Francesco Casagrande, Ginestra Fiorentina, 2020

Quel giorno Casagrande ha sofferto per Roglic

03.12.2020
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Il nome Casagrande-Milani campeggia sulla maiolica colorata. Intorno la campagna fiorentina è sprofondata nel silenzio, qualche auto appena e un sottile filo di vento. Non si veniva da queste parti da oltre 15 anni e quando la porta si apre, la sensazione del tempo passato è mitigata dal fatto che Nando non è poi cambiato tanto da allora. Anche se a settembre ha compiuto 50 anni.

Vent’anni fa, ben prima di Roglic al Tour, anche lui perse la maglia (rosa) il penultimo giorno in una crono di montagna e poi chiuse la stagione da numero uno al mondo. Così, con il racconto come pretesto, ci siamo arrampicati dall’uscita di Ginestra Fiorentina per un fantastico viaggio indietro nel tempo.

«Il primo ricordo – ride – è del Giro delle Regioni. Si era tutti giù nelle Marche, ho in testa una gelateria. E Rebellin che prese un gelato grosso così…».

Ottima memoria. Era il 1992, gelateria sotto l’hotel Pamir di Civitanova Marche. Petito in maglia di leader, la nazionale lanciata verso le Olimpiadi di Barcellona, ma Casartelli al Regioni non c’era perché aveva fatto la Settimana Bergamasca. Invecchiando, si fa notare, la memoria a lungo termine è lucidissima. E giù risate.

Come Roglic

Ci ha pensato anche lui a Primoz e a cosa possa aver passato in quella mezza giornata alla Planche des Belles Filles. Il ciclismo resta la passione di casa, non c’è diretta che sfugga.

«Perdi il Tour in quella maniera – dice – e prendi una botta che sei stordito per una settimana. Nemmeno si può dire che Roglic abbia fatto una brutta crono, è arrivato quinto. Ma si vede che l’ha sofferta, quel casco messo male significa che proprio non ci stava. Ho l’immagine di lui per terra e Dumoulin che prova a scuoterlo. M’è venuto male per lui…».

Quando una botta del genere l’hai presa anche tu, fai presto a riconoscerne i segni sul corpo di un altro.

«Io se non altro – racconta – ho l’attenuante del nervo sciatico. Se fossi andato come nei giorni precedenti, me la giocavo. Partii bene, dopo 3 chilometri avevo 5″ di vantaggio su Garzelli, poi la gamba iniziò a intorpidirsi. Di colpo era come morta. Mi aveva già dato noia nella crono precedente. Poi si è scoperto che ero troppo piegato sulla bicicletta e mi si schiacciava il nervo che poi si infiammava. E da un secondo all’altro è cambiata la storia. Sprofondavo e pensavo alla delusione che davo ai compagni. Non volevo andare al Giro di Svizzera. Mi mandarono lo stesso, perché partivo col numero 1, ma mi fermai. Lui invece è stato bravo a reagire al mondiale, alla Liegi e alla Vuelta».

Francesco Casagrande, Ginestra Fiorentina, 2020, Trofeo numero 1 al mondo 2000
Quel vaso trasparente è il trofeo Uci per il primo posto nel ranking mondiale 2000
Francesco Casagrande, Ginestra Fiorentina, 2020, Trofeo numero 1 al mondo 2000
Il vaso è il premio per il 1° posto Uci nel 2000

Pantani e l’Izoard

Non è mai solo la crono, però. Certe sconfitte nascono prima. La sua e pure quella di Roglic…

«Secondo me – dice – hanno sottovalutato Pogacar. Sembrava il ragazzino da far contento lasciandogli spazio, invece quello puntava a vincere. E poi la crono non so come l’hanno gestita, ma se spingi a tutta e alla radio ti dicono che stai perdendo, si fa dura. Se ti dicono di aumentare perché il Tour ti sta sfuggendo e tu non ne hai, ti demoralizzi. Forse in certi casi l’ammiraglia un po’ dovrebbe mentire, per vedere se con un po’ di morale le cose vanno meglio. Anche se Roglic ha cominciato a perdere da subito, segno che l’altro andava di più.

«Io il Giro l’ho perso sull’Izoard, il giorno prima. Se non c’era Pantani, Garzelli finiva a 2 minuti, invece è arrivato alla crono con 25″. Marco quel giorno fece un capolavoro e soprattutto lo aiutò a tenere i nervi saldi. In certi casi, più delle gambe fa il panico. La squadra serve a quello. Ma lo stesso non mi sarei mai aspettato di crollare così. La mattina stavo bene. Feci la ricognizione. Poi la gamba diventò di legno. Mi sbloccai un po’ dopo il Monginevro, ma pedalavo sapendo che stavo perdendo. Fu abbastanza deprimente».

Come sparito

Un metro e 72 per 64 chili e un palmares da campione, smise e sparì. Nella sua bacheca e anche adesso sparsi per la casa, ci sono i trofei di 46 vittorie, tra cui la Freccia Vallone, due Clasica San Sebastian, il Giro di Svizzera, due Giri del Trentino e il Giro dei Paesi Baschi.

«Smisi e sparii – ricorda – perché ci rimasi male. Ero alla Naturino con Santoni, sicuri di fare il Giro. Invece non ci invitarono. Avevo lavorato bene, mi passò la voglia. Poi nessuno mi ha cercato, neppure a livello federale. Sicuramente non è piacevole, ma lo sappiamo bene come funziona questo ambiente. Qualche chiamata per fare il diesse nei dilettanti, ma volevo stare a casa. Sono rimasto in contatto con i vecchi amici. Con Bartoli e Petito, soprattutto. Devo dire che appena smesso, mi mancava l’agonismo. Mi misi a fare le mezze maratone, ma vennero fuori mille dolorini. Così diedi ascolto a degli amici e a fine 2008 mi tesserai amatore in mountain bike con Cicli Taddei. Non volevo fare l’elite, stavo bene così. Invece arrivò Celestino e ci mise lui lo zampino».

Debora, Matilde, Anastasia, Francesco Casagrande
Con la moglie Debora, Matilde e Anastasia. Camilla invece studia a Bologna
Debora, Matilde, Anastasia, Francesco Casagrande
Con Debora, Matilde e Anastasia

La Mtb e la strada

Al primo anno da cittì azzurro della mountain bike, infatti, il ligure lo chiamò per i mondiali marathon del 2017 a Singen, in Germania. Nando aveva già centrato un secondo posto in una gara Uci all’Isola d’Elba e accettò la chiamata, tornando nel grande giro.

«Non era male – sorride – fare un mondiale a 47 anni. In più l’ambiente della mountain bike non smuove tanti soldi e grandi interessi, sembra più genuino. Vedi bei posti, l’ambiente è familiare. E poi si sta diffondendo tanto fra i bambini. Io a 12 anni uscivo su strada e facevo 50 chilometri da solo, adesso chi se la sente di mandare fuori i figli? Però non ho mai voluto fare le gran fondo su strada, c’è troppa esasperazione. E nel tempo ho visto arrivare anche altri corridori. Failli, per esempio. E anche Paolini. Lui forse pensava di avere vita facile, invece un giorno mi disse: “Nando, si fa fatica qui, è impegnativo davvero!”. E lo credo, Gerva! In Mtb, pronti via e sei già a gas aperto. E’ una guerra, uno sport individuale. Capisco perché Van der Poel e Sagan vanno così forte. Tornassi indietro, abbinerei Mtb a strada, ma ai miei tempi non si sapeva. Fai lavori di forza, ti abitui a stare tanto fuori soglia, impari a guidare la bici, potenzi il tronco, fai ritmo…».

Francesco Casagrande, Ginestra Fiorentina, 2020
I ricordi di ieri e il racconto di oggi, come fra vecchi amici a casa Casagrande
Francesco Casagrande, Ginestra Fiorentina, 2020
Un paio d’ore fra ricordi e racconti

I suoi rapportoni

L’assist è facile, ricordando quanto andasse duro in salita e nelle crono. Era il termine di paragone per descrivere un corridore: va duro come Casagrande…

«Andavo duretto – dice Casagrande e se la ride – ma adesso i rapporti aiutano. Noi si faceva l’Angliru con il 39×29. Pengo, il meccanico alla Lampre, mi disse che l’alternativa era montare la tripla. Eri proprio portato ad andare duro. Se c’era da fare la Marmolada, andava bene il 39×23. Ora esiste la compact, anche se vedi corridori come Formolo che vanno duri… come Casagrande».

Segue il ciclismo. Si allena sei giorni a settimana, e al settimo corre. Sua moglie Debora, che come sempre sta in disparte ma segue tutto, ha la testa che gira a mille e sguardi che parlano più di mille parole. «E’ bene che faccia qualcosa – dice piano – durante il lockdown era un animale in gabbia».

«Faccio 19 mila chilometri l’anno – dice – ma non sono più fissato come prima. Durante il lockdown? Ero sempre nel bosco, conoscevo i cinghiali per nome…».

Francesco Casagrande, Ginestra Fiorentina, 2020
Dal 2009 Casagrande corre in Mtb, ma è diventato elite soltanto dal 2017
Francesco Casagrande, Ginestra Fiorentina, 2020
Dal 2009 ha ripreso a gareggiare, ma in Mtb

Uomo di casa

E’ tempo di fare le ultime foto. Francesco e Debora hanno tre figlie. Camilla, 23 anni, studia a Bologna e presto tornerà per Natale.

«E’ in astinenza – sorride la moglie indicandolo – non la vede dai primi di novembre!».

«Senza figli – le risponde – come fai?».

Anastasia e Matilde, 14 e 12 anni, quando vengono a sedersi sul divano per una foto hanno gli occhi davvero stupiti e orgogliosi. Loro il papà campione non l’hanno mai visto e un giornalista in giro significa che tanti racconti erano veri. Ce ne andiamo che il sole ha iniziato a scendere, trovando un foglietto sul parabrezza. Qui, nel mezzo del nulla. Vi si prega di non parcheggiare perché è proprietà privata. Casagrande ride: «Non sapevano che eri da me, avranno pensato che fossi un cacciatore!».

Un saluto e una promessa: cerchiamo di vederci prima dei prossimi 15 anni…

Giovanni Carboni, mountain bike, inverno 2020

Carboni, l’olio nuovo e un anno da riscattare

30.11.2020
4 min
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«Forse dopo quella caduta avrei fatto meglio a ritirarmi – dice Carboni – perché non ero presente a me stesso. Non ricordo nulla di quei 30 chilometri per rientrare. E pensa che a ogni compagno cui andavo accanto, chiedevo le stesse cose della caduta. Uno per uno. Come se a quello prima non avessi chiesto nulla. Me lo hanno detto loro, perché io non lo ricordo».

Il marchigiano della Bardiani-Csf – 1,80 per 61 chili e la barba lunga – racconta così la caduta di Vieste che ha dato la svolta negativa al suo Giro d’Italia e ad una stagione da dimenticare. Lo stesso incidente per cui giorni dopo si ritirerà Brambilla, vittima di una contusione al ginocchio.

Giovanni Carboni, Matteo Carboni, Trofei Laigueglia 2020
Il marchigiano e il fratello Matteo Carboni, al via del Trofeo Laigueglia 2020
Giovanni Carboni, Matteo Carboni, Trofei Laigueglia 2020
Con il fratello Matteo al Laigueglia 2020

«Ma per questo – dice Carboni – sono ripartito sul serio dal 23 novembre. Ho staccato completamente per 20 giorni. Ho dedicato una settimana a raccogliere le olive e poi ho ripreso la bici. Le olive? A San Costanzo, vicino Fano, c’è la vecchia casa dei nonni e il terreno è quasi tutto a uliveto. Sono 150 piante, mio padre ha quattro fratelli e alla fine ne tiriamo fuori l’olio per un anno. In più con mio fratello Matteo (classe 1999, che corre con la Biesse-Arvedi, ndr) abbiamo ricavato un sentiero di mountain bike su cui lasciamo libero passaggio. Nelle settimane in cui non si poteva lasciare il proprio Comune, era un continuo andirivieni».

Che cosa ti resta del 2020, a parte l’olio?

Pensavo molto meglio. A inizio stagione stavo lavorando per la Tirreno-Adriatico e si è fermato tutto. E da lì per un insieme di fattori non ho più trovato il colpo di pedale. Ho finito il Giro per la maglia e per la corsa. E sì che dopo il 26° posto sull’Etna ero fiducioso. Non è un anno di cui tener conto. Preferisco pensare al Carboni del 2019 e ripartire da quelle sensazioni.

Giovanni Carboni, Andrea Garosio, Giro d'Italia 2019
Con Andrea Garosio e la maglia bianca al Giro d’Italia 2019. I due si ritrovano alla Bardiani
Giovanni Carboni, Andrea Garosio, Giro d'Italia 2019
Con Garosio al Giro 2019 e nel 2021 insieme alla Bardiani
Come ti avvicini alla nuova stagione?

Ora costruisco la base aerobica, fra mountain bike, strada e palestra. In fuoristrada mi diverto, sono in mezzo alla natura e non ho lo stress delle macchine. Durante la settimana pedaliamo su strade bianche, ma nei weekend andiamo alle Cesane nel bike park e lì è tutto più tecnico.

Hai parlato di palestra.

Sono i giorni più importanti. Per fortuna, sebbene siano chiuse al pubblico, sono professionista e posso allenarmi individualmente. Lavoro per i muscoli che in bici sono sempre sotto stress, come dorsali e addominali. Poi ovviamente esercizi di forza per le gambe.

Alla ripresa delle gare la palestra finirà?

L’anno scorso, per una caduta ho avuto problemi alla gamba sinistra. Dovevo rinforzare il gluteo e ho cominciato ad andare in palestra da metà stagione. Oltre a sistemare la gamba, mi ha dato stabilità e ha eliminato il mal di schiena che di solito mi veniva nelle corse dure o nelle gare a tappe. Se hai una cinta addominale forte, sei un passo avanti. Siamo ciclisti e dobbiamo specializzarci nel gesto tecnico, ma essere atleti significa curarsi di tutto il corpo. Quindi continuerò di certo.

Giovanni Carboni sull'Etna, al Giro d'Italia 2020
Al traguardo sull’Etna, 26° posto, al Giro d’Italia 2020
Giovanni Carboni sull'Etna, al Giro d'Italia 2020
Sull’Etna, 26° posto, al Giro d’Italia 2020
Base aerobica fino a quando?

Fondo lungo e poi medio fino a dicembre, poi da gennaio si alza il medio e in ritiro via con i lavori di soglia. Il bello della mountain bike comunque è che per passare certe salite devi per forza andare oltre il medio e viene fuori un lavoro aerobico completo. Su salite come il Monte Catria non puoi… controllarti troppo. E poi ogni tanto c’è anche il gusto di mettersi alla prova.

Come andiamo col peso?

Sono fortunato, non ingrasso. Nei giorni di lavoro, mangio in modo oculato, ma nei weekend non mi privo di quello che mi piace. Seguo una dieta nel senso di un regime alimentare, ma lo farei anche se non corressi. La bruschetta con l’olio nuovo e il vino novello non sono mancati, insomma…

Freddo in questi giorni?

Non ancora e magari riesco ad allenarmi bene anche a dicembre. Con qualche compagno si pensava di spostarci in Sicilia prima o subito dopo Natale. Vedremo se sarà possibile. A fine stagione sarei andato volentieri al mare, ma questo lo ricorderemo come l’inverno in famiglia e degli amici ritrovati. Non è affatto male.

A proposito di Sicilia e di un altro Giovanni, cosa pensi dell’arrivo di Visconti?

Tutto il bene possibile. Visco è un grande valore aggiunto. Ha esperienza e carisma, che in una squadra giovane come la Bardiani potrà portare solo benefici. Credo che Reverberi lo abbia preso per questo. Un professionista da seguire e da cui imparare.

Da pro’ a pro’, Tiberi fa lezioni di Mtb

18.11.2020
3 min
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Visto che più facciamo interviste e più scopriamo che i pro’ stanno tornando ad usare la Mtb, abbiamo pensato di chiamare in causa un altro pro’… Andrea Tiberi. Abbiamo coinvolto l’ex tricolore di cross country per dare qualche consiglio ai colleghi dell’asfalto, affinché possano godersi al meglio le loro scorribande sulla “ruote grasse”. E trarne vantaggio.

Spesso succede il contrario, cioè che è Andrea (nella foto di apertura) ad uscire con gli stradisti per allenarsi. Uno di questi è Fabio Aru quando è al Sestriere visto che Tiberi è di Oulx. La prima volta che si sono rivisti è stato il sardo a dirgli che si ricordava di lui quando erano nelle categorie giovanili. 

Fabio Aru, sugli sterrati del Sestriere
Fabio Aru, sugli sterrati del Sestriere

Percorsi nervosi

Una buona uscita in mountain bike parte dalla scelta del percorso.

«Prima di tutto – dice Tiberi – visto che per gli stradisti è un momento di stacco non andrebbe mai dimenticata la parte ludica dell’uscire in Mtb. Non è il loro mezzo di lavoro e quindi il senso di libertà non dovrebbe mancare. E’ un po’ quello che provo io quando inforco la gravel. Detto ciò dovrebbero preferire percorsi che non prevedano salite lunghe e regolari, come di solito incontrano su strada, ma tracciati più dinamici, più nervosi. In questo modo non solo l’uscita sarà più divertente, ma anche più efficace da un punto di vista delle qualità fisiche che si vanno a stimolare. C’è più lavoro neuromuscolare».

Sensibilità di guida

E’ poi importante riuscire a trovare una buona impostazione di guida: peso indietro in discesa, lavorare con il corpo per riuscire a copiare il più possibile il terreno. L’imperativo è: non essere rigidi.

«In mountain non bisogna essere sempre un tutt’uno con la bici come su strada. Nell’offroad ci sono cambi di direzione più rapidi e fondi irregolari. Per questo sarebbe meglio non iniziare con pendenze troppo ripide. Devi giocare con la distribuzione del peso e con il mezzo.

«C’è poi la sensibilità di guida, che serve anche per la strada. Per lo stradista non è tanto importante mollare i freni su una sassaiola, quanto piuttosto affrontare bene terreni viscidi o con poca aderenza. Prenderci il feeling, perché un fondo umido o del brecciolino improvviso li puoi trovare anche su strada. E saperli affrontare toglie un po’ di paura».

Sulla pump track, si può andare sia con la Mtb che con la Bmx
Sulla pump track, si può andare sia con la Mtb che con la Bmx

Pump palestra

Il discorso di giocare con la distribuzione del peso e con il mezzo è molto importante. Dà una mobilità non indifferente. Saper girare le spalle in una curva stretta e mettere l’anteriore dove, come e quando si vuole non è sempre scontato.

«Il gioco di spalle – riprende l’ex tricolore piemontese – in parte dovrebbero ereditarlo dalla strada, solo che in Mtb è esasperato, perché ci sono cambi di direzione più stretti e più repentini. Rispettare i tempi di curva (ingresso, percorrenza e uscita) è più difficile, in quanto tutto è più veloce. La prima regola perciò è quella di essere più sciolti possibile. In tal senso una cosa che può aiutare moltissimo e farli divertire è la pump track. Su questo particolare anello la posizione che si assume va di pari passo con la velocità. E se non segui la bici con il corpo esci di pista. Certo, valla a trovare una pump!».

Pro’ in Mtb: equilibrio e muscoli ringraziano

15.11.2020
3 min
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Professionisti e Mtb: il binomio torna a stringersi. Dopo alcuni anni in cui gli stradisti d’elite puntavano sempre di più solo alla bici da strada e ad una preparazione “standard”, da qualche tempo si sono riavvicinati alla pratica della Mtb, non solo d’inverno ma anche nei momenti “morti” della stagione. Perché?

Mtb e stacco mentale

Innanzitutto, la mountain bike rappresenta un momento di divertimento, di scarico mentale per i corridori, che tutto l’anno sono impegnati in sella alla loro bici da strada. Loro su questo mezzo sono sempre “seri”, nel senso che ci salgono per allenarsi, correre, fare scarico… ma sempre con uno scopo. A parte De Gent e Wellens che l’anno scorso al termine del Lombardia sono tornati a casa in Belgio in bici.

Non essendo quindi il loro strumento di lavoro riescono a staccare con la mente, pur pedalando. C’è poi chi è appassionato e ne approfitta veramente per andare a scoprire qualche luogo che solitamente non può raggiungere.

Nibali e Lopez capibiker

Tra i più biker del gruppo c’è proprio lo Squalo nazionale. Nibali (in foto di apertura) le prime gare le ha fatte anche in Mtb e questa passione gli è rimasta addosso. La usa spesso. A Lugano esce con Filippo Colombo uno degli esponenti della fortissima nazionale svizzera delle ruote grasse. E anche con il campione italiano Marathon, Samuele Porro. Non solo, ma Vincenzo ha il sogno di partecipare alla Cape Epic (il Tour de France della Mtb). Ne ha parlato con Porro stesso. E questo desiderio è cresciuto dopo aver visto Purito Rodriguez che appunto vi ha partecipato.

Lopez in una gara di Mtb in Colombia

Anche Domenico Pozzovivo, non disdegna la ruote grasse. «Credo che presto ne prenderò una nuova – ci ha confidato il lucano – non amo molto le full (le Mtb che hanno la doppia sospensione: forcella e ammortizzatore) ma dovrei provarla. Se la prendo di sicuro Vincenzo mi dirà di uscire in Mtb!».

Il Pozzo che non fa palestra la usa per rinforzare la parte alta del busto: braccia e pettorali, che in Mtb soprattutto in discesa e nel tecnico vengono sollecitati moltissimo.

Sono biker tosti anche Conci, Caruso, Covi, Diego Rosa (lui viene dalla Mtb), Miguel Angel Lopez… Addirittura Nairo Quintana (e suo fratello Dayer)  ha chiesto consiglio al suo connazionale Leonardo Paez, che si è riconfermato campione del mondo Marathon. Superman Lopez, ha persino fatto gare di cross country in Colombia. «A lui – ci confida Paez – piace molto e poi sostiene che usare la Mtb lo aiuta nella sensibilità della frenata, tanto più che adesso si usano i freni a disco. E poi cambiare mezzo ogni tanto fa bene, è uno stimolo nuovo per tutto il corpo». 

Un corridore della Deceuninck-Quick Step in Mtb
Un corridore della Deceuninck-Quick Step in Mtb

Cambio di mentalità

Evidentemente i molti vincenti provenienti dalla Mtb devono aver fatto cambiare la rotta. Hesjedal, Evans, Bernal, Fuglsang, Sagan… persino i team hanno voltato pagina. Fa riflettere un recente tweet della Deceunick-Quick Step che chiedeva ai proprio followers cosa avessero previsto per il week.end in sella e mostrava i suoi atleti sgambettare nei boschi con le Mtb. Tra l’altro facendo impennate, sgommate…

Noi non crediamo molto nella teoria che chi va forte in Mtb va forte anche su strada in discesa, le due posizioni sono totalmente differenti. Quello che può dare la Mtb è invece una maggiore padronanza de mezzo in quanto ad equilibrio, al saper affrontare un’ostacolo improvviso. Senza contare che, come abbiamo accennato, si fa un ottimo lavoro con la parte superiore del busto, si vanno a stimolare altri distretti muscolari e, volenti o nolenti, il lavoro cardiaco è di quelli super impegnativi, specie con i cambi di pendenza repentini (rampa, spianata, rampa, svolta…).