Parisini, la prima in Croazia mettendo nel sacco Mohoric

01.10.2023
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«La prima cosa che ho fatto dopo l’arrivo – dice Parisini raccontando la sua vittoria alla CRO Race – è stata guardarmi intorno. E poi mi sono chiesto: non è che c’è da fare un altro giro? Proprio non mi rendevo conto. Poi quando ho visto la moto che si è fermata a riprendermi ho detto: ho vinto davvero. Ed è stato bellissimo».

Dopo l’arrivo è rimasto incredulo sul marciapede. La prima vittoria non si scorda mai
Dopo l’arrivo è rimasto incredulo sul marciapede. La prima vittoria non si scorda mai

Freddezza da cecchino

Tutto sommato il corridore di Voghera ha impiegato anche poco per prendere le misure al professionismo, che ha scoperto quest’anno con la maglia della Q36,5. Avevamo ancora nelle orecchie le parole di Moschetti sul suo conto, quando dalla Croazia è arrivata la notizia della sua vittoria sul traguardo di Opatija, a capo di una tappa magari breve, ma dura da morire, con due giri di un circuito parecchio duro nel finale. Alle spalle di Parisini sono finiti Andresen e Mohoric, a significare che il livello fosse davvero alto.

«Il tipo di tappe che mi piacciono – risponde compiaciuto e contento – infatti c’erano da fare questi due giri con uno strappo di 600 metri al 14 per cento e io ho scollinato terzo. Negli ultimi 10 chilometri non sono mai uscito dalle prime cinque posizioni, perché sapevo che il circuito era nervoso e dovevo restare davanti. La cosa che mi piace è che l’ho vinta come se avessi già vinto altre gare tra professionisti.

«Ho fatto passare Mohoric, perché sapevo che era rischioso essere secondo a 500 metri dall’arrivo. Mi ha aiutato essere passato la prima volta sotto il traguardo e aver visto che c’era vento in faccia. Perciò, quando ho visto Mohoric che mi passava, ho subito tirato i freni e l’ho fatto passare. Sapevo che uscendo terzo ai 250 metri dall’arrivo sarei stato perfetto. E oggi (ieri, ndr) in gara Matej è venuto a parlarmi. Mi ha detto bravo, mi ha fatto i complimenti. Che poi riceverli da lui, che ha vinto la Sanremo in quel modo…».

Al Tour of Britain i primi lampi d condizione. Parisini è pro’ da quest’anno, è alto 1,83, pesa 65 chili
Al Tour of Britain i primi lampi d condizione. Parisini è pro’ da quest’anno, è alto 1,83, pesa 65 chili
Un certo tipo di lucidità ce l’hai oppure no…

Credo anche io. Penso sia una roba che devi avere addosso, che non tutti hanno. Adesso non voglio dire che sono un vincente, però quando nell’ultimo chilometro arriva il momento di avere la freddezza giusta che ti fa vincere, riesco a non farmi prendere dall’euforia. A molti invece capita di emozionarsi e di partire troppo presto. Invece ho aspettato il momento giusto e sono felice più che per la vittoria, per come è stata costruita.

C’è chi ha aspettato anni per vincere, tu ci sei riuscito al primo.

La cosa più bella è che vado al riposo con una vittoria e tanto morale. E neanche si può dire che il fine stagione sia il mio periodo. Di solito ci arrivo sempre stanco, però quest’anno ne parlavo proprio con Moschetti. Siccome a luglio, dopo il ritiro in altura in cui mi ero preparato benissimo, ho fatto una settimana con la febbre a 39 e ho perso praticamente tutto, mi sono detto che quest’anno avrei tenuto duro fino all’ultima gara, che sarà la Parigi-Tours di settimana prossima. Voglio vedere se riesco arrivare nel finale di stagione e riuscire a fare qualcosa di buono. E così è successo.

Che rapporto c’è fra te e Moschetti? Lui parla di te un gran bene, dice che lo aiuti nelle volate. Si è creato un bel rapporto?

Diciamo che è dal ritiro di Calpe a gennaio che siamo in stanza insieme. Per me è proprio un punto di riferimento, è una persona d’oro, mi dà un sacco di consigli. E io lo ammiro molto per la sua dedizione e per la persona che è anche al di fuori della bici. Quest’anno mi stanno facendo provare nel ruolo di leadout per lui. L’ultima volata che gli ho tirato (al Gp Isbergues, con vittoria di Moschetti, ndr), è venuta proprio bene e sono contento che lui sia riuscito a finalizzarla al meglio.

Dall’inizio dell’anno Parisini ha legato molto con Moschetti, facendo spesso il suo ultimo uomo
Dall’inizio dell’anno Parisini ha legato molto con Moschetti, facendo spesso il suo ultimo uomo
Aiuti e fai la tua corsa: il giusto compromesso?

Mi stanno dando esattamente questa opportunità. E’ una giusta via di mezzo che mi sta aiutando molto a crescere. Se dovessi sempre lavorare per qualcuno, magari perderei il feeling con il provare a essere davanti nel finale. 

Quest’anno hai fatto dei bei piazzamenti nelle prime classiche del Belgio, poi però al Fiandre e all’Amstel ti sei ritirato. Come mai?

Sono andato forte al Gp Criquielion e al Monseré (11° e 14°, ndr). A quel punto la squadra ha visto che mi so muovere bene in Belgio e mi hanno proposto di fare il Fiandre, l’Amstel e tutte le altre classiche. Il problema è stato che alla Nokere Koerse eravanmo rimasti in 11 e agli 800 metri ero davanti, quando all’ultima curva sono caduto insieme a Hackermann e Thijssen, quello della Wanty. Mi sono fatto parecchio male, infatti il giorno dopo ho provato a ripartire, ma mi sono fermato. In più tre giorni prima del Fiandre mi ha preso un virus intestinale e così sono partito, perché ormai ero in Belgio. Ho fatto la ricognizione dei muri, però poi mi sono fermato.

E ti sei ritirato anche allo ZLM Tour, come mai?

Sono caduto nella prima tappa e l’ho finita. Poi sono andato al pronto soccorso perché non stavo bene e non mi hanno fatto partire il giorno dopo per il protocollo sulla commozione cerebrale. Si cade, ma non dipende da me. Soprattutto nelle corse in Belgio, nessuno tira i freni. Ragazzi, davvero non frena più nessuno e quindi nei finali in cui ti stai giocando una corsa, è una lotteria.

Parisini aveva corso il Tour of Britain anche lo scorso anno, quando correva con la Qhubeka U23
Parisini aveva corso il Tour of Britain anche lo scorso anno, quando correva con la Qhubeka U23
Nel frattempo hai capito che tipo di corridore potresti diventare?

Sicuramente sono molto esplosivo, il Belgio mi piace. Mi piacciono i percorsi nervosi che non ti danno recupero, in cui si arriva stanchi nel finale. Non posso competere nelle volate di gruppo, quelle dopo corse piatte, però quando si arriva stanchi nel finale dopo qualche salita, mi difendo. Riesco a rimanere davanti con 30-40 corridori. Mi piacciono le corse con dislivello.

Come avete festeggiato la sera dopo la vittoria?

Un bel brindisi con lo spumante, ci voleva. Mi è toccato anche fare il discorso. Li ho ringraziati tutti, perché non ci fanno mancare nulla. Credo che la Q36.5 sia una squadra all’altezza di entrare nel WorldTour. Ho detto grazie soprattutto perché mi hanno dato la fiducia nel provare a fare la mia corsa e poterli ricambiare così, è stato un bel segnale. Non è facile quando ti danno in mano la squadra, soprattutto al primo anno. Chiudo la stagione con una vittoria e sono convinto di fare un inverno migliore rispetto all’anno passato, quando ho finito rompendomi la clavicola (ride, fa giustamente gli scongiuri, ndr).

Battuto Pedersen, a Isbergues si rivede un grande Moschetti

18.09.2023
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A Fourmies si era rivisto ai vertici Matteo Moschetti, terzo nella classica francese vinta da Merlier. Non una gara qualsiasi, considerando la storia della corsa che un tempo era anche nella Coppa del Mondo e ora è categorizzata 1.Pro, direttamente al di sotto di quelle WorldTour. Una settimana dopo, ieri, è arrivato il successo pieno, sempre in Francia, nel GP d’Isbergues, ma quella vittoria è figlia di quanto avvenuto prima.

«Sono davvero felice di aver ottenuto questa vittoria – ha detto a caldo – abbiamo fatto una grande gara come squadra, con Tom (Devriendt, ndr) in testa, mentre il resto di noi ha potuto rimanere coperto nel gruppo. Molte squadre hanno sprecato energie nell’inseguimento, noi invece eravamo semplicemente seduti lì ad aspettare. Abbiamo raggiunto Tom molto vicino al traguardo e i ragazzi sono stati davvero bravi a mettere me e Parisini in una buona posizione, a due chilometri dall’arrivo».

A Isbergues, Moschetti ha battuto Pedersen e Demare: verdetto al fotofinish
A Isbergues, Moschetti ha battuto Pedersen e Demare: verdetto al fotofinish
La vittoria era nell’aria? Nella volata di Fourmies si era visto qualche lampo di un grande Moschetti…

Ho sofferto tanto in quella domenica, non lo nascondo. Avevo un caldo terribile, neanche il ghiaccio mi dava sollievo. All’inizio ho sentito subito che non avevo buonissime sensazioni, così quando mancavano una quarantina di chilometri ho detto ai compagni di non contare su di me. Poi pian piano ho sentito che riprendevo vigore e ho trovato qualche buon treno per risalire. Ai meno 1,5 chilometri ho trovato un varco per posizionarmi davanti e a quel punto ho fatto la volata, cogliendo un podio del tutto inaspettato.

Come sei arrivato alla vittoria di ieri?

E’ un periodo che sto abbastanza bene, la condizione c’è, ma anni di esperienza mi hanno insegnato che spesso la forma non basta, se non c’è anche la giusta reazione psicologica per ottenere qualcosa. Domenica a Fourmies quel terzo posto è venuto tutto dalla testa… I frutti si sono visti proprio ieri, quando la squadra ha lavorato nella maniera giusta. Una volta arrivati nel finale, Parisini è stato strepitoso nel portami ai 200 metri all’altezza di Démare e Pedersen, poi è stata battaglia, vinta al fotofinish.

La volata di Fourmies con Merlier 1° e Moschetti sul podio, pronto a graffiare (foto Getty Images)
La volata di Fourmies con Merlier 1° e Moschetti sul podio, pronto a graffiare (foto Getty Images)
Ryder Douglas a inizio anno parlava molto di te come di uno di quelli chiamato a portare più punti alla causa del team e il tuo l’hai fatto, con ben 13 Top 10 nella stagione, ma di vittorie solo una, alla Clasica de Almeria a febbraio…

Capisco il punto di vista di Ryder che deve giustamente guardare agli interessi del team, per lui contano i punti, ma io guardo ai risultati, alle vittorie. E’ stata finora una stagione nella quale sono stato costante nel rendimento, ma finora non ero mai stato al 100 per cento, quello stato per cui qualche piazzamento si può trasformare in una vittoria. Mi era sempre mancato il colpo finale, d’altronde per vincere serve che tutto vada nella maniera giusta come è successo a Isbergues.

Questo era il tuo primo anno nella Q36.5, un team che ha radici profonde e grandi ambizioni.

Quando un team nasce quasi dal nulla serve tempo, oltretutto è una squadra che è stata costruita pressoché dal nulla e in pochissimo tempo. Trovare il giusto feeling fra tutte le sue componenti non è facile. Il nostro è ancora un work in progress, spero che da qui a fine stagione ci sia ancora modo e occasione per fare ancora meglio e magari cogliere altri successi. Io comunque non pensavo che dopo meno di una stagione si arrivasse già a questo punto, c’è di che essere soddisfatti perché il livello delle prestazioni è già molto alto e sono convinto che il prossimo anno tutti potremo fare molto meglio con un anno di esperienze e di amalgama in più.

Moschetti con Puppio e Parisini: il gruppo si sta creando, il 2024 potrebbe vedere una crescita generale
Moschetti con Puppio: il gruppo si sta creando, il 2024 potrebbe vedere una crescita generale
Come funziona il tuo treno in volata?

Non ho un treno definito, dipende molto da chi è chiamato a correre con me. Nel tempo ho acquisito però una certa affinità con Nicolò Parisini: è un giovane forse poco conosciuto, ma ha tanto potenziale. Come caratteristiche per me sarebbe stato ideale lavorare con Devriendt, ma quest’anno ha potuto correre pochissimo.

Parisini è forte in salita, ma anche veloce: gli stai insegnando il mestiere di sprinter?

Abbiamo caratteristiche molto diverse. Nicolò è un corridore molto giovane, un millennial, rispetto a me è meno veloce ma più resistente, può emergere in quelle corse piuttosto aspre, con dislivelli. Io credo che si può ritagliare i suoi spazi, soprattutto in quelle volate a ranghi ridotti dove emerge chi ha conservato più energie.

L’unico successo del lombardo nel 2023 fino a Isbergues era stata la Clasica de Almeria a febbraio
L’unico successo del lombardo nel 2023 fino a Isbergues era stata la Clasica de Almeria a febbraio
Come vedi la prossima stagione?

Come detto siamo già a un grande livello di competitività, ma so che l’asticella si alzerà. Spero che saremo invitati a un grande Giro, quello rappresenterebbe un ulteriore salto di qualità, ma già ora il nostro calendario è davvero qualificato, visto che ad esempio saremo al Lombardia. Le occasioni per emergere ci sono e ci saranno, è chiaro che gli inviti dobbiamo anche saperceli guadagnare…

La necessità di vincere mette pressione?

Le responsabilità fanno parte del nostro lavoro. Di pressione me ne metto già abbastanza io perché voglio sempre il meglio possibile. Ci tengo a far bene, so che il team ha tante aspettative, ma sono io il primo ad averle e per questo sono più affamato che mai.

Obiettivo 10 vittorie. Per Missaglia la Q36.5 è lanciata

24.02.2023
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C’è grande entusiasmo in casa Q36.5, la nuova squadra professional nata sulle ceneri della Qhubeka. La vittoria di Matteo Moschetti è stata un’iniezione di fiducia per il team, impegnato in una missione, quella di riannodare il filo che si era interrotto improvvisamente nel 2021. Douglas Ryder, il mentore del progetto come lo era della squadra sudafricana, ha sempre tenuto un profilo molto attento nelle sue parole, sin dall’inizio, ma ora che il manager si è un po’ fatto da parte, emerge dal gruppo grande entusiasmo e concentrazione.

Normalmente Gabriele Missaglia, uno dei diesse del team, è abbastanza restio a prestarsi a taccuini e microfoni, ma questa volta lascia trasparire senza alcun freno tutta la voglia di fare che anima lui e ogni altro componente della Q36.5.

«Mi riviene in mente – dice – quando tutto è partito, c’è una data specifica: il 21 luglio dello scorso anno quando Douglas, io e pochissimi altri reduci da quella bellissima quanto sfortunata avventura ci siamo decisi a rimetterci all’opera. Siamo partiti da zero, ma a novembre avevamo già completato tutto l’organigramma».

La volata vincente di Moschetti alla Clasica de Almeria, primo centro per la Q36.5
La volata vincente di Moschetti alla Clasica de Almeria, primo centro per la Q36.5
E’ stato un lavoro difficile?

Penso come nessun altro nella mia esperienza vissuta a vario titolo nel ciclismo. Abbiamo rifatto tutto di sana pianta e ancora l’opera non è completata, diciamo che siamo un work in progress con obiettivi molto in là nel tempo, ma intanto i mattoni per la casa sono stati messi tutti e abbiamo tempo per sistemarla e arredarla come si deve. Intanto abbiamo già vinto e questo è importante, abbiamo messo fieno in cascina.

Un problema che Ryder sottolineava alla vigilia era la costruzione del calendario…

Le cose sono andate anche oltre le nostre più rosee previsioni. Essendo una squadra nuova non sapevamo chi ci avrebbe invitato, abbiamo mandato richieste un po’ ovunque e ci sono arrivate indietro tantissime proposte, quante non ne avremmo mai sperate. Parteciperemo a tutte le gare del calendario italiano ma anche a tutte le classiche del Nord comprese le monumento. Francia, Belgio, Spagna, ma anche molto più lontano.

Calzoni ha iniziato bene: 11° alla Jaen Paraiso e sempre nella top 10 al Giro del Rwanda
Calzoni ha iniziato bene: 11° alla Jaen Paraiso e sempre nella top 10 al Giro del Rwanda
Un calendario da squadra WorldTour…

Esatto e questo legittima la nostra scelta di avere un roster molto largo con 24 corridori, come solo le squadre retrocesse dal massimo circuito o associate ad esso hanno. D’altronde era fondamentale per la Q36.5 avere un calendario d’altissimo profilo, anche per dare risposte agli sponsor di grande livello che ci hanno dato fiducia. Noi siamo al chilometro zero di un cammino che ha un obiettivo condiviso con tutti coloro che hanno investito in quest’idea: tornare nel WorldTour, dov’era la Qhubeka.

Siete presenti anche al Giro del Rwanda.

Per noi quella partecipazione era quasi doverosa viste le nostre radici e il nostro passato. Non nascondo che, quando è arrivato l’invito, fra noi diesse ci siamo contesi la presenza, alla fine è toccato ad Alexandre Sans Vega e va bene così, sarà per il prossimo anno. Ce la siamo cavata abbastanza bene nelle prime tappe, anche se non è una corsa semplice, ad esempio la nostra punta Hagen è caduto ed è stato costretto al ritiro. Ma in una gara d’inizio stagione ci sta.

Missaglia ha seguito Ryder Douglas nel percorso dal Team Qhubeka alla Q36.5
Missaglia ha seguito Ryder Douglas nel percorso dal Team Qhubeka alla Q36.5
Ora che la macchina è lanciata, è stato difficile costruirla, nel senso di portare i corridori nel team?

Molto, perché quando parti da zero che cosa puoi offrire a manager e corridori? Possiamo dire che chi ha creduto nel nostro progetto ora è sempre più invogliato a lavorare, allenarsi, correre e lo verifico ogni giorno, mentre chi ha rifiutato si mangia le mani, e ci sono i casi…

La squadra ha uno zoccolo duro italiano…

La metà dei tesserati. Avevamo deciso sin dall’inizio che serviva una base di una stessa nazione, pur considerando che fra 24 corridori ci sono ben 13 Paesi rappresentati. E’ l’Italia e questo mi fa piacere, ma poteva essere qualsiasi altro Paese. Noi abbiamo scelto corridori giovani, che devono farsi le ossa ma anche gente d’esperienza. Corridori che facessero gruppo. La nostra è come una famiglia, nella quale tutti lavorano per uno stesso scopo. Chi ne fa parte ha capito che è qualcosa di diverso da ogni altro team, innanzitutto nello spirito.

Parisini, proveniente dal team Devo della Qhubeka, già protagonista nella nazionale U23 (foto Q36.5)
Parisini, proveniente dal team Devo della Qhubeka, già protagonista nella nazionale U23 (foto Q36.5)
Un team che però non ha vere e proprie punte.

Ne siamo coscienti, non abbiamo il vero corridore da WorldTour, ma non era possibile prenderne, erano tutti sotto contratto. Se facciamo tutto per bene, credo che il prossimo anno verranno a bussare alla porta della Q36.5.

Che cosa ha rappresentato il successo di Moschetti?

E’ stato diverso da qualsiasi altro che ho seguito, aveva un sapore particolare. Su Matteo confidiamo molto, io lo vedo diverso dal passato, più volitivo, lavora con molta più passione. Dà morale a se stesso ma anche a noi. Brambilla invece lo abbiamo voluto fortemente perché sappiamo che cosa ci può dare in gara ma anche fuori. Purtroppo quest’inverno è stato operato di appendicite e ha perso tre settimane di allenamento, è indietro nella preparazione ma contiamo che in queste gare d’inizio anno riprenda il terreno perduto.

Per Fedeli un buon inizio tra Saudi Tour e Tour des Alpes Maritimes
Per Fedeli un buon inizio tra Saudi Tour e Tour des Alpes Maritimes
Degli altri italiani cosa ci sai dire?

Su Conca credo molto, anche per lui la trasferta in Rwanda non è stata fortunatissima ma mi aspetto una sua crescita. Parisini viene dal nostro team Devo, ha acquisito esperienza anche in nazionale, deve solo progredire, come anche Puppio: ricordo che aveva fatto uno stage alla Qhubeka, lo portai alla Bernocchi e lui per tutta risposta fece 6° nell’edizione dominata da Evenepoel. Calzoni è un mio pallino, l’ho voluto fortemente nel team e devo dire che ha iniziato subito forte, anche oltre le mie aspettative. Lo stesso dicasi per Fedeli, che la Saudi Tour ha iniziato davvero in maniera promettente. Poi tra gli italiani possiamo considerare anche Badilatti, ticinese del confine, che in Ruanda sta facendo bene.

Ryder ha detto che l’obiettivo per questo primo anno sono le 10 vittorie: sarà più facile ottenerne nella prima o seconda parte di stagione?

La doppia cifra è il target che ci siamo tutti posti in questo 2022. La prima parte di stagione sarà obiettivamente più dura, con le classiche e le tante sfide che ci attendono, ma io sono molto ottimista. I conti li faremo a fine anno, tireremo una riga e vedremo com’è andata, pensando anche ai punti Uci. Le vittorie in questo caso non sono tutto, l’obiettivo vero è fra tre anni…

Vittoria e colpo di spugna: Moschetti riparte da Almeria

14.02.2023
5 min
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Primo ad Almeria, alle sue spalle De Lie, Kristoff, Meeus e Nizzolo. Non è l’arrivo di un mondiale né di una grande classica, ma quando va a sedersi senza fiato vicino a un marciapiede, Moschetti ha lo sguardo felice di un bambino. La grande differenza rispetto alle vittorie precedenti è il colore della maglia. Non più Trek-Segafredo, bensì quella nuovissima e super tecnologica del Team Q36.5.

Seduto sulla strada dopo la vittoria, mentre intorno si scatena la gioia del nuovo Team Q36.5
Seduto sulla strada dopo la vittoria, mentre intorno si scatena la gioia del nuovo Team Q36.5

Cadute e risalite

Il lungo periodo con la squadra americana si è chiuso in modo insapore: un raffreddamento dei rapporti da parte del team che ha tolto il fuoco agli ultimi mesi. Ottimi rapporti con Guercilena da un lato, poi tutto il resto ad altra temperatura.

Finora nel… carnet di Matteo tra i professionisti c’era sempre stata una sola squadra, ad eccezione del 2018, quando andò nella Polartec-Kometa: continental spagnola di Basso e Contador (9 vittorie). Dal 2019 del passaggio nel WorldTour, il cammino del milanese ha visto 5 vittorie e una serie di infortuni che avrebbero piegato un cavallo da tiro. Non Moschetti, che a un certo punto si trovò addirittura a fare riabilitazione a Forlì, in casa di Fabrizio Borra, sfidando il lockdown e i primi assalti del Covid. Ogni volta è tornato e ha vinto. E così anche quest’anno, dopo un cambio di maglia che è stato anche un cambiamento di vita.

Lo scorso anno, prima vittoria di peso per Moschetti alla Valenciana, dopo due anni tra infortuni e risalite
Lo scorso anno, prima vittoria di peso per Moschetti alla Valenciana, dopo due anni tra infortuni e risalite
Che cosa significa cambiare squadra dopo quattro anni?

Sono passato nella Trek-Segafredo. In quattro anni conosci le persone, il materiale che rimane lo stesso ed evolve di anno in anno. Prendi delle abitudini, hai dei riferimenti. Poi di colpo cambia tutto. Per fortuna sono una persona che si ambienta in fretta. Non ho problemi nell’usare materiali diversi. La squadra è nuova e partire da zero non è facile, magari ci vorrà qualche mese perché tutto scorra nel modo più fluido, ma siamo sulla buona strada.

Come descriveresti il distacco dalla Trek?

Non ci siamo lasciati male, però l’anno scorso ho sentito una sorta di allontanamento, come se mancasse fiducia nei miei mezzi. E’ un lavoro, ci sta, ma alla fine è mancato il supporto che serve per fare bene e questo mi è dispiaciuto. Sarebbe stato meglio chiudere la stagione con una buona direzione, però è andata così.

Buone sensazioni al via da Almeria. Moschetti è pro’ dal 2019, ha 26 anni, è alto 1,79 e pesa 73 chili
Buone sensazioni al via da Almeria. Moschetti è pro’ dal 2019, ha 26 anni, è alto 1,79 e pesa 73 chili
Curiosamente ti ritrovi in squadra con Brambilla, rimasto male perché di fatto nel 2022 non ha più corso da metà agosto…

Lui è stato anche più sfortunato di me, però non conosco i dettagli. Nel mio caso hanno deciso di non tenermi, ma nel frattempo io ero sotto contratto, mi allenavo, però alle corse percepivo che non ci fossero fiducia e determinazione.

Hai cambiato squadra e hai risposto con una vittoria…

Anche l’anno scorso, al rientro dopo l’ennesimo infortunio, ho iniziato con una vittoria in Spagna, alla Valenciana. Quella fu una vittoria più prestigiosa dopo due anni difficili. Quella di Almeria è stata più una conferma a livello personale e un’emozione per la nuova squadra.

Che ambiente sta nascendo?

Finora è stato facile trovare l’intesa. Un conto è entrare in un gruppo già formato e affiatato, mentre questo è tutto nuovo. Ho corso un po’ con Brambilla, gli altri invece sono tutti da scoprire, ma ci stiamo riuscendo bene. Mi ricordo che quando arrivai alla Trek, quasi presi paura dal numero delle persone che c’era, più di un centinaio. La nostra realtà è più piccola, ma davvero ben organizzata.

Vuelta Valenciana, Moschetti in azione sulla Foil: bici aerodinamica in dotazione anche agli scalatori del team
Vuelta Valenciana, Moschetti in azione sulla Foil: bici aerodinamica in dotazione anche agli scalatori del team
Hai un tuo tecnico di riferimento?

Certo, come accade in tutte le squadre. Io per praticità sono con Missaglia, ma Douglas Ryder è molto presente. Da quello che sento, è stata mantenuta l’impostazione che avevano al Team Qhubeka due anni fa, anche nella preparazione. Io ad esempio lavoro con Mattia Michelusi, allenatore interno al team.

Cambiare preparatore è più difficile rispetto al cambiare squadra?

Anche questo è stato un passaggio. Alla fine i lavori sono quelli, cambia però il modo di fare le cose, perché ogni preparatore mette la sua impronta e il suo modo di ragionare. Nei dettagli riconosci la firma. Il passaggio non è troppo faticoso da assorbire e anzi… alla fine diventa uno stimolo in più. Prima mi allenavo con Matteo Azzolini, con cui ho tenuto un ottimo rapporto e che invece è passato fra i preparatori della Trek. Però, cambiando squadra, ho trovato giusto seguirli anche per la preparazione.

Ad Almeria, alle spalle di Moschetti anche Arnaud De Lie, il giovane talento belga dello sprint
Ad Almeria, alle spalle di Moschetti anche Arnaud De Lie, il giovane talento belga dello sprint
Nuova squadra, nuovo allenatore e nuova bici…

Ero abituato bene con la Trek, ma devo dire che la nuova Scott Foil mi ha stupito. E’ molto veloce e leggera, tanto che alla fine la squadra ha deciso che useremo tutti questo modello. Ho trovato subito il giusto assetto in sella e avremo ruote Zipp diverse a seconda dei percorsi. Non l’ho mai pesata, ma credo che con le ruote da salita probabilmente non saremo a 6,8, anche perché con i freni a disco è dura, ma si resta intorno ai 7 chili. E considerato che è una bici aerodinamica, è proprio un bell’andare.

Il team porta il nome di un marchio di abbigliamento, che cosa te ne pare?

Onestamente sono rimasto veramente colpito dall’abbigliamento di Q36,5, più che altro per la qualità di tutta la linea d’abbigliamento. E poi ho avuto la fortuna di conoscere meglio Luigi Bergamo (titolare del marchio altoatesino, ndr) ed è stato veramente interessante scoprire la tecnologia e lo studio che c’è dietro ai materiali che utilizziamo. E poi sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla passione che mette nei suoi prodotti. Una cosa bella…

Prossime gare?

Kuurne-Bruxelles-Kuurne, ma forse c’è la possibilità di fare il Tour des Alpes Maritimes et du Var, che comincia il 17 febbraio e in cui dovrei essere riserva. Si deciderà a brevissimo.

EDITORIALE / L’Italia s’è desta, finalmente…

13.02.2023
4 min
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L’Italia s’è desta. Bettiol, Milan, Velasco, Ciccone, Consonni e Moschetti (foto di apertura) hanno riannodato subito il filo con la vittoria. Parliamo di strada pro’, ma anche la pista e le donne hanno fatto la loro parte. E ad eccezione di Milan, gli altri uscivano da periodi in chiaroscuro, fra pandemia, malanni e infortuni.

L’osservazione potrebbe non avere letture parallele, oppure significa che tutto sta tornando come prima, sia pure con più qualità. Gli squilibri degli anni Covid si stanno riducendo. Prima o poi ci renderemo conto del modo in cui il virus ha influito sullo svolgimento delle corse, al pari di quello che ha fatto con le nostre vite.

Prima vittoria 2023 per l’Italia: Bettiol vince il prologo del Tour Down Under. Il suo obiettivo è la Roubaix
Prima vittoria 2023 per l’Italia: Bettiol vince il prologo del Tour Down Under. Il suo obiettivo è la Roubaix

La nuova normalità

Ad esempio Pogacar ha deciso o qualcuno l’ha deciso per lui che non correrà il UAE Tour. Avendolo vinto negli ultimi due anni, sarebbe stato costretto a ripetersi. Ma se, come ha detto Brambilla, non combini nulla senza essere al 110 per cento, la condizione richiesta allo sloveno a febbraio sarebbe stata troppo alta. Soprattutto dovendo puntare a classiche e Tour de France.

Evenepoel è partito dall’Argentina, ma anziché giocare come nel 2020, ha preso il suo vento in faccia e pagato il conto all’inverno da campione del mondo e all’obiettivo Giro.

Vingegaard inizierà alla fine di febbraio. Ayuso anche più avanti e come lui Roglic.

Nessuno gioca più con l’alto rendimento, ad eccezione di Van der Poel e Van Aert, la cui classe però poggia sulla preparazione del cross.

La più grande lezione imparata da Pogacar al Tour dello scorso anno è che vincere è diventato impegnativo anche per lui. Lo scorso luglio Tadej ha pensato per qualche tappa di poter giocare come nel 2021, scattando e sprintando su ogni strada di Francia. Al dunque però è stato impallinato da Vingegaard, arrivato al top con precisione da cecchino.

Tour de France 2022: Pogacar detta legge fino alla 11ª tappa, poi subisce la lezione di Vingegaard
Tour de France 2022: Pogacar detta legge fino alla 11ª tappa, poi subisce la lezione di Vingegaard

Il rispetto e i professori

Tornerà tutto normale anche in Italia, certo con più qualità. Essersi fermati nei mesi del lockdown ha permesso di riscrivere le abitudini: la routine di sempre difficilmente avrebbe reso possibile cambiamenti così rapidi nell’ambito dell’alimentazione. Però è un fatto che anche in quei primi mesi del 2020 qualcuno avesse ravvisato un cambio di passo.

La metamorfosi delle categorie giovanili sta riscrivendo la storia del grande gruppo. Gli under 23 e soprattutto gli juniores lavorano con il misuratore di potenza, vanno in altura e hanno il nutrizionista. Hanno a riferimento le prestazioni dei campioni, che Strava e Velon diffondono a più non posso. E’ evidente che al passaggio tra i grandi potrà esserci attenzione per le distanze superiori, ma la capacità prestazionale è già di tutto rilievo.

Rileggendo le frasi dei corridori più esperti, è frequente trovare parole sullo scarso rispetto che vige in gruppo nei confronti degli atleti più esperti. Sembra brutto, ma di base è quello che succede in ogni contesto. Il compito di dare un ordine a tutta questa esuberanza spetta ai direttori sportivi, a quelli di personalità quantomeno. Come sta ai professori delle superiori pretendere il rispetto degli alunni, che si alzeranno in piedi al loro ingresso in classe.

Ciccone ha iniziato l’anno vincendo una tappa alla Valenciana
Ciccone ha iniziato l’anno vincendo una tappa alla Valenciana

L’Italia che riparte

A noi stanno a cuore gli italiani. Per questo siamo qui a sperare che la normalità della preparazioni in salute riesca finalmente a valorizzare corridori che avevano sempre brillato e che a causa del Covid hanno perso due anni. Si riparte da zero anche in Italia, come fossimo a gennaio 2020.

Non abbiamo l’erede di Nibali, ma nemmeno vogliamo fasciarci il capo. Come ha fatto notare Prudhomme, cosa dovrebbero dire i francesi che non vincono un Tour dal 1985, il Giro dal 1989 e la Vuelta dal 1995? Sia fra gli uomini sia fra le donne abbiamo veramente tanti atleti di talento pronti a riprendere da dove hanno dovuto interrompere. La parte più difficile per loro è stata resistere alle critiche cattive di chi commenta sui social sfogando le sue frustrazioni. Chi allena oggi Ciccone racconta di una capacità di recupero fuori dal comune, di una clamorosa potenza aerobica e di grande capacità lattacida. Non bastano questi dati per descrivere un uomo, ma pensando al fatto che Giulio negli ultimi anni ha preso il Covid a ripetizione, vogliamo vedere cosa potrà fare infilando un percorso finalmente netto?

Ci mancherà ancora Colbrelli, ma non ci stupiremmo di trovare sulle stesse strade qualcuno in grado di non farlo rimpiangere troppo a lungo. Bettiol, ad esempio. E chissà se tra i danni del Covid alla fine non si dovrà inserire anche il doloroso ritiro di Sonny.

La nuova vita di Moschetti: «Vorrei un anno senza intoppi»

21.11.2022
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Il 2023 sarà un anno importante per Matteo Moschetti. Il velocista milanese ha scelto di cambiare e dopo 4 stagioni piene alla Trek-Segafredo, accetta anche lui di far parte della nuova scommessa della Q36.5. Ci arriva con tante aspettative, non solo sue ma anche di chi l’ha chiamato nel nuovo team. Moschetti ci arriva dopo una stagione che era iniziata bene, con due vittorie in Spagna e Grecia, ma poi non gli ha portato quelle gioie ulteriori che sperava.

Matteo cerca comunque di vederla in positivo: «Diciamo che mi darei un 6 e mezzo. E’ stata una stagione normale nel suo complesso, con alti e bassi e proprio questo mi dispiace, non essere mai riuscito ad essere costante. Io comunque metto da parte il buono che c’è stato».

Peron Grecia 2022
La volata vincente di Moschetti nella seconda tappa del Giro di Grecia 2022
Peron Grecia 2022
La volata vincente di Moschetti nella seconda tappa del Giro di Grecia 2022
Il fatto che approdi in una squadra professional lo vedi come un vantaggio?

Per me sì. E’ vero che magari non avremo accesso ad alcune delle prove più importanti del WorldTour, ma in fin dei conti io grandi Giri non ne ho ancora mai fatti. So che avremo davanti a noi un calendario comunque importante e mi è sufficiente, gareggeremo in Italia e all’estero, le occasioni per fare bene non mancheranno.

Entri in un progetto importante, anche al di là dei risultati…

Ho sempre seguito il Team Qhubeka sin dai tempi della sua vittoria alla Sanremo con Gerald Ciolek nel 2013. Poi un conto è vederlo da fuori, un altro è esserci immersi come mi è capitato sin da quando Douglas Ryder ci ha parlato e spiegato le radici del team. Sono rimasto affascinato dalla sua forza interiore, dai suoi sforzi in tema di sostenibilità ambientale e di come anche noi correndo possiamo fare la differenza. Tutto ora ha un significato più ampio.

La vittoria di Ciolek a Sanremo nel 2013, beffando i grandi Sagan e Cancellara
La vittoria di Ciolek a Sanremo nel 2013, beffando i grandi Sagan e Cancellara
Ryder è stato molto chiaro: si punta molto su di te come velocista per le vittorie…

E’ stata questa una delle ragioni che mi hanno convinto a cambiare. So che finalmente avrò una squadra dedita alla mia causa, che lavorerà per mettermi nelle migliori condizioni. Questa è anche una grande responsabilità, ma è uno stimolo 100 volte più forte sapere di avere la fiducia del team a tutti i livelli. Probabilmente è quello che mi è mancato di più, fare la “prima punta”.

Con te ci sarà Sajnok come altro velocista. Vi conoscete?

So che è stato campione del mondo nell’omnium nel 2018 quindi è uno che va forte a prescindere. Ci siamo ritrovati spesso di fronte, quest’anno ad esempio ben 10 volte e lui è arrivato più volte davanti. Ci siamo parlati nel primo incontro del team, avremo modo di approfondire, è chiaro che ci daremo una mano in ogni occasione.

Il polacco Sajnok condividerà con Moschetti la responsabilità degli sprint per la vittoria
Il polacco Sajnok condividerà con Moschetti la responsabilità degli sprint per la vittoria
Ryder aveva sottolineato che pur essendo un team internazionale con 13 differenti Paesi rappresentati, il Q36.5 ha una forte impronta italiana…

Questo è un concetto che in fin dei conti non ha per me molta importanza. Certo, essere in 7 italiani e 2 ticinesi potrà aiutare in gruppo in quanto a celerità delle comunicazioni, ma era così anche alla Trek-Segafredo e alla fine l’aria che si respirava era comunque internazionale. Lo stesso ho già visto che sarà alla Q36.5 e non mi dispiace. Ho sempre militato in team internazionali. La cosa che mi ha più colpito finora è che vedo la stessa professionalità, la stessa lunghezza d’onda di un team del World Tour.

Hai già ripreso la bici?

Da una decina di giorni, ho iniziato la preparazione senza fretta ma con molta determinazione. Io vorrei tanto affrontare un anno fatto bene, regolare, sfruttando al meglio la miglior forma quando arriverà. Se guardo al mio passato, finora non ci sono mai riuscito…

Moschetti tra Mosca e Tiberi. Anche alla Trek Segafredo il milanese aveva trovato molti connazionali
Moschetti tra Mosca e Tiberi. Anche alla Trek Segafredo il milanese aveva trovato molti connazionali
Nel tuo ruolo di velocista, fai differenza tra vittorie nelle corse a tappe o nelle gare d’un giorno?

Bella domanda. Io personalmente non ci guardo, per me una vittoria è una vittoria, che assume maggiore o minore importanza in base al contesto: quando e dove si corre, gli avversari, la forma personale, ecc.. La squadra però la vede diversamente perché deve tenere il conto dei punti Uci e con il regolamento attuale vincere una gara in linea ti dà 4-5 volte più punti. E’ chiaro che un team a questo deve guardare. Io forse appartengo a una vecchia scuola: per me le gare sono tutte importanti…

Ryder riparte dalla Q36.5: «Il WorldTour in 3 anni»

11.11.2022
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«Siete i primi con cui parlo del team da molto tempo, sin da quando l’avventura della Qhubeka si chiuse. Ci tenevo a farlo con voi». Douglas Ryder si era effettivamente un po’ eclissato dai microfoni e dai taccuini, dopo aver tentato fino all’ultimo di salvare il Team Qhubeka travolto dai debiti, ma già allora aveva chiara l’idea che quello non era uno stop definitivo, ma solo una pausa.

Ora la squadra con affiliazione svizzera del dirigente sudafricano è pronta, con un nuovo sponsor (Q36.5, un marchio di abbigliamento con sede a Bolzano), nuovi corridori e uno spirito rinfrancato.

Chiusa la carriera con i criterium in Asia, Nibali si dedica con molto impegno al suo ruolo nella Q36.5
Chiusa la carriera con i criterium in Asia, Nibali si dedica con molto impegno al suo ruolo nella Q36.5
Quanto è stato difficile ripartire dopo la chiusura della squadra WorldTour?

Con il Covid e tutto ciò che è avvenuto in questi anni è stato difficile riavviare il discorso, pochi sponsor si sono avvicinati al ciclismo. Poi la guerra ha reso tutto ancor più arduo. E’ stato quasi un miracolo ripartire, abbiamo riportato indietro le lancette del tempo.

Tu non hai mai perso la speranza: che cosa ti ha dato la forza per andare avanti?

Non ho mai mollato, ho sempre vissuto con questo sogno, lavorando duramente per tradurre i nostri valori in un significato più grande perché il team è uno strumento per trasmettere qualcosa. Quando ho trovato Q36.5 è stato un grande colpo e so che è un rapporto che andrà sviluppandosi di continuo, ma è già incredibile dove siamo arrivati e questo mi rende molto felice.

Il tuo team ora ha nuove basi e nuovi sponsor: con il progetto umanitario della Qhubeka sei rimasto comunque coinvolto?

Certamente, Qhubeka resta una parte importante del progetto. Non siamo una squadra come le altre, siamo parte di un progetto più grande teso alla comunità, alla solidarietà sociale. Un progetto che riguarda i bambini di tutta l’Africa. Per me il team è sempre stato parte di qualcosa di più grande, per questo la sua fine fu un grande dolore, perché tante persone facevano e fanno affidamento su di noi. Questo però mi ha dato ogni giorno la forza di alzarmi e lavorare. Credo che questa ripartenza abbia un grande significato e trasmetta speranza.

Carl Fredrik Hagen, norvegese di 31 anni sarà l’uomo di punta per alcune corse a tappe
Carl Fredrik Hagen, norvegese di 31 anni sarà l’uomo di punta per alcune corse a tappe
Ripartire è sempre difficile: con quali presupposti hai costruito la squadra?

Innanzitutto sullo spirito con il quale tutto iniziò 10 anni fa, attraverso 3 anni di avvio e 6 nel WorldTour. Sono convinto che l’esperienza ci aiuterà a ripeterci e a migliorarci, sempre basandoci su quei valori che ci hanno permesso di rimetterci in piedi. Sapendo quel che abbiamo passato possiamo ricreare un qualcosa di cui essere orgogliosi.

Missaglia e altri nello staff con cui avevi già lavorato: hai scelto loro per ricreare lo spirito di gruppo che esisteva nella Qhubeka?

Sì, perché so che in quei 10 anni ho avuto al mio fianco le persone migliori di ogni campo, dai direttori sportivi, agli autisti dei pullman, chef, addetti stampa. Per me tutti sono essenziali nel progetto. C’è voluto tempo per ricostruire lo staff ma era un passo fondamentale perché sanno come fare. Per me è un privilegio lavorare con loro.

Quanto è importante avere Nibali nel tuo team dirigenziale?

Nibali come consulente strategico ci consente di parlare di molte cose: allenamento, preparazione, scelta dei corridori, programmazione… E’ un valore aggiunto che fa la differenza anche per dare motivazione ai corridori. E’ un vantaggio rispetto a quel che eravamo, indubbiamente.

L’esperienza di Gianluca Brambilla sarà fondamentale nel cementare le basi del team
L’esperienza di Gianluca Brambilla sarà fondamentale nel cementare le basi del team
Ci sono corridori di 13 Paesi, ma il gruppo base è italiano: perché questa scelta?

Abbiamo sempre avuto successo con gli italiani, vedi Battistella iridato U23 quand’era nel team continental o i successi di Nizzolo. C’è sempre stata un’influenza italiana e questo ha fatto la differenza. Che non ci sia un team italiano nel WorldTour è triste, è come se nella Formula Uno mancasse la Ferrari. Il ciclismo italiano è forte ed è bello averne parte nel team. Ne ho parlato con Moschetti e Brambilla, che sono motivati a trasmettere le loro esperienze agli altri. Abbiamo un buon gruppo e gli italiani si sono tutti impegnati a farlo crescere.

Hai già un’idea sui ruoli di ognuno?

Sì, ho un’idea precisa su ognuno dei 23 corridori, ma molto dipenderà dal calendario che andremo a fare. Abbiamo velocisti di peso come Moschetti e Sajnok, per le gare a tappe punteremo su Donovan e Hagen. Per le classiche avremo l’esperienza di Devriendt e Ludvigsson. Abbiamo focalizzato gli uomini in base a diverse aree, ogni gara andrà corsa col fuoco dentro. Speriamo di ottenere qualche successo, ma l’importante sarà dimostrare quell’unità che è la base per una squadra a lungo termine.

Per Moschetti l’approdo in Q36.5 non è solo occasione di rilancio, ma modo per essere un riferimento
Per Moschetti l’approdo in Q36.5 non è solo occasione di rilancio, ma modo per essere un riferimento
Che calendario farete?

Sto parlando con molte persone per stilare un programma, ma non è facile perché l’Uci non ha dato risposte chiare e molti organizzatori aspettano a diramare gli inviti. Dovremmo comunque iniziare dalla Spagna e poi correre molto in primavera fra Belgio e Olanda. Non nascondo che mi piacerebbe avere l’invito per un grande Giro, ma intanto ci concentriamo sui primi 3 mesi pensando a iniziare bene.

Pensi sia possibile crescere fino ad arrivare al WorldTour o è presto per parlarne?

E’ presto, ma sicuramente è l’obiettivo a lungo termine, per questo dobbiamo far bene le cose fin da subito e programmare ogni anno in modo da fare sempre passi avanti e non indietro. Fra tre anni dovremo essere fra le migliori professional e a quel punto ottenere la licenza WT.

Su Sajnok, Ryder conta molto per le volate nelle corse a tappe
Su Sajnok, Ryder conta molto per le volate nelle corse a tappe
La continental rimane?

Resterà perché è un tutt’uno con il team professional, anche dal punto di vista del rendiconto economico. Noi vogliamo un team U23 da cui prendere i più meritevoli per far fare loro qualche esperienza nel team principale e viceversa avere un team continental che possa anche far ripartire chi magari è infortunato in maniera più soft. Seguiremo con attenzione il team U23, farà un calendario appropriato compreso il Giro d’Italia U23.

Cosa ti renderebbe soddisfatto dopo la prima stagione?

Vorrei che vincessimo una manciata di gare, diciamo da 6 a 10, ma correndo sempre come una squadra, con un gruppo solido e con prestazioni valide e costanti nel tempo. Dobbiamo far vedere che ci siamo e siamo competitivi sempre mostrando gli sponsor e progredendo. Io sono convinto che con il passato che abbiamo alle spalle ci riusciremo.

Il “maestro” Martolini, i suoi ragazzi e quei video sbagliati

05.06.2022
5 min
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Mentre le indagini fanno il loro corso, mentre Nicola Venchiarutti prosegue nel suo cammino di ripresa fisica dal terribile incidente di Castelfidardo costato la vita a Stefano Martolini, il vuoto che il diesse della Viris Vigevano ha lasciato nel mondo del ciclismo italiano è ancora vivido, presente, doloroso. Quell’assurdo esito della volata finale, fatale per il dirigente lombardo che stava assistendo sul marciapiede inconsapevole dell’appuntamento col destino, ha aperto squarci di ricordi che abbiamo voluto mettere insieme parlando con chi, grazie a lui, ha iniziato la sua carriera ciclistica ma soprattutto ha fatto importanti passi in avanti nel cammino della vita.

C’è chi non se l’è sentita di parlare, troppo forte il peso del dolore sul cuore come Matteo Moschetti, che con Martolini ha svolto i suoi primi passi nel ciclismo agonistico. Martina Alzini invece ci ha dato modo di tracciare un profilo del giovane dirigente da una posizione privilegiata ma anche particolare, lei unica ragazza in un gruppo di maschi.

«Ero tesserata per un team di Cesano Maderno – racconta – ma per posizione geografica mi allenavo a Busto Garolfo quando ero allieva e Stefano mi prese nel suo gruppo, con molto rispetto e attenzioni. Posso dire di essere cresciuta in quel gruppo, dove molti sono diventati professionisti come Moschetti e Garavaglia e per ognuno di noi era una figura importante. Non solo dal punto di vista ciclistico perché aveva ben presente l’età che stavamo vivendo e sapeva che la sua funzione era quella di insegnare ciclismo, ma anche di educare».

Moschetti 2022
Per Matteo Moschetti il dolore per la perdita dell’amico è ancora molto intenso
Moschetti 2022
Per Matteo Moschetti il dolore per la perdita dell’amico è ancora molto intenso
Eri in contatto con lui?

Non ci vedevamo spesso, l’ultima volta era stata a Dalmine per i tricolori su pista dello scorso anno. Stefano ci aveva instillato l’amore per la pista, ci aveva fatto capire l’importanza di questa disciplina anche in funzione delle altre, anche se tutti noi avevamo nel cuore il ciclismo su strada. Io vedo Stefano come un esempio di passione per il ciclismo, che lo portava a trascorrere tante domeniche caricandoci sui mezzi per andare a Montichiari ad allenarci oppure a non farci mancare nulla nelle nostre trasferte e nei nostri impegni ciclistici.

Che cosa ti ha insegnato?

Innanzitutto che cosa significa essere innamorati del proprio lavoro. A quel tempo non potevamo sapere quale sarebbe stato il nostro futuro, per noi il ciclismo era soprattutto divertimento, ma lui con il suo esempio e la sua passione fece crescere in noi l’entusiasmo, la voglia di spostare sempre più in là i nostri limiti. Abbiamo tutti imparato molto da lui, anche a sapercela cavare nella vita di tutti i giorni.

Alzini pista 2022
Martina Alzini ha iniziato con Martolini, unica ragazza del suo gruppo, trattata sempre con grande rispetto
Alzini pista 2022
Martina Alzini ha iniziato con Martolini, unica ragazza del suo gruppo, trattata sempre con grande rispetto
Da più parti hanno sottolineato come fosse duro di carattere…

A quell’età tante volte non lo riesci a capire, ma l’allenatore migliore non è quello più morbido, che ti fa passare tutto, è quello che tiene le briglie, che in certi momenti è padre e quando serve tiene le distanze, non scherza più e se serve alza la voce per richiamarti all’ordine. Era molto schivo, ad esempio non amava farsi fotografare e non apprezzava i social. Era duro ma sempre disponibile, per questo era apprezzato, si vedeva che per i suoi ragazzi avrebbe dato tutto, come poi il destino gli ha imposto.

C’è un episodio che ti è rimasto impresso?

Mia madre mi ha ricordato, parlando di quel che gli è successo, quando ai mondiali giovanili su pista del 2015 mi aveva seguito, visto che era una delle mie primissime convocazioni in azzurro. Ricordava come al seguito di Mattia Geroli c’era lui, che si era pagato tutte le spese per il viaggio e il soggiorno ad Atene per dare sostegno a un ragazzo della sua società. Se non era passione questa…

Martolini Busto Garolfo
I ragazzi dell’SC Busto Garolfo, tra loro anche Moschetti e Garavaglia
Martolini Busto Garolfo
I ragazzi dell’SC Busto Garolfo, tra loro anche Moschetti e Garavaglia

Uno sguardo, un brutto presentimento…

Chi era davvero legato a Martolini è Giacomo Garavaglia, il corridore della Work Service che ha attraversato tutta la sua evoluzione ciclistica avendolo sempre come riferimento. Giacomo, reduce dall’11° posto al Giro dell’Appennino, era presente quel maledetto giorno a Castelfidardo: «Ero in fondo al gruppo dopo aver lavorato per i compagni di squadra. Quando sono passato ho visto Venchiarutti appoggiato al muro e un uomo per terra, non volevo credere che fosse lui, ma una voce dentro di me temeva il peggio. Era come se sapessi, poi alla sera sono arrivate le conferme e ho capito che cosa era successo, ma ancora non me ne faccio capace».

Tu eri rimasto molto legato a lui…

Ha seguito tutta la mia carriera, da quando ero allievo fino ai primi due anni da dilettante, ma anche dopo siamo rimasti molto legati. Era una sorta di fratello maggiore, aveva un carattere che o l’amavi o l’odiavi, aveva i suoi modi ma era un grande appassionato. E se ci entravi in sintonia, era pronto a fare di tutto per aiutarti.

Garavaglia 2022
Giacomo Garavaglia era rimasto molto legato a Martolini, anche dopo il cambio di team
Garavaglia 2022
Giacomo Garavaglia era rimasto molto legato a Martolini, anche dopo il cambio di team
Nelle ore immediatamente successive all’incidente le foto e i video sono diventati virali. Che cosa ne pensi?

Non mi è piaciuto, si è andati oltre le righe. E’ qualcosa che doveva rimanere confinato nei limiti legali della vicenda, a uso degli inquirenti, ma a un certo punto è venuto meno il rispetto della persona. Penso ai familiari, a come si devono essere sentiti vedendo quelle immagini quasi in tempo reale. Non è stato giusto.

Lo chiedo anche a te, c’è un momento che contraddistingue il vostro rapporto?

Forse la vittoria al campionato italiano allievi su pista, con il quartetto. Ci aveva lavorato tanto sul nostro gruppo, riuscì a portarci ai vertici italiani e per lui come per noi fu una grande gioia. Era il 2012 ma quel momento è rimasto a legarci fortemente e so che lo hanno seppellito con una maglia tricolore di quel giorno. Credo che questo dica tutto…

Malucelli, dietro quell’urlo non c’è solo rabbia

12.04.2022
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«Quando parti da davanti – dice Malucelli – devi essere forte da cavarli tutti di ruota. Altrimenti diventi un punto di appoggio e se qualcuno ti punta, non puoi farci più niente. Quando Moschetti è partito, a un certo punto ho pensato che non l’avrei più ripreso. Ma avevo dentro troppa grinta e troppa rabbia repressa. Così l’ho affiancato e nella mia testa gli ho detto: “Adesso ti passo!”. Ieri sera ho fatto togliere il 54 che era rimasto dal UAE Tour e ho detto al meccanico di rimettermi il 53. L’arrivo tirava al 3-4 per cento, mi è sembrato durissimo. Anche perché abbiamo fatto 200 chilometri e io non correvo dal 26 febbraio…».

Sul podio di Bagheria negli occhi di Malucelli un mix fra gioia e tristezza di fondo
Sul podio di Bagheria negli occhi di Malucelli un mix fra gioia e tristezza di fondo

Aspettando il TAS

Bagheria si specchia nel Tirreno, Palermo è là in fondo con la sagoma di Monte Pellegrino. Il pubblico del Giro di Sicilia aspettava Fiorelli, nato e cresciuto su queste strade. Ma quando nella scia di Moschetti è apparsa la maglia azzurra di Malucelli, conoscendo le recenti vicende della Gazprom, non abbiamo avuto nessun dubbio che avrebbe vinto lui. Nulla da togliere a Moschetti e Fiorelli, ma non poteva essere altrimenti.

«Tanta grinta – ammette Malucelli – e anche rabbia repressa. Se mi chiedete come sto, rispondo meglio di ieri, ma lo stesso non posso dire di stare bene. Non ho squadra, non ancora. Stiamo aspettando il Tas. Doveva venir fuori la scorsa settimana, dicono di aspettare anche questa. Sono stato per due mesi rinchiuso in casa. Le domande erano sempre le stesse, così pure le risposte. Ho detto a mio babbo di non chiedermi più del ciclismo, di non chiamarmi per sapere se c’erano novità. Però mi sono allenato. Lo sapete: noi corridori siamo delle teste di… e io da giorni avevo fatto un pensierino a questa tappa. Sapevo di avere una sola occasione».

Altri due Gazprom in gara con la nazionale: Scaroni e Carboni
Altri due Gazprom in gara con la nazionale: Scaroni e Carboni

Il segnale giusto

Mentre gli altri correvano con la maglia azzurra, Malucelli era a casa. Troppo duri il Coppi e Bartali e poi Larciano, ma Bennati aveva cerchiato il suo nome pensando proprio alla Sicilia e lui l’ha ripagato con la prima vittoria in Italia, alla prima convocazione in maglia azzurra della carriera.

«Senza questa convocazione – racconta Malucelli con il vento per sottofondo – avrei visto questa corsa in tivù. Quando ci guardiamo in faccia, vedo tanta voglia di fare bene. Perché se l’UCI non concede la benedetta deroga, rischiamo di stare per un mese e mezzo senza correre. E questa per me era l’ultima possibilità. Sono contento. E’ bello, mi dà morale e spero serva per mandare un bel segnale. Siamo tutti incazzati neri. Sono stato tutto marzo a casa a pensare. I giorni passavano e nel ciclismo conta vincere».

Fra Damiano e Martina

Due abbracci sono sembrati più intensi degli altri dopo l’arrivo: quello di Damiano Caruso, ragazzo dal cuore grande, che lo ha guardato con la gioia negli occhi. E poi quello con Martina, la sua ragazza, venuta in Sicilia per vederlo correre.

«Dopo l’arrivo, Damiano mi fa: “Fermati, che voglio abbracciarti!”. Quando un campione come lui lo vedi veramente felice per una tua vittoria – la voce gli trema – dà una bella soddisfazione. Alla fine ci siamo emozionati davvero. Quanto a Martina… Quando mi ha chiesto se poteva venirmi a vedere, le ho detto: “Perché no? Magari sarà la mia ultima corsa da professionista…”. Lei mi ha guardato e mi ha mandato a quel paese. Ha sofferto. Ognuno a casa vive i suoi problemi come se fossero i più grandi del mondo. Abbiamo passato notti senza dormire, parlando di quello che potrà accadere. E ultimamente la convivenza stava diventando pesante. Ma adesso che viene la Pasqua, speriamo che arrivi un uovo Kinder con dentro la sorpresa che aspettiamo da due mesi. E se non fosse l’uovo di cioccolata, andrà bene anche un cannolo…».

La prima tappa si è corsa per buona parte sulla Settentrionale Sicula: Italia in testa al gruppo
La prima tappa si è corsa per buona parte sulla Settentrionale Sicula: Italia in testa al gruppo

Il mare scivola nella sera, domani il Giro di Sicilia andrà da Palma di Montechiaro a Caltanissetta, terreno per gente da salita. L’ingegner Malucelli, approdato alla Gazprom-RusVelo per costruirsi un grande futuro, vincitore di tappa al Tour of Antalya e poi incappato in una guerra più grande di lui, aveva una carta da giocare e l’ha fatto alla grande. Questa dovrebbe essere la settimana in cui il TAS si pronuncerà sul ricorso della squadra russa e solo allora l’UCI prenderà posizione. Farlo prima significherebbe dover ammettere di aver commesso un grossolano errore.