Fino all’inizio dell’estate Martin Marcellusi era stato uno dei corridori pro’ con più chilometri in fuga. Segno che l’atleta della VF Group-Bardiani CSF-Faizanè era attivo, pimpante, sul pezzo… Poi qualcosa si è inceppato e il corridore romano è un po’ uscito dai radar.
Tuttavia qualche giorno fa lo abbiamo di nuovo visto, seppure in una piccola gara, tornare a lottare. Era la Milano-Rapallo e Marcellusi era lì a giocarsela. Ci si chiede se dunque questo finale di stagione possa tornare a splendere per lui. Di certo splendente, ci auguriamo anche nel meteo, sarà il 25 ottobre quando in Sicilia, dove si è trasferito, sposerà la sua Cristina.
Martin Marcellusi (classe 2000) è alla quarta stagione da pro’Martin Marcellusi (classe 2000) è alla quarta stagione da pro’
Stando alle statistiche, Martin, eri tra coloro con più chilometri in fuga dall’inizio dell’anno rispetto alle corse fatte, poi questa estate cosa è successo?
Parte tutto dal campionato italiano. Sono caduto subito in partenza, forse dopo un chilometro e mezzo, non di più, e tra le varie contusioni ho sbattuto il malleolo. All’inizio non sembrava niente di serio, tanto che avevo fatto i 200 chilometri di gara. Poi però, mentre tornavo a casa, sentivo che c’era qualcosa al malleolo che non andava. Sono andato in ospedale, hanno escluso le fratture, però non mi hanno avvertito di una ferita più profonda del normale.
E come è andata avanti la cosa?
Faceva molto male e le medicazioni erano particolari. Ogni giorno dovevo togliere la benda, raschiare tutto e mettere pomate su pomate. In pratica alla fine sono stato un mese fermo, perché non riuscivo a pedalare.
Per il dolore?
Più che altro perché col gesto della pedalata il malleolo si muove sempre e poi perché, pur coprendolo, alla fine prendeva sporco. Io così facendo ho preso l’antibiotico per quasi un mese. Facevo anche poco, ma non riuscivo proprio e alla fine uscire in bici era quasi più un male che un bene.
Il malleolo ferito di Martin (foto Instagram)Il malleolo ferito di Martin (foto Instagram)
E finalmente sei ripartito…
Attenzione, non è finita qui. Inizio a fare qualcosina di più e un giorno mi fermo ad un semaforo e svengo. Almeno così mi hanno detto… perché io non ricordo nulla. Mi ha soccorso una signora. Vado in ospedale e ci resto una settimana. Mi fanno ogni tipo di accertamenti: analisi, risonanza, visite… non emerge nulla.
E come si spiega questo blackout?
Non si spiega. Io penso perché dopo un mese di antibiotico quello era il primo giorno in cui tornavo a fare qualcosa in più, magari col caldo… Il problema è che dopo questo altro stop non riuscivo ad uscire da solo. Avevo paura.
Il che è comprensibile non conoscendo a fondo le cause…
Cercavo sempre compagnia. E così mi adeguavo, ma a volte non c’era nessuno e non uscivo. Altre magari facevo qualche ora di allenamento in meno se chi era con me doveva rientrare prima o uscire dopo. Alla fine ho deciso di farmi, come dire, passare la paura, e ho ripreso ad andare da solo. Da lì dovevo capire a che punto fossi, in pratica dovevo ripartire da zero.
Dopo il Limousin, Marcellusi ha disputato altre quattro gareDopo il Limousin, Marcellusi ha disputato altre quattro gare
E come è andata? Qual è stata l’evoluzione di questa storia? Perché per andare a correre un minimo di condizioni serve… oggi più che mai.
Il problema è stato proprio quello. Ho ripreso al Tour du Limousin, in pratica due mesi dopo il tricolore. Non avevo una base, non avevo forza. Erano quattro tappe, ne ho fatte tre perché è stata una sofferenza atroce e ad un certo punto anche inutile. Ora fortunatamente va un po’ meglio.
Come ti sei organizzato tra queste corse e quei pochi allenamenti costruttivi che hai potuto fare?
Grazie al preparatore Borja, che ha capito la situazione, abbiamo cercato di trovare un punto di incontro tra l’allenarsi, il correre e ancora di più il recupero al cento per cento. La condizione era pessima. Un giorno magari facevo 4 ore anche bene e poi ero tre giorni distrutto, vuoto. Così ci siamo sentiti più spesso in quel periodo e abbiamo capito che bisognava lavorare un po’ con più calma. Calma però automaticamente non andava bene con i tempi di ripresa in funzione delle gare che invece erano sempre imminenti. Però è stato l’unico modo per uscirne.
Al Giro d’Italia Martin è stato spesso all’attaccoAl Giro d’Italia Martin è stato spesso all’attacco
Quando hai iniziato a sentire che qualcosa stava migliorando?
La scorsa settimana alla Milano-Rapallo. Nel finale sono andato in fuga, tant’è che speravo in un piazzamento. Purtroppo erano rimasti fuori dall’attacco la Polti-VisitMalta e la MBH Ballan CSB che hanno chiuso. Da lì sono sceso in Sicilia e in questi giorni sono riuscito ad allenarmi meglio.
Ora che gare farai?
Domenica corro alla Coppa Agostoni, poi farò un altro paio di gare nel mezzo e dovrei chiudere con il Lombardia. Mi spiace davvero tanto perché questa stagione tutto sommato era partita bene, ma a quanto pare riuscire a farne una intera bene, senza sfortune, sembra impossibile per me. Però sono molto motivato in vista della prossima.
Chiaro…
Voglio fare bene, voglio un salto di qualità definitivo. Anche con Filippo Magli stiamo pensando a dei ritiri ulteriori questo inverno. Speriamo che faremo il Giro d’Italia, per noi è importantissimo, ma a prescindere è ancora più importante saperlo per tempo perché cambierebbe l’approccio e la preparazione alla stagione stessa.
ROMA – A Martin Marcellusi una volta chiedemmo quale fosse un suo punto di forza e lui ci rispose: la grinta. Che non mollava l’osso facilmente. E in effetti il romano della VF Group-Bardiani in questo Giro d’Italia la grinta l’ha sfoggiata in tante occasioni. Sei volte in fuga, un settimo e due sesti posti (anche se poi in uno dei due è stato declassato all’85°).
Tante volte ha lottato su terreni anche non congeniali. Di certo quello di Marcellusi è uno dei nomi più gettonati che ci ha regalato la corsa rosa. Dalle volate (quasi) di gruppo in Albania, all’arrivo in montagna di Sestriere, fino allo show di Roma. Pensate che proprio prima della partenza della tappa nella Capitale ci aveva detto: «E’ andata, ma non è ancora finita». Covava qualcosa…
Martin Marcellusi (classe 2000) ha concluso il suo terzo Giro d’ItaliaMarcellusi (classe 2000) ha concluso il suo terzo Giro d’Italia
Martin, come giudichi dunque il tuo Giro?
Positivo. Se non mi avessero tolto il piazzamento, il sesto posto nella terza, tappa sarei stato ancora più contento, perché per me e per noi erano punti importanti. Purtroppo mi è rimasto un po’ l’amaro in bocca, però mi sono rifatto bene…
Hai lottato per tutte e tre le settimane e da come eri partito sappiamo che non ti sentivi al top: te lo aspettavi un Giro così gagliardo?
C’era un’incognita un po’ sulla condizione, però nei primi giorni ho visto che stavo bene. Sinceramente non pensavo di poter arrivare alla terza settimana così bene… ma ci sono arrivato, per fortuna! Ora l’obiettivo è mantenere anche questa condizione per le prossime gare, già a metà mese sarà di nuovo in gara. Porto via una buona condizione.
Questa gamba va sfruttata. Possiamo ripartire da qui per ottenere qualcosa d’importante?
Sì, sicuramente dopo Sestriere ho capito che la condizione è buona. La tappa è stata durissima e sono riuscito a ottenere un buon risultato su un percorso che sicuramente non era adatto alle mie caratteristiche. Quindi spero proprio di sfruttarla questa gamba, come dite voi… Il programma prevede, dopo un po’ di recupero, il rientro il 13 giugno a Gippingen, che è una corsa abbastanza dura. L’obiettivo da qui in poi è cercare di mantenere il livello di attenzione elevato fino a lì. E poi ci saranno anche i campionati italiani a fine mese. Quindi si tira dritto.
Hai detto: «Quella di Sestriere non era il mio percorso». Però in più di qualche tappa all’attacco non eri sul tuo percorso. Cosa significa?
Voglio dire che la gamba c’è sicuramente. Ho fatto dei risultati in volata, in salita. Mi manca la cronometro, ma quella penso che non arriverà mai, e quindi penso di essere combattivo un po’ ovunque, anche se al Giro poi ottenere un successo è complicato.
Il romano di Corcolle (paese appena ad Est della Capitale) in fuga nella tappa finaleIl romano di Corcolle (paese appena ad Est della Capitale) in fuga nella tappa finale
Se dovessi fare un’autoanalisi di questo Giro, come ne esce Marcellusi? Che corridore sei?
Scalatore no, passista nel senso stretto neanche, direi uno scattista… sto un po’ nel mezzo.
Raccontaci qualcosa che solo tu e pochi altri che l’avete vissuto da dentro potete fare. Ti sei ritrovato nell’epilogo del Giro con Van Aert e Simon Yates…
Incredibile veramente! Personalmente non stavo molto bene prima del Colle delle Finestre, poi quando sono arrivato lì sotto e ho visto il GPX che dava 18 chilometri di salita, ho pensato che fosse solo questione di testa. Quindi mi sono messo lì del mio passo, e piano piano riprendevo corridori, e ho scollinato a poco da Van Aert. Sapevo che poi avrebbe aspettato Simon Yates. Mi avevano comunicato dalla radio che Simon era dietro e stava risalendo. Così per non saltare ho lasciato andare Van Aert e in un certo senso ho aspettato Yates.
In un certo senso…
Non l’ho aspettato perché volessi, ma perché le gambe erano quelle che erano. A quel punto ho cercato di gestirmi tra la sua risalita e la distanza dal GPM. Credo di aver scollinato dieci secondi davanti a lui. Così in discesa ci siamo ricompattati: Yates, Van Aert ed io. Con Wout che tirava.
E come tirava! Dalla tv sembrava una locomotiva che man mano ha ripreso tutti gli altri della fuga…
Mamma mia, il computerino nel fondovalle segnava 370-380 watt… a ruota. Un ritmo asfissiante, tanto è vero che poi li ho mollati quando è ripresa la salita finale perché ero veramente al limite.
A Sestriere l’arrivo davanti a Carlos Verona… dopo averlo redarguito con il più classico dei richiami romani: «Ahò?!»A Sestriere l’arrivo davanti a Carlos Verona… dopo averlo redarguito con il più classico dei richiami romani: «Ahò?!»
A proposito di salita e di arrivo, abbiamo saputo di un siparietto con Verona…
Ma no, è stata una battuta – e intanto ride Marcellusi – eravamo lì sul rettilineo finale, quando ai 200 metri lo vedo che mi affianca e mi passa, dopo che avevo tirato io gli ultimi chilometri, perché lui mi aveva detto che non poteva. Allora…
Ti è uscito un delicatissimo “ahò” romanesco. Ce lo ha raccontato Roberto Reverberi…
Esatto. Mi è uscito spontaneo questo “ahò”… E infatti poi si è rimesso dietro. Più che altro mi ero preoccupato perché eravamo ben messi, si lottava per un buon piazzamento (il sesto posto, ndr) e c’erano dei bei punticini in palio, che per noi della VF Group-Bardiani sono importanti.
Non avete vinto una tappa però alla fine qualche bel punto l’avete portato a casa, no?
Abbiamo fatto il conto giusto stamattina. E se i calcoli sono giusti dovremmo aver racimolato 400 punti, pertanto siamo soddisfatti. Purtroppo è mancata la vittoria e secondo me poteva anche arrivare, però si sa che il Giro d’Italia è complicato, che il livello è alto e bisogna avere anche un po’ di fortuna.
E’ un connubio difficile da realizzare, quello fra prestazione e comodità. Eppure, quando si parla di selle, questo paradigma può essere sovvertito. Selle SMP lo fa da anni, con un approccio scientifico e personalizzato. Per andare forte bisogna essere comodi in sella e il brand veneto lo ha capito prima di tanti altri.
Nata nel 1947 a Casalserugo, in provincia di Padova, Selle SMP è un’azienda a conduzione familiare giunta alla quarta generazione. Nel tempo ha saputo combinare tradizione artigiana e innovazione tecnologica. Il punto di svolta arriva nel 2004 con il lancio della prima sella ergonomica dotata di canale centrale aperto, pensata per ridurre la pressione sulle strutture anatomiche e migliorare la circolazione sanguigna. Oggi Selle SMP produce oltre 40 modelli, specifici per ogni disciplina e tipo di ciclista.
Fra i team professionistici che utilizzano Selle SMP c’è la VF Group–Bardiani CSF–Faizanè, che presto vedremo anche sulle strade del Giro d’Italia. Uno degli alfieri è Martin Marcellusi, con cui abbiamo parlato di scelta, sensazioni e dettagli tecnici.
Il nastrino tricolore dietro alle selle Selle SMP: un classico che racconta del Made in ItalyIl nastrino tricolore dietro alle selle Selle SMP: un classico che racconta del Made in Italy
Martin, partiamo dalla scelta della sella: non è affatto scontata, viste le tante opzioni disponibili. Come si svolge la selezione?
In effetti non è facile scegliere. Abbiamo a disposizione l’intera gamma Selle SMP. Si parte con un colloquio con Davide Polo, referente tecnico del marchio. Gli si spiegano le proprie esigenze, il tipo di seduta preferita e le selle usate in passato. A quel punto lui propone una serie di modelli da testare, quelli che secondo lui possono fare al caso tuo.
Di quante selle parliamo normalmente?
Solitamente due o tre, ma c’è anche chi arriva a provarne cinque. Poi si inizia a testarle.
Tu che caratteristiche cercavi?
Volevo una sella dura e il più piatta possibile. Mi piace una seduta “aggressiva”, mi dà la sensazione di maggiore reattività. Ma al tempo stesso una sella che mi consentisse di spingere in salita, di avere un appoggio robusto.
Non hai menzionato il peso. Come mai?
Perché nel caso della sella non è la mia priorità. Prima di tutto deve essere comoda, perché se ti trovi bene, riesci anche a esprimerti meglio in gara. Comunque quella che uso pesa poco più di 150 grammi, quindi siamo su livelli molto buoni.
La sella F20C SI, usata da MarcellusiC’è anche la versione nera, come del resto per tutti i modelli Selle SMPLa sella F20C SI, usata da MarcellusiC’è anche la versione nera, come del resto per tutti i modelli Selle SMP
Qual è il modello che usi?
La F20 C S.I. La “C” sta per “corta” e “S.I.” per “senza imbottitura”. E’ una sella essenziale, ma mi calza a pennello.
Hai iniziato ad usarla quando sei arrivato alla Bardiani?
No, già la usavo da under 23, ai tempi del Team Palazzago. Allora avevo una Selle SMP Evolution. Quando sono passato pro’ e ho avuto la possibilità di testare tutta la gamma man mano sono arrivato alla F20 C S.I. Mi sono trovato bene fin da subito.
Cosa significa trovarsi bene con una sella?
Che appena l’ho provata mi sono sentito a mio agio. Nessuno schiacciamento, neanche quando ero in presa bassa sul manubrio, nessun intorpidimento alle gambe e anche dopo parecchie ore non avevo problemi. E questa è una cosa da non sottovalutare.
C’è stato un lavoro specifico per trovare la posizione ideale?
Sì, anche se sono dettagli minimi. Alla posizione definitiva ci sono arrivato da solo, ma si parla davvero di millimetri, uno do due al massimo. Micro regolazioni dell’inclinazione. Sono cose che solo il corridore può percepire. La prima importante messa in sella è avvenuta quando c’erano i meccanici del team, poi quella finale, dei ritocchi minimi, l’ho fatta da solo uscendo con la brugolina in tasca.
Quando ci si alza sui pedali la sella non deve essere d’intralcio. Per chi come Martin pedala in punta, avere la versione corta è un vantaggio in tal sensoQuando ci si alza sui pedali la sella non deve essere d’intralcio. Per chi come Martin pedala in punta, avere la versione corta è un vantaggio in tal senso
Durante l’anno quante selle cambiate? E perché si cambia?
Ne cambiamo quattro o cinque, il che non è poco. Ma lo facciamo a cadenze regolari, non perché la sella dia segni di cedimento, anzi, proprio per il contrario. Le Selle SMP sono resistenti, non si “imbarcano” come si diceva una volta. Cambiarle spesso serve proprio a mantenere sempre il massimo livello di prestazione e comfort.
Come mai hai scelto una sella corta?
Un po’ perché mi ci sono trovato bene fin da subito e un po’ perché pedalo molto in punta. La sella corta mi permette comunque di muovermi bene, sia quando mi alzo, sia quando affronto le discese.
Ma se allora pedali in punta non sarebbe più logico usare una sella lunga?
Non necessariamente. La sella corta mi aiuta a non esagerare nello stare troppo in punta. Mi dà equilibrio, mi permette di essere mobile, senza finire troppo avanti col corpo. E poi bisogna pensare che Selle SMP propone selle con un carrello molto lungo, pertanto volendo, si può finire davvero molto avanti. Ma la cosa bella, a prescindere dal mio caso, è che lo spettro delle regolazioni è molto ampio.
TAGLIACOZZO – Un cartello con su scritto 20 per cento incuteva un certo timore. Ma Martin Marcellusi, pur con un bel po’ di watt impressi sui pedali, non si è lasciato intimidire. Forse anche perché, per onestà, quel 20 per cento (che si nota nella foto di apertura) era un po’ gonfiato. Ma la durezza della salita c’era tutta. Quale salita? Quella di Marsia, Tagliacozzo, sede di arrivo della settima tappa del Giro d’Italia, il prossimo 16 maggio.
Con l’atleta della VF Group-Bardiani-Faizanè, ci siamo dati appuntamento in Abruzzo per provare il finale della Castel di Sangro-Tagliacozzo. Un vero e proprio tappone appenninico: 168 chilometri e oltre 3.500 metri di dislivello.
Si entra a Tagliacozzo… Di strade cittadine se ne fanno poche, ma ci sarà un attraversamento ferroviarioAll’uscita di Tagliacozzo, al bivio con la Tiburtina Valeria inizia la scalata ufficialmente. In realtà già si sale da circa 200 metriLa prima parte di salita è stretta ed un susseguirsi di curve. Il panorama offre una veduta sul gruppo Sirente VelinoSi entra a Tagliacozzo… Di strade cittadine se ne fanno poche, ma ci sarà un attraversamento ferroviarioAll’uscita di Tagliacozzo, al bivio con la Tiburtina Valeria inizia la scalata ufficialmente. In realtà già si sale da circa 200 metriLa prima parte di salita è stretta ed un susseguirsi di curve. Il panorama offre una veduta sul gruppo Sirente Velino
Sopralluogo con Marcellusi
Il corridore laziale si è scaldato poco dopo il finale della salita precedente, cioè la lunga discesa che arrivava da Ovindoli, ed è partito per la scalata finale. Subito aveva un buon passo. Nonostante parlasse tranquillamente nel tratto in pianura, filava via sul filo dei 40 all’ora e in salita, pur viaggiando in Z2, era al di sopra dei 20 orari. Mentre saliva, si apriva il panorama e spiccavano le vette ancora imbiancate del gruppo del Sirente Velino.
Tutto intorno regnava il silenzio, rotto solo dalla ruspa dei lavori in corso. Quando siamo riscesi a valle, un operatore ci ha detto che stavano giusto iniziando i lavori per il Giro d’Italia. Si stima che, tra pulizia delle banchine e tratti di asfalto nuovo (di cui possiamo garantirvi c’è assoluto bisogno), la Provincia de L’Aquila abbia stanziato un milione di euro. «Sono praticamente 30 anni che questa strada non veniva toccata», ci ha detto l’operaio.
E ancora: «Ma quel ragazzo farà il Giro vero? Quella maglia l’ho già vista in tv!». Una curiosità genuina che ci ha fatto un enorme piacere.
Il profilo altimetrico della salita di MarsiaE questa è l’altimetria dell’intera tappa, la settima del prossimo Giro d’Italia, la prima di montagnaIl profilo altimetrico della salita di MarsiaE questa è l’altimetria dell’intera tappa, la settima del prossimo Giro d’Italia, la prima di montagna
Alla scoperta di Marsia
La Tagliacozzo-Marsia si può dividere in due grandi tronconi: quello che va dall’uscita della cittadina al Valico di Monte Bove e quello che prosegue da qui fino al traguardo, posto ai 1.425 metri di quota.
I numeri raccontano di una salita non impossibile: 12,2 chilometri al 5,7 per cento. I primi 9,5 sono al 4,6 per cento, i restanti 2,7 chilometri superano il 10 per cento, con una punta del 17 per cento.
«Per ora va bene – ci ha detto Marcellusi un paio di chilometri dopo aver iniziato la salita – ma quello che mi preoccupa è che vedo ancora tanto dislivello da fare e per ora questa strada sale poco. Quel “rosso” che mi segna il Bryton mi spaventa!».
Il riferimento era chiaramente al segmento più duro. E noi per rincarare la dose: «Martin, pensa quando Roglic o Ayuso metteranno la squadra a tirare!».
La prima parte sale veloce. Tutta tra il 4 e il 6 per cento. Non conta solo la pendenza ma anche la planimetria: è tutto un susseguirsi di curve. Non ci sono 10 metri di rettilineo. Incredibile. I primi 4 chilometri sono esposti a Ovest-Nord Ovest: se ci sarà vento contrario, potrebbe pesare.
Arrivati nei pressi di Roccacerro (7 chilometri di salita), la pendenza cala leggermente. Un ampio tornante a destra, il primo sin qui, riporta poi l’inclinazione attorno al 6 per cento. Da qui in avanti le curve diminuiscono e la strada tende a farsi più larga e lineare.
Poco dopo metà scalata si oltrepassa l’unico paesino della scalata, RoccacerroCi siamo. Lasciato definitivamente Roccacerro c’è una biforcazione. Tenendo la sinistra si entra nel segmento finale…Il tratto duro è quasi tutto rettilineoPoco dopo metà scalata si oltrepassa l’unico paesino della scalata, RoccacerroCi siamo. Lasciato definitivamente Roccacerro c’è una biforcazione. Tenendo la sinistra si entra nel segmento finale…Il tratto duro è quasi tutto rettilineo
La rampa finale
A un certo punto, quando si vede troneggiare un immenso hotel in mezzo al nulla, sta per arrivare il tratto duro. Questo hotel potrebbe essere un riferimento per i “girini”. Già da lontano, sulla sinistra, si nota una rampa dritta, mentre la strada principale piega leggermente a destra verso il Valico di Monte Bove.
Alla biforcazione si tiene la sinistra. Da qui, 2,7 chilometri alla cima, cambia tutto. La pendenza aumenta di colpo: si passa dal 6 al 12 per cento in un attimo. E’ tutto rettilineo o con curve larghissime. Si sale a gradoni. Ogni tanto si tocca il 16-17 per cento, ma mai si scende sotto al 10. Anche Marcellusi, adesso, danza sui pedali.
Questo lungo rettilineo non dà respiro. Guai ad andare in acido lattico. Il prezzo potrebbe essere salatissimo. Il rettilineo si interrompe a circa un chilometro dall’arrivo con una doppia “S” dove si addolcisce leggermente la pendenza, ma si resta sempre sul 10 per cento. Poi si passa tra due sponde rialzate, tra faggi fittissimi che quando siamo andati noi iniziavano a germogliare. A quel punto la pendenza crolla e in un centinaio di metri si arriva al traguardo.
Il segmento duro. Marcellusi fa vedere come il suo computerino indichi tratti in rosso: segnale di pendenza a doppia cifraIl segmento duro. Marcellusi fa vedere come il suo computerino indichi tratti in rosso: segnale di pendenza a doppia cifra
Parola a Marcellusi
Ma se questa è la descrizione della scalata ora urgono le sensazioni del corridore. Parola dunque a Marcellusi. Mentre si rivestiva in fretta, vista l’aria frizzantina di questo pianoro abruzzese, il corridore laziale ci ha spiegato bene cosa ha visto, sentito e capito.
Martin, questa salita viene al termine di una tappa dura. Quanto contano le posizioni nella prima parte, visto che è anche tortuosa?
Esatto, viene dopo una tappa dura e questo aumenta la sua difficoltà. Se c’è qualche uomo di classifica che ancora non è in condizione e sente di non avere la gamba dei migliori, le posizioni contano tantissimo. Essendo molto veloce, se la prendi già dietro poi è tosta risalire o peggio ancora chiudere se si dovesse creare un buco. La prima parte è davvero rapida, quindi se una squadra decide di farla a buon ritmo rimontare è difficile. Anche se non ci si stacca, si rischia di arrivare dietro all’imbocco degli ultimi 3 chilometri, che sono quelli che faranno male a tutti. Se al bivio sei dietro, potresti non riuscire più a colmare il distacco dai primi.
Cosa ti è parso della scalata a Marsia?
Le pendenze nella prima parte sono intorno al 5-6 per cento. I più forti saliranno sicuramente a 30 all’ora e più. Tornando alle posizioni, quindi, conteranno. Io oggi in alcuni tratti sono venuto su a 25-26 all’ora stando in Z2 alta, anche Z3. Ho cercato di farla a buon ritmo per avere una percezione più reale della salita. Non andavo piano, ma non andavo neanche a ritmo gara, pertanto immagino che in corsa si farà davvero forte e possa esserci selezione già in questa parte.
Cosa racconterai ai tuoi compagni di questa scalata da Tagliacozzo a Marsia?
Dirò che chi vuole arrivare quassù a giocarsi la tappa deve prenderla davanti, perché la prima parte si farà veramente forte. Scarsa pendenza, tante curve e una strada non larghissima. Quindi stare davanti e stare a ruota il più possibile fino agli ultimi tre chilometri. Da lì poi servirà la gamba. Ci sarà poco da inventare.
Nel tratto duro spariscono le curve…
Esatto. Appena inizia il tratto duro, c’è questo drittone abbastanza largo che può trarre in inganno. Essendo largo non sembra così duro, quindi magari ti sposti cercando di rimontare e, se non conosci bene la strada, rischi di restare lì. Non sai che poi continua così per altri due chilometri e mezzo.
Una doppia “S” tra i faggi arriva al termine del lungo rettilineo e introduce sul pianoro finale…Qui arriverà la tappa. Siamo al 2 per cento di pendenzaIl test termina a Marsia, vecchia stazione sciistica, a 1.425 metri di quotaUna doppia “S” tra i faggi arriva al termine del lungo rettilineo e introduce sul pianoro finale…Qui arriverà la tappa. Siamo al 2 per cento di pendenzaIl test termina a Marsia, vecchia stazione sciistica, a 1.425 metri di quota
Se dovessi fare dei nomi per questo arrivo, su chi punteresti?
E’ una salita che secondo me è adatta a Pidcock. Tom qui potrebbe dire la sua perché l’inizio è veloce. Uno come lui può stare a ruota e non faticare troppo fino agli ultimi tre chilometri. E lì sappiamo che ha una bella fucilata, specie su muri di questa durezza e durata. Poi, va da sé, va bene anche per gente come Ayuso e Roglic. I nomi sono quelli. Saranno loro a giocarsi la tappa.
A meno che non arrivi una fuga…
Eh – sospira Marcellusi – non lo so, ultimamente non arrivano più! O molto poco…
Martin, usciamo un attimo dal discorso degli uomini di classifica. Come si gestiscono gli ultimi tre chilometri?
Dipende. Se sei in difficoltà, devi cercare di non guardare i watt perché è una salita troppo dura. Non riusciresti a gestirla: sei portato a spingere forte. Devi valutare le tue forze solo in base alla distanza che manca all’arrivo. Va presa senza paura. Se invece stai bene e qualcuno la prende di petto, bisogna seguirlo e in quel caso c’è poco da calcolare. Andare a tutta e, nei limiti del possibile, lasciarsi un piccolo spazio per la volata. Però, ripeto, salite come questo finale di Marsia sono troppo dure per essere gestite.
Rispetto agli ultimi Giri, com’è questo primo arrivo in salita?
In effetti anche l’anno scorso siamo partiti con un percorso abbastanza impegnativo (si saliva ad Oropa nella seconda frazione, ndr). Ma questa è tutta una tappa tosta, non solo il finale. Già dopo sette giorni, chi ha calcolato di non arrivare al 100 per cento e di prendere la condizione in corsa potrebbe avere brutte sorprese. E’ un bel rischio. Marsia è una salita dura e potrebbe già segnare distacchi importanti.
Dopo Cozzi, è la volta di Zanatta. La memoria torna alla quinta tappa del Giro e all'attacco finale di Pietrobon a Lucca, ripreso a pochi metri dalla riga
ALTEA (Spagna) – Ultimi appunti della trasferta spagnola e qui si racconta dell’incontro con Martin Marcellusi, corridore romano del VF Group-Bardiani-Faizanè che nel 2025 affronterà la quarta stagione da professionista. L’anno alle spalle è stato di luci e ombre. Qualche bel piazzamento al Giro d’Austria, con il secondo posto dietro Rivera nella tappa di Steyr, da mangiarsi le mani. Il Giro d’Italia prendendo le misure ai grandi e poi la frattura della clavicola al Trofeo Matteotti che ha chiuso anzitempo la sua stagione.
Quello che soprattutto ha fatto parlare è stata la scelta concordata con il suo preparatore di allenarsi per periodi più lunghi puntando a essere più performante al rientro in gara. Uno schema che negli ultimi due anni è stato messo in atto dagli squadroni WorldTour, capaci di grandi ritiri e prestazioni subito vincenti in gara. Una soluzione che forse non funziona con tutti i tipi di atleti e che nel caso di Marcellusi ha convinto a metà.
Dopo il primo ritiro, la squadra dei Reverberi tornerà in Spagna anche a gennaio (foto Gabriele Reverberi)Dopo il primo ritiro, la squadra dei Reverberi tornerà in Spagna anche a gennaio (foto Gabriele Reverberi)
Che cosa resta del 2024?
Ci portiamo via sicuramente qualche bel piazzamento e una clavicola in meno. Finalmente si riparte. In realtà ho già ripreso da un po’ per recuperare dall’infortunio. Il primo novembre ho riacceso i motori, dopo essere rimasto fermo per un mese e mezzo. Ne ho approfittato per fare qualche giorno di vacanza in più. Riparto con più motivazione, volendo riscattare un 2024 comunque non al 100 per cento. Spero che aver cominciato presto mi permetta di arrivare pimpante alle prime corse.
Allenarsi di più, correre meno ma con maggiore qualità: lo schema resta lo stesso?
Il preparatore è rimasto lo stesso, quindi penso che più o meno il 2025 sarà improntato sulla stessa mentalità. Però io ho parlato con la squadra e ho detto che preferirei fare qualche gara in più, anche per avere maggiori possibilità di fare risultato. L’anno scorso ho corso veramente poco (51 giorni di corsa, ndr) vedremo cosa decideranno.
Martin Marcellusi, romano di 24 anni, si affaccia sulla quarta stagione da pro’ (foto Gabriele Reverberi)Martin Marcellusi, romano di 24 anni, si affaccia sulla quarta stagione da pro’ (foto Gabriele Reverberi)
La corsa può darti qualcosa di più?
Sicuramente un po’ di morale, che aiuta anche a lavorare meglio. Se vai avanti per un mese ad allenamenti, mentre vedi i compagni che corrono, diventa tutto più faticoso. Quindi anche fare qualche gara senza per forza cercare il risultato potrebbe aiutarmi a capire a che livello sono arrivato, dato che in allenamento non riesco a capirlo davvero bene.
Ti affacci sul quarto anno da professionista, come procede la crescita?
Mi sento sicuramente a buon punto. Ci sono delle cose da affinare e ci stiamo lavorando, però mi rendo conto di essere uno dei più esperti, anche perché l’età media in questa squadra è veramente bassa. Io faccio la mia parte, si sa che il ciclismo sta cambiando e anno dopo anno è sempre diverso. Per cui, pur avendo 24 anni che non sono poi molti, bisogna lavorare per adattarsi.
Ti rivedi in questi ragazzi oppure quattro anni bastano perché il Marcellusi neoprofessionista sembri davvero un’altra cosa?
Io ero completamente un altro corridore. Adesso a 18 anni già fanno la vita da professionisti, io facevo tutt’altro. Però sono contento del mio percorso, sto venendo fuori piano piano e speriamo di continuare a migliorare. Dovrò avere sicuramente più costanza, ma allenandomi quasi sempre da solo, ogni tanto sento il bisogno di avere compagnia. A Roma è impossibile, quindi stavo anche valutando di prendere un appartamento vicino a qualche compagno di squadra, in modo da allenarmi meglio. Farlo da solo è dura. Quando fai 4-5 ore al giorno da solo, fatichi il doppio e ti annoi il triplo.
Il Giro d’Italia è uno degli obiettivi stagionali di Marcellusi: il finale a Roma ha il suo fascinoIl Giro d’Italia è uno degli obiettivi stagionali di Marcellusi: il finale a Roma ha il suo fascino
Da dove riparti?
In teoria dalle classiche spagnole, fra Valencia e Mallorca. Però aspettiamo ancora l’invito della prima gara che ci sarà il 20 gennaio e in base a quello, ci regoleremo di conseguenza.
Il Giro d’Italia resta al centro dei pensieri?
Sì, finché ci sarà l’arrivo a Roma, sarà una motivazione in più. Quindi cercherò sempre di fare il massimo per partecipare, per meritarmi la convocazione. Finora ci sono riuscito, vediamo il prossimo anno.
Incontro con Cavendish. L'obiettivo Tour ha riacceso il fuoco. I propositi di ritiro spazzati da Vinokourov e dai compagni. Per il ciclismo ha vero amore
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Dall’intervista di Marcellusi è emerso un passaggio importante: «I diesse e i preparatori – ci aveva detto – in accordo tra di loro hanno deciso di cambiare il metodo di lavoro… Lo staff ha preso come modello quello dei team WorldTour».
Una frase che ha aperto alcune domande, una delle quali è stata affrontata anche nell’editoriale di questo lunedì: «Marcellusi è in grado di fronteggiare una programmazione così simile a quella di Pogacar e Van der Poel?».
Marcellusi è tornato in corsa oggi alla Milano-Torino dopo un mese e mezzo (terminata in 8ª posizione)Marcellusi è tornato in corsa oggi alla Milano-Torino dopo un mese e mezzo (terminata in 8ª posizione)
Approccio scientifico
Lo staff performance della Vf Group-BardianiCSF-Faizanè, guidato da Andrea Giorgi e Borja Martinez. è entrato in punta di piedi nel team di Reverberi, portando però tante novità. Una di queste ha riguardato il metodo di allenamento dei ragazzi, in particolar modo di quelli seguiti direttamente da loro. Conforti, che abbiamo sentito di recente ne è una prova. Allora in quale modo Marcellusi è stato indirizzato nel suo nuovo modo di lavorare?
«Il discorso di Marcellusi – ci spiega Borja Martinez – secondo me è diverso. Lui ha cambiato preparatore da tre settimane, passando da quello che aveva prima a me. E’ da poco che lavoriamo insieme quindi. Il concetto che deve passare è che noi non imitiamo il WorldTour, crediamo in quella mentalità. Si cerca l’ultima evidenza scientifica, questo non vuol dire fare copia e incolla, ma studiare e sviluppare. E’ giusto guardare in quella direzione, perché ci confrontiamo tutti i giorni con corridori e staff che vengono da quel mondo. E’ da tanto tempo che Giorgi e io cerchiamo un modo per alzare il livello».
«La mentalità all’estero è diversa – continua Borja – se andiamo a vedere Ineos o la UAE sono tutti team che hanno come capo dello staff performance un dottore di ricerca. In alcuni casi queste persone sono professori universitari. Nel WorldTour c’è un livello accademico alto e professionale, sono sempre stato interessato a portarlo nel mondo delle professional».
L’atleta romano è passato da tre settimane sotto la preparazione di MartinezL’atleta romano è passato da tre settimane sotto la preparazione di Martinez
Cosa ha portato Marcellusi a lavorare con te?
Nel 2023 ci siamo resi conto che Martin ha un bel motore, ma secondo il nostro concetto di squadra gli mancava qualcosa. Abbiamo parlato con lui e abbiamo visto come non sfruttasse il suo talento, a me è arrivato un messaggio e da tre settimane lavoro con lui.
Una mentalità WorldTour, per un ragazzo che ancora sta crescendo potrebbe essere la chiave giusta?
Non deve copiare il metodo di lavoro di Pogacar e di Van Der Poel, non gli si chiede questo. Ma l’evidenza scientifica che emerge è che l’allenamento ad alta intensità che riesce a preparare come una gara. Chiaro che lo stimolo, soprattutto mentale, non è uguale, in corsa è più semplice andare al massimo.
Allora quale sarebbe questa mentalità?
Nel WorldTour è passato il concetto che allenarsi in fatica, quindi ad alta intensità, funziona. E’ un passaggio utile per arrivare pronti alle gare, perché in allenamento si simula la fatica. Ora non posso dire che per Martin questo funzionerà al 100 per cento. Sapete cosa fa davvero la differenza?
Non si vuole imitare il WorldTour ma avere lo stesso approccio scientificoNon si vuole imitare il WorldTour ma avere lo stesso approccio scientifico
Cosa?
Che quando ti alleni in fatica una volta in gara sei pronto. Alle corse vince chi dopo aver fatto tanti sforzi è in grado di andare avanti. Questo risulta più semplice quando hai lavorato bene in precedenza. Molte volte bisogna andare oltre certi limiti. Alla fine si deve allenare la durata per l’intensità.
Come lavorate quindi?
Con i ragazzi della squadra mi sento ogni giorno. Con quelli che seguo direttamente io il passaggio è più semplice perché mi trovo un contatto diretto. Se uno è stanco me lo dice e si cambia allenamento oppure si riduce l’intensità. La cosa difficile è avere a che fare con ragazzi che hanno preparatori diversi, perché poi ognuno ha la sua esperienza e il suo metodo.
Sarebbe meglio avere tutti sotto il vostro controllo?
Per comodità di lavoro sì. Ma in squadra ci siamo solamente Giorgi ed io non potremmo seguire 22 atleti. Con i ragazzi che seguiamo noi possiamo programmare, abbiamo più potere. Il modello ideale sarebbe quello di avere tutti i preparatori della squadra.
Il nuovo metodo di allenamento ha rivoluzionato anche la preparazione di Conforti (foto Vf Group-Bardiani)Il nuovo metodo di allenamento ha rivoluzionato anche la preparazione di Conforti (foto Vf Group-Bardiani)
E’ ancora presto per capire se questo metodo per Marcellusi risulta funzionale?
Lo si vedrà dai dati e dalle prestazioni, potrebbe essere che andrà benissimo oppure meno del previsto. Il focus di Martin non sono le gare di inizio stagione, ma da primavera inoltrata in poi (Marcellusi è nella selezione del Giro, ndr). Allora possiamo dire che ci sentiremo a metà stagione o a fine anno, per trarre le conclusioni insieme.
Mentre i suoi compagni di squadra corrono nel freddo della Tirreno-Adriatico, Martin Marcellusi si allena con le stesse temperature, ma a casa. Il corridore romano della Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè ha corso le gare di inizio stagione a Mallorca e poi più nulla.
«Dopo le prime corse in Spagna – ci dice – mi sono fermato un po’ e ho fatto dei ritiri, anche in altura, insieme alla squadra. Si è deciso così, insieme ai preparatori, per consentirmi di arrivare più fresco ad un eventuale Giro d’Italia. Infatti, insieme alla squadra, siamo stati in ritiro sull’Etna per un paio di settimane, dopo l’altura però ho sofferto un po’ il fatto di non correre».
Solamente tre giorni di corsa per Marcellusi fino ad ora, tutti accumulati a Mallorca a fine gennaioSolamente tre giorni di corsa per Marcellusi fino ad ora, tutti accumulati a Mallorca a fine gennaio
Cosa vuol dire?
Che se avessi fatto la Tirreno, mi sarei fermato per una settimana, facendo scarico. Invece, senza correre, ho fatto scarico per due o tre giorni e poi ho ripreso a caricare.
Quando sarà il ritorno in gara?
Il 13 marzo alla Milano-Torino, poi farò la Sanremo e la Coppi e Bartali. Da lì ci sarà da capire quale sarà la scelta della squadra e come vorranno gestirmi. Forse torneremo sull’Etna oppure correrò.
La scelta di fare questo lungo periodo di allenamento è insolita per te?
I diesse e i preparatori, in accordo tra di loro hanno deciso di cambiare il metodo di lavoro. Nel caso dovessi fare il Giro, arriverei più riposato. Non ho modo di paragonare i periodi, anche perché nel 2023 in Spagna mi ero rotto la clavicola, ed ero rimasto fermo per un po’. Lo staff ha preso come modello quello dei team WorldTour.
A inizio stagione un lungo periodo di preparazione, sempre in Spagna (foto Vf Group-Bardiani)Tanti chilometri accumulati, fino ad oggi quasi 3.000 in più rispetto allo stesso periodo del 2023 (foto Vf Group-Bardiani)A inizio stagione un lungo periodo di preparazione, sempre in Spagna (foto Vf Group-Bardiani)Tanti chilometri accumulati, fino ad oggi quasi 3.000 in più rispetto allo stesso periodo del 2023 (foto Vf Group-Bardiani)
Com’è stato allenarti e non correre?
Mentalmente un po’ più difficile, mi è mancato il periodo di stacco. Però devo dire che una volta ripresi gli allenamenti, le sensazioni erano buone. Lo sono ancora, fino ad ora la squadra ha ragione (fa una risata, ndr), vedremo come prosegue il tutto. C’è da dire anche che…
Cosa?
Allenarmi non è stato così difficile mentalmente, anche perché la squadra mi è stata vicina. Non mi hanno lasciato a casa allo sbando, ma siamo stati in ritiro. Sull’Etna abbiamo fatto anche tanti allenamenti duri, quasi più di una corsa.
In mezzo anche un ritiro sull’Etna, sempre con il teamIn mezzo anche un ritiro sull’Etna, sempre con il team
Rispetto allo scorso anno quante ore in più hai fatto di allenamento?
Di ore non so, ma nello stesso periodo, da novembre a inizio marzo, ho fatto 2.800 chilometri in più. Mi ero fermato 18 giorni per l’infortunio alla clavicola, ma il numero di chilometri è comunque molto elevato.
Ma tu cosa preferisci fare, allenarti o correre?
Mi alleno bene, perché sono uno che se sta bene si allena all’infinito. Però è vero che sono un corridore che in gara riesce a tirare fuori qualcosa in più. Riesco a sorpassare i miei limiti, il che è un fattore positivo. Non nascondo che mi piacerebbe fare qualche gara ad aprile, ad esempio il Giro d’Abruzzo, che è anche vicino a casa. Ma deciderà la squadra. Meglio aspettare e arrivare ai prossimi appuntamenti al massimo livello che correre e perdere qualcosa.
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Sorpresa al Giro: per una settimana è tornato in carovana Gianfranco Josti, il Decano degli inviati, firma del Corriere della Sera. Cosa hai visto di diverso?
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BENIDORM (Spagna) – Quando ormai anche i massaggi erano stati fatti e si aspettava la cena, Martin Marcellusi scendeva dalla sua stanza e faceva un salto dai meccanici. Voleva dare un’occhiata alla sua bici. Quest’anno c’è qualche materiale nuovo, a partire dal telaio De Rosa, e quel pizzico di curiosità non manca.
E poi era anche un’occasione per scambiare due parole con “Mister Tony”, al secolo Antonio Tarducci, meccanico storico della Green Project-Bardiani che fra qualche giorno si chiamerà VF Group-Bardiani-Faizanè.
«Sono già tre anni che vengo in ritiro con loro. Il primo lo feci nel dicembre 2021», attacca Marcellusi.
Marcellusi (classe 2000) parla con il meccanico TarducciMarcellusi (classe 2000) parla con il meccanico Tarducci
E come ci sei venuto questa volta?
Più allenato del solito. I dirigenti ci hanno chiesto di venire un minimo preparati. Io sin qui avevo seguito il mio preparatore e avevamo impostato un programma generale, non troppo specifico per il ritiro chiaramente, ma che mi facesse essere pronto per lavorare bene. E credo di esserci riuscito.
Martin, ne parlammo già dopo il Giro di Lombardia: tu hai fatto una scelta importante, quella di restare qui per tre anni. Questo comporta anche delle responsabilità: cominci a sentirti leader di questo gruppo?
Sì, e mi ci sento già da quest’anno, da quando ho percepito la fiducia del team. Spero di aver fatto un salto di qualità per far sì che di fiducia ce ne sia ancora di più. E di aver fatto un salto anche da un punto di vista tecnico, che mi consenta di lavorare di più e quindi aumentare i carichi.
Roberto Reverberi ci ha detto che si aspettano molto da te…
Mi fa piacere. In generale credo di essere un corridore che ha tanti margini: sull’allenamento, sull’alimentazione. Lo scorso anno per esempio credo di aver fatto uno step sugli allenamenti, quest’anno mi sto concentrando sull’alimentazione. Anche con il peso non sono super, ma sono meglio dell’anno scorso nello stesso periodo. E piano piano riuscirò ad arrivare al top.
Essere leader significa anche prendersi delle responsabilità. C’è qualche corsa che inizi a guardare in ottica diversa?
A me piace molto il campionato italiano, poi ovviamente dipende anche dal percorso che l’organizzatore propone, però è una gara che se ci arrivi bene può darti molto. Magari non ancora per vincerla, ma… Quindi il tricolore può essere un obiettivo. Per il resto, di gare ce ne sono molte. Quest’anno sono andato bene al Gran Piemonte e al Pantani, perciò direi che le corse italiane sicuramente sono un obiettivo, sia mio che della squadra.
Sulle strade della Spagna per Martin e compagni un ottimo volume di lavoro (foto Gabriele Reverberi)Sulle strade della Spagna per Martin e compagni un ottimo volume di lavoro (foto Gabriele Reverberi)
Si dice sempre che in gruppo ci sono le gerarchie: le WorldTour davanti e voi dietro. Però Visconti, tuo ex compagno, diceva anche che quando vedevano che era lui gli dicevano: “Tu puoi stare”. Per Marcellusi comincia a cambiare qualcosa? Oppure stai davanti perché sgomiti?
Ci sto perché sgomito! Nessun favoritismo nei miei confronti ancora. Nei confronti di Giovanni era completamente diverso. La carriera che ha fatto lui l’hanno fatta in pochi. Era normale dunque che fosse un po’ avvantaggiato. Noi dobbiamo ancora sgomitare e di certo nell’economia della corsa questo è ancora un punto a nostro sfavore. Però dico anche che negli ultimi anni non ci facciamo problemi a sgomitare.
Quasi tutti avete un coach personale, tu hai Daniele Pascucci per esempio, ma in ritiro avete seguito il programma del team. Come ti sei trovato?
Bene, anche se in qualche giorno abbiamo fatto un bel po’ di fatica, che di questi periodi non è cosa comune. Però magari è giusto così.
Per conto tuo invece lo scorso anno hai lavorato parecchio sulle salite, anche se dicevi: “Io non sarò mai uno scalatore”. Quest’anno su cosa stai insistendo?
Fino allo scorso anno Pascucci non aveva un background dei miei dati, quindi non mi conosceva come atleta. In questa stagione abbiamo raccolto molti dati, specie durante il Giro. Abbiamo notato che su alcuni aspetti sono carente e stiamo cercando di migliorarli. In questo periodo, sto insistendo parecchio sulla palestra per quel che riguarda la forza esplosiva.
Quali sono le carenze di cui hai parlato?
Una carenza è sicuramente la continuità. Soprattutto fino ad un anno fa non riuscivo allenarmi troppo. Facevo un giorno di carico e poi il giorno dopo stavo malissimo. Abbiamo lavorato su questo aspetto, importantissimo per crescere, e sembra che stia andando meglio.
Il laziale è cresciuto molto nel 2023. Al Tour du Limousin ha vinto la classifica dei GpmIl laziale è cresciuto molto nel 2023. Al Tour du Limousin ha vinto la classifica dei Gpm
E un punto di forza?
Come dissi già una volta, la grinta: ci metto un bel po’ a mollare. Ma quando mollo, vuol dire che è proprio finita, che non ce n’è più!
In ritiro vi abbiamo visto mangiare in certo modo in allenamento, partire con dei sacchetti specifici per assumere un tot di carboidrati ogni ora. Ma davvero ci si allena a mangiare?
In effetti non è così semplice, specie con i cibi solidi. Oggi si usa molto l’alimentazione liquida. Ormai anche in uscite lunghe abbiamo dietro una barretta o due, non di più. Io almeno preferisco i carboidrati in polvere disciolti nella borraccia o dei gel ad alto contenuto di carbo. Comunque è vero: ogni ora dovevamo stare sui 90 grammi di carboidrati, almeno.
E questo allenamento alimentare, chiamiamolo così, lo fai anche a casa? Perché assumere 100 o passa grammi di carbo alla fine può portare a problemi di stomaco…
Questa cosa va curata anche a casa. All’inizio sicuramente non sarei riuscito a mandare giù 120 grammi di carboidrati l’ora, anche perché non c’erano prodotti adatti. Di sicuro andavi in bagno o saresti stato male, minimo con un gonfiore addominale. I prodotti di nuova generazione aiutano perché sono studiati in ogni particolare e non danno di questi problemi. Ma comunque è vero: bisogna esserci abituati, anche solo per il gesto di bere o mangiare così frequentemente.
Transitando in testa sul Ghisallo, Marcellusi è salito sul palco dell’ultimo Lombardia. Questa salita metteva in palio un premioTransitando in testa sul Ghisallo, Marcellusi è salito sul palco dell’ultimo Lombardia. Questa salita metteva in palio un premio
Eri con il meccanico, sulla tua bici è cambiato qualcosa? Anche dei piccoli dettagli?
La posizione è sempre quella. Ho rivisto giusto le tacchette: le ho spostate di qualche millimetro indietro, perché il nuovo telaio – siamo passati dalla Merak alla 70 – cambia un pochino. Da quest’anno abbiamo tutti i manubri integrati, anche in allenamento. E questi sono un po’ più larghi.
Quanto più larghi?
Sono passato da una piega manubrio da 38 centimetri a una di 40.
E ti piace questa cosa?
Preferivo quello più stretto a dire il vero, anche per il discorso dello sgomitare, però alla fine è questione di abitudine. Quello da 40 ha il vantaggio chein discesa si guida meglio ed è anche molto più bello esteticamente!
BERGAMO – «Non lo so neanche io dove prende la grinta questo ragazzo», così commenta un soddisfatto Alessandro Donati la prestazione di Martin Marcellusi. Il direttore sportivo della Green Project-Bardiani è contento visto che anche Tolio se l’è cavata. Per la squadra dei Reverberi una prestazione così in una gara WorldTour, per di più classica Monumento, vuol dire molto.
Marcellusi è stato protagonista della fuga di giornata al Lombardia, tra l’altro presa in seconda battuta, e non sul nascere. Ha scollinato davanti su un paio di salite tra cui il Ghisallo e fino alla fine ha resistito ad un contrattaccante doc quale Ben Healy, uscito in avanscoperta 150 chilometri dopo di lui.
Marcellusi transita in testa sul Ghisallo, precedendo Battistella, e porta a casa il prestigioso premioMarcellusi transita in testa sul Ghisallo, precedendo Battistella, e porta a casa il prestigioso premio
Martin, ti aspettavi un Lombardia così? Come doveva andare?
Dal Gran Piemonte sono uscito con una grande gamba. Lì ho visto che potevo stare davanti, ma ovviamente il Lombardia era un’altra gara e non pensavo andasse così! La fuga era era l’obiettivo della squadra. In effetti pensavo di prenderla, di fare le mie 2-3 salite con i primi e poi ciao. Invece più andavo avanti e più stavo bene. Tanto che nella discesa in cui siamo andati via io e Healy ho deciso di fare il forcing.
Perché?
Per provare ad arrivare ancora più lontano. A quel punto l’obiettivo era di restare davanti il più possibile… Non certo provare a vincere il Lombardia!
L’obiettivo del Premio Ghisallo è venuto strada facendo o te l’hanno detto dall’ammiraglia?
Me l’hanno detto in corsa. “Se sei ancora davanti, Martin, fai la volata”. E io così ho fatto.
Ci racconti invece della fuga? All’inizio voi della Green Project-Bardiani non c’eravate…
In realtà noi c’eravamo. C’era Filippo Magli, ma probabilmente ha calcolato male le energie. Ha chiesto un cambio e l’hanno lasciato al vento. Eravamo preoccupati perché poi il gruppo aveva cominciato a fare il barrage ed eravamo tagliati fuori. Ad un certo punto io e Tolio abbiamo trovato un varco. Lui è partito prima di me e io a ruota.
E vi hanno lasciato andare?
Il gruppo non era così intenzionato a lasciarci. Dal mio conto, eravamo fuori dalla fuga. Ovviamente avrei provato fino all’ultimo ad andare via. Poi c’è stata una caduta di gruppo (quella innescata da Remco, ndr), per fortuna senza grandi conseguenze e ne abbiamo approfittato. Non è bello da dire, me ne rendo conto, ma è così. Una parte di me non voleva continuare ad attaccare con un gruppo che era per terra. Poi altri hanno tirato dritto e io li ho seguiti.
Il laziale (classe 2000) tra i più attivi della fuga, eccolo davanti con HealyIl laziale (classe 2000) tra i più attivi della fuga, eccolo davanti con Healy
C’è stato un momento di difficoltà? Un momento in cui veramente hai dovuto tirare fuori la tua proverbiale grinta?
Sulla salita verso Crocetta: lì ho attraversato un momento di crisi. Però è durato poco. Ho tenuto duro. Stavo per per mandare tutto a quel paese! Invece è rientrato forte Healy e sono riuscito a tenerlo. Siamo rimasti davanti in quattro. Magari è stato un momento di crisi psicologico.
Però alla fine ti giri e in una fuga corposa e con gente importante, vedi sempre meno corridori: immaginiamo che emerga anche un po’ di orgoglio…
Più che orgoglio ti sale il morale alle stelle. Sai, quando vai in fuga in venti e ti stacchi per decimo è un conto, quando invece sei l’ultimo a rimanere davanti ti viene un’altra gamba. Ho iniziato a vedere i primi corridori che si staccavano ed io ancora non ero affaticato più di tanto. In effetti è stata una bella spinta morale e da lì è iniziato un’altro Lombardia per me.
Fino a ritrovarti nel gabbiotto dei campioni, il gazebo dietro al palco di Bergamo dove si cambiavano tutti i “giganti”…
Sì, in effetti è stato figo! Pogacar mi ha dato due volte la mano. Non so perché, magari era contento così! Bello comunque.
Analizzando la tua corsa, ma sarebbe meglio dire questa seconda parte di stagione post Giro d’Italia, sei andato molto forte in salita. Hai vinto la maglia dei Gpm al Tour du Limousin, al Gran Piemonte, il cui finale era tosto, sei arrivato settimo e con gente molto importante, al Lombardia ancora una prestazione di livello in salita: ma ci hai lavorato? Stai intraprendendo un cambiamento?
Sì, ci abbiamo lavorato anche se io non ero molto d’accordo. Io volevo rimanere un po’ meno scalatore e un po’ più “velocista”. Perché automaticamente quando fai queste scelte poi vai un pelo più forte in salita, ma in volata cali. Per quest’anno abbiamo fatto così anche perché c’era di mezzo il Giro d’Italia.E il Giro, vuoi o non vuoi, in 21 giorni ti fa diventare “più scalatore”. Se non stai male, che ne esci bene, ti dà qualcosa in più in salita… Automaticamente ti porta a diventare più scalatore, però scalatore io non lo sarò mai.
Martin esce dal “gazebo dei campioni” e si accinge a salire sul podioMartin esce dal “gazebo dei campioni” e si accinge a salire sul podio
Hai altre doti: non diciamo un passista veloce, un corridore più completo, che faceva e che fa dello spunto veloce la sua arma vincente. Era così anche tra gli under 23…
Esatto, posso difendermi in salita, ma se poi arrivo allo sprint e in volata non vado, serve a poco. Io quella possibilità di sprint a ranghi ridotti me la voglio giocare invece.
Hai firmato anche per il prossimo anno con la Green Project-Bardiani. Una scelta importante: diventerai un leader?
In realtà ho firmato per tre anni. Loro credono in me tanto e già in queste gare mi fanno correre da leader. Sono rimasto anche per questo motivo. E poi io in questo team sto bene, non mi manca nulla, sento la fiducia. Magari quando avrò 26 anni, che scadrà il contratto, allora penserò al futuro in modo diverso.
E’ un investimento sul tuo futuro. Non sono poi molti i corridori italiani, WorldTour incluse, che possono fare i leader…
Anche perché sto andando forte, ma non è che abbia fatto chissà quali grandi risultati per poter dire: “Vado in una WorldTour e mi fanno fare il capitano”. Se ci andassi oggi dovrei mettermi davanti al gruppo a tirare. Mentre, come ripeto, qui ho i miei spazi e c’è un bell’ambiente.
Che corse farai adesso?
Mi spetta ancora una settimana di gare, chiuderò alla Veneto Classic. Ma ammetto che sono un po’ al limite. Però finché tiro fuori queste prestazioni va bene così!