L’incidente di Tom Pidcock mescola le carte in vista dei Giochi di Tokyo. Lui e Van der Poel hanno puntato la medaglia d’oro nella Mtb e i riflettori sono ormai sparati a mille su questo evento, su questa sfida. Nell’ultimo mese le situazioni si sono capovolte e nel mezzo sono cambiate ancora.
Con Mirko Celestino, tecnico della nazionale di Mtb, facciamo il punto sullo stato attuale di questi due fenomeni.
Nuovi equilibri
Van der Poel vince in Svizzera e Pidcock è a casa a leccarsi le ferite. Solo qualche settimana fa la “frittata” era al contrario. L’inglese volava nelle gare di Coppa e l’olandese pagava dazio.
«Adesso invece le cose cambiano – dice Celestino – E spero che cambino in meglio soprattutto per noi! Scherzi a parte, questo incidente non ci voleva per Pidcock, sia perché influirà comunque sulla sua preparazione sia perché un po’ di paura te la porti dentro poi. Era in un ottimo stato di forma. Tom fa un piccolo salto indietro, mentre l’altro, rifinendo la preparazione al Giro di Svizzera, ne fa uno avanti».
«Sinceramente non mi aspettavo un Pidcock così superiore in Coppa del mondo. Mi ha colpito soprattutto ad Albstadt. Quel percorso è molto stretto: partire centesimo e arrivare quinto è un “numerone” pazzesco. A quel punto me lo aspettavo forte anche a Nove Mesto e infatti ha vinto. Che dire, Tom e Mathieu sono abituati a vivere le grandi pressioni, a stare sotto i grandi riflettori a far convivere la preparazione con quello che si aspetta la gente, gli sponsor e tutto il resto… Nella Mtb questo riguarda soprattuto Nino Schurter e posso dirvi, anche per esperienza diretta, che non è facile. A me piaceva certa pressione e rendevo anche di più, ma non per tutti è così. Guardiamo GerhardKerschbaumer per esempio: come gli metti “due paletti” inizia a vacillare, se invece lo lasci tranquillo va fortissimo».
Borsa valori in movimento
Quindi Pidcock in calo e Van der Poel in crescita. Anche Celestino condivide l’idea che nei primi appuntamenti di Coppa l’olandese sia arrivato un po’ “ingolfato” o comunque con altri stimoli e magari con molto lavoro nelle gambe.
«Pidcock – riprende il cittì – era più brillante perché doveva guadagnarsi l’ufficialità del posto olimpico e doveva fare punti per non partire troppo indietro. Mentre l’altro aveva meno stress addosso. Van der Poel li sta preparando molto bene questi Giochi, ha un suo percorso. In certi momenti sembrava che lui, ma anche Tom, giocassero. Di contro, dico che Mathieu un po’ questa presenza così forte di Pidcock la accusa. Forse neanche lui se lo aspettava così competitivo e così vincente».
E questa visione può avere un doppio risvolto: far lavorare ancora di più Mathieu o magari indurlo in qualche errore durante la gara per cercare di seguirlo o staccarlo.
E i nostri?
In tutto ciò un breve sguardo va dato anche in casa azzurri e le news non sono super confortanti.
«Domenica – conclude Celestino – ci sarà la Coppa a Leogang, in Austria, e lì deciderò la mia rosa finale, che poi sostanzialmente è il terzo uomo (Kerschbaumer e Luca Braidot sono praticamente certi di andare a Tokyo, ndr). Ci sono Nadir Colledani,Daniele Braidot che però ha avuto seri problemi alla schiena, e c’è questo giovane, Simone Avondetto che ha mostrato belle cose.
«Kersch si è fatto vedere finalmente la scorsa domenica vincendo gli Internazionali d’Italia in Val Casies. Ha detto di essere un po’ troppo magro e di aver perso un po’ di forza. Io gli ho risposto che a Tokyo manca un mese e mezzo e che ha tutto il tempo per riordinare le cose. E poi quei due là (Van der Poel e Pidcock) vanno forte già da due mesi e sarà dura anche per loro tenere questa condizione per un altro mese e mezzo, o no? Io sono fiducioso!».
Van der Poel ha detto che non parteciperà alle Olimpiadi su strada per puntare tutto su quelle in Mtb. La sua scelta è ormai definita da un po’, ma cosa lascia l’olandese? E come dovrà avvicinarsi a questo evento? In fin dei conti non lo vediamo in azione sulla ruote grasse dalla gara di Coppa del mondo della scorsa estate. Ne abbiamo parlato con Mirko Celestino. Il tecnico della nazionale ci ha accolto nel suo negozio ad Andora. Lui meglio di altri può capire le sensazioni e alcuni comportamenti di Mathieu, visto che ha corso parecchi anni su strada, prima di passare alla Mtb.
Mirko, Van der Poel ha detto che non farà le Olimpiadi su strada, cosa ne pensi?
E’ una scelta molto importante. Probabilmente ai livelli a cui è arrivato sa bene cosa c’è in palio e che deve sacrificare qualcosa. Ha scelto di sacrificare la strada e da parte mia non posso che essere onorato perché dà importanza al mondo della Mtb, pur essendo molto pericoloso per i nostri. La sua presenza dà forza al movimento.
Secondo te ha scelto la Mtb perché ha più sicurezza di vittoria?
Secondo me sì, poi il percorso si adatta bene alle sue caratteristiche. Non so se lo abbia visto, perché nel test event dell’anno scorso non c’era. So che a maggio si potrà tornare a provarlo e magari ci andrà. Noi azzurri non andiamo: siamo già stati là, gli atleti sono nel pieno della stagione, c’è la Coppa del mondo, la trasferta è lunga e con molto fuso orario…
Van der Poel ha corso poco o niente in Mtb nell’ultimo anno però…
Qualcosa deve fare, infatti. Rispetto ai primi anni dal punto di vista tecnico ha avuto un miglioramento molto importante. All’inizio lo vedevi che sul tecnico era un po’ impacciato, che era meno fluido… Adesso invece ha la totale padronanza del mezzo anche in quelle situazioni.
In effetti è vero. Assistemmo dal vivo al duello con sua maestà Nino Schurter in Val di Sole. Mise lo svizzero sotto torchio in salita e lo bastonò in discesa…
Esatto, poi sapete una cosa: quando sei sereno e tranquillo fai tutto con più armonia e spensieratezza. Anche io ci sono passato da atleta. Se le cose non vanno non riesci a guidare bene. Certo, avrà tanta pressione addosso, ma vedo che la tiene bene.
Quale può essere un suo punto debole?
Ho notato che su strada non si sa alimentare bene – dice Celestino quasi sottovoce – Io ne ho prese a manciate di crisi di fame e so riconoscere certi campanelli d’allarme. In Mtb e nel ciclocross non ha di questi problemi, le gare durano un’ora e mezza al massimo. Mi ricordo al mondiale di due anni fa quando iniziò a voltarsi verso la ruota posteriore per verificare che i pattini non toccassero sulla ruota. Mi sono detto: vedrai che questo va in crisi di fame. E infatti poco dopo si è staccato. E la stessa cosa è successa sui muri alla Tirreno l’altro giorno. Addirittura lì ha mangiato una barretta quando mancavano pochissimi chilometri alla fine. In quel caso meglio un gel.
E un suo punto di forza?
La testa – dice secco Celestino – Mathieu è talmente convinto del suo potenziale che può fare tutto. Ha sotto controllo il percorso, la tecnica, il dislivello… sa che può dare delle “aperte” e che può ammazzare i suoi avversari con quelle sgasate.
Che avvicinamento dovrebbe fare per te? Si dice che non faccia il Tour de France (la corsa francese termina il 18 luglio e la gara olimpica di Mtb c’è il 26)…
Il Tour: fossi in lui ne farei solo una parte. Se ripenso alla mia carriera, quando dovevo puntare a gare di un giorno mi è stata data la possibilità di fare spezzoni di Giro o di Vuelta, secondo me va bene.
Però okay che Vdp è forte, ma qualcosa davvero dovrà pur fare se vuole l’oro di Tokyo. Nino Schurter è sempre un “Dio”, il connazionale Forster cresce e il francese Sarrou è iridato in carica…
Senza dubbio qualcosa dovrà fare. Ne vedo pochi che non hanno paura di Van der Poel. Partono quasi tutti con la mentalità di correre per la seconda posizione. A me quelli forti gasavano, ma sembra non sia più così dai commenti che sento e da quel che vedo quando siamo alle corse.
Mathieu in teoria non è messo benissimo nel ranking e quindi non dovrebbe partire molto avanti.
L’Uci dopo lo stop del covid l’anno scorso ha bloccato i punteggi e dato un’ultima possibilità con le prime due gare di Coppa del mondo di quest’anno, Albstadt e Nove Mesto, entrambe a maggio. Immagino che Van der Poel ci sarà. Anche perché se poi questo arriva senza correre da un anno, parte dietro e vince… qui è meglio che chiudiamo baracca e burattini! Ci saranno altre prove di Coppa a giugno, ma non assegneranno punteggi.
Sembra che a giugno, Van der Poel vada in ritiro a Livigno…
Anche noi ci andiamo con la nazionale.
A proposito, i nostri biker come stanno?
Kerschbaumer è cambiato parecchio. L’essere passato alla Specialized lo ha rivoluzionato. E’ diventato anche social! E’ andato in ritiro in Sud Africa e l’ho visto molto meno sofferente nelle prime gare d’inizio stagione. E’ più tranquillo e il fatto di avere più chilometri nelle gambe magari gli eviterà i suoi classici alti e bassi. E poi anche Luca Braidot ha un’ottima condizione. Conto molto anche su di lui.
Torniamo a Van der Poel, okay che la doppietta olimpica strada e Mtb è pressoché impossibile visto che tra le due prove ci sono appena 48 ore di differenza (prima la strada poi la Mtb), ma secondo te lui ci ha pensato?
Beh, è l’unico che su carta ha questa possibilità. Magari dentro di sé un pensierino ce lo ha fatto. Ne sono quasi certo…
Spettacolare edizione dell'E3 Saxo Bank Classic ad Harelbeke. Asgreen prima compie una fuga solitaria di 60 chilometri. Ripreso, riparte nel finale e vince
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Il raduno delle ragazze della pista a Montichiari è appena finito, per Gaia Tormena ora ci sono ore di macchina con la mamma Laura alla guida. Dovrebbe essere stanca, invece la sua voce al telefono è sempre squillante e trasmette entusiasmo.
«Sembra così – ride – ma in pista ci si stanca molto, quando l’ho affrontata per la prima volta non mi aspettavo proprio… Tenere la scia è faticosissimo, alla fine ero stravolta e le compagne fresche come rose».
Imbattibile? Quasi…
Gaia Tormena è l’esempio lampante di come la bici dovrebbe essere intesa, ma per capirlo bisogna spiegare chi è. Stiamo parlando di una ragazza valdostana che ha da poco compiuto 18 anni, ma che ha già un palmares eccezionale. Un titolo mondiale (2019), due europei e due Coppe del mondo (2019 e 2020), tre italiani (2016-17-18), ma non su pista, bensì nella Mtb, specialità eliminator. Una gara tutta di potenza e agilità, della durata di 90 secondi al massimo. Si fanno le qualificazioni a tempo e da lì si sviluppa il tabellone con sfide a 4 sino alla finale.
Gaia è stata quasi imbattibile fin da subito e il quasi è venuto quest’anno, quando l’azzurra è stata battuta ai mondiali dalla francese Isaure Medde solo per un fotofinish millimetrico.
E’ il 2008, con mamma Laura, papà Fabio e FilippoA nove anni, già in garaNel 2014 è già vincenteNel 2015, Mtb prima di tuttoNel 2016 guida già da espertaNel 2016 prova anche su stradaNel 2018, tricolore MtbNel 2018 anche qualche crossNel 2019 il mondiale eliminatorUna medaglia d’oro che fa sognareA Monte Tamaro titolo europeoNel 2020 in azione da iridataE sempre nel 2020, un giretto sulla neve…
Il salto del coniglio
Va bene, ma che cosa c’entra con la pista? Il fatto è che Gaia ama la bici a prescindere, ha praticato tutte le discipline e può passare indifferentemente da una parte all’altra senza contraccolpi. Esattamente come avviene per i grandi del ciclismo contemporaneo, da Van der Poel a Van Aert. Una caratteristica che è emersa fin da piccola.
«Ho imparato a pedalare insieme a camminare – dice – le rotelle le ho tenute pochissimo e a 5 anni già dicevo che volevo entrare in qualche squadra con altri bambini. I miei genitori ci hanno provato, ma ero troppo piccola. Ho iniziato seriamente a 12 anni alla Cicli Lucchini, facendo le prime gare nella Mtb e su strada, ma non è che la bici prima l’avevo messa da parte, anzi. Appena tornavo da scuola, la prendevo, andavo dietro casa e iniziavo a giocare. Saltare, pedalare, superavo ostacoli che mi inventavo io e altri che mi costruivo con l’aiuto di mia madre. Facevo sgommate, slalom fra gli alberi. Insomma, ero un piccolo cavallo pazzo. Ho imparato un sacco di evoluzioni, tanto che i miei compagni mi chiedevano di insegnargli come fare. Un giorno mi sono inventata un trick, una sorta di alley-hop al contrario e mia madre ha chiesto su Facebook se quel movimento aveva già un nome. L’abbiamo chiamato “salto del coniglio”».
Funambola sin da bambina, ha sviluppato equilibrio e colpo d’occhioColpo d’occhio sviluppato giocando…
Colpa di Celestino
La valdostana è forse il primo esempio italiano di quell’evoluzione naturale della passione per la bici, che nasce dalla più tenera età e che poi potrà avere mille sviluppi. Quello stesso principio di multidisciplinarietà sul quale Cassani batte da tempo. Ma c’è anche qualcos’altro e a spiegarlo è il Cittì della nazionale di Mtb ed ex pro’ su strada, Mirko Celestino che la conosce bene.
«Lei è brava a giocare con la bici – dice – e questo concetto è la base sulla quale costruire un corridore. Con quei giochi Gaia ha incamerato una straordinaria capacità di guida, riesce a venire fuori da qualsiasi situazione ed emerge nelle discipline veloci dove basta un errore per compromettere tutto. Con il suo fisico alto e statuario e le sue doti di potenza e agilità, ho pensato subito che la pista potesse essere ideale per lei. Per questo ho chiamato il responsabile Dino Salvoldi consigliandogli di visionarla».
«Avevo provato la pista da ragazzina – è di nuovo Gaia a parlare – grazie al mio comitato regionale e mi era piaciuta, poi non c’era stata occasione per continuare perché il velodromo più vicino era a Torino, troppo distante. Mi avevano contattato l’inverno scorso per parlarmi di un’eventuale partecipazione agli europei di categoria, poi è sopravvenuto il lockdown e non credevo se ne sarebbe fatto più nulla. Invece quest’estate mi sono ritrovata coinvolta in una bellissima avventura (nella foto di apertura è con Valentina Basilico e Sandra Fiorin, ndr). Io agli europei non avevo mai gareggiato su pista… Ho fatto la velocità a squadre e abbiamo vinto l’argento, nel keirin ho mancato la finale per 15 centimetri, nella velocità ammetto che ci ho capito poco. Lì è tutta questione di tattica e io devo imparare».
E’ il 2018, Gaia è una delle colonne portanti della Mtb azzurra nell’eliminatorNel 2018 è un riferimento dell’eliminator mondiale
Chi fa da sé…
E’ curioso che abbia vinto l’argento in una gara a squadre, perché per Gaia il ciclismo è uno sport fortemente individuale ed è probabilmente il principale ostacolo a un suo futuro su strada.
«Ha gareggiato fra le esordienti di 2° anno e le allieve 1° anno – racconta suo papà Fabio, che da piccola le ha fatto provare una marea di sport – ma la scintilla non è scattata. Le bici da strada le usa per allenarsi, sappiamo che fa attenzione, d’altronde il rischio è dietro l’angolo qualsiasi cosa si faccia».
Il papà aveva provato a coinvolgerla nella sua passione, la corsa a piedi.
«No, non fa per me – dice Gaia – mi annoiavo. Le gare su strada non mi piacciono, odiavo dover lavorare per le altre, costruire magari la volata per far vincere un’altra. Oppure cadere perché un’altra ciclista era caduta davanti a me nel gruppo. E poi faticavo troppo a mantenere un’andatura regolare. Nella Mtb è diverso, gareggi per te stessa, sei completamente responsabile del tuo risultato e si presta meglio alle mie caratteristiche».
Con la magia iridata conquistata nel 2019Iridata e radiosa nel 2019
Il ciclismo su strada è quindi messo da parte, almeno per ora. Parliamo di una ragazza che sta ancora affrontando il mondo del pedale volando sui propri sogni.
«Vorrei tanto arrivare a un livello tale da diventare professionista – dice – ossia fare della mia passione per la bici il mio lavoro. E poi è chiaro, ho il sogno che hanno tutti: andare ai Giochi Olimpici».
Mirko Celestino è il tecnico della nazionale di Mtb. Ma prima di ricoprire questo ruolo è stato lui stesso un biker e, prima ancora, un professionista su strada. Esperienza e passione proprio non mancano in questo vecchio mastino del pedale. Eh sì, mastino, perché la grinta che ci metteva, come lui stesso dice, era maggiore del suo motore.
Tra il 1996 e il 2007 Celestino ha vinto molte corse, alcune anche prestigiose: Hew Cyclassic Amburgo, Laigueglia, Giro dell’Emilia… e persino un monumento: il Lombardia (1999). Insomma, un corridore vero.
Il periodo a cavallo degli anni 2000 ha segnato il passaggio al ciclismo moderno. E infatti, come vedremo, la sua giornata tipo era molto più semplice rispetto a quella di un corridore attuale: dall’alimentazione agli allenamenti. E anche quando è passato alla Mtb le cose non sono cambiate troppo. Vediamo perciò la sua giornata da stradista e da biker.
Ciao cittì, partiamo dalla colazione. Come la facevi?
Mi alzavo senza sveglia, ma mai oltre le 8. Facevo un colazione esagerata. Una bella tazzona di latte con molti cereali. Non ne prendevo un tipo solo, mi piaceva variare. E poi fatte biscottate con marmellata o miele.
Celestino in versione cittì. Eccolo con la LechnerCelestino in versione cittì della Mtb
Niente salato?
No, non mi piaceva a casa. Quando ero alle gare invece, soprattutto se stavo bene e avevo la motivazione giusta, quel piatto di pasta olio e parmigiano lo desideravo proprio.
A che ora uscivi in allenamento? E come ti gestivi?
Verso le 9,30 mentre l’orario di rientro era molto variabile. Dovete sapere che io andavo molto a sensazione. Facevo un programma e puntualmente lo cambiavo. Se la testa mi appoggiava facevo anche molto di più, altrimenti dopo un’ora e mezza giravo la bici e tornavo a casa. Quindi ci sta che rientrassi alle 11 così come a pomeriggio inoltrato, per buona gioia di chi mi attendeva a casa, Antonio Bevilacqua prima e mia moglie dopo.
Quindi niente tabelle?
Avevo i programmi e magari intendevo anche rispettarli, ma poi facevo sempre di testa mia. Ho sempre dato grande importanza al divertimento, perché se c’è quello l’allenamento diventa redditizio e puoi fare grandi cose. Ed è quello che spesso dico ai miei ragazzi.
Uscivi con le tasche piene o preferivi la sosta al bar?
Fin quando ho avuto la testa del corridore partivo da casa con le tasche piene. Piene di robe sane: fette biscottate con miele, paninetti anche di prosciutto o formaggio se dovevo fare la distanza, spesso oltre i 200 chilometri. Quando invece le motivazioni sono iniziate a calare, mi portavo dietro i soldi e mi fermavo per caffè e brioche. In quel momento però non capivo che era per una questione di motivazioni. Oggi questa sosta è la normalità, ai miei tempi no. A me dava fastidio rallentare per mangiare o fermarmi per fare la pipì, figuriamoci!
A pranzo cosa mangiavi?
Dipendeva dalla fatica e dal lavoro fatto. Se avevo fatto molto, mangiavo parecchio altrimenti cercavo di essere più attento. Se invece avevo fatto uno dei miei giri lunghi e finivo a pomeriggio inoltrato, prima di rientrare mi fermavo dal gelataio e mangiavo anche mezzo chilo di gelato. A quel punto tiravo dritto fino a sera. Che gusti? Le creme! Io ne sono goloso tutt’ora. All’epoca soddisfacevo la mia voglia di zuccheri così. E poi quello era il mio premio per quanto fatto.
Il gelato, la passione (anche oggi) di MirkoIl gelato, la passione (anche oggi) di Mirko
Pomeriggio: gambe all’aria o piazza con gli amici?
Finché ho avuto la testa ero molto tranquillo. Scendevo in garage sistemavo la bici, la lavavo, oliavo la catena. Oppure mi mettevo a dormire sul divano. Dopodiché mi concentravo su me stesso: quindi stretching o massaggi. Quando invece avevo perso la motivazione uscivo molto di più. Poi ci sta che qualche volta, soprattutto a fine stagione, uscivo anche quando ero ancora determinato. Però le differenze tra fare e non fare certe cose le sentivo in corsa. Per andare forte dovevo mettere a posto tutti i tasselli.
E siamo arrivati alla cena…
Se a pranzo avevo mangiato più carboidrati perché magari ero rientrato prima e avevo fatto un pasto completo allora preferivo mangiare proteine. Altrimenti mi basavo sul lavoro del giorno dopo. Se dovevo fare molto puntavo sui carboidrati. Una cosa è certa, non ho mai fatto diete. Gli sfizi nei momenti giusti me li toglievo e per andare forte dovevo mangiare.
Parli spesso di chilometri: quanti ne facevi?
L’anno che ne ho fatti di più sono arrivato a 35.000. Spesso anche in allenamento superavo i 200.
Facevi anche il doppio allenamento?
Sì. Magari la mattina facevo il mio lavoro e nel pomeriggio con Bevilacqua o Stanga andavo al velodromo di Dalmine e facevo dietro motore: lavori di velocizzazione, volate, ritmo. Nonostante avessi corso in pista li facevo con la bici da strada per evitare rischi. Altrimenti anziché concentrarmi sul lavoro, finivo per pensare solo al non cadere.
Sei stato un grande anche in Mtb, in cosa differiva la tua vita da biker da quella di stradista?
In realtà differenze grandi non ce ne sono state. Almeno negli orari e nella gestione della vita. Semmai sono cambiati gli allenamenti e l’approccio alla vita del corridore.
Partiamo dagli allenamenti…
Le ore di lavoro sono state le stesse, più o meno. Io ho fatto spesso anche 7 ore di Mtb. Sono riuscito ad emergere in questa disciplina grazie all’esperienza su strada. Sono bastate le prime gare per capire che anche nell’offroad nessuno ti regalava nulla. Il problema maggiore era la discesa.
Mondiale Marathon a Montebelluna 2011, Celestino è terzoMondiale Marathon a Montebelluna 2011, Celestino è terzo
E come hai fatto per risolverlo?
Arrivavo in cima con i primi e in fondo avevo due minuti di ritardo, in certi punti scendevo a piedi. La guida su strada è opposta a quella della Mtb, sono ripartito da zero. Su strada devi essere pulito, evitare buche, avvallamenti… In Mtb devi cercare appoggi, tagliare, ti può servire un sasso… è una guida più sporca. Così mi sono messo sotto. Sono sempre stato un “cane solitario” però in Mtb ho capito che da solo non avrei migliorato, così iniziai ad andare con Oscar Lazzaroni e Marzio Deho. Per due anni non ho toccato la bici da strada, neanche per fare i lunghi. Montavo le gomme lisce e pedalavo su asfalto, dovevo trovare il feeling. Ho fatto gare di cross country pur non essendo la mia specialità, sono caduto, mi sono messo in gioco… ma alla fine sono diventato un buon discesista.
E l’altra differenza?
Quella è nell’approccio. Su strada c’era in ballo la mia vita, quello che volevo da bambino. Era un lavoro e avevo paura di smettere: bello ma anche stressante. In Mtb invece l’ho presa subito col piglio del divertimento, non dovevo per forza dimostrare qualcosa. Però questo approccio mi ha permesso di prendere le cose seriamente e di fare 7-8 anni ad alti livelli. E ho iniziato con la Mtb a 34 anni.
Che grinta…
Era la mia forza. Una volta chiesi a mio papà Giulio, che ha sempre vissuto strettamente con me la mia vita ciclistica, di portarmi ad un Xc a Lugagnano. Non era la mia specialità, però c’erano quei tratti tecnici che mi servivano per migliorare. “Anche se arrivo ultimo, vado”: mi dicevo. Volevo dimostrare a me stesso di riuscire a diventare un buon biker. Quel giorno pioveva. Era pieno di fango, i prati erano una saponetta. Parto, cado e mi taglio un ginocchio. Al pronto soccorso mi mettono dei punti. Mentre torniamo verso casa mio papà mi fa: ma chi telo fa fare? Quello che dovevi fare l’hai già fatto…
La passione signor Giulio. Come saprà, da lì il suo Mirko è salito due volte sul podio iridato (argento 2010 e bronzo 2011) nelle Marathon e nel 2011 ha vinto il campionato italiano.
E voi che dite, la vita old style di Celestino era giusta?
Si parla più spesso di stradisti che passano alla Mtb, più raramente avviene il contrario e con il cittì della nazionale di mountain bike, Mirko Celestino, ne abbiamo parlato cercando di capire che caratteristiche deve avere uno stradista aspirante biker.
Simone Avondetto, un possibile stradista per CelestinoSimone Avondetto, un possibile stradista per Celestino
L’austriaco della Bahrain-McLaren,Hermann Pernsteiner (nella foto di apertura) è uno di quei “casi salmone”, cioè che vanno controcorrente. Eh sì, perché un conto è chi da giovane ha fatto Mtb e poi è passato presto alla strada. E chi a “fine” carriera ha cambiato disciplina, passando dalla strada alla Mtb. Uno dei primi fu proprio Celestino, poi Simoni,Casagrande, Chiarini. Seguiti poi da alcuni pro’ francesi e spagnoli.
Stradisti si nasce…
«Oggi è tutto esasperato e tutto è portato al dettaglio – dice Celestino – e non è facile passare da una disciplina all’altra. E non bisogna neanche pensare a Van der Poel: lui è unico. Lo stradista che passa alla Mtb ha bisogno della tecnica. Il biker che passa alla strada ha bisogno dell’esperienza e del saper stare in gruppo.
«Ricordo Cadel Evans. Lui arrivò alla Saeco che aveva vinto le Coppe del mondo in Mtb ma era davvero “limitato” all’inizio. Non sapeva stare in gruppo: o era all’esterno perché aveva paura o in coda a 10 metri dall’ultimo perché non sapeva stare in gruppo. In discesa sopra i 60 all’ora s’irrigidiva. Poi però ci si è messo d’impegno e piano piano… guardate dov’è arrivato!». In quest’ultima frase c’è tutto il nocciolo del nostro articolo. Per questo i “salmoni” sono pochi.
La Mtb la puoi fare anche in un secondo momento, la strada no. L’andare su strada si acquisisce da bambini.
Mirko Celestino
Biker e strada moderna
«Penso che il biker, sia esso maratoneta o crosscountrista – riprende Celestino – si sposi bene con il ciclismo moderno. Una volta partivamo piano e la corsa vera c’era negli ultimi 60-70 chilometri. Adesso al chilometro zero è già bagarre. Se ai miei tempi partivi al via, veniva un capitano e ti tirava una borraccia in testa. Queste partenze sprint, così come i prologhi e le crono sono ideali per i biker, abituati a stare a tutta dal primo metro e a fare da soli. Per questo la tattica potrebbe essere un limite».
E che la tattica sia un limite, è vero. L’anno scorso proprio Pernsteiner fu scartato dal suo team per il Giro in quanto in una corsa chiuse sul compagno di squadra, Antonio Nibali. L’austriaco si è giustificato dicendo di non essere abituato a queste tattiche, ma ha dovuto aspettare un anno per disputare la corsa rosa.
Gaia Tormena, dagli ostacoli dell’Xce alla pistaGaia Tormena, dagli ostacoli dell’Xce alla pista
Tormena e Avondetto
«Se devo dire dei nomi di biker attuali che potrebbero passare su strada faccio fatica, ma non perché non li ritengo all’altezza, ma perché li vedo davvero come biker, nel fisico e nella mente.
«Mi viene in mente Gaia Tormena (ex iridata nell’Eliminator) e infatti l’ho messa in contatto con Dino Salvoldi. In lei ho visto subito la pista. Il suo modo di fare, la concentrazione, lo sguardo cattivo, l’esplosività. Una prova di Eliminator dura un minuto e mezzo e si può equiparare a certe specialità della pista. Dino mi ha detto che deve lavorare molto, ma che l’atleta c’è. E infatti è stata convocata per gli Europei U23 su pista.
«Tra i nostri ragazzi se dovessi giudicare il motore, i gemelli Braidot o i Kerschbaumer sarebbero all’altezza, ma come ripeto, faccio fatica a vederli stradisti nel complesso. Se proprio dovessi dare un nome allora direi Simone Avondetto, perché oltre ad avere un buon motore ha anche una grinta non comune. Cade e si rialza, è staccato, ma non molla mai è sempre con i denti di fuori e potrebbe adattarsi bene».