul Vo2Max. Hanno un’ampia letteratura e di certo anche Johannessen si allenerà con battiti alti. Ma comunque quando si toccano i 200 battiti c’è sempre qualcosa che non quadra.

Secondo Giorgi è molto importante analizzare i file post gara, per verificare che non ci sia stato un errore di rilevazione. Il cuore non deve battere così forte
Secondo Giorgi è molto importante analizzare i file post gara, per verificare che non ci sia stato un errore di rilevazione. Il cuore non deve battere così forte
E quando succede il dottore cosa fa?

Innanzi tutto analizzo il file del ragazzo. Verifico se c’è stato un solo picco o se si è trattato di una fase prolungata. Poi contestualmente in quel momento gli chiedo come stava, cosa provava, se aveva il battito in gola… Se c’è stato un errore del cardio, okay: finisce lì. Ma se invece la cosa è vera o si ripete allora vado avanti. Quanto era caldo? Era disidratato? Come si è alimentato? Inizia tutta una serie di esami… tanto più per noi italiani che su questo aspetto siamo severi. Giusto per fare un esempio attuale, Vanmarcke da noi avrebbe smesso già da un po’.

Prima ha detto che ci si allena ad alzare i battiti, ma al tempo stesso che sono frequenze pericolose. Quindi?

I ragazzi devono stimolare il cuore a salire, ma a quel livello non ci devono arrivare. Proprio a Bilbao, prima del Tour, c’è stata una riunione dei medici sportivi e si parlava di un’indice, di matrice australiana, che metteva in relazioni dei fattori come la temperatura esterna, quella corporea interna e altri parametri alle prestazioni… Potrebbe essere proprio quel che si è verificato in quella prima tappa di questo Tour.

Nuove posizioni, spuntano i dolori articolari

26.06.2023
5 min
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Qualche giorno fa, Federico Morini, per tutti Fred, massaggiatore ed osteopata della nazionale italiana, ci aveva parlato del mal di gambe. I dolori dei corridori però sempre più spesso non sono solo muscolari, ma anche articolari. E spesso questi sono correlati.

Le motivazioni alla base di questi “nuovi dolori” sono legati soprattutto alle posizioni moderne, se è corretto dire così.

Morini ha anche un suo studio (Physio Sport Clinic a Città di Castello, in Umbria). Eccolo con Simone Consonni
Morini ha anche un suo studio provato (Physio Sport Clinic a Città di Castello, in Umbria). Qui, eccolo con Simone Consonni
Fred, a quanto pare i dolori articolari sono in aumento. E’ così?

Il ciclismo ha sempre vissuto una costante evoluzione. Lo vediamo nei sistemi di preparazione, nell’abbigliamento, nelle posizioni e tutto questo alla fine ricade sul corpo umano. Corpo che viene bersagliato dagli stress, siano essi prestativi che legati alla posizione, almeno per quel che riguarda questo argomento.

Entriamo dunque subito nel merito e inevitabilmente partiamo dalle posizioni appunto.

Negli ultimi 10-15 anni si è cominciato a parlare sempre più di biomeccanica. Si è cominciato a portare le bici, prima quella cronometro poi quella da strada, in galleria del vento e questo perché? Per estremizzare il gesto, per cercare di guadagnare più velocità possibile, quindi per sprigionare sempre più forza. E questo però comporta uno stress non da poco sul corpo, che alla lunga muta in patologia. 

Patologia?

Il corridore soffre di una patologia che può essere un’infiammazione, magari di un’articolazione e di conseguenza si finisce sui tendini. L’atleta avverte un dolore in una parte del corpo dovuta ad una specifica posizione che è costretto a tenere. Per esempio, a cronometro si estremizza il tutto e non solo in termini di velocità, ma soprattutto in termini di posizione appunto. E questo fa sì che a volte ti trovi a gestire l’atleta non più solo con il tradizionale massaggio.

Cos’altro serve?

Il massaggiatore attuale deve avere più competenze perché le problematiche moderne sono diverse. E’ anche osteopata, sa usare dei macchinari, deve saper gestire problematiche lombari o del ginocchio perché magari ha un’infiammazione ai tendini rotulei. Quando prima, lo stesso massaggiatore si occupava dei muscoli e basta.

Oggi il massaggiatore è anche fisioterapista e a volte osteopata. E deve saper utilizzare i macchinari
Oggi il massaggiatore è anche fisioterapista e a volte osteopata. E deve saper utilizzare i macchinari
Le nuove posizioni quindi incidono parecchio?

Oggi devi intervenire a 360 gradi. Per esempio devi saper intervenire sull’articolazione temporomandibolare, cercare di detendere quella zona perché le nuove posizioni costringono l’atleta ad atteggiamenti forzati per più ore. Idem per la cervicale per esempio. L’evoluzione della “specie ciclista” ha sì portato più prestazionima alla fine c’è un biglietto da pagare.

Per la foto di apertura abbiamo scelto Adam Yates, che pedala molto in avanti. Una volta si diceva: quando il pedale in avanti è parallelo al terreno, la perpendicolare per la rotula deve cadere sull’asse del pedale stesso. Adesso stanno parecchio più avanti.

Esatto, io sto portando avanti una ricerca con alcuni corridori, anche della nazionale, con gli under 23, con i quali ho fatto dei test più sofisticati utilizzando degli elettromiografi di superficie, per verificare le buone o cattive attivazioni muscolari. Per capire perché si è  è generata quel tipo di infiammazione sul ginocchio o quel tipo di dolore alla schiena. Molto spesso ci accorgiamo che i muscoli hanno subito un “over use”, perciò uno stress eccessivo che con un tradizionale massaggio non si riesce più a risolvere.

Perché?

Perché ti trovi di fronte ad una vera patologia. Per questo è necessario che tu, massaggiatore moderno, debba ampliare le tue competenze. Cerchi di comprendere meglio il “network” del corpo… Anche chi lavora attorno al ciclista, massaggiatori, osteopati, fisioterapisti, devono cercare di studiare meglio “chi è” il corridore. La scarpetta rigida: benissimo, ma così come la macchina di Formula 1 che è super rigida richiede poi tanto lavoro sul corpo del pilota, lo stesso sta accadendo sul ciclista. E non a caso le squadre ormai hanno più figure professionali, c’è un lavoro più sistemico, più complesso.

Fred, prima hai parlato quasi più di patologia che di stress muscolare del momento. Allora viene da chiedersi: ma come può un corridore che ha una patologia vincere un Tour o una Sanremo?

I corridori a volte sono costretti, così come gli altri professionisti dello sport, a convivere con una situazione patologica. Per i motivi che abbiamo detto: posizioni “forzate” o gesti ripetuti in condizioni estreme o non ottimali. Nel caso di un ciclista, questo magari ha un’infiammazione, ma mancano tre tappe alla fine di un Giro e devi gestire quel problema.

E come?

Prima di tutto cercando di tranquillizzare l’atleta il più possibile. Secondo, togliendogli il dolore, perciò devi lavorare su una vera patologia. Oltre al massaggio devi cercare di risolvere il problema che porta a quello stato infiammatorio… che per noi del settore viene definito patologia. Poi possono esserci anche altre forme di patologie.

Tipo?

Contratture o lesioni più gravi. Ma si spera sempre di non arrivare a quel punto, di lanciare prima l’allarme. In questo caso, l’essere un ex corridore, mi fa comprendere il vantaggio di avere attorno delle figure preparate per gestire queste situazioni e parlare con gli atleti.

Per prevenire insomma… Fred ci hai dato un quadro completo: materiali e posizioni più estreme portano a dolori articolari. Quali sono i punti più stressati per te?

La zona cervicale, quella del basso lombare e le ginocchia. Stando così schiacciati e compressi queste sono quelle che più ne risentono.

Il recupero e i suoi parametri in un grande Giro

31.05.2023
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ROMA – Il Giro d’Italia si è concluso e la quasi totalità dei corridori lo ha portato a termine con le energie al lumicino. Tanta stanchezza e tanto affaticamento… E’ stata un’edizione davvero dispendiosa nella quale ha inciso anche il maltempo. Carlo Guardascione, medico della Jayco-AlUla, ci porta nei meandri di questo aspetto non secondario in una grande corsa a tappe.

Marco Frigo, per esempio, ci aveva detto che al primo giorno di riposo avrebbe tirato dritto, ma che al secondo era già più stanco. E domenica scorsa, al netto delle belle sensazioni ed emozioni, non vedeva l’ora di riposarsi.

Il dottor Carlo Guardascione, medico del Team Jayco-AlUla
Il dottor Carlo Guardascione, medico del Team Jayco-AlUla
Dottor Guardascione, partiamo proprio da questo aspetto. C’è differenza, ed eventualmente quanta, tra il primo e il secondo giorno di riposo?

Molta differenza, perché il secondo giorno di riposo è graditissimo ai corridori. Arriva dopo circa due settimane in cui si è fuori (le squadre si ritrovano dal mercoledì, giovedì prima della grande partenza, ndr) e circa 9-10 di giorni di corsa. E’ un giorno di riposo completo o poco più. I ragazzi vanno in bicicletta un’ora e mezza per fare un giretto. In gergo la chiamano “pausa caffè”,  giusto per tenere la muscolatura in movimento. Si riposano davvero tanto perché ne hanno bisogno. Ma c’è anche un problema: per qualcuno che è abituato alla quotidianità di quei ritmi gara, quel giorno può essere “difficile”. 

E cosa significa difficile?

Allora, dal punto di vista nutrizionale mangiano meno. E’ tutto stabilito dalla nostra nutrizionista (Laura Martinelli, ndr): hanno un introito calorico inferiore. Fanno un massaggio più prolungato, perché come ben sapete arriviamo spesso tardi in albergo e i massaggi non sono lunghissimi, così in quel giorno di riposo si riesce a fare qualcosa di più approfondito. In questo modo anche dal punto di vista del recupero muscolare i ragazzi sono agevolati. Il secondo giorno di riposo, se posso definirlo con un aggettivo, è benedetto.

Durante il giorno di riposo è fondamentale fare una sgambata
Durante il giorno di riposo è fondamentale fare una sgambata
Ma se hanno così bisogno di riposo perché escono in bici, seppur piano, anziché fare un recupero totale?

Uno, per mantenere l’aspetto motorio degli arti inferiori. Due, perché è “il loro lavoro”. Tre, forse il motivo più importante, perché si mantengono alcuni equilibri metabolici in atto. Restano completamente fermi coloro che magari hanno avuto un infortunio o sono malati, altrimenti un minimo di attività ci deve essere.

Perché il terzo motivo, quello degli aspetti metabolici è il più importante?

Perché gli serve per tenere in equilibrio il cortisolo e alcuni ormoni legati alla prestazione che se non si andasse in bicicletta potrebbero vedere delle alterazioni ancora maggiori. Poi, si sa, oggi non si lascia nulla al caso. 

Quali sono i parametri che valutate di più per stabilire se un atleta è più stanco di un’altro?

Usiamo una particolare App che monitora il battito cardiaco dei ragazzi e altri parametri che fanno capire agli atleti, ai loro coach e anche a noi medici in che fase sono. Riguardo ai parametri, la cosa più importante è che ci sia una grande differenza tra pressione massima e pressione minima: più questo differenziale è alto e meglio è.

Nei giorni di riposo il massaggio è più intenso e prolungato (foto Instagram)
Nei giorni di riposo il massaggio è più intenso e prolungato (foto Instagram)
Solo la pressione?

Anche i battiti al mattino, soprattutto al risveglio, devono essere sempre in un determinato range. I ragazzi sono tutti brachicardici, cioè che hanno i battiti molto bassi, e in genere al mattino difficilmente superano le 50-52 pulsazioni. Pertanto se un corridore si svegliasse la mattina e a riposo sul letto avesse 70 battiti farebbe scattare qualche campanello d’allarme. Vuol dire che qualche sistema metabolico di recupero non è ottimale e questo può essere un chiaro segno di affaticamento.

C’è chi studia il sonno, come per esempio fanno in Green Project-Bardiani, voi lo monitorate?

Vi ringrazio per questa domanda, in quanto mi dà l’opportunità di parlare di un progetto che attraverso il nostro patron, Gerry Ryan, stiamo portando avanti con un’università australiana. Stiamo studiando il miglior adattamento del sonno e le sue correlazioni con la miglior performance, attraverso un sistema che comprende anche sedute con degli psicologi e il training autogeno per indurre il sonno in maniera autonoma.

Avere un sonno regolare è molto più complicato nella terza settimana che ad inizio Giro
Avere un sonno regolare è molto più complicato nella terza settimana che ad inizio Giro
Interessante…

E’ un progetto importante e di lungo termine. Per rispondere alla domanda: il sonno è importantissimo. Noi stiamo studiando questa App e probabilmente cominceremo ad applicarla a pieno regime dall’anno prossimo.

Si può dare una percentuale di quanto si stanchino i corridori nel corso di un grande Giro. Per esempio quanta differenza di stanchezza c’è tra il primo e il secondo giorno di riposo? Insomma, quanto varia il livello di stanchezza? 

E’ molto individuale. Ovvio che i corridori che fanno classifica sono meglio dotati da questo punto di vista. Recuperano di più, dormono di più e hanno parametri più stabili e tutto ciò si evince di più nella terza settimana. E’ questo che rende questi atleti tanto performanti in questo tipo di gare.

E facendo un paragone tra un uomo da corse a tappe è un uomo da classiche, che differenze possono esserci mediamente?

Anche in questo caso è impossibile dare una percentuale. L’uomo che non è da corse a tappe è un accumulatore di fatica. La sua capacità di recupero è molto più bassa. Ha percentuali di recupero inferiori. Dare dei numeri è impossibile, direi delle fandonie.

Orologio speciale e zainetto del sonno: il riposo dei pro’

15.12.2022
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Non è la prima volta che parliamo del sonno, di quanto sia importante nell’insieme della preparazione e nella vita dell’atleta. Questa volta però vi portiamo nella realtà. Nel raid fatto alla Green Project Bardiani Csf Faizanè, abbiamo “toccato” con mano questo aspetto con Borja Martinez Gonzalez che fa parte dello staff medico del team italiano. Borja, dottorato in scienze motorie, è un ricercatore spagnolo che lavora all’Università di Bologna. 

Abbiamo visto nel concreto come i ragazzi di Reverberi prestino attenzione a questo aspetto. E come in qualche modo vengano educati al sonno. Perché ci sono molte variabili che lo condizionano, specialmente nel mondo frenetico attuale.

Da quest’anno alla Bardiani, tra i vari aspetti medici Borja Martinez Gonzalez cura anche quello del sonno
Borja Martinez Gonzalez, da quest’anno alla Bardiani, tra i vari aspetti medici cura anche quello del sonno
Borja, parliamo di sonno e preparazione…

Ho fatto il mio dottorato focalizzandomi sulla valutazione e le contromisure per gli effetti negativi della privazione del sonno sulle prestazioni di resistenza presso l’Università del Kent (Regno Unito). Il sonno è recupero. E il recupero è performance. Meglio recuperi e più duramente puoi allenarti e pertanto migliorare le tue prestazioni. E noi cerchiamo sempre come migliorare le prestazioni. Per esempio la caffeina, visto che siamo in tema: se non hai un bel recupero, assunta più tardi durante il giorno potrebbe avere un effetto negativo sul sonno. E quindi, il giorno seguente potresti non essere in grado di fare un buon allenamento.

Ai vostri atleti fornite uno speciale orologio del sonno. Di cosa si tratta?

Il modo più accurato per valutare il sonno è fare un test in ospedale. Questo orologio non è così approfondito, ma ci dà importanti indicazioni e non richiede di recarsi in ospedale. In alcuni ospedali, l’unità del sonno fornisce ai pazienti questo orologio, utilizzato come valutazione preliminare, perché consente di raccogliere i dati a casa. Dopo una o due settimane, i dati degli orologi possono essere analizzati e quindi il personale medico può decidere se è necessario un test in ospedale o un intervento. C’è un algoritmo che li mette tutti insieme e analizza variabili, come l’ora in cui sei andato a letto, l’ora della sveglia, il tempo trascorso a letto, il tempo totale di sonno, l’efficienza, il tempo per addormentarsi, tempo trascorso a letto sveglio, eventi come svegliarsi nel cuore della notte per andare in bagno, livello di luce nella stanza.

E come si possono aiutare gli atleti?

E’ la prima volta che faccio questo lavoro con così tanti atleti e sarà curioso poi vedere tutti i dati. Dati che sono importanti anche per i medici, questa è ricerca applicata. Ad esempio, se c’è un atleta che non dorme abbastanza o ha molti disturbi, l’orologio lo registra e i medici della squadra possono intervenire rapidamente.

Lo speciale orologio dato in dotazione ai ragazzi della Green Project Bardiani Csf Faizanè
Lo speciale orologio dato in dotazione ai ragazzi della Green Project Bardiani Csf Faizanè
Come si fa a dire se un sonno è stato di qualità o no?

La qualità del sonno, quando non si valutano le diverse fasi del sonno in ospedale utilizzando gli elettrodi, è “soggettiva”. Quest’orologio misura la qualità come “efficienza” in base al tempo totale che il corridore è stato a letto e il tempo totale del suo sonno. E l’efficienza si calcola così: è stato a letto per 10 ore, ne ha dormite 8, la qualità è dell’80%. Però, vi dico, che secondo me non è questa la misura giusta della qualità del sonno. E infatti ogni giorno al risveglio, chiediamo ai nostri atleti di valutare il loro sonno da 1 (qualità ottima) a 5 (qualità pessima) .

Perché?

Perché alla fine prende in considerazione solo il tempo. Non si sa se è andato in un sonno profondo. Se ha avuto un sonno leggero. Questo si fa in ospedale con una polisonnografia. Però vedendo i suoi battiti cardiaci possiamo vedere quanto l’atleta si muove, se si alza per andare in bagno…

Il ritmo circadiano nelle 24 ore
Il ritmo circadiano nelle 24 ore
Perché un sonno può essere più o meno di qualità?

Magari perché il soggetto non è in una stanza idonea per dormire, perché sono in 2 o 3 in camera e si disturbano a vicenda, perché qualcuno durante la notte si alza e accende la luce o lascia la tv accesa…

Cosa stai notando in generale dei tuoi atleti? Dormono bene?

Non ho ancora iniziato l’analisi dei dati in modo approfondito, ma dando un primo sguardo posso dire che sono contento perché tutti riescono a dormire le canoniche 8 ore. E non è poco, perché spesso l’atleta di alto livello non ha il tempo per dormire tanto. Specie durante certe gare, quando arriva tardi in hotel, deve fare i massaggi, la doccia, cenare… Un’altra cosa che mi piace: sto notando che si addormentano in due o tre minuti.

In caso di problemi ad addormentarsi cosa consigli?

Di trovare una routine. Il cervello non sa se oggi è sabato o martedì. Tu devi andare a letto alla stessa ora cogliendo la tua “finestra di sonno”. Ognuno ne ha una. Sente proprio che ad un certo punto della serata rallenta. Per esempio, se uno ce l’ha alle 23, alle 22:30 magari fa una doccia rilassante o un po’ di stretching leggero, yoga, legge un libro…. Deve trovare un’abitudine.

Quanto incide il materasso?

Tanto e infatti anche in squadra ne stiamo parlando, ma certo non è facile e subentrano anche questioni di marketing. Giusto la scorsa settimana ho letto un articolo che parlava della temperatura corporea e del ritmo circadiano. C’era un materasso che in base al proprio ritmo circadiano cambiava la sua temperatura. Bisogna sapere infatti che quando ci addormentiamo la temperatura corporea scende. Poi ad un certo punto del sonno risale e in quel momento il corpo capisce che si è pronti ad alzarsi. Ma spesso accade che ci si svegli alle due o alle tre di notte. Questo materasso regola la temperatura e fa sì che non ci si alzi più nel cuore della notte. Tornando alla squadra in effetti il materasso incide. In una corsa di tre settimane se ne cambiano venti da hotel a hotel. Non fu un caso quando la Ineos-Grenadiers propose il suo motorhome per far dormire gli atleti, ognuno col suo materasso personale. Ma ci sono altri fattori da considerare, non solo il materasso.

Abbiamo capito che è un discorso complesso e allora, Borja, quali sono le tre cose peggiori per conciliare il sonno?

La caffeina. L’ultimo caffè dovresti prenderlo a pranzo. Poi direi andare a letto immediatamente dopo la cena, specie se è stata pesante. E usare il telefono fino a tardi o nel letto.

E invece le tre cose migliori che lo conciliano?

Tre sono poche! Come accennato, la miglior cosa è trovare una routine. La lettura va bene, così come abbassare le luce e i rumori. Ci si può aiutare con delle semplici mascherine da viaggio se c’è troppa luce. La stanza dovrebbe avere una temperatura fra 17° e 22°. E che sia buia davvero. Spesso i ragazzi portano del nastro isolante nero per oscurare i led delle tv e dei vari device nelle stanze. Sono utili anche i tappi per le orecchie. Costano poco e sono usa e getta. Orologio, tappi, mascherina, un libro… come c’è la borsa del freddo c’è anche quello che io chiamo zainetto del sonno.

Ripartire dopo 4 anni. Sentiamo il dottor Giorgi

23.11.2022
5 min
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Qualche giorno fa vi avevamo parlato di Andrea Innocenti, il ragazzo che è rimasto fermo oltre quattro anni per un intoppo con l’antidoping al primo anno tra gli U23. Al netto di questa vicenda (non è questo l’argomento), è scattata in noi la curiosità di sapere come si fa a tornare alle gare dopo uno stop tanto lungo. Una curiosità alla quale ha risposto il dottor Andrea Giorgi, in uscita dalla  Drone Hopper-Androni. Giorgi, va detto, è anche un eccellente preparatore.

Innocenti ci aveva detto che non aveva corso, ma che comunque si era allenato. E anche forte. Due picchi a stagione, con tanto di riposo e altura a seguire. Dietro motore con la bici da crono… Insomma non era rimasto a piangersi addosso.

Il dottor Giorgi con Bais…
Il dottor Giorgi con Bais…

L’aspetto mentale

«Quattro anni fermo sono davvero un tempo lungo – esordisce Giorgi – e soprattutto un tempo non facile da valutare specie per un adolescente. Intorno ai 17-18 anni, i ragazzi continuano a svilupparsi verso l’età adulta con importanti variazioni corporeo.

«Partendo dal caso di Innocenti, lui si è allenato e tutto sommato il suo “detraining”, il periodo di non allenamento, è stato più psicologico che fisico. Non ha continuato ad avere gli stimoli provenienti dalle competizioni: tensione, approccio alla gara, alimentazione prima, durante e dopo la la competizione… ma il resto tutto sommato c’era».

E infatti Innocenti stesso ha parlato di alcune difficoltà tecniche. Il ragazzo toscano, tornato in corsa questa estate al Giro del Friuli, ha detto di aver preso dietro lo Zoncolan in quanto si era staccato nella discesa precedente. Certe attitudini, certi automatismi si perdono a quanto pare. Non si ritrovano in un attimo, specie in questo ciclismo che corre veloce in tutti i sensi. Novità tecniche, materiali… anche il gruppo si muove diversamente.

Non è solo una questione di ritmo, stare fermi a lungo significa anche dover riprendere il feeling con il gruppo
Non è solo una questione di ritmo, stare fermi a lungo significa anche dover riprendere il feeling con il gruppo

Il detraining…

«Quando si parla di detraining – prosegue Giorgi – bisogna fare un distinguo tra breve e lungo periodo. Fino alle quattro settimane di stop si parla di breve periodo, sopra di lungo periodo. L’inattività rapidamente agisce negativamente sul sistema cardiovascolare e metabolico. Basti pensare che dopo due giorni si ha una riduzione del sistema cardiovascolare: iniziano a salire i battiti. Dopo quattro settimane diminuiscono le altre capacità. Il flusso ematico per esempio scende del 5-10 per cento. Poi si va a stabilizzare.

«Ci sono poi le variazione metaboliche: in cui l’organismo non è più grado di utilizzare certi sistemi energetici. Giusto ieri avete scritto quell’articolo con la Lombardi in cui si diceva che i grassi non si usano perfettamente come quando si è allenati. Infatti il sistema mitocondriale si “disallena” ad utilizzare i grassi, a favore degli zuccheri».

Giorgi prosegue e parla anche di importanti differenze ormonali. Ma in questo caso il capitolo è enorme e complicato. 

«Quel che invece va detto è che si assiste ad una perdita della forza muscolare. Con il tempo le fibre si riducono di volume».

In soldoni: si riduce l’attivazione e la dimensione dei muscoli e quindi meno forza.

«Però è anche vero che se una persona è abituata a fare sport e vuole ricominciare la sua attività, anche dopo un lungo stop non ripartirà del tutto da zero. Sarà uno step più avanti rispetto a chi inizia per la prima volta. Il suo organismo riconosce certi sforzi e si adatta meglio».

Già dopo un paio di giorni di inattività il battito cardiaco tende a salire
Già dopo un paio di giorni di inattività il battito cardiaco tende a salire

Perdite e guadagni

Stando fermi si perde parecchio, è vero. E si perde non solo da un punto di vista fisico, però si potrebbe pensare che questi anni di stop alla lunga potrebbero anche avere effetti positivi sulla carriera di un corridore. Di fatto per un certo periodo della sua vita da atleta, il soggetto in questione non si è logorato. Magari a 35 anni è più fresco di un coetaneo. Giorgi però non ne è convinto. 

«Non è detto che sia più fresco – dice il dottore – magari ha perso una fase importante della sua formazione in cui aveva determinati stimoli, come l’abituarsi a certi ambienti, viaggiare, fare certi sforzi massimali con l’obiettivo del traguardo… Il logorarsi di un atleta per me è più un discorso psicologico che fisico. Chiaramente se si gestiscono bene certe fasi e certi adattamenti sin da giovani. Ma vale il discorso che si fa spesso e cioè il crescere con pazienza.

«Faccio l’esempio di Masnada. Lui è passato con noi professionista a 25 anni. Se si avesse avuta fretta Fausto non sarebbe diventato un corridore da WorldTour. E’ uno di quei corridori che con il tempo va a migliorare specie nelle corse a tappe e in quelle dure. Ma nel ciclismo giovanile italiano, la maggior parte delle corse sono veloci e certi giovani come lui non hanno tempo per maturare e mettersi in mostra. E infatti oggi chi va avanti? Quelli più veloci. Chi ha le caratteristiche di Masnada fa più fatica ad emergere e quel ragazzo si perde».

Quindi un Innocenti della situazione senza aver corso potrebbe aver perso quella fase di adattamento che lo avrebbe visto emergere un po’ più là negli anni, ammesso che ne avesse avuto bisogno. O al contrario di accelerare i tempi.

«Quegli anni (17-18) non sono più importanti di altri nell’insieme della formazione di un atleta. Bisogna allenarsi in tutte le fasi della vita, ma in modo progressivo e nel rispetto dei tempi. Dal divertimento dei bambini, in cui subentrano anche aspetti sociali o la tecnica di guida… al professionista che cura i particolari. Ci sono stress che vanno gestiti a 360 gradi». 

Per Giorgi Masnada che aveva quasi smesso è un esempio di abnegazione
Per Giorgi Masnada che aveva quasi smesso è un esempio di abnegazione

Ritorno al top

Ed è complesso anche il discorso su quanto tempo ci si mette per tornare al top. 

«Dipende dall’obiettivo dell’atleta – conclude Giorgi – servono 4-5 settimane per tornare ad avere i primi adattamenti seri. Ci sono anche dei tempi tecnici per avere un certo livello d’ipertrofia muscolare. Pertanto direi un paio di mesi non dico per tornare al top, ma almeno per tornare alle corse (parlando di soggetti sani, ndr). Per stare bene in gruppo.

«Per la prestazione super, invece, serve più tempo, ma anche in questo caso molto dipende dal soggetto. Nel caso di Innocenti, che si è allenato molto, direi una mezza stagione. Per chi riparte da zero direi sei mesi di allenamento, due mesi di rodaggio con le corse e quindi alla fine ecco che è passata una stagione piena. Ma le variabili, ripeto, sono molte». 

Pellaud: «Presto rivedrete il corridore che avete conosciuto»

13.08.2022
4 min
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Attacchi, fughe, scherzi con la telecamera, l’abbraccio del pubblico… quest’anno non abbiamo visto Simon Pellaud fare tutto ciò. E la sua assenza si è sentita. Il corridore della Trek-Segafredo, amatissimo dai tifosi del ciclismo, ha corso “poco” e nelle gare che ha fatto non è mai stato davvero al top.

«Ma adesso – giura Pellaud – voglio tornare. Dare piacere alla gente fa piacere anche a me. Non voglio più essere un fantasma. Sto passando il momento più difficile della mia carriera. E fra un paio di settimane, e nella prossima stagione, vedrete il corridore che avete conosciuto».

In questa frase c’è riassunta tutta la stagione dello svizzero-colombiano. Una stagione che adesso svisceriamo con Simon stesso, passo dopo passo. 

Nonostante le difficoltà di salute, Pellaud ha inanellato 47 giorni di gara sino ad oggi
Nonostante le difficoltà di salute, Pellaud ha inanellato 47 giorni di gara sino ad oggi
Simon, come è andata la tua stagione? Come stai?

Bene dai, adesso sono più tranquillo. Sto passando un anno complicato. Posso dire di aver avuto un Covid lungo, quasi eterno E appena adesso sto uscendo dai miei problemi.

Sin qui infatti ti abbiamo visto poco…

Anche io non mi sono visto! Sin qui è stata una stagione in bianco. Già è difficile trovare un equilibrio quando cambi squadra, con tutte le novità che il cambio comporta, che tutto si è amplificato con i problemi di salute.

Cosa intendi per equilibrio nella nuova squadra?

Tante volte si pensa che per essere un corridore basta pedalare. Che per vincere basta allenarsi e pedalare forte, la verità invece è che tutto è più complicato. Non si tratta solo di pedalare. A livello mentale devi lavorare tanto e certi cambi richiedono del tempo per essere assimilati. Quando dico equilibrio quindi intendo: nuovi allenamenti, modi di correre, materiali, chi fa cosa in staff enormi… I parametri sono moltissimi.

Modi di correre. Abbiamo anche pensato che il WorldTour ti avesse un po’ tarpato le ali. Poi è chiaro che in una squadra così non puoi più correre come prima all’Androni. Hai un ruolo definito?

Che ho un altro ruolo è sicuro. Come è sicuro che non posso più correre come prima. Sono in un grande team, con grandi campioni e sono tra gli atleti più umili. Ma soprattutto sono un corridore senza un precisa caratteristica. Vado forte in salita, ma non sono uno scalatore. Vado bene in pianura ma non sono un passista. Ho un buono spunto ma non sono un velocista. Ho passato un anno a lavorare, ma sapevo che questo sarebbe stato il mio lavoro. In qualche occasione ci ho provato o avrei potuto provarci, ma senza una buona gamba non puoi fare più di tanto.

Come era normale che fosse Pellaud, passando in una WT, ha svolto anche altri ruoli. Non sempre è potuto essere un battitore libero
Come era normale che fosse Pellaud, passando in una WT, ha svolto anche altri ruoli. Non sempre è potuto essere un battitore libero
E torniamo al discorso della salute. Quando sei stato male?

Esatto. Il Covid mi ha veramente distrutto, sia sul piano mentale che fisico, soprattutto la prima volta che l’ho preso. E’ stato a Natale. Ero ancora in Svizzera, prima di andare Colombia, ed è stato davvero forte. Da lì è stata sempre più difficile e sono andato sempre più giù. Ho avuto una stanchezza mai provata in vita.

Come è stata la tua ripresa?

Ho passato un lungo periodo in Colombia e per la prima volta in questa stagione mi sono allenato ad un livello interessante. Ma oltre al Covid sono stato condizionato da un dolore al sacro-iliaco. E’ un problema che è emerso alla Coppi e Bartali. Probabilmente ho utilizzato delle scarpe troppo grandi. Se non spingo forte è okay, però in gara mi esce e mi limita molto. Ci sto lavorando con il fisioterapista e devo dire che ho sempre meno problemi, ma certo va risolto del tutto.

Guardiamo avanti Simon, quale sarà il tuo calendario di gare? Abbiamo visto che per la Vuelta non ci sei…

Secondo il programma d’inizio anno avrei dovuto fare la Vuelta, ma non la farò. E stare in una WorldTour e non fare neanche un grande Giro è una delusione per me. Però io non ho fatto nulla per dimostrare che meritavo un posto nelle selezione per la Spagna. Spero di rifarmi l’anno prossimo.

Dopo il campionato nazionale svizzero (26 giugno) Simon è volato nella sua Colombia. Si allenato in quota… e in allegria (foto Instagram)
Dopo il campionato nazionale svizzero, Simon è volato nella sua Colombia. Si allenato in quota… e in allegria (foto Instagram)
Quindi farai corse di un giorno?

Sto andando al campionato europeo di Monaco – ci ha detto Pellaud al momento dell’intervista – sto lasciando Andorra perché dopo la Vuelta Burgos sono venuto a trovare il mio grande amico Esteban Chaves. Anche se non sono al top e non era nei programmi, la nazionale svizzera mi ha chiamato. Ci sono un paio di corridori che hanno dato forfait tra malanni di salute e la vicinanza della Vuelta. Li sostituisco.

Beh, in ogni caso è un buona cosa, uno stimolo… 

Essere stato convocato fa piacere. Dopo aver corso a Burgos fare l’europeo è importante per trovare: ritmo, fiducia e continuità. E come si dice, non c’è miglior allenamento della gara e dei suoi stimoli.

Dopo l’europeo cosa farai?

Il Giro di Germania che è il mio obiettivo di fine stagione, spero proprio di essere pronto.

Cos’è davvero il sudore? Ne parliamo col dottor Giorgi

25.07.2022
4 min
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L’osservazione di Adriano Malori circa l’accentuata sudorazione di Tadej Pogacar potrebbe avere dei riscontri niente affatto banali anche da un punto di vista medico e prestativo. Abbiamo infatti interpellato il dottore (e preparatore) della Drone Hopper-Androni, Andrea Giorgi, sempre all’avanguardia quando si tratta di questi due fronti.

Si suda quando fa caldo, ma cosa succede a livello fisiologico al corpo umano? Che meccanismi s’innescano? Il discorso è complesso. Proviamo a fare chiarezza e magari a saperne di più sulle super striature che a fine tappa si evidenziavano sui pantaloncini (neri) di Pogacar… e altri.

La tappa non è finita e Pogacar ha “già” delle grosse striature bianche di sudore sulla coscia
La tappa non è finita e Pogacar ha “già” delle grosse striature bianche di sudore sulla coscia
Dottor Giorgi, cosa succede fisiologicamente quando si suda?

Il sudore è un meccanismo di dispersione del calore del corpo umano. Serve a far diminuire la temperatura corporea. Questo principio differisce da soggetto a soggetto e varia in base a fattori interni, appunto relativi al singolo atleta, ed esterni, come temperatura ambientale, umidità, vento…

Come dicevamo, abbiamo notato che alcuni corridori più di altri, tra cui Pogacar, a fine tappa avevano grossi segni di “sudore secco” sul pantaloncino, come mai?

Dalla televisione non è facile stabilire chi suda di più o di meno, ma ci sono dei sistemi che servono a capire il tipo di sudorazione e in particolare quanti elettroliti, i sali minerali, si perdono nel corso di uno sforzo.

Che sistemi sono?

Ci sono dei test, solitamente dei “patch”, degli adesivi particolari da attaccare sulla cute, che sono in grado di captare il sudore e di farlo poi analizzare. Da qui si vede quanto sodio e potassio ci sono nel sudore. Questa analisi aiuta a personalizzare l’integrazione dei sali minerali. Questi test sono diffusi però avvengono di più nel calcio a causa della maggior facilità di gestione del rifornimento idrico e energetico durante la competizione, rispetto ad una gara ciclistica.

Noi abbiamo detto di Pogacar: il suo pantaloncino era nero e i segni erano bianchi, ma Bardet per esempio che aveva pantaloncini neri anche lui, non presentava striature tanto evidenti….

A livello corporeo interno abbiamo degli adattamenti soggettivi, c’è chi è più abituato e tollerante nei confronti del caldo e chi meno. Chi perde più liquidi e sali, e chi meno. Chi è abituato ad allenarsi al caldo è in grado di avere una minor perdita di sodio e quindi di liquidi. Le ghiandole sudoripare tendono a trattenere gli elettroliti e ad espellere un sudore ipotonico. Allenandosi con sedute al caldo si crea un adattamento fisiologico che permette di trattenere più sali e quindi di ridurre la sudorazione. E di conseguenza la probabilità di disidratazione.

Tappa di Foix (forse la più calda del Tour): all’arrivo Bardet non presenta segni visibili di suore sul pantaloncino
Tappa di Foix (forse la più calda del Tour): all’arrivo Bardet non presenta segni visibili di suore sul pantaloncino
E quindi quelle striature di bianco?

Ci dicono che l’atleta non è in grado di trattenere i liquidi e i sali.

Chi suda di più quindi non è detto che per forza perda più sali?

Solitamente chi suda di più perde più liquidi e quindi rischia di perdere più sali. Questo può portare ad una riduzione di volume plasmatico, provocando alterazioni metaboliche come un aumento della frequenza cardiaca. E’ necessaria una corretta idratazione con soluzioni isotoniche o ipotoniche. Se tu ingerisci solo acqua e sudi, e quindi perdi sali, avrai una quantità di sodio nel sangue sempre più diluita, arrivando alla cosiddetta “intossicazione da acqua”. Però su questo discorso delle tempistiche a mio avviso c’è ancora un bel po’ da vedere. Si dice infatti che bisogna bere ogni 15′-20′, insomma a cadenza regolare, ma anche farlo a sensazione non è detto che sia sbagliato.

Quindi i sali sono necessari sempre?

In condizioni di caldo estremo sì. E’ un discorso di termoregolazione. Se il corpo si sente più fresco, detta in parole povere, suda di meno. Consiglio anche di utilizzare bevande isotoniche o ipotoniche con carboidrati complessi per una migliore idratazione.

Vingegaard abbassa la temperatura con l’acqua. Testa, polsi e caviglie sono i punti nevralgici, ma spesso la si getta anche sulle cosce (foto ASO)
Vingegaard abbassa la temperatura con l’acqua. Testa, polsi e caviglie sono i punti nevralgici, ma spesso la si getta anche sulle cosce (foto ASO)
E come si può far sentire più fresco agli atleti?

Con le note strategie: acqua fresca addosso, corretta idratazione con bevande al mentolo, bevande al sapore aspro, bevande con maltodestrine, maglia aperta… ma con la crema altrimenti i raggi del sole fanno peggio e ti ustionano. Poi in questo caso molto dipende dai fattori esterni come l’umidità, per esempio. Se questa è molto alta il corpo fa fatica a disperdere calore. Meglio il caldo secco.

Prima dottor Giorgi, ha parlato di frequenze cardiache che aumentano. Perché?

Ognuno ha un certo volume plasmatico nel corpo, nel sangue: sudando perdi acqua e perdendo acqua riduci il tuo volume plasmatico. Per far circolare quella stessa quantità di sangue nei vasi sanguigni il cuore deve pompare di più.

E questo chiaramente apporta una fatica ulteriore…

Certo. Ci sono dei nuovi studi che dimostrano come allenarsi al caldo, oltre che abituare il corpo a disperdere meno sali, porti ad uno stimolo eritropoietico.

Quei 55 giorni di stop non hanno scalfito la grinta di Masnada

22.07.2022
4 min
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Dopo avervi raccontato della distanza fatta con Gianluca Brambilla, sentiamo anche Fausto Masnada. Il corridore della Quick Step-Alpha Vinyl  è ancora in quota. Sta lavorando sodo e da Livigno giungono notizie che lo danno in grande spolvero.

Masnada era partito fortissimo ad inizio stagione. Aveva vinto, e bene, in Oman e sembrava finalmente che potesse dimostrare una volta per tutte il suo valore. Aveva passato un buon inverno e tutto filava liscio. Poi qualcosa si è inceppato.

Il bergamasco (classe 1993) ha vinto la quarta tappa del Tour of Oman ad inizio stagione ed è finito secondo nella generale
Il bergamasco (classe 1993) ha vinto la quarta tappa del Tour of Oman ad inizio stagione
Fausto, dicevamo. Eri partito alla grande in Oman. Poi cosa è successo?

Ero andato al UAE Tour e nel finale della corsa ho iniziato a non essere al top. Sono andato sul Teide e da lì al Catalunya. Ma sentivo che non stavo bene. Avevo sensazioni strane. Facevo fatica a recuperare. E infatti avevo una bronchite. Ho fatto sette giorni di antibiotici, ma ancora nulla. I medici della squadra per vederci meglio mi hanno fatto fare delle analisi ed è emerso che avevo la mononucleosi

E cosa hai fatto?

Riposo totale. Sono stato fermo 55 giorni.

Cinquantacinque giorni! Sei dovuto ripartire da zero?

Sì, ho ricominciato da capo, come se fosse la preparazione invernale. Sono risalito in sella a fine aprile. Da lì sono andato in altura sul Bernina e poi ho ripreso a correre al Giro di Svizzera, prima, e all’italiano, poi.

Come si fa a non mollare di testa? Come si fa a tenere dritta la barra?

E’ difficile. Ti devi concentrare e credere in te stesso. Non deve mai mancare la voglia di dimostrare quanto vali. I messaggi di supporto sì, fanno piacere, però è solo con te stesso che puoi superare l’ostacolo. Io almeno l’ho vissuta come una cosa personale. Serve molta forza interiore che ti permetta di superare ogni problema e raggiungere i nuovi obiettivi.

Quando Masnada sta bene se la può giocare con chiunque. Eccolo al Lombardia del 2021 con Pogacar
Quando Masnada sta bene se la può giocare con chiunque. Eccolo al Lombardia del 2021 con Pogacar
Come hai ripreso? Ci racconti quella prima uscita in bici di fine aprile?

Ero a Monaco, a casa, dove sono sempre rimasto. E’ stata una ripresa molto blanda, ma peggio rispetto alla ripresa invernale di fine novembre. Lì riparti che stai bene, io invece venivo da una malattia. Ero spaventato. Fino alla settimana prima ancora ero malato. Ogni tanto andavo a camminare e dopo 40′ dovevo fermarmi per la stanchezza. Temevo che mi succedesse la stessa cosa in bici. Temevo di rivivere quelle sensazioni e di tornare a casa dopo un’ora.

Invece?

Invece ho faticato sì, ma non era quella sensazione di sfinimento, profonda. Ho fatto un’ora e mezza e alla fine ero super contento, come dopo una vittoria. Fortunatamente i dottori mi hanno dato il tempo necessario per rimettermi in sesto.

E poi?

Poi piano, piano mi sono ripreso e a maggio sono andato in ritiro sul Bernina con Cattaneo e Bagioli che stavano preparando il Tour de France. Sono stato lassù 21 giorni, prima di rimettere finalmente il numero al Giro di Svizzera.

Bramati ci ha detto che stai andando fortissimo…

Sto molto bene, è vero. Sento di aver recuperato le energie giuste. Ma l’allenamento è una cosa e la corsa un’altra. Io sto dando il massimo, ma solo con l’allenamento non puoi fare l’esatto punto della tua condizione, non puoi davvero sapere quanto tu sia sul pezzo. Tante volte fai sacrifici, ma non vengono ricompensati.

Quando rientrerai alle corse?

A San Sebastian (il 30 luglio, ndr). Poi da lì andrò alla Vuelta Burgos.

Masnada con il compagno, e iridato, Alaphilippe in ritiro a Livigno
Masnada con il compagno, e iridato, Alaphilippe in ritiro a Livigno
E la Vuelta?

Non so, non posso dirlo adesso. L’idea c’è, ma in squadra siamo in molti a volerla fare e bisognerà attendere la formazione ufficiale.

A San Sebastian ci vai per aiutare o con qualche velleità personale?

Vedremo dalla condizione, perché alla fine è la strada che conta, ma sono in una squadra in cui ci sono molti campioni. A San Sebastian per esempio ci saranno Evenepoel e Alaphilippe. Farò ciò che mi sarà detto, rispettando le gerarchie. 

Quest’anno dopo la bella vittoria in Oman hai pensato che potesse essere davvero la stagione buona per mostrare chi sei?

Ogni anno cresco e miglioro aspetti che magari trascuravo e questo si acquisisce con l’esperienza e con il correre. Negli ultimi due anni mi è mancata la continuità. Lo scorso anno ha avuto una tendinite al Giro che mi ha costretto al ritiro. Poi in preparazione della Vuelta mi sono fratturato l’osso sacro, quest’anno la mononucleosi… La crescita c’è, ma anche i problemi fisici ci sono. Fortunatamente ho un team che riconosce il mio impegno e la dimostrazione è il fatto che ho prolungato con loro fino al 2024. E avere l’appoggio del team in questa situazione è importante.

Si guarda avanti. Sempre…

Io spero che le cose vadano bene per una stagione intera. Mi piacerebbe fare due grandi Giri nello stesso anno perché quelli ti cambiano molto. Ti danno prestazione fisica, porti il tuo corpo al massimo. Quest’anno, siamo a luglio, e ho 15 giorni di corsa, una bella differenza.