Il test completo della nuova BMC Teammachine SLR01

27.10.2025
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Taglia 51. Trasmissione Sram Red AXS 48-35 e 10-33 con power meter Quarq incluso. Ruote DT Swiss ARC 38 1100 Dicut con tubeless Pirelli Race TLR da 28. Manubrio full carbon integrato BMC e sella Fizik. Abbiamo rilevato un valore alla bilancia di 6,65 chilogrammi

L’abbiamo provata e ancora una volta BMC ha fatto centro. Una volta messa su strada emergono tutte le diversità (tante davvero) rispetto alla versione più anziana e la nuova è superiore in tutto. Viene da pensare che la versione in test della nuova Teammachine SLR01, con allestimento One, dalla precedente eredita solo il nome e l’acronimo che identifica il montaggio.

Se in salita ci si attende una bici al top, comunque molto più reattiva a parità di allestimento, in discesa è un proiettile, una bici tanto briosa quanto chirurgica per stabilità e gratificazione anche nella guida veloce. E poi è agile, agilità che è frutto di una geometria non completamente stravolta, ma capace di aumentare la qualità della performance.

Quello che c'è da sapere sulla nuova BMC Teammachine SLR01
Una Teammachine SLR01 tanto reattiva e super efficiente
Quello che c'è da sapere sulla nuova BMC Teammachine SLR01
Una Teammachine SLR01 tanto reattiva e super efficiente

BMC Teammachine SLR01 One

Una taglia 51. Trasmissione Sram Red AXS 48/35 e 10/33 con power meter Quarq incluso. Ruote DT Swiss ARC 38 1100 Dicut con tubeless Pirelli Race TLR da 28. Manubrio full carbon integrato BMC e sella Fizik. Abbiamo rilevato un valore alla bilancia di 6,65 chilogrammi (senza pedali).

Il prezzo di listino della bici descritta è di 12.999 euro, non per tutti, ma in linea con il segmento e la fascia di mercato nella quale è inserita.

Provata con ruote da 38 e da 55

Non ci accontentiamo di un singolo setting. Il nostro obiettivo costante è quello di immedesimarci nell’utente finale che può utilizzare differenti tipologie di ruote, di pneumatici e di conseguenza avere risposte tecniche differenti. Abbiamo usato la nostra BMC con le “sue” DT Swiss 38 e tubeless da 28, con l’ultima versione delle ARC 55 e tubeless dalle sezioni differenziate. Continental Aero111 Swiss Side da 29 per l’avantreno, GP5000TR da 30 per il retrotreno.

La bici ci ha decisamente impressionato per la semplicità di adattamento e per come facilita l’adattamento stesso dell’utilizzatore. Non perde il DNA ed il core principale, ovvero quello di bici leggera, agile e super guidabile, parecchio sprintosa quando gli si chiede un cambio di ritmo perentorio. Con le 55 è facile immaginare una flessione dell’andatura in salita, poca roba. Se l’ambizione è di avere una bici pulita ed a tratti minimale nell’impatto estitico, leggermente più comoda e 200 grammi circa più leggera, con le ruote da 38 la Teammachine SLR01 è perfetta. Se l’obiettivo è avere in dotazione una macchina da guerra per fare le gare, tanto veloci, quanto ricche di dislivello positivo, con le ruote alte paga l’occhio ed è un aereo. A nostro parere il fattore di valutazione diventa soggettivo e va ben oltre la prestazione messa su strada.

Con il naso all’insù

Una di quelle bici che invita ad uscire di sella, a spingere come un forsennato, o semplicemente stare in piedi sui pedali sfruttando un telaio ed una forcella che non subiscono l’azione scomposta del corpo. La bici non alleggerisce ne davanti ne dietro e nella sezione centrale è super sostenuta. E’ reattiva, a prescindere dal setting delle ruote, una delle bici più reattive (considerando l’ultima generazione di prodotti) provate ad oggi.

Ottimale a nostro parere, in ottica salita e discesa il giusto binomio tra la forcella con rake da 48 e l’angolo dello sterzo a 71,5°, con una lunghezza di quest’ultimo di 133 millimetri. E poi il passo contenuto a 98,6 centimetri, corto, non estremo. Traducendo, agilità e stabilità da sfruttare a pieno.

In discesa e alle andature briose

Non è veloce come può esserlo una BMC Teammachine R (anche se non abbiamo mai avuto l’occasione di metterla veramente alla frusta), ma per essere una superleggera la SLR01 è un bel missile. Andando oltre i dati, le analisi dei numeri da protocollo, il vantaggio per un utilizzatore agonista (se pur normale, non professionista) arriva da una geometria che mette perfettamente al centro della bici il corpo del corridore.

Angolo del piantone a 74° e sterzo aperto in avanti, significa avere la possibilità di spingere di gamba e con i glutei, avere il viso sul mozzo davanti e le spalle che non vanno oltre la verticale dello sterzo. Si può tirare con forza anche con le braccia e con tutto il corpo ed in pianura a volte può fare una grande differenza, così come nei tratti vallonati quando si cambia ritmo in parecchie situazioni.

Quello che c'è da sapere sulla nuova BMC Teammachine SLR01
Una resa tecnica che va ben oltre la salita
Quello che c'è da sapere sulla nuova BMC Teammachine SLR01
Una resa tecnica che va ben oltre la salita

In conclusione

Rispetto alla versione più anziana la nuova Teammachine SLR01 sembra essere stata sviluppata da un’altra mano, con un concetto diverso che ha saputo non snaturare il progetto BMC di maggiore successo. Sì i materiali, sì l’evoluzione della posa del carbonio e le diverse tecnologie produttive, ma i numerosi dettagli (differenti) di una geometria maggiormente funzionale si percepiscono alla grande. E’ più agonista della precedente, ma non è più cattiva, perché è maggiormente completa e facile da sfruttare in tutte le sue sfaccettature.

BMC

Il Pellizzari scalatore. L’analisi di Pozzovivo e il nodo del fuorisella

16.09.2025
5 min
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Siamo ancora con i pensieri alla Vuelta e a quanto il giovane Giulio Pellizzari sia riuscito a farci divertire e sognare. E soprattutto a riaccendere la speranza di rivedere un italiano in lotta per un grande Giro. Ricordiamolo senza fretta… guai mettergli pressione.

Poco importa che sulla Bola del Mundo abbia pagato dazio. E’ arrivato a 6,8 chilometri dalla maglia bianca. E’ a quella distanza infatti che si è staccato da Riccitello e dagli altri. Va detto però che il rivale statunitense ha un anno in più del marchigiano: un’eternità quando si hanno 21 anni. E soprattutto uno era leader, l’altro gregario. Di lusso, ma gregario.

Noi, con l’aiuto del fine occhio di Domenico Pozzovivo, abbiamo analizzato il corridore della Red Bull-Bora in salita. Come si è comportato e sulle varie scalate. Una sorta di “foto” tecnica dello scalatore. Prima però rivediamo le salite di Pellizzari alla Vuelta.

Giro 2024, Monte Grappa scalata durissima ma senza pendenze estreme. Pellizzari va forte, ma sempre seduto. Persino Pogacar si alza sui pedali
Giro 2024, Monte Grappa scalata durissima ma senza pendenze estreme. Pellizzari va forte, ma sempre seduto. Persino Pogacar si alza sui pedali

Scalate veloci, okay

Nei primi due arrivi in salita, Limone Piemonte e Huesca La Magia, due salite molto veloci, specie quella piemontese, Pellizzari non ha avuto problemi. Lì si è andati in grandi gruppi, le velocità sono state prossime e in alcuni casi superiori ai 30 all’ora. Vale la stessa cosa verso il terzo arrivo in quota, Andorra, e il quarto, Valdezcaray.

In quello successivo, El Ferial Larra-Belagua, già più complicato, Giulio ha iniziato a mettersi in evidenza, correndo in appoggio per Jai Hindley. Su questa scalata, con pendenza media del 6,1 per cento, Pellizzari era rimasto con il gruppo dei top rider.

Le cose sono cambiate nel giorno dell’Angliru, ormai al termine della seconda settimana. Sul mostro asturiano Pellizzari a un certo punto ha perso terreno, ma con Hindley saldo al fianco di Almeida e Vingegaard si è gestito alla grandissima. Sull’Angliru Giulio si è messo di “passo” e ha sfruttato al meglio i tratti più pedalabili. Alla fine il margine ceduto a Vingegaard e Almeida era di 1’11”, quasi tutto accumulato nei durissimi tratti al 23 per cento.

Pagava qualcosa, appena 14″, anche il giorno successivo, quando si è mosso per Hindley. Lagos de Somiedo era una scalata simile alle precedenti, poco sopra il 6 per cento di pendenza media.

Pozzovivo ha definito lo stile di Pellizzari in salita (da seduto) di alto livello ormai
Pozzovivo ha definito lo stile di Pellizzari in salita (da seduto) di alto livello ormai

Terza settimana: gambe e testa

Qui ha iniziato a farsi sentire la fatica, nonostante tappe corte e qualche tratto annullato. Va ricordato che Pellizzari era al suo secondo grande Giro stagionale, affrontato per la prima volta in carriera.

Nel giorno di Castro de Herville, dove poi non si arrivò per una protesta pro Palestina, Giulio ha sofferto tantissimo sull’Alto de Prado, salita con lunghi tratti tra il 14 e il 18 per cento. Anche in questo caso però si è gestito bene, tanto che sul falsopiano prima del Gpm riusciva a ricucire il gap.

Infine il capolavoro nel giorno della vittoria. L’Alto de El Morredero è una salita irregolare, la cui pendenza media è ingannevole. Nella porzione centrale, la più dura, Pellizzari si è staccato, ha perso qualcosa, ma di nuovo è riuscito a rientrare di passo. Quando sono iniziati gli scatti, con intelligenza, ne ha piazzato uno in più quando tutti erano in pieno acido lattico. Anche lui. Questa è stata testa, parte determinante per uno scalatore.

Anche il continuo rientrare è un elemento tipico del grimpeur che in salita non molla mai e sa gestire, anzi centellinare lo sforzo grazie ad una particolare sensibilità.

Domenico Pozzovivo (classe 1983) era uno scalatore puro. Stava spesso sui pedali. Oggi è un coach preparatissimo
Domenico Pozzovivo (classe 1983) era uno scalatore puro. Stava spesso sui pedali. Oggi è un coach preparatissimo

Dal professor Pozzovivo

Da quel che si evince, il Pellizzari scalatore fa più fatica sulle salite estreme, cioè con pendenze oltre il 13-14 per cento, dove andare di passo diventa complicato. Perché? Qui interviene Domenico Pozzovivo, che tra l’altro con Pellizzari ha anche corso alla VF Group-Bardiani.

«Sarebbe interessante poter vedere i suoi file – dice Pozzovivo – ma da quel che vedo e ricordo Pellizzari procede sempre seduto e su certe pendenze invece è importante riuscire ad alzarsi sui pedali. Se guardiamo bene lo fa anche Vingegaard e persino un regolarista come Almeida. Pellizzari ha uno stile suo, che in sella gli garantisce un altissimo livello come abbiamo visto in questa Vuelta, ma certo deve imparare a fare più fuorisella. Questo potrebbe essere determinante per Giulio».

Il fuorisella da sempre identifica lo scalatore puro, anche se questa figura sta scomparendo o comunque va trasformandosi. Alla fine i fisici come quello di Pellizzari vanno per la maggiore, magari un filo più bassi ai fini dei grandi Giri.

«Lo stare più fuorisella – riprende Pozzovivo – gli consentirebbe di avere anche un po’ più di strappo, di cambio di ritmo più netto. Prendiamo Isaac Del Toro: i due sono molto simili in salita, entrambi alti ed entrambi procedono tanto seduti, però quando il messicano si alza sui pedali riesce a esprimere più watt. La differenza è tutta lì».

Secondo Pozzovivo, Pellizzari dovrà passare molto tempo in piedi sui pedali per migliorare sulle pendenze elevate (immagine Instagram)
Secondo Pozzovivo, Pellizzari dovrà passare molto tempo in piedi sui pedali per migliorare sulle pendenze elevate (immagine Instagram)

Allenamenti ad hoc

Lo stesso Pellizzari aveva accennato al suo peso in relazione a certe pendenze. Parliamo di un ragazzo alto 183 centimetri per 66 chili, nella norma ma non pochissimi per essere uno scalatore. Pertanto l’altra domanda posta a Pozzovivo è stata: come può fare Giulio per migliorare nel fuorisella e quindi sulle pendenze estreme?

«Ci sono esercizi in palestra – spiega Pozzovivo – alcuni di forza, ma si può intervenire anche sulla posizione in bici, come l’altezza del manubrio o delle leve affinché sia più comodo quando è in piedi. Ma soprattutto, e lo sottolineo, dovrebbe costringere sé stesso a stare il più possibile in questa posizione, specie quando deve fare lavori specifici o intensi. Che poi paradossalmente era il mio problema… ma al contrario! Io ci stavo quasi troppo. Ma serve anche stare fuorisella. Deve abituarsi a esprimere alti wattaggi stando in piedi».

«Riguardo al peso, il grimpeur da 50 chili ormai non esiste più ed è più complicato per questi ragazzi stare tanto in piedi, però Jay Vine, che non pesa certo 50 chili, è la dimostrazione che si può stare tanto fuorisella».

Bernal e la dura rincorsa per riunire le gambe con la mente

29.05.2025
6 min
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BORMIO – Dodicesimo a 1’10” da Del Toro, Egan Bernal non riesce ancora a essere continuo. Il Mortirolo lo ha visto faticare più di quanto ci saremmo aspettati. E’ evidente che il colombiano sia sulla via del recupero, ma ancora manca qualcosa. Per la Ineos Grenadiers il bilancio è tuttavia positivo. Le loro storie sono intrecciate. L’incidente di Bernal ha privato la squadra del suo ultimo vincitore del Tour, aprendo per i britannici due stagioni di siccità, con la sola parentesi del Giro di Tao, passato nel frattempo alla Lidl-Trek.

Lo spiega molto bene Zak Dempster, direttore sportivo classe 1987, arrivato nel 2023 sull’ammiraglia della squadra britannica. E’ lui al Giro il riferimento di Bernal ed è lui a spiegare alcuni passaggi e ad offrirci diverse prospettive. «Se davvero il suo corpo gli permetterà di fare ciò che la sua mente vuole – dice – allora potrebbe essere davvero speciale».

Qualche giorno fa, Egan ha detto: «Siamo il Team Ineos, dobbiamo fare qualcosa!». Che cosa intendeva?

Penso che questa squadra abbia una storia gloriosa basata sulla vittoria. Quindi l’obiettivo deve sempre essere vincere ed è per questo che siamo qui e faremo tutto il necessario per cercare di raggiungere questo obiettivo.

Ti aspettavi di nuovo Bernal a un livello così alto?

Penso che abbia avuto un inizio davvero sfortunato. Veniva dalla Colombia, dove ha accumulato molta fiducia. Si è allenato senza il mal di schiena e, ad essere sinceri, si sentiva al settimo cielo. E anche noi avevamo piena fiducia in questo processo. Siamo arrivati in Catalogna e lui era ancora molto cauto a causa della clavicola, temendo di essere rientrato troppo presto. E da lì abbiamo mantenuto il piano di rimandarlo in Colombia per prepararsi, come stabilito inizialmente. E’ stato un rischio.

Col fiato strozzato dopo l’arrivo di Monte Berico, in cui ha chiuso 10° a 5 secondi
Col fiato strozzato dopo l’arrivo di Monte Berico, in cui ha chiuso 10° a 5 secondi
Perché?

Abbiamo discusso se includere il Tour of the Alps o il Romandia o qualcosa del genere. Poi abbiamo deciso di no, di avere fiducia che si sarebbe preparato nel modo giusto e penso che nelle ultime due settimane i segnali siano stati davvero buoni. Abbiamo sempre creduto che se tutto fosse andato bene, avrebbe potuto lottare per un risultato.

Trovi che in squadra si sia ricreata la mentalità del Team Sky di leader fortissimi come Froome e il gruppo tutto per loro?

E’ diverso, quella del Team Sky è una lunga storia. Ci sono ancora in giro delle persone che c’erano già allora, ma io ad esempio sono relativamente nuovo nella squadra. Sono nella mia terza stagione e penso che l’anno scorso non sia andata proprio bene. Bisogna essere realisti, gli ultimi tre mesi si sono trascinati a dismisura e questo alla fine ci ha aiutato a forzare il cambiamento.

La Ineos Grenadiers è stata rifondata. Qui Heiduk e dietro Castroviejo, che a fine anno lascerà il ciclismo
La Ineos Grenadiers è stata rifondata. Qui Heiduk e dietro Castroviejo, che a fine anno lascerà il ciclismo
In che modo?

Abbiamo fatto discorsi chiari perché finalmente tutte le persone che lavorano per questa squadra vogliano fare parte di qualcosa di speciale. Quest’inverno abbiamo riflettuto, abbiamo parlato di come corriamo, di come vogliamo comportarci. Abbiamo apportato anche alcuni cambiamenti in alcuni processi di preparazione.

E ha funzionato?

Abbiamo fatto un’analisi approfondita di cosa stiamo facendo. Ed è stato davvero bello vedere che ciò di cui abbiamo parlato è stato messo in pratica. Non è tutto perfetto, perché commettiamo errori e dobbiamo accettarlo. Ma allo stesso tempo, penso che possiamo essere davvero orgogliosi della mentalità e dello spirito che abbiamo portato. Ritengo che se continuiamo così – pensando in modo critico e valutando come stiamo andando e prendendo decisioni basate sulla vittoria – allora creeremo tutti qualcosa di cui essere davvero orgogliosi. In realtà lo stiamo già facendo.

Arensman sta vivendo la sua classifica personale, ma potrebbe mettersi a disposizione di Bernal
Arensman sta vivendo la sua classifica personale, ma potrebbe mettersi a disposizione di Bernal
Vedi Bernal come un leader o deve ancora guadagnare la fiducia dei compagni?

E’ un leader, per le sue azioni o quello che dice. Le sue parole hanno peso nei meeting. Abbiamo Arensman che è arrivato sesto in due Grandi Giri ed è uno che nella terza settimana si comporta bene come i migliori. Quindi abbiamo due carte da giocare e le manterremo, ma è probabile che uno dei due dovrà sacrificare il suo risultato per l’altro. Questa è una delle cose che ci stanno a cuore come squadra. Si fidano l’uno dell’altro, comunicano apertamente e gareggiano per vincere. Quindi sono sicuro che a un certo punto quella decisione arriverà e non peserà.

Parliamo di Egan: il suo ritorno sta nelle gambe o anche nella mente?

Penso davvero che se il suo corpo gli permetterà di fare ciò che la sua mente vuole, allora ne vedremo delle belle. Ha avuto forti problemi di mal di schiena: dopo l’incidente con il pullman, è fortunato a poter ancora camminare, figuriamoci correre. E’ stato un processo lungo e frustrante per lui, perché non sai mai cosa ti riserverà la vita. Ma da come l’ha gestita, ne è uscito più resiliente che mai

Bernal è al Giro mostrando finalmente sprazzi della vecchia intraprendenza
Bernal è al Giro mostrando finalmente sprazzi della vecchia intraprendenza
L’hai visto cambiare durante l’anno a fronte dei miglioramenti?

Sì, penso che lui sia ansioso di essere lì davanti e ha aspettato davvero tanto per tornarci. Era lì ogni settimana a competere con i migliori. Quando ha vinto il primo Tour, la maggior parte di noi era convinta che avrebbe continuato a vincerne altri. Poi ha vinto il Giro ed è stato chiaro che Egan fosse uno di quei 3-4 corridori più forti del gruppo. Ma la vita ti lancia delle sfide ed il suo è stato un lungo processo per tornare. In queste ultime tappe lo vedo desideroso di godersi il fatto di essere lì. Ma allo stesso tempo è un killer.

Un killer?

Ci dimentichiamo di come fosse all’inizio della carriera: competitivo con i migliori su finali di potenza e cose del genere. Ma penso che questi istinti si affineranno e quel giorno inizierà a ottenere anche delle vittorie.

Non è passata salita in cui Bernal non abbia provato ad attaccare Del Toro, che è stato però pronto a rispondere
Non è passata salita in cui Bernal non abbia provato ad attaccare Del Toro, che è stato però pronto a rispondere
Sentite come squadra di essere sulla porta di due giorni molto importanti?

Sì, sicuramente. Se si guarda al dislivello, la tappa di San Valentino è stata una delle più impegnative che abbiamo avuto nel Giro in questa terza settimana. Abbiamo già avuto alcune tappe decisive, ma ce ne sono state anche tante in cui abbiamo sofferto senza aspettarcelo. Cadute sotto la pioggia. Abbiamo avuto la tappa delle Strade Bianche che è stato un vero caos. La cronometro sul bagnato con tanto di caduta. Le prossime due sono le tappe più importanti. Due giorni davvero decisivi e penso che bastino 20 minuti ben fatti perché tutto possa ancora cambiare.

Scalatori ai raggi X: quali team hanno rinforzato i treni per la salita?

08.12.2024
7 min
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Il ciclomercato di quest’anno è stato particolare. Al netto dell’ultima “bomba” di mercato, riguardante il passaggio di Tom Pidcock dalla Ineos Grenadiers alla Q36.5, non ci sono stati enormi cambiamenti. O meglio, i cambiamenti ci sono stati ma sono stati concentrati in poche squadre. L’Astana-Qazaqstan per esempio ha subito una rifondazione, mentre un gran via vai ha interessato anche la EF Pro Cycling e la Soudal-Quick Step. In questa giostra, vogliamo concentrarci soprattutto su ciò che riguarda gli scalatori.

Quale team si è rinforzato di più? Qual è la squadra con il miglior treno in vista del 2025? Gli equilibri cambieranno o vedremo ancora la UAE Emirates dominare anche in salita? Non solo con Pogacar? Passiamo quindi in rassegna i team che hanno importanti uomini di classifica.

Per la UAE una scelta vasta di scalatori: dai grimpeur puri ai passisti scalatori. Alti, bassi, altissimi… davvero sembrano inattaccabili
Per la UAE una scelta vasta di scalatori: dai grimpeur puri ai passisti scalatori. Alti, bassi, altissimi… davvero sembrano inattaccabili

UAE ancora più forte?

La risposta all’ultima domanda è: molto probabilmente sì. La prima squadra al mondo non aveva bisogno di rafforzarsi quando la strada sale, eppure ci è riuscita. Come? Con il passaggio dal proprio devo team di Pablo Torres. Ora, con ogni probabilità, non vedremo Torres impegnato nei Grandi Giri o a fare l’ultimo uomo per Pogacar sulle salite del Giro o del Tour, ma è uno scalatore in più a disposizione dei tecnici UAE.

Ecco la rosa per la salita: Almeida, Del Toro, Torres, Majka, Ayuso, Christen, Grosschartner, McNulty, Sivakov, Vine, Soler e Adam Yates. Senza contare il giovane Arrieta, Novak e sua maestà Pogacar. In pratica, si potrebbero comporre tre formazioni distinte per altrettanti Grandi Giri, con più di un leader! Saranno quindi ancora loro i più forti? C’è da scommetterci.

Se parliamo di climber: è lui, Simon Yates, il pezzo forte del mercato di quest’anno
Se parliamo di climber: è lui, Simon Yates, il pezzo forte del mercato di quest’anno

Il gemello alla Visma

Ma per una UAE che lotta per mantenere alto lo scettro anche in salita, gli storici rivali della Visma-Lease a Bike rispondono con quello che, in termini di scalatori, è il vero colpo di mercato: l’acquisto di Simon Yates.

Con Vingegaard al 100 per cento, ma anche Van Aert, che non è uno scalatore ma va forte in salita, l’arrivo di Yates può dare un grande impulso ai gialloneri. Può essere l’uomo che fa la differenza nel momento di un attacco importante. Simon Yates potrebbe essere l’Adam Yates della situazione.
Oltre a questi tre nomi, gli scalatori di mister Plugge sono: il giovanissimo Nordhagen, Jorgenson, Valter, Uijtdebroeks e l’immenso Kuss. Saluta invece Bouwman.

Cresce bene anche il gruppo di scalatori per Remco: ottimo innesto quello del francese Valentin Paret-Peintre
Cresce bene anche il gruppo di scalatori per Remco: ottimo innesto quello del francese Valentin Paret-Peintre

Alla corte di Remco

Ecco poi la Soudal-Quick Step, che a nostro avviso, è la squadra che si è più rinforzata per quel che riguarda la salita. Non che sia ora la più forte, ma potrebbe aver ridotto il gap di parecchio. Ogni anno sembra che Evenepoel debba lasciare il team, ma poi arrivano sempre nuovi rinforzi. Dopo Landa, arrivato l’anno scorso, nel 2025 per dare manforte a Remco potrebbero essere schierati anche Garofoli, Valentin Paret-Peintre e Schachmann.

Oltre a loro, il treno Soudal-Quick Step per la salita vede capitan Cattaneo, Knox, Vansevenant e Van Wilder. Come i due precedenti team, ora anche Remco ha un treno più solido, anche se ha perso un uomo di esperienza (e di valore) come Hirt.

Dopo quello della UAE probabilmente il treno della Reb Bull di Roglic è il più forte, per nomi e numero di scalatori
Dopo quello della UAE probabilmente il treno della Reb Bull di Roglic è il più forte, per nomi e numero di scalatori

Tutti per Primoz

La Red Bull-Bora Hansgrhoe merita un discorso a parte in fatto di scalatori. Lo scorso anno, nel complesso, erano fortissimi: tolto Pogacar, in quanto a numero e qualità di scalatori, se la sarebbero giocata con la UAE. Quest’anno, però, si sono rinforzati più in altri settori e meno in salita.

Sono andati via Jungels, Buchmann, Schachmann, Kamna, Higuita, Palzer. E non sono nomi da poco. Certo, è arrivata una stellina alla quale, da italiani, siamo affezionati: Giulio Pellizzari.

Tuttavia, il gruppo scalatori del “Toro rosso” resta forte, anzi stellare: Roglic, Aleotti, Vlasov, Dani Martinez, Lipowitz e Hindley. Gasparotto e colleghi potranno dormire sonni tranquilli quando la strada sale. Gente come Hindley, Vlasov o Martinez potrà fare sia il passo che la sparata alla Adam Yates per l’attacco finale, o un gioco di squadra a due.

Giro 2023: Zana al lavoro per Dunbar, parte del treno Jayco è ben collaudato
Giro 2023: Zana al lavoro per Dunbar, parte del treno Jayco è ben collaudato

Jayco per O’Connor

È vero, loro hanno perso Simon Yates, ma hanno acquisito Ben O’Connor, sul podio della Vuelta e del mondiale. L’australiano si sente sempre più leader, alla Jayco-AlUla lo sanno bene, quindi lo sosterrà al meglio. Al suo fianco, ci saranno anche Bouwman e Double.

Questi tre atleti si uniscono a un pacchetto di scalatori già più che solido: Zana, Dunbar, Harper e De Marchi, che sa svolgere ottimamente il ruolo di gregario in salita quando serve. Certo, su carta pagano qualcosa rispetto a UAE e Red Bull, ma va detto che l’età media è piuttosto bassa e quindi ci si potrà lavorare.

Tolto Carlos Rodriguez, oggi lo scalatore più forte in casa Ineos è Arensman
Tolto Carlos Rodriguez, oggi lo scalatore più forte in casa Ineos è Arensman

Casa Ineos

E veniamo all’ex colosso del WorldTour. La squadra di Sir Brailsford sta vivendo una grande era di transizione. Senza più Pidcock, la stella su cui puntare è sempre Carlos Rodriguez. Lo spagnolo, seppur giovane, ha già mostrato la sua solidità.

Chi potrà aiutarlo l’anno prossimo? Nel complesso, la qualità dei corridori Ineos resta alta, anche per quanto riguarda gli scalatori. A dare loro manforte è arrivato Jungels, ma bisognerà vedere a che livello correrà. Per ora, le certezze in salita sono: Rodriguez, Arensman, De Plus, Thomas, Rivera e appunto Jungels. In più, ci sarebbe un asso nella manica, Egan Bernal, ma bisognerà vedere il suo livello. Un tempo anche Kwiatkowski tirava forte in salita, ma c’erano ben altri leader. L’intero ambiente era diverso. Di certo, rispetto a Red Bull-Bora Hansgrohe, UAE Emirates e Visma-Lease a Bike, Ineos paga qualcosa.

Zambanini e Tiberi, due vagoni del treno da salita della Bahrain-Victorious… che si rafforza con Lenny Martinez
Zambanini e Tiberi, due vagoni del treno da salita della Bahrain-Victorious… che si rafforza con Lenny Martinez

Bahrain d’assalto?

Altro team che può vantare un buon ventaglio di scalatori è la Bahrain-Victorious. Al loro arco si è aggiunta una freccia proprio quando il bersaglio è la salita: parliamo di Lenny Martinez. Il francese ha un’enorme voglia di mettersi in mostra, e in questa squadra potrà davvero trovare spazio. Con Antonio Tiberi, potrebbero formare una coppia interessante per il futuro.

Ecco quindi il treno di scalatori firmato Bahrain: Tiberi, Martinez, Buitrago, Pello Bilbao, Haig, Zambanini e capitan Caruso. Hanno perso un vagone importante, come Wout Poels, ma restano competitivi. Soprattutto, la gestione di Tiberi e Lenny Martinez risulta interessante. Sarà difficile vderli insieme però, perché è facile ipotizzare che uno correrà al Giro d’Italia e l’altro al Tour. Se però, in qualche corsa, riuscissero a lavorare insieme, la qualità del Bahrain in salita salirebbe di molto. E lo farebbero non tanto per il passo, ma perché due come loro possono attaccare. Pensiamo anche a Buitrago in tal senso.

La Israel-Premier Tech non ha un super leader ma ha tanti buoni scalatori. In maglia di campione canadese, Woods
La Israel-Premier Tech non ha un super leader ma ha tanti buoni scalatori. In maglia di campione canadese, Woods

Occhio alla Israel

E poi ci sono gli altri team, che hanno ottimi scalatori, ma non capitani che possono puntare troppo in alto nelle classifiche generali dei grandi Giri. Pensiamo alla Movistar di Enric Mas, per esempio, da sempre squadra votata alla salita: lì ci sono Mas, Formolo, Quintana, Pedrero, Rubio, Sanchez, ma raramente li abbiamo visti lavorare in modo corale.


Una corazzata che avrebbe anche uomini di classifica, ma non è super attrezzata per la salita (almeno non in modo specifico), è la Lidl-Trek. Ci spieghiamo: Ciccone va forte e lo stesso (si spera) per Tao Geoghegan Hart, ma poi i vari Oomen, Verona, Mollema, Skjellmose… è gente che va forte anche in salita, ma non sono scalatori puri. Magari sbaglieremo, ma facciamo fatica a vederli lavorare come un treno sui grandi valichi. Da segnalare però in positivo l’arrivo di Kamna, anche lui un atleta forte su più terreni.

Infine, l’Astana-Qazaqstan, la EF Pro Cycling e forse ancora di più la Israel-Premier Tech hanno molti scalatori. Ma saranno in grado di lavorare come un vero treno? E soprattutto, per quale leader? Tuttavia per la squadra israeliana, una piccola finestra la lasciamo aperta. Le presenze di Gee e Riccitiello, dato il grande progresso, potrebbero stimolare un buon treno in salita. In quel caso, gli scalatori non mancherebbero: Hirt, Frigo, Fuglsang, Lutsenko, Bennett. La qualità c’è, ma spesso è più di rimessa che per un’azione corale vera e propria.

Felt FR, pronta per sfidare qualsiasi salita

08.05.2024
4 min
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Innovazione, tecnologia e ricerca della velocità. Felt Bicycles presenta la sua ultima creazione: la nuova FR. Un modello pensato per performare al massimo quando la strada sale. Design ricercato in grado di unire stile e velocità in tutta la loro massima espressione. Il suo aspetto elegante e la geometria ottimizzata dal punto di vista aerodinamico la rendono performante nelle gare e nei percorsi con dislivelli importanti.

l design del movimento centrale elimina gli scricchiolii e offre un’opzione asimmetrica
l design del movimento centrale elimina gli scricchiolii e offre un’opzione asimmetrica

Design attivo

Classica, snella e aggressiva. La nuova Felt FR è caratterizzata da forme eleganti e combina al massimo estetica e aerodinamica. Il feeling di guida è infatti garantito da questo approccio costruttivo. Il nuovo design è frutto di anni di ricerca aerodinamica, studi di fluidodinamica computazionale (CFD) e test in galleria del vento. I profili dei tubi, in particolare quello obliquo e di sterzo, hanno un’aerodinamica ottimizzata in grado di migliorare la velocità della bicicletta riducendo al minimo la resistenza dell’aria. Il tubo superiore orizzontale riduce la superficie frontale e i volumi accuratamente ridotti nella zona del tubo di sterzo contribuiscono all’estetica snella e aggressiva della bicicletta.

Grazie al classico design a doppio diamante, la Felt FR garantisce la massima rigidità per una guida reattiva ed efficiente. Questa scelta progettuale assicura un efficiente trasferimento di potenza, reattività e stabilità, consentendo ai ciclisti di affrontare al massimo delle possibilità le accelerazioni in salita e gli sprint fuori sella.

Aerodinamica ottimizzata dal tubo di sterzo con forma a D
Aerodinamica ottimizzata dal tubo di sterzo con forma a D

Specifiche curate

Per ottenere il perfetto equilibrio tra rigidità e flessibilità, la nuova FR presenta foderi a sezione variabile. Questo design innovativo migliora il comfort del ciclista senza compromettere la reattività della bicicletta, offrendo vantaggi sulle lunghe distanze e sulle salite impegnative che richiedono sforzi fuori sella. Maggiore spazio per i pneumatici garantiscono un montaggio aperto fino a 30 mm secondo gli standard ETRTO. Questo non solo offre ai ciclisti la libertà di scegliere pneumatici più grandi per migliorare il comfort o la stabilità in curva, ma garantisce anche la versatilità in diverse condizioni stradali. Inoltre, è possibile allestire una gamma più ampia di set di ruote, e seguire le ultime tendenze di mercato con cerchi a canale più largo.

Il cockpit integrato, l’integrazione del reggisella nel telaio e il passaggio interno dei cavi sono progettati per ridurre al minimo la resistenza aerodinamica e ottimizzare le prestazioni. Il tubo di sterzo con forma a D è un’innovazione tecnica che consente di utilizzare il classico e sottile cuscinetto della serie sterzo da 1 1/8″ nella parte superiore e da – 1,5″ nella parte inferiore. Questo design garantisce una perfetta integrazione senza compromettere il volume del tubo sterzo, contribuendo ad un migliore aspetto e ad un’ottimizzata aerodinamica della bicicletta. Infine la Felt FR è dotata di un forcellino UDH più rigido e resistente, che offre una maggiore durata e facilità di sostituzione.

La nuova Felt FR è stata progettata per ospitare i gruppi meccanici
La nuova Felt FR è stata progettata per ospitare i gruppi meccanici

Leggerezza

Telaio in carbonio premium da meno di 900 gr per tutti i modelli. La Felt FR vanta un unico strato di carbonio, che garantisce resistenza e rigidità ottimali senza compromettere il peso. Ciò significa che qualsiasi versione, dal modello top di gamma che utilizza il gruppo Shimano Dura Ace Di2, a quello entry level con Shimano 105 meccanico, condivide lo stesso lay-up di carbonio premium. Un approccio nuovo, e che non si trova spesso nel mercato. L’utilizzo di una fibra di carbonio unidirezionale di alta qualità fa si che si raggiunga un equilibrio ideale tra rigidità e reattività

Queste scelte tecniche sui materiali migliorano l’esperienza di guida complessiva, offrendo ai ciclisti un elevato controllo e il massimo trasferimento di potenza senza dispersioni. Questo approccio ingegneristico si traduce in un telaio non solo notevolmente leggero ma anche robusto, che offre quindi un ottimo rapporto resistenza/peso. I prezzi vanno da 2.999 euro per la versione Shimano 105 meccanico fino agli 11.999 euro per la versione con Shimano Dura Ace Di2.

FeltBicycles

785 Huez: il telaio perfetto per vincere la salita

04.05.2024
3 min
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Look ha rimesso mano al suo telaio votato a chi cerca le massime prestazioni anche su salite lunghe e impegnative: il 785 Huez. Un telaio realizzato in fibra di carbonio che, grazie alla tecnologia della casa francese, è realizzato per soddisfare gli standard degli scalatori più esigenti. Risulta quindi leggero, reattivo e molto confortevole.

La particolarità di questo telaio è che incorpora tubi Nano, un design specifico volto a ridurre lo spessore e, di conseguenza, il peso. La rigidità rimane invariata, ma a guadagnarne è il ciclista che si trova una bici leggera ma sempre reattiva. Nei punti più delicati e importanti (foderi, tubo sterzo e movimento centrale) il telaio offre comunque una grande solidità. 

Disegnata sull’utente

Gli ingegneri di Look hanno incentrato la loro scelta su una fibra di carbonio ad alto modulo, con tubi sottili e arrotondati. Il trasferimento di potenza è senza eguali, sia che ci si alzi sui pedali o che si rimanga seduti. Il comfort non è stato messo in secondo piano, anzi, il telaio 785 Huez risulta ideale per chi vuole pedalare per tante ore. Lo spazio per i copertoni è stato ampliato, ora è possibile montare pneumatici con dimensioni fino a 32 millimetri. Una scelta che offre grande versatilità e una sicurezza maggiore in discesa. 

Il telaio 785 Huez offre integrazione completa dei cavi. Mentre gli assi, il movimento centrale e il reggisella sono pensati per combinare performance, semplicità di manutenzione e durabilità, senza compromettere le linee raffinate della bici. 

Le parole di Look

«L’ultima versione della 785 Huez – ha dichiarato Romain Simon, Bike Products Manager di Look – offre ai ciclisti le migliori prestazioni olistiche per lunghe giornate in montagna ed è stata progettata per accelerazioni esplosive su qualsiasi pendenza, offrendo allo stesso tempo ai ciclisti un’esperienza di guida senza precedenti per lunghe giornate in sella. Con la sua costruzione leggera e la tecnologia del carbonio all’avanguardia, crediamo che il 785 Huez consentirà ai ciclisti appassionati di raggiungere obiettivi personali misurandosi con le più grandi salite del mondo del ciclismo».

Look

Coppie per la salita. Per Pozzovivo è già scontro fra UAE e Visma

17.02.2024
5 min
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Il livello è sempre più stellare. Se pensiamo che un corridore come Adam Yates deve fare il gregario di Pogacar in salita, ogni cosa si spiega da sola! Proprio da questo spunto e vedendo il ciclomercato di questo inverno, vogliamo fare un’analisi delle migliori coppie per la salita.

Un’analisi nella quale ci conduce Domenico Pozzovivo. Il “Pozzo” è super tecnico e soprattutto è uno scalatore che con questi grandi campioni ci corre. Adam Yates e Tadej Pogacar dunque. Ma anche Sepp Kuss e Jonas Vingegaard. Mikel Landa e Remco Evenepoel…. chi sono i più forti?

Pozzovivo e Nibali a ruota. Il lucano e il siciliano hanno formato una formidabile coppia per la salita
Pozzovivo e Nibali a ruota. Il lucano e il siciliano hanno formato una formidabile coppia per la salita
Domenico, partiamo da queste tre coppie…

Sono tutte molto forti, specie le prime due. Difficile stabilire quale sia la migliore, perché comunque presentano delle differenze.

Analizziamole queste differenze. Partiamo da Kuss e Vingegaard?

E’ la coppia migliore per le salite lunghe. La loro squadra, la Visma-Lease a Bike, è ben attrezzata per i tapponi. E loro due in particolare si esaltano su questo tipo di scalate e quando ci sono dislivelli estremi. Sono molto adatti alle pendenze più arcigne. Vediamo tutti la facilità di passo che ha Kuss in salita, come si muove in gruppo. Dal suo lavoro partono le azioni top di Vingegaard. Li vedo molto a loro agio.

Adam Yates e Pogacar…

Gli UAE Emirates in quanto a brillantezza sono la coppia killer. Forse sono anche i più completi, perché anche se sulle salite lunghissime pagano qualcosa rispetto ai Visma, sono più forti su quelle brevi. Sono entrambi due corridori più esplosivi.

Ci sono poi Remco e Landa. Come ti sembrano?

Loro costituiscono la coppia più imprevedibile. Nella giornata secca, se sta bene, Remco è il più forte di tutti. Ma entrambi non danno totale affidamento nelle tre settimane. Ogni tanto hanno degli alti e bassi, si somigliano parecchio in tal senso. Però Landa ha esperienza e potrebbero completarsi alla Soudal-Quick Step.

Algarve 2024: prime prove per Landa e Remco. A sua volta lo spagnolo è protetto da Knoxx prima di entrare in azione
Algarve 2024: prime prove per Landa e Remco. A sua volta lo spagnolo è protetto da Knoxx prima di entrare in azione
L’ultimo uomo in salita incide come l’apripista del velocista?

Conta, eccome. E’ un riferimento per il capitano e deve capire cosa vuole il suo leader. Non tutti infatti amano stare in seconda o terza posizione, altri preferiscono avere un approccio più conservativo alla salita. L’ultimo uomo per la salita deve destreggiarsi diversamente. Sono meccanismi diversi sul passo e sul proporre l’azione.

Cioè?

Ci sono leader che prima dell’attacco preferiscono gli venga impostato un passo molto forte nei 2′-3′ prima dell’affondo. E chi invece preferisce un ritmo meno intenso per poter fare un’azione più brusca. A questi meccanismi ci si abitua stando parecchio dentro la squadra, con le corse. E potrebbe essere lo svantaggio di Remco e Landa.

A tal proposito c’è anche un’altra coppia che può fare molto bene ed è quella della Bora-Hansgrohe: Alex Vlasov e Primoz Roglic. Cosa pensi di loro?

Vlasov e Roglic sono le tipiche persone che a prima vista non sono loquaci, ma quando prendono fiducia e si aprono sono invece espansive. Tecnicamente, sono la coppia che corre di rimessa, pronta a sfruttare i punti deboli degli altri. Questo soprattutto per le caratteristiche di Roglic. Primoz ama stare coperto e quasi mai è il primo a muoversi. Lui, e in questo mi ricorda molto Purito Rodriguez, sa di avere un ottimo finale. Quindi calibra il suo attacco violento in base alle energie e alla distanza. Anche io spesso ragionavo in questo modo. Nel 2012-2013 sapevo che avevo quell’autonomia, quel minutaggio per l’attacco e mi regolavo di conseguenza. Spesso vediamo Roglic attaccare negli ultimi 1.500 metri.

Veniamo in Italia: Damiano Caruso e Antonio Tiberi…

Anche tecnicamente i due della Bahrain-Victorious sono corridori simili nella capacità di esprimersi in salita. Sono due regolaristi. Vanno bene sulle scalate lunghe. Si adattano bene l’uno all’altro sotto questo punto di vista. Certo, in questa coppia c’è un grande dislivello di esperienza. C’è un maggiore flusso d’informazioni da Caruso a Tiberi. Intendo che più che in altre coppie il pallino della situazione sarà molto più spesso in mano a Damiano, anche sul posizionamento in gruppo.

Il metodo Sky: ritmi folli. Il leader attaccava alcuni minuti dopo che rano rimasti in 5-6 corridori al massimo
Il metodo Sky: ritmi folli. Il leader attaccava alcuni minuti dopo che rano rimasti in 5-6 corridori al massimo
Altre coppie di vertice? Alla Ineos-Greandiers Thomas non ha più un uomo così fidato. Ciccone e Geoghegan Hart non dovrebbero correre spesso insieme…

Io trovo interessante un’altra coppia italiana: Piganzoli e Fabbro della Polti-Kometa. Loro però hanno un focus diverso: le tappe e non la generale e l’approccio cambia parecchio. Non devono stressarsi sempre. Non devono prendersi dei rischi inutili limando anche nei finali in pianura. Possono stare lontani dalle mega cadute. Possono mollare. Credo che difficilmente li vedremo lavorare insieme, ma sono paralleli: un giorno può andare in fuga uno e un giorno l’altro. Questo può essere il loro vantaggio.

Possono risparmiare energie?

Esatto. Nel ciclismo moderno si è visto come a certi livelli si aspetta un po’ prima di mollare del tutto. Oggi l’ultimo uomo per la salita è un po’ una seconda punta. La prova l’abbiamo avuta all’ultimo Tour proprio con Yates e Pogacar. Tadej non ha vinto, ma in UAE sono riusciti a piazzare un secondo atleta sul podio. In questo caso l’uomo per la salita esce da certe dinamiche di squadra. Magari in pianura non deve coprire o badare al capitano e sprecare energie, ma può salvarsi per conto suo. Restare coperto.

Nel ruolo di ultimo uomo per la salita, la scuola Ineos ha segnato un punto: ritmi estenuanti prima dell’attacco. Anche voi capivate quando stavano per attaccare?

Quello sicuramente è il modo più “facile” per preparare un attacco, ma non era il solo. Per esempio, quando lavoravo per Nibali, lui voleva un ritmo forte ma non impossibile. Preferiva fare lui una differenza netta di passo. Quel metodo che dite voi è la scuola Ineos o Sky e l’emblema era Froome. Era il più forte e partiva quando ormai il gruppo era ridotto a 5-6 unità. Era uno scatto telefonato, ma non ci potevi fare nulla. Erano i più forti.

Magnaldi, in salita non si scherza: «Scalatori si nasce»

19.12.2023
6 min
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OLIVA (Spagna) – Erica Magnaldi è un medico e anche un’atleta. Anzi, al momento è un’atleta che ha studiato per diventare medico e alla fine ha preferito inseguire il sogno di bambina di conquistare i cinque cerchi. All’inizio lo strumento per raggiungerli fu lo sci di fondo, oggi ha la forma di un manubrio ricurvo sopra due ruote sottili e veloci. Purtroppo il percorso di Parigi 2024 non le si addice troppo, anche se non sarà mai lei a chiamarsi fuori. Nel frattempo però ha messo nel mirino quello dei mondiali di Zurigo, che invece sarà ben più ricco di salite. E dice sorridendo che se nel 2028 il percorso sarà duro e lei ancora in forma, tornerà a pensarci.

Erica Magnaldi infatti è una scalatrice, ne ha lo sguardo e la schiettezza. Lo scalatore guarda lontano, per scorgere la traccia della strada sul fianco della montagna e capire quanta fatica gli costerà raggiungere la vetta. La fatica a Erica non ha mai fatto paura. Anzi, il suo preparatore Dario Giovine dice che più le fatiche si sommano e meglio la piemontese si trova. Quello che forse non era stato ben considerato quest’anno è stato che tra le fatiche del Giro e quelle del Tour c’erano soltanto tre settimane: poche per dire di averle smaltite completamente. Così per il prossimo anno, ferma restando la voglia di riprovarci, l’idea sarà di fare classifica in uno e dedicarsi alla squadra e alle tappe nell’altro. In entrambi i casi, ci sono due mostri che la guardano con occhio maligno e insieme seducente. Il Block Haus in Italia, l’Alpe d’Huez in Francia.

Il 25 ottobre 2018, Erica Magnaldi si laurea in medicina, viene dal fondo e corre alla BePink (foto Instagram)
Il 25 ottobre 2018, Erica Magnaldi si laurea in medicina, viene dal fondo e corre alla BePink (foto Instagram)
Pensi che la tua laurea in qualche modo ti aiuti a fare sport?

Sicuramente, in parte anche nella maniera di affrontare le sfide e la competizione. Aver passato tanti anni sui libri e quindi aver capito che senza fatica, senza impegno quotidiano e organizzazione non si ottiene niente, è qualcosa che poi ho traslato anche nell’ambiente dello sport. E poi diciamo che a volte mi permette di capire alcuni aspetti dell’allenamento e della nutrizione in maniera più approfondita e di continuare anche in quest’ambito la mia formazione. Se mentre ero una studentessa a medicina, mi avessero detto che un giorno avrei puntato a far classifica al Tour de France, non ci avrei neppure riso, probabilmente semplicemente non ci avrei creduto.

Block Haus e Alpe d’Huez, Giro e Tour: se tu potessi scegliere seguendo il gusto o la fantasia?

Quando la strada del Tour è stata rivelata, mi ha subito attratto molto, anche perché sono salite abbastanza vicine a dove vivo. Le sognavo già dall’anno scorso, speravo che quest’anno il Tour sarebbe arrivato a toccare le Alpi e così è stato. Quindi sicuramente sulla tappa dell’Alpe d’Huez un bel cerchio rosso l’ho messo. Una volta andai a vedere una gara di mio fratello e ne feci un pezzo, mentre il resto lo finimmo in macchina. Però sicuramente andremo a studiarla per bene.

«Quando sono sola in salita, riesco a staccarmi da telefono e computer e stare con me stessa» (foto Instagram)
«Quando sono sola in salita, riesco a staccarmi da telefono e computer e stare con me stessa» (foto Instagram)
Giro, Tour e tutto il resto. Vista questa ricchezza di impegni, che inverno stai vivendo?

Per adesso, non sento troppa pressione. Sto cercando semplicemente di affrontare gli allenamenti nel miglior modo possibile, seguendo i carichi in maniera graduale, lavorando giorno per giorno, settimana per settimana, senza anticipare gli impegni della stagione. So già che sarà un anno impegnativo, perché prima dei grandi Giri parteciperò a delle gare importanti.

Quando un allenamento è ben riuscito?

Quando torno a casa e mi sento proprio di aver lavorato, quindi sono stanca. Magari ho un po’ di mal di gambe, ma sono riuscita a fare i watt e i numeri richiesti dall’allenatore, a fare le ore e l’intensità previste dal mio programma. Quando è così, sono soddisfatta. Io tendenzialmente sono abbastanza precisa, a volte quasi ossessiva/compulsiva (ride, ndr). Se rientro e ho due minuti in meno, magari giro intorno a casa fino a quando non ho raggiunto il tempo stabilito. Di solito, se posso, faccio qualche minuto in più, mai in meno. Altrimenti non mi sento soddisfatta.

Abbiamo incontrato Erica Magnaldi nell’hotel del UAE Team ADQ a Oliva
Abbiamo incontrato Erica Magnaldi nell’hotel del UAE Team ADQ a Oliva
Che cosa significa ritrovarsi a scalare una montagna in solitudine?

Io amo molto pedalare in salita, spesso a casa mi alleno da sola e non mi pesa. Anzi sono quelle poche ore al giorno in cui sono completamente scollegata dal telefono e dal computer. Ho anche il modo di conversare soltanto con me stessa e pensare. Spesso non uso neanche la musica, mi piace proprio prendere questi momenti per riflettere, per pensare o anche soltanto per apprezzare i luoghi in cui sto pedalando. Le salite sicuramente sono le parti che apprezzo di più del percorso. Far fatica, arrivare in un punto con un bel panorama, poi apprezzare la discesa è qualcosa che nel piccolo di tutti i giorni mi dà una grande soddisfazione.

Il fatto di pensare sparisce o si trasforma quando sei in gara?

In gara ovviamente si pensa, si pensa molto. Si cerca di rimanere concentrati in ogni momento. Io in particolare, proprio perché non sono nata già da ragazzina nel gruppo, non mi sento mai del tutto rilassata. Tendo a essere sempre molto concentrata e sempre attenta a evitare possibili rischi o capire quando è il momento di essere più avanti. Ci sono sicuramente molti pensieri, ma sono diversi da quelli dell’allenamento. In generale cerco sempre di costringermi a pensare in maniera positiva, a credere nelle mie capacità. Mi auto incito, molto spesso mi trovo a dirmi frasi tipo: «Ce la puoi fare». Sono cose che mi aiutano a sopportare la fatica.

«Anche in corsa penso quando sono in salita, ma si tratta di incitarsi e restare concentrata»
«Anche in corsa penso quando sono in salita, ma si tratta di incitarsi e restare concentrata»
Che cosa si prova quando sei a tutta e di colpo gli altri restano indietro?

Non capita troppo spesso, però qualche volta è successo ed è probabilmente uno dei momenti più belli nel nostro sport. Uno di quelli per cui si lavora sodo e, quando effettivamente succede, ti ripaga di tutta la fatica che hai fatto.

Si ha mai la voglia di mollare?

A volte si sta soffrendo talmente tanto, che semplicemente ti viene da dire: «Basta, mi arrendo, mollo». Se invece in quel momento si ha la forza mentale di soffrire ancora per un chilometro, per altri cinque minuti, quello spesso può fare la differenza tra una vittoria e un posto fuori dal podio.

Ti è mai capitato di mollare e poi di mangiarti le mani perché mancava davvero poco?

Sì, più di una volta dopo la gara mi è capitato di pensare che se avessi stretto ancora un attimo i denti, magari ce l’avrei fatta. A posteriori è sempre facile pensare che bastavano 10 secondi in più, che bastava tenere un attimo più duro quando stavo davvero soffrendo, con le gambe che bruciavano. Ma quando ci sei dentro, continuare non è facile come parlarne.

«La corsa in salita è una sfida con le avversarie e con la propria capacità di farsi del male». Qui al Tour, sul Tourmalet
«La corsa in salita è una sfida con le avversarie e con la propria capacità di farsi del male». Qui al Tour, sul Tourmalet
Allo scalatore la fatica deve piacere più che ad altri?

Ridendo, dico sempre che in un’altra vita avrei voluto nascere velocista, perché la vita dello scalatore è veramente dura. Non sto assolutamente sminuendo il lavoro, le capacità e l’abilità che deve avere un velocista, anzi li ammiro tantissimo. Però sicuramente le opportunità che abbiamo sono minori e per coglierle bisogna ogni volta spremersi fino al limite e spesso superarlo. Molto spesso quando si battaglia su una salita, al di là delle forze in campo, è una lotta contro il riuscire a sopportare il dolore e la fatica. E’ spingersi un pochino oltre ed è qualcosa che devi avere dentro. Penso che scalatori si nasca: al di là delle caratteristiche fisiche, è proprio una caratteristica mentale di saper sopportare il dolore e stringere i denti un po’ più degli altri.

Monte Grappa: analisi, ricordi e numeri con Fabio Aru

24.10.2023
5 min
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«Quel giorno sul Grappa c’era un grande tifo. Il supporto del pubblico fu tantissimo. Io poi ero giovane ed erano le prime volte che mi affacciavo ai piani alti delle classifiche. In più non mi funzionava la radiolina. Ad un certo punto “Martino” mi urlò dall’ammiraglia che ero sul filo con Quintana e allora andai ancora di più a tutta». Fabio Aru ricorda così la scalata del Monte Grappa.

Era la 19ª tappa del Giro d’Italia del 2014 e quell’anno una cronometro individuale portava da Bassano alla vetta del Grappa appunto, passando da Semonzo. Lo stesso versante che si affronterà, per due volte, nella prossima edizione della corsa rosa. 

«In carriera ho scalato tre versanti del Grappa – dice Aru – di quel giorno ricordo che cercai di trattenermi nei primi 7-8 chilometri di pianura e poi mi scatenai in salita, soprattutto dopo il cambio di bici. Ero partito con quella da crono. Io non ero tipo da fare troppi calcoli o sopralluoghi. E anche quella mattina ricordo che visionai in bici solo un pezzetto, poi il resto lo feci in macchina. Preferivo prestare più attenzione ad aspetti come quello dell’alimentazione, per dire».

Fabio Aru impegnato sul Grappa. Era il 30 maggio 2014 e dopo quella scalata il sardo guadagnò il podio del Giro
Fabio Aru impegnato sul Grappa. Era il 30 maggio 2014 e dopo quella scalata il sardo guadagnò il podio del Giro

Come l’Alpe Huez

I dati ufficiali della salita dicono che è lunga 18,1 chilometri, che ha una pendenza massima del 17 per cento e una media dell’8,1, per un dislivello pari a 1.475 metri. Fino a Campo Croce, metà salita, la strada è abbastanza stretta, nella vegetazione, e si conta una ventina di tornanti. Poi lo scenario si apre sempre di più… Anche fino a scorgere il campanile di San Marco a Venezia, ma non è certo questa l’occasione per ammirare la Serenissima!

«Si tratta di una salita dura – prosegue Aru – ma soprattutto lunga. Le pendenze non sono impossibili tipo uno Zoncolan. Il Monte Grappa ricorda quasi una scalata del Tour, ma è proprio la sua lunghezza a far sì che non passi “inosservata”.

E guarda caso la pendenza media del Monte Grappa dal versante di Semonzo è identica a quella dell’Alpe d’Huez, che in Francia è un totem. 

«La prima parte, se ben ricordo, è quella che tirava di più, poi nella parte centrale c’erano dei tratti in cui ti faceva respirare un po’. E di nuovo era molto dura nel finale». 

Il profilo del Grappa da Semonzo che il prossimo Giro affronterà due volte, prima di planare su Bassano
Il profilo del Grappa da Semonzo che il prossimo Giro affronterà due volte, prima di planare su Bassano

Quasi un’ora

Ma come diceva Aru la caratteristica principale del Monte Grappa è la sua lunghezza. La salita è piuttosto regolare e le pendenze raramente vanno in doppia cifra. L’effetto quota poi è limitato visto che non si toccano i 1.700 metri.

«Parliamo di uno sforzo di circa un’ora e anche alimentarsi sarà importante. Rispetto ai miei tempi – spiega Aru – anche se sono passati pochi anni, sono stati fatti passi da gigante su questo campo. Oggi si usa molto di più l’alimentazione liquida, con malto e gel. Alimentarsi servirà senza ombra di dubbio, poi saranno i team a definire al dettaglio questi aspetti».

Quali rapporti?

C’è poi un altro discorso legato alle pendenze, quello dei distacchi e delle differenze. E’ vero che non ci sono molti tratti sopra al 10 per cento, ma proprio per questo ci si possono attendere delle velocità non bassissime. E questo porta con sé altri ragionamenti tecnici.

«Sinceramente non ricordo di preciso a quanto salissi, anche perché sul computerino non tenevo sott’occhio i watt. Ricordo però che all’epoca in Astana avevamo il Campagnolo e di sicuro avevo la corona da 39 con la cassetta posteriore 11-29. Ovviamente il 29 non l’ho mai utilizzato. Al massimo ho usato il 21 nei tratti più duri e poi a scendere negli altri. E quando spingi questi rapporti, su queste pendenze che non sono quelle di uno Zoncolan i distacchi possono essere alti. Stare a ruota può aiutare tantissimo».

Con queste velocità, chi è al gancio potrebbe davvero sfruttare al massimo la scia e salvarsi. Ma se si aprisse un buco ecco che il divario di velocità sarebbe subito importante.  La questione è delicata quanto interessante.

La doppia scalata da Semonzo è inserita nella Alpago – Bassano del Grappa, 20ª tappa del prossimo Giro
La doppia scalata da Semonzo è inserita nella Alpago – Bassano del Grappa, 20ª tappa del prossimo Giro

Vam, velocità, tattica

Tattica e non solo gambe. Aru sottolinea questo aspetto molto importante. E’ presumibile che viste la VAM (velocità ascensionali medie) attuali, la scalata potrebbe durare 54′-58′, il che significa una velocità media sul filo dei 20-21 all’ora.

Per farci un’idea. Quintana vinse quella crono con 17” su Aru e impiegò 1h05’37” alla media di 24,5 chilometri orari, compreso però il tratto pianeggiante di 8 chilometri, che i big come Nairo, impiegarono in circa 9′. Pertanto la scalata di Quintana fu di 56′, pari ad una VAM di 1.580 metri/ora, la stessa identica VAM di Pogacar e Vingegaard sul Ventoux nel 2021 al Tour, tanto per individuare una salita di durata simile.

Ma quella era una cronoscalata. Quindi corridori a tutta per tutto il tempo, gambe fresche. Stavolta ci si arriverà in gruppo, ci sarà anche una componente tattica. Quindi veramente si potrebbe salire per un’ora.

Il tutto senza considerare il fattore vento. Nelle giornate “normali” si avverte solo nel finale, quando si è in prossimità della vetta. Ci sono davvero dunque tutti i presupposti per godersi un grande spettacolo e soprattutto che questa montagna possa davvero essere decisiva ai fini della maglia rosa.