Il protocollo di Bianchi: 4 ore e 30′ tra recupero, rulli, balzi, riso…

24.01.2024
4 min
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«Non è voluto tornare in hotel e ha messo in atto il protocollo di defaticamento e recupero che abbiamo studiato. E’ stato anche dall’osteopata, poi ha atteso sul pullman». Così Ivan Quaranta, tecnico della pista responsabile del settore velocità, parlava di Matteo Bianchi in occasione della conquista del Chilometro da fermo in quel di Apeldoorn.

Un protocollo del quale ci parla in modo più approfondito il responsabile della performance della Fci, Diego Bragato. Oggi ogni aspetto ha il suo peso e il dettaglio è talmente ricercato che quasi non è più un dettaglio. Specie come nel caso della velocità dove si ragiona sui centesimi, neanche decimi di secondo.

Prove di partenza in allenamento per Bianchi. Bragato al cronometro, Quaranta lo sorregge
Prove di partenza in allenamento per Bianchi. Bragato al cronometro, Quaranta lo sorregge
Diego, parlaci dunque di questo protocollo?

Direi che sono i protocolli, plurale, visto che ormai tutti i ragazzi specie quelli della velocità (e non solo) ne hanno uno personalizzato in base alle loro caratteristiche, agli orari delle gare… E la cosa è importantissima.

Perché?

Perché lo sforzo dopo il chilometro è molto elevato e quindi è importante restare attivi. Ricerche scientifiche dimostrano che per smaltire bene, meglio e più in fretta l’acido lattico che si è accumulato serve un minimo di attività fisica. La componente lattacida da smaltire è davvero elevata in questo caso.

Cosa s’intende per attivazione? E che tempistiche ci sono?

Dipende soprattutto dagli orari tra una prova e l’altra. Ma una cosa è certa: l’attivazione per la seconda prova è un po’ più rapida rispetto alla prima. L’organismo infatti si è già attivato e si è espresso al massimo. Quindi se il riscaldamento per la prima prova dura complessivamente un’ora e 15′-30′, quello per la seconda dura 45′-50′.

Quindi, Diego, nello specifico cosa ha fatto Bianchi tra le due prove?

Immediatamente dopo la prova si è proprio accasciato a terra. Ha recuperato un po’ ed è saltato sui rulli. Ha fatto una decina scarsa di minuti, ma non del tutto blandi, diciamo ad un’intensità che lo stradista individuerebbe come Z2. Successivamente è passato nelle mani dell’osteopata-massaggiatore. Ha eseguito un tipo di massaggio volto a scaricare meglio le tossine e quindi si è riposato veramente. In questa fase ha anche mangiato.

Un po’ di riso in bianco nel bus della nazionale. Questo è stato il pasto principale di Bianchi secondo il suo protocollo
Un po’ di riso in bianco nel bus della nazionale. Questo è stato il pasto principale di Bianchi secondo il suo protocollo
Come si è alimentato?

Principalmente con dei carboidrati. Per la durata del suo sforzo (circa 45”, ndr) serve solo del glucosio. Quindi lo zucchero, la benzina più pregiata. Ha corso le qualifiche alle 15 e la finale alle 19,30. In questo buco centrale di quattro ore e mezza ha anche mangiato del riso. Ancora un piccolo trattamento e poi è tornato in pista per il riscaldamento in vista della seconda prova.

E la riattivazione come è avvenuta?

Ha iniziato con il riscaldamento per la parte neuromuscolare, a secco: esercizi per la mobilità articolare, balzi, stretching… Poi è salito sui rulli, chiaramente, e ha effettuato delle partenze da fermo. Si tratta di volate di 10”, sia da fermo che da una cadenza più alta. Seguite poi anche da volate più lunghe: 30”-40” per attivare la componente lattacida. A quel punto ha iniziato il riscaldamento per la parte metabolica. Il riscaldamento deve essere completato mezz’ora prima della gara. Per la seconda prova ha ridotto un po’ la parte della mobilità articolare.

Credevamo il contrario…

Fosse stato un corridore di endurance, sì. Non esiste il protocollo perfetto. Ma i velocisti tendono a fare così. Un po’ perché lo dice la letteratura scientifica, un po’ perché un riscaldamento è efficace se il corpo lo riconosca come tale. E Matteo, così come altri velocisti, è abituato a riscaldare prima la parte neuromuscolare e poi quella metabolica. Anche in allenamento.

Ogni centesimo conta. Dal protocollo seguito alla perfezione, alle scelte tecniche, al serraggio dei pedali
Ogni centesimo conta. Dal protocollo seguito alla perfezione, alle scelte tecniche, al serraggio dei pedali
Si può dire che il chilometro da fermo del ciclismo su pista corrisponda ai 400 metri piani dell’atletica leggera?

Direi di sì, soprattutto crono alla mano. Fisiologicamente parlando è lo sforzo peggiore che ci sia. Quello che lascia più strascichi, più scorie nei muscoli. In quei secondi l’organismo sfrutta al massimo tutte le sue qualità. E’ una sforzo davvero violento.

Ultima domanda, Quaranta aveva parlato anche dei rapporti da scegliere e del fatto che per la prima prova si poteva optare per un dente più duro e magari Bianchi avrebbe fatto il record italiano. Cosa ci dici in merito?

Che è vero. Ma è anche vero che era la prima volta che nel chilometro da fermo ci trovavamo in una situazione così, vale a dire con un atleta molto valido. Ci siamo quindi ritrovati a fare una scelta tattica. Sapevamo che Bianchi sarebbe entrano tra i primi otto e quindi si sarebbe giocato la finale, pertanto abbiamo deciso di preservarlo per la finale. In altre occasioni avremmo dato tutto per entrarci.

Incide così tanto un dente in termini di dispendio energetico?

Come ho detto, il chilometro da fermo è lo sforzo peggiore: quindi sì, incide. Pensate che in finale hanno peggiorato tutti, “noi” siamo quelli che hanno peggiorato di meno.

Bilancio e riflessioni sulla pista con Marco Cannone

23.01.2024
6 min
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Una voce colorata, autorevole, esperta in grado di emozionare i più, in pochi minuti e a volte secondi. Marco Cannone ai microfoni di Eurosport ha impreziosito con il suo commento tecnico le telecronache della pista (e non solo) in alcuni dei momenti più belli che il nostro movimento ha vissuto negli ultimi anni. Ci siamo fatti raccontare dalla cabina di commento il suo punto di vista sullo stato della pista attuale. Siamo partiti da una retrospettiva su quello che era, passando per il passato più vicino a noi fino all’europeo appena concluso, per poi azzardare qualche aspettativa sulle Olimpiadi di Parigi

Cannone ha militato una stagione nel 2000 alla Lampre-Daikin
Cannone ha militato una stagione nel 2000 alla Lampre-Daikin
Permettici una piccola introduzione per chi non ti conosce. Chi è Marco Cannone?

Nel 1980 ho iniziato a correre in bicicletta, quando avevo sei anni. Sono stato probabilmente uno dei primissimi a fare la multi-disciplina, che in realtà si direbbe multi-specialità perché la disciplina è il ciclismo. Ho iniziato a fare il ciclocross, poi mi sono buttato sulla strada e poi pista. Da dilettante ho vinto una trentina di corse, tra cui una decina di internazionali, con due tappe al Giro d’Italia. Sono arrivato fino al professionismo e ci sono rimasto per sei anni. Ho corso per l’Amore & Vita, la Lampre e la CCC . Ho sempre avuto un rapporto stretto con la pista, fin dalle categorie giovanili.

Hai vissuto la pista italiana dai suoi anni migliori passando per momenti difficili e infine i giorni nostri sempre più promettenti…

Ho vissuto il periodo delle Sei Giorni che si correvano in tutta Italia dove eravamo protagonisti in patria e all’estero. Poi siamo arrivati a un periodo dove si ottenevano pochissimi risultati che si può racchiudere in un decennio. Io correvo con Marco Villa e con Silvio Martinello, in un periodo dove secondo me si era un po’ meno specializzati rispetto ad oggi, nel senso che ce n’erano forse 3-4 che erano proprio pistard puri. Da dopo Rio 2016 quello che posso vedere è che c’è stata una rifrequentazione della pista. Questo pur non avendo un velodromo al coperto.

Difficile da credere, ma abbiamo solo Montichiari al chiuso…

Io l’ho detto anche in televisione, l’altro giorno. Abbiamo tante strutture, che però sono un po’ obsolete, ci manca il vero grande impianto al coperto come quelli che vediamo durante le nostre telecronache. Manca proprio la palestra. Oggi Montichiari è accessibile solo alla nazionale. In primavera e in estate abbiamo tanti velodromi che funzionano molto bene: per fortuna ci sono e ci danno tante opportunità. Manca la vera e propria attività invernale, non a caso si è visto anche negli ultimi campionati europei.

Che cosa?

Nelle prove di prestazione dove comunque è tutto fondato sull’allenamento, siamo andati fortissimo. Intendo quartetti velocità eccetera. Nelle specialità di gruppo e nelle gare di situazione, la verità è che c’è una mancanza di abitudine alla competizione. Si nota la differenza con gli altri Paesi che invece hanno un calendario fitto di gare con corsa a punti, madison ed eliminazione.

Viviani Rio 2016
Viviani oro nell’omnium di Rio 2016
Viviani Rio 2016
Viviani oro nell’omnium di Rio 2016
Torniamo al discorso generazionale. Che periodo stiamo vivendo?

Viviani ha fatto scattare la scintilla a Londra 2012. Credo che sia stato il punto di svolta perché alle Olimpiadi ha partecipato soltanto Elia che, insieme a Marco Villa, ha fondato la nuova nazionale su pista. Da loro è partito l’input chiaramente condiviso con la dirigenza federale e quant’altro di investire sulla pista. Infatti da Rio 2016 abbiamo potuto ambire sempre a dei grandissimi risultati. Arrivando poi chiaramente all’apoteosi con l’Olimpiade di Tokyo e il relativo mondiale a un paio di mesi di distanza. 

Dividiamo il discorso per specialità. Partiamo dal settore velocità…

Abbiamo una grandissima storicità dagli anni ’60/’70, siamo sempre stati protagonisti. Roberto Chiappa ha solcato le piste di tutto il mondo raccogliendo risultati ovunque. Purtroppo era da solo in quel momento lì. Quindi non c’è stato uno sviluppo a livello nazionale. Con l’input di Villa e l’arrivo di Ivan Quaranta, si è dato il via alla vera e propria rinascita del movimento velocità in Italia. I risultati iniziano a vedersi. Non a caso, ripeto, siamo riusciti a creare un bellissimo terzetto nella velocità a squadre. In questo momento credo siamo decimi nel ranking. Però ci sono tre prove di Coppa del mondo in cui sono abbastanza fiducioso che entreremo fra i primi 8 e faremo le Olimpiadi. Per quanto riguarda la velocità, abbiamo Stefano Moro che ha fatto terzo all’europeo del Kerin. 

Bianchi ha vinto il primo titolo europeo nel chilometro da fermo. Un risultato che ripaga?

Lui è un po’ l’emblema di questo nuovo movimento italiano e diciamo che un grande risultato è arrivato agli europei. Ora è un riferimento anche per quanto riguarda la velocità olimpica. Miriam Vece è migliorata davvero in maniera pazzesca. Ivan Quaranta è stato determinante in questo settore. L’anno scorso Predomo ha vinto il mondiale della categoria juniores, più di trent’anni dopo che c’era riuscito proprio Ivan. In più, Quaranta ha avuto anche l’idea di andare a prendere un ragazzo di talento della BMX come Matteo Tugnolo. C’è stato davvero un grande lavoro e di questo sicuramente Matteo Bianchi ne è l’esempio

Ivan Quaranta con Matteo Bianchi dopo il successo europeo
Ivan Quaranta con Matteo Bianchi dopo il successo europeo
Per quanto riguarda il settore dell’inseguimento?

A proposito dell’inseguimento siamo campioni olimpici in carica. Siamo detentori del record del mondo, abbiamo fatto terzi all’europeo con una buona prestazione, pur mancando un personaggio forte come Filippo Ganna. Tutto questo al 10 di gennaio, quindi senza una grandissima preparazione specifica. Per l’Olimpiade, sono molto fiducioso e molto ottimista. Chiaramente deve andare tutto bene nel corso della della stagione. A questo europeo abbiamo visto dei buoni risultati da parte di Gran Bretagna e Danimarca, ci manca la Nuova Zelanda e l’Australia che sono sempre un’incognita. 

Il quartetto femminile invece?

All’europeo hanno fatto una bellissima prestazione conquistando il titolo. Chiaramente ci sono stati degli sconvolgimenti, ma questo lo sapevamo. Quando abbiamo fatto le Olimpiadi nel 2021, le quattro ragazze erano le più giovani in gara, con una media di vent’anni. Poi l’anno dopo a ottobre abbiamo vinto il campionato del mondo. C’è un ricambio generazionale nelle altre nazionali che noi abbiamo già fatto e ci stiamo godendo. Sono molto affiatate tra di loro e abbiamo ritrovato Letizia Paternoster che purtroppo ha avuto due anni di grandissimi problemi. Stesso discorso per Elisa Balsamo e la Guazzini. Da qui alle Olimpiadi bisogna sempre capire quali sono i margini di miglioramento che ci possono essere. Anche per le ragazze vale lo stesso discorso che per i ragazzi, non hanno fatto attività invernale, quindi il bicchiere è veramente per me molto pieno.

Qui Cannone insieme a Federica Venturelli
Qui Cannone insieme a Federica Venturelli
Gli inseguimenti individuali invece?

L’ingresso di Federica Venturelli è stato pazzesco al suo primo anno, anzi, alla sua prima gara tra le elite, lei che ha vinto negli juniores tutto quello che c’era da vincere. Poi vabbè, inseguimento maschile se scende Ganna in pista non ci sono avversari, diciamo la verità. E lo stesso vale per Milan. Bisogna capire quali possono essere i loro programmi. 

Per quanto riguarda omnium e discipline di gruppo, cosa ci dobbiamo aspettare?

Credo che Elia Viviani attualmente sia il nostro faro oggi e per le Olimpiadi di Parigi. A Tokyo è andato a prendersi una medaglia che forse lui si aspettava perché è sempre molto ottimista, però magari qualcun altro no. So che sta lavorando tanto, sta andando forte anche adesso in Australia, quindi è molto indicizzato su questo obiettivo. Bisogna pensare anche alla madison dove Simone Consonni potrà essere fondamentale così come per il quartetto. I posti sono pochi e per Villa non sarà facile. Però ora siamo a gennaio ed è ancora presto per fare questi discorsi. Per quanto riguarda il discorso al femminile c’è più scelta, anche qui Marco sarà chiamato a prendere delle decisioni, che verranno dettate anche da come andrà la stagione e l’avvicinamento. 

Ehi Scarte, com’è andata la 100KM Madison di Copenhagen?

11.01.2024
6 min
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Da ieri sono di scena i campionati europei su pista. Tra gli azzurri impegnati sul parquet di Apeldoorn c’è anche Michele Scartezzini, che giusto ieri sera è stato 11° nell’eliminazione. Il corridore delle Fiamme Azzurre sotto le feste non solo si è preparato col resto degli azzurri a Montichiari, ma insieme a Simone Consonni ed Elia Viviani ha preso parte ad un’insolita prova sul finire del 2023: la 100KM Madison di Copenhagen.

Già Adriano Baffi ci aveva parlato di questa particolare sfida: 400 giri, cento chilometri in pista, 12 volate in quattro “blocchi”, roba da uomini duri.

Sedici coppie, la 100KM Madison di Copenhagen può partire, davanti alla consueta ottima cornice di pubblico (foto Jesper Skovbolle)
Sedici coppie, la 100KM Madison di Copenhagen può partire, davanti alla consueta cornice di pubblico (foto Jesper Skovbolle)
Michele, cosa ti è sembrata questa 100KM? Era la prima volta che vi partecipavi?

Non sapevo come andasse affrontata, cosa mi aspettasse. Se devi fare 100 chilometri di allenamento su strada dici: «Cavoli, sono almeno tre orette». Non sapevo del rifornimento, se e come si potesse fare. Sia io che Simone ed Elia eravamo tutti un po’ prevenuti, avevamo un minimo di “paura”. Poi però i danesi ci hanno dato qualche dritta e tutto è andato subito meglio.

La questione rifornimenti era una delle note più curiose di questa particolare madison in effetti. Tu come ti sei gestito?

Ho bevuto una sola volta, un goccio d’acqua, e ho preso un gel per tutta la gara. Pensavo fosse una cosa più “tragica”. Alla fine ci siamo detti che non è stata impossibile come ci sembrava all’inizio.

Come prendevate questi rifornimenti?

Si rallentava un po’ e si finiva nella parte interna della corsia di rallentamento. C’era del personale nel rettilineo opposto a quello dell’arrivo. Il rifornimento si prendeva dopo aver dato il cambio al compagno, nei giri di recupero. Alla tornata prima rallentavi, davi una voce al massaggiatore a bordo pista e al giro dopo prendevi la borraccia o il gel. 

A che velocità si rallentava?

Credo sui 30 all’ora. Davi un sorso alla borraccia e quando ripassavi gliela gettavi cercando di dargliela vicino e stando attento che non finisse in pista. Alla fine è andata bene. L’unica differenza è che di solito su strada il rifornimento si prende con la destra, qui si faceva tutto con la sinistra. 

Accorgimenti tecnici: pista lunga 250 metri, che rapporti avete utilizzato?

Avevo un 62×16. Forse ero un pelino più duro degli altri, ma di poco. Però nel finale stavo bene, quindi significa che il rapporto era azzeccato. 

C’è stato un momento di crisi?

Siamo stati la prima coppia a prendere il giro dopo 40 tornate (Scartezzini correva con il danese Matias Malmberg, ndr). Poi, appena rientrati, lui ha avuto un problema alla bici. Si è dovuto fermare e ho continuato io da solo. Ho dovuto spingere per altri 4-5 giri, facendo uno sforzo ulteriore. E in quel momento hanno attaccato così ho preso il buco. Sono rientrato con gli altri, ma è stato un lungo tirarsi il collo. Dopo che Malmberg è rientrato ho cercato di recuperare, ma non è stato facile. Ho pensato che avrei dovuto dosare bene le energie. Ma qualcosa abbiamo perso chiaramente. Per il resto poi è filato via tutto abbastanza regolare.

Quindi è stata gara vera…

Sì, sì, assolutamente. C’è stata tanta bagarre soprattutto nella prima parte, poi dopo metà bene o male le coppie che erano davanti non ti lasciavano andare via e tornare alla pari coi giri. In più bisogna considerare che non era come a Gand: la pista qui era lunga.

Spiegaci meglio…

La velocità rimaneva sempre abbastanza costante, ma elevata. Non riuscivi a fare quel buco e a prendere subito metà pista. Riagganciarsi dietro al gruppo era molto dura. Bastava che due o tre coppie dietro si alleassero e… ti lasciavano lì. Ti facevano “morire”. Ho guardato la media finale: abbiamo fatto 100 chilometri in un’ora e 47′ chiudendo a quasi a 57 all’ora di media (i primi l’hanno superata di poco, ndr).

Elia Viviani e Simone Consonni. I due italiani hanno concluso la loro prova in 6ª posizione (foto Jesper Skovbolle)
Elia Viviani e Simone Consonni. I due italiani hanno concluso la loro prova in 6ª posizione (foto Jesper Skovbolle)
E hai visto anche gli altri dati?

Certo e tutti erano buoni. Di certo meglio che a Gand. Anche il cuore era buono. Nel finale ho provato ad accelerare un pochino e non avevo crampi o affaticamenti vari e questo ha creato una bella condizione per questi Europei.

Cosa ti lascia una 100KM madison sul piano della condizione?

C’era gente capace di correre e questo ha aiutato, specie su una pista lunga. Due ore di americana ti fanno soffrire, ma ti danno anche tanto. Per me è stato un bell’allenamento, ne sono uscito con una bella gamba.

Cosa vi ha detto Marco Villa in proposito? Era contento di questo evento?

Sì, sì… L’altro giorno a Montichiari per esempio dovevamo fare dei lavori, ma a noi reduci dalla 100KM di Copenhagen ha detto di recuperare ancora un po’. Io l’ho ringraziato! Scherzi a parte, con questo format si fa un ottimo lavoro di tenuta e di brillantezza insieme.

Prima hai detto di aver preso il giro dopo 40 tornate, ma quando vedi il cartello che indica 360 giri al termine cosa passa nella testa?

Ho fatto i conti e mi sono detto: «Abbiamo fatto 10 chilometri, ne mancano 90… tanti». Però poi mi sono ritrovato a metà gara abbastanza presto. Ho poi in mente il cartello dei 120 giri al termine, quando c’erano da fare le volate. «Mancano solo 30 chilometri», mi sono detto. Quindi tutto sommato sono passati velocemente. La differenza con una madison normale è che i ritmi sono alti, ma non del tutto alla morte. Non avendo le volate ogni 10 giri ti potevi gestire. Le accelerate erano forti, ma i tempi tra un attacco e l’altro erano lunghi.

100KM madison, a Copenaghen una sfida d’altri tempi

21.12.2023
5 min
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A Copenaghen lo chiamano l’appuntamento di Capodanno, è la 100KM Madison del 28 dicembre prossimo. Una prova pressoché unica, quanto affascinante. Cento chilometri in pista. Sembra un’assurdità, una follia… Adriano Baffi nella sua lunga carriera su pista ne ha fatte decine. «Dunque ho fatto 16 Sei Giorni di Zurigo, quindi come come minimo ne ho messe nel sacco 32…».

In basso Adriano Baffi (classe 1962). Il cremasco ha corso fino al 2001. La pista era la sua seconda casa
In basso Adriano Baffi (classe 1962). Il cremasco ha corso fino al 2001. La pista era la sua seconda casa

Evento unico

L’ex stradista e pistard, ora uno dei direttori sportivi della Lidl-Trek, ci guida nella scoperta di questa particolare prova su pista. Sede dell’evento, la Ballerup Super Arena, anello da 250 metri.

«Di certo – dice Baffi – è un evento un po’ anacronistico. Oggi siamo in un momento in cui tempi e distanze delle gare si stanno riducendo sempre più. In carriera ne ho fatte molte di 100KM, ma perché una volta si facevano nell’ambito delle Sei Giorni. E si facevano soprattutto nella seconda parte della settimana». 

A Gand, Sercu ci spiegava come oggi le gare siano tutte più brevi, ma la richiesta delle madison, o americane resta sempre forte. Solo che una 100KM non è facile da inserire nel programma ristretto e “schizofrenico” di una kermesse come la Sei Giorni. «Di 100Km ne ho fatte molte a Zurigo e spesso erano anche ad handicap». Insomma corse vere.

Ma quel che più ci ha incuriosito di questo format sono la preparazione e la gestione. Come ci si alimenta? Come si beve? Non è così scontato. Specie nel ciclismo di oggi che dà, giustamente, molta attenzione a questo aspetto strettamente legato alla prestazione.

«La gestione parte dalla scelta del rapporto – spiega Baffi con passione – dato che sei in pista, dunque hai il rapporto fisso, non puoi cambiare. Solitamente perciò si tende ad utilizzare un dente più leggero rispetto a quello che sceglieresti in una madison normale. Questo ti consente di durare più a lungo. Ma è in una 100KM che davvero emerge il più forte. E il più forte in una madison non è solo chi ha più gamba. Servono occhio e concentrazione fino alla fine. E non facile».

Il velodromo Ballerup Super Arena misura 250 metri. In gara 16 coppie, sia tra le donne che tra gli uomini
Il velodromo Ballerup Super Arena misura 250 metri. In gara 16 coppie, sia tra le donne che tra gli uomini

Dal biberon alle malto

Baffi parla poi dell’alimentazione. Lui è figlio dei suoi tempi e quasi “sminuisce” questo aspetto. Fa capire che ai suoi tempi ci si organizzava prima e che tutto sommato una gara così dura un paio d’ore, non moltissimo.

«Si sfrutta il supporto che si ha a bordo pista. Una volta c’era il biberon – dice Baffi – sì, avete capito bene, quello per dare il latte ai bambini. L’acqua non può stare dentro le borracce o nei bicchieri. Assolutamente non deve cadere sulla pista. Si prende quel sorso durante il “riposo”, cioè mentre si aspetta il cambio dal compagno. Oggi, che invece si usa l’alimentazione liquida tutto è un po’ più pratico. Con le malto bevi e mangi al tempo stesso».

E’ chiaro che un evento così unico e raro non possa prevedere una preparazione specifica. Semmai servono più delle attitudini. Baffi spiega come un pistard che fa velocità, non potrebbe mai fare una 100KM. E neanche una madison standard di un’ora o di 40′ come spesso durano oggi

«I candidati alla vittoria calano di molto. Se in una madison di un’ora possono esserci 10 pretendenti, in una 100KM ce ne sono cinque. Devi essere abituato a stare due ore su una bici da pista con rapporto fisso.

«Quindi a stare sempre in pressione con spalle, braccia, collo… qualcosa che si sviluppa con le ore di allenamento nel suo insieme. Però non è che senti quella stanchezza che ti fa crollare o ti fa male il braccio del cambio: c’è l’adrenalina della gara che ti sostiene. Almeno per me era così».

«Una delle Sei Giorni più belle e che aveva la 100KM madison era quella di Zurigo, come accennavo. Il velodromo era sempre pieno ed era una vera festa. Io venivo dalla strada e quando sapevo che c’erano da fare 400 giri non mi scomponevo, mentre altri pistard, più specialisti, prendevano un po’ di paura. C’era quel senso di avventura, si aveva la consapevolezza di fare qualcosa di diverso dal dal solito».

Qui, Scartezzini e Viviani in azzurro. Entrambi sono annunciati a Copenaghen. «Sto meglio che a Gand», ha detto “Scarte”
Qui, Scartezzini e Viviani in azzurro. Entrambi sono annunciati a Copenaghen

Italiani a Copenaghen

Nella 100KM madison di Copenaghen vedremo anche un po’ d’Italia. Ci sarà Michele Scartezzini, che correrà in coppia con il danese Matias Malmberg. E forse ci saranno anche Simone Consonni ed Elia Viviani, i quali dovrebbero correre insieme. E anche tra le donne sono annunciate Silvia Zanardi, in coppia con Karolina Karasiewicz, e Francesca Selva, in coppia con Amalie Winther Olsen.

«Qualche giorno fa – dice Baffi – abbiamo parlato con Marco Villa sul discorso dell’utilità di fare queste gare. Comunque danno qualcosa, sono un allenamento. In questo caso poi si va a correre in Danimarca, dove l’attività su pista è rinomata e fatta in un certo modo. E’ uno show diverso per la gente che sicuramente sarà presente in massa».

Per dare un’idea, i biglietti partono da 220 corone danesi, cioè 29,5 euro, e arrivano fino a 5.210 corone, cioè 699 euro. 

Da Noto il cittì Villa lancia il 2024 della pista

07.12.2023
5 min
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La giornata di martedì di Marco Villa si è svolta a Roma. Il cittì della pista ha preso parte al convegno “La Donna Atleta” organizzato dal CONI. Un confronto tra tecnici di vari sport, al quale hanno partecipato anche Elisabetta Borgia, Diego Bragato e Paolo Sangalli.

«Si è trattato – racconta Marco Villa – di un confronto costruttivo per sentire anche come lavorano gli altri sport. Sangalli, che ha una lunga e importante esperienza in questo campo, ha fatto anche da relatore».

Il gruppo delle donne, nel quale c’era anche Fidanza, aveva un primo appuntamento a Noto (foto Instagram)
Il gruppo delle donne, nel quale c’era anche Fidanza, aveva un primo appuntamento a Noto (foto Instagram)

I giorni di Noto

Ma facciamo un salto indietro nel tempo e verso sud. Nei giorni di metà novembre si è tenuto un primo ritiro della nazionale pista, a Noto, in Sicilia. Un primo incontro per preparare la stagione che verrà e gettare così le basi di un futuro che non è poi così lontano. 

«Si è trattato – racconta Villa –  di un primo ritiro di partenza. Per le donne il blocco era di atlete elite e under 23. Con loro si cerca di lavorare già in ottica Parigi 2024. Mentre gli uomini aveva una presenza massiccia di giovani, ai quali si è aggiunto Lamon. Scartezzini era assente perché impegnato alla Sei Giorni di Gand. Gli atleti del WorldTour, invece, erano ancora in ferie o in attività (come ci aveva anticipato lo stesso Viviani qualche giorno fa, ndr)».

Tanta strada nei giorni siciliani, importante curare il fondo anche in funzione della pista
Tanta strada nei giorni siciliani, importante curare il fondo anche in funzione della pista
Per il gruppo delle donne è stato importante lavorare insieme fin da subito, alla luce anche di quanto detto qualche mese fa?

Il gruppo delle donne aveva l’obbligo di partecipare (a differenza di quello degli uomini elite, ndr). Era importante fare un primo blocco di lavoro tutte insieme. Sono stato contento che poi Fidanza, Guazzini e Consonni abbiano deciso di rimanere e lavorare. Con le donne è il secondo anno che ci lavoro.

Bisogna trovare il metodo?

No, il metodo lo abbiamo già. La nazionale funziona benissimo da questo punto di vista. Voglio cercare di portare il gruppo delle donne ad avere la stessa amalgama degli uomini. Trovare un modo di fare sistema. E’ da pochi anni che si trovano a fare la stessa attività WorldTour degli uomini. 

Villa guarda ai prossimi impegni: a gennaio ci saranno gli europei
Villa guarda ai prossimi impegni: a gennaio ci saranno gli europei
Vi siete confrontati?

Ci siamo parlati e in base ai calendari e agli impegni di ognuna abbiamo cercato di trovare dei giorni in cui si può lavorare insieme. E’ importante al fine di costruire il sistema di cui parlavo prima.

Anche perché il primo impegno è l’europeo di gennaio…

Ci arriveremo con poche gare. Gli uomini si divideranno, chi non corre all’europeo andrà a correre a Brisbane in Coppa del mondo. Le donne, invece quella tappa non la faranno. Questo perché nessuna atleta del mio gruppo andrà al Tour Down Under. Correranno a Hong Kong e poi a Milton, che sarà l’ultima tappa prima di Parigi. Visto anche il fatto che non andranno in Australia per il campionato europeo avrò il gruppo delle donne al completo.

Gli uomini, tra cui Viviani, si divideranno in due gruppi: chi andrà agli europei e chi alla Coppa del mondo in Australia
Gli uomini, tra cui Viviani, si divideranno in due gruppi: chi andrà agli europei e chi alla Coppa del mondo in Australia
A Noto che tipo di allenamenti avete fatto?

Solo strada e palestra. Abbiamo allenato la forza sia in bici che ai pesi e poi tanto ma tanto fondo. Il meteo poi ci ha dato una mano, per tutti e 13 i giorni ci sono stati 25 gradi di media. 

Per gli uomini c’erano tanti giovani, un modo anche per farli entrare in questo mondo?

Intanto si allenano e questo non può che fargli bene. E poi iniziano a capire come lavoriamo. Davanti a loro hanno degli esempi lampanti (Viviani, Consonni o Milan, ndr), che hanno dimostrato quanto sia importante lavorare bene su strada in funzione della pista. Anche se…

Cosa?

Ormai faccio fatica a portare i giovani in ritiro o alle prove di Coppa del mondo. 

I Devo Team del WT fanno fatica a cedere i ragazzi alla nazionale. Qui Delle Vedove che corre alla Circus-ReUz
I Devo Team del WT fanno fatica a cedere i ragazzi alla nazionale. Qui Delle Vedove che corre alla Circus-ReUz
Immaginiamo si riferisca a quelli dei Devo Team…

Sì. Le squadre preferiscono averli sempre con loro. Non lasciano venire i ragazzi alle gare o ai ritiri, oppure ad allenarsi in pista. La Coppa del mondo ha una prova ogni mese e porta via una settimana in tre mesi. Parlo tanto con i team ma non riesco a convincerli. Pensano che se porto un corridore ad allenarsi in pista per una settimana lo rovino per un intero quarto di stagione. Quello che non capiscono è che un ragazzo con noi lavora in pista due giorni su cinque. Per il resto curiamo tanto la strada e i risultati li abbiamo sempre avuti. 

Pista, quali differenze tra le varie gare? Risponde Selva

05.12.2023
6 min
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La pista non va mai in vacanza, lo si può affermare serenamente. Nei suoi tanti appuntamenti è sempre presente un certo tipo di agonismo, anche per ciò che c’è in palio. Dal prestigio personale all’affinamento della condizione, dai punti per il ranking internazionale alle qualificazioni olimpiche o mondiali.

La collezione autunno-inverno tradizionalmente è sempre stata popolata dalle iconiche Sei Giorni (come quella di Gand), cui nelle ultime tre stagioni si è aggiunta la Uci Track Champions League, voluta per rendere le gare nei velodromi appetibili ad un pubblico più ampio e meno di nicchia, come ci aveva detto il suo direttore Florian Pavia. La campagna primaverile-estiva invece lascia spazio alle prove di Nations Cup e alle gare nei velodromi scoperti. Ma esistono differenze di livello qualitativo tra queste varie corse? E se sì, quali sono? Abbiamo chiesto le risposte a Francesca Selva, che con la sua partecipazione alla Champions League se ne è fatta un’ulteriore idea. Sentiamo cosa ci ha detto la 24enne veneziana di Marcon, che in questi giorni è impegnata a Montichiari per un raduno azzurro in vista delle prossime gare e del 2024, nel quale proverà ad intensificare anche l’attività su strada.

Selva corre su strada col team irlandese Torelli. Nel 2024 vorrebbe intensificare l’attività in funzione della pista
Selva corre su strada col team irlandese Torelli. Nel 2024 vorrebbe intensificare l’attività in funzione della pista
Ormai Francesca possiamo considerarti fissa nel gruppo della nazionale?

Direi di no per il momento, perché mi devo ancora confrontare con calma con Marco (Villa, il cittì della pista, ndr). Lui però sa che io sono disponibile alle sessioni di allenamento che ci sono sempre state tutte le settimane. E sa anche che se c’è bisogno, può contare su di me. Le convocazioni in Nations Cup per Cali nel 2022 e per Il Cairo lo scorso marzo sono state le occasioni per entrare nel giro azzurro ed io voglio provare ad investirci più tempo.

Punti a guadagnarti un posto per le prossime Olimpiadi?

A chi non piacerebbe andarci? Ma non esageriamo (sorride, ndr). Non mi sono fatta alcun tipo di aspettative e false speranze. So perfettamente che c’è già un gruppo di atlete che andrà a Parigi ed è giusto così. Vedremo dopo le Olimpiadi se si potranno aprire nuove possibilità. Di sicuro so che vorrei allenare l’inseguimento a squadre e migliorare altre mie caratteristiche. E’ per questo che proverò a correre un po’ di più su strada sempre in funzione della pista. La Torelli, la mia squadra, ha ricevuto nuovamente l’invito per correre la RideLondon e nel 2024 vorrebbero farmela correre. Sono affascinata da quella gara, ma dovrò prepararmi bene.

Cosa intendi per “in funzione della pista”?

Non sono mai stata entusiasta di correre su strada, ma l’ho rivalutata dopo le gare che ho fatto tra fine luglio e settembre. In Polonia ho finito una piccola corsa a tappe e non lo avrei mai detto. Sono rimasta piacevolmente sorpresa perché non ero abituata a quel tipo di fatica. Ho capito che su strada posso migliorare la mia resistenza in pista, visto che faccio le discipline endurance. Anche se di pochi secondi, in pista necessito sempre di un momento dove poter rifiatare e a volte è quello che ti manca per fare la differenza o finire meglio la gara. Anche le tre kermesse che ho fatto in Belgio erano simili allo sforzo che faccio solitamente in pista. Facendo così, spero quindi di potermi presentare più preparata alle prossime corse nei velodromi.

Proprio a Londra si è conclusa la Champions League. Cosa prevede ora il tuo calendario?

Nel frattempo, verso fine novembre, ho disputato la “4 Giorni di Ginevra” infilandoci anche qualche giorno di recupero. La settimana prossima torno in Svizzera per la Track Cycling Challenge di Grenchen, poi andrò a Copenaghen per le gare di fine anno (28 e 29 dicembre, dove sarà presente anche Viviani, ndr). A gennaio invece sarò in Germania per le Sei Giorni di Brema e Berlino, anche se in realtà correrò le mie discipline rispettivamente solo per uno e tre giorni.

Considerando le esperienze che hai accumulato nelle varie manifestazioni in pista, ci sono differenze fra loro?

Assolutamente sì, ma vanno contestualizzate. Ho corso tante gare di classe 1 e classe 2, ho fatto la Nations Cup e ultimamente la Champions League. Tre eventi diversi fra loro per modo di correre e dove ci sono corridori con esperienze ed obiettivi diversi. Le differenze maggiori le ho notate sul piano tecnico.

Puoi spiegarcele?

Parto dalla Champions, visto che era una novità per me. Anche se non c’era la madison, la mia specialità principale, devo dire che a livello mentale è piuttosto semplice, così come per l’interpretazione. Tuttavia si ha una qualità dei partecipanti molto alta. Si viaggia con rapporti folli e si va a tutta per quei 10/15 minuti. Se ne hai da restare agganciata, meglio per te. Paradossalmente andando così forte, non devi quasi preoccuparti di tattica o errori altrui. Cose che invece si verificano nelle altre competizioni.

Selva dopo Parigi 2024 vorrebbe allenare meglio l’inseguimento a squadre e altre sue caratteristiche
Selva dopo Parigi 2024 vorrebbe allenare meglio l’inseguimento a squadre e altre sue caratteristiche
Continua pure.

Alla Nations Cup ho sempre trovato un livello poco omogeneo. Questo è dato anche dal periodo in cui si corre. Spesso le prove sono in concomitanza con l’attività su strada e quindi la qualità può variare tanto. Sia a Cali che al Cairo ricordo che nella madison c’erano 3/4 coppie forti o che comunque sapevano correre, tra le quali inserisco anche noi italiane. Le altre invece erano pericolose e si vedeva che non erano ben affiatate. Infatti la difficoltà maggiore era stare attente continuamente alle manovre delle ragazze meno pratiche. Molte di loro facevano il cambio al contrario rispetto al tradizionale e questo può influire sulla gestione della gara.

In che modo?

Se non si parte forte o davanti, poi si rischia di restare imbottigliate per troppo tempo. Per uscire dalle retrovie o per evitare le cadute si consumano tante energie psicofisiche. Ad esempio a Il Cairo abbiamo sempre corso col coltello fra i denti. Eravamo tante coppie e pure le qualifiche per la madison erano state difficili. Personalmente soffro sempre tanto una madison disordinata e, come me, credo anche altri puristi della pista.

Nelle gare di classe 1 e classe 2 invece che livello c’è?

A proposito di puristi, lì si trovano proprio quegli atleti che in pista sono a proprio agio e che amano quel tipo di ciclismo. Non sono gare facili perché molti corridori vengono per prendere punti per il ranking. Di base il livello è medio-alto, poi ci sono sempre quelle star che lo alzano ulteriormente. Ci sono differenze anche tra le corse all’aperto e indoor. Non solo per una questione climatica ma anche per il fondo in legno o in asfalto. Sembrano due mondi totalmente agli antipodi. Ecco, nonostante tutto e si vada forte anche qua, diventa più semplice correre perché ogni atleta sa cosa deve fare e come si corre.

Scartezzini: 2023 tra alti e bassi. E ora sguardo su Parigi

04.12.2023
4 min
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Dicembre è, come spesso accade, tempo di bilanci. E il bilancio lo traccia anche Michele Scartezzini, uno dei pistard più puri nella rosa di Marco Villa. A Gand lo abbiamo visto all’opera da vicino. Gli altri big in gara lo cercavano. Si confrontavano con lui tra una prova e l’altra. Segno di grande rispetto nei suoi confronti. Per il veneto, 31 anni e una grande esperienza, anche nel tracciare i bilanci e parlare dei progetti.

A Gand quanti campioni andavano a parlare con Michele…
A Gand quanti campioni andavano a parlare con Michele…

Bilancio positivo

Il 2023 di Scartezzini è stato disputato ad un livello alto, come sempre del resto, ma anche da un paio di colpi non brillantissimi: l’errore nella finale mondiale della madison e la frattura della clavicola.

«Mi sono rotto la clavicola ai primi di ottobre – ha detto Michele – poi è stata una grande corsa per il recupero. Avevo in vista la Sei Giorni di Gand. Mi ha operato il dottor Porcellini, lo stesso che ha avuto a che fare con molti piloti della MotoGp. Per esempio aveva operato Bezzecchi tre giorni dopo di me e qualche giorno dopo era in pista nel motomondiale. 

«Non ho perso molto in termini di condizione generale, ma certo nei cambi a Gand non ero al massimo dal punto di vista della forza sulla spalla».

Il bilancio della sua stagione non è negativo, anzi… Scartezzini promuove se stesso, pur ammettendo alcuni inciampi.

«Alla fine i miei obiettivi sono i campionati italiani, la Coppa del mondo, gli europei e i mondiali. Di titoli italiani quest’anno con le Fiamme Azzurre ne ho vinti tre. In Coppa sono salito sul podio. Agli europei sono arrivato secondo. In vista di questa prova mi ero ammalato in Argentina, dove stavamo correndo con la nazionale. E Villa giustamente mi ha messo in discussione per l’americana. A quel punto Viviani era in vantaggio su di me, per correre con Consonni. Poi è successo che anche Elia si è ammalato e sono subentrato io e appunto siamo saliti sul podio».

«Poi è vero – ammette Scarte – ho sbagliato un cambio nella madison e siamo finiti noni. Potevamo fare decisamente meglio. Mi mangio le mani. Però ho fatto bene nello scratch e anche nella corsa punti, dove ero subentrato all’ultimo a Consonni».

Campionati europei a Grenchen: Consonni e Scartezzini sono secondi nella madison
Campionati europei a Grenchen: Consonni e Scartezzini sono secondi nella madison

Testa agli allenamenti

Su strada Scartezzini corre nelle fila della Biesse-Arvedi. Per lui l’asfalto è davvero la palestra. Una palestra che rinnova di continuo anche con la nazionale. Dopo Gand “Scarte” aveva in ballo la Sei Giorni di Rotterdam, ma tutto sommato era molto motivato anche ad andare proprio con gli azzurri. E sì che gli ingaggi per le Sei Giorni non sono affatto male.

«La Sei Giorni ti dà ritmo, ma specie nelle mia condizione attuale, porta anche via tanta forza. Ancora di più sulla pista del Kuipke che era corta e ti portava ad utilizzare rapporti molto corti. Quindi mi fa molto piacere andare in ritiro con i ragazzi per mettere su un bel volume di lavoro». Villa porta tutti in Spagna.

A Glasgow gli azzurri (Scartezzini e Viviani) erano in lotta per un piazzamento, poi un errore e il podio è svanito
A Glasgow gli azzurri (Scartezzini e Viviani) erano in lotta per un piazzamento, poi un errore e il podio è svanito

Sognando Parigi

Ma dicembre è anche il momento ideale per guardare avanti. Il 2024 è l’anno delle Olimpiadi.

«Abbiamo già una bozza degli impegni in vista della prossima stagione tra gare e blocchi di lavoro a Montichiari. Chiaro, non sappiamo i giorni precisi, ma i periodi sì. Questo è molto importante per fare i carichi e lavorare sulla forza».

La nazionale è la sua vera famiglia. Ma Michele è forse colui che più paga il peso del numero contingentato di atleti che una Nazione può portare alle Olimpiadi. Il quartetto fagocita molti posti e di fatto ne resta uno solo disponibile per le altre prove.

«E’ difficile per me – ci ha raccontato Scartezzini – ne sono consapevole. Sono il primo a dire che il quartetto non si tocca. Quello che abbiamo visto in gara è quello che dà più certezze. Ma come nella madison io ci sono sempre stato.

«Prima di Tokyo, facemmo due quartetti, un test importantissimo. In uno c’eravamo io, Ganna, Lamon e Bertazzo. Nell’altro c’erano Consonni, Plebani, Milan e Stefano Moro. Noi girammo in 3’44”, in pratica il record del mondo, e loro in 3’48”. Arrivammo in quattro. Questo per dire che c’ero a quei ritmi. E credo che se riesco ad allenarmi bene e senza intoppi ci posso stare ancora. Semmai l’incognita è vedere se riesco a riprodurre quella prestazione per tre turni».

La prova più indicata per Scartezzini potrebbe essere l’americana. E lui lo sa bene. Da diversi anni è uno dei migliori interpreti di questa disciplina. «Da cinque anni sono lì, sempre con i migliori del mondo. Mi piacerebbe davvero correrla a Parigi e magari portare una medaglia all’Italia. Ma certo con questo fatto delle convocazioni è un bel casotto per me».

Aerodinamica, manubri super stretti e test curiosi: tecnica da pista

25.11.2023
6 min
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Una Sei Giorni è anche un’occasione per testare, provare e riprovare, fare esperimenti. Le bici più utilizzate, visto l’alto numero di prove di situazione, erano bici “semplici”. Quelle in pista che si utilizzano solitamente nelle madison. Tuttavia qualche chicca al Kuipke l’abbiamo notata in occasione della Sei Giorni di Gand.

FES, qualità tedesca

Uno dei pezzi pregiati ammirati sulla pista fiamminga era la FES della coppia Soudal, Theo Reinhardt e soprattutto Roger Kluge.

Una bici che ha già un’Olimpiade alle spalle, la B20 indica che era stata concepita per Tokyo 2020, ma che secondo i meccanici a Gand era ancora una delle migliori. E lo era per la sua aerodinamica e per il suo carbonio in primis. Una bici che sarà appena ritoccata, soprattutto nei suoi componenti, in vista di Parigi 2024.

Le biciclette FES sono progettate, sviluppate e prodotte dall’Istituto tedesco per la ricerca e lo sviluppo di attrezzature sportive, la cui sigla è appunto FES. Di fatto è un brand di ricerca non solo sul ciclismo ma anche per altri sport olimpici come canottaggio, vela, bob, pattinaggio di velocità, skeleton… e infatti è un istituto finanziato dal governo. Il carbonio è ad altissimo modulo, ma non è facile specificare di che tipologia si tratti. C’è molta riservatezza in merito, anche cercando online.

Questa bici ci ha colpito per la sua solidità e anche per la sua leggerezza. E’ sul filo del limite dei 6,8 chili, pochissimi per una bici da pista. 

Una bici da quartetto?

Ma non solo FES ha catturato la nostra attenzione. Il fortissimo danese Lasse Norman Hansen ha corso l’intera kermesse con una Canyon più da quartetto che da prove di situazione.

Nel paddock di Gand era opinione comune che il corridore danese, che fa giusto parte del quartetto rivale dell’Italia, stesse facendo delle prove. Ha voluto mettere sotto stress questo telaio per vedere come reagiva in quanto a rigidità e reattività in altre prove. Saltella troppo in una madison? E’ reattiva? Queste le domande principali…

E il fine era doppio. Uno, alle Olimpiadi Hansen potrebbe prendere parte anche alla madison e se riuscisse a trovare un buon feeling con questa bici, che è meno agile di quella “tradizionale”, si ritroverebbe con un mezzo più aerodinamico.

Due, perché Canyon sta lavorando ad un’evoluzione di questo telaio. Sembra che s’interverrà soprattutto sull’avantreno e la forcella. Dovrebbe essere più stretta. Ma viene da chiedersi dove “limare”. Siamo infatti nell’ambito dei “millimetri di millimetri”. Probabilmente più che sui passaggi delle ruote si lavorerà sui profili stessi dei tubi.

L’utilizzo diverso di una bici nata per altre prove, aiuta gli ingegneri ad avere feedback. Ma per fare questo, quei feedback devono arrivare da un corridore di un certo livello e soprattutto dal suo utilizzo in gara. Hansen era l’identikit perfetto.

Manubri minimal

La questione aerodinamica in pista è decisamente importante, specie per gare come il quartetto o il chilometro. Ebbene a Gand si è vista una serie di manubri estremamente stretti. Il concetto è quello della strada di cui abbiamo parlato più volte in passato (pieghe più strette).

E qualche manubrio era così stretto che la notizia è arrivata persino al cittì Marco Villa, il quale giustamente curioso, ha chiesto delle foto a Michele Scartezzini, uno dei suoi storici ragazzi. Questi manubri erano talmente stretti che in presa alta l’intero palmo della mano non ci entrava. 

Chiaramente una bici simile va bene per una prova veloce, i 500 metri, un giro lanciato… Ma non per una madison in cui ci si deve dare i cambi e fare leva sul manubrio stesso. Una bici così è difficilissima da guidare. Gli scarti sono violentissimi e la base d’appoggio minima. Parliamo di pieghe larghe 25 centimetri.

E infatti alla vista di questi manubri più di qualche atleta ha storto il naso, sperando non venisse utilizzato nell’americana.

Alla “scoperta” del derny. La tattica sul filo dei 70 all’ora

23.11.2023
5 min
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Alla Sei Giorni di Gand abbiamo avuto l’occasione di “riscoprire” e ammirare da vicino il derny, sia la specialità, sia la moto-bici da cui prende il nome la specialità stessa. Il pistard si mette a ruota del pilota e via di corsa per tutta la gara (in apertura foto Sei Giorni Lotto Flanders).

Il derny entra in scena anche alle Olimpiadi per il Keirin, l’unica specialità che prevede l’utilizzo di un mezzo motorizzato in tutto il programma dei Giochi. Chiaramente i mezzi devono rispondere a canoni ristrettissimi di prestazioni ed utilizzo. Insomma si è voluto eliminare la variabile relativa al mezzo tecnico.

Al Kuipke le curve strette schiacciavano moltissimo. Si toccavano i 70 all’ora (foto Sei Giorni Lotto Flanders)
Al Kuipke le curve strette schiacciavano moltissimo. Si toccavano i 70 all’ora (foto Sei Giorni Lotto Flanders)

Velocità e tattica

A Gand il derny era una delle specialità più dure per le caratteristiche della pista: corta (166,66 metri) e con curve super pendenti (52 gradi). Va da sé che una volta arrivati a centro curva e in uscita, gli atleti erano schiacciati moltissimo sulla bici, specie se si considera che si andava anche a 70 all’ora. Pertanto le manche del derny, anche in virtù del fatto che erano inserite all’interno di un programma serale molto fitto, erano ben più corte dei 25-40 chilometri previsti dal regolamento UCI.

L’andatura impostata in partenza iniziava dai 40 all’ora e man mano saliva. Per questa sfida i pistard montavano i rapporti più lunghi dell’intera kermesse. L’olandese Havik per esempio utilizzava un 58×15 che, ci dicono, essere bello lungo sullo specifico anello fiammingo. Ma d’altra parte le velocità finali erano altissime.

Un po’ moto, un po’ bici

Il derny prende il nome dalla moto stessa, Derny appunto, un marchio francese che nacque nei primi decenni del 1900. Era una “moto leggera”, in pratica su un telaio di bici più robusto veniva installato un motore che era agevolato dalla spinta dei pedali. All’inizio vi furono organizzate gare specifiche su strada. Cera una cronoscalata del Ventoux, per dire. E sempre il derny era uno dei simboli della mitica Bordeaux-Parigi, che tra l’altro ritornerà il prossimo anno.

A parte qualche apparizione sporadica, l’arrivo su pista avvenne nel dopoguerra, nel 1948 in Giappone. E non è un caso che negli anni molti corridori di livello fossero del Sol Levante. Ma anche l’Italia con Guido Bontempi, Claudio Golinelli e Ottavio Dazzan ha avuto interpreti di assoluto valore.

La foto di rito dopo le manche del derny, spesso vinte da Van den Bossche (in foto) o dal compagno Jules Hesters
La foto di rito dopo le manche del derny, spesso vinte da Van den Bossche (in foto) o dal compagno Jules Hesters

Il pilota conta

A Gand i derny erano a motore termico. Oggi nei velodromi e ai Giochi sono elettrici, ma il concetto di velocità che va ad aumentare gradualmente resta lo stesso.

«E’ l’atleta che decide il passo – ci ha detto Michele Scartezzinise dice “Op” il pilota deve calare un po’, se dice “Alè” deve aumentare. E’ una gara molto tattica, si dice sempre che non si parte forte ma poi si aumenta più rapidamente di quel che sembra. Conta molto anche la sensibilità del pilota, che in certe fasi almeno deve essere bravo a non strappare».

Tuttavia quest’ultima affermazione non ha più valenza sui derny di ultimissima generazione. Questi infatti sono elettrici e controllati da remoto per l’aumento della velocità così da annullare la variabile relativa al pilota.

Nelle Sei Giorni però si resta fedeli alla vecchia linea, come ci ha detto uno dei piloti del Kuipke: «I corridori preferiscono questo tipo di derny e non quello elettrico, perché sentono il rumore che li aiuta a regolarsi. Riescono a capire meglio i distacchi. E, cosa non secondaria, il rumore del motore che sale di giri fa salire l’adrenalina».

E questo è verissimo, anche noi la prima sera siamo stati rapiti da questo crescendo motorizzato.

Il pilota gioisce per la vittoria di Lindsay De Vylder da lui guidato (foto Sei Giorni Lotto Flanders)
Il pilota gioisce per la vittoria di Lindsay De Vylder da lui guidato (foto Sei Giorni Lotto Flanders)

Come funziona?

Vince chi, al termine dei giri stabiliti, taglia per primo il traguardo. Il regolamento dice che la moto non va superata, ma bisogna fare un distinguo. Ci sono infatti delle varianti. Nelle prove ufficiali, mondiali, Olimpiadi… il pilota, unico per i finalisti, si sposta a 750 metri dall’arrivo: è questa appunto la specialità del Keirin, riservata ai velocisti. Nelle Sei Giorni invece il derny resta in pista fino alla fine e di fatto è parte integrante delle sfide.

Anzi, il pilota tante volte è più coinvolto dell’atleta stesso. Almeno così ci è sembrato a Gand. Quando vincevano urlavano più i piloti che i corridori! Ma ci sta, in fin dei conti il saper valutare le distanze per le rimonte, le velocità e gli spazi soprattutto è anche merito loro.

«Sembra facile ma non è così – ha detto Ron Zijlaard, uno dei piloti più esperti – anche noi dobbiamo prendere confidenza con la pista. Arriviamo un giorno prima per girare un po’. E’ importante che l’atleta si senta in una zona comfort, a suo agio.

«Noi che guidiamo dobbiamo essere anche in grado di capire gli altri. Se si muovono molto sulla bici allora si può attaccare. Dobbiamo sederci bene per fargli prendere meno aria possibile. E’ anche importante non stare nelle turbolenze di chi è davanti». Insomma c’è più tattica di quel che si possa immaginare.