La Vuelta 2026

Una Vuelta “mediterranea” ma tremenda, vero Aru?

18.12.2025
7 min
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Adesso la lista è completa. Dopo il Tour de France e il Giro d’Italia, anche la Vuelta svela il suo percorso. E a guardare la planimetria dell’81ª edizione sembra quasi di vedere un vecchio Giro del Mediterraneo: tutta vicino alla costa. E a ribadirlo è stato lo stesso patron della corsa roja, Javier Guillen: «Sarà un’edizione molto mediterranea, dall’inizio alla fine. Monaco darà un via prestigioso a un percorso che visiterà città storiche, salite mitiche e passi inediti, prima di concludersi in una cornice unica come l’Alhambra».

Come sempre a disegnare il tracciato iberico è l’ex pro’ (scalatore) Fernando Escartín che, stavolta, pur senza i nomi più altisonanti come Angliru, Bola del Mundo o Lagos de Covadonga, ha regalato un’edizione tremenda in quanto a durezza: 3.310,6 chilometri e oltre 58.000 metri di dislivello. Una cronometro di 32,5 chilometri e sette arrivi in quota.

E da uno scalatore a un altro. Noi passiamo infatti a Fabio Aru per commentare questa Vuelta. Lui che è stato l’ultimo italiano ad averla conquistata, nel 2015. E che ieri era alla presentazione del Grande Giro spagnolo. «E’ una Vuelta dura – commenta il sardo – come d’abitudine del resto, e che a me sarebbe piaciuta moltissimo. Vero, c’è tanto Sud come si vede dalla planimetria e questo può essere un elemento in più. Sud della Spagna vuol dire caldo, tanto caldo… anche a settembre. Io ricordo dei ritiri sulla Sierra Nevada a febbraio con 20 gradi».

Fabio Au ha conquistato la maglia roja nel 2015, quando era nelle fila dell’Astana
La Vuelta 2026
Fabio Au ha conquistato la maglia roja nel 2015, quando era nelle fila dell’Astana

Start da Monaco

Si parte dal Principato di Monaco e proprio lì è stata presentata la Vuelta. Lo show, perché di show si è trattato, è andato in scena nella prestigiosa Salle des Étoiles del Monte-Carlo Sporting ed è stato un vero e proprio evento, capace di alternare sport, racconto e intrattenimento.
Dopo le partenze italiane che hanno segnato la storia recente della corsa, la Vuelta prosegue nel suo percorso internazionale, così come Monaco stessa. Il Principato infatti aveva già ospitato il Giro d’Italia del 1966 e il Tour de France del 2024.

Chiaramente non poteva mancare il Principe Alberto II, che ha espresso grande soddisfazione per l’arrivo de La Vuelta nel Principato. Tra l’altro era stato presente anche a Pechino: «Monaco è stata nel 2025 Capitale Mondiale dello Sport e questo sottolinea quanto i valori sportivi siano profondamente radicati nella vita monegasca».

Si parte con una crono. E poi ce ne sarà un’altra. Quanto sarà il peso di queste frazioni contro il tempo? «Ormai gli uomini di classifica vanno tutti forte a crono (con Remco che ha qualcosa in più, ndr). Fra tutte e due immagino distacchi di 20″-30″. Per dire, quando le facevo io era diverso. L’anno che vinsi la Vuelta Dumoulin mi rifilò 2′ in 30 chilometri più o meno!»

La Vuelta 2026
Il Principe Alberto II e il patron della Vuelta, Javier Guillen
La Vuelta 2026
Il Principe Alberto II e il patron della Vuelta, Javier Guillen

Subito crono… e salite

La prima tappa è quindi una cronometro di 9 chilometri nel Principato, in pratica sulle strade del GP di Formula 1. Già qui qualche distacco potrebbe esserci. Il giorno dopo va in scena la frazione più lunga, la Monaco-Manosque di 215 chilometri, mentre quello successivo propone già il primo arrivo in quota, a Font Romeu. Nulla di impossibile, tuttavia si sfiorano già i 2.000 metri di altitudine.

E il giorno dopo ancora salite, e che salite. C’è infatti una tappa tutta andorrana di appena 104 chilometri ma con scalate come l’Envalira e Ordino. Il dislivello si avvicina ai 4.000 metri.

La prima settimana si chiude con altre due frazioni toste: la settima con arrivo sull’Aramón Valdelinares e la nona con l’Alto de Aitana, sulla Costa Blanca.

«Ci sono salite e tanto dislivello qua e là – spiega Aru – e questo può creare scompiglio, mettere fatica nelle gambe. Se manca un salitone monster? Guardate che il dislivello complessivo è tanto per davvero.

«Ma ci sono anche tante tappe intermedie e certe frazioni potrebbero creare più scompiglio di altre arrivi in salita lunghi. Ritmi folli, tappe corte e grande caldo… Anche questo potrebbe essere un punto di vista tattico importate. Sono frazioni che possono fare danni».

Seconda settimana corposa

E’ forse la più facile sulla carta, ma di certo la più insidiosa: parliamo della seconda settimana. Ci sono almeno due tappe ondulate che potranno creare scompiglio, specie se ci fosse vento forte o maltempo. Siamo nelle zone a sud di Valencia e il vento potrebbe non mancare.
Calar Alto (lungo più di 33 chilometri), preceduto dal Velefique, potrà essere un primo vero, grosso giudice di questa Vuelta. Due giorni dopo, sulla Sierra de La Pandera, altro arrivo in quota, molte cose in più si sapranno. Siamo oltre metà Vuelta e chi ha gambe si farà vedere.

La seconda settimana si chiude con la frazione, intrigante, di Córdoba. Si annuncia un arrivo in volata, ma prima gli strappi non mancano. Pensando a quel che ci ha detto Primoz Roglic pochissimi giorni fa, e cioè che vi punta, questo potrebbe essere il passaggio più delicato per lo sloveno. Altro big annunciato al via è Joao Almeida. Mentre non si sa cosa farà il campione uscente, Jonas Vingegaard… il quale sembra dirottato sul Giro prima e sul Tour poi.

«Non conosciamo ancora il calendario di Vingegaard – va avanti Aru – ma sappiamo che ci sarà Almeida. Joao l’anno scorso ha disputato una super Vuelta, quindi questa potrebbe essere la sua grande opportunità. Solo il danese lo aveva battuto e per poco.

«Riguardo a Roglic, lui ne ha già vinte quattro e sa bene come si fa. Magari è in cerca di riscatto di questa stagione. A Pogacar poi è una delle pochissime gare che mancano in bacheca. Le contavo giusto l’altro giorno: saranno tre o quattro! Per me potrebbe farci un pensierino. Semmai posso dire che mi piacerebbe vedere Pellizzari. E Giro e Vuelta è una calendario che ci sta bene: mi piacerebbe vederlo sul podio».

Jonas Vingegaard è il campione uscente. L’anno scorso precedette Almeida e Pidcock
Jonas Vingegaard è il campione uscente. L’anno scorso precedette Almeida e Pidcock

Verso Granada

Ma torniamo a scoprire la Vuelta 2026, per i nomi ci sarà tempo visto che lo start è previsto il 22 agosto prossimo.

La terza settimana si apre in progressione: due tappe per sprinter, probabilmente le ultime. Poi ecco la grande cronometro di questa Vuelta: 32,5 chilometri a Jerez de la Frontera, una prova per veri specialisti. Il percorso è molto veloce.
Jerez de la Frontera è il terzo nome legato al motorsport: si parte sulle strade del GP di Monaco, si arriva a Jerez e non si va a Madrid, impegnata con il primo GP di Formula 1 della sua storia.

Archiviata la parte F1 e la cronometro, spazio a salite, salite e ancora salite. Penas Blancas Estepona è l’arrivo in quota della frazione 19, mentre Collado del Alguacil è quello della ventesima: 8,3 chilometri al 9,8 per cento di pendenza media. Si tratta di due tappe lunghe, entrambe oltre i 200 chilometri, e molto esigenti prima del finale. In totale sfiorano i 10.000 metri di dislivello complessivi. In particolare quest’ultima salita si annuncia davvero tosta. Sarà un grande spettacolo, anche paesaggistico: siamo infatti nella Sierra Nevada, la regina delle montagne spagnole.

Occhio poi alla frazione finale. In conferenza stampa la rampa dell’Alhambra è stata già ribattezzata la Montmartre di Granada. La tappa 21 non sarà una passerella: appena 99 chilometri, ma ricchi di strappi e curve. E se i distacchi saranno minimi, ne vedremo delle belle.

«Conosco bene il Sud della Spagna – conclude Aru – e credo davvero che il gran caldo potrà incidere: sarà un fattore. E poi il dislivello. Prima si diceva che mancano salite monster, ma una tappa come la penultima con la Sierra Nevada ha 5.200 metri di dislivello e quando si superano quei numeri, ma anche dopo 4.000 metri, cambia tutto. Per di più arriva alla 20ª tappa. Anche se non ci saranno pendenze e si salirà veloci importanti i distacchi ci saranno».

Tourmalet, ci siamo: per Remco primo test sulle salite lunghe

08.09.2023
5 min
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«Le montagne molto lunghe sono ancora un punto interrogativo. Penso che la settimana scorsa ho dimostrato di andare bene nelle salite di 30 minuti. Il prossimo test sarà su salite di 45 minuti-un’ora. Rimane la domanda su come risponderò quando le montagne saranno una dietro l’altra. Non resta che aspettare e vedere…». Così Remco Evenepoel nel giorno di riposo ha messo le mani avanti e mostrato un timore neanche troppo velato su tappe come quella che affronteranno oggi che vedono l’arrivo posto su ascese mitiche come il Tourmalet

Una Vuelta in bacheca nessuno gliela può toccare e basterebbe quella per spazzare via ogni dubbio. La corazzata Jumbo e quei 5 minuti di buco sullo scatto di Roglic però, hanno fatto scricchiolare quella figura inscalfibile e granitica che Remco si è costruito. E’ vero non resta che vedere, ma con Pino Toni, preparatore della Bardiani, abbiamo provato ad analizzare alcuni scenari possibili. 

E’ vero che quest’anno non si è ancora misurato su salite di questo tipo in un grande Giro. Ma un corridore come Evenepoel può avere timore di queste famigerate salite lunghe?

Sicuramente le farà forte, sopra quella che è la media normale dei professionisti, lo può fare tranquillamente. Il problema è vedere come la faranno gli altri. Purtroppo abbiamo a che fare con una squadra come la Jumbo. Basta pensare a Kuss, una persona abituata a tirarle quelle salite lì, figuriamoci se sta a ruota. Se fosse un “uno contro uno“ secondo me Remco, potrebbe anche non averne paura.

Lunedì ha detto: «Ho avuto 5 minuti in cui non riuscivo a fare velocità, nel momento in cui Roglic ha attaccato». Può essere stato un segnale d’allarme che lo ha preoccupato?

Nell’economia di una giornata ci sta non avere lo spunto per chiudere una situazione di quel tipo. Se si va a vedere, ha perso la ruota e avrebbe dovuto fare 30 watt in più per riuscire a chiudere e rimettersi dietro. Consideriamo che Remco ha finito solo un grande Giro nella sua carriera e l’ha vinto. Quindi ancora deve dimostrare tanto. E’ un 2000, ricordiamocelo. Il suo problema è la robustezza, quella della Jumbo. 

Come si sarà preparato a giornate come quella di oggi? Si possono simulare salite così lunghe a ritmo gara in allenamento?

Si possono simulare. Un allenatore con la bicicletta elettrica o con lo scooter sta davanti e si fanno i vari cambi di ritmo. Il problema è includere tutte le variabili che ha una corsa. In allenamento si è tranquilli, ci si gestisce, mentre in gara in una tappa come quella del Tourmalet ci sono due GPM importanti prima. Quindi, ci si può avvicinare come intensità nella singola ora della salita però tutto il resto è impensabile replicarlo. Penso che ci abbia lavorato tanto,  perché sapeva di che morte doveva morire al Giro con Roglic e Thomas. 

Evenepoel ha parlato dei suoi dubbi sulle salite lunghe durante la conferenza stampa del giorno di riposo
Evenepoel ha parlato dei suoi dubbi sulle salite lunghe durante la conferenza stampa del giorno di riposo
Remco si è dimostrato rassicurato in parte, dicendo che al mondiale a cronometro lo sforzo è durato 55 minuti e ha espresso un’ottima potenza. E’ paragonabile a uno sforzo di una salita da un’ora?

No. In una crono non vai a raschiare il fondo delle energie come magari può capitare al termine di una tappa come quella del Tourmalet. Adesso si prende e si parte, si fa un conteggio delle medie e dell’intensità e ti dicono quanti carboidrati stai consumando. In una tappa pirenaica vai molto vicino alla tua riserva. Diventa molto importante come verrà gestita la sua alimentazione. In una crono per fare un esempio si va a 450 watt per un’ora. Vieni però solo da un riscaldamento. In una tappa di montagna hai le 3/4 ore prima che non sai come te le hanno fatte fare. Quindi è un paragone che non fila. Se lo vogliono mettere in difficoltà, devono andare ad attaccargli le sue riserve e quindi devono andare forte fin da subito. Hanno la squadra per poterlo fare. Secondo me, un ragazzo così giovane come è Remco, non è ancora così economico come può essere un Roglic o un Vingegaard. 

Probabilmente ha anche provato meno fuori giri rispetto agli altri nei grandi Giri…

Gli altri hanno delle storie completamente diverse. Roglic prima di fare il capitano è andato alle corse a tappe e ha tirato per i compagni, Vingegaard uguale. Non parliamo di Kuss. Remco invece ha sempre fatto il capitano. Deve maturare, deve diventare quel diesel che serve in una Vuelta o Giro che sia. Sicuramente si aiuta, vedo che fa tutto, perché per esempio è uno di quelli che pubblicizza tanto l’utilizzo dei chetoni. Queste sono tutte accortezze che ti permettono di risparmiare quel pochino per poi avere più energia nel finale. Prendere il chetone alla fine della corsa, prima della partenza e non so se lo prende anche la notte per recuperare meglio. E’ uno che sicuramente cura ogni dettaglio per essere il più economico possibile. 

Evenepoel deve resistere alla corazzata Jumbo e pensare a come attaccarla
Evenepoel deve resistere alla corazzata Jumbo e pensare a come attaccarla
Lavorare su questo aspetto sarà quindi la chiave per migliorare?

Secondo me sì. Sia per l’età, sia per la sua storia ciclistica. Soltanto il fatto che venga dal calcio, dimostra chiaramente che è uno molto più esplosivo, molto forte, però non ha ancora ottimizzato i suoi consumi. Ci sta lavorando e i suoi timori possono essere anche ben riposti e fa bene ad averli. Però fondamentalmente a questa Vuelta il suo problema è che ne ha tre della stessa squadra da affrontare.

Sfatare questo timore attaccando in prima persona rappresenta una cosa impensabile…

Assolutamente sì. La Jumbo è una di quelle squadre che una salita come il Tourmalet la farà per tutti i suoi 55 minuti ad un ritmo infernale. Scattare sarebbe un suicidio a mio avviso, soprattuto alla fine della seconda settimana. Deve evitare fuori giri e cercare di salvare la pelle su un terreno su cui non si sente sicuro. Poi magari potrà e dovrà sfruttare le sue doti in salite più esplosive e corte per rosicchiare secondi. 

S-Phyre RC903: le scarpe dei mondiali ai piedi dei campioni

23.09.2022
3 min
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I giorni che ci separano dal mondiale pro’ di Wollongong scorrono veloci come sabbia che scende da una clessidra. Il 25 settembre si sfideranno i migliori corridori al mondo e per essere al top è necessario avere anche i migliori accessori. Shimano per sostenere i suoi atleti di punta, come Van Der Poel e Roglic, ha disegnato un nuovo paio di scarpe: le S-Phyre RC903. 

Le S-Phyre RC903 hanno due nuovi quadranti BOA Li2 con un sistema di allacciatura incrociata
Le S-Phyre RC903 hanno due nuovi quadranti BOA Li2 con un sistema di allacciatura incrociata

La ricerca della perfezione

I due campioni correranno sul veloce percorso australiano che porterà alla maglia iridata, sarebbe la prima per entrambi. Un tracciato veloce attende i corridori, come confermato da Bettiol e compagni che lo hanno provato pochi giorni fa sotto la guida di Bennati. Tanta tecnica ma poco spazio per frenate e ripartenze, le velocità saranno alte.

E quando tutto viene fatto a forte velocità i dettagli fanno la differenza, così le nuove scarpe S-Phyre RC903 aiutano a dare sempre il massimo in bici, portando ogni goccia di energia sui pedali. Studi che sono stati fatti in laboratorio grazie a Bikefitting.com, uno strumento di analisi che ha permesso di capire dove i ciclisti applicano la pressione durante la pedalata. In Shimano, sulla base dei dati raccolti, hanno ottimizzato la forma ed i materiali della nuova scarpa

La tomaia è leggera e traspirante, studiata attraverso la tecnologia Dynalast per una maggiore vestibilità
La tomaia è leggera e traspirante, studiata attraverso la tecnologia Dynalast

Chiusura BOA

La comodità passa anche, e soprattutto, dalla chiusura. Serve un sistema che sappia fermare bene il piede ma che allo stesso tempo non lo comprima. La S-Phyre 903 utilizza il sistema di chiusura BOA li2: due quadranti leggeri che dispongono di un nuovo sistema di allacciatura incrociata. Il tutto permette di avere micro regolazioni ottimali e completamente personalizzabili anche quando la corsa entra nel vivo. Questa versione inoltre, rispetto alla precedente, ha il supporto dei cavi che si sviluppa in modo diverso, minimale e più leggero. Il torso del piede, nella sezione avanzata non presenta più gli agganci in materiale plastico, ma delle piccole asole in tessuto. I cavi scorrono sotto uno strato di tomaia. Le avevamo già adocchiate al Tour de France.

Shimano dispone, inoltre, della tecnologia proprietaria Dynalast, che fornisce una grandissima vestibilità adattandosi a tutte le forme del piede. Questo si traduce in un nuovo formato del tallone, completamente stabilizzante ed anti-torsione. 

Le S-Phyre RC903W sono la versione femminile delle scarpe Shimano, adattate per vestire al meglio il piede delle donne
Le S-Phyre RC903W sono la versione femminile, adattate per vestire al meglio il piede delle donne

La versione femminile

Shimano non lascia nulla al caso, quindi, insieme al modello S-Phyre Rc903 nasce anche il S-Phyre RC903W, la versione per donna.  Offrono le stesse caratteristiche prestazionali di livello elite della versione RC903 ma sono realizzate con una tomaia progettata per le donne. Hanno un volume minore ed una vestibilità più stretta. Una delle caratteristiche che distinguono le RC903W dalla versione maschile sono i colori e le grafiche uniche. 

Shimano

Slovenia: un viaggio tra ciclismo, sport, storia e natura

17.05.2022
4 min
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Il Giro d’Italia prosegue nella sua lenta risalita dello stivale e domenica sul Blockhaus si è consumata una delle prime grandi battaglie, di gambe e testa, di questa Corsa Rosa. Giro che quest’anno avrà due “sfoghi” oltre confine: il primo è stato la partenza dall’Ungheria. Il secondo, invece, lo si avrà nel corso della tappa numero 19, quando i corridori si daranno battaglia in Slovenia, più precisamente nella valle dell’Isonzo.

Kobarid (Caporetto) è una delle città simbolo della Prima Guerra Mondiale
Kobarid (Caporetto) è una delle città simbolo della Prima Guerra Mondiale

Un salto nella storia

La carovana del Giro passando per questi territori attraverserà Kobarid (Caporetto), la città simbolo della Grande Guerra. Un luogo che ancora conserva il ricordo doloroso di una delle pagine più tristi del recente passato. Proprio su queste colline, in particolare sul Kolovrat, che sarà GPM di prima categoria, si apre quello che è il Museo Transfrontaliero, una testimonianza a cielo aperto di quello che è stato il periodo della prima guerra mondiale.

Fra trincee, grotte, caverne e torrette d’artiglieria i visitatori potranno immergersi nel ricordo più vivo. A Kobarid è da tempo aperto uno dei musei più importanti dedicati agli accadimenti della prima guerra mondiale. Premiato e riconosciuto come tale sia a livello nazionale che europeo. 

Gola della Forra del Soca, un luogo incantevole non molto distante da Kobarid
Gola della Forra del Soca, un luogo incantevole non molto distante da Kobarid

Un’immersione nella natura

L’Isonzo è un fiume piuttosto corto, misura solamente 135 chilometri, sorge nella Val Trenta, in Slovenia, e si tuffa nel Golfo di Trieste. Per quanto breve sia il suo percorso è ricco di colori e di paesaggi che lasciano a bocca aperta. Uno dei punti dove l’Isonzo sprigiona tutta la propria bellezza è la Grande Forra del Soca: una gola lunga 750 metri dove la roccia è stata levigata nei secoli dalla forza dell’acqua.

Il fiume è anche meta per i turisti che amano le vacanze “attive”. Infatti, nelle sue acque i più avventurieri potranno provare a domare la forza dell’Isonzo con i propri kayak. Anche gli amanti del trekking qui possono trovare la propria dimensione, i sentieri sono alla portata di tutti e ben segnalati. Uno dei più importanti è il “Sentiero della Pace” che con i suoi 520 chilometri collega lo Stelvio alla Marmolada unendo luoghi e località lungo il fronte italo-austriaco della Grande Guerra.

La cascata del Kozjak, alta 15 metri si trova nella gola dell’omonimo torrente
La cascata del Kozjak, alta 15 metri si trova nella gola dell’omonimo torrente

Sostenibilità Giro-E

Anche i partecipanti del Giro-E avranno la possibilità di pedalare e di scoprire le meraviglie del territorio sloveno. Nel corso di quella che sarà la 16ª tappa della prima corsa a tappe dedicata ai mezzi con pedalata assistita, i partecipanti partiranno dal Kobarid arrivando al Santuario di Castelmonte. Questa iniziativa si sposa perfettamente con lo stile di vita e con la filosofia di questo territorio, infatti, la Slovenia è all’avanguardia per quanto riguarda la sostenibilità e lo stile di vita “green” delle proprie città. 

Lubiana, la capitale, è stata addirittura insignita di titolo di Best European Destination 2022. Riconoscimento raggiunto grazie alle sue tante aree verdi ed alla sua attenzione per quelli che sono lo stile e la qualità della vita. Un concetto che si amplia a tutto il territorio nazionale, la Slovenia è da anni il “Cuore verde dell’Europa”.

Un territorio di campioni

La Slovenia, a fronte di una popolazione di poco superiore ai 2 milioni conta una tradizione sportiva in costante crescita. Questo tema si collega facilmente alla sostenibilità, infatti, il popolo sloveno è attivo per i due terzi del suo totale in sport dilettantistico.

Muoversi è parte integrante della vita di questo popolo e le possibilità, anche dal punto di vista territoriale sono infinite. Se d’estate trekking e bicicletta la fanno da padroni, in inverno è lo sci lo sport più amato.

A noi appassionati di ciclismo, quando si mettono insieme Slovenia e sci, non può che venire in mente il nome di Primoz Roglic. Un altro legato ai pedali è sicuramente quello di Tadej Pogacar, vincitore degli ultimi due Tour de France: il primo strappato in extremis proprio al connazionale Roglic. Anche negli altri sport la Slovenia può contare su dei talenti davvero incredibili, uno su tutti è Luka Doncic, cestista che in questi giorni sta dando spettacolo sul parquet di oltreoceano nelle finali NBA.

Troppo giallo, la Jumbo cambia maglia per il Tour

20.04.2021
4 min
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Il Tour è il Tour, nel bene e nel male con tutta la sua grandeur, i suoi vizi e anche la sua innegabile storia. La Gran Boucle ha sempre tenuto molto alle sue tradizioni, a cominciare dalle maglie. E quella gialla ha un qualcosa di sacro. E in Francia la tutelano ad ogni costo.

La maglia scelta dai fans che i corridori della Jumbo-Visma useranno al Tour
La maglia scelta dai fans che i corridori della Jumbo-Visma useranno al Tour

Roglic in grigio

Per questo motivo, lo scorso anno la Jumbo Visma, tanto più che con lo squadrone che si ritrovava era sempre davanti, è stata additata per l’eccessiva somiglianza con la maglia del leader, appunto la gialla. La maglia del team olandese è per la maggior parte proprio gialla e questo non consentiva di riconoscere il leader al primo colpo d’occhio. Nella foto di apertura si fa fatica a riconoscere Roglic, primo in classifica, tra i suoi compagni. Serve quel secondo in più. Un secondo di troppo. Tuttavia quelle bande nere laterali avevano consentito al team di essere ammesso regolarmente in corsa con la divisa standard.

Quest’anno però per ovviare ad ogni possibile polemica e cogliendo la palla al balzo, la stessa Jumbo ha lanciato un concorso online. Si poteva votare la maglia che lo sloveno e i suoi compagni avrebbero indossato da Brest a Parigi. Sul piatto tre opzioni.

«Dopo l’ultima edizione del Tour de France – ha detto il team manager Richard Pluggeabbiamo parlato con Aso per trovare una soluzione e rispettare la maglia gialla. Noi e i nostri sponsor principali, Jumbo e Visma, abbiamo deciso di modificarla. Abbiamo colto questa opportunità per coinvolgere tutti gli appassionati di ciclismo nella nostra squadra».

E infatti in una settimana hanno votato quasi 60.000 appassionati e il verdetto è stato la maglia che vedete sopra. Sfondo grigio, richiami in giallo e le classiche fasce nere ai lati.

In più, a chi aveva votato e voleva acquistare la maglia, veniva scritto il proprio nome sulle bande nere laterali.

Pantani in rosa nella Grande Boucle del 2000 (foto Instagram)
Pantani in rosa nella Grande Boucle del 2000 (foto Instagram)

Once e Mercatone 

Ma il cambio di casacca della Jumbo non è il solo nella storia del Tour. Semmai è il primo al livello social.

Negli anni ’90-2000 altre due squadre in particolare furono chiamate ad interventi cromatici sostanziali. Una di queste fu la Once di Zulle e Jalabert. La squadra di Manolo Saiz era completamente gialla con una banda nera sui fianchi. A ben pensarci era molto simile a quella della Jumbo, ma quando si andava alla Grande Boucle diventava completamente rosa, fatte salve le bande nere, è chiaro.

Ma soprattutto c’è un’altra squadra che cambiò colore alla sua maglia: la Mercatone Uno di Marco Pantani. Quella del team romagnolo era “meno” gialla rispetto a quella della Once. O meglio, la sua tinta non era così uniforme. Certo però che il giallo dominava e non solo la maglia, ma anche i pantaloncini. Ebbene per il Pirata e i suoi compagni, la divisa nel Tour de France del 2000 divenne completamente rosa, omaggiando di fatto anche la maglia rosa. Insomma un po’ di Giro glielo portammo! La matrice della scelta del rosa infatti fu diversa da quella della Once, legata più a motivi di visibilità e marketing. La Mercatone voleva “ricordare” il Giro, tra l’altro vinto poche settimane prima con Garzelli.

Oltre a questi cambi, alcuni team, ma in tempi più recenti, hanno modificato le loro maglie per il Tour ma per questioni di marketing. Magari facendole passare per motivazioni prettamente tecniche, come la Sky che da nera diventava bianca per “contrastare il caldo”.

La prima maglia gialla del 1919…
La prima maglia gialla del 1919…

Il giallo nel 1919

Infine qualche piccola curiosità in merito proprio alla maglia gialla. Questa fu istituita nel 1919. Fu un’idea dell’allora direttore ed organizzatore della corsa, Henri Desgrange, proprio per distinguere al volo il leader, che fino a quel momento indossava una fascia verde al braccio, un po’ come i capitani delle squadre di calcio.

Ma c’è una motivazione alla base di questa scelta, cioè di riconoscere al volo il primo in classifica. Le tappe all’epoca erano lunghissime e partivano ancora prima dell’alba, quindi al buio. Non era facile, anche per gli avversari, individuare il primo. Non si correva tutti i giorni, ma uno sì e due no. Immaginate frazioni di 350-450 chilometri su quelle strade e con quelle bici. La scelta del giallo fu legata poi al colore delle pagine del giornale L’Auto-Vélo che di fatto organizzava la gara, prima che passasse a L’Equipe. Per la cronaca il primo ad indossarla fu il francese Eugene Christophe e, contrariamente a quel che si possa pensare, la maglia gialla nacque a Tour iniziato. In pratica fu un’idea “cotta e mangiata”, nei due giorni di pausa tra una tappa e l’altra. 

Altri 6” nel taschino per Roglic. E Nielsen ride

06.11.2020
3 min
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Massima attenzione. Massima cattiveria agonistica. Primoz Roglic non lascia davvero nulla al caso in questa Vuelta. Lo sloveno non vuol “ustionarsi” come gli è successo al Tour de France. Stavolta anche una semplice scottatura potrebbe costargli molto cara. Addirittura inficiare sul resto della sua carriera.

Tappa a Nielsen

Tappa di oggi. Da Salamanca a Ciudad Rodrigo, 162 chilometri di saliscendi, di cielo plumbeo, di attacchi e persino di qualche insidiosa folata di vento. Solita bagarre. Il più attivo è il giovane campione francese della cronometro, Remi Cavagna, che alla fine si porta a casa il premio di più combattivo di giornata.

Il gruppo si assottiglia. Tira la Uae, poi la Movistar, poi la Ineos… e la Jumbo forse per la prima volta scricchiola un po’. Gli altri però tirano e basta. E così va a finire che gli squadroni avversari diventano i migliori alleati del “nemico” Roglic.

Gruppo allungato, anche oggi ritmi elevati
Gruppo allungato, anche oggi ritmi elevati

Primoz sta lì, mai oltre la quindicesima posizione. Attento. Un felino. Sempre dal lato coperto del vento. Con lui ci sono solo due uomini. Ed è qui che Roglic sfoggia la sua arma migliore: la tranquillità, come ormai ci dice più di qualcuno che gli è vicino.

E gli riesce talmente bene che alla fine, quando entrano nel rettilineo finale, apre il gas di brutto e cerca persino la vittoria. E probabilmente se l’ex iridato Rui Costa non lo avesse costretto a deviare ci sarebbe riuscito. Tappa al danese della EF, Magnus Cort Nielsen, e piazza d’onore allo sloveno, fin troppo educato nel post tappa.

«Mi sarebbe davvero piaciuto vincere. Quando ho visto i velocisti staccarsi ci ho pensato e ho pensato anche ai punti della maglia verde. Come leader di questa classifica devo essere in grado di fare una volata, no! Chiaramente sono contento dei secondi di abbuono».

Alla fine Primoz non può che sorridere. Mette in cascina sei preziosissimi secondi e si presenta all’ultimo ostacolo di questa Vuelta con 45” di vantaggio su Carapaz e 53” su Hugh Carthy.

Roglic attento

La frazione di domani è davvero impegnativa e non solo per l’arrivo finale sull’Alto de La Covatilla, ma anche per quello che c’è prima. Tuttavia vedendo come hanno corso sin qui, tutto sembra far pensare che la corsa si deciderà sulla scalata finale. E allora tanto vale dire che Roglic è a 11,7 chilometri da un traguardo importantissimo.

E forse se lo merita anche. E’ stato lui il dominatore della stagione. Se non fosse caduto avrebbe vinto il Delfinato. Ha perso il Tour in un modo terribile, da far saltare di testa chiunque. Invece si è complimentato in modo sincero con Pogacar. Una volta a casa poteva tranquillamente finire lì la sua stagione. Invece ha preferito risalire in sella per il mondiale (arrivato davanti), per la Liegi (vinta) e per questa Vuelta, dove comunque vada si è già assicurato quattro tappe.

Oggi, appena terminata la frazione, lo sloveno è saltato sui rulli, per sciogliere le gambe. E lo ha detto apertamente lui stesso: «Per prepararle alla battaglia di domani. Mi aspetto attacchi da Ineos, Movistar e Carthy. Domani lassù non si potrà mentire. Noi Jumbo dobbiamo continuare a correre come abbiamo fatto sin qui».

Questa volta dovrà sfoggiare ancora quella sua ormai proverbiale tranquillità, per dormire bene e recuperare il più possibile.

Sulla Covatilla, rispetto al Tour, avrà forse il vantaggio di poter tenere a vista gli avversari. Meglio il corpo a corpo che il cronometro. E 45” sono un bottino che si può anche gestire. L’imperativo è non crollare. Lo sapremo tra meno di 24 ore.

Vuelta, nel riposo parla Gasparotto

02.11.2020
5 min
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Giorno di riposo alla Vuelta. I corridori che domani non sono chiamati a fare la prestazione nella cronometro individuale hanno dormito un po’ di più. Per gli altri invece è stato un giorno molto importante, magari non duro, ma nel quale è servita comunque una certa concentrazione. La crono di 33,5 chilometri che infatti li aspetta deciderà probabilmente la Vuelta.

Tra coloro che se la sono potuta prendere più comoda oggi c’è stato Enrico Gasparotto. Uno dei pochi “italiani” impegnati in Spagna. Le virgolette servono perché il friulano da quest’anno batte bandiera svizzera. 

Gambe stanche 

«Oggi piove – racconta Gasparotto – ed è il giorno di riposo ideale. Ho fatto giusto un po’ di rulli. Il muro finale di domani (1,8 chilometri con punte al 29 per cento, ndr) non l’ho ancora visto. Mi stavo informando proprio poco fa. Credo che i rapporti che utilizzeremo saranno gli stessi dell’altro giorno sull’Angliru. Immagino anche che qualcuno potrà cambiare la bici alla base della salita. Di sicuro non io!».

Il friulano in testa nella fuga verso l’Angliru
Il friulano in testa nella fuga verso l’Angliru

Gaspa è un po’ stanco. La sua condizione fisica non è al top e la situazione contrattuale di certo non lo aiuta. Lui però sta affrontando questo momento con maturità e consapevolezza.

«La mia Vuelta? C’è poco da dire, sono arrivato qui che ero già abbastanza stanco e provato da una stagione lunga, passata ad inseguire la condizione. Una situazione così genera stress. Di solito hai altri riferimenti. Un po’ come diceva Nibali.

«Senza contare che qua in Spagna ogni giorno sembra di correre una classica. Nessuno ha la certezza di arrivare a Madrid e così tutti ci danno sotto. E’ vero che la bolla funziona benissimo, che non abbiamo contatti con l’esterno, che non c’è gente sulle salite, però le notizie sul covid le leggiamo e queste generano una corsa molto attiva. 

Qua in Spagna ogni giorno sembra di correre una classica

Enrico Gasparotto

«A “peggiorare” questa situazione c’è la Movistar. Quest’anno non hanno raccolto quanto fanno di solito. Sono motivati, ma non sono in testa ed ecco che animano sempre la corsa da molto lontano. Hanno otto corridori che stanno molto bene. L’altro giorno Soler ha attaccato a 50 chilometri dal traguardo. Valverde lo ha fatto ai 70 nella tappa nei Paesi Baschi. Quando si muovono certi calibri poi dietro inseguono. Bello? Sì, per voi dalla tv ma se sei al gancio come me non tanto! Ieri ero nella fuga, mi hanno ripreso e sono arrivato 8′ dentro il tempo massimo. Sono stato il gambero di giornata: almeno un riconoscimento l’ho preso!».

Gasparotto e il 2021

In effetti la Vuelta è davvero scoppiettante. Oltre alla Movistar e al covid ci sono percorsi mai banali. E la stanchezza in gruppo, che c’è anche se non sembra, crea dei bei distacchi per chi non è davanti.

«C’è da dire anche che siamo al 2 di novembre e siamo ancora qua a correre – continua il vincitore di due Amstel – Arrivati ad un certo punto sono le motivazioni a fare la differenza, quelle che spesso ti fanno andare oltre i limiti. Non sono mai stato così magro a novembre! Credo che il prossimo anno ci sarà una stagione molto europea. E’ saltato il Down Under e credo che anche in Argentina non si correrà. Suppongo non ci saranno ritiri a dicembre e magari partiremo un po’ più tardi».

La Movistar è per “Gaspa” la squadra più forte e pericolosa
La Movistar è per “Gaspa” la squadra più forte e pericolosa

A fine stagione la NTT dovrebbe chiudere i battenti. Il management sta cercando sponsor per salvare il gruppo ma con i tempi che corrono non è facile.

«Trovare un main sponsor è complicato, ma è vero che ci sono anche aziende che con il covid hanno aumentato i loro fatturati. Io ho qualche contatto ma è in stato embrionale. Da un lato penso che questa potrebbe essere la mia ultima gara, e mi dispiace. Dall’altro spero di fare ancora almeno un anno e chiudere con delle buone performance. Fosse stata una stagione normale a settembre magari ci sarei anche stato a chiudere. C’erano i mondiali in Svizzera e avrei potuto fare i Giochi Olimpici. Partecipare a queste corse è ancora il mio sogno».

Carapaz vs Roglic

Con Gasparotto in veste di informatore dal gruppo parliamo anche della sfida Roglic-Carapaz che infiamma la Vuelta. Chi la spunterà? Enrico sembra non avere dubbi.

«La sfida credo sia tra loro due. Domani Roglic potrebbe dare un bel colpo a Carapaz e se pensiamo che da qui alla fine c’è un solo tappone di montagna (sabato, ndr) Primoz potrebbe farcela. Però attenzione, perché nel mezzo ci sono diverse tappe perfette per le imboscate. Ci sono percorsi adatti a creare situazioni pericolose e con una Movistar così motivata e in palla qualcosa mi aspetto. La Ineos ha già perso due uomini e Sosa non sta bene. Carapaz perciò non può contare su una squadra in grado di controllare o aiutarlo. La Jumbo invece mi sembra stia bene. Carthy e Martin? Meglio Carthy perché la EF la vedo solida, mentre Martin è abbastanza isolato». 

Roglic contro Carapaz: chi vincerà la Vuelta 2020?
Roglic contro Carapaz: chi vincerà la Vuelta 2020?

Se pensiamo alle imboscate visto come Carapaz e la Movistar si sono lasciati, fossimo nell’ecuadoriano non dormiremmo sonni tranquilli. Ci sta che quel volpone di Unzue, manager della Movistar, abbia ancora il dente avvelenato. D’altra parte chissà se quella tappa così insidiosa nell’ultimo sabato di gara può riaprire il cassetto dei fantasmi a Roglic. In fin dei conti lo sloveno ha perso il Tour proprio all’ultimo atto pericoloso. Tuttavia Gasparotto dice di no.

«In gruppo parlo spesso con Primoz, abbiamo amici in comune. Quello del Tour è un capitolo chiuso. Lui è un ragazzo molto tranquillo, sereno, modesto… e lo vedo anche rilassato. Carapaz invece mi sembra un po’ più teso, anche se con lui non ho mai parlato».

Tim Wellens, Sabinanigo, Vuelta 2020

Wellens che colpo, Roglic che testa

24.10.2020
2 min
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La quinta tappa della Vuelta ha riservato ancora una volta una corsa scoppiettante. E ancora una volta gli uomini di classifica sono stati protagonisti. Tim Wellens per il traguardo di giornata, Primoz Roglic per la generale.

Si andava da Huesca a Sabinanigo: 184 chilometri nel Nord della penisola iberica, proprio a ridosso dei Pirenei. Nel finale tre salite hanno movimentato la tappa.

E bravo Wellens

A 70 dall’arrivo va via la fuga buona. Dentro c’è un volpone come Tim Wellens della Lotto che non si lascia sfuggire l’occasione, tanto più con due “giovani” come Guillame Martin (il “filosofo del gruppo) e Thymen Arensman. E dire che prima della fuga buona ci aveva provato anche il nostro Mattia Cattaneo, che però essendo in classifica non ha avuto spazio.

In vista dell’ultimo chilometro finale, con pendenze superiori al 10 per cento, il gruppo dei migliori aumenta, aumenta e di nuovo è battaglia. E guarda caso Roglic mette tutti in fila.

Primoz Roglic, Sabinanigo, Vuelta 2020
Primoz Roglic, sorridente verso Sabinanigo
Primoz Roglic, Sabinanigo, Vuelta 2020
Primoz Roglic, sorridente verso Sabinanigo

Costanza di rendimento

Quello che spicca è la continuità di rendimento di Primoz Roglic. Lo sloveno della Jumbo Visma è ancora al top. Il Tour, il mondiale, le classiche: per ora non sembra cedere di un millimetro.

Probabilmente perché sta correndo con una certa freschezza mentale, visto che non era in programma. La partecipazione alla corsa spagnola l’ha chiesta lui stessa. Dopo la Liegi, Roglic ha deciso di buttarsi nella mischia. Una decina di giorni di riposo a casa, a Monaco, con la famiglia gli sono bastati per riprendersi.

Era il campione uscente e non voleva mancare. Tuttavia è consapevole dei suoi limiti. Sa che probabilmente non terrà questa gamba fino alla fine. E non a caso il suo obiettivo era quello di vincere la prima tappa. Obiettivo centrato.

Forza mentale

La vera perla Roglic l’ha compiuta partecipando al mondiale. Nella condizione mentale con cui usciva dal Tour non era facile. Una sconfitta come quella subita da Pogacar non si digerisce in poco tempo. Se avesse mollato (e ci stava) avrebbe chiuso la stagione. Invece ha tenuto duro. Il suo mondiale gli è piaciuto. Ad Imola ha ripreso vigore per la Liegi a tal punto di decidere di saltare la Freccia e puntare tutto sulla Doyenne. Altro obiettivo raggiunto e la fiducia che torna a crescere.

Oggi sul duro strappo finale le ha suonate a tutti. Anche a Daniel Martin che ieri invece aveva “osato” arrivargli davanti. Il più temibile sembra essere Richard Carapaz. L’ecuadoriano della Ineos-Grenadiers, oggi dietro di 2”, ha preparato in modo specifico la Vuelta e tra tutti sembra quello più corazzato. Ma per adesso l’ex saltatore con gli sci è sempre più in roja.

Vuelta: Formolo cresce, Soler vince

21.10.2020
3 min
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Sarà che la Vuelta è partita da quella che doveva essere la sua terza tappa, la prima con arrivo in salita, ma lo spettacolo è già al massimo. Ieri abbiamo visto subito Roglic in maglia roja. Oggi le braccia al cielo invece le ha alzate Marc Soler. Benissimo ancora Bagioli. Ma anche Davide Formolo va forte e sembra in crescita.

La Spagna nel mirino

Lo scalatore della UAE era uscito con la clavicola rotta dal Tour de France. Dopo essere stato costretto a rinunciare anche a Mondiale ed Ardenne credeva molto in questa Vuelta.

«Mi manca il ritmo gara – dice “Roccia” – vedo che faccio fatica a tirare il rapporto e per dirlo io! Con il team abbiamo deciso di lavorare sull’agilità e ho cambiato parecchio la preparazione. Sto provando sensazioni nuove. Okay, vedo che mi salvo bene, ma poi quando davanti aprono il gas resto un po’ dietro. Vorrà dire che salverò la gamba per le tappe future. Spero che col passare dei giorni riuscirò a spingere quel dente in più».

Quest’anno Formolo ha corso poco. La frattura alla clavicola lo ha limitato molto
Quest’anno Formolo ha corso poco

Tappe corte e nervose

Ritmi frenetici. Percorsi accattivanti e tanti campioni. Lo spettacolo è assicurato.

«Il calendario ha penalizzato il Giro. Chi faceva il Tour poi poteva correre bene le classiche e la Vuelta per questo qui ci sono tutti i migliori. Il livello è molto alto. Senza contare che in Spagna con tappe così corte è dove si va più forte. Più di Tour e Giro. Oggi, per esempio, abbiamo iniziato l’ultima discesa dopo neanche 130 chilometri. Al Giro dopo 130 chilometri la tappa deve ancora iniziare! Qui si parte a tutta, nel mezzo si va sostenuti e nel finale c’è la bagarre. Difficile controllare la corsa così».

La scalata finale, l’Alto de San Miguel saliva a gradoni. Gli uomini in fuga sono riusciti a prendere un bel vantaggio e Marc Soler è stato bravo a sfruttare l’occasione. Dietro invece se le sono date.

«Chi vedo bene? I nomi sono talmente conosciuti che vanno forte tutti i soliti noti. C’è tanta gente che esce dal Tour e che ha corso molto. Come detto mi è mancato quell’ultimo chilometro per restare con i primi.

«Andrea Bagioli? E’ bravissimo. Mi piace quando un giovane italiano va forte. Ci siamo visti in altura a Livigno, lui stava facendo dietro moto. Ha grinta. E’ alla prima esperienza in un grande Giro, chissà dove potrà arrivare. Sono felice per lui».

Formolo non perde il suo buonumore, nonostante nell’ultimo anno sia stato sfortunato. Il veronese è caduto l’anno scorso proprio alla Vuelta e qualche settimana fa si è ritirato dal Tour. Dopo il Giro 2019 ha corso pochi giorni e quest’anno tra lockdown e frattura non ha fatto molto di più. Però ha voglia di fare e prima o poi tornerà a farci sognare. Magari dedicando una vittoria alla bimba che presto gli nascerà