Celestino, due appunti sugli azzurri e due su Pidcock

27.08.2022
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Domani è un grande giorno per la mtb agonistica: a Les Gets, in Francia si assegnano infatti le maglie iridate della specialità principale, il cross country, quella olimpica. L’evento arriva un mesetto prima di quello su strada, che invece si disputerà a Wollongong, in Australia. Mirko Celestino, oggi commissario tecnico della nazionale mountain, ci introduce in questo viaggio iridato.

E il tecnico ligure lo fa con gli occhi e l’esperienza del grande ex di entrambe le specialità e non solo come cittì, appunto. Cosa potranno fare i nostri? E cosa Tom Pidcock, che abbiamo visto stravincere i recenti europei di Monaco?

Mirko, ecco i mondiali. Si sono già disputate alcune prove, su tutte il team relay: come ci arriviamo?

Direi bene. Sin qui abbiamo ottenuto buoni risultati in tutte le categorie in questa stagione. Tutti i ragazzi e tutte le ragazze sono motivate, a partire da Luca Braidot e Martina Berta, parlando degli elite. Ma anche i giovani sono belli carichi. Finalmente con loro stiamo lavorando bene. Marco Betteo e Valentina Corvi hanno dimostrato buone cose…

E infatti siamo partiti con un buon argento nella prova a squadre…

Sì, il team relay è una prova alla quale tengo particolarmente. E’ la prova di squadra per eccellenza. Avevamo una squadra forte e anche gli altri lo sapevano. Mi aspettavo prestazioni competitive.

All’Europeo di Monaco, dove si assegnava solo il titolo elite, hai portato un giovane come Jury Zanotti e non Luca Braidot, vincitore di due gare di Coppa e addirittura in lizza per la conquista della generale. Perché?

Vero, ho portato Zanotti che è un primo anno elite perché se lo meritava. E poi anche perché, visto il percorso non super tecnico, ho preferito far riposare Luca proprio in vista del mondiale.

Ecco Mirko, hai parlato di percorso poco tecnico, mentre a Les Gets le cose sono diverse…

Mah, alla fine i nostri si sono divertiti a Monaco e, tra virgolette, si è anche sottovalutato quel tracciato. I ragazzi mi hanno detto che era super impegnativo: non c’era un metro di recupero, mai un momento in cui poter tirare il fiato. Tante volte i percorsi facili diventano i più complicati da gestire. Certo, visto quanto siamo abituati ad affrontare in Coppa ci saremmo aspettati qualcosa di più, ma alla fine conta la location e quel che si ha disposizione. E sotto questo punto di vista devo dire che a Monaco si è corso in un parco stupendo e pieno di gente.

Dopo un inizio tranquillo, Pidcock si è sfogato. A Monaco ha sempre avuto la situazione sotto controllo
Dopo un inizio tranquillo, Pidcock si è sfogato. A Monaco ha sempre avuto la situazione sotto controllo
E un percorso così, dove c’era da spingere e con salite lunghe… ha avvantaggiato Pidcock?

Tom riesce a spingere rapporti lunghi e di certo con salite lunghe e regolari diventa perfetto per lui. Può mettere tutti in crisi, però abbiamo visto che riesce a farlo su tutti i terreni! Ha un cambio di marcia pazzesco…

Tu, più da ex di entrambe le discipline che da cittì, come lo hai visto?

Molto bene direi! Ho visto che in qualche modo riesce sempre ad accelerare. Quando è a tutta ho notato che ha ancora quella mezza cartuccia in più, come nei finali di salita o di gara. E questo credo sia demotivante per gli altri. Io ci sono passato e mi ricorda parecchio Paolo Bettini. Quando eri lì, lì per essere al gancio, lui si alzava sui pedali e ti faceva un gran male. E accusavi il colpo.

Aveva margine? 

Ho notato che in alcuni punti del percorso guardava il computerino. Oppure nei tornantini si voltava per controllare cosa succedesse sotto di lui. Aveva addosso quella consapevolezza come a dire: «Se vi avvicinate io ne ho ancora». Sembrava si stesse allenando.

E questo perché è un fenomeno lui o perché la strada gli dà tanto motore?

Sicuramente è la strada. Ha un altro colpo di pedale e ne è consapevole. Ne è consapevole sia da un punto di vista tecnico che di approccio. Quando è nella Mtb arriva in un mondo diverso e in qualche modo si sente superiore. La testa fa anche questo. Ricordiamoci i numeri che ha fatto anche lo scorso anno e non solo ai Giochi. Ad Albstadt, dove non aveva punti, è partito ultimo o quasi ed è arrivato quinto. Chi sa di Mtb sa che questo è un numero pazzesco. Un numero anche a livello mentale. E poi lavora bene. Io non riesco a capacitarmi tante volte. Come ho detto, ci sono passato ed è vero che ho fatto il cambio ad una certa età, ma a me per passare da una bici all’altra serviva sempre un bel po’ di tempo. Pidcock invece, ma anche Van Aert nel cross, riesce ad adattarsi subito. Per loro guidare questa o quella bici non fa differenza. Sono fenomeni.

Hai detto che la strada dà molto. E allora perché non far correre anche i nostri di più su strada?

L’idea della strada c’è e mi piacerebbe portarla avanti. Ma poi bisogna fare i conti con il calendario e trovare i momenti giusti. Non è semplice. E poi con che squadra? Non bastano 2-3 atleti per correre (ipotizzando di farlo con i rispettivi team, ndr). Certo, aiuterebbe soprattutto i più giovani a crescere.

Torniamo a Tom, ma stavolta dal punto di vista contrario: dal biker prestato alla strada. La sua discesa dal Galibier è stata memorabile. Si è notata una grande differenza di guida tra lui e gli altri. Quanto c’era del Pidcock biker nell’impresa dell’Alpe?

Tanto. Con le debite proporzioni mi sono rivisto io in discesa su strada. Quando stavo bene staccavo il cervello. Avevo determinazione, cattiveria, voglia vincere. Da fuori ti dicono: «Questo è pazzo. Ora si ammazza». Ma in quel momento tu non fai calcoli. Sei concentrato e determinato. Io feci così nel Giro di Lombardia che vinsi: rischiai tantissimo nella discesa dalla Val Taleggio e questo mi consentì di prendere il margine necessario.

E un campione così i nostri ragazzi lo temono ancora di più?

Non mi piace molto fare certi paragoni o alimentare altre tensioni, ma ai ragazzi dico sempre che anche quando si è super favoriti ci può essere la giornata storta. Che non bisogna mai partire battuti. Luca Braidot, per esempio, sta bene. Dopo le vittorie in Coppa ha preso consapevolezza dei suoi mezzi. Ha capito che anche lui è in grado di fare certe cose. E poi occhio a Martina Berta, sta crescendo bene. E’ migliorata molto. Ed è ancora giovane.

Rapporti liberi e crescita. Nella mtb si cerca l’agilità

24.07.2022
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Crescita, rapporti liberi o bloccati, sviluppo fisico: continuiamo ad indagare in questa sfera del settore giovanile del ciclismo. In Francia come abbiamo già scritto lo sblocco, nelle gare interne, è realtà già da un po’. Presto si allineeranno anche gli altri Paesi, tra cui il nostro. Ma in un certo senso già lo siamo, visto che alcune discipline come pista e mtb già prevedono l’utilizzo di rapporti liberi. E proprio con il cittì della nazionale di mountain bike, Mirko Celestino, cerchiamo di capire quanto influiscano sulla crescita dei piccoli biker (in apertura, foto Michele Mondini).

In questo weekend il circus della mtb italiana è in Val Casies (Bolzano) per i campionati nazionali. Il cittì ci dedica tempo fra una gara e l’altra, anche dei più giovani. E dall’ultimo degli allievi a Luca Braidot, fresco vincitore di due tappe di Coppa del mondo, la scala dei denti utilizzata è la stessa. Così come è lo stesso (quasi) per intero il circuito che affrontano.

Celestino con i giovani all’italiano di qualche anno fa (foto Alessandro Di Donato)
Celestino con i giovani all’italiano di qualche anno fa (foto Alessandro Di Donato)

Sviluppi metrici corti

«Il problema dei rapporti bloccati, ma direi in generale dei rapporti, in mtb non c’è – chiarisce subito Celestino – Il bloccaggio dei rapporti nelle categorie giovanili su strada infatti riguarda gli ingranaggi più lunghi, quelli che sviluppano più metri, ma in mountain bike certi sviluppi non si raggiungono.

«Non si raggiungono e non ce n’è neanche questa grande necessità, visto che la differenza si fa sulle pendenze estreme o al contrario in discesa. Semmai si va alla ricerca dell’agilità».

E questo aspetto è vero, tanto che negli ultimi anni si è cercato (riuscendoci) d’ingrandire moltissimo i pignoni posteriori. Si è arrivati anche ad un 52, con il 30-32 davanti. E la differenza fra un allievo e un elite, è solo nella scelta della corona anteriore. A parità di percorso un ragazzino userà un 30, per esempio, e un elite un 34. Ma è una scelta libera, non un’imposizione.

Una scelta doppiamente tecnica: sia per una questione di forza dell’atleta (che chiaramente è diversa), sia per una questione di ricerca dell’agilità che al tempo stesso è legata anche al superamento degli ostacoli. Avere sempre una certa cadenza infatti, aiuta a stare in equilibrio e a mantenere sempre quel tanto d’impulso che serve per avanzare.

Agilità docet

Celestino poi parla della sua esperienza e di quanto i rapporti lunghi della strada lo abbiano aiutato da una parte, ma di certo non  lo abbiano avvantaggiato dall’altra. Lo ricordiamo lui è stato un grande stradista, prima di passare alla “ruote grasse”.

«Quando sono passato alla mtb, per tre anni non ho toccato la bici da strada – dice Celestino – e questo perché mi serviva per la posizione e la guida. Quando prendevo la specialissima, infatti, e poi risalivo in mtb mi sembrava di fare dei passi indietro da un punto di vista tecnico. Era come se perdessi sensibilità, e mi ritrovavo al punto di partenza. E dopo tanti anni con i rapportoni della strada spesso mi ritrovavo ad andare duro. 

«Ma per tornare al nostro discorso, in quei tre anni, nonostante la lontananza dalla bici da strada, il rapporto mi era “rimasto addosso”. Lo spingevo bene. Di certo quello e la distanza non erano i miei problemi. E poi va detto che io correvo nelle marathon dove i percorsi sono più “lineari” e meno tecnici rispetto ad un cross country».

L’esperienza di Celestino è indicativa è vero, si riferisce però ad un atleta adulto. Tuttavia è anche vero che il rapporto ti forma. E proprio per questo, se è vero che si va alla ricerca dell’agilità, il discorso che vuole i ragazzini della doppia attività più forti perché in mtb possono utilizzare rapporti liberi “tende a cadere”.

Il fattore che eventualmente sviluppa la forza è la pendenza estrema. Ma poi subentra il discorso della durata di questa pendenza che solitamente è ben inferiore ai 2′ consecutivi nella mtb.

Ancora Braidot. Da giovane il suo coach Cucinotta doveva incalzarlo per far sì che su strada andasse agile (foto M. Mondini)
Ancora Braidot. Da giovane il coach Cucinotta doveva incalzarlo perché su strada andasse agile (foto M. Mondini)

Più guida che forza

Il rapporto ti forma okay, però tornando ai nostri tempi, se Lenny Martinez in salita riesce a spingere uno o due denti in meno dei suoi avversari, questo certo non dipende dalla sua attività in mtb. Semmai dagli allenamenti che ha fatto (e fa) su strada. Ma anche in questo caso Celestino pone dubbi più che legittimi.

«Oggi – continua il cittì – soprattutto i ragazzini, tendono ad allenarsi quasi sempre con la mtb. La bici da strada la usano davvero poco e quando la prendono è per fare scarico, per fare un po’ di agilità in scioltezza su percorsi più lineari che la mtb non consentirebbe di fare. Qualcuno un po’ più “grandicello” la usa per farci una distanza, ma non i lavori di forza. L’approccio è totalmente diverso. Non c’è l’esigenza di ritrovarsi il rapportone. Anzi…».

«Viste le pendenze, una cadenza bassa in mtb si nota ancora di più e noi diciamo sempre di andare più agili, di cercare di spingere subito un rapporto più corto. Quando il muscolo si stanca infatti va alla ricerca del rapporto più “comodo” (che è quello lungo), ma se questo non va bene su strada, in mtb è ancora peggio.

«Un Lenny Martinez spinge di più perché probabilmente ha una sua predisposizione sia fisica che nell’adattarsi al cambio repentino della bici».

Celestino, Pontoni e una strana (ma bella) collaborazione

13.10.2021
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«Pronto Mirko? Sono Daniele mi farebbe piacere collaborare con te e vedere come lavori». Una telefonata nel bel mezzo dell’estate: Daniele Pontoni chiama Mirko Celestino ed ecco che nasce un bel progetto, che è già una bella storia. Un tecnico, anzi un cittì che aiuta l’altro. Finora si era visto poco, almeno in certe misure. Quasi solo con Villa e Cassani, quindi strada e pista, ma qualcosa sta cambiando. Vuoi per le direttive della Fci, vuoi per il buonsenso dei tecnici stessi, ma Celestino e Pontoni una mano se la sono data e se la daranno.

Pontoni Colledani
Pontoni è cittì del cross da questa estate. Per il friulano un grande passato anche nella Mtb
Pontoni Colledani
Pontoni è cittì del cross da questa estate. Per il friulano un grande passato anche nella Mtb

Il lavoro del cittì

Davvero è così? E perché? Vogliamo sapere come è andata e lo chiediamo proprio a Celestino.

«E’ vero – ammette Celestino – c’è una collaborazione come non c’era mai stata prima. Io sui campi del cross e Pontoni su quelli della mountain bike. E’ la nuova direzione…

«”Ponto” ha una fortuna che io non ho avuto e cioè qualcuno che possa stargli vicino nei suoi inizi da commissario tecnico. Non si tratta infatti di fare “solo” il direttore sportivo, vale e a dire fare le convocazioni e dare le direttive per la gara. No, un cittì deve gestire il budget, organizzare la trasferta, gestire il magazzino… Io ormai sono cinque anni che ricopro questo ruolo e mi sono fatto le ossa. Ma all’inizio è stata dura. Quando ci siamo sentiti Daniele mi ha detto: aiutami su queste cose perché sono inesperto. Lui ha sempre avuto il suo club, ma la nazionale è tutt’altra cosa».

Celestino in Francia? E Pontoni (a destra) fa le veci del cittì alla Mythos Primiero di Massimo Panighel (al suo fianco)
Celstino in Francia e Ponti fa il “cittì della mtb” alla Mythos. Eccolo con Panighel e Simoni

Primo passo in Serbia

E così succede che i due tecnici questa estate si ritrovino a braccetto in Serbia, in occasione del campionato europeo marathon (foto in apertura). Le sensazioni sono subito positive da entrambi le parti. Tanto che qualche settimana dopo in occasione delle premondiali indicate da Celestino stesso c’è una concomitanza tra due marathon. E così Mirko va in Francia alla Forestiere e Daniele a Fiera di Primiero, per la Mythos.

«La verità – continua Celestino – è che alla fine serve gente che sta sul campo, gente che ti aiuta e che contribuisce a limare lo stress di una trasferta, che faccia anche il lavoro sporco e si rimbocchi le maniche. Venendo in Serbia, Ponto ha potuto vedere come andavano gestite alcune cose. Doveva venire anche al mondiale di Capoliveri, ma poi era troppo imminente la sua partenza per la Coppa del mondo di ciclocross in America. No, no… devo dire che siamo già amici e che questa collaborazione farà bene ad entrambi».

E sì, perché anche Celestino ha teso la mano. Mirko si è detto disponibile ad andare sui campi del ciclocross. senza contare che possono dare uno sguardo dal vivo anche agli atleti. Pensiamo solo ai biker che d’inverno fanno ciclocross.

«Esatto: andrò ad aiutarlo nel ciclocross. Anche se non è il mio mondo, lo ammetto. Gli ho detto: tu mi dici cosa devo fare e io lo faccio». A prescindere dalla battuta, che ricorda quella del comico di Zelig, emerge lo spirito di collaborazione anche da parte di Celestino.

Celestino è tecnico della nazionale Mtb da cinque anni. Segue tre specialità (uomini e donne): cross country, marathon ed eliminator
Celestino è tecnico della nazionale Mtb da 5 anni. Segue tre specialità (uomini e donne): cross country, marathon ed eliminator

Due ragazzi umili

Stima e fiducia reciproca per due caratteri e due storie che tutto sommato si somigliano: vocazione verso il lavoro, una lunga e prosperosa carriera da atleti e una buona dose di umiltà.

«Pontoni non lo conoscevo – conclude Celestino – Sapevo chi fosse, qualche parola di circostanza ma nulla più. Ma è bastato poco per capirci. E’ una di quelle persone che basta che ci stai quattro ore e sembra che lo conosci da una vita. E la cosa bella è che ho notato che questa sintonia si è creata anche con il mio staff. Lui mi ha detto: che bel gruppo che hai intorno a te, Mirko. C’è gente che dà l’anima. Si vede che lavorano non solo perché possano dire “sono stato in nazionale”, ma proprio perché ci credono.

«Pensate che anche i miei collaboratori hanno detto che in caso di chiamata sono pronti ad aiutare Pontoni. Quella telefonata l’avrei dovuta fare io!». 

Celestino: «Noi? Niente scuse». E sulla passerella di VdP…

27.07.2021
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La Mtb saluta le Olimpiadi, dopo la fresca tripletta svizzera fra le donne (Neff, Frei, Indergand. Lechner 25ª). Ma a tenere banco è stata soprattutto la prova maschile. Più che altro perché avevamo in gara tre azzurri e tutti attendevano il duello fra Pidcock e Van der Poel, magari con lo zampino di Nino Schurter. Invece ieri è successo di tutto. Un favorito vince, uno si ritira a causa dell’ormai famosa passerella, e la consueta sorpresa a cinque cerchi butta giù dal podio il re, cioè Schurter.

Celestino fra i suoi ragazzi: Lechner e Colledani a sinistra, Braidot e Kerschbaumer a destra (foto Federciclismo)
Celestino fra i suoi ragazzi: Colledani (a sinistra), poi Braidot e Kerschbaumer (foto Federciclismo)

Delusione importante

Era sera tardi quando siamo riusciti a parlare con Mirko Celestino, cittì degli azzurri. Lui e i suoi ragazzi erano a cena e il tono non era certo dei migliori.

«Che dire? Non siamo riusciti a tirare fuori il ragno dal buco. C’è delusione. Gery (Kerschbaumer, ndr) è partito bene e tra me e me dicevo: meno male, la fase più delicata è andata. Adesso sono più tranquillo. Non faccio in tempo a finire questo pensiero che inizia a perdere posizioni. Da lì in poi ha preso grandi schiaffi. Nadir Colledani addirittura è stato fermato perché uscito dall’80% . Mi diceva di aver avuto brividi di freddo, una cosa mai provata prima. Ha “litigato” con la bici fino allo stop. E poi Luca Braidot: non riusciva ad andare avanti. Lui è stata la notizia più negativa perché era colui che stava meglio. Ma serve anche questo. Bisogna capire che se non lotti con il coltello fra i denti non basta. Non basta fare tutto bene. Non ho visto i tempi sul giro ma non sono mai stati in gara».

Per Kerschbaumer una discreta partenza, poi un calando continuo
Per Kerschbaumer una discreta partenza, poi un calando continuo

Nessuna scusa

Celestino è davvero dispiaciuto. Aveva lavorato bene. Si è era reso protagonista di un buon avvicinamento con i ritiri e le gare. E allora ci si chiede: è anche una questione mentale?

«Non abbiamo scuse: non abbiamo avuto problemi tecnici o altro. Ci siamo acclimatati bene, abbiamo provato il percorso, abbiamo il nostro cuoco, il massaggiatore, non faceva neanche così caldo… tutto perfetto. Ipotizzavo di metterne almeno uno nei dieci e tutti e tre nei 15. Invece non ne abbiamo messo neanche uno nei primi 19.

«Dite questione mentale: ma cavolo, tre su tre? Troppa tensione? Eppure non sembravano così tesi. Ho cercato di farli stare tranquilli, che era una gara come le altre. Che non dovevano farsi ingannare dall’enorme posta in palio. Quella ti fa sembrare tutto diverso, hai una percezione distorta delle difficoltà e delle emozioni. Spiace, perché i miei ragazzi sono più forti di alcuni che gli sono arrivati davanti».

La foto che ha fatto il giro del mondo postata da Van der Poel
La foto che ha fatto il giro del mondo postata da Van der Poel

Passerella galeotta

Con il cittì si passa poi a parlare della famosa passerella di Van der Poel.

«Eh – sospira Celestino – ho vissuto in prima persona questa storia, perché questa passerella sin dal test event era stata messa vicino a questo salto, che era un bel salto. La mettevano e la toglievano a seconda dei passaggi. La lasciavano soprattutto per le donne. Però poi durante i giorni precedenti era sempre montata. Era lì che con i ragazzi e con Eva Lechner facevo i video e le foto per studiare le traiettorie. E ogni volta Vdp passava sulla passerella. Un giorno che abbiamo provato ho fatto il giro a ruota di Eva. Arrivati in quel punto lei ha fatto il salto, io ho preso la passerella e avrò perso un secondo, forse. Al che mi sono detto: guarda che accortezza Van der Poel, non lascia nulla al caso. Fa la passerella per non rischiare nulla: né cadute, né guai (inoltre aveva scelto di non usare il reggisella telescopico, ndr). Van der Poel ha provato un solo giorno pieno».

Forse l’appuntamento olimpico meritava una concentrazione maggiore. Bisognava stare “più sul pezzo” a 360 gradi.

La slide mostrata durante la riunione tecnica alla vigilia della gara (foto Celestino)
La slide mostrata durante la riunione tecnica alla vigilia della gara (foto Celestino)

Errore madornale

Ma quindi questa passerella è stata tolta la mattina prima del via? Come è andata?

«Sì è stata tolta la mattina prima del via. Si poteva girare per provare. Avevano un’ora gli uomini e un’ora le donne. Eva, che ha provato, mi ha subito detto: hanno tolto la rampa. Mathieu non ha provato, ma come lui anche altri. Anche gli azzurri. Noi eravamo a posto e non avevamo esigenza di girare, meglio risparmiare energie.

«Ma sapevamo che la rampa non ci sarebbe stata. Lo avevano detto la sera prima nella riunione tecnica. Un errore grosso suo e del suo staff. Ma era stato chiaramente detto che l’avrebbero tolta. Io poi ho visto la scena dal video perché in quel momento ero nella parte opposta del percorso e ho pensato proprio: vuoi vedere che Vdp si è dimenticato della passerella? E così è stato visto che lui stesso lo ha poi ammesso».

Celestino e i nuovi equilibri dell’eterna sfida tra Vdp e Pidcock

11.06.2021
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L’incidente di Tom Pidcock mescola le carte in vista dei Giochi di Tokyo. Lui e Van der Poel hanno puntato la medaglia d’oro nella Mtb e i riflettori sono ormai sparati a mille su questo evento, su questa sfida. Nell’ultimo mese le situazioni si sono capovolte e nel mezzo sono cambiate ancora.

Con Mirko Celestino, tecnico della nazionale di Mtb, facciamo il punto sullo stato attuale di questi due fenomeni.

Mirko Celestino, tecnico della nazionale di Mtb dal 2017
Mirko Celestino, tecnico della nazionale di Mtb dal 2017

Nuovi equilibri

Van der Poel vince in Svizzera e Pidcock è a casa a leccarsi le ferite. Solo qualche settimana fa la “frittata” era al contrario. L’inglese volava nelle gare di Coppa e l’olandese pagava dazio.

«Adesso invece le cose cambiano – dice Celestino – E spero che cambino in meglio soprattutto per noi! Scherzi a parte, questo incidente non ci voleva per Pidcock, sia perché influirà comunque sulla sua preparazione sia perché un po’ di paura te la porti dentro poi. Era in un ottimo stato di forma. Tom fa un piccolo salto indietro, mentre l’altro, rifinendo la preparazione al Giro di Svizzera, ne fa uno avanti».

«Sinceramente non mi aspettavo un Pidcock così superiore in Coppa del mondo. Mi ha colpito soprattutto ad Albstadt. Quel percorso è molto stretto: partire centesimo e arrivare quinto è un “numerone” pazzesco. A quel punto me lo aspettavo forte anche a Nove Mesto e infatti ha vinto. Che dire, Tom e Mathieu sono abituati a vivere le grandi pressioni, a stare sotto i grandi riflettori a far convivere la preparazione con quello che si aspetta la gente, gli sponsor e tutto il resto… Nella Mtb questo riguarda soprattuto Nino Schurter e posso dirvi, anche per esperienza diretta, che non è facile. A me piaceva certa pressione e rendevo anche di più, ma non per tutti è così. Guardiamo Gerhard Kerschbaumer per esempio: come gli metti “due paletti” inizia a vacillare, se invece lo lasci tranquillo va fortissimo».

Tom Pidcock è tornato in sella su strada pochissimi giorni fa (da Instagram)
Tom Pidcock è tornato in sella su strada pochissimi giorni fa (da Instagram)

Borsa valori in movimento

Quindi Pidcock in calo e Van der Poel in crescita. Anche Celestino condivide l’idea che nei primi appuntamenti di Coppa l’olandese sia arrivato un po’ “ingolfato” o comunque con altri stimoli e magari con molto lavoro nelle gambe.

«Pidcock – riprende il cittì – era più brillante perché doveva guadagnarsi l’ufficialità del posto olimpico e doveva fare punti per non partire troppo indietro. Mentre l’altro aveva meno stress addosso. Van der Poel li sta preparando molto bene questi Giochi, ha un suo percorso. In certi momenti sembrava che lui, ma anche Tom, giocassero. Di contro, dico che Mathieu un po’ questa presenza così forte di Pidcock la accusa. Forse neanche lui se lo aspettava così competitivo e così vincente».

E questa visione può avere un doppio risvolto: far lavorare ancora di più Mathieu o magari indurlo in qualche errore durante la gara per cercare di seguirlo o staccarlo. 

Per Van der Poel la rifinitura per Tokyo passa anche dalle vittorie al Giro di Svizzera
Per Van der Poel la rifinitura per Tokyo passa anche dalle vittorie al Giro di Svizzera

E i nostri?

In tutto ciò un breve sguardo va dato anche in casa azzurri e le news non sono super confortanti.

«Domenica – conclude Celestino – ci sarà la Coppa a Leogang, in Austria, e lì deciderò la mia rosa finale, che poi sostanzialmente è il terzo uomo (Kerschbaumer e Luca Braidot sono praticamente certi di andare a Tokyo, ndr). Ci sono Nadir Colledani, Daniele Braidot che però ha avuto seri problemi alla schiena, e c’è questo giovane, Simone Avondetto che ha mostrato belle cose.

«Kersch si è fatto vedere finalmente la scorsa domenica vincendo gli Internazionali d’Italia in Val Casies. Ha detto di essere un po’ troppo magro e di aver perso un po’ di forza. Io gli ho risposto che a Tokyo manca un mese e mezzo e che ha tutto il tempo per riordinare le cose. E poi quei due là (Van der Poel e Pidcock) vanno forte già da due mesi e sarà dura anche per loro tenere questa condizione per un altro mese e mezzo, o no? Io sono fiducioso!».

VdP in Mtb a Tokyo. Quattro chiacchiere con Celestino

22.03.2021
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Van der Poel ha detto che non parteciperà alle Olimpiadi su strada per puntare tutto su quelle in Mtb. La sua scelta è ormai definita da un po’, ma cosa lascia l’olandese? E come dovrà avvicinarsi a questo evento? In fin dei conti non lo vediamo in azione sulla ruote grasse dalla gara di Coppa del mondo della scorsa estate. Ne abbiamo parlato con Mirko Celestino. Il tecnico della nazionale ci ha accolto nel suo negozio ad Andora. Lui meglio di altri può capire le sensazioni e alcuni comportamenti di Mathieu, visto che ha corso parecchi anni su strada, prima di passare alla Mtb.

Mirko, Van der Poel ha detto che non farà le Olimpiadi su strada, cosa ne pensi?

E’ una scelta molto importante. Probabilmente ai livelli a cui è arrivato sa bene cosa c’è in palio e che deve sacrificare qualcosa. Ha scelto di sacrificare la strada e da parte mia non posso che essere onorato perché dà importanza al mondo della Mtb, pur essendo molto pericoloso per i nostri. La sua presenza dà forza al movimento.

Mirko Celestino è il tecnico della nazionale di Mtb, sia cross country che marathon
Mirko Celestino è il tecnico della nazionale di Mtb, sia cross country che marathon
Secondo te ha scelto la Mtb perché ha più sicurezza di vittoria?

Secondo me sì, poi il percorso si adatta bene alle sue caratteristiche. Non so se lo abbia visto, perché nel test event dell’anno scorso non c’era. So che a maggio si potrà tornare a provarlo e magari ci andrà. Noi azzurri non andiamo: siamo già stati là, gli atleti sono nel pieno della stagione, c’è la Coppa del mondo, la trasferta è lunga e con molto fuso orario…

Van der Poel ha corso poco o niente in Mtb nell’ultimo anno però…

Qualcosa deve fare, infatti. Rispetto ai primi anni dal punto di vista tecnico ha avuto un miglioramento molto importante. All’inizio lo vedevi che sul tecnico era un po’ impacciato, che era meno fluido… Adesso invece ha la totale padronanza del mezzo anche in quelle situazioni.

In effetti è vero. Assistemmo dal vivo al duello con sua maestà Nino Schurter in Val di Sole. Mise lo svizzero sotto torchio in salita e lo bastonò in discesa…

Esatto, poi sapete una cosa: quando sei sereno e tranquillo fai tutto con più armonia e spensieratezza. Anche io ci sono passato da atleta. Se le cose non vanno non riesci a guidare bene. Certo, avrà tanta pressione addosso, ma vedo che la tiene bene.

Mathieu Van der Poel, Wout Van Aert, Fiandre 2020
Van der Poel ha vinto il Fiandre 2020: l’olandese gestisce bene la pressione
Mathieu Van der Poel, Wout Van Aert, Fiandre 2020
Van der Poel ha vinto il Fiandre 2020: l’olandese gestisce bene la pressione
Quale può essere un suo punto debole?

Ho notato che su strada non si sa alimentare bene – dice Celestino quasi sottovoce – Io ne ho prese a manciate di crisi di fame e so riconoscere certi campanelli d’allarme. In Mtb e nel ciclocross non ha di questi problemi, le gare durano un’ora e mezza al massimo. Mi ricordo al mondiale di due anni fa quando iniziò a voltarsi verso la ruota posteriore per verificare che i pattini non toccassero sulla ruota. Mi sono detto: vedrai che questo va in crisi di fame. E infatti poco dopo si è staccato. E la stessa cosa è successa sui muri alla Tirreno l’altro giorno. Addirittura lì ha mangiato una barretta quando mancavano pochissimi chilometri alla fine. In quel caso meglio un gel.

E un suo punto di forza?

La testa – dice secco Celestino – Mathieu è talmente convinto del suo potenziale che può fare tutto. Ha sotto controllo il percorso, la tecnica, il dislivello… sa che può dare delle “aperte” e che può ammazzare i suoi avversari con quelle sgasate.

Che avvicinamento dovrebbe fare per te? Si dice che non faccia il Tour de France (la corsa francese termina il 18 luglio e la gara olimpica di Mtb c’è il 26)…

Il Tour: fossi in lui ne farei solo una parte. Se ripenso alla mia carriera, quando dovevo puntare a gare di un giorno mi è stata data la possibilità di fare spezzoni di Giro o di Vuelta, secondo me va bene. 

Però okay che Vdp è forte, ma qualcosa davvero dovrà pur fare se vuole l’oro di Tokyo. Nino Schurter è sempre un “Dio”, il connazionale Forster cresce e il francese Sarrou è iridato in carica…

Senza dubbio qualcosa dovrà fare. Ne vedo pochi che non hanno paura di Van der Poel. Partono quasi tutti con la mentalità di correre per la seconda posizione. A me quelli forti gasavano, ma sembra non sia più così dai commenti che sento e da quel che vedo quando siamo alle corse. 

Mathieu in teoria non è messo benissimo nel ranking e quindi non dovrebbe partire molto avanti.

L’Uci dopo lo stop del covid l’anno scorso ha bloccato i punteggi e dato un’ultima possibilità con le prime due gare di Coppa del mondo di quest’anno, Albstadt e Nove Mesto, entrambe a maggio. Immagino che Van der Poel ci sarà. Anche perché se poi questo arriva senza correre da un anno, parte dietro e vince… qui è meglio che chiudiamo baracca e burattini! Ci saranno altre prove di Coppa a giugno, ma non assegneranno punteggi.

Schurter davanti e Van der Poel dietro, il duello che ha infiammato le ultime stagioni in Mtb
Schurter e Van der Poel: il duello che ha infiammato le ultime stagioni in Mtb
Sembra che a giugno, Van der Poel vada in ritiro a Livigno…

Anche noi ci andiamo con la nazionale.

A proposito, i nostri biker come stanno?

Kerschbaumer è cambiato parecchio. L’essere passato alla Specialized lo ha rivoluzionato. E’ diventato anche social! E’ andato in ritiro in Sud Africa e l’ho visto molto meno sofferente nelle prime gare d’inizio stagione. E’ più tranquillo e il fatto di avere più chilometri nelle gambe magari gli eviterà i suoi classici alti e bassi. E poi anche Luca Braidot ha un’ottima condizione. Conto molto anche su di lui.

Torniamo a Van der Poel, okay che la doppietta olimpica strada e Mtb è pressoché impossibile visto che tra le due prove ci sono appena 48 ore di differenza (prima la strada poi la Mtb), ma secondo te lui ci ha pensato?

Beh, è l’unico che su carta ha questa possibilità. Magari dentro di sé un pensierino ce lo ha fatto. Ne sono quasi certo…

Gaia Tormena, Sara Fiorin, Valentina Basilico, Europei pista U23 Fiorenzuola d'Arda 2020, Velocità olimpica

Tormena, dalla Mtb alla pista: come ha fatto?

18.12.2020
7 min
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Il raduno delle ragazze della pista a Montichiari è appena finito, per Gaia Tormena ora ci sono ore di macchina con la mamma Laura alla guida. Dovrebbe essere stanca, invece la sua voce al telefono è sempre squillante e trasmette entusiasmo.

«Sembra così – ride – ma in pista ci si stanca molto, quando l’ho affrontata per la prima volta non mi aspettavo proprio… Tenere la scia è faticosissimo, alla fine ero stravolta e le compagne fresche come rose».

Gaia Tormena 2020
Foto a casa sua in Val d’Aosta, Gaia frequenta il Liceo Linguistico e ha 18 anni
Gaia Tormena 2020
Gaia ha 18 anni e frequenta il Liceo Linguistico

Imbattibile? Quasi…

Gaia Tormena è l’esempio lampante di come la bici dovrebbe essere intesa, ma per capirlo bisogna spiegare chi è. Stiamo parlando di una ragazza valdostana che ha da poco compiuto 18 anni, ma che ha già un palmares eccezionale. Un titolo mondiale (2019), due europei e due Coppe del mondo (2019 e 2020), tre italiani (2016-17-18), ma non su pista, bensì nella Mtb, specialità eliminator. Una gara tutta di potenza e agilità, della durata di 90 secondi al massimo. Si fanno le qualificazioni a tempo e da lì si sviluppa il tabellone con sfide a 4 sino alla finale.

Gaia è stata quasi imbattibile fin da subito e il quasi è venuto quest’anno, quando l’azzurra è stata battuta ai mondiali dalla francese Isaure Medde solo per un fotofinish millimetrico.

Il salto del coniglio

Va bene, ma che cosa c’entra con la pista? Il fatto è che Gaia ama la bici a prescindere, ha praticato tutte le discipline e può passare indifferentemente da una parte all’altra senza contraccolpi. Esattamente come avviene per i grandi del ciclismo contemporaneo, da Van der Poel a Van Aert. Una caratteristica che è emersa fin da piccola.

«Ho imparato a pedalare insieme a camminare – dice – le rotelle le ho tenute pochissimo e a 5 anni già dicevo che volevo entrare in qualche squadra con altri bambini. I miei genitori ci hanno provato, ma ero troppo piccola. Ho iniziato seriamente a 12 anni alla Cicli Lucchini, facendo le prime gare nella Mtb e su strada, ma non è che la bici prima l’avevo messa da parte, anzi. Appena tornavo da scuola, la prendevo, andavo dietro casa e iniziavo a giocare. Saltare, pedalare, superavo ostacoli che mi inventavo io e altri che mi costruivo con l’aiuto di mia madre. Facevo sgommate, slalom fra gli alberi. Insomma, ero un piccolo cavallo pazzo. Ho imparato un sacco di evoluzioni, tanto che i miei compagni mi chiedevano di insegnargli come fare. Un giorno mi sono inventata un trick, una sorta di alley-hop al contrario e mia madre ha chiesto su Facebook se quel movimento aveva già un nome. L’abbiamo chiamato “salto del coniglio”».

Gaia Tormena 2014
Funambola sin da bambina, ha sviluppato equilibrio e colpo d’occhio
Gaia Tormena 2014
Colpo d’occhio sviluppato giocando…

Colpa di Celestino

La valdostana è forse il primo esempio italiano di quell’evoluzione naturale della passione per la bici, che nasce dalla più tenera età e che poi potrà avere mille sviluppi. Quello stesso principio di multidisciplinarietà sul quale Cassani batte da tempo. Ma c’è anche qualcos’altro e a spiegarlo è il Cittì della nazionale di Mtb ed ex pro’ su strada, Mirko Celestino che la conosce bene.

«Lei è brava a giocare con la bici – dice – e questo concetto è la base sulla quale costruire un corridore. Con quei giochi Gaia ha incamerato una straordinaria capacità di guida, riesce a venire fuori da qualsiasi situazione ed emerge nelle discipline veloci dove basta un errore per compromettere tutto. Con il suo fisico alto e statuario e le sue doti di potenza e agilità, ho pensato subito che la pista potesse essere ideale per lei. Per questo ho chiamato il responsabile Dino Salvoldi consigliandogli di visionarla».

«Avevo provato la pista da ragazzina – è di nuovo Gaia a parlare – grazie al mio comitato regionale e mi era piaciuta, poi non c’era stata occasione per continuare perché il velodromo più vicino era a Torino, troppo distante. Mi avevano contattato l’inverno scorso per parlarmi di un’eventuale partecipazione agli europei di categoria, poi è sopravvenuto il lockdown e non credevo se ne sarebbe fatto più nulla. Invece quest’estate mi sono ritrovata coinvolta in una bellissima avventura (nella foto di apertura è con Valentina Basilico e Sandra Fiorin, ndr). Io agli europei non avevo mai gareggiato su pista… Ho fatto la velocità a squadre e abbiamo vinto l’argento, nel keirin ho mancato la finale per 15 centimetri, nella velocità ammetto che ci ho capito poco. Lì è tutta questione di tattica e io devo imparare».

Gaia Tormena 2018
E’ il 2018, Gaia è una delle colonne portanti della Mtb azzurra nell’eliminator
Gaia Tormena 2018
Nel 2018 è un riferimento dell’eliminator mondiale

Chi fa da sé…

E’ curioso che abbia vinto l’argento in una gara a squadre, perché per Gaia il ciclismo è uno sport fortemente individuale ed è probabilmente il principale ostacolo a un suo futuro su strada.

«Ha gareggiato fra le esordienti di 2° anno e le allieve 1° anno – racconta suo papà Fabio, che da piccola le ha fatto provare una marea di sport – ma la scintilla non è scattata. Le bici da strada le usa per allenarsi, sappiamo che fa attenzione, d’altronde il rischio è dietro l’angolo qualsiasi cosa si faccia».

Il papà aveva provato a coinvolgerla nella sua passione, la corsa a piedi.

«No, non fa per me – dice Gaia – mi annoiavo. Le gare su strada non mi piacciono, odiavo dover lavorare per le altre, costruire magari la volata per far vincere un’altra. Oppure cadere perché un’altra ciclista era caduta davanti a me nel gruppo. E poi faticavo troppo a mantenere un’andatura regolare. Nella Mtb è diverso, gareggi per te stessa, sei completamente responsabile del tuo risultato e si presta meglio alle mie caratteristiche».

Gaia Tormena 2019
Con la magia iridata conquistata nel 2019
Gaia Tormena 2019
Iridata e radiosa nel 2019

Il ciclismo su strada è quindi messo da parte, almeno per ora. Parliamo di una ragazza che sta ancora affrontando il mondo del pedale volando sui propri sogni.

«Vorrei tanto arrivare a un livello tale da diventare professionista – dice – ossia fare della mia passione per la bici il mio lavoro. E poi è chiaro, ho il sogno che hanno tutti: andare ai Giochi Olimpici».

Non importa in sella a quale bici…

Mirko Celestino

Latte e cereali. Com’era più semplice, vero Celestino?

24.11.2020
6 min
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Mirko Celestino è il tecnico della nazionale di Mtb. Ma prima di ricoprire questo ruolo è stato lui stesso un biker e, prima ancora, un professionista su strada. Esperienza e passione proprio non mancano in questo vecchio mastino del pedale. Eh sì, mastino, perché la grinta che ci metteva, come lui stesso dice, era maggiore del suo motore.

Tra il 1996 e il 2007 Celestino ha vinto molte corse, alcune anche prestigiose: Hew Cyclassic Amburgo, Laigueglia, Giro dell’Emilia… e persino un monumento: il Lombardia (1999). Insomma, un corridore vero.

Il periodo a cavallo degli anni 2000 ha segnato il passaggio al ciclismo moderno. E infatti, come vedremo, la sua giornata tipo era molto più semplice rispetto a quella di un corridore attuale: dall’alimentazione agli allenamenti. E anche quando è passato alla Mtb le cose non sono cambiate troppo. Vediamo perciò la sua giornata da stradista e da biker.

Ciao cittì, partiamo dalla colazione. Come la facevi?

Mi alzavo senza sveglia, ma mai oltre le 8. Facevo un colazione esagerata. Una bella tazzona di latte con molti cereali. Non ne prendevo un tipo solo, mi piaceva variare. E poi fatte biscottate con marmellata o miele.

Mirko Celestino
Celestino in versione cittì. Eccolo con la Lechner
Mirko Celestino
Celestino in versione cittì della Mtb
Niente salato?

No, non mi piaceva a casa. Quando ero alle gare invece, soprattutto se stavo bene e avevo la motivazione giusta, quel piatto di pasta olio e parmigiano lo desideravo proprio.

A che ora uscivi in allenamento? E come ti gestivi?

Verso le 9,30 mentre l’orario di rientro era molto variabile. Dovete sapere che io andavo molto a sensazione. Facevo un programma e puntualmente lo cambiavo. Se la testa mi appoggiava facevo anche molto di più, altrimenti dopo un’ora e mezza giravo la bici e tornavo a casa. Quindi ci sta che rientrassi alle 11 così come a pomeriggio inoltrato, per buona gioia di chi mi attendeva a casa, Antonio Bevilacqua prima e mia moglie dopo.

Quindi niente tabelle?

Avevo i programmi e magari intendevo anche rispettarli, ma poi facevo sempre di testa mia. Ho sempre dato grande importanza al divertimento, perché se c’è quello l’allenamento diventa redditizio e puoi fare grandi cose. Ed è quello che spesso dico ai miei ragazzi.

Uscivi con le tasche piene o preferivi la sosta al bar?

Fin quando ho avuto la testa del corridore partivo da casa con le tasche piene. Piene di robe sane: fette biscottate con miele, paninetti anche di prosciutto o formaggio se dovevo fare la distanza, spesso oltre i 200 chilometri. Quando invece le motivazioni sono iniziate a calare, mi portavo dietro i soldi e mi fermavo per caffè e brioche. In quel momento però non capivo che era per una questione di motivazioni. Oggi questa sosta è la normalità, ai miei tempi no. A me dava fastidio rallentare per mangiare o fermarmi per fare la pipì, figuriamoci!

A pranzo cosa mangiavi?

Dipendeva dalla fatica e dal lavoro fatto. Se avevo fatto molto, mangiavo parecchio altrimenti cercavo di essere più attento. Se invece avevo fatto uno dei miei giri lunghi e finivo a pomeriggio inoltrato, prima di rientrare mi fermavo dal gelataio e mangiavo anche mezzo chilo di gelato. A quel punto tiravo dritto fino a sera. Che gusti? Le creme! Io ne sono goloso tutt’ora. All’epoca soddisfacevo la mia voglia di zuccheri così. E poi quello era il mio premio per quanto fatto.

gelato
Il gelato, la passione (anche oggi) di Mirko
Mirko Celestino
Il gelato, la passione (anche oggi) di Mirko
Pomeriggio: gambe all’aria o piazza con gli amici?

Finché ho avuto la testa ero molto tranquillo. Scendevo in garage sistemavo la bici, la lavavo, oliavo la catena. Oppure mi mettevo a dormire sul divano. Dopodiché mi concentravo su me stesso: quindi stretching o massaggi. Quando invece avevo perso la motivazione uscivo molto di più. Poi ci sta che qualche volta, soprattutto a fine stagione, uscivo anche quando ero ancora determinato. Però le differenze tra fare e non fare certe cose le sentivo in corsa. Per andare forte dovevo mettere a posto tutti i tasselli.

E siamo arrivati alla cena…

Se a pranzo avevo mangiato più carboidrati perché magari ero rientrato prima e avevo fatto un pasto completo allora preferivo mangiare proteine. Altrimenti mi basavo sul lavoro del giorno dopo. Se dovevo fare molto puntavo sui carboidrati. Una cosa è certa, non ho mai fatto diete. Gli sfizi nei momenti giusti me li toglievo e per andare forte dovevo mangiare.

Parli spesso di chilometri: quanti ne facevi?

L’anno che ne ho fatti di più sono arrivato a 35.000. Spesso anche in allenamento superavo i 200.

Facevi anche il doppio allenamento?

Sì. Magari la mattina facevo il mio lavoro e nel pomeriggio con Bevilacqua o Stanga andavo al velodromo di Dalmine e facevo dietro motore: lavori di velocizzazione, volate, ritmo. Nonostante avessi corso in pista li facevo con la bici da strada per evitare rischi. Altrimenti anziché concentrarmi sul lavoro, finivo per pensare solo al non cadere.

Sei stato un grande anche in Mtb, in cosa differiva la tua vita da biker da quella di stradista?

In realtà differenze grandi non ce ne sono state. Almeno negli orari e nella gestione della vita. Semmai sono cambiati gli allenamenti e l’approccio alla vita del corridore.

Partiamo dagli allenamenti…

Le ore di lavoro sono state le stesse, più o meno. Io ho fatto spesso anche 7 ore di Mtb. Sono riuscito ad emergere in questa disciplina grazie all’esperienza su strada. Sono bastate le prime gare per capire che anche nell’offroad nessuno ti regalava nulla. Il problema maggiore era la discesa.

celestino
Mondiale Marathon a Montebelluna 2011, Celestino è terzo
Celestino
Mondiale Marathon a Montebelluna 2011, Celestino è terzo
E come hai fatto per risolverlo?

Arrivavo in cima con i primi e in fondo avevo due minuti di ritardo, in certi punti scendevo a piedi. La guida su strada è opposta a quella della Mtb, sono ripartito da zero. Su strada devi essere pulito, evitare buche, avvallamenti… In Mtb devi cercare appoggi, tagliare, ti può servire un sasso… è una guida più sporca. Così mi sono messo sotto. Sono sempre stato un “cane solitario” però in Mtb ho capito che da solo non avrei migliorato, così iniziai ad andare con Oscar Lazzaroni e Marzio Deho. Per due anni non ho toccato la bici da strada, neanche per fare i lunghi. Montavo le gomme lisce e pedalavo su asfalto, dovevo trovare il feeling. Ho fatto gare di cross country pur non essendo la mia specialità, sono caduto, mi sono messo in gioco… ma alla fine sono diventato un buon discesista.

E l’altra differenza?

Quella è nell’approccio. Su strada c’era in ballo la mia vita, quello che volevo da bambino. Era un lavoro e avevo paura di smettere: bello ma anche stressante. In Mtb invece l’ho presa subito col piglio del divertimento, non dovevo per forza dimostrare qualcosa. Però questo approccio mi ha permesso di prendere le cose seriamente e di fare 7-8 anni ad alti livelli. E ho iniziato con la Mtb a 34 anni.

Che grinta…

Era la mia forza. Una volta chiesi a mio papà Giulio, che ha sempre vissuto strettamente con me la mia vita ciclistica, di portarmi ad un Xc a Lugagnano. Non era la mia specialità, però c’erano quei tratti tecnici che mi servivano per migliorare. “Anche se arrivo ultimo, vado”: mi dicevo. Volevo dimostrare a me stesso di riuscire a diventare un buon biker. Quel giorno pioveva. Era pieno di fango, i prati erano una saponetta. Parto, cado e mi taglio un ginocchio. Al pronto soccorso mi mettono dei punti. Mentre torniamo verso casa mio papà mi fa: ma chi telo fa fare? Quello che dovevi fare l’hai già fatto…

La passione signor Giulio. Come saprà, da lì il suo Mirko è salito due volte sul podio iridato (argento 2010 e bronzo 2011) nelle Marathon e nel 2011 ha vinto il campionato italiano.

E voi che dite, la vita old style di Celestino era giusta?

Quelli che passano alla Mtb, una sfida per pochi

23.11.2020
3 min
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Si parla più spesso di stradisti che passano alla Mtb, più raramente avviene il contrario e con il cittì della nazionale di mountain bike, Mirko Celestino, ne abbiamo parlato cercando di capire che caratteristiche deve avere uno stradista aspirante biker.

Simone Avondetto, un possibile stradista per Celestino
Simone Avondetto, un possibile stradista per Celestino

L’austriaco della Bahrain-McLaren, Hermann Pernsteiner (nella foto di apertura) è uno di quei “casi salmone”, cioè che vanno controcorrente. Eh sì, perché un conto è chi da giovane ha fatto Mtb e poi è passato presto alla strada. E chi a “fine” carriera ha cambiato disciplina, passando dalla strada alla Mtb. Uno dei primi fu proprio Celestino, poi Simoni, Casagrande, Chiarini. Seguiti poi da alcuni pro’ francesi e spagnoli.

Stradisti si nasce…

«Oggi è tutto esasperato e tutto è portato al dettaglio – dice Celestino – e non è facile passare da una disciplina all’altra. E non bisogna neanche pensare a Van der Poel: lui è unico. Lo stradista che passa alla Mtb ha bisogno della tecnica. Il biker che passa alla strada ha bisogno dell’esperienza e del saper stare in gruppo.

«Ricordo Cadel Evans. Lui arrivò alla Saeco che aveva vinto le Coppe del mondo in Mtb ma era davvero “limitato” all’inizio. Non sapeva stare in gruppo: o era all’esterno perché aveva paura o in coda a 10 metri dall’ultimo perché non sapeva stare in gruppo. In discesa sopra i 60 all’ora s’irrigidiva. Poi però ci si è messo d’impegno e piano piano… guardate dov’è arrivato!». In quest’ultima frase c’è tutto il nocciolo del nostro articolo. Per questo i “salmoni” sono pochi.

La Mtb la puoi fare anche in un secondo momento, la strada no. L’andare su strada si acquisisce da bambini.

Mirko Celestino

Biker e strada moderna

«Penso che il biker, sia esso maratoneta o crosscountrista – riprende Celestino – si sposi bene con il ciclismo moderno. Una volta partivamo piano e la corsa vera c’era negli ultimi 60-70 chilometri. Adesso al chilometro zero è già bagarre. Se ai miei tempi partivi al via, veniva un capitano e ti tirava una borraccia in testa. Queste partenze sprint, così come i prologhi e le crono sono ideali per i biker, abituati a stare a tutta dal primo metro e a fare da soli. Per questo la tattica potrebbe essere un limite».

E che la tattica sia un limite, è vero. L’anno scorso proprio Pernsteiner fu scartato dal suo team per il Giro in quanto in una corsa chiuse sul compagno di squadra, Antonio Nibali. L’austriaco si è giustificato dicendo di non essere abituato a queste tattiche, ma ha dovuto aspettare un anno per disputare la corsa rosa.

Gaia Tormena, dagli ostacoli dell’Xce alla pista
Gaia Tormena, dagli ostacoli dell’Xce alla pista

Tormena e Avondetto

«Se devo dire dei nomi di biker attuali che potrebbero passare su strada faccio fatica, ma non perché non li ritengo all’altezza, ma perché li vedo davvero come biker, nel fisico e nella mente.

«Mi viene in mente Gaia Tormena (ex iridata nell’Eliminator) e infatti l’ho messa in contatto con Dino Salvoldi. In lei ho visto subito la pista. Il suo modo di fare, la concentrazione, lo sguardo cattivo, l’esplosività. Una prova di Eliminator dura un minuto e mezzo e si può equiparare a certe specialità della pista. Dino mi ha detto che deve lavorare molto, ma che l’atleta c’è. E infatti è stata convocata per gli Europei U23 su pista.

«Tra i nostri ragazzi se dovessi giudicare il motore, i gemelli Braidot o i Kerschbaumer sarebbero all’altezza, ma come ripeto, faccio fatica a vederli stradisti nel complesso. Se proprio dovessi dare un nome allora direi Simone Avondetto, perché oltre ad avere un buon motore ha anche una grinta non comune. Cade e si rialza, è staccato, ma non molla mai è sempre con i denti di fuori e potrebbe adattarsi bene».