Quattro campionati del mondo di ciclocross, iridata in carica nella disciplina e innumerevoli vittorie. Canyon decide di innovare ed evolvere, per quanto sia possibile, una bici praticamente perfetta. La sfida è farla diventare ancora più performante ed invincibile.
Solida base di partenza
La Inflite 2022 si basa sul telaio della vecchia versione, ogni centimetro dell’Inflite è modellato per soddisfare le esigenze delle moderne gare di ciclocross. Soprattutto la particolare forma del tubo orizzontale che rende la bici più confortevole e facile da trasportare nei tratti a mano. Il nuovo modello di casa Canyon si chiama CL SFX, sono disponibili altre due versioni, chiamate: CL SF 8 e CL SF 6.
Canyon Inflite 2022, la bici da ciclocross del campione del mondo Mathieu Van der PoelCanyon Inflite 2022, la bici da ciclocross del campione del mondo Mathieu Van der Poel
Componenti di alto livello
Il cambio, più che mai nel ciclocross, costituisce un componente fondamentale. La casa di Coblenza offre, nella sua versione top di gamma, il cambio Sram Force eTap AXS, che offreprestazioni precise e durature anche nelle condizioni più estreme. Le ruote, con profilo da 41 millimetri, sono le Reynolds AR41, l’altezza del profilo non è casuale, con questa misura la ruota scorre sul fango senza rischiare che lo stesso si fermi tra i raggi causando ulteriore attrito.
Per tutti i gusti e portafogli
Nel modello CL SF8 Canyon monta sempre un gruppo Sram Rival eTap AXS ed è dotato di tecnologia power meter. È una bici pensata per gli amatori a cui piace dilettarsi nelle gare, monta le stesse ruote del modello top, le Reynolds AR41. L’Inflite CF SL 6 rende ancora più accessibili caratteristiche determinanti in gara come la trasmissione Shimano GRX, freni a disco idraulici Shimano GRX e robuste ruote in alluminio DT Swiss Cross LN tubeless.
Selle Italia alleata preziosa del campione del mondo di ciclocross Mathieu Van Der PoelSelle Italia alleata preziosa del campione del mondo di ciclocross Mathieu Van Der Poel
Pneumatici e prezzi
Tutti e tre i modelli della gamma montano pneumatici Schwalbe X-One ALR TLE. La versione Inflite CL SFX 9 e disponibile al prezzo di 4299€, mentre la versione CL SF8 a 3499€, ed infine, la CL SF6 a 1.999 euro.
Dopo il Tour ha puntato sulla mtb, così Tom Pidcock è diventato iridato a Glentress Forest. Cinque giri a inseguire, poi il forcing. Caduto Van der Poel
La Roubaix ha portato la tensione alle stelle. La foratura di Van Aert frutto di sfortuna? Per Gilbert è stato un errore. E resta il problema calendario
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Nell’epoca in cui il velocista faceva il velocista, quello delle classiche pensava alle classiche e il cronoman era sempre in posizione, c’è stato in Italia un professionista che da junior e U23 era fortissimo a cronometro, che sognava di vincere le classiche e che in volata vinse persino la tappa di Parigi al Tour de France. Quando ridendo diciamo a Daniele Bennati che a suo modo è stato un precursore di Wout Van Aert e dei fenomeni di oggi, il toscano sta guidando e probabilmente sbanda. Eppure, al di là del valore oggettivo degli atleti, la differenza fra quelli di ieri e questi di oggi è che nessuna convenzione è riconosciuta. Il velocista fa le crono, vince le classiche e se si ritrova davanti il Ventoux, si rimbocca le maniche e se lo mangia. Lo scalatore fa lo stesso e in mezzo vince le Olimpiadi di mountain bike.
Come Van Aert quest’anno, anche Bennati nel 2007 ha vinto la tappa di Parigi al Tour
Il giorno prima della vittoria di Parigi, il belga ha conquistato la crono
Come Van Aert quest’anno, anche Bennati nel 2007 ha vinto la tappa di Parigi al Tour
Tour de France 2021, Parigi, Wout Van Aert
Corridori moderni
Quei tre in particolare non hanno paura di niente e nessuno e sono andati avanti per tutta la stagione incrociandosi e scambiandosi… gentilezze di ogni genere. Con il Benna oggi parliamo proprio di loro, perché l’anomalia ha tratti comuni. Sono versatili, vincenti a 360 gradi, ambiziosi e sfrontati. Sono probabilmente quello che Robbert De Groot della Jumbo-Visma ha definito “corridori moderni”, con le caratteristiche e il carattere per fare sempre la differenza.
«Da professionista – dice Bennati – non mi sono mai specializzato nelle crono, salvo andare bene in qualche cronosquadre. Non ho fatto cross e neppure podismo, come ho visto fare su Instagram a Van Aert. Però grazie a loro le corse sono diventate esplosive e belle da seguire. Era da un po’ che non si vedeva gente così versatile. Quando correvo io c’era la specializzazione estrema, forse prima ancora era così…».
Mathieu Van der Poel contro Wout Van Aert, scontro diretto a Namur. Nel cross sono fenomeni indiscussiMathieu Van der Poel contro Wout Van Aert, scontro diretto a Namur. Nel cross sono fenomeni indiscussi
Occhio da cittì
Il tema è caldo. Per la sua capacità di analizzare i corridori, Bennati meriterebbe a buon titolo il ruolo di tecnico della nazionale, ma è chiaro che in questo momento chiunque riceva l’incarico di succedere a Cassani (sempre che Davide sia da sostituire) rischi di beccare in faccia un boomerang piuttosto veloce. E poi siamo sicuri che il ruolo del cittì azzurro in Italia resterà come l’abbiamo sempre conosciuto?
Cominciamo da Van Aert, cosa te ne pare?
E’ veloce, al punto da vincere le volate di gruppo. Però spesso sbaglia. Parte sempre lunghissimo e rischia di farsi rimontare, succede quando ti senti il più forte. Sono contento per Carapaz, ma alle Olimpiadi il più forte era Van Aert. Che oltre ad andare bene in volata, vince le crono.
Pidcock ha 4 anni meno di entrambi, è alla pari in salita e anche velocePidcock ha 4 anni meno di entrambi, è alla pari in salita e anche veloce
Invece Van der Poel?
E’ molto più esplosivo, però ha meno fondo. E poi commette delle leggerezze. Non so a chi attribuire la colpa, ma quella della pedana a Tokyo è stata troppo grande. Lui ha subito detto che avrebbe dovuto esserci, ma lo sapevano tutti che sarebbe stata tolta.
Si dice che fra i due, Van der Poel sia quello con più talento.
Sarà, ma Van Aert è quello che l’anno scorso al rientro ha vinto Sanremo e Strade Bianche e nello scontro diretto ha perso il Fiandre ma solo in volata. A parte gli errori di partire lungo nelle volate, secondo me Van Aert corre meglio.
Pensi che finirà nel mondo dei grandi Giri?
Se lo fa, secondo me sbaglia. In salita non può essere al livello degli scalatori, ma in questo ciclismo mai dire mai. Secondo me, un tentativo lo farà.
Van der Poel vince dando tutto, è capace di fuori giri con comuni
Van Aert ha vinto la Gand (nella foto) e si è ripetuto all’Amstel
Van der Poel vince dando tutto, è capace di fuori giri con comuni
Van Aert ha vinto la Gand (nella foto) e si è ripetuto all’Amstel
Sembra che gli venga tutto facile.
Sono giovani, sono indubbiamente dei fenomeni, ma con tutte le specialità che fanno, raschiano in continuazione il limite delle energie. Lo vedete Van der Poel agli arrivi, sempre distrutto? Arriva morto, riesce a dare l’anima e si vede che il cross gli dà la possibilità di fare questi fuori giri. Più degli altri. Van der Poel mi piace tanto, ma a volte non lo capisco. Potrebbe vincere con molto meno, invece parte a 60 chilometri dall’arrivo…
Al Tour è stato lucido…
Vero, con Van Aert che per contro è partito un po’ in sordina. C’è da capirlo, era in Francia per aiutare Roglic, ma vincere la crono del sabato e la volata di Parigi il giorno dopo è tanta roba. Stanno cambiando il ciclismo…
Pidcock ha vinto il Giro d’Italia U23 2020: quest’anno malgrado i risultati già raccolti è un neopro’. Anche lui nel club dei fenomeniPidcock ha vinto il Giro d’Italia U23 del 2020: quest’anno malgrado i risultati già raccolti è un neopro’
In che senso?
Van Aert vince la volata di Parigi, mentre Pogacar, che ha vinto due Tour, quasi lo batte in volata alle Olimpiadi. Sanno fare tutto al livello più alto, sono dei grandi.
E Pidcock come lo incastoniamo nel mosaico?
E’ appena passato, difficile valutarlo su strada. Certo però, uno che vince il Giro U23 e l’anno dopo fa quello che ha fatto l’inglese, tanto comune non è. Ha vinto la Freccia del Brabante, battendo Van Aert partito troppo lungo. E per lo stesso motivo stava per vincere l’Amstel. Su strada resta da verificare, nel cross spesso le ha beccate, ma ha anche qualche anno in meno ed è fra quelli che se la gioca. Uno dei fenomeni, insomma. E’ proprio un bel ciclismo, è dura andare ai mondiale a giocarsela con gente così. Dura davvero…
La Mtb saluta le Olimpiadi, dopo la fresca tripletta svizzera fra le donne (Neff, Frei, Indergand. Lechner 25ª). Ma a tenere banco è stata soprattutto la prova maschile. Più che altro perché avevamo in gara tre azzurri e tutti attendevano il duello fra Pidcock e Van der Poel, magari con lo zampino di Nino Schurter. Invece ieri è successo di tutto. Un favorito vince, uno si ritira a causa dell’ormai famosa passerella, e la consueta sorpresa a cinque cerchi butta giù dal podio il re, cioè Schurter.
Celestino fra i suoi ragazzi: Lechner e Colledani a sinistra, Braidot e Kerschbaumer a destra (foto Federciclismo)Celestino fra i suoi ragazzi: Colledani (a sinistra), poi Braidot e Kerschbaumer (foto Federciclismo)
Delusione importante
Era sera tardi quando siamo riusciti a parlare con Mirko Celestino, cittì degli azzurri. Lui e i suoi ragazzi erano a cena e il tono non era certo dei migliori.
«Che dire? Non siamo riusciti a tirare fuori il ragno dal buco. C’è delusione. Gery (Kerschbaumer, ndr) è partito bene e tra me e me dicevo: meno male, la fase più delicata è andata. Adesso sono più tranquillo. Non faccio in tempo a finire questo pensiero che inizia a perdere posizioni. Da lì in poi ha preso grandi schiaffi. NadirColledani addirittura è stato fermato perché uscito dall’80% . Mi diceva di aver avuto brividi di freddo, una cosa mai provata prima. Ha “litigato” con la bici fino allo stop. E poi Luca Braidot: non riusciva ad andare avanti. Lui è stata la notizia più negativa perché era colui che stava meglio. Ma serve anche questo. Bisogna capire che se non lotti con il coltello fra i denti non basta. Non basta fare tutto bene. Non ho visto i tempi sul giro ma non sono mai stati in gara».
Per Kerschbaumer una discreta partenza, poi un calando continuoPer Kerschbaumer una discreta partenza, poi un calando continuo
Nessuna scusa
Celestino è davvero dispiaciuto. Aveva lavorato bene. Si è era reso protagonista di un buon avvicinamento con i ritiri e le gare. E allora ci si chiede: è anche una questione mentale?
«Non abbiamo scuse: non abbiamo avuto problemi tecnici o altro. Ci siamo acclimatati bene, abbiamo provato il percorso, abbiamo il nostro cuoco, il massaggiatore, non faceva neanche così caldo… tutto perfetto. Ipotizzavo di metterne almeno uno nei dieci e tutti e tre nei 15. Invece non ne abbiamo messo neanche uno nei primi 19.
«Dite questione mentale: ma cavolo, tre su tre? Troppa tensione? Eppure non sembravano così tesi. Ho cercato di farli stare tranquilli, che era una gara come le altre. Che non dovevano farsi ingannare dall’enorme posta in palio. Quella ti fa sembrare tutto diverso, hai una percezione distorta delle difficoltà e delle emozioni. Spiace, perché i miei ragazzi sono più forti di alcuni che gli sono arrivati davanti».
La foto che ha fatto il giro del mondo postata da Van der PoelLa foto che ha fatto il giro del mondo postata da Van der Poel
Passerella galeotta
Con il cittì si passa poi a parlare della famosa passerella di Van der Poel.
«Eh – sospira Celestino – ho vissuto in prima persona questa storia, perché questa passerella sin dal test event era stata messa vicino a questo salto, che era un bel salto. La mettevano e la toglievano a seconda dei passaggi. La lasciavano soprattutto per le donne. Però poi durante i giorni precedenti era sempre montata. Era lì che con i ragazzi e con Eva Lechner facevo i video e le foto per studiare le traiettorie. E ogni volta Vdp passava sulla passerella. Un giorno che abbiamo provato ho fatto il giro a ruota di Eva. Arrivati in quel punto lei ha fatto il salto, io ho preso la passerella e avrò perso un secondo, forse. Al che mi sono detto: guarda che accortezza Van der Poel, non lascia nulla al caso. Fa la passerella per non rischiare nulla: né cadute, né guai (inoltre aveva scelto di non usare il reggisella telescopico, ndr). Van der Poel ha provato un solo giorno pieno».
Forse l’appuntamento olimpico meritava una concentrazione maggiore. Bisognava stare “più sul pezzo” a 360 gradi.
La slide mostrata durante la riunione tecnica alla vigilia della gara (foto Celestino)La slide mostrata durante la riunione tecnica alla vigilia della gara (foto Celestino)
Errore madornale
Ma quindi questa passerella è stata tolta la mattina prima del via? Come è andata?
«Sì è stata tolta la mattina prima del via. Si poteva girare per provare. Avevano un’ora gli uomini e un’ora le donne. Eva, che ha provato, mi ha subito detto: hanno tolto la rampa. Mathieu non ha provato, ma come lui anche altri. Anche gli azzurri. Noi eravamo a posto e non avevamo esigenza di girare, meglio risparmiare energie.
«Ma sapevamo che la rampa non ci sarebbe stata. Lo avevano detto la sera prima nella riunione tecnica. Un errore grosso suo e del suo staff. Ma era stato chiaramente detto che l’avrebbero tolta. Io poi ho visto la scena dal video perché in quel momento ero nella parte opposta del percorso e ho pensato proprio: vuoi vedere che Vdp si è dimenticato della passerella? E così è stato visto che lui stesso lo ha poi ammesso».
Nella gara più importante della vita, Tom Pidcock ha avuto tutto il tempo di godersi la festa. All’ultima curva, ha afferrato la bandiera con la Union Jack, se l’è messa sulle spalle e ha tagliato il traguardo in parata, laureandosi campione olimpico di Mtb a Tokyo. Fenomeno.
Poco meno di 10′ di gara. VdP arriva al salto…Ma (forse) è stato tolto un appoggio e cade maleScivola ad alta velocità, sbattendo a terra e contro la sua stessa biciQuando si rielaza è dolorante. Insisterà per quasi un’ora. Poi lo stopPoco meno di 10′ di gara. VdP arriva al salto…Ma (forse) è stato tolto un appoggio e cade maleScivola ad alta velocità, sbattendo a terra e contro la sua stessa biciQuando si rielaza è dolorante. Insisterà per quasi un’ora. Poi lo stop
Il capitombolo di VdP
L’Izu Mtb Course ha giocato un brutto scherzo, invece, all’altro grande atteso protagonista, Mathieu Van der Poel, autore di un pauroso volo nel primo dei sette giri previsti. L’asso olandese ha perso più di un minuto dal rivale britannico, ma ha stretto i denti e provato a recuperare. Ha dovuto alzare però poi bandiera bianca quando il dolore non gli permetteva più di inseguire.
Un errore dovuto a un dettaglio tecnico del percorso. In pratica, dopo la ricognizione dei giorni scorsi, una passerella è stata tolta e la nuova conformazione del terreno ha ingannato il nipote di Raymond Poulidor, mandando in frantumi i suoi sogni di gloria.
Appena ha potuto l’inglese si è messo in testa e ha fatto una “crono in Mtb”Appena ha potuto l’inglese si è messo in testa e ha fatto una “crono in Mtb”
La rincorsa alla Mtb
Dopo una primavera che l’aveva visto conquistare la Freccia Brabante e poi perdere al fotofinish sia l’Amstel Gold Race (da Van Aert) sia la tappa di Coppa del Mondo di Mtb in Moravia (da Van der Poel), Pidcock non si è perso d’animo. Ed ecco il lampo estivo che dà una svolta alla sua carriera.
Dal titolo iridato under 23 alla gemma olimpica in Giappone, recuperando dalla brutta caduta di inizio giugno con la rottura della clavicola che aveva messo in serio dubbio la sua partecipazione. Invece, eccolo qui in trionfo, per regalare alla Gran Bretagna la terza medaglia d’oro di giornata dopo quelle di Adam Peaty nei 100 rana e del duo Tom Daley e Matty Lee nei tuffi dalla piattaforma di 10 metri.
«Questa gara non ha niente a che vedere con tutte quelle che ho fatto in passato. L’Olimpiade trascende ogni sport, perché rappresenti un Paese e tutta una Nazione è sulle tue spalle, senza fare distinzioni tra le discipline – ha dichiarato il fuoriclasse del Team Ineos (secondo oro dopo quello di Carapaz) – È puro orgoglio nazionale: è incredibile». Poi sul suo recupero lampo dopo l’infortunio ha aggiunto: «È stato un momento difficile. Mi sono rotto la clavicola ed è incredibile essere qui adesso sul primo gradino del podio».
Pidcock è molto bravo tecnicamente. La frattura alla clavicola non lo ha influenzatoPidcock è molto bravo tecnicamente. La frattura alla clavicola non lo ha influenzato
Una gara aggressiva
La tattica di gara aggressiva? Un marchio di fabbrica. «Mi piace prendere il controllo della corsa. Scelgo le mie linee, imposto il mio ritmo – spiega Tom – Una volta che siamo partiti stavo bene, tutto il nervosismo si è dissolto e mi sono concentrato. Meno male che questa roba (ha usato un termine ben più colorito, che non possiamo riportare, ndr) è ogni quattro anni perché è dannatamente (immaginate un altro termine più acceso anche qui, ndr) stressante. È triste che mia mamma e la mia ragazza non possano essere qui, ma non vedo l’ora di vederle: so che stanno piangendo di gioia a casa».
A completare il podio sono stati lo svizzero Mathias Flueckiger (argento) e lo spagnolo David Valero Serrano (bronzo). “Solo” quarto il re del cross country: Nino Schurter che a 35 anni suonati forse dovrà definitivamente abdicare questa leadership tenuta tanto a lungo.
Per Kerschbaumer una discreta partenza, poi un calando continuoPer Kerschbaumer una discreta partenza, poi un calando continuo
Azzurro sbiadito
Il migliore degli azzurri è stato Gerhard Kerschbaumer, ventesimo.
«Non bisogna essere forti solo all’inizio – ha detto mestamente l’altoatesino – ma anche alla fine. Non ero al 100%, forse perché ho ascoltato troppo altre persone in fase di preparazione dei Giochi ed è stato un errore. In futuro, ascolterò di più me stesso». Deludono anche Luca Braidot, 25° e Nadir Colledani, addirittura 34°.
Domani tocca alle donne. Al via per l’Italia ci sarà Eva Lechner.
Lo scalatore britannico (Team Ineos) tra i due fuochi di Van Aert e Van der Poel. Il 2023 di Pidcock punta sulle classiche pensando alla difesa olimpica
Il 3° posto nella volata di Roma fa rialzare la testa a Moschetti. Il velocista della Q36.5 usciva da un Giro faticoso e ha ritrovato il modo per sorridere
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Giornate così ti riconciliano con il ciclismo, ma c’è da dire che sin dall’inizio tutto questo Tour è stato un tributo al bello dello sport. Così quando si è capito che la tappa più lunga si stava trasformando in un grande show, composto da storie più piccole incastrate fra loro, seguirla è diventato sorprendentemente bello.
Da dove cominciare è davvero difficile. Da Mohoric, forse, e le sue lacrime negli ultimi metri? Oppure da Nibali che s’è desto e s’è portato a spasso in salita la passione italiana? Oppure da Pogacar, messo in mezzo da ceffi più grossi e incapace di reagire? O forse da Van der Poel e Van Aert, che per qualche minuto è parso di vederli sfidarsi in una prova di Superprestige? Oppure da Roglic, sprofondato in quel fastidio che non passa e gli ha impedito di spingere? O ancora da Carapaz che ha tagliato il cordone ombelicale ed è andato a prendersi il ruolo di leader al Team Ineos?
E’ successo tutto nello stesso giorno e davvero non basterebbe tutta la notte per raccontare ciò che una tappa del genere ti lascia addosso.
In lacrime dopo la caduta del Giro: è un Tour di emozioni fortissimeIn lacrime dopo la caduta del Giro: è un Tour di emozioni fortissime
Festa Mohoric
Mohoric ha vinto tappe al Giro e anche alla Vuelta. E il carico di emozioni che si è addensato nel suo petto durante quegli ultimi metri è stato più forte di lui. Avrà pensato alla paura dopo la caduta del Giro. Alla lenta risalita. E poi non ha capito più niente, crollando sotto il peso di un’emozione irrefrenabile.
«E’ incredibile – dice Mohoric – negli ultimi 20 chilometri, le mie gambe urlavano, ma non le ho ascoltate. Questa è stata la mia vittoria più bella. Prima di tutto perché siamo al Tour de France, la corsa più grande del mondo. In secondo luogo, sono arrivato in fondo alla fuga e ho battuto alcuni fra i corridori più forti del mondo. L’idea era di lottare per la maglia a pois infatti ho preso i cinque punti, poi speravo che si sarebbero guardati l’un l’altro, permettendomi di vincere la tappa. E farlo indossando la mia maglia da campione nazionale è ancora più speciale».
Il Uae Team Emirates ha inseguito, ma lo sforzo non è servito a molto. Qui FormoloIl Uae Team Emirates ha inseguito, ma lo sforzo non è servito a molto. Qui Formolo
Bentornato Squalo
Nibali, santo Nibali, da quanto ti aspettavamo così? E chissà da quanto anche tu aspettavi di poter giocare in corsa come quando gli altri annaspavano e a te riusciva tutto facile. L’ultima volta che hai vinto qui, ti lasciarono quasi andare, poi fosti bravo a resistere al ritorno del gruppo. Oggi invece sei partito da cattivo con quelli forti. Oggi è stata una vera azione da Squalo, bentornato!
«C’erano degli uomini importanti – dice – non si poteva guardare dall’altra parte. Le gambe nel finale erano buone. Van Aert e Van der Poel sono andati e io li ho seguiti. Domani ci sarà un’altra giornata dura e sono curioso di vedere come andrà. Per noi è arrivato il secondo posto. Sapevamo che non sarebbe stato semplice, ma comunque abbiamo provato a vincere».
Resta il dubbio del perché Skuijns non sia rimasto con lui a tirare perché potesse guadagnare ancora più terreno su Pogacar. Fra quelli davanti, tolti gli uomini delle classiche, il primo della classifica è ancora Pogacar, secondo è Nibali a 29 secondi.
Fra le belle notizie di giornata, la presenza di Nibali nel gruppo in fuga. Lo Squalo c’è ed è show anche questoFra le belle notizie di giornata, la presenza di Nibali nel gruppo in fuga. Lo Squalo c’è ed è show anche questo
Vdp oltre il limite
Già, Van der Poel è di quelli con le ore contate. Suo padre dice che ci ha abituati alle sorprese e forse non è nemmeno fuori luogo immaginare che possa superare la tappa di domani. Sognando parecchio, s’intende. Ma oltre sarebbe troppo anche per l’amore di suo padre Adrie.
«Non ricordo di aver vissuto altri giorni così duri – dice – sono andato al massimo per tutto il giorno. E’ stato chiaro stamattina che tanti corridori volessero andare all’attacco. Andavamo forte e siamo partiti in tanti. Oggi Van Aert è stato davvero forte, ma io sono riuscito a battermi ugualmente per la maglia gialla. A questa maglia voglio dedicare tutto perché è la più bella. Sono andato al limite, vediamo come andrà la corsa domani. Proverò a tenerla, voglio divertirmi».
Van der Poel e Van Aert in caccia insieme, come nel cross, come al NordVan der Poel e Van Aert in caccia insieme, come nel cross, come al Nord
Van Aert rideva
Nella Jumbo-Visma s’è consumato il dramma. Con Roglic colato a picco e Van Aert secondo in classifica, si fa fatica a capire dove voglia andare lo squadrone olandese. A un tratto è parso che ciascuno facesse per sé e davanti a tutti, grande e grosso come un toro, Van Aert è parso divertirsi un mondo.
«Se non ci fosse stato quel pubblico e tanto caldo – ha detto – sarebbe sembrato davvero di essere al Superprestige di Ruddervoorde. Con Mathieu siamo rivali di lunga data e penso che sarà così per sempre, ma oggi ci siamo fatti qualche risata durante la tappa. Mi è piaciuto uscire dalla solita routine del Tour e andare in fuga. Il piano era quello, per puntare alla tappa e semmai alla classifica. Ero sicuro che anche Mathieu sarebbe stato pronto, è bellissimo vederlo correre così. Avremmo potuto farci la guerra, ma ci siamo detti che sarebbe stato meglio collaborare. Non avevamo fatto i conti con Mohoric, purtroppo. Ma adesso tengo duro. Sono curioso di vedere come recupererò domani dopo una tappa così dura. Ma di una cosa sono certo. Se domani Pogacar sarà forte e aggressivo, noi potremo fare ben poco».
Dal gruppo Pogacar, Carapaz è uscito come una fucilata: uno show nello showDal gruppo Pogacar, Carapaz è uscito come una fucilata: uno show nello show
Pogacar fa il furbo?
Già, ma Pogacar cosa fa? Come può essere che il campione che ha strapazzato tutti nella crono di colpo perda interesse nell’inseguimento e arrivi a più di 5 minuti da Mohoric? Che sulla sua ammiraglia possano aver davvero pensato che quelli davanti in prospettiva non fanno così paura e sarà meglio spendere meglio e bene nella prima vera tappa alpina?
«Abbiamo cercato di chiudere – dice – ma forse abbiamo commesso un errore e abbiamo dovuto lavorare tanto. Conosco la mia squadra, so che sono forti e che dopo un bel recupero saranno pronti per la tappa di domani. Si va avanti giorno per giorno, ma cercheremo di superare questo momento. Sono contentissimo per Mohoric, non so cosa sia successo a Roglic. Ma se guardo la classifica dico che non è successo poi niente di così grave da dover essere per forza preoccupati».
Il mondo addosso. Roglic arriva a 9’03” e in classifica scende al 33° postoIl mondo addosso. Roglic arriva a 9’03” e in classifica scende al 33° posto
Come stia Primoz lo spiegano con una nota i medici del team: dopo la caduta Roglic non può sedersi bene sulla sella e di conseguenza non riesce a pedalare. Pare sia presto per valutare di lasciare la corsa, ma che malinconia quando si punta tutto su un traguardo e per uno stupido incidente di corsa si vede tutto sfumare nel nulla.
Sui media olandesi da ieri sera gli eroi sono due: Mathieu Van der Poel che ha conservato la maglia gialla e un certo Mark Putter che si è sciroppato un viaggio di 10 ore per consegnargli le ruote necessarie e che assieme a sua moglie Elma gestisce un lodge sui Pirenei, dal nome Les Deux Velos. Questa è la storia di un viaggio incredibile, per come si è potuto ricostruirla sommando quello che abbiamo saputo di prima mano al contributo de L’Equipe e di Het Nieuwsblad.
Prima telefonata
Il team manager della Alpecin-Fenix si chiama Christoph Roodhooft e lo scorso anno durante una sorta di reality organizzato da Alpecin, ha conosciuto Meindert Klem, rappresentante di Princeton CarbonWorks, le stesse ruote usate da Ganna e la Ineos, di cui vi parlammo lo scorso anno al Giro.
Klem è pure lui olandese, molto noto in patria per essere stato canottiere alle Olimpiadi di Pechino e con Alpecin si è allenato per partecipare all’Oetztaler. Roodhooft lo chiama quando Van der Poel prende la maglia gialla. Gli dice che Shimano è d’accordo perché si faccia uno strappo alla regola e gli chiede di trovare una coppia di ruote per la crono della quinta tappa.
«La chiamata – ricorda Klem – è arrivata lunedì mattina. Mi chiede se ho da fornirgli un set di ruote Princeton Blur 6560, perché anche Canyon che fornisce le bici è d’accordo che Mathieu provi a difendere il primato».
Christoph Roodhooft, manager Alpecin-Fenix: sua l’idea di partenza
Meindert Klem con l’altra concorrente Joy in una foto dal reality Alpecin
Ecco il Lodge (foto invernale) da cui è partito Mark Putter
L’attività di Les Deux Velos è ripartita da poco, dopo la chiusura Covid
Christoph Roodhooft, manager Alpecin-Fenix: sua l’idea di partenza
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Le ruote di Ganna
Il guaio è che quel set di ruote non esiste e così si accordano per assortire una combinazione fra la Wake 6560 da 60 millimetri per l’anteriore e la Blur 633 Disc per il posteriore. Entrambe le ruote nascono per l’uso con copertoncino e si punta sui Vittoria Corsa Speed.
Il problema, come avevamo raccontato, è che la ruota Blur è prodotta in quantità davvero limitata e la possibilità di trovarla in Europa in epoca Covid è prossima allo zero. Il modo migliore, suggerisce Klem, è farsi dare una coppia da un corridore della Ineos, ma figurati se la squadra britannica darebbe mai un vantaggio del genere a un rivale. Senza considerare il fatto che anche loro si trovano al Tour con materiali limitati e che soprattutto a Van der Poel serve una ruota per freni a disco e Ineos al Tour le ha soltanto con freni normali.
Si mette così in moto la solidarietà fra canottieri. Infatti Klem pensa subito a Cameron Wurf, a sua volta canottiere prima di diventare ciclista. L’australiano vive ad Andorra e ha le ruote che servono (già, un corridore della Ineos ha ruote con i dischi: ne riparleremo), si tratta solo di portarle a Rennes. E qui entra in scena Mark Putter: vi ricordate di lui? Ne abbiamo parlato in apertura…
Doppio freno a disco: le aveva Wurf, la Ineos si prepara al passaggio?Doppio freno a disco: le aveva Wurf, la Ineos si prepara al passaggio?
Seconda telefonata
Lunedì sera, sua moglie Elma riceve una telefonata “strana”. L’uomo al telefono è, neanche a dirlo, Meindert Klem, che per una serie di strani incroci ha alloggiato nel loro lodge cinque anni prima.
«Mi chiede se possiamo prendere le ruote da un corridore che vive in Andorra – ricorda Mark – e portarle a Rennes da Van der Poel. Io sono pazzo per il ciclismo e quello che ha fatto Mathieu nei giorni precedenti è incredibile. Sarebbe grande se potessi aiutarlo a tenere la maglia portandogli quelle ruote, per cui dico di sì e martedì mattina alle 8 sono già alla porta di Cameron Wurf».
Le ruote viaggiano nell’abitacolo e dopo quasi 900 chilometri e 10 ore di strada, ecco l’hotel della Alpecin-Fenix.
Di corsa a casa
Mark dorme nell’hotel dei meccanici e visto che quello di famiglia è strapieno, avendo peraltro riaperto da poco, si rimette subito in viaggio verso casa. Non riesce a seguire la cronometro e non sa che mentre lui guida immaginando di raccontare la straordinaria avventura ai suoi amici, chiedendosi se gli crederanno, la radio e la stampa olandesi stanno facendo di lui l’eroe della gloriosa difesa di Van der Poel.
Van der Poel ha affrontato la crono con l’impeto del cacciatore di classicheVan der Poel ha affrontato la crono con l’impeto del cacciatore di classiche
Senza allenamento
Alla vigilia della crono, sul tema viene chiamato in causa anche Adrie Van der Poel, padre della maglia gialla. Il vecchio olandese sa bene che Mathieu non ha fatto alcun tipo di preparazione sulla bici da crono: pare che nemmeno ce l’abbia a casa e l’abbia usata in gara soltanto alla Tirreno-Adriatico e due volte al Giro di Svizzera.
«Non ha tempo di allenarsi per quello – dice Adrie e non si sa se ne sia contento – se potesse dedicare il tempo trascorso in mountain bike alla bici da cronometro, sarebbe diverso. Ma sono curioso come chiunque altro. Non sarebbe la prima volta che ci sorprende…».
Alla Tirreno aveva ancora la bici 2020: la nuova Canyon Speedmax CFR Disc ha debuttato al GiroAlla tirreno sulla bici 2020: la nuova Canyon Speedmax CFR Disc ha debuttato al Giro
Un giorno in più
E la sorpresa arriva. Dopo aver tagliato il traguardo, Van der Poel corre verso l’ammiraglia per abbracciare Christoph Roodhooft che non sta nella pelle.
«E’ stato davvero incredibile. Dice alla televisione francese – martedì sera abbiamo lavorato sulla bici fino a mezzanotte per la posizione ed essere aerodinamici. E’ stato uno dei giorni più belli della mia carriera ciclistica. E’ incredibile con questa maglia in Francia, con il pubblico che mi ha davvero supportato, è stato enorme. Quando ho detto che non sarei stato in grado di mantenere la maglia, era davvero quello che pensavo. Stamattina, quando ho fatto la ricognizione, ho capito invece che il percorso mi andava bene. Sono molto felice di tenere la maglia per un giorno in più. In montagna chiaramente non ci riuscirò. Quello che ha fatto Pogacar è enorme, tanto di cappello per lui».
Dopo l’arrivo, sfinito, Van der Poel ha tenuto la maglia gialla per 8″Dopo l’arrivo, sfinito, Van der Poel ha tenuto la maglia gialla per 8″
Tecnologia e passione
In realtà delle due ruote alla fine è stata utilizzata soltanto la posteriore, la Blur. Ma questa è la dimostrazione di come il ciclismo diventi magico quando la tecnologia si unisce alla passione degli uomini. Non abbiamo capito se a capo di quel suo viaggio così folle, Mark Putter abbia incontrato Van der Poel oppure no. In ogni caso, l’olandese ha un enorme debito di riconoscenza nei suoi confronti e siamo certi che lo salderà. E forse questo bagno di passione lo aiuterà dopo Tokyo nella sua scelta di campo fra strada e mountain bike.
Roglic al Delfinato, Pogacar in Slovenia. Uno in cerca di conferme, l'altro per rilassarsi. Con Malori nei diversi percorsi dei due sloveni verso il Tour
«Oggi è stata bruttina – diceva ieri Sbaragli – ma tanto lo fa anche lo stress dei corridori. Comunque siamo partiti bene, il morale è alto. Io sono in fase di recupero, spero di riprendermi al meglio nei prossimi giorni. Ho sempre parecchia infiammazione in bocca e un po’ il costato fa male, ma si va avanti…».
Un aereo verso Parigi, poi al mattino dopo in treno per raggiungere Brest. Prima di sapere delle cadute e delle vittorie rutilanti del secondo e terzo giorno nella sua squadra, il Tour di Kristian Sbaragliè iniziato così. Viaggiando in solitudine, in compagnia solo dei propri pensieri, avvicinandosi alla sua prima esperienza nella Grande Boucle rimbalzando continuamente fra mille emozioni, assaporando quella tensione che a momenti è qualcosa di difficilmente sopportabile, subito dopo con il sapore dolce dell’entusiasmo.
A 31 anni il corridore toscano affronta il Tour per la prima volta e non è che di esperienza nei grandi giri non ne abbia: 4 partecipazioni al Giro, 3 alla Vuelta, tutte contraddistinte da un fattore comune, il fatto che ha sempre portato a termine le tre settimane di gara. Una caratteristica che ha convinto i responsabili dell’Alpecin Fenix a inserirlo in squadra e che gli dà sicurezza.
Sbaragli è chiamato a lavorare sin dall’inizio per un team che parte senza i grandi obiettivi di altre squadre: «Non abbiamo un uomo da classifica – racconta – vivremo un po’ alla giornata, innanzitutto per Mathieu Van Der Poel finché sarà in corsa. Sappiamo che l’olandese mollerà prima per trasferirsi a Tokyo e preparare la gara olimpica di Mtb, ma finché sarà qui non lo farà per essere una comparsa. Poi c’è Merlier che punta alle volate, dolori da caduta permettendo…».
Kristian Sbaragli affronta il suo primo Tour, ma ha già concluso 4 Giri e 3 VueltaKristian Sbaragli affronta il suo primo Tour, ma ha già concluso 4 Giri e 3 Vuelta
Tu quali compiti avrai?
Io dovrò lavorare per loro, giorno dopo giorno, essere lì soprattutto nei finali di tappa per dare loro sicurezza e risolvere i problemi. La nostra è una squadra giovane, io sono tra quelli più esperti proprio perché, anche se sono al primo Tour, so che cosa significa affrontare una gara di tre settimane.
E cosa significa?
Devi essere forte innanzitutto mentalmente, capire che devi tenere duro e che se arriva una giornata no la devi quasi mettere in preventivo, ma passare subito al giorno successivo. Io ho corso nei grandi Giri con ruoli diversi, li ho affrontati come velocista della squadra o come uomo di appoggio, conosco quindi la pressione che comporta a qualsiasi livello. Lo stress è una brutta bestia e a questo tipo di stress VDP non è abituato, ma ci sarò io.
Come ti sei preparato per il Tour?
Sapevo sin dall’inizio della stagione che sarei stato chiamato in causa per questo evento e la preparazione è stata tutta mirata. Dopo la Campagna delle Ardenne ho recuperato, ho fatto due settimane in altura e poi ho disputato il Giro del Belgio. Non ho corso tantissimo, ma questo mi consente di arrivare all’appuntamento clou ancora fresco.
Kristian Sbaragli, 31enne di Empoli, è al secondo anno all’Alpecin Fenix. al suo attivo 2 vittorie da proKristian Sbaragli, 31enne di Empoli, è al secondo anno all’Alpecin Fenix. al suo attivo 2 vittorie da pro
Che Tour ti aspetti?
La prima settimana sarà una battaglia continua: non essendoci un cronoprologo introduttivo, ogni frazione può essere quella giusta per conquistare la maglia gialla e ad aspirare ad essa sono in tanti, in attesa che escano fuori i grossi calibri.
Sapete già quando VDP mollerà?
Non è stato stabilito in partenza, dipende da come si evolverà la gara, lui sa che servirà essere a Tokyo in anticipo, anche per espletare i giorni necessari di quarantena, ma la sua intenzione è di rimanere in gara il più possibile.
Sbaragli sarà al Tour solo come gregario? In fin dei conti un’esperienza vittoriosa alla Vuelta già ce l’hai…
La ricordo bene, quella giornata a Castellon de la Plana nel 2015, eravamo un gruppo di una quarantina di unità, era il giorno prima del riposo e allo sprint battei un nume come Degenkolb: me la godei per un giorno intero… Diciamo che nella seconda parte del Tour potrebbe nascere qualche fuga buona, se capiterà l’occasione non mi tirerò certo indietro.
Sul podio a Castello de la Plana: una vittoria alla Vuelta 2015 che resta la perla della carriera di SbaragliSul podio a Castello de la Plana: una vittoria alla Vuelta 2015 che resta la perla della carriera di Sbaragli
Hai visto l’ultimo Giro d’Italia? Praticamente ogni giorno nasceva una fuga che andava fino al traguardo…
Sì, è stata un’edizione strana, ma non credo che al Tour succederà la stessa cosa. Tanti vogliono vincere le tappe e molte squadre terranno la situazione sotto controllo. Nelle tappe miste la volata non sarà scontata, in quelle di montagna potrà anche nascere qualche fuga giusta se i capitani in lotta per la classifica lasceranno fare, ma ci saranno meno occasioni che al Giro, anche perché in Italia corridori da classiche ce n’erano pochi.
Se l’Alpecin Fenix corre senza velleità di classifica, puoi anche avventurarti in un pronostico da esterno…
Onestamente Roglic e Pogacar sono superiori, noi abbiamo fatto una ricognizione sulle due tappe alpine più dure e sono convinto che lì emergeranno i valori individuali al di là della potenza delle varie squadre. Io dico che quest’anno Roglic non ripeterà gli stessi errori, per me è il favorito.
Nei primi giorni del Giro d’Italia, quando Lorenzo Fortunato era soltanto il numero 115 nell’elenco dei partenti e la Eolo-Kometa faceva fatica a mostrare la sua identità, fra le tante voci che si rincorrevano nel gruppo – peraltro confermate dallo stesso Ivan Basso – c’erano anche quelle per cui si fosse sulle piste di Nibali e Viviani. A distanza di un mese dalla fine della corsa rosa, il punto di vista è cambiato e quella personalità latente è venuta fuori in modo inatteso e importante.
«Avevamo tre step – spiega Basso – e il primo prevedeva in effetti l’innesto di un top rider fra Elia e Vincenzo. Il secondo era continuare nella dimensione attuale, il terzo punto era tenere i gioielli di famiglia e inserire qualche rinforzo. E alla fine abbiamo scelto quest’ultimo, continuando il processo di crescita naturale previsto all’inizio del progetto».
E proprio dall’inizio vogliamo partire con il varesino, avendo vissuto al suo fianco i vari step della nuova squadra, per capire in che modo stiano andando le cose. E anche per parlare della sua voglia di ricreare l’ambiente Liquigas, tirando dentro per il prossimo anno il dottor Corsetti e probabilmente anche un ex compagno di squadra con un ruolo più vicino al marketing. Un punto della situazione dopo i primi mesi di viaggio.
Dopo la vittoria sullo Zoncolan, Fortunato nei 10 anche all’Alpe MottaDopo la vittoria sullo Zoncolan, Fortunato nei 10 anche all’Alpe Motta
Insomma, come va?
In proiezione, oltre ogni più rosea aspettativa. Ovvio che le analisi vanno fatte quando le cose vanno male, quando vanno bene e quando vanno più che bene e le abbiamo comunque affrontate. Così come credo che la prima valutazione positiva vada data allo staff coeso che ha messo i corridori nelle condizioni di esprimersi.
Ecco, i corridori. Tanti dicevano non fossero poi un granché…
Abbiamo iniziato a fare mercato in agosto e abbiamo puntato su ragazzi che per diverse ragioni non si erano ancora espressi. Ma se uno è forte nelle categorie giovanili e poi sparisce, le responsabilità sono da suddividere anche con il contesto in cui si trovava. L’atleta talentuoso difficilmente sparisce. Ma ha bisogno del giusto ambiente.
E torniamo allo staff di poco fa…
Se devo prendermi un merito, è proprio quello di aver messo insieme un gruppo di altissimo livello. L’esperienza di due direttori sportivi come Zanatta e Yates si è vista e la freschezza di Jesus Hernandez ha completato il quadro. E ora la squadra si è rivalutata di parecchio. I corridori ci hanno messo del loro, il gruppo di lavoro li ha supportati.
Nel rilancio (ancora in corso) di Albanese, la mano di ZanattaNel rilancio (ancora in corso) di Albanese, la mano di Zanatta
Come va con il grande capo Luca Spada?
Ci assomigliamo, abbiamo lo stesso modo di buttarci nelle cose e Pedranzini, titolare di Kometa, è lo stesso. Spada vive la squadra, come dovrebbero fare i presidenti delle società sportive, per capire in che modo il team possa essere funzionale all’azienda e viceversa. Ha investito. Per la prima volta dai tempi di Pantani, tolta qualche apparizione di Nibali con il turismo delle Marche, un corridore vestito da ciclista è tornato protagonista di uno spot televisivo.
La vittoria ha cambiato la partecipazione di Eolo?
Più che vincere, che ovviamente fa piacere, gli piacciono la progettualità e la costanza. Se vincessimo una corsa e poi sparissimo, non sarebbe una gran cosa. Ma se vinciamo una corsa, siamo protagonisti e poi ne vinciamo un’altra, allora vuol dire che la struttura funziona. E la squadra è andata tanto al di sopra, per cui abbiamo cominciato a pensare al modo migliore per continuare.
Come farete?
Prima cosa, abbiamo scelto di mantenere i talenti migliori. Chiaro che il loro valore sia aumentato e non è neanche servito parlarne tanto con i nostri sponsor, che sanno benissimo che il prezzo di un atleta lo fanno i risultati e il mercato. Dove lo trovi uno scalatore italiano di 25 anni, che vince sullo Zoncolan e sul Grappa e con cui si può pensare di fare una classifica al Giro? Perdere Fortunato significherebbe rinunciare a quella progettualità, per cui siamo vicini a chiudere.
Pensavi che sarebbe sbocciato in questo modo?
Quando è arrivato siamo partiti da zero. Gli ho detto che non credevamo che il suo valore fosse quello che aveva espresso. Gli ho detto quello che mi aspettavo da lui. Lo abbiamo resettato. E i risultati sono venuti.
Il talento a volte si perde anche per l’aspetto psicologico.
Infatti l’allenamento mentale viene prima di tutto il resto, è il primo punto Quando guardi i file dei corridori, a meno che non sei davanti a un lazzarone seriale, hanno sempre numeri buoni. Poi vanno in corsa e non rendono. Il blocco è nella testa. Non puoi essere costantemente 4 chili sopra il peso forma, c’è qualcosa che non va. E’ un corto circuito. Ti sfiduci e si mette in moto un circolo vizioso da cui è difficile venir fuori.
Ottimo Gavazzi, con il secondo posto a Guardia Sanframondi e il ruolo di registaOttimo Gavazzi, con il secondo posto a Guardia Sanframondi e il ruolo di regista
Quindi non vedremo grossi nomi?
Vedremo qualche rinforzo, ma nessuno che dia un’accelerazione troppo violenta al gruppo. Non eravamo pronti per supportare uno come Viviani, per fare un esempio. La squadra sarà strutturata allo stesso modo.
E il team under 23?
Ecco, questo è un bel punto e una bella novità. Il team migliorerà: diventerà per metà italiano e per metà spagnolo. Montoli e Piganzoli sono i due fiori all’occhiello. Entrambi hanno fatto la maturità e Piganzoli ugualmente ha fatto un ottimo Giro d’Italia.
Tutto secondo i piani?
Anche meglio. La squadra si è rivalutata di un 30 per cento e faremo di tutto per proseguire così. E poi la stagione non è mica finita…
A ben guardare, i soli a fare festa ieri al Tour sono stati i ragazzi della Alpecin-Fenix, mentre tutti gli altri hanno passato la serata a leccarsi le ferite e confrontarsi sul tema della sicurezza, che questa volta è arrivato anche al Tour. Caleb Ewan oggi non ripartirà per una clavicola rotta, Roglic invece non ha fratture e prenderà il via. Ma la domanda che ci si pone oggi nel gruppo dei tecnici più accorti riguarda la capacità stessa dei corridori di essere lucidi, nel frastuono degli elicotteri, delle moto attorno, degli auricolari nelle orecchie, dei tifosi che urlano e si sporgono…
Secondo giorno di brindisi per Vdp e i suoi compagniSecondo giorno di brindisi per Vdp e i suoi compagni
«Gli ultimi 50 chilometri sono stati pericolosi – ha commentato Van der Poel, primo sul traguardo di domenica – ero davanti per evitare di cadere. Mi sentivo molto bene. Avevo detto che se avessi potuto avrei aiutato i miei compagni, ma dovevo stare attento a non dare tutto perché sapevo che Alaphilippe avrebbe potuto approfittarne. Il primo giorno con la maglia gialla è stato speciale e speciale è anche quello che abbiamo fatto con la nostra squadra».
Merlier sogna
Merlier al settimo cielo lo ha ringraziato per non aver tirato come l’anno scorso alla Tirreno-Adriatico nella tappa di Senigallia, quando Mathieu lanciò lo sprint con così tanta veemenza, che passarlo fu davvero difficile. E considerando che nel 2019 ebbe problemi nel trovare squadra, al punto da passare per un anno in una continental (la Pauwels), si capisce la sua leggerezza nel raccontare la vittoria e nello stare alla larga dal tema sicurezza che finalmente è diventata motivo di discussione anche in Francia.
Transenne basse e cellulari ad altezza testa: altro fattore di rischioTransenne basse e cellulari ad altezza testa: altro fattore di rischio
«Avevo già vinto al Giro quest’anno – ha detto – ma il Tour de France è la corsa più grande del mondo e sono molto felice. E’ incredibile quanto nervosismo ci fosse, pensavo che visti i primi giorni e le prime cadute, sarebbe stato tutto più tranquillo, ma alla fine no. Con due tappe vinte, qualunque cosa accada d’ora in avanti, il nostro Tour è già positivo. Sto vivendo un sogno di cui forse non mi rendo ancora conto, ma non credo che lotterò per la maglia verde».
Gouvenou spiega
Chi non ha passato un bella serata è Thierry Gouvenou, 52 anni, professionista dal 1990 al 2002, che dal 2004 lavora con Aso ed è l’incaricato al percorso del Tour de France.
Marc Madiot ha sollevato un allarme molto importante: bisogna cambiareMarc Madiot ha sollevato un allarme molto importante: bisogna cambiare
«E’ facile dire che il finale fosse pericoloso – ha detto – ma bisogna rendersi conto che è sempre più difficile trovare punti di arrivo. Per questa tappa abbiamo dovuto togliere dalla lista le città di Lorient, Lanester, Hennebont e Plouay, che ci sembravano troppo pericolose. Non abbiamo più una città di medie dimensioni senza rotonde o restringimenti. Nel Tour de France di 10 anni fa, contammo 1.100 punti pericolosi, quest’anno siamo a 2.300».
Sindacato respinto
Ma questa volta il problema non sono state rotonde e spartitraffico, ma il disegno stesso del finale di tappa, con la discesa che catapultava il gruppo a velocità folle in un toboga di stradine strette. Tanto che il Cpa, il sindacato dei corridori, ha provato a dire qualcosa, ma è stato rimandato al mittente.
Nella caduta in cui si è infortunato Haig, anche Demare e ClarkeNella caduta in cui si è infortunato Haig, anche Demare e Clarke
«Vista la pericolosità del finale – ha spiegato il vicepresidente Chanteur – e a seguito della richiesta di un certo numero di corridori, abbiamo chiesto che la neutralizzazione venisse ampliata fino ai 5 chilometri dall’arrivo. L’ho proposto a Gouvenou che è parso favorevole, ma quando al mattino sono andato a parlare con i commissari della Giuria, loro si sono impuntati. Hanno che la regola era la regola e che non potevano esserci deroghe».
L’allarme di Madiot
Il più netto di tutti è Marc Madiot, team manager della Groupama-Fdj. Perché è vero che le strade sono strette, ma va anche considerato che è ormai sparito dal vocabolario dei corridori il termine prudenza. Si legge che non sono pagati per vincere e che un solo secondo perso può essere decisivo, ma se sommiamo questa determinazione… satanica ai rumori ambientali (elicottero, moto, pubblico che urla e auricolari nelle orecchie) si capisce che per un corridore non è affatto facile mantenere la necessaria lucidità nei finali.
Vincenzo Nibali in salvo al traguardo, nel giorno della convocazione olimpicaVincenzo Nibali in salvo al traguardo, nel giorno della convocazione olimpica
«Capisco che le famiglie che guardano il Tour in televisione – ha detto Madiot – non vogliono che i loro figli vadano in bicicletta. Sono un padre e non vorrei vedere mio figlio fare il ciclista professionista dopo quello che abbiamo visto ieri. Non è più ciclismo, non possiamo continuare così. Dobbiamo cambiare le cose, sia in termini di attrezzature, di formazione, uso degli auricolari. Dobbiamo cambiare, perché le cose non stanno andando bene. Se non lo facciamo, avremo delle morti e questo non è degno del nostro sport. La responsabilità è di tutti. Il ciclismo sta cambiando, sta a noi decidere fino a dove vogliamo spingerci».