Chissà se alla fine, avendo avuto meno fretta, Cjan Uijtdebroeks sarebbe già arrivato ai traguardi che sognava, restando in quella che sarebbe poi diventata la Red Bull-Bora-Hansgrohe. Invece nell’autunno fra il 2023 e il 2024, con un colpo di mano di avvocati e procuratori che provocò reazioni di vario fastidio nel gruppo, il talento belga indicato come il nuovo Evenepoel passò alla Visma con un contratto di quattro anni fino al 2027. Purtroppo però i contratti sono ormai una via di mezzo fra la carta straccia e una tutela dell’investimento, per cui nessuno si è stupito quando Uijtdebroeks ha risolto anche il contratto con gli olandesi per diventare uno dei leader del Movistar Team.
Il 43 per cento della squadra spagnola è stato acquisito da, Quantum Pacific Management, un fondo di investimento guidato dal miliardario israeliano Idan Ofer. Così, appena si sono trovati in casa le risorse per puntare su un top rider, gli uomini di Unzue si sono prima mossi sulle tracce di Ayuso, che però ha preferito la Lidl-Trek. E a quel punto, dato che tutti i migliori erano ormai blindati e dovendo comunque pagare per rompere un contratto, gli spagnoli si sono orientati sul belga. Uijtdebroeks alla Visma si trovava stretto e ha scelto di cambiare nuovamente maglia.
A dicembre 2023, Uijtdebroeks si allenava con la Jumbo-Visma, nonostante ci fosse ancora il contratto con la Bora (foto Het Laatste Nieuws)A dicembre 2023, Uijtdebroeks si allenava con la Jumbo-Visma, nonostante ci fosse ancora il contratto con la Bora (foto Het Laatste Nieuws)
Tra Uijtdebroeks e Lipowitz
La Bora-Hansgrohe nel 2023 accolse come stagista anche Florian Lipowitz, che si è fidato, è cresciuto e lo scorso luglio è salito sul podio del Tour. Mentre Uijtdebroeks, entrato in squadra nello stesso anno, vaga ancora da un team all’altro. Forse a fare la differenza c’è stata la capacità di dare fiducia ai tecnici prescelti: il belga non è stato capace di farlo oppure ha preferito ascoltare anche altre voci.
«La Visma è una squadra importante, con molte vittorie nei Grandi Giri – ha dichiarato Cian allo spagnolo Marca – ma i miei obiettivi non erano in linea con i loro. Sono convinto che il passo che sto facendo sia quello giusto. In Visma ci sono così tanti corridori forti che le opportunità sono minime. E nel mio ultimo anno, tra infortuni e problemi, sono rimasto indietro molto rapidamente. La visione che io e Alex Carera (il suo agente, ndr) avevamo per il mio sviluppo era diversa da quella della squadra. Sono già arrivato tra i primi 10 alla Vuelta a Espana 2023, ma voglio di più. E’ lì che è nata la differenza di visione. Movistar mi ha offerto questa possibilità fin dal primo minuto».
La Movistar è convinta di poter ritrovare il ragazzino terribile che si presentò al professionismo con la vittoria al Tour de l’Avenir, ottenuta quando già correva con la Bora-Hansgrohe.
«Penso di poter fare ancora meglio – ha sottolineato Uijtdebroeks – quel livello è ancora nel mio corpo e voglio superarlo. La prima cosa è conoscere bene la squadra, ma so che ci arriverò. Al momento, potrei non essere pronto a vincere un Grande Giro, ma forse in futuro sarà possibile. Sono passato per momenti incredibilmente difficili. Sono passato dalle top 10 ai ritiri ed è stato davvero doloroso. La parte peggiore era non sapere perché, così quando abbiamo scoperto che tutto dipendeva dalla posizione in sella e da come questa influenzava un muscolo, ho tirato un sospiro di sollievo. Abbiamo cambiato le cose e sono tornato. Ma quel vuoto è stato terribile, una brutale sensazione di impotenza».
Bocca della Selva, arrivo in salita vicino Caserta al Giro 2024. Uijtdebroeks salva la maglia bianca, ma l’indomani di ritireràBocca della Selva, arrivo in salita vicino Caserta al Giro 2024. Uijtdebroeks salva la maglia bianca, ma l’indomani di ritirerà
La lezione di Vingegaard
Il ragazzino è sveglio. Ha 22 anni e ha già cambiato tre squadre, ma non se ne è andato senza essersi guardato intorno e aver preso gli… appunti più utili.
«Alla Visma ho imparato moltissimo – ha spiegato al giornale spagnolo – ho imparato a conoscere la mia posizione in bici e i problemi collegati. Ma anche l’alimentazione, il tipo di allenamento più adatto a me e anche come i grandi leader affrontano le giornate negative. Condividere una corsa con Vingegaard e vedere la calma con cui gestisce tutto è stata una grande lezione.
«Ho capito che sarebbe stato meglio andare via alla fine di questa stagione, quando abbiamo discusso il programma per l’anno prossimo. Prima abbiamo affrontato i miei problemi fisici, poi siamo entrati negli aspetti sportivi. E mi hanno detto che sarebbe stato difficile per me correre un Grande Giro nel 2026. Quello è stato il punto di svolta: le nostre visioni non erano più allineate».
A Kigali per Uijtdebroeks un mondiale in supporto di Evenepoel e poi il 26° posto finaleA Kigali per Uijtdebroeks un mondiale in supporto di Evenepoel e poi il 26° posto finale
Un ambiente familiare
E così, dopo aver snocciolato la necessità di guadagnare in esplosività e a cronometro, aver ammesso che gli piace il Giro d’Italia perché è il primo e che gi piace la Vuelta perché è dura, Uijtdebroeks si appresta a scoprire la serenità della Movistar. Seguirà il percorso inverso di Jorgenson che la lasciò per la Visma, cercando un livello tecnico superiore. Ha la stessa età di Pellizzari e Del Toro, ma complici gli infortuni e le sue scelte, deve ancora trovare una dimensione.
«Alla Bora e alla Visma ho conosciuto culture diverse – ha detto – ora ho scoperto di aver bisogno di un ambiente professionale, sì, ma anche umano, qualcosa che mi faccia sentire a mio agio. A Pamplona, durante il ritiro, mi sentivo già parte di una famiglia. Ecco perché sono sicuro di aver fatto la scelta giusta. Sebastián (Unzue, ndr) e io condividiamo la stessa visione. Il piano è perfetto».
Sedici anni di carriera professionistica, al servizio di molti capitani, nove vittorie, 15 Grandi Giri e 27 classiche monumento disputate, sei squadre… sono i numeri di Davide Cimolai che ha deciso di lasciare le corse. E così ecco un altro ragazzo, dopo Gianluca Brambilla o Giacomo Nizzolo, che appende la bici al famoso chiodo.
Sarebbe però sbagliato sintetizzare la carriera di uno dei corridori più sensibili (e lasciateci aggiungere, educati) del gruppo solo con i numeri. “Cimo” è stato ed è molto, molto di più. Quando risponde al telefono il suo tono è squillante. «Sono felice»: è una delle prime frasi che ci dice. E si sente. Inizia subito a parlarci di progetti, di aver smesso per sua scelta e con serenità. E questo è un aspetto vitale.
Febbraio 2010, Cimolai esordisce tra i pro’ al Tour de San Luis (a destra Chicchi in maglia di leader)Febbraio 2010, Cimolai esordisce tra i pro’ al Tour de San Luis (a destra Chicchi in maglia di leader)
Cimo, dunque, partiamo proprio da questi progetti che ci hai accennato. Ci sono due strade: un sogno a lungo termine e un’altra più concreta e a breve termine. Puoi spiegarci?
Uno è al di fuori del mondo sportivo, nel settore dell’agricoltura, un settore che mi è sempre piaciuto, ma per ora, poiché è davvero in alto mare, preferisco non parlarne.
E l’altro invece?
Mira a restare nel ciclismo. Non voglio abbandonare completamente il mondo delle due ruote. Sedici anni di esperienza professionale sono un bagaglio prezioso da non lasciare cadere nel vuoto e non lo voglio sprecare. L’obiettivo dunque è trasmettere la mia esperienza, in particolare ai giovani. Sto gettando le basi per aprire uno “studio” con il quale seguire ragazzi e atleti. Fargli vivere questo sport con professionalità ma anche con passione. L’annuncio arriverà quando tutto sarà pronto.
Parlaci un po’ delle ragioni del tuo ritiro. Quando hai cominciato a maturare l’idea nella tua testa?
Parto dall’inizio della stagione per dare un quadro completo e farvi capire bene. Avevo iniziato quest’anno con l’intenzione di correre un altro anno, quindi fino a tutto il 2026, ma la realtà è stata subito diversa dalle mie aspettative.
Ottobre 2025, l’ultima gara al Tour de Guangxi. Dalla foto precedente a questa, per Cimolai ben 1.126 giorni di corsaOttobre 2025, l’ultima gara al Tour de Guangxi. Dalla foto precedente a questa, per Cimolai ben 1.126 giorni di corsa
Si è rivelata una stagione difficile? Tu stesso ce ne parlasti a Trieste prima della partenza del campionato italiano…
In Oman ho avuto una brutta influenza che mi ha costretto a correre debilitato. Poi, anche se non avrei dovuto, ho continuato anche al UAE Tour visto che ero già lì. La squadra mi ha coinvolto all’ultimo e, credetemi, ho dato tutto e giocato di mestiere solo per finirlo. Idem con alcune corse dopo, tra cui la Strade Bianche e alcune classiche del Nord. Dovevo andare al Giro d’Italia, quindi sono andato al Romandia ed è successo il fatto più grave.
Quale?
Ho avuto una grave infezione al braccio, a seguito di una ferita che avevo trascurato. Vi dico solo che c’è stato bisogno del ricovero e ho rischiato l’amputazione del braccio stesso. Ma il problema maggiore, per assurdo, non è stato tanto il braccio, quanto le dosi massicce di antibiotici che ho dovuto fare.
Perché?
Mi hanno debilitato moltissimo. Per dire: io non avevo mai avuto un’otite in vita mia, in poche settimane ne ho avute tre. Questi problemi mi hanno impedito di raggiungere il 100 per cento della condizione, fatto essenziale per essere competitivo e divertirsi, specialmente a 36 anni.
Il friulano (classe 1989) ha vinto la sua prima gara da pro’ nel 2015 a LaiguegliaIl friulano (classe 1989) ha vinto la sua prima gara da pro’ nel 2015 a Laigueglia
E oggi, come dicono tutti i corridori, devi essere al top. Non puoi andare in corsa solo per costruire la condizione…
Esatto, proprio questo volevo dire. Di fatto sono stati tre mesi durissimi. Tre mesi in cui ho quasi smesso di correre. Sono andato a Livigno, sono riuscito a prepararmi bene e così ho affrontato discretamente alcune corse: Vallonia e Polonia. Ma in Polonia ho preso, come molti altri, il Covid in modo pesante. Alla fine questo accumulo di difficoltà fisiche e mentali soprattutto mi ha fatto capire che il percorso professionale era giunto al termine. E io avevo giurato fedeltà alla squadra un altro anno.
Però ti hanno spesso richiamato all’ultimo. Non credevamo saresti voluto restare in Movistar…
Non ero così disposto a cercare altre opzioni. Tra l’altro io sono un gregario, un uomo squadra. Non un leader che decide di fare questa o quella corsa. E per me questo significa essere pronti e disponibili quando ti chiamano. Essere professionali.
Quanto ha inciso anche la questione Gaviria che non ha rinnovato? Ricordiamo che tu eri, o saresti dovuto essere, il suo ultimo uomo…
Ha inciso parecchio. Ha inciso nella valorizzazione del mio lavoro di supporto. Forse con una vittoria in più le cose anche per me sarebbero cambiate. Tuttavia sono orgoglioso del mio impegno e del nuovo ruolo che mi sono ritagliato: stare vicino ai giovani, aiutarli a crescere. Attenzione però, non vorrei che passasse il messaggio che smetto con rimpianti o scuse. No, semplicemente la realtà è stata questa.
Il progetto con Gaviria alla Movistar non è andato benissimo. Tante sfortune per entrambiIl progetto con Gaviria alla Movistar non è andato benissimo. Tante sfortune per entrambi
E con realismo hai fatto una scelta. Davide, invece come ha reagito la tua famiglia a questa decisione?
Avevo già accennato ai familiari e agli amici l’eventualità del ritiro. La mia compagna, Alessia, in tutti questi anni è stata il mio più grande sostegno, il mio punto di riferimento. Mi ha sempre incoraggiato a continuare, anche nei momenti più difficili, come per esempio dopo l’esperienza con Cofidis. Lì ho rischiato parecchio. Ma lei era sicura che sarebbe arrivata una chiamata da parte di un’altra squadra. Ora anche lei è felice della mia decisione… anche perché mi vedrà più spesso a casa. Anzi, se posso dirlo, è un mese che sono a casa e per certi aspetti era più comoda la vita da atleta!
“Cimo”, cosa ricordi dalla prima gara con i professionisti?
Ricordo il mio debutto nel 2010 al Tour de San Luis in Argentina. Ero con la Liquigas. Da dilettante ero abituato a vincere e a prendere vento in faccia solo per fare la volata. Al San Luis il mio capitano per gli sprint era Francesco Chicchi. Così subito mi ritrovai a tirare per chiudere sulla fuga. E a tirare per portarlo davanti allo sprint. In squadra però c’era anche Vincenzo Nibali. Succede che Vincenzo vince la crono e va in maglia… Ancora peggio per me! Davanti sin da subito per difendere il primato.
Insomma hai capito subito l’antifona!
Esatto, ho subito capito la differenza. Però è stato anche bello vedere come con i premi potevi fare più soldi del tuo dispendio. All’epoca passai in quello che era uno squadrone come Liquigas, ma partii con il minimo. Prendevo davvero poco. I premi in quegli anni erano ancora in contanti e tornai a casa con un bel po’ di dollari. Anche questa fu una sorpresa, ma bella!
Davide, con la sua compagna Alessia e le sue figlie Mia e Nina (immagine Instagram)Davide, con la sua compagna Alessia e le sue figlie Mia e Nina (immagine Instagram)
E invece dal San Luis 2010 al Tour de Guangxi 2025, quanto è cambiato il tuo fisico?
Sostanzialmente le mie caratteristiche fisiche sono rimaste simili, ma negli ultimi anni, grazie a un allenamento in palestra oggi molto più continuo rispetto al passato, ho aumentato la mia massa muscolare. Mediamente un chilo in più… Il contrario di quel che accadeva un tempo.
E Davide, come uomo com’è cambiato nel tempo?
E’ cambiato il ciclismo, forse in modo più interessante. E con la maturità che ho ora, con l’impegno che ci ho messo negli ultimi anni, soprattutto con la voglia di faticare, con la sopportazione alla fatica, mi sono reso conto che prima avrei potuto, tra virgolette, impegnarmi di più. Non sono qui a dire che avrei vinto di più. No, le cose sono andate così e ne sono contento. Dico solo che all’epoca le cose mi venivano più facili. Facevo il mio, con grande impegno, però stop. Invece col senno di poi avevo un altro step per arrivare al 100 per cento. Mi sono reso conto che mentalmente ero “fragile”.
C’è stato un cambiamento graduale nella tua resistenza alla fatica oppure hai vissuto un momento spartiacque netto?
E’ stato graduale, ma me lo ha fatto capire il preparatore che ho avuto in Movistar, Leonardo Piepoli. Lui mi è stato davvero d’aiuto, mi ha fatto maturare, mi ha fatto vedere le cose in un’altra prospettiva. Anche gli allenamenti stessi, insomma. Analizzando come mi ero allenato gli anni precedenti, mi ha detto chiaramente che potevo fare di più a livello numerico durante la preparazione.
Davide è stato anche più volte in azzurro: ha corso tre mondiali e quattro europeiDavide è stato anche più volte in azzurro: ha corso tre mondiali e quattro europei
Qual è stata la corsa, in tanti anni di professionismo, che ogni volta ti emozionava di più? Quella che sentivi davvero?
La Sanremo – replica secco Cimolai – perché l’ho sempre sognata. Sarà che sono italiano, boh. Ricordo che, prima del Covid quando era ancora aperta ai velocisti, partendo da Milano non vedevo l’ora di arrivare sul Poggio sapendo che il dilemma era se fare la volata o tirarla. Capite: davo per scontato che avrei superato il Poggio. Oggi è impossibile. E poi anche il Fiandre mi dava forti emozioni. Ho avuto la fortuna di correrlo diverse volte e l’atmosfera che si vive lassù, ragazzi, è incredibile. E poi un corridore non è un vero professionista se non prova a fare e a finire un Tour de France.
Interessante: perché?
Ricordo molto bene il mio primo Tour, anche perché è quello in cui ho sfiorato il podio in una tappa. Poi sarà che l’ho vissuto con spensieratezza e non sentivo lo stress che genera la Grande Boucle. L’ho fatto cinque volte (dal 2013 al 2017, ndr) e ogni volta sono arrivato a Parigi. L’emozione di entrare sugli Champs Elysées è rimasta la stessa ogni anno. Questo è il ricordo più bello del Tour.
L’entrata ai Campi Elisi, emozioni sempre forti per CimolaiL’entrata ai Campi Elisi, emozioni sempre forti per Cimolai
Visto che vuoi lavorare con i giovani, lasciamo a te la parola: se potessi dare un messaggio a un allievo che oggi inizia il ciclismo, cosa diresti?
Parto con un esempio. Quando a luglio mi ritrovavo a Livigno tanti anni fa, e lassù incontravo un allievo o uno junior gli dicevo: «Ragazzi, ma cosa fate quassù alla vostra età? Andate a mangiarvi una pizza al mare. Pedalate sì, ma rilassatevi in un altro modo, non venite a fare i professionisti». Ero di quella filosofia.
E di quella scuola…
Esatto, ma adesso che piaccia o no, il ciclismo è cambiato. Perciò oggi dico che già l’allievo deve essere mentalizzato a fare ciò che io facevo magari da under 23, se non nei primi anni da professionista. E’ tutto anticipato. Questa non è una cosa che mi piace, ma è così. E se vuoi fare il professionista devi accettarla, adattarti. A 20-21 anni devi essere già al top della carriera. Prima certe cose e certe mentalità si facevano e si avevano a 20-22 anni, adesso le devi avere a 15. Devi avere già il tuo sogno nel cassetto: passare professionista. Io ce l’avevo in mente a 18-19 anni. A quell’età avevo l’idea fissa di correre e diventare pro’. Oggi bisogna anticipare un po’ i tempi.
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Un finale di stagione corso sempre all’attacco, con la voglia di trovare la prima vittoria tra i professionisti. Lorenzo Milesi ha cambiato marcia ed è consapevole di essere arrivato a un punto della sua carriera dove è importante anche dimostrare con i risultati. Il successo è sfumato per poco. Dalla seconda metà di stagione, iniziata con il Tour de Wallonie, sono arrivate sette top 10, di cui una è il secondo posto nel Mixed Team Relay agli europei.
«Siamo stati tre giorni in Svezia – ci racconta da casa Lorenzo Milesi – per staccare, siamo stati a Malmoe e poi siamo saliti verso nord. Il tempo è ancora bello lì e ce lo siamo goduto. Nicolas (Milesi, ndr) e Alessandro (Romele, ndr) avevano deciso di andare già da tempo, io ero in dubbio perché forse sarei andato a correre alla Crono delle Nazioni. Alla fine la squadra ha rinunciato e ho terminato la stagione al Lombardia, e direi che va bene così visto che ho fatto ottantuno giorni di corsa».
Da destra: Lorenzo Milesi, Alessandro Romele, Nicolas Milesi, durante la breve vacanza in SveziaDa destra: Lorenzo Milesi, Alessandro Romele, Nicolas Milesi, durante la breve vacanza in Svezia
Mira aggiustata
Lorenzo Milesi, al suo terzo anno nel WorldTour di cui corsi con la Movistar, ha trovato continuità nella seconda parte di stagione.
«Fino al campionato italiano – spiega Milesi – la stagione era rivedibile. Il problema principale è stata la troppa palestra fatta lo scorso inverno, ho preso troppo peso a livello muscolare e ho iniziato la stagione con qualche chilo di troppo. Erano tutti muscoli, ma il rapporto peso/potenza non mi permetteva di essere efficace. Così ho accantonato i pesi e mi sono concentrato sulla bicicletta, soltanto che correndo spesso era difficile concentrarsi sul fare un allenamento che mi permettesse di perdere peso. Il cambio di passo si è visto a luglio, quando ho avuto modo di fermarmi e andare in altura ad allenarmi».
Nella seconda metà di stagione Lorenzo Milesi ha corso spesso all’attacco mettendo insieme quasi 500 chilometri di fugaNella seconda metà di stagione Lorenzo Milesi ha corso spesso all’attacco mettendo insieme quasi 500 chilometri di fuga
Hai tracciato una riga e sei ripartito?
Esattamente, mi sono allenato per tre settimane a Livigno. In quei giorni ho spinto molto, infatti quando sono ritornato in corsa al Tour de Wallonie stavo molto bene.
Come ti sei allenato?
Di solito in altura si fanno tante ore e pochi lavori intensi. Io invece mi sono concentrati su sforzi brevi e intensi mettendo da parte il discorso dei chilometri. Ho curato tanto la parte di imbocco delle salite, arrivavo spingendo wattaggi alti per abituarmi allo sforzo in gara e poi iniziavo i lavori. A livello del mare sono faticosi ma gestibili, fatti a 1.500 o 2.000 metri d’altitudine è un’altra cosa.
Alla seconda tappa del Tour de Wallonie Lorenzo Milesi viene battuto allo sprint da Oliver KnightAlla seconda tappa del Tour de Wallonie Lorenzo Milesi viene battuto allo sprint da Oliver Knight
Fatto sta che hai trovato il modo di tornare in gara al tuo meglio…
Sì e anche la squadra era soddisfatta. L’obiettivo a inizio stagione era di arrivare nella seconda parte e provare a raccogliere dei risultati. Essere partito bene con il Wallonie mi ha permesso di trovare fiducia, sia a me che alla squadra. Quest’anno ho anche cambiato preparatore, ora lavoro con Leonardo Piepoli. Mi trovo bene con lui e sono sicuro di poter migliorare ancora.
A livello personale che consapevolezze hai trovato?
Ho capito che fare risultato è dura, ma sono convinto che nel 2026 riuscirò a fare un passo ulteriore, iniziare a lavorare bene dall’inverno mi darà una mano.
Lorenzo Milesi ha detto di aver fatto dei passi in avanti a cronometro grazie anche al nuovo casco di Abus: il TimeShifterLorenzo Milesi ha detto di aver fatto dei passi in avanti a cronometro grazie anche al nuovo casco di Abus: il TimeShifter
Sei andato forte al Nord, hai ancora in testa le Classiche?
E’ un argomento di cui dovrò parlare con la squadra. Siamo convinti che il mio profilo sia adatto a questo genere di corse. Solo che faccio fatica mentalmente perché prendo i muri che sono a centro gruppo. E se lo fai una volta rientri e stai in corsa, ma alla terza volta paghi lo sforzo e ti stacchi. Devo capire se insistere ancora un anno o cambiare obiettivi. Mercoledì ho il volo per Pamplona per un primo ritiro con il team per parlare di obiettivi e calendari, ne parleremo.
Tu su due piedi cosa diresti?
Che sarei felice anche di mettermi alla prova in gare come la Liegi o l’Amstel, magari sono gare che si addicono di più al mio modo di correre. E’ anche vero che quest’anno ho attaccato il numero sulla schiena il 25 gennaio in Spagna e sono arrivato alle classiche di primavera con più di venti giorni di gara. Il problema è che se corri troppo, soprattutto nelle gare di un giorno, poi fai fatica ad allenarti. Per arrivare più competitivo alle corse del Nord dovrei fare un calendario diverso.
Milesi, qui a destra in azione durante il Mixed Team Relay, è tornato a vestire la maglia della nazionale a cronometro dopo due anniMilesi, qui a destra in azione durante il Mixed Team Relay, è tornato a vestire la maglia della nazionale a cronometro dopo due anni
Per quanto riguarda la cronometro?
E’ sempre un punto fondamentale per me, sul quale mi concentro. Faccio fatica a fare il doppio allenamento, quindi uscire con la bici da strada e poi prendere quella da cronometro, o viceversa. Preferisco allenarmi con una sola bici per tutta la giornata. Comunque la sto curando, anche perché se voglio essere competitivo nelle corse a tappe di una settimana è un aspetto sul quale lavorare. Quest’anno Abus ci ha dato un nuovo casco da cronometro e devo dire che i miglioramenti sono evidenti.
Anche per tornare a vestire la maglia azzurra come fatto quest’anno agli europei?
Sì, ma in questi casi il merito di partecipare a certi eventi passa dall’ottenere dei risultati durante la stagione. Per ambire alla maglia della nazionale devi dimostrare di andare forte durante tutto l’anno e puntare a rimanere sempre tra i primi cinque in tutte le prove contro il tempo.
Bagioli è tornato dal ritiro americano della Lidl-Trek. Il nuovo team gli piace. Si sente trattato da leader. E se la fiducia cresce, arrivano le vittorie
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Se si guardano i risultati nudi e crudi, c’è un Pogacar anche nel ciclismo femminile juniores e ha il nome di Paula Ostiz. Come lo sloveno ha collezionato i titoli europeo e mondiale (con l’aggiunta di quello continentale cronometro e l’argento iridato), come il vincitutto ha messo insieme classiche come il Giro delle Fiandre. Se ci fosse stato il ranking juniores avrebbe sbancato…
Non si può certo dire che l’iberica esca dal nulla visto che lo scorso anno aveva vinto l’oro europeo contro il tempo e ai mondiali le era sfuggito il titolo per colpa di Cat Ferguson, che ora è sua compagna di squadra alla Movistar. La sua stagione ha rispecchiato fedelmente quella passata con una caterva di vittorie e piazzamenti, quindi non è certo una meteora. Ce n’è abbastanza per conoscerla meglio, certi che la ritroveremo presto e ripetutamente ai vertici anche fra le “adulte”.
Lo sprint vincente di Kigali. Per la Ostiz è stata una rivincita, dopo la piazza d’onore del 2024Lo sprint vincente di Kigali. Per la Ostiz è stata una rivincita, dopo la piazza d’onore del 2024
Come hai iniziato a correre in bicicletta?
Avevo 6 anni, grazie a mio padre, perché era tifosissimo di Miguel Induráin e aveva portato i miei due fratelli, Raúl e Toni a correre. Da lì ho iniziato anch’io e sono ancora qui oggi, loro invece si sono dedicati ad altro.
Cosa è cambiato rispetto all’anno scorso?
Un certo progresso c’è stato. Ho vinto entrambi i campionati, ma è stato grazie al lavoro che ho fatto con l’allenatore che mi ha permesso di crescere e di vincere ovunque, soprattutto in ogni periodo dell’anno. Sono riuscita a mantenere una grande costanza di rendimento e questo sicuramente pesa nell’economia di una stagione.
Ostiz e Grossmann: una sfida che si è ripetuta per tutta la stagione, sempre a favore dell’ibericaOstiz e Grossmann: una sfida che si è ripetuta per tutta la stagione, sempre a favore dell’iberica
Tu vinci dappertutto, ma quali corse preferisci, tra quelle di un giorno e quelle a tappe?
Io non farei una distinzione. Conta come ti senti, come girano le gambe, poi vanno bene entrambe, a me piacciono tutte le corse. Le classiche di un giorno sono davvero adatte a me, ma direi che le corse di più giorni sono migliori perché il mio corpo le assimila meglio ogni giorno che passa, gestisco meglio la fatica. Per questo non mi pongo il problema…
Tra il campionato del mondo e l’europeo, qual è stata la gara più dura da disputare?
Se devo essere sincera nessuna delle due in particolar modo. Ero forte e avevo una buona squadra che mi ha aiutato in ogni momento, in quei due giorni stavo andando davvero bene. Non si vince mai da sole, questo posso dire di averlo già capito.
Il podio del Fiandre juniores, vinto dalla Ostiz staccando le olandesi Arens e KoopsIl podio del Fiandre juniores, vinto dalla Ostiz staccando le olandesi Arens e Koops
Ad agosto sei passata alla Movistar: perché hai voluto anticipare i tempi?
Intanto perché è la squadra di casa, un po’ come una nazionale e quando ti si pone l’eventualità non ci pensi due volte, non stai ad aspettare. Mi sono sentita subito ben accetta, preferisco stare in squadra e anticipare i tempi, stringere rapporti con le compagne di squadra, aiutare ed imparare. Se posso farlo prima, è tutto tempo guadagnato nel mio cammino di crescita. E’ importante essere trattati bene, accuditi e, soprattutto, essere supportati in ogni momento.
Quanto cambia correre con le più grandi?
Beh, la velocità non è più alta che nelle gare junior… direi che mi sto adattando molto bene perché so come muovermi nel gruppo. Quello che mi riesce difficile è che quando partono quelle davvero forti, sono ancora un po’ avanti, non sono in grado di reggere l’urto, ma so che devo avere pazienza, bisogna progredire a poco a poco.
La ciclista di Pamplona è entrata alla Movistar già ad agosto, prima dei suoi successi titolatiLa ciclista di Pamplona è entrata alla Movistar già ad agosto, prima dei suoi successi titolati
Alla Movistar c’è un’altra ragazza che da junior ha vinto tutto, Cat Ferguson che ti aveva battuta lo scorso anno: come ti trovi con lei, c’è rivalità?
No, assolutamente. Andiamo molto d’accordo. Siamo buone compagne di squadra e mi piace aiutarla. Lei è più avanti, ha già potuto fare mesi in prima squadra, io sono appena arrivata. Ma credo che nell’occasione nessuna delle due avrà problemi a mettersi a disposizione dell’altra.
C’è qualche ciclista che ammiri?
Sì, Demi Vollering e Marleen Reusser, che ho in squadra e che mi sta aiutando molto nell’inserirmi. Sono grandi stelle, avere Marleen in squadra, per esempio, è molto importante per me perché vedo che sto imparando molte cose. Rubo con gli occhi tutto il possibile per crescere al meglio.
La spagnola si allena spesso sulle alture alpine. Qui a St.Jean de Maurienne, la vetta della Croix de FerLa spagnola si allena spesso sulle alture alpine. Qui a St.Jean de Maurienne, la vetta della Croix de Fer
In Spagna che rilievo hanno avuto le tue vittorie?
Molto. Non hanno avuto un impatto come quello di altri campioni, ma è stato comunque dato molto risalto. Sono apparsa su molti media e penso che sia molto importante anche per spingere altre ragazze ad avvicinarsi a questo sport. Non posso lamentarmi, sono molto contenta di tutto quello che ho realizzato e ora non mi resta che godermela quando torno a casa e pensare alla prossima stagione per continuare a crescere.
Ora tutti guarderanno te il prossimo anno, ti attendono al varco: che cosa ti aspetti dalla prossima stagione?
Io mi dico sempre di non avere fretta e prenderla con calma, procedere gradualmente senza voler fare salti esagerati. Spero che mi lascino lavorare come voglio e, soprattutto, supportino la squadra in ogni momento. Penso che questa sia la chiave per me. Non mi pongo particolari obiettivi, sarebbe prematuro. Certo, passo pro’ con la maglia di campionessa del mondo, è chiaro che quello di Kigali è stato il momento più importante per me e mi dispiace non poter indossare la mia maglia ancora. So però che quelle vittorie rappresentano sì un biglietto da visita ma anche una grande responsabilità. Ora non mi resta che lavorare ancora di più per onorarle.
L’annuncio della sua prossima squadra e la prima convocazione ai mondiali. E’ stato un mercoledì da leoni per Francesca Barale che prima è stata ufficializzata dalla Movistar con un triennale a partire dal 2026 e poi ha completato la propria valigia per il Rwanda.
Se le voci di un suo probabile trasferimento dalla Picnic PostNL erano in evoluzione, la sua partecipazione al campionato del mondo sembrava piuttosto in dubbio. Invece due giorni fa è giunta la chiamata per Kigali che può dare l’inizio ad una nuova Barale. Avviarsi verso la chiusura della stagione indossando maglia azzurra in un mondiale, indipendentemente dal risultato e dalla prestazione, è uno stimolo che porterà frutti e consapevolezze anche durante il periodo di letargo dal ciclismo. Per però Francesca non è finita qua, perché ad inizio ottobre verosimilmente ci sarà ancora da correre un europeo U23 con la voglia di fare bene.
La convocazione per i mondiali elite per Barale rappresenta il riconoscimento al lavoro svolto per le compagne durante la stagioneBarale (prima da sinistra) non si aspettava la chiamata, ma farà di tutto per ripagare la fiducia (foto Federciclismo)La convocazione per i mondiali elite per Barale rappresenta il riconoscimento al lavoro svolto per le compagne durante la stagioneBarale (prima da sinistra) non si aspettava la chiamata, ma farà di tutto per ripagare la fiducia (foto Federciclismo)
Futuro e crescita in Spagna
A suo modo la ventiduenne Barale è già stata una pioniera. Nel 2022 fu infatti la prima junior italiana ad essere ingaggiata da un team WorldTour. Dalla piacentina BFT Burzoni alla multinazionale olandese DSM, l’attuale Picnic PostNL. Un salto triplo difficile che poi nel corso degli anni successivi fu emulato da altre atlete. Ora il contratto di tre anni firmato con Movistar, che si sta ridisegnando dopo il ritiro di Van Vleuten e l’arrivo di Reusser o nuovi talenti come Ferguson, rappresenta una bella investitura per l’ossolana.
«Sono molto contenta della mia scelta di andare alla Movistar – ci dice Barale al telefono – dopo quattro anni avevo bisogno di cambiare. Rifarei tutto quello che ho fatto, sia chiaro, ma ora ho bisogno di uno step in più. Credo che Movistar sia una realtà che mi aiuterà in questo. Sia nel mio ruolo di supporto alle capitane, sia nel ritagliarmi il mio spazio e magari scoprire quello che posso fare siccome non mi sono ancora specializzata. Ho da sempre questa incognita di capire ancora che tipo di atleta diventerò o posso diventare.
«La trattativa è iniziata abbastanza presto – finisce di raccontare la notizia di mercato – perché già questa primavera la Movistar si era interessata a me. Avevo ricevuto altre proposte, ma mi sono piaciuti fin da subito. Erano tra le mie prime scelte ed è andata così».
Barale nella Movistar cercherà di capire meglio che tipo di corridore può diventare Barale nella Movistar cercherà di capire meglio che tipo di corridore può diventare
L’azzurro inaspettato
Tecnicamente l’ultima maglia azzurra indossata da Barale è di qualche settimana fa durante il Tour de l’Avenir Femmes. E considerando le rassegne europee ed iridate tra U23 e juniores a cui aveva partecipato, per lei non è quindi un colore nuovo. Questo azzurro adesso diventa però più importante, come ci spiega Francesca.
«Sono molto contenta – afferma sempre al telefono mentre sta svolgendo le prassi aeroportuali – perché è il mio primo mondiale elite, essendo poi speciale visto che si corre per la prima volta in Africa. Sarà un’esperienza bellissima. Avevo smesso di sperarci quando avevano annunciato che le U23 non ci sarebbero andate. L’avevo messo come obiettivo, soprattutto perché ero al mio ultimo anno da U23. Invece alla fine la convocazione è arrivata per la gara delle “grandi” e mi fa molto piacere.
«Il mio lavoro – chiude prima di imbarcarsi – di aiuto alle compagne durante la stagione è stato riconosciuto e può portare a questo tipo di soddisfazioni. Anche al mondiale il mio compito sarà quello. Abbiamo una capitana come Elisa (Longo Borghini, ndr) che è fortissima e lo ha dimostrato una volta di più anche quest’anno. Ci conosciamo bene, ci alleniamo sempre insieme ed è sempre stata il mio punto di riferimento. Poter essere lì ad aiutarla significa tanto. Non potrebbe esserci una situazione migliore per me. E poi sono molto felice della fiducia che il cittì Velo mi ha dato. Spero di fare bene e ripagarlo».
La notizia arrivata questa settimana ha colpito l’ambiente del ciclismo: la stagione di Enric Mas si è improvvisamente conclusa, saltando la Vuelta che per il capitano della Movistar era l’evento principale, quello a cui teneva di più. Tutto a causa di una tromboflebite alla gamba sinistra, probabilmente di origine post-traumatica.
Un caso decisamente particolare, che va a colpire e togliere di mezzo, nel pieno della stagione, uno dei suoi protagonisti. Ma che cos’è la tromboflebite? Per saperne di più abbiamo chiesto lumi al medico della Jayco AlUla, Carlo Guardascione.
Carlo Guardascione, varesino, è medico della Jayco AlUla (@jayco-alula Sprintcycling)Carlo Guardascione, varesino, è medico della Jayco AlUla (@jayco-alula Sprintcycling)
«La tromboflebite – spiega – è un’infiammazione in genere acuta di una vena, causata dalla formazione di un trombo che ha ostruito parzialmente o totalmente un vaso venoso, ma qualche volta può anche essere arterioso. Quindi è uno stato infiammatorio di un vaso sanguigno. Un trombo è un piccolo coagulo di sangue che si forma per svariate cause. Nel caso di Mas ho letto che è stato post traumatico, nel senso che, suppongo, in una caduta probabilmente ha avuto un trauma al polpaccio e dall’ematoma scaturito in seguito al trauma, probabilmente si è formato anche un piccolo coagulo all’interno di una vena del polpaccio che nei giorni successivi gli ha ostruito il vaso circolatorio».
Parliamo di qualcosa di comune?
Dipende dall’ambito. La tromboflebite è una situazione patologica che nella popolazione generale è abbastanza frequente, ma in persone che possiamo considerare un po’ predisposte, ad esempio cardiopatici o persone che hanno un’insufficienza venosa, ossia una situazione di ipercoagulabilità. Come può venire? Ad esempio la disidratazione marcata che può essere dovuta a uno stato di malattia, come una diarrea prolungata o del vomito prolungato può causare, in soggetti predisposti che hanno già una predisposizione, la formazione di trombi. Nei giovani però è quasi sempre post-traumatica. E’ molto più frequente nella popolazione, chiamiamola così adulta.
La tromboflebite può colpire anche vasi sanguigni molto ampi, soprattutto venosi (foto Cardio Center Napoli)La tromboflebite può colpire anche vasi sanguigni molto ampi, soprattutto venosi (foto Cardio Center Napoli)
Qual è il problema per un atleta?
Le tromboflebiti vengono trattate con una terapia a base di eparina. In genere consta, almeno in fase iniziale, in punture sottocutanee che possono essere una o due volte al giorno a seconda del danno. La terapia con eparina è delicata per il paziente: proviamo a immaginare un corridore sotto terapia che cade, ha un trauma, è fortemente a rischio di emorragia, soprattutto interna, estremamente pericolosa.
Quanto dura il trattamento?
Generalmente la terapia di una tromboflebite normale è mediamente di 4-6 settimane di trattamento con eparina oppure con farmaci anticoagulanti dopo la fase acuta. Questo rende l’attività sportiva praticamente impossibile, eccessivamente rischiosa. Poi è chiaro che se io faccio ad esempio tiro con l’arco il rischio traumatico è minimo, ma nel ciclismo non è assolutamente così. O se gioco a calcio o faccio sport di contatto. Il problema è che il mio sistema della coagulazione in caso di ferite è praticamente bloccato.
Il trattamento della tromboflebite è a base di punture sottocutanee di eparinaIl trattamento della tromboflebite è a base di punture sottocutanee di eparina
Nei ciclisti capita spesso?
No, è un caso molto raro, devo dire che nella mia carriera, che oramai è abbastanza lunga, penso di contarli sulle dita di una mano i casi di tromboflebite nei ciclisti agonisti. Invece mi è capitato di vederla di più in adulti ultracinquantenni o sessantenni che vanno in bicicletta, che però magari sono già ipertesi, magari sono con valori di sangue molto elevati e pertanto per patologie pregresse possono incorrere più facilmente in flebiti superficiali e in qualche caso anche delle tromboflebiti.
Come si scopre?
La diagnosi si fa con una ecografia con un ecodoppler arterioso e venoso che evidenzia appunto lo stato dei vasi sanguigni, quindi l’ostruzione che in genere è nella sede del dolore o lievemente sopra o lievemente sotto. E quindi poi bisogna fare il trattamento con l’eparina che fa scoagulare nei tempi che ho detto.
La tromboflebite per un ciclista è quasi sempre post traumatica, come nel caso di MasLa tromboflebite per un ciclista è quasi sempre post traumatica, come nel caso di Mas
Quindi è giusta anche la scelta del corridore e del suo team di fermarlo del tutto per il resto della stagione?
Certamente, considerando intorno alle sei settimane di trattamento, poi dipende anche se è una tromboflebite di un vaso piuttosto grande è chiaro che il trombo è più grande. Mi spiego, una tromboflebite di una vena del polpaccio è molto più grande quel trombo di una vena del piede o di una vena della mano. I tempi di terapia sono quelli, calcolando il periodo della stagione è chiaro che non c’è tempo per riprendersi, è giusto rimandare tutto a quella successiva. Dovrà star fermo i primi tempi, poi sicuramente gli faranno un altro ecodoppler per vedere se trombo si è ridotto.
Solitamente lascia strascichi?
Se guarisce bene no, perché il trombo viene praticamente sciolto. Se poi il flusso di sangue che viene controllato nuovamente con l’ecodoppler è valido, non ci sono più conseguenze, soprattutto per un giovane come Mas. Un adulto magari deve prendere comunque dei banali anticoagulanti per tutta la vita, ad esempio la cardioaspirina. Se ha una predisposizione di questo genere.
Un trombo è un coagulo di sangue che ostruisce, in parte o del tutto, la circolazione (foto SME)Un trombo è un coagulo di sangue che ostruisce, in parte o del tutto, la circolazione (foto SME)
Nel caso di un corridore a cui capita, è anche un campanello d’allarme per il futuro?
Se è post traumatico, legato alla caduta o all’impatto con un corpo contundente che può essere il telaio della bicicletta o un ostacolo duro sulla strada, è abbastanza casuale. Non ci vedo dietro un segnale d’allarme a meno che si abbia una ipercoagulabilità propria, ossia valori di globuli rossi, di emoglobina molto alti, di piastrine molto alte. Ma nel suo caso è insorta dopo un paio di giorni dall’impatto, quindi è tutto nei tempi, non vedo conseguenze.
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Nella crono di Torino che aprirà il Giro, domani i corridori della Movistar (e della Alpecin) avranno una nuova bici da crono: la Speedmax CFR Disc. Eccola!
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A Livigno è tornato il sole. Qualche giorno fa la temperatura è crollata di colpo e ha persino nevicato, un abbassamento di temperatura che Cimolai non ricorda di aver mai visto a luglio. Poi per un paio di giorni è tornato il sole, ma l’aria è rimasta fredda. Soltanto da giovedì, giorno in cui sua figlia Nina compiva due anni, l’estate è tornata e gli allenamenti sono ripresi nel modo giusto.
“Cimo” è nel mezzo della seconda stagione con il Movistar Team: un anno che lo ha visto cambiare radicalmente attitudine e ruolo. Dopo i due alla Cofidis, aveva deciso di smettere e soltanto l’offerta spagnola lo aveva rimesso in sella con il sorriso e la voglia. Sarebbe stato l’ultimo uomo di Gaviria, ma il colombiano ha faticato e ancora fatica a ritrovare la via del successo. L’ultima volta fu quasi per scherzo nella prima tappa del Tour Colombia 2024 e questo, assieme a vari contrattempi di salute, ha costretto Davide a rivedere il suo ruolo.
Tra Gaviria e Cimolai, qui al UAE Tour, non è mai nata la grande fiduciaNel 2024, correndo da velocista, Cimolai ha conquistato diversi podi, fra cui il 2° posto alla Vuelta Castilla y Leon, battuto da EwanTra Gaviria e Cimolai, qui al UAE Tour, non è mai nata la grande fiduciaNel 2024, correndo da velocista, Cimolai ha conquistato diversi podi, fra cui il 2° posto alla Vuelta Castilla y Leon, battuto da Ewan
Il tanto lavoro con Fernando non c’è stato, come mai?
Un po’ perché fatica a fidarsi. Io ho fatto la mia parte e al Giro dello scorso anno l’ho fatta anche bene. Quelli che mi erano ruota hanno sempre vinto, peccato che non ci fosse lui. Quest’anno abbiamo fatto insieme il UAE Tour e la prima parte di stagione, poi ci siamo ammalati entrambi a maggio e non siamo riusciti ad avere continuità. E siccome nessuno dei due è mai stato al 100 per cento, ci siamo messi a tirare le volate ai compagni più in forma. Finché lui è caduto, si è rotto la clavicola e non ha recuperato in tempo per il Giro. E alla fine ho dovuto saltarlo anche io per un problema al braccio.
Gaviria sarebbe dovuto tornare per il Tour…
Si aspettavano delle conferme nelle gare prima, che evidentemente non sono arrivate. Almeno penso sia stato per questo che alla fine non lo abbiano convocato. Non ho seguito tanto, perché non avendo lui da aiutare, ho cambiato ruolo.
In che senso?
Sto correndo un po’ da regista, tenendo davanti gli scalatori nei momenti giusti. Sono contento di quanto abbiamo fatto al Romandia, con la top 10 di Javier Romo. Al UAE Tour con i ventagli e tutto il resto, ne abbiamo messi due nei primi 10, con Romeo quarto e Castrillo settimo. L’ultima gara che ho fatto è stata la Quattro Giorni di Dunkerque e Carlos Canal ha conquistato il terzo posto finale. Perciò sono soddisfatto. Dopo, sapete, non essendo più un vincente, so bene che per il rinnovo del contratto devo aspettare.
La partecipazione al tricolore ha preceduto la salita a Livigno per completare in altura la preparazioneLa partecipazione al tricolore ha preceduto la salita a Livigno per completare in altura la preparazione
Quindi l’idea è di continuare?
Il mio sogno sarebbe di fare l’ultimo anno ad alto livello e poi smettere. Ma vediamo se si trova l’accordo con la squadra.
Però il fatto di non essere vincente va interpretato, perché quando hai avuto spazio, i tuoi piazzamenti in volata li hai sempre fatti e nelle squadre si va sempre più in cerca di punti…
Infatti. L’anno scorso comunque i miei 300 punti li ho portati a casa. Quest’anno mi hanno chiesto un ruolo diverso e l’ho accettato perché so riconoscere i miei limiti. Per cui ora aspetto e cerco di meritarmi la conferma.
Se l’idea è andare avanti, l’umore è senz’altro migliore rispetto a quello di fine 2023?
Sono un’altra persona, ci mancherebbe. Venire in questa squadra è stato importante anche dal punto di vista del morale. Lo staff mi ha accolto in maniera totalmente differente, c’è un altro spirito.
Proprio a Livigno, il 10 luglio, Davide, Alessia e Mia hanno festeggiato il secondo compleanno di Nina (immagine Instagram)Proprio a Livigno, il 10 luglio, Davide, Alessia e Mia hanno festeggiato il secondo compleanno di Nina (immagine Instagram)
C’è da rimboccarsi le maniche, questo è chiaro. Cosa ti aspetti?
Sono qua mentalizzato per farmi trovare pronto in qualsiasi corsa. Non avendo più l’obiettivo della Vuelta o grandissimi obiettivi sino a fine anno, il principale obiettivo è essere in condizione e mettersi a disposizione della squadra.
Avevamo capito che la Vuelta fosse ancora sul tavolo…
Difficile, è una squadra spagnola. Per andarci bisogna andare fortissimo nelle corse prima. L’obiettivo è quello, però il gruppo della Vuelta c’è già. Sono in altura e seguirà il suo programma. Però c’è sempre quel paio di posti liberi che lasciano a chi in quel periodo andasse fortissimo. Per cui, mai dire mai, però credo sia molto difficile. Ho il mio programma. Farò Vallonia, Polonia e Giro di Germania. Da qui a fine stagione, correrò tanto. Vedremo che cosa saremo in grado di tirare fuori.
Caro Ayuso, ti scrivo dopo il Giro d’Italia, perché questo mi offre il modo per allargare lo sguardo sulla direzione del ciclismo. Scrivo a te perché la tua situazione è per me emblematica e scusatemi tutti se anche questa volta scrivo in prima persona.
Caro Ayuso, dicevamo, hai 22 anni e tanta voglia di correre e vincere: correre per vincere, quantomeno, perché non sempre le due azioni coincidono. La tua ambizione è evidente, l’avevamo annotata sin da quando sbranavi le corse U23 con la maglia della Colpack e temiamo che questo non ti abbia creato grosse simpatie. Sennò come si spiega che al Giro tutti i compagni si siano schierati spontaneamente dalla parte di Del Toro? A Siena erano tutti felici per lui, anche quelli che avevano pedalato con te cercando di guadagnare su Roglic (in apertura lo spagnolo in azione sulla salita finale).
Il tuo contratto con il UAE Team Emirates-XRG arriva fino al 2028 e si suppone che sia anche piuttosto profumato, altrimenti come si spiega la clausola rescissoria di cui si va raccontando? Magari sono chiacchiere da bar, ma l’ammontare sussurrato nei capannelli fra giornalisti è da capogiro: chi vuoi che possa pagarla?
Viareggio, due giorni dopo Siena. Del Toro in rosa, Ayuso 2° a 25″. Una foto di circostanza?Piazzola sul Brenta, 5 giorni dopo. La tensione logora: è la tappa della crisi di AyusoViareggio, due giorni dopo Siena. Del Toro in rosa, Ayuso 2° a 25″. Una foto di circostanza?Piazzola sul Brenta, 5 giorni dopo. La tensione logora: è la tappa della crisi di Ayuso
Tutela o prigione?
Sei blindato, tutelato, garantito, forse persino imprigionato per altri tre anni e mezzo. Nessuno ti ha costretto a firmare e ha ragione Martinelli a chiedersi se la squadra abbia pensato a dove metterti e tu abbia chiaro dove vorresti trovarti.
Quando il tuo contratto sarà scaduto, avrai 26 anni: gli stessi di Pogacar adesso. Sarai ricco, più maturo, ma forse non avrai nel tuo carnet tutte le esperienze che avresti altrove. Il contratto di Tadej arriva fino al 2030 e a lui spetta la prima scelta. Quello di Del Toro, che ne ha 21, arriva al 2029. Al 2030 arrivano invece i contratti di Pablo Torres (19 anni) e di Jan Christen (20 anni). Senza guardare Almeida e Yates, abbiamo fatto i nomi dei futuri talenti della squadra con cui, pur con uno step di vantaggio, dovrai dividerti le corse.
Pare che dopo le incomprensioni del Galibier al Tour 2024, il rapporto fra Pogacar e Ayuso si sia incrinato fortementePare che dopo le incomprensioni del Galibier al Tour 2024, il rapporto fra Pogacar e Ayuso si sia incrinato fortemente
Opzione Movistar?
Quest’anno sei partito come capitano per il Giro, ma lo scherzetto di Del Toro a Siena ti ha tolto la leadership e la serenità (se il leader cade, di solito i gregari lo aspettano). Chiunque abbia seguito la corsa si è accorto che da quel giorno qualcosa è cambiato. E quando sei stato costretto al ritiro, a meno di cambiamenti non previsti, è stato subito chiaro che per quest’anno di Grandi Giri non si parlerà più. Quanto al prossimo, si aspetteranno giustamente i piani di Pogacar, poi si vedrà che cosa ti toccherà in sorte.
Pare che il passaggio di Van Gils dalla Lotto alla Red Bull abbia permesso una diversa interpretazione della norma: non più la penale, ma un indennizzo pari al nuovo ingaggio moltiplicato per ciascuno degli anni residui. Se Ayuso dovesse andare alla Movistar (che parrebbe molto interessata) e la Movistar gli versasse 2 milioni di euro all’anno, l’indennizzo per la UAE ammonterebbe a 2 milioni per ciascuno dei tre anni di contratto residui. Quindi 6 milioni di euro. La UAE Emirates lo lascerebbe andare, mettendo su un piatto il rischio di rinforzare una rivale e sull’altro la ritrovata serenità domestica?
Il passaggio di Van Gils dalla Lotto alla Red Bull potrebbe aver riscritto la giurisprudenza in tema di penali e nuovi contrattiIl passaggio di Van Gils dalla Lotto alla Red Bull potrebbe aver riscritto la giurisprudenza in tema di penali e nuovi contratti
Solo un capitano
Il ciclismo è uno sport di squadra, ma il capitano è uno solo. Nel Paris Saint Germain che ha da poco vinto la Champions League c’è un’altissima densità di star, ma nel calcio possono giocare insieme e portare al risultato di squadra. Tu, caro Ayuso, ti vedi nei panni della star che aiuta un altro a vincere? Nelle ultime due occasioni – il Tour 2024 e il Giro 2025, finché sei stato in corsa – l’esperimento è stato piuttosto deludente.
Le corse che contano sono tante, ma non tantissime. E se una squadra ha 4-5 capitani di livello stellare, difficilmente ciascuno di loro potrà correre, vincere, avere la rivincita, provarci e riprovarci. Non avrà la stagione a disposizione. Ci sono dei turni, ci sono programmazioni atletiche, ci sono programmi da incastrare. Per cui se il prossimo anno Pogacar vorrà riprovare il Giro e il Tour oppure tentare il tris come tanti pensano avrebbe potuto fare lo scorso anno, a te cosa rimarrebbe?
Piganzoli e Pellizzari: per entrambi un percorso simile. Prima la professional, poi la WorldTour (per il lombardo dal 2026)Piganzoli e Pellizzari: per entrambi un percorso simile. Prima la professional, poi la WorldTour (per il lombardo dal 2026)
La distribuzione del talento
Forse a questo punto qualcuno si starà chiedendo cosa cambierebbe se alle squadre più ricche fosse impedito di bloccare corridori così forti per periodi così lunghi. Ci sarebbe la possibilità di trovarli altrove come capitani? E questo potrebbe avere un effetto a cascata sulle altre squadre, in modo che anche le professional tornino un luogo di incubazione ed esperienza per futuri leader?
Certo nessuno mai accetterebbe di scendere di livello, però forse un neoprofessionista di 19 anni non vedrebbe così male la possibilità di farsi le ossa correndo da protagonista le grandi corse in una squadra minore che lo facesse sentire il principe di casa. Come è stato per Pellizzari lo scorso anno alla VF Group e Piganzoli al Team Polti.
Perciò caro Ayuso, nel salutarti e augurarti ancora una splendida stagione, invitiamo te e chi ti assiste a fare una riflessione sul tuo modo di porti e sul contratto che hai firmato. E a chiederti, a prescindere dalla causa, se sia davvero tutto oro quel che luccica.
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MORBEGNO – Il lavorìo dei meccanici attorno alle bici della Movistar ha richiamato l’attenzione di una troupe che sta girando immagini sulla vita quotidiana delle squadre al Giro d’Italia. Manca solo il controllo delle pressioni e poi le Canyon blu saranno pronte per la tappa.
Formolo scende dal pullman a rilento, con il passo di chi ne ha già viste tante ed è pronto e quasi rassegnato per vederne altre. Il Giro della squadra spagnola vive attorno alla classifica generale di Einer Rubio, che ha difeso con i denti il suo piazzamento nei primi dieci.
«Le prime due settimane sono volate – dice Formolo – ogni giorno c’è stato qualcosa di interessante da vedere. A casa deve essere piaciuto parecchio, perciò anche noi in gruppo ci siamo divertiti. Insomma – sorride – relativamente divertiti. Diciamo che non ci siamo mai annoiati. Io poi ho vissuto anche alcuni momenti emozionanti. Uno su tutti: la tappa di Brentonico. In quei posti ho i primi i primi ricordi di mio nonno. Andavamo sempre lassù a giocare e mi portava sempre al parco giochi a prendere un po’ un po’ di fresco. Un posto veramente speciale per me…».
La troupe al lavoro sulle bici del Movistar Team al via da MorbegnoLa troupe al lavoro sulle bici del Movistar Team al via da Morbegno
Un Giro sempre a tutta
Il Giro senza un dominatore come Pogacar, che lo scorso anno all’inizio della terza settimana aveva già più di 6 minuti sul secondo, ha reso tutto meno ordinato. Ogni giorno una battaglia per conquistare le posizioni e le medie inesorabilmente sono cresciute di conseguenza.
«I numeri si sono visti già la prima settimana – annota seguendo il filo del discorso – quando eravamo in Albania. La salita del terzo giorno era lunga mezz’ora e l’abbiamo fatta praticamente 5,8-6 watt per chilo. Se non sbaglio siamo arrivati in 80 corridori, ma solo qualche anno fa con quei numeri si vinceva il Giro. E questo ha fatto capire già da allora quanto sia stato alto ogni santo giorno il livello in questo Giro d’Italia. Differenze minime che sono diventate enormi. Abbiamo visto un Van Aert molto sofferente in alcune tappe e poi vincere una delle frazioni più dure sulle strade bianche. Questo fa capire quanto siano tutti vicini e quanto sia sottile la differenza fra vincere e staccarsi dal gruppo dei migliori».
La Canyon di Davide Formolo, quella col numero 125. Davide ha chiuso il Giro in 45ª posizione, lavorando per RubioLe bici non sono più su misura, ma in questo caso si ha la regolazione indipendente dell’arretramento e dell’inclinazioneI test in galleria del vento dicono che la Aeroad CFR è una delle bici più veloci del gruppo e viene usata anche in montagnaAnche all’anteriore, il sistema di regolazione consente 20 mm in altezza e 50 mm in larghezzaSul comfort non si lesina: la sella è uni dei componentie che i corridori possono scegliere nella gamma FizikLe ruote scelte dal Movistar Team sono le Zipp 454 NSWUna bici aero si riconosce anche dai dettagli. Il passaggio ruota al piantone è davvero minimoL’avvento dei freni a disco ha fatto salire i pesi: le differenze ci sono ancora, ma sono compensate dall’efficienzaLa Canyon di Davide Formolo, quella col numero 125. Davide ha chiuso il Giro in 45ª posizione, lavorando per RubioLe bici non sono più su misura, ma in questo caso si ha la regolazione indipendente dell’arretramento e dell’inclinazioneI test in galleria del vento dicono che la Aeroad CFR è una delle bici più veloci del gruppo e viene usata anche in montagnaAnche all’anteriore, il sistema di regolazione consente 20 mm in altezza e 50 mm in larghezzaSul comfort non si lesina: la sella è uni dei componentie che i corridori possono scegliere nella gamma FizikLe ruote scelte dal Movistar Team sono le Zipp 454 NSWUna bici aero si riconosce anche dai dettagli. Il passaggio ruota al piantone è davvero minimoL’avvento dei freni a disco ha fatto salire i pesi: le differenze ci sono ancora, ma sono compensate dall’efficienza
Movistar, pronti a partire
E’ un continuo limare, fatto di attenzioni a tutto. Non puoi mollare nulla, al punto che persino le interviste nel giorno di riposo vengono centellinate. La vita del corridore del Giro è monastica e chiusa. Nella bolla i tempi sono scanditi da tutto ciò che serve per ottenere il meglio da sé: rituali quasi ossessivi cui il ciclismo si è consegnato e ai quali difficilmente potrà sottrarsi. Intanto i meccanici della Movistar hanno finito di lavorare e le bici sono pronte.
«Le squadre studiano molto anche il mezzo meccanico – prosegue Formolo intercettando il nostro sguardo – anche tre soli corridori in fuga fanno 47 di media, se per sbaglio vanno in fuga in otto le medie sono veramente impressionanti e le bici fanno sicuramente una buona parte. Da quando sono arrivati i freni a disco e si è iniziato a lavorare sulla leggerezza, cercando di raggiungere ugualmente i 6,8 chili, si è livellato tutto verso l’alto. Anche una bici standard con i dischi pensa sui 7 chili. Forse una volta erano più leggere, ma a livello di prestazioni globali, adesso sono delle vere macchine da corsa».
Quanta bellezza in questa foto! Con Formolo, la moglie Mirna e i figli Chloe e TheoQuanta bellezza in questa foto! Con Formolo, la moglie Mirna e i figli Chloe e Theo
Aero anche in salita
La tappa che li attende è veloce, diciamo, comprensibile che la Movistar abbia scelto di puntare su una Aeroad: aerodinamica e rigida. Ma l’orientamento delle squadre va ormai in una direzione ben precisa: l’efficienza prima di tutto. Anche in salita, dove le velocità sono ormai tali da giustificare l’uso di bici aerodinamiche.
«Anche se ad esempio Canyon offre la scelta fra Ultimate e Aeroad – dice – noi della Movistar usiamo soltanto la versione aerodinamica. Pesa leggermente di più, intorno ai 7,2 chili, però la resa anche in salita è migliore. Si sente la differenza anche in una salita al 7-8 per cento, che ormai scaliamo a 30 all’ora. Per questo nello scegliere la bici e le ruote, ma anche l’abbigliamento e la forma del casco, ci si concentra sull’aerodinamica. Una volta tutto questo non sarebbe stato possibile, oggi ci sono i dati a dire che è la scelta migliore».