Ciabocco, un Avenir Femmes corso con riflessi azzurri

30.08.2025
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Il bicchiere lo vede sempre mezzo pieno e ha ragione lei. Eleonora Ciabocco ha appena concluso il Tour de l’Avenir Femmes meglio di un anno fa e può incamerare ulteriori convinzioni per i prossimi appuntamenti in maglia azzurra (in apertura foto instagram).

Nel 2024 la ventunenne marchigiana chiuse il “piccolo Tour” per U23 al sesto posto a più di sette minuti da Marion Bunel. Quest’anno invece ha iniziato con due secondi posti nelle prime due frazioni. Ha concluso quindi la generale in quinta piazza dopo essere stata seconda ad una manciata di secondi dalla maglia gialla fino alla vigilia delle due semitappe di ieri. Stavolta Ciabocco se l’è giocata molto di più contro due atlete più inclini di lei alla salita come Holmgren e Bunel (rispettivamente prima e seconda, a parti invertite rispetto a dodici mesi fa). Ora arriva un periodo da vivere quasi senza respiro tra Picnic PostNL e nazionale.

Holmgren (in maglia gialla) brucia Bunel al fotofinish ai 1980 metri di La Rosière. Chiuderanno così anche la generale (foto Tour Avenir Femmes)
Holmgren (in maglia gialla) brucia Bunel al fotofinish ai 1980 metri di La Rosière. Chiuderanno così anche la generale (foto Tour Avenir Femmes)

Tutto alla fine

E’ stato un venerdì intenso quello vissuta sulle strade dell’Avenir Femmes. Dopo il riposo del giovedì, l’ultima giornata si è divisa in due a La Rosière dove era partita la corsa un anno fa. Al mattino la semitappa di 40 chilometri a cavallo delle Alpi con sconfinamento in Val d’Aosta (trasferimento di 36 chilometri per la partenza ufficiale da Morgex scalando il Piccolo San Bernardo prima di rifarlo in gara al ritorno), poi nel pomeriggio l’altra semitappa con una cronoscalata di 10 chilometri. Tra tutto le gambe di Ciabocco e le altre atlete hanno avvertito un dislivello di 3.000 metri.

«Siamo partite forte – attacca Eleonora mentre sta rientrando col gruppo azzurro dalla Francia – e mi aspettavo che qualcuno attaccasse presto. Infatti Bunel ha forzato i tempi sul Colle San Carlo, scollinando da sola e guadagnando in discesa. Dietro eravamo tutte assieme, ma scendendo verso La Thuile abbiamo iniziato a perdere contatto fra di noi. Da lì in avanti io ho praticamente fatto tutta la gara da sola e come me via via molte altre, a parte Holmgren che era già tornata su Bunel, arrivando in due fino al traguardo.

«E’ stato in quel frangente – prosegue Ciabocco – che ho perso tanto tempo ad inseguire quelle davanti a me che hanno sfruttato la superiorità numerica prima di restare sole. Ovvio che poi siano cresciuti i minuti tornando a La Rosière. La crono in salita non è andata male, però devi fare i conti con ciò che ti è rimasto. Posso dire di uscire con maggiori consapevolezze e più esperienza in generale e rispetto all’anno scorso. Quest’anno ero più preparata a fare la capitana perché anche con la mia squadra mi era capitato di essere leader in qualche gara».

Dopo il secondo posto nel prologo, Ciabocco conquista la stessa posizione nella prima tappa alle spalle di Gery (foto Lewis Catel)
Dopo il secondo posto nel prologo, Ciabocco conquista la stessa posizione nella prima tappa alle spalle di Gery (foto Lewis Catel)

Assaggio mondiale

E’ mancato solo l’acuto. Ciabocco meritava di tornare dalla Francia con un risultato importante anche se non bisogna disprezzare il secondo posto nel prologo in salita a Tignes e quello nella prima tappa in linea a Saint-Galmier, così come le altre quattro top 10. Questa settimana di Avenir Femmes può considerarsi un antipasto del mondiale U23 in Rwanda.

«Il livello è stato alto – analizza – tanto che nelle frazioni iniziali, o le prime quattro in linea se preferite, non c’è stato spazio e terreno per fare gara dura o un po’ di differenza sulle scalatrici pure. Siamo sempre arrivate tutte assieme. All’Avenir le salite lunghe hanno deciso la generale, al mondiale invece ci saranno strappi più corti e più gestibili, seppur ne uscirà una corsa dura.

«So che dovremmo essere al via in poche – spiega Ciabocco – e potrebbero esserci le stesse avversarie con l’aggiunta di qualche ragazza che non c’era in Francia. Penso a Cat Ferguson. Sulla carta può sembrare un percorso troppo duro per lei, ma sappiamo che è forte e che quando sta bene è capace di tutto. Penso però anche a Celia Gery, che all’Avenir ha conquistato tre tappe e mi ha fatto una grande impressione. Non è un caso che Francia e Gran Bretagna al mondiale U23 andranno con formazioni al completo o quasi».

Ardeche, Rwanda e… Ardeche

Il contingente della nazionale per i mondiali africani prevede il numero massimo consentito sia per uomini che donne. Nel gruppo femminile non è ancora esplicitato se ci sarà un posto riservato ad una Under 23 (che ricordiamo correranno una gara tutta per loro per la prima volta nella storia), però interpretando le parole del cittì Velo dopo il Giro Women parrebbe che quel posto potrebbe essere assegnato proprio a Ciabocco.

Se occorrevano risposte dall’Avenir, allora si può dire che siano arrivate. E forse vale davvero la pena portare la marchigiana in Rwanda. E’ vero che correrà senza compagne, ma è altrettanto vero che non sarà l’unica in quelle condizioni e non è peregrina l’idea di portare a casa una medaglia. Ora manca solo l’ufficialità, ma intanto Eleonora sa già che il programma che l’attende potrebbe essere un cerchio.

«Farò qualche giorno a casa – ci dice – poi correrò il Tour de l’Ardeche con la Picnic PostNL (dal 9 al 14 settembre, ndr). A quel punto se dovessi correre il campionato del mondo, so che partirei col gruppo crono il 17 o 18 settembre. Quindi farei una settimana in Rwanda prima di correre (le U23 corrono il 25 settembre, ndr).

«In teoria – conclude Ciabocco – dovrei correre anche l’europeo in Ardeche (il 3 ottobre, ndr) e la gara con la squadra potrebbe servire proprio anche in quella funzione. Tuttavia ci sono ancora un po’ di cose che vanno confermate e considerate. Una di queste sarebbe la capacità di recupero tra il rientro dal Rwanda e la rassegna continentale. Andiamo un passo alla volta però. Alla base di tutto bisogna aspettare la definitiva convocazione in nazionale. Naturalmente spero che arrivi, io sono pronta».

Tiberi non ha dubbi: «O sei under 23 o sei pro’»

02.10.2022
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Fedorov ha fatto la Vuelta e ha vinto il mondiale under 23. Anche noi avevamo un ragazzo, un talento, che ha fatto la Vuelta, ma al mondiale non ci è andato. Parliamo di Antonio Tiberi. Messa così sembra anche facile. Se avesse spiccato il volo per Wollongong di certo avrebbe detto la sua. Forse sì, forse no. 

Ma non siamo qui per fare processi, bensì per sapere il parere del corridore stesso in merito ad una questione che in qualche modo è aperta. E che avrebbe potuto vederlo protagonista. Questione, per altro, emersa anche ieri parlando con Luca Guercilena, il team manager della Trek-Segafredo. E come vedrete tra i due, dirigente e corridore, c’è una forte coerenza di pensiero.

L’ultima apparizione di Tiberi in azzurro risale alla Coppa Sabatini del 2020 quando era ancora alla Colpack
L’ultima apparizione di Tiberi in azzurro risale alla Coppa Sabatini del 2020 quando era ancora alla Colpack
Antonio, ti sarebbe piaciuto rispondere presente ad una convocazione di Amadori per Wollongong?

Sì, dai… sarebbe stata una bella esperienza. Mi avrebbe fatto piacere.

Però Amadori aveva fatto un sondaggio alla Coppi e Bartali, poi lasciò cadere la proposta in quanto non ebbe segnali d’interesse da parte della squadra…

Personalmente non ci ho parlato, semmai non di questo. Nulla di particolare nelle conversazioni in quella occasione. Magari ne hanno parlato Marino e i diesse, Baffi per esempio, ma nessuno mi ha interpellato. In ogni caso mi va bene aver fatto la Vuelta.

Cosa pensi invece tu, Antonio, che un corridore che ha fatto la Vuelta abbia vinto il mondiale U23?

Sicuramente è un vantaggio. Ha corso con molta gente che fa solo il calendario under 23. Tuttavia da un lato la vedo in senso negativo, sinceramente. A me avrebbe fatto piacere andare, ma non è molto giusto. Ragazzi che sono già nel WorldTour e fanno solo o quasi gare di alto livello, contro ragazzi che fanno un’altra attività: non ha senso. E se poi se uno del WorldTour vince, la maglia iridata quando la vediamo?

I primi 9 del mondiale venivano da una WT o vi avevano fatto lo stagista. Solo l’australiano Dinham (7°) non aveva un contratto neanche per il 2023
Fra i primi 9 del mondiale, 8 venivano da una WT o vi avevano fatto lo stagista
Questa estate hai preparato la Vuelta, ti sarebbe piaciuto magari preparare anche Avenir e mondiale?

E’ un po’ il solito discorso. Non riuscirei a fare un confronto tra preparare un Avenir e un mondiale under 23 con una Vuelta. Fosse stato un mondiale dei professionisti sarebbe stato diverso, ma così ho dato più importanza alla Vuelta.

Un po’ ci sorprendi. Che un corridore delle tue caratteristiche possa “glissare” sul mondiale, corsa di un giorno, ci sta, ma credevamo che un Avenir fosse diverso. Che ti avrebbe fatto più gola. Uno come te sarebbe andato per giocarsela…

Sì, l’Avenir è una corsa prestigiosa, importante. E’ una vetrina soprattutto per chi vuol passare in un team importante. Messa così, mi sembrerebbe di andare a togliere un posto, o comunque dello spazio, ad un ragazzo che sta cercando un posto in una WorldTour. 

Chiaro, però se andiamo a vedere l’ordine di arrivo dello scorso anno per esempio Johannesen aveva già il contratto con la Uno-X (squadra in crescita), Zana era con la Bardiani Csf Faizanè e Rodriguez addirittura con la Ineos-Grenadiers

Quello è vero, ma ripeto, resta pur sempre una gara under 23 ed è anche diverso il modo di correre in quella categoria. Per me, o sei under 23 nel vero senso della parola o sei professionista. E se sei un pro’ non vedo il senso di continuare a fare l’under. Poi dipende anche da dove sei. Zana, per esempio, era alla Bardiani, una professional e non sempre aveva la possibilità di fare delle gare WorldTour. In quel caso ci sta anche che possa andare all’Avenir.

Il laziale alla Vuelta davanti a Carapaz. Ritrovarsi all’improvviso fra gli U23 potrebbe non essere così facile come sembra
Il laziale alla Vuelta davanti a Carapaz. Ritrovarsi all’improvviso fra gli U23 potrebbe non essere così facile come sembra
Hai detto modo diverso di correre. Cosa intendi?

Negli under 23 è diverso lo stile di gara. Magari all’Avenir è un po’ più alto il livello e questa differenza si avverte meno, ma nelle gare under 23 si parte forte, c’è sempre un rimescolamento. Nei pro’ una volta andata via la fuga ci si gioca tutto negli ultimi 50 chilometri, dove si va forte veramente e chi ha gamba… ha gamba.

Come a dire che c’è un andamento più regolare. Ultima domanda. Avete fatto la Vuelta entrambi: parlavi mai con Fedorov? E come lo vedevi?

Sinceramente non abbiamo parlato molto, però era sempre lì a lottare e si vedeva che pedalava bene.

Da Vacek al mondiale U23 per Tiberi: il no di Guercilena

01.10.2022
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Alle spalle dell’iridato Fedorov, sul podio degli under 23 di Wollongong è salito Mathias Vacek, corridore della Repubblica Ceca, che nel 2022 è rimasto fermo per 4 mesi a causa del caso Gazprom. Si sapeva già che fosse promesso alla Trek-Segafredo, ma l’annuncio è stato dato solo alla metà di agosto. La sua presenza nella gara australiana, ci offre lo spunto per affrontare il tema dei giovani con Luca Guercilena, team manager della squadra americana. Probabilmente infatti, se Vacek fosse stato già un corridore WorldTour non avrebbe partecipato al mondiale, come pure è successo con Antonio Tiberi.

Luca Guercilena ha 49 anni ed è il team manager della Trek-Segafredo
Luca Guercilena ha 49 anni ed è il team manager della Trek-Segafredo
Come siete arrivati a Vacek?

Da quasi tre anni, abbiamo iniziato un programma di scouting con Markel Irizar, nostro ex corridore. Vacek ce l’aveva segnalato già da tempo, già dagli juniores. Avevamo trovato l’accordo l’anno scorso, con l’idea di farlo crescere con più tranquillità. Per questo era andato alla Gazprom, per starci nel 2022 e poi avremmo parlato anche del 2023. L’idea era che rimanesse per un paio d’anni e poi passasse con noi. Quello che è successo ci ha portato a inserirlo prima.

Questo progetto di scouting su che numeri si muove?

Cerchiamo di non fare cose esagerate. L’indicazione è di stare sui 10 atleti, perché comunque non puoi inserirne troppi. L’idea è di avere un gruppo ristretto di ragazzi di età differenti. Li segui, gli dai la bicicletta e un minimo di assistenza, li porti in ritiro, vai a vederli quando fanno le gare internazionali. Sapendo che di 10, magari quelli che possono passare sono un paio e quindi ci focalizziamo su quelli. E’ stato così con Skjelmose, Simmons, Tiberi e lo stesso Baroncini. 

Che cosa cercate?

Il lavoro che stiamo cercando di fare è quello di avere atleti che abbiano già un curriculum valido dal punto di vista del talento e dal punto di vista fisiologico. E poi che abbiano capacità fisiche in gara, quindi anche un curriculum di risultati in crescita. Irizar fa queste valutazioni. Li va a vedere. Li conosce. Va in ritiro. Parla con i direttori sportivi delle squadre dilettanti. In modo che quando passano, sia gente che si inserisce bene nel gruppo e già un po’ in linea con le aspettative della squadra. 

Mondiali U23 crono del 2021: Baroncini parla di bici con Irizar e De Kort, osservatori della Trek-Segafredo
Mondiali U23 crono del 2021: Baroncini parla di bici con Irizar e De Kort, osservatori della Trek-Segafredo
Avete seguito Vacek durante i mesi senza correre?

Innanzitutto, visto il momento particolare, abbiamo cercato di capire quale potesse essere il suo calendario con la nazionale, dopodiché gli abbiamo dato bicicletta, scarpe, casco. Poi gli abbiamo offerto supporto per l’allenamento, confermandogli le nostre intenzioni. Per farlo sentire parte del gruppo, sebbene non potesse correre.

Nella conferenza stampa è parso esaltato dall’idea di passare nella squadra WorldTour…

Vacek ha sempre dimostrato talento, quest’anno sicuramente era partito col piede giusto, poi è successo quello che è successo. Ha dovuto fermarsi. E’ stato a lungo senza correre e poi ha avuto solo un calendario di dilettanti. Adesso invece passa nel WorldTour. E’ ovvio che per un ragazzo giovane sia un cambio di vita abbastanza sostanziale.

A Wollongong Vacek ha collaborato con Fedorov, per poi perdere nella volata a due
A Wollongong Vacek ha collaborato con Fedorov, per poi perdere nella volata a due
Che tipo di attività gli proporrete?

Quando passano il primo anno in World Tour, ponderiamo bene. Valutiamo in primis il numero totale di corse e quali. E poi semmai dove potranno provare a fare risultato, normalmente sempre nella seconda parte di stagione. Per cui è chiaro che si fa tutto con tranquillità. Ovvio che nel caso di Mathias, che ha già vinto una tappa al UAE Tour, si possa pensare ad un calendario leggermente più consistente rispetto a un neopro’.

E qui veniamo ai mondiali U23. Mandereste un vostro U23 a farlo?

Se c’è un’esigenza assoluta, sicuramente lo valutiamo. Però come filosofia del team, eviterei ad atleti che già sono nel WorldTour di andare al campionato mondiale under 23. Se uno corre a un determinato livello, non ha senso poi confrontarsi con i dilettanti under 23 o quelli delle continental. Però dipende sempre dal Paese che te lo chiede.

Cioè?

Se è un Paese che ha difficoltà a mettere insieme il numero minimo di corridori, se ne ragiona. Ma se parliamo di Italia o Francia, ad esempio, per me non ha senso. Perché allora in realtà il mondiale U23 lo avrebbe vinto Remco e secondo avrebbe fatto Skjelmose, quindi è un po’ un guazzabuglio di situazioni.

Vacek ha 19 anni, viene dalla Repubblica Ceka e ha vinto l’ultima tappa del UAE Tour
Vacek ha 19 anni, viene dalla Repubblica Ceka e ha vinto l’ultima tappa del UAE Tour
Amadori dice di aver sondato Tiberi e di aver percepito freddezza. Non credi che per lui, che non fa un mondiale dal 2019, sarebbe stato comunque il modo per imparare a gestire certe situazioni?

A mio parere no, perché corri tutto l’anno con atleti più forti di te, cercando comunque di fare risultato: Antonio ad esempio in Ungheria è riuscito a vincere. Ti ritrovi a un mondiale dove partono in 20-30 di quel livello e tutto il resto magari arriva da continental e squadre dilettantistiche vere e proprie. Alla fine secondo me ha un valore relativo, lo vedo sinceramente come qualcosa di non necessario.

Perché?

Secondo me è una questione di meritocrazia. Se il sistema valuta che sei già in grado di essere competitivo a livello superiore, non vedo perché devi andare a competere a livello inferiore. Sembra anche brutto dire così. Secondo me invece il mondiale under 23 deve dare la possibilità di progredire ai ragazzi che sono ancora in fase di crescita e non hanno ancora dimostrato il loro potenziale.

Nel calcio la nazionale U21 va alle Olimpiadi.

Se è solo per premiare i più giovani, allora che partecipino al livello elite e poi si premia il primo di loro. Fra le donne, la Guazzini ha vinto la crono e la Fisher Black la strada. Il calcio manda gli under 21 alle Olimpiadi, ma sappiamo che, per quanto importanti a livello calcistico, i Giochi vengono vissuti come una competizione minore.

L’ultimo foglio firma di un mondiale firmato da Tiberi è quello di Harrogate nel 2019, da junior
L’ultimo foglio firma di un mondiale firmato da Tiberi è quello di Harrogate nel 2019, da junior
Difficile gestire la gara nella gara…

Lo so, ma chi è il miglior under 23 al mondo? E’ Fedorov o Evenepoel, visto che hanno la stessa età? Secondo me è una scelta che andrebbe regolamentata. Io credo che a livello dilettantistico si debba ricominciare a pensare veramente ai punteggi, come si faceva ai nostri tempi. Insomma, quando avevi accumulato un determinato punteggio, non potevi più correre con la categoria inferiore e portare via le corse a chi studiava o aveva bisogno di crescere più gradualmente. Mentre se io faccio il corridore di mestiere e ho già accumulato 50 punti internazionali al 31 di gennaio, ha poco senso che poi vada ancora a correre le gare provinciali con quelli che studiano. Il sistema di punteggio era più meritocratico e secondo me tutelava la categoria.

Però resta il dubbio che a Tiberi avrebbe fatto bene essere là…

Senza dubbio, io dico solo che deve esserci una regola. Decidiamo, ad esempio, che nessun under 23 può partire con gli elite nel mondiale strada e quindi partono tutti per età. Ma nel momento in cui decidi che c’è una categoria under 23 e la gestisci come si fa oggi, allora non ha più minimamente senso. Perché, rispondendo alla domanda precedente, il miglior under 23 che c’è al mondo oggi è Evenepoel e non Fedorov.

Demare 2011

Iridati Under 23: l’anticamera per grandi carriere

29.10.2021
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Qualche giorno fa abbiamo analizzato la storia dei mondiali nella categoria juniores per capire quanti, emersi in giovane età nella prova iridata, poi hanno avuto un lungo e soprattutto fruttuoso seguito fra i pro’. Il principio viene ora applicato alla categoria under 23, dove le differenze sono notevoli: parliamo infatti di corridori che spesso hanno già quantomeno “assaggiato” la vita da professionisti, disputato gare contro i campioni dell’epoca, un fattore che col passare degli anni è diventato pressoché abituale.

Non era così agli inizi: il primo mondiale U23 si disputò a Lugano nel 1996 e subito emerse il dominio azzurro, con addirittura una tripletta su podio firmata Giuliano Figueras, Roberto Sgambelluri e Luca Sironi. Tutti e tre hanno poi avuto una carriera professionistica, con il secondo vincitore anche di una tappa al Giro d’Italia nel ’97 e finito nella top 10 di classifica due anni dopo per poi dedicarsi alle Granfondo. E’ chiaro però che le speranze maggiori erano riposte sul primo, Figueras. La sua carriera durata una decina d’anni è stata contraddistinta da 14 vittorie ma senza quegli acuti tanto attesi.

Basso 1998
Basso fra Nocentini e Di Luca: di podi ne conosceranno molti altri, soprattutto i due a destra
Basso 1998
Ivan Basso e Danilo Di Luca: per loro tante vittorie tra i pro’, tra cui il Giro d’Italia

Anche qui è l’Italia a comandare

Due anni dopo, a Valkenburg, arrivò la clamorosa replica azzurra, ancora tre sul podio, ma questa volta quella tripletta portò davvero fortuna. Il titolo mondiale premiò Ivan Basso, davanti a Rinaldo Nocentini e Danilo Di Luca. I più attenti ricorderanno come proprio Basso e Nocentini finirono nello stesso ordine tre anni prima fra gli junior, battuti però da Valentino China. Tutti e tre hanno vissuto una fortunata carriera professionistica, con Basso e Di Luca entrambi capaci di ergersi fino alla conquista del Giro d’Italia.

In totale le vittorie italiane sono 6 per 16 medaglie in tutto e anche qui il medagliere è comandato dal tricolore. Oltre ai già menzionati, il titolo ha premiato Leonardo Giordani nel 1999, Francesco Chicchi nel 2002, Samuele Battistella e Filippo Baroncini nelle ultime due edizioni. Se per questi ultimi due è chiaramente ancora presto per fare bilanci (ma le premesse sono più che solide), per il laziale Giordani va detto che la sua carriera, seppur senza grandi acuti, è durata 13 anni mentre Chicchi ha corso dal 2003 al 2016 rimanendo poi nell’ambiente.

Matthews 2010
Michael Matthews profeta in patria, ma anche il 2° non scherzava: John Degenkolb
Matthews 2010
Michael Matthews profeta in patria, ma anche il 2° non scherzava: John Degenkolb

Mohoric e quella tripletta mancata

Nessuno è mai riuscito a bissare il titolo, eppure parliamo di una categoria nella quale si milita per tre anni. Uno solo invece è stato capace di conquistare la maglia iridata sia da junior che da Under 23: si tratta dello sloveno Matej Mohoric, primo nel 1992 nella categoria più piccola e subito in grado di fare il bis tra i più grandi l’anno successivo. A Leuven Mohoric avrebbe tanto voluto conquistare anche la maglia professionistica, la squadra slovena aveva corso per lui, ma le speranze sono naufragate in una giornata storta.

Scorrendo l’albo d’oro degli Under 23 (ricordiamo che per le donne se ne parlerà, forse, il prossimo anno e questa è un’assenza che nello sviluppo del ciclismo femminile pesa notevolmente) è evidente come la presenza di corridori capaci poi di valide imprese fra gli Elite sia maggiore rispetto agli junior. E’ proprio quell’abitudine a gareggiare contro i grandi a fare la differenza. La tendenza a cercare il grande talento in età sempre più giovanile sta però pesando sullo sviluppo di questa categoria.

Mohoric 2013
Matej Mohoric festeggiato dall’entourage sloveno: secondo titolo in 12 mesi per lui
Mohoric 2013
Matej Mohoric festeggiato dall’entourage sloveno: secondo titolo in 12 mesi per lui

Dal 2010 una sequela di campioni

I maggiori talenti sono emersi soprattutto nell’ultimo decennio, a cominciare dal trionfo casalingo di Michael Matthews, diventato poi uno splendido interprete delle classiche. L’anno dopo arrivò la volata vincente di Arnaud Démare (nella foto di apertura) rimasto poi un riferimento degli sprint, nel 2012 invece emerse il kazako Alexey Lutsenko, ancora oggi una delle punte dell’Astana dimostratosi molto valido anche sulla Gravel. Nel 2017 a Bergen arrivò la vittoria del francese Benoit Cosnefroy, rivelatosi protagonista anche in tempi di Covid tanto da finire secondo alla Freccia 2020 e conquistare il bronzo agli Europei di Trento.

In quella Freccia, Cosnefroy finì alle spalle di Marc Hirschi, il suo successore in maglia iridata. L’elvetico in quella stagione è stato uno dei maggiori interpreti delle classiche, ma il suo 2021 è stato in paragone molto deludente. E’ chiaro però che c’è tutto il tempo di rifarsi.

Hirschi 2018
Marc Hirschi dominatore nel 2018: riuscirà a tornare il campione di allora?
Hirschi 2018
Marc Hirschi dominatore nel 2018: riuscirà a tornare il campione di allora?

Samuele e Filippo: ora tocca a voi

Per Battistella e ancor più per Baroncini bisogna ora solamente attendere. Il primo intanto, capace di chiudere la stagione con il trionfo alla Veneto Classic, sembra seguire la strada giusta. Proprio l’analisi del mondiale dimostra comunque come la categoria under 23 abbia una precisa ragion d’essere. I team e soprattutto i procuratori dovrebbero tenerne conto per non disperdere talenti sull’altare di un’eccessiva fretta nel richiedere risultati e, di conseguenza, consumare corridori.

Marco Frigo si rilancia tra l’Olanda e le prove contro il tempo

30.09.2021
5 min
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Quando abbiamo contattato Marco Frigo per fare questa intervista era la vigilia della Ronde de l’Isard (foto di apertura di La Depeche), non ci aspettavamo di commentare con lui la vittoria della prima tappa della gara francese, la prima in maglia Seg Racing Academy. Marco è partito da lontano per andare a correre in Olanda la scorsa stagione, dal suo Veneto, dove ritorna appena può.

Dice di essere freddo, di non essere uno con la lacrima facile, eppure oggi la voce un pochino gli trema. Come quella di chi si riprende qualcosa che gli era mancato per tanto tempo: la vittoria. Forse anche un po’ di fiducia, ma non nei propri mezzi, più nel destino, lo stesso che sulle strade di Rodi gli ha fatto trovare un masso sulla propria strada.

Azzurri alla partenza della prova in linea di Leuven poi vinta da Baroncini, Marco Frigo è il terzo da sinistra
Azzurri alla partenza della prova in linea di Leuven poi vinta da Baroncini, Marco Frigo è il terzo da sinistra
Come ti senti dopo questa prima tappa?

Sono contento, moderatamente, non ho fatto ancora nulla di eccezionale. Sono più felice per la squadra che per me, loro ci credono molto e mi hanno dato tanto in questo anno e mezzo.

Come mai questa scelta di andare alla Seg la scorsa stagione?

L’offerta, il programma di crescita e di allenamento era davvero molto bello e adatto a me. Poi penso che un’esperienza all’estero faccia bene, soprattutto nei paesi come l’Olanda. Impari a cavatela da solo e ad essere più autonomo. Passo molto tempo in giro tra allenamenti e ritiri tanto che a casa negli ultimi due mesi sono stato solamente tre giorni. Poi ho parlato con Dainese ed Affini e mi hanno detto: “Marco, se vuoi diventare un corridore professionista devi andare alla Seg”.

Il percorso però non è uguale per tutti

La differenza la fai tu e come vuoi affrontare le sfide. Personalmente ho scoperto dei lati di me che non conoscevo, pensavo di essere più “mammone” ed invece sto bene anche da solo.

È stato un anno e mezzo difficile in cui anche il lockdown ci ha messo lo zampino.

Il 2020 non è stato l’anno migliore per iniziare questo cammino, ho avuto modo di pensare molto alla mia scelta, mi sono fatto delle domande e mi sono dato delle risposte. Però non ho mai messo in dubbio la Seg e il mio percorso di vita.

Nel 2019, al tuo primo anno da Under hai vinto il campionato italiano ed eri alla Zalf.

Vero, ho vinto il campionato italiano ma ho vinto semplicemente una corsa. Non ero il più forte in gara e non ero il più forte neanche dopo, ho solo corso bene quel giorno.

Come dire: una rondine non fa primavera…

Esatto, non mi sono montato la testa, non sono uno che si esalta molto. Sono poco self confident, grazie a quella vittoria ho preso un po’ più di consapevolezza nei miei mezzi.

Marco Frigo in azione agli europei di Trento: ottimo rodaggio sulla via dei mondiali
Marco Frigo in azione agli europei di Trento: ottimo rodaggio sulla via dei mondiali
Questa stagione hai fatto anche le tue prime competizioni a cronometro (Campionato italiano, secondo e mondiale, trentatreesimo).

Ecco, questa disciplina ho iniziato a curarla proprio da quando corro qui, prima non l’ho mai considerata. Ho scoperto il mezzo e devo dire che mi piace molto, non ne voglio fare la mia attività principale però. I miei obiettivi poi sono altri.

Come mai non l’hai mai considerata?

Semplicemente nelle squadre in cui correvo prima non si allenava molto questa disciplina.

Quali sono quindi i tuoi obiettivi?

Io voglio diventare un corridore da corse a tappe e voglio migliorare in questo settore. A Rodi prima della caduta andavo forte e stavo sempre con i migliori.

Rodi è stato un momento difficile da superare?

Molto, ma non per i danni fisici, la clavicola in una/due settimane era a posto. Quel che mi ha frenato maggiormente è stata la paura che si potesse ripetere un episodio simile. Ho iniziato ad aver paura della velocità in discesa. Anche a causa di questo mio timore ho preso minuti in alcune tappe al Giro d’Italia Under 23 e al Tour de l’Avenir.

Hai fatto qualcosa per superarlo?

Sto ancora facendo qualcosa. Dopo il Giro, insieme alla squadra ho iniziato un percorso con una mental coach. È molto utile e stiamo facendo grandi progressi.

Come mai è così importante?

Lo è perché devi avere qualcuno di esperto con cui parlare e confrontarti. Non parlo di esperienza ciclistica ma di supporto, facciamo uno sport in cui la mente fa gran parte del lavoro. Puoi essere pronto quanto vuoi fisicamente ma se non ne sei convinto non farai mai nulla.

Quindi continuerai a fare questo lavoro?

Quasi sicuramente si. Fa parte della mentalità del team avere questi collaboratori, ora capisci quando ti dicevo della mentalità più professionale qui alla Seg?

Marco Frigo mette la propria firma sulla medaglia d’oro di Baroncini, i due sono stati compagni di stanza
Hai un fisico particolare (un metro e ottantotto e 65 chili).

Molti corridori con il mio tipo di fisico hanno vinto i grandi giri: Froome, Doumulin e Thomas per dirne alcuni.

Loro però vanno forte a cronometro…

Vero e per questo che sono felice del mio percorso in Seg. Mi aiutano a raggiungere i miei obiettivi e questo passa anche dalle sfide contro il tempo. Non devo guadare al secondo posto raggiunto ma al trentatresimo del mondiale. Quei due minuti presi dal corridore danese servono da monito, ho appena iniziato a lavorare e devo fare ancora molto.

Baroncini iridato! E’ andato tutto secondo i (suoi) piani

24.09.2021
4 min
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«Sono emozionatissimo. E’ un sogno che si avvera. Un sogno che avevo da quando ero bambino», anche in conferenza stampa la tranquillità di Filippo Baroncini non viene meno, neanche mentre indossa la sua fresca e scintillante maglia iridata. E’ caduto, si è rialzato come se niente fosse. E ha ripreso per la sua strada, che nella sua mente era ben chiara.

Si vedeva che stava bene. La sua Cinelli scorreva via facile, facile. E quando nella svolta a destra che introduceva nel penultimo strappo le quattro maglie azzurre erano in testa, abbiamo capito che a 100 metri dalla fine del tratto duro avrebbe dato la zampata violenta, di cui ci aveva parlato anche Amadori.

Finalmente la gioia vera. Dopo il 2° posto di Trento stavolta è oro. Baroncini succede a Battistella l’ultimo iridato U23 (nel 2019)
Finalmente la gioia vera. Dopo il 2° posto di Trento stavolta è oro. Dopo Battistella (2019), ecco Baroncini

Tutto secondo i piani

La zampata l’ha data. Si è voltato e ha visto aprirsi il buco. Merito del tanto lavoro e della tremenda rifinitura della Coppa Sabatini, dove è stato quarto a ruota di gente da WorldTour.

Ieri lo avevamo visto arrivare lungo ad una curva, quella che introduceva nello strappetto finale a 1.700 metri dall’arrivo. Nel pomeriggio ci avevamo anche parlato. E ci aveva confermato, come ha fatto oggi in conferenza stampa, che stava provando l’azione decisiva. Vincere come aveva visualizzato e come ci si aspettava non è da tutti. E’ da campioni veri. Da uomini freddi... ma non nel cuore.

«Devo ringraziare la squadra che mi ha permesso di non prendere troppa aria e di stare coperto – dice il neoiridato – l’attacco di Luca Colnaghi ci ha fatto risparmiare energie preziose per il finale. Sì, è vero. Ieri stavo provando l’attacco di oggi. Era così che volevo fare. Era importante fare le curve forte».

E poi a dire il vero un po’ voleva anche evitare di arrivare allo sprint, memore di quanto successo a Trento pochi giorni prima.

Filippo, re di tranquillità 

Tranquillità: è questa la parola chiave di questo ragazzo? A quanto pare sì. Suo papà Carlo riesce ad abbracciarlo poco dopo essere sceso dal podio. Con lui c’è anche il… suocero Gianfranco, che si commuove. La sua Alessia invece non si è sobbarcata i 1.200 chilometri dall’Emilia Romagna a Leuven.

«E’ vero – ammettono i due – è molto tranquillo. Riesce a trasmettere serenità anche a casa». Talmente tranquillo che per qualche istante, dopo esserci goduti la sua azione da manuale, abbiamo temuto che mandasse tutto all’aria perché negli ultimi 100 metri ha praticamente smesso di pedalare. Il teleobiettivo inganna è vero, ma un sospiro lo abbiamo lanciato… e non solo noi.

«No no… – ride Baroncini – me lo sono goduto quel finale. Ho visto che ero solo. A quel punto ero tranquillo e l’ho lasciata scorrere».

Amadori premonitore

Ma intanto è bella l’atmosfera che si respira a Leuven. Una vera gioia. Un’altra medaglia, un altro oro. Dall’Italia sono arrivati tifosi e diesse. C’è persino il direttore del Giro U23, Marco Selleri, il quale dice che se la sentiva.

Ma il più commosso è Gianluca Valoti. Il suo diesse alla Colpack Ballan se lo abbraccia, abbraccia anche a noi. Ha la voce tremolante. Così come Rossella Di Leo, la team manager. 

Amadori è chiamato a gran voce dai suoi ragazzi sul podio. Perché tra le altre cose gli azzurri hanno vinto anche la Coppa della Nazioni. E’ un vero trionfo. Ogni curva disegnata al millimetro, ogni unghia mangiata. Anche Marino sapeva bene chi aveva sotto mano. «Baro è in grado di fare un attacco violento finale», ci aveva detto il cittì. E così è stato. E adesso la festa può iniziare…