Il quarto Tour di Pogacar: non il più bello, ma certo il più faticoso

27.07.2025
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Ha capito di poter vincere il Tour dopo la vittoria al Mur de Bretagne, poi ha chiuso il discorso sui Pirenei. Tolto il primo conquistato nell’ultima cronoscalata, i tre Tour successivi di Tadej Pogacar si sono risolti nella seconda settimana. Difficile dire se sia per uno schema o per caso, ma di certo anche questa volta sui Pirenei ha imposto l’inchino a tutti i rivali, presentandosi al gran finale forse con le gambe più stanche del solito.

Nell’ultima tappa di Parigi, dopo non essere parso brillantissimo nelle ultime tappe di montagna prive di grandi attacchi, il campione del mondo in maglia gialla ha riscoperto il gusto sbarazzino della sfida. Ha fatto il diavolo a quattro sulla salita di Montmartre e solo alla fine si è arreso alle grande voglia di Wout Van Aert. Ci fosse stato anche Van der Poel, avremmo avuto la sensazione di essere tornati per pochi minuti sui viottoli del Giro delle Fiandre. Il divertimento a un certo livello è una componente decisiva.

«Mi sono ritrovato davanti – racconta – anche se forse non avevo davvero l’energia per vincere. Sono stato davvero felice che abbiano neutralizzato i tempi della classifica generale, così ho potuto correre più rilassato. Serviva solo avere buone gambe per essere davanti e mi sono ritrovato testa a testa con Wout Van Aert. Lui è stato incredibilmente forte, ha vinto con tutto il merito, ma alla fine è stata una tappa davvero bella».

Piegato da Van Aert a Montmartre, Pogacar sfila sui Campi Elisi che lo applaudono
Piegato da Van Aert a Montmartre, Pogacar sfila sui Campi Elisi che lo applaudono

La spinta di Vingegaard

Pogacar vince il Tour contro la Visma Lease a Bike e l’ombra di un piano che non si è mai visto del tutto. Eppure, rileggendo le tappe e guardando negli occhi lo sfinito sloveno, il piano di tenerlo sempre sotto pressione ha parzialmente colto nel segno. Il Tadej sfinito di fine Tour ha pagato certamente l’aggressività della squadra olandese. E anche se Vingegaard non è mai riuscito a staccarlo né a metterlo in difficoltà, di certo la sua presenza nella scia non ha mai permesso alla maglia gialla di abbassare la guardia.

«Sono senza parole per aver vinto il quarto Tour de France – commenta Pogacar – è una sensazione particolarmente fantastica. Penso che la vittoria sia da dividere con la squadra. Abbiamo avuto per tutto il tempo un’atmosfera fantastica, un grande spirito. Ho avuto modo di parlare con Vingegaard stamattina nel tratto neutralizzato prima del via. Ci siano detti quanto sia cambiato il ciclismo rispetto a cinque anni fa, quando ci siamo affrontati per la prima volta. Abbiamo alzato l’uno il livello dell’altro. Ci siamo spinti al limite e abbiamo cercato di batterci a vicenda. Lottare contro Jonas è stata nuovamente un’esperienza dura, ma gli devo rispetto e grandi congratulazioni per il suo impegno».

Pogacar rivendica la vittoria come una grande impresa della sua UAE Emirates
Pogacar rivendica la vittoria come una grande impresa della sua UAE Emirates

Semplicemente stanco

Il terzo posto di Lipowitz, il quarto di Onley, poi Gall, Johannessen e Vauquelin segnalano un’ondata di nuovi talenti in arrivo. Si è sottratto alla lotta Remco Evenepoel, ritirato prima di mettere le ruote sul Tourmalet. Tutti, chi prima e chi dopo, sfilano accanto alla maglia gialla attorno cui si è formato il capannello dei suoi più fedeli, fra cui l’immancabile Urska.

«Ho ancora degli obiettivi da qui alla fine della stagione – dice Tadej senza aprire né chiudere la porta sulla Vuelta – ma non mancano molte gare. Ho bisogno di recuperare perché è stato uno dei Tour più difficili da correre, per tutti nel gruppo. Dalla prima all’ultima tappa, abbiamo corso al massimo, ogni giorno. Non ci sono state giornate facili e abbiamo messo a dura prova il nostro corpo. La tappa di La Plagne è stata molto difficile. Ero esausto e la gente non mi ha visto felice come al solito. Ma mi sembra normale non avere un gran sorriso ed essere felice ogni giorno. A volte non si è al meglio, si potrebbe attraversare un periodo difficile.

«Sono stanco. Se non lo fossi dopo 21 giorni di gara, ci sarebbe qualcosa che non va. Immagino che tutti siano esausti, anche voi giornalisti, dopo tre settimane di corsa in zone miste, in sala stampa, come tutti coloro che partecipano al Tour. Quindi, penso che anche i corridori abbiano il diritto di essere stanchi. Ma mentalmente sono ancora in ottima forma (sorride, ndr)».

Il bacio di Urska dopo la vittoria nel quarto Tour
Il bacio di Urska dopo la vittoria nel quarto Tour

Il sogno della Roubaix

E’ sempre difficile chiedere a un atleta il bilancio di una corsa appena conclusa. Se appare frastornato Jonathan Milan con la conquista della maglia verde, figurarsi Pogacar che è passato in un tritacarne di sollecitazioni al massimo livello prima di poter dire che sia davvero finita. Eppure capisci anche che essere costretto a inseguire sempre e soltanto il Tour non lo trovi così divertente.

«La prima settimana – dice – non è stata divertente. Le tappe sono state frenetiche e brutali anche per gli uomini di classifica. Dovevi essere super concentrato e motivato. Ci sono stati tantissimi attacchi, soprattutto da parte della Visma: è stata una settimana davvero difficile. Anche senza le montagne, ci sono state sempre delle insidie. Ora però è il momento di festeggiare. Per me significa avere una settimana di pace con un meteo migliore di qui. Voglio godermi semplicemente qualche giorno di tranquillità a casa. Poi correrò il Criterium di Komenda a casa mia il 9 agosto e poi penserò alla prossima stagione.

«Soprattutto la Parigi-Roubaix, che voglio vincere. Quest’anno, alla mia prima partecipazione, ho trovato questa corsa pazzesca, voglio tornarci. E penso che tornerò al Tour anche il prossimo anno. Mi piacerebbe saltarlo per una stagione, per provare altre corse, ma so che sarà difficile. Ho dimostrato a me stesso di poter raggiungere grandi risultati. Ora cerco di concentrarmi su altre cose della mia vita, continuando a godermi il ciclismo. E se dovessi battere qualche record storico, come quello dei cinque Tour, sarebbe fantastico, ma non è questo il mio obiettivo».

La tattica della Visma

Lo chiamano per la premiazione, sui Campi Elisi si allungano le ombre e i dintorni. Era il 27 luglio anche quando nel 2014 su quel gradino salì un commosso Vincenzo Nibali. E mentre il ricordo ci riempie di orgoglio sia pure a distanza di così tanto tempo, riflettiamo che al netto dei commenti entusiastici davanti alla bellezza di gesti atletici così sublimi, non è stato il Tour più bello cui abbiamo assistito. Difficile dire se per il suo livello stellare o per quello inferiore dei rivali.

La sensazione a partire dal secondo riposo è che Pogacar abbia dovuto fare i conti con un qualche acciacco che gli ha impedito di rendere come avrebbe voluto. Ugualmente ha vinto il quarto Tour attaccando a fondo a Hautacam e poi nel giorno di Peyragudes. La tattica Visma lo ha stancato, ma Vingegaard non è bastato. Chissà chi dei due avrà ancora margini da scoprire per un futuro lontano che in qualche modo già bussa.

Il bis di Arensman, per merito e grazia ricevuta

25.07.2025
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LA PLAGNE (Francia) – «Ho cercato di guardarmi dietro il meno possibile – dice Arensman – perché non è proprio necessario. Rischi solo di distrarti. Avevo la radio e mi dicevano che il vantaggio era più o meno stabile sui 30 secondi. Ma ho preferito non fidarmi e ho seguito il mio istinto. Mi sono concentrato solo sul traguardo, perché comunque non posso influenzare le gambe degli altri. Potevo solo andare il più veloce possibile, lottando contro il mio corpo. E’ l’unica cosa che si possa fare in quei momenti. Guardare avanti, mantenere una buona cadenza e dare il massimo per arrivare al traguardo. E’ quello che avrei dovuto fare e che ho fatto. E ne sono davvero orgoglioso».

Che cosa vogliamo fare? Ma Vingegaard non risponde e Pogacar smette di tirare
Che cosa vogliamo fare? Ma Vingegaard non risponde e Pogacar smette di tirare

Una partita di scacchi

Thymen Arensman, olandese di 25 anni in maglia Ineos Grenadiers, conquista la seconda tappa del suo Tour, dopo quella di Superbagneres. In realtà non si capisce quanto sia stato per il suo enorme merito e quanto per l’indulgenza degli inseguitori. La sensazione, in questo pomeriggio freddo e bagnato sulle Alpi francesi, è che Pogacar non fosse forte come al solito e che, in aggiunta, non abbia voluto servire la vittoria a Vingegaard che gli è rimasto a ruota per tutto il giorno. Avrebbe lasciato vincere anche Lipowitz, ma non il danese. Amici mai, lo abbiamo scritto a inizio Tour, e oggi se ne è avuta la conferma. La maglia gialla sembrava voler vincere e ha anche attaccato. Ma quando si è accorto di non poter fare il vuoto, ha chiuso sul primo allungo di Arensman e poi si è concentrato sul suo primato.

«Oggi abbiamo cercato di puntare alla tappa – dice Pogacar, infreddolito e stanco – perché ci sentivamo forti. Siamo stati bravi nel tenere la corsa, poi ci siamo accorti che alcuni corridori pensavano di potersela giocare allo sprint dopo una salita di 19 chilometri. Nessuno ha voluto tirare. Così ho fatto un attacco e ho pensato che con Jonas saremmo potuti arrivare in cima, ma Arensman era lì e oggi si è rivelato il più forte. Io ho cercato di impostare il mio ritmo. Ovviamente sono stanco, non è semplice essere attaccato dal primo all’ultimo giorno ed essere sempre concentrato e motivato. La priorità è la maglia gialla, quindi alla fine contavo i chilometri. Andavo avanti con la testa e speravo che nessuno mi attaccasse. E’ presto per parlare di una vittoria nella tappa di Parigi, sono abbastanza sfinito».

Pogacar non era al meglio, ha pensato alla classifica e incoronato Arensman
Pogacar non era al meglio, ha pensato alla classifica e incoronato Arensman

Il rilancio di Arensman

A fine 2022, Arensman aveva lasciato il Team DSM in direzione Ineos, con la convinzione che potesse diventare uno dei talenti per i Grandi Giri. In realtà le cose non sono andate come lui per primo si aspettava, ma questa seconda vittoria scattando dal gruppo dei migliori riaccende un riflettore che sembrava definitivamente buio.

«Forse ora posso avere un po’ più di fiducia nelle mie capacità – dice – so che posso vincere due tappe al Tour e ho la stoffa per essere tra i migliori. Ma sono anche un essere umano, ancora vivo e vegeto, ho i miei limiti e faccio del mio meglio. La tappa di oggi è una bella spinta per pensare nuovamente a una classifica generale. Non sono tanto le due tappe, quanto piuttosto come mi sono preparato dopo la caduta al Giro e in vista del Tour (Arensman era caduto facendosi male a un ginocchio nella tappa di San Valentino, ndr). Come mi sono preso cura del mio corpo, le scelte che ho fatto, la preparazione adottata con il mio allenatore. Abbiamo cambiato alcune piccole cose in questa stagione. Sono più calmo. Ho più fiducia in me stesso e nel processo. E penso che siano le cose principali che porto con me per i prossimi anni della mia carriera. Sono orgoglioso di questi cambiamenti, perché sembra che stiano funzionando».

Tra forza e astuzia

Il primo scatto rientrando da dietro ha avuto vita breve. Lo sloveno infatti aveva ancora in testa di vincere e ha chiuso facilmente il buco. Arensman lo ha guardato e ha capito che fra lui e Vingegaard non ci fosse grande feeling. Così si è spostato sul lato sinistro della strada ed è scattato ancora. Questa volta Pogacar si è guardato alle spalle, ha percepito l’assenza di reazione e ha lasciato fare.

«Sentire che Pogacar ha detto che sia stato il più forte – sorride – è un complimento davvero bello. Non riesco a sentire le sue gambe, ma sono sicuro che avesse e abbia ancora voglia di vincere un’altra tappa al Tour. Forse, se avesse avuto la forza giusta, avrebbe attaccato lui. Alla fine credo che fossero molto vicini a me, ma anche io avevo anche delle buone gambe e ho cercato di giocare d’astuzia. So che Jonas e Tadej a volte si guardano, così ho cercato di attaccare ancora e alla fine è stata la decisione giusta».

Neanche il tempo di arrivare e alle spalle di Arensman è piombata la maglia gialla
Neanche il tempo di arrivare e alle spalle di Arensman è piombata la maglia gialla

Il filo del passato

Si percepisce la voglia di essere là davanti e la fatica mentale di quando non ci riesci per così tanto tempo. Ritrovarsi a lottare contro Pogacar (sia pure in una posizione lontanissima di classifica) ha riacceso in Arensman dei ricordi che credeva sepolti.

«La prima volta che ho incontrato Tadej – racconta –  è stato durante il Tour de l’Avenir del 2018, quando arrivammo primo e secondo in classifica generale. Capii subito che è un corridore davvero speciale, un talento davvero grande. Io ero al secondo, lui al primo anno da under 23 e non mi aspettavo davvero che sarebbe diventato così forte. Ma fu davvero bello, per un diciottenne e un diciannovenne, sfidarsi in quella grande corsa. E ora sono qui al Tour de France, il mio primo Tour de France e ho già vinto due tappe. Se ripenso a quei giorni e mi rivedo oggi, è tutto molto speciale. E’ come un filo che si riallaccia e che ora finalmente potrò seguire».

Il piano della Visma è come lo yeti: nessuno l’ha ancora visto

24.07.2025
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COURCHEVEL (Francia) – C’era curiosità. Il piano tanto a lungo sbandierato dalla Visma-Lease a Bike prometteva una battaglia senza quartiere nella tappa regina di questa edizione. Con 5.642 metri di dislivello, c’erano tutto il tempo e il terreno per sferrare un vero attacco a Pogacar. Già da qualche giorno, la maglia gialla correva con insolita cautela. Se Vingegaard fosse riuscito a portargli via una manciata del suo vantaggio, la tappa di domani avrebbe avuto un’attesa stellare e l’interesse attorno al Tour sarebbe stata superiore.

La Visma ha preso in mano la corsa a metà della Madeleine. Vingegaard ha provato poi un solo scatto
La Visma ha preso in mano la corsa a metà della Madeleine. Vingegaard ha provato poi un solo scatto

Il piano della Visma

In realtà non è successo nulla di tutto questo. Gli olandesi hanno tentato un affondo a metà della Madeleine, ma lo scatto di Vingegaard non ha costretto Pogacar neppure ad alzarsi sui pedali. Ci aspettavamo che lo doppiasse e poi facesse il terzo. Invece Jonas si è rimesso seduto con il suo passo. Se quello era il suo modo di mettere a rischio il secondo posto pur di vincere, forse domani farà bene a tenersi stretto il piazzamento.

Nel fondovalle, il gruppo della maglia gialla è andato così piano da far rientrare gli staccati. E quando si sono ritrovati sulla salita di Courchevel, gli unici segni di vita si sono segnalati nel tratto più alto. Prima con il secondo scatto di giornata da parte di Vingegaard, poi con il giusto ceffone da parte di Pogacar.

«Sono super felice e orgoglioso di come abbiamo corso oggi», dice la maglia gialla, cui riferiscono che Vingegaard lo avrebbe visto tirato dopo l’arrivo. «Il Tour non è ancora finito – prosegue – mancano ancora tre giorni. Proverò a fare del mio meglio domani, dopodomani e poi a Parigi per mantenere il mio vantaggio sino alla fine. Era tutto sotto controllo, siamo andati benissimo. La Visma ha provato il tutto per tutto sulla Madeleine, ma sono arrivato senza problemi. Il Col de la Loze è difficile a prescindere dagli avversari, ma ho avuto un grande supporto dalla squadra. Alla fine non c’è stato troppo stress, speriamo di avere la stessa situazione domani perché probabilmente ci proveranno ancora».

Sul podio Pogacar è parso contento come dopo una vittoria: una tappa in meno verso Parigi
Sul podio Pogacar è parso contento come dopo una vittoria: una tappa in meno verso Parigi

Un leader diverso

C’è qualcosa di nuovo in questo Pogacar. Che sia stanco o non abbia più tanta voglia di stupire, di colpo il cannibale giallo si è trasformato in un leader vecchio stampo e si è messo a regalare tappe in giro. Ieri a Valence ha risposto per le rime a Thomas Voeckler che in diretta televisiva aveva accusato la sua squadra di correre in modo arrogante. Tadej ha preso la parola e ha spiegato che un conto è essere arroganti e un altro correre per vincere la maglia gialla. Poi ha invitato il cittì della nazionale francese a darsi una regolata, scusandosi con ironia se l’invito fosse suonato… arrogante.

Si sono fatti i paragoni con Indurain e il suo modo signorile di gestire il comando. Non si è considerato che sua maestà Miguel crebbe come gregario di Delgado e vide in che modo i vecchi capitani gestivano la corsa. E quando a sua volta arrivò a vincere il Tour, aveva già trent’anni e un’esperienza da campione navigato. Pogacar a 21 anni era già sul podio della Vuelta e a 22 ha vinto il primo Tour: da chi poteva prendere esempio se non da se stesso? Con l’impeto dei vent’anni, non c’è stato un solo giorno in cui non abbia voluto vincere. Invece le sue parole sul Ventoux, quando si è quasi commosso assistendo alla telefonata a casa di Paret Peintre che aveva appena vinto, fanno capire che probabilmente anche lui sta diventando grande. Che a 27 anni ha capito che il gruppo è composto da persone e non solo da avversari. Anche se questo probabilmente rischia di rendere il suo Tour meno elettrizzante.

Quando ha capito che Vingegaard aveva finito la spinta, Pogacar è scattato guadagnando altri 9 secondi
Quando ha capito che Vingegaard aveva finito la spinta, Pogacar è scattato guadagnando altri 9 secondi

Stanco e infastidito da tutti

Gli chiedono: qualcuno una volta ha detto che si affronta il Tour de France con tanta voglia di vincere e poi, a un certo punto della corsa, verso la terza settimana, non si vede l’ora che finisca. E’ così che ti senti ora?

«Esatto, è il classico momento – risponde – in cui mi chiedo perché sia ancora qui. Queste tre settimane sono davvero lunghe. E allora mi metto a contare i chilometri fino a Parigi e non vedo l’ora che finisca tutto. Posso fare anche altre belle cose nella mia vita, ma cerco di godermi il più possibile ogni giorno in bici, anche se è dura. I tifosi aiutano, quindi è comunque bello pedalare anche nella terza settimana, quando sei stanco e infastidito da tutti quelli che ti circondano e vorresti solo tornare a casa. Così alla fine, quando affronti queste grandi salite e la gente ti incoraggia e ti dà una motivazione in più, ti rendi conto che non è poi così male essere qui. Soprattutto se hai buone gambe, che rende tutto piuttosto bello».

Il talento di O’Connor

La tappa l’ha vinta Ben O’Connor, che sorride come un bambino, dopo un inizio di stagione in cui non è mai riuscito ad andare come voleva e un inizio di Tour non proprio esaltante. Per essere stato secondo alla Vuelta e poi anche ai mondiali dello scorso anno, lui per primo si aspettava di più passando alla Jayco-AlUla.

«Il Tour è una gara piuttosto crudele – dice – nei primi due giorni mi sono ritrovato a terra un paio di volte, ma non per colpa mia. A Copenaghen tre anni fa, la stessa cosa. Per contro nel 2021 ho vinto e sono arrivato quarto in classifica. Quello che ho fatto oggi significa molto. Sono orgoglioso di me stesso e della squadra. Nella discesa della Madeleine ho avuto una piccola discussione con Matthew Hayman sull’ammiraglia. Volevo capire cosa fare, come avrei potuto vincere. Non avevo niente da perdere e sapevo che per vincere sarei dovuto partire dal fondovalle, possibilmente con Matteo Jorgenson che di quelli davanti era il più forte. Alla fine è andata così. 

«Per me vincere così, a fine Tour – conclude – è stato lo scenario perfetto. Siamo arrivati in fondo alla discesa e avevamo già bruciato quasi 5.000 calorie. E’ un’enormità e mancava ancora un’ora. Era una di quelle situazioni in cui so di essere bravo. Si trattava di gestire lo sforzo, anche quando ti sbarazzi del tuo compagno di fuga. Devi essere sicuro che attaccare sia la mossa giusta. Sono rimasto a lungo da solo, mi è capitato altre volte nella mia carriera, quindi penso di avere un buon talento nel capire quando attaccare e quando no. E sono tanto sollevato di esserci riuscito oggi e di aver dato la vittoria alla Jayco-AlUla».

Pogacar si congratula. Gli dice che hanno fatto una grande corsa e ribadisce di non aver corso per la vittoria quando la Visma si è messa ad attaccarlo. Gli sarebbe piaciuto vincere, annota, ma ha preferito difendere la maglia gialla. Forse però questo passo in più nel lungo viaggio verso Parigi si può ritenere a buon diritto una vittoria.

Non il solito Pogacar, ma quanto basta per arginare Vingegaard

22.07.2025
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MONT VENTOUX (Francia) – Che sia stato per una crepa o un leggero malessere, la tattica del UAE Team Emirates è parsa subito insolita. Se Pogacar chiede di partire con la bici nera superleggera e poi lascia che la fuga guadagni sei minuti e chiede ai compagni un ritmo regolare, qualcosa forse non va. Abbiamo vissuto l’avvicinamento della corsa alle pendici del monte calvo seduti davanti al maxischermo sulla cima. Un panino comprato nell’ultimo bar, una felpa provvidenziale e lo sguardo fisso sulla corsa. Il vento non era violento come in altre occasioni, mentre tutto intorno lo sguardo si perdeva all’infinito facendo capire perché poeti e campioni abbiano trovato quassù la loro sublimazione.

I tifosi sloveni

La fuga guadagnava, solo il gruppo di Ben Healy alla fine è riuscito ad agganciarsi e dare la svolta al finale. Dietro, se non fosse stato per un’accelerata della Visma-Lease a Bike nell’avvicinamento alla salita, il margine sarebbe continuato a crescere. Pogacar non sta bene, abbiamo pensato, altrimenti sarebbe andato a riprendere tutti i fuggitivi. E così, nella disputa fra colleghi che parteggiano per l’uno o per l’altro, l’eventuale calo dello sloveno avrebbe significato il riaprirsi del Tour in vista delle Alpi. Solo che quando Vingegaard ha attaccato, l’altro gli si è incollato addosso. Pochi scatti, ben altra cosa rispetto a quello che sarebbe stato necessario. Tanto che quando Pogacar è scattato a sua volta, non è parso troppo provato. Non s’è tolto il danese di ruota, ma ha confermato ancora una volta che il suo è un livello a parte.

«E’ stato piuttosto difficile – dice quando tutto è finito e sul traguardo ha rifilato 2 secondi a Vingegaard – perché c’era solo una salita. Considerando che era la tappa dopo il giorno di riposo, sono molto contento di come l’ho affrontata e di aver mantenuto il vantaggio. Ho visto più bandiere slovene che sui Pirenei, penso che d’ora in avanti ce ne saranno tantissimi. Tifano anche Roglic e questo dà a entrambi un’energia in più. Quindi spero che nei prossimi giorni sulle Alpi, anche se il tempo sarà un po’ peggiore, avremo ancora le bandiere slovene alzate e che tiferanno per noi».

Violenti colpi di tosse

Un breve passo indietro. Ieri nell’hotel subito fuori Montpellier, passando casualmente accanto alla tavola in cui stavano mangiando i corridori della UAE, ci siamo accorti che proprio Tadej tossisse in modo violento. La notizia del ritiro mattutino di Van der Poel per problemi respiratori aveva acceso un allarme. Se davvero c’è qualcosa e gli avversari se ne accorgono, sul Ventoux per lui si farà dura.

«Fin dall’inizio della salita – prosegue Pogacar – sapevo che i corridori della Visma stavano bene e che avrebbero provato ad attaccare. Avevano un buon ritmo e noi ne abbiamo tenuto uno altrettanto buono, quindi sicuramente non hanno avuto tante occasioni per attaccare. In alcuni tratti ho sofferto, lo sforzo è stato intenso e le raffiche di vento si sono fatte sentire. Abbiamo lasciato andare la fuga perché non ci interessava vincere. Se avessimo voluto farlo, avremmo attaccato la salita con Adam Yates, invece abbiamo deciso di lasciare spazio. Anche se con gli scatti di Jonas e miei, ho pensato che li avremmo raggiunti. Si meritavano la vittoria. Mentre ci cambiavamo ho visto Paret Peintre, era super felice. Stava chiamando qualcuno ed è stato bello. E’ stata una giornata davvero dura dopo il giorno di riposo, ma ora sono motivato per i giorni successivi».

Vingegaard ha attaccato e ci riproverà: forse manca un po’ di convinzione?
Vingegaard ha attaccato e ci riproverà: forse manca un po’ di convinzione?

Vingegaard ci crede ancora

Il danese non ha vissuto il miglior finale di tappa. Dopo aver attaccato per staccare la maglia gialla e averne subito il ritorno, Vingegaard si è ritrovato anche per terra a causa di uno scontro fortuito con un fotografo. Si spiega perché di colpo gli addetti al servizio d’ordine siano diventati spietati e per muoverci abbiamo dovuto adottare tattiche da… uomo ragno.

«Un fotografo si è ritrovato davanti a me subito dopo il traguardo – racconta Jonas – e sono finito a terra. Credo che chi sta dietro al traguardo dovrebbe stare più attento… Mi sentivo davvero molto bene. Sono molto contento delle mie sensazioni oggi e degli attacchi che sono riuscito a sferrare. Certo, non ho recuperato tempo, ma è una grande motivazione per me. Volevamo mettere dei nostri corridori in fuga, la squadra è stata fantastica. Tutti hanno lavorato, hanno dato quello che avevano e mi hanno sostenuto completamente. Pogacar mi ha seguito in ogni attacco e così ho fatto io. Non credo di aver visto debolezze in lui, ma le mie sensazioni di oggi mi danno la motivazione e mi spingeranno a continuare».

La Visma è parsa unita. Prima il lavoro di Van Aert, poi Kuss (nella foto) infine Benoot e Campenaerts
La Visma è parsa unita. Prima il lavoro di Van Aert, poi Kuss (nella foto) infine Benoot e Campenaerts

La tappa migliore

Sulla stessa linea è il suo tecnico Marc Reef, uno che porta bene alla squadra. Quando c’è, di solto vincono. Lo incontriamo nella coda delle ammiraglie che si avviano lungo la corsia di evacuazione e si ferma per rispondere a qualche domanda.

«Eravamo e siamo ancora pronti per la battaglia – dice – siamo ancora molto fiduciosi. Jonas ha incitato i ragazzi a fare un ritmo molto alto e poi ha fatto un attacco davvero, davvero forte. Benoot era pronto più avanti e dopo di lui anche Victor (Campenaerts, ndr). Penso che continuare ad attaccare sia l’unico modo per creare ancora qualcosa e riguadagnare un po’ di tempo. Vogliamo lottare per ogni occasione che avremo. E’ stata la tappa migliore che abbiamo fatto finora e continueremo a mettergli pressione. Aver visto che oggi non è riuscito a staccarci accresce la nostra fiducia per le giornate che dovremo affrontare».

Dopo l’arrivo, Pogacar ha ringraziato i compagni: qui con Adam Yates
Dopo l’arrivo, Pogacar ha ringraziato i compagni: qui con Adam Yates

Raffreddore e aria condizionata

L’ultima parola è per Matxin, il responsabile tecnico della UAE Emirates, che aspettava proprio Pogacar per affrontare la discesa. Tutti gli altri sono andati in bicicletta, con il classico fischietto al collo, approfittando della strada chiusa con encomiabile zelo dalla Gendarmerie, che per certe cose è inimitabile.

«Non siamo voluti entrare nella lotta per la fuga – dice lo spagnolo – eravamo consapevoli che a un certo punto la Visma avrebbe iniziato a muovere le acque, dato che avevano cinque corridori, fra cui due scalatori. Ma noi abbiamo usato la testa. Potevamo anche controllare e cercare di vincere la tappa, ma avrebbe significato spremere tutti i corridori per un solo giorno. Alla fine abbiamo una priorità che è la maglia gialla, alla tappa si può anche rinunciare. La Visma ci proverà ancora, dovrà provarci ancora, per questo non è nostro interesse essere sempre i primi ad attaccare.

«Il raffreddore di Tadej? Ha avuto qualche fastidio per l’aria condizionata e per tutti questi cambiamenti dovuti al meteo degli ultimi giorni. Arrivi al podio che ci sono 15 gradi, poi il giorno dopo ne trovi 30 e in hotel hai l’aria gelida. Fa parte degli aspetti da tenere sotto controllo».

In sintesi, prima di salutarvi e darvi appuntamento a domani: se Pogacar sta bene, te ne accorgi perché attacca. Se invece non è al meglio, si mette buono in gruppo e lascia fare. Manca una settimana di Tour, mancano le Alpi dove probabilmente pioverà. L’obiettivo della maglia gialla è fisso su Parigi: le azioni plateali per ora sono sospese, in attesa di altre comunicazioni.

Nel giorno di riposo Vingegaard rilancia: «Attaccherò ancora»

21.07.2025
4 min
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NARBONNE (Francia) – La Cote du Midi si sveglia con un vento insolitamente fresco. Nella notte ha piovuto e il cielo è ancora coperto da qualche nuvola. Da Montpellier, dove il Tour de France osserva il giorno di riposo e dove ieri sera, tra una birra e un gelato, i mezzi delle squadre già affollavano la piazza, ci siamo spostati a Narbonne. E’ qui, in uno splendido resort tra vigneti pregiatissimi e dolci colline di macchia mediterranea, che è di stanza la Visma-Lease a Bike di Jonas Vingegaard.

La conferenza stampa inizia di buon mattino. E’ all’aperto. Vingegaard si presenta con una tazza fumante, la tuta lunga e i calzini nei sandali. Non il massimo dello stile, ma di certo una tenuta comoda e rilassata, ideale per un giorno pensato per ricaricare le batterie.

Una giornata trascorsa tra riposo assoluto per alcuni, rulli o una sgambata per altri, in uno scenario ancora molto naturale del sud della Francia. Un recupero prezioso prima del Mont Ventoux e della terza settimana.

Jonas Vingegaard arriva nella conferenza stampa di questa mattina. Il danese è parso più che rilassato
Jonas Vingegaard arriva nella conferenza stampa di questa mattina. Il danese è parso più che rilassato
Jonas, pensi che ancora potresti vincere questo Tour de France? E se sì, come lo farai?

Sì, penso ancora di poter vincere. Ovviamente sembra e sarà molto difficile ora. E’ una grande sfida, ma ci credo ancora. Normalmente la mia forza è nella terza settimana. Non ti dirò le tattiche, ma credo ancora di potercela fare.

Quale potrebbe essere la tua possibilità?

Attaccare. Sono più di quattro minuti indietro. Dobbiamo provare a fare qualcosa. Ma non posso dire di più nel dettaglio.

Hai la sensazione di poter crescere ancora, quindi?

Sì, ho questa sensazione. Purtroppo ho avuto due giorni difficili, che non mi capitano quasi mai. Di solito non avevo proprio giornate negative. Ma posso solo guardare avanti e crederci. Di certo se non ci credi, non succede nulla.

Cosa ti aspetti dal Mont Ventoux?

E’ un giorno un po’ diverso. Dovrebbe fare freddo, sarà una giornata particolare con una sola grande salita alla fine. E’ un arrivo iconico, ci sarà una grande battaglia.

Vingegaard ha parlato di due giornate negative: la crono di Caen (in foto) e Hautacam. In queste due frazioni ha perso 3’15”
Vingegaard ha parlato di due giornate negative: la crono di Caen (in foto) e Hautacam. In queste due frazioni ha perso 3’15”
Hai già notato alcuni punti deboli in Pogacar?

Per essere sincero, no. Tadej Pogacar è molto forte, quindi ovviamente non direi che ha delle difficoltà. Penso che sia uno dei corridori più completi in gruppo, se non il più completo. E comunque, anche se ne trovassi uno, non lo direi. Penso che sia lui, come me, che due anni fa abbiamo fatto un vero salto di qualità. Solo che lui, nell’ultimo anno, è migliorato ancora un po’. Alla fine io ho perso la maggior parte del tempo in due giorni (la prima crono e Hautacam, ndr) e penso che la differenza tra me e Pogacar non sia poi così grande. Anzi, secondo me è minore rispetto all’anno scorso.

Però come ti spieghi questa differenza?

Posso dire con certezza che l’incidente dell’anno scorso ha avuto un grande impatto su di me e sulla mia condizione. Non ero due passi indietro, ma dieci passi indietro. Il problema che ho avuto quest’anno alla Parigi-Nizza non è neanche lontanamente paragonabile: dopo una settimana, seppur lentamente, ho ricominciato ad allenarmi. Dal 2020, dopo la pandemia, il gruppo ha alzato mediamente del 10 per cento il proprio livello. E in questo contesto si è visto che avere continuità, allenarsi a lungo senza intoppi è fondamentale. Anche per noi i piani di allenamento erano basati su questa stabilità. Però quest’anno sto crescendo.

Quindi non si molla?

No, il Tour finisce a Parigi. Ovviamente quattro minuti sono tanti, ma penso ancora di poter fare la differenza. Sono disposto a rischiare anche il mio secondo posto pur di provarci. Tadej è forte e mi aspettavo questo suo livello, ma non penso che sia molto migliore dell’anno scorso.

Proprio sul Ventoux per la prima volta, era il 2021, Vingegaard mise quasi in difficoltà Pogacar. Magari il danese sfrutterà questa “cabala”
Proprio sul Ventoux per la prima volta, era il 2021, Vingegaard mise quasi in difficoltà Pogacar. Magari il danese sfrutterà questa “cabala”
Chiaro…

Come ripeto, ho perso gran parte del terreno in due giorni, due giorni in cui non sono stato io all’altezza. E quando sai che puoi andare più forte, non perdi fiducia in te stesso.

Pensi di aver commesso qualche errore durante questo Tour de France?

Ho avuto due giorni difficili e quando succede, ovviamente perdi tempo. Ma chiunque può avere una giornata no. Il perché lo stiamo ancora cercando, ma non abbiamo ancora una risposta: semmai questo è il problema. Per come è andata, potrei avere difficoltà anche oggi nella sgambata… per dire.

In generale, Jonas, sembri più rilassato, scherzi di più… Stai cercando di ricostruire un’altra immagine di te stesso?

No, non mi interessa. Le persone possono pensare ciò che vogliono su di me. Non mi interessa l’immagine, però è vero che in qualche modo mi diverto più di prima e sono più rilassato nel vivere la corsa.

Sulle Alpi un altro Tour. E Vingegaard troverà la crepa nel muro?

19.07.2025
6 min
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Tre corse nella stessa. E mentre Thymen Arensman corona la sua con la vittoria e stramazza sull’asfalto, alle sue spalle si svolgono le altre due: la corsa di Vingegaard contro Pogacar e quella di Lipowitz verso la maglia bianca. Mesto su un’ammiraglia in qualche posto imprecisato della tappa, Remco Evenepoel ha avuto il tempo per riflettere sul ritiro dal Tour. In attesa di avere notizie su eventuali problemi di salute, annotiamo le osservazioni del suo allenatore sul poco lavoro d’intensità fatto dopo il Delfinato, ma anche la facilità con cui il belga ha scelto di mollare. Si cresce anche lottando per un piazzamento, non esiste soltanto il podio.

«Sono stato male preparando il Tour – dice Arensman – ma penso che nonostante la malattia, mi sia preparato bene. Sono venuto per mettermi alla prova e ho dovuto essere molto paziente nella prima settimana, aspettando fino alle montagne. Alla prima occasione che ho avuto, sono arrivato secondo nella tappa di Le Mont Dore e già mi era parsa un’esperienza incredibile. Ma questa è di più. Penso di avere avuto gambe fantastiche e la forma migliore della mia vita. Ho avuto paura che tre minuti non bastassero per resistere a Tadej e Jonas, non riesco a credere di essere riuscito a tenerli a bada. Tutti gli spettatori mi hanno dato qualche watt in più. Sono venuto in Francia solo per vivere l’esperienza del Tour, vincere una tappa è pazzesco».

Il muro di Pogacar

Vedere Vingegaard che si scaglia contro Pogacar strappa il sorriso. Ma siccome è opinione diffusa che la terza settimana potrebbe capovolgere tutto l’acquisito, vedere Jonas scattare per due volte sulla salita finale fa dire che ne servirebbe di più, ma ben venga la buona volontà. Il Tour ha sempre vissuto dei duelli tra il leader imbattibile e i suoi sfidanti, ma solo uno prima di Pogacar aveva dato il senso dell’inscalfibilità: Lance Armstrong. Tutti, da Ullrich a Basso, contro di lui hanno perso il sonno e le sfide. Hanno continuato a provarci, ma di base come fai a crederci se quello là davanti neppure barcolla e, quando sei convinto di andare molto forte, ti scatta in faccia?

«Io credo che innanzitutto dipenda dallo spirito – dice Ivan Basso, chiamato in causa per la sua esperienza – dal temperamento del corridore. Se sei un attaccante, hai lo spirito di provarci sempre, perché non si sa mai cosa possa succedere. Ovviamente se non ci provi, non puoi sapere se l’altro sia in difficoltà o meno. E se lui ha la giornata storta e tu ne hai una di grazia, non c’è niente di impossibile. Io credo che Vingegaard non abbia nulla da perdere, nel senso che fare secondo non gli cambia nulla, mentre vincere il Tour con un’impresa sarebbe un’altra cosa. E’ chiaro che Tadej ha preparato questa gara come appuntamento clou dopo le classiche, quindi è fortissimo».

Basso ha lottato per anni contro Armstrong, senza riuscire mai a scalfirne l’armatura
Basso ha lottato per anni contro Armstrong, senza riuscire mai a scalfirne l’armatura

I numeri e l’istinto

Vingegaard appare deciso a non mollare e da martedì sul Mont Ventoux, potrebbe farsi nuovamente sotto.

«A questo punto – spiega Basso – ci sono due modi per provare ad attaccare Tadej. Il primo è legato all’analisi dei dati. Nelle squadre c’è qualcuno incaricato di studiarli, studiando se c’è una crepa in cui infilarsi. E poi ovviamente ci sono le doti dell’atleta, l’istinto e il colpo d’occhio. Quindi se l’istinto ti dice di andare in quel momento, tu ci provi e non sai mai quello che succede. Avere i dati è fondamentale. Servono per crescere, anche per andare indietro e vedere perché non vai o perché non vai come ti aspetti.

«Ma oltre a questo c’è quella cosa in più, che solo i campioni hanno e tirano fuori quando ritengono che sia giunto il momento. Infine c’è quello che ti viene dall’ammiraglia. Dall’immagine dell’elicottero si vede molto. Vedi dov’è posizionato l’avversario e se ha perso un metro oppure se ti segue come un’ombra. Io le ho provate in tutti i modi, ma Armstrong mi ha sempre ripreso. Però non avrei saputo correre in modo diverso».

Lipowitz ha tagliato il traguardo con 1’25” di ritardo da Arensman, ma nella scia di Pogacar
Lipowitz ha tagliato il traguardo con 1’25” di ritardo da Arensman, ma nella scia di Pogacar

La nuova maglia bianca

Mentre i primi due della classe se le davano di santa ragione, alle loro spalle Lipowitz ha conquistato il quinto posto a 1’25” da Arensman, ma ad appena 17 secondi da Pogacar. Questo gli ha reso la maglia bianca, che detiene ora con 1’25” su Oscar Onley. La classifica della Red Bull-Bora-Hansgrohe vede a questo punto il tedesco sul terzo gradino del podio, mentre Roglic viaggia in sesta posizione. Scendendo dal traguardo verso l’hotel, il primo direttore sportivo Enrico Gasparotto traccia un bilancio che, sottolinea, non può che essere provvisorio.

«Abbiamo vissuto tre buone giornate – dice il friulano – ma la tenuta alla distanza credo che la misureremo dopo la ventesima tappa. Quello che è venuto fuori in questi giorni è il fatto di aver approcciato la prima parte di Tour con un po’ più di serenità e tranquillità, invece di lottare per ogni secondo. E’ stato il nostro approccio e al momento ha fatto sì che Florian e Primoz abbiano avuto le gambe più fresche di altri. Però credo che si possa tirare una somma solo dopo le Alpi. Credo che a Lipowitz, abbia dato molta fiducia il terzo posto al Delfinato. Per lui è il primo Tour, ma per la seconda volta nell’anno si ritrova a lottare contro gli stessi protagonisti che sono l’apice del ciclismo mondiale.

«La stiamo vivendo serenamente, restando fedeli all’obiettivo del team, che prima di partire per il Tour era centrare il podio. Credo che siamo abbastanza in linea, però preferisco essere molto cauto perché la settimana prossima è molto difficile. Se ne vedranno ancora delle belle. Magari non sul Mont Ventoux, perché è una salita sola, anche se viene dopo il riposo e andrà gestito. Ma ci saranno due giornate da 5.500 e 4.500 metri di dislivello, che messe nell’ultima settimana, faranno male».

Primoz Roglic, terzo nella crono di ieri, viaggia al sesto posto della classifica
Primoz Roglic, terzo nella crono di ieri, viaggia al sesto posto della classifica

Il ruolo di Roglic

Prima di lasciarlo al suo viaggio verso l’hotel, l’ultima annotazione scappa quasi da sé. Roglic che al Giro, fino al ritiro, si è ritrovato a fare da esempio per Pellizzari, ora svolge lo stesso ruolo con Lipowitz. E’ un ruolo che gli piace?

«Primoz è molto partecipe ai discorsi – risponde Gasparotto – sia alle cose più goliardiche che i ragazzi si raccontano, sia agli aspetti più seri riguardanti la corsa. Il suo bagaglio di esperienza è enorme, ce ne sono pochi come lui. Ed è vincente il fatto che ne parliamo assieme sul bus, che discutiamo su tattiche e strategie, su quello che fanno gli altri e quello che dovremmo fare noi. Discutiamo sempre tutti insieme quando partiamo dall’hotel verso la partenza, è una cosa che abbiamo voluto noi direttori qui al Tour de France. Creare una sorta di ambiente rilassato, dove ognuno può dire quello che pensa. Credo che aiuti, no?

«Florian è una bravissima persona, un ragazzo d’oro, molto semplice. Quindi il fatto che Primoz sia così tranquillo, molto più dello scorso anno, per il gruppo è davvero un enorme vantaggio. E il terzo posto di ieri nella crono ha dato morale a tutti. Ora però dobbiamo riposare. Siamo passati dal caldo al freddo. Sono state giornate brevi, perché dopo le tappe, fra cena e massaggi si va a letto a mezzanotte e la mattina alle 9 sei già in giro. Abbiamo bisogno che lunedì sia un vero giorno di riposo, perché dal giorno dopo inizierà un altro Tour».

Vingegaard si mangia Remco. E intanto Tadej continua…

18.07.2025
8 min
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«Devo dire che sono stato sorpreso da chi ha utilizzato la bici da crono», ha detto Domenico Pozzovivo. E’ con lo scalatore lucano che abbiamo sviscerato la cronoscalata di Peyragudes. Una cronometro che ha visto protagonista ancora lui, sempre lui: Tadej Pogacar.

Lo sloveno si porta a casa la frazione, rafforza la sua maglia gialla, mette in cassaforte la quarta vittoria di tappa e si riprende anche la maglia a pois. Ma forse la vera notizia, o meglio, l’immagine del giorno è Jonas Vingegaard che riprende Remco Evenepoel.

Il momento topico della crono di Peyragudes: Vingegaard riprende e sorpassa Evenepoel partito 2′ prima di lui
Il momento topico della crono di Peyragudes: Vingegaard riprende e sorpassa Evenepoel partito 2′ prima di lui

Jonas e Remco: il sorpasso

Eppure Vingegaard non è parso poi così stupito. «Ieri – ha detto il danese – non ero al mio solito livello. Sì, è stata la mia seconda brutta giornata al Tour. Non so come sia possibile. Di solito non mi capitano queste cose. Oggi sono tornato al mio livello di prima. Credo ancora in me stesso e continuerò a provarci. La squadra è incredibilmente forte e dobbiamo dimostrarlo ora; il Tour non è ancora finito».

Mentre Remco, stremato e deluso, non ha risposto a chi gli chiedeva del sorpasso da parte di Vingegaard. Una domanda (legittima sia chiaro), ma che forse in quel momento di frustrazione poteva essere percepita come una provocazione.

«E’ stata una brutta giornata – ha detto il belga – di tutto il resto non mi importa». Come biasimarlo. Questi due giorni sono stati durissimi per lui e stasera andrà a dormire con più preoccupazioni che certezze.

Come diceva Pozzovivo, Tadej ha limato sul peso. Sulla Y1Rs non c’era neanche il nastro. I rapporti: 55-38 all’anteriore e 11-34 al posteriore. Pedivelle da 165 mm (dati UAe Emirates)
Come diceva Pozzovivo, Tadej ha limato sul peso. Sulla Y1Rs non c’era neanche il nastro. I rapporti: 55-38 all’anteriore e 11-34 al posteriore. Pedivelle da 165 mm (dati UAe Emirates)

Tadej senza dubbi

Quanti spunti ha regalato questa frazione contro il tempo sul colle pirenaico. Con il Pozzo si è parlato delle scelte tecniche e delle prestazioni. Ma anche della media oraria stellare. Si ipotizzava una media tra i 26,5 e i 27 all’ora: Tadej ha abbattuto il muro dei 28.

Pogacar stesso si è espresso sulla scelta tecnica fatta in concerto con la sua UAE Team Emirates: «La scelta della bici è stata la decisione più importante di oggi. Gareggiamo quasi sempre con questa bici; la usiamo il 99 per cento delle volte. Abbiamo fatto i nostri calcoli e se su quella da crono non riesci a sfruttare tutta la tua potenza, finisci con lo stesso tempo finale. Mi sento più a mio agio con questa bici, anche in salita. Per me ha funzionato bene. Comunque ho faticato tantissimo anche io. Nel finale pensavo di esplodere, per fortuna che ho visto il cronometro sul tabellone e capendo che avrei vinto mi sono motivato».

Mettete bene da parte le parole di Pogacar, perché vi torneranno molto utili quando adesso leggerete quelle di Pozzovivo.

Per ovvie caratteristiche fisiche Pozzovivo non era un grande cronoman, ma in più di qualche occasione si è ben difeso
Per ovvie caratteristiche fisiche Pozzovivo non era un grande cronoman, ma in più di qualche occasione si è ben difeso
Domenico, una gran bella cronometro con una marea di spunti tecnici, a partire dalla scelta dei materiali. Cosa ti è sembrato in merito?

Devo dire che sono stato abbastanza sorpreso dalla scelta di chi ha utilizzato le bici da crono, però alla fine vista la media oraria era davvero una scelta che ci poteva anche stare. Erano veramente due strategie al limite: poteva andare bene sia una che l’altra.

Ed è quello che ci diceva Pinotti un po’ di tempo fa: bici da crono sì o bici da crono no? Si era al limite…

Se si fosse restati sul classico Peyresourde, avrei detto assolutamente bici da crono. Mentre salendo all’aeroporto, quel finale così ripido metteva un po’ di dubbi dal punto di vista dell’efficacia della bici da crono. Pogacar è stato veramente sicuro di sé, non ha avuto nessun problema a scegliere la sua bici (la Colnago Y1Rs, ndr).

Una cosa che abbiamo notato è che chi aveva la bici da crono non sempre è stato in posizione, a parte Roglic… Forse questo ci dice che era meglio la bici da strada?

Considerando la bici aero che hanno in Visma-Lease a Bike (la Cervélo S5, ndr), per me era meglio. Poi è anche vero che Vingegaard è uno che sulla bici da crono ha la critical power migliore rispetto a quella da strada. Ricordiamoci di quando ha fatto la cronometro devastante a Combloux nel 2023: penso che quelle potenze relative al peso non le abbia mai fatte sulla bici da strada. Però secondo me, forse una decina di secondi li guadagnava con la bici da strada.

Vingegaard è andato molto forte. Quanto ha inciso vedere prima la macchina ferma della Soudal e poi Remco davanti?

In quei casi fa tanto vedere il corridore davanti a te, perché nel finale hai l’acido lattico fin sopra le orecchie. Ogni piccola motivazione, anche per distrarti, ogni appiglio può aiutarti ad andare più a fondo nello sforzo, specie su un muro del genere. Io credo che gli abbia fatto guadagnare tranquillamente 5-10 secondi rispetto a Tadej.

Tobias Foss: ruota anteriore ad alto profilo e posteriore bassa sulla sua Pinarello da strada
Tobias Foss: ruota anteriore ad alto profilo e posteriore bassa sulla sua Pinarello da strada
Restiamo sul setup dei Visma: bici da crono, casco aero e ruote basse. Perché? Questione di peso?

Sì, la coperta era corta: l’hanno tirata da una parte e hanno lasciato scoperto l’aspetto ruote. Io avrei sacrificato il casco aero a vantaggio di quello normale. Piuttosto avrei messo una ruota altissima o comunque una un po’ più alta.

Qualche bel “mischione” in termini di setup c’è stato. Lenny Martinez con bici da strada e lenticolare dietro, Tobias Foss con ruota alta davanti e bassa dietro… Questo fa capire che c’è stato tanto studio?

Ognuno ha cercato a suo modo la prestazione. Sono situazioni in cui magari qualcuno usa la fantasia, però a volte forse bisognerebbe essere più razionali. In soldoni: io la lenticolare non l’avrei messa mai.

E quale sarebbe stato l’assetto di Domenico Pozzovivo?

Avrei assolutamente utilizzato una bici da strada aero, limando su tutte le parti possibili. In questo modo la porti tranquillamente a 7 chili e per me avrebbe fatto la differenza.

Quello che ha fatto Pogacar, sostanzialmente…

Anche perché ultimamente sto usando una bici aero e in salita dice tranquillamente la sua, almeno se non è troppo pesante. Poi conta anche lo stile dei corridori. A me, per esempio, piace una bici molto rigida, e di solito le bici aero lo sono, quindi avrei avuto una risposta elastica molto reattiva.

Che fatica per Remco oggi. Ha pagato ben 2’39” a Tadej Pogacar
Che fatica per Remco oggi. Ha pagato ben 2’39” a Tadej Pogacar
Secondo te si sono fatti interventi piccoli sui manubri, magari allungare l’attacco per stare più bassi, oppure nel mezzo del Tour non si tocca niente?

Sulla bici da strada no, su quella da crono sì. Remco era chiaramente meno aero del solito. Ha alzato le appendici di un bel po’ (si vocifera 2 centimetri, ndr). Il problema della bici da crono è che ti perdona meno quando sei in crisi, come successo proprio a Remco. Era una scelta molto più rischiosa. Se stai bene come Primoz Roglic, che ha vissuto la sua giornata migliore in questo Tour, la sfrutti bene.

Poi devi avere determinate caratteristiche, devi essere abituato a quella bici. Come dicevi prima, Vingegaard ha la critical power più alta sulla crono…

E anche Roglic ci si esprime bene. E pure Florian Lipowitz è uno che ha un core, la parte centrale del corpo, incredibile. Anche quando è sulla bici da strada sembra che stia su quella da crono per come tira il manubrio e per il suo stile così disteso. Ecco, nel suo caso non avrei avuto dubbi a usare la bici da crono. Si vede che ci è a suo agio e riesce ad esprimersi.

Invece a livello di prestazioni cosa ti è sembrato?

Alla luce della prestazione di ieri, oggi mi aspettavo un altro show di Tadej Pogacar. Il tempo che ha sancito la vittoria è veramente incredibile. La media è fuori dal comune. Già andare sopra i 27 all’ora sarebbe stato straordinario, lui ha fatto più di 28 (28,435 km/h, ndr). E’ su un altro pianeta. Già uno fortissimo come Vingegaard, rispetto agli altri campioni, ha fatto una differenza abissale.

Quindi questi 36 secondi sono una differenza abissale o qualcuno si poteva aspettare anche di più?

No, non ci si poteva attendere certi distacchi. Un conto è una tappa lunga e un conto uno sforzo breve. Il discorso è diverso. Bisogna anche capire nella testa come è stata approcciata. Ieri Tadej l’ho visto spingere fino in fondo perché secondo me aveva in testa il best time della salita. Oggi per me non aveva quel doppio fine, quindi quando ha capito che aveva vinto ha spinto, sì, ma senza distruggersi. E’ arrivato molto meno a tutta rispetto a Vingegaard.

Buona prestazione di Roglic. Lo sloveno chiude terzo e ora nella generale è 7° a 1’26” dal podio
Buona prestazione di Roglic. Lo sloveno chiude terzo e ora nella generale è 7° a 1’26” dal podio
Invece qualcuno che ti ha colpito, in positivo o in negativo?

Luke Plapp me lo aspettavo perché è uno che a livello di potenza assoluta sulla salita secca ha quei numeri. In negativo direi Remco: me lo sarei aspettato terzo, invece ha fatto più fatica di ieri. Da lui mi aspetto di tutto. Domani potrebbe anche riprendersi, oppure potrebbe arrivare la giornata che mette la parola fine alla sua classifica.

La tendenza non è a suo favore. Ieri secondo te si è salvato solo perché si sono staccati Matteo Jorgenson e Simon Yates?

Però attenzione, ieri è stata una tattica quella della Visma talmente tirata, talmente al limite per cercare una falla in Tadej, che non sono state delle controprestazioni quelle di Jorgenson o Remco. Loro erano talmente al limite che il rischio di far saltare i compagni c’era, ed è stato così. Jorgenson e Yates sono saltati perché si andava fortissimo. Remco si è difeso davvero bene se pensiamo che si era staccato sulla penultima salita. Insomma, andare più forte di così era impossibile. Ci sarebbe voluto un altro Tadej e un altro Vinge per tirare in quel momento.

La lotta per il podio come la vedi?

E’ aperta. Per l’esperienza e dopo la buona prestazione di oggi direi che se Roglic non ha i suoi soliti problemi, è quello più lanciato verso il podio di Parigi. Però il compagno di squadra Lipowitz è solido. Sono loro due i miei favoriti. Ma manca ancora tanto. La tappa di domani dirà parecchio, perché non è solo un trittico. Bisogna aggiungerci anche la tappa di mercoledì. Diventano quattro giorni molto impegnativi. E in quattro giorni del genere possono verificarsi situazioni impreviste.

Secondo te che rapporti erano montati sui monocorona dei Red Bull e dei Visma? Potrebbero essere stati dei 48?

Non saprei dire con precisione, ma ad occhio sì: potrebbe essere stato un 48. Però la monocorona per me era una scelta azzardata, molto al limite a prescindere dalla dentatura precisa (se fosse un 46, un 48 o un 51, ndr), perché si rischiava di non trovare il rapporto, specie con le scale posteriori di adesso che fanno grandi salti.

Un po’ quello che è successo a Remco?

Molto probabilmente sì, anche se non era in una buona giornata. Sai, quando stai bene riesci sempre a metterci una toppa, ma se stai male ogni problema diventa un calvario.

Famiglia e corridori, l’opinione di Martinelli 

18.07.2025
5 min
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Ha fatto scalpore l’intervista rilasciata da Trine Hansen, moglie di Jonas Vingegaard, al quotidiano danese Politiken ed uscita in pieno Tour de France. Hansen ha criticato abbastanza duramente la Visma-Lease a Bike per quanto riguarda la gestione del marito, a suo dire troppo spesso lontano da casa, ma anche non abbastanza tutelato in corsa.

Un intervento che a molti è parso non azzeccatissimo, per lo meno nelle tempistiche. Abbiamo contattato Giuseppe Martinelli, uno dei DS più esperti nella storia del ciclismo italiano, per parlare con lui della non sempre facile gestione delle famiglie dei corridori.

Giuseppe Martinelli ha smesso con ciclismo professionistico quest’anno, ma rimane uno dei punti riferimento nel settore
Giuseppe Martinelli ha smesso con ciclismo professionistico quest’anno, ma rimane uno dei punti riferimento nel settore
Giuseppe, cosa ne pensi di questa faccenda?

Come prima cosa vorrei dire che i sacrifici che fanno ora i corridori, non so se siano di più, ma più stressanti forse sì. Se inizi ad andare in ritiro a dicembre, poi a gennaio, poi fai un’altura prima del Giro, una prima del Tour, per una famiglia che non sia avvezza al ciclismo è difficile. Quello che è balzato all’occhio secondo me è che Vingegaard è arrivato al ciclismo di alto livello un po’ per caso, e con lui anche la sua famiglia: cosa che gioca un ruolo importante. La moglie dovrebbe pensare che Vingegaard è una campione che ora deve sfruttare al meglio questi anni e capire i sacrifici suoi e di tutta la famiglia.

Quello che ha colpito molti sono state le critiche a Van Aert, uno che non se le merita proprio…

A Van Aert non si può dire niente, anzi si sta quasi snaturando: secondo me corre troppo per gli altri. Anche mentalmente dopo un po’ diventi uno che corre per gli altri e non per se stesso. Quindi sì, certamente quella è stata un’uscita sbagliata.

Van Aert si è sempre messo a completa disposizione del capitano al Tour, anche a scapito dei suoi obiettivi personali
Van Aert si è sempre messo a completa disposizione del capitano al Tour, anche a scapito dei suoi obiettivi personali
Ti sono mai capitati episodi simili?

Ho trovato gente che faceva fatica a staccare dalla famiglia, ma scontri così no, mai. Magari qualcuno preferiva allenarsi a casa e non andare sul Teide, ma non che la famiglia intervenisse e fosse apertamente contraria.

Nel senso che i corridori potevano decidere se andare in ritiro o no?

No no, alla fine decidevamo sempre noi. Anche perché i ritiri servono anche per fare coesione tra il gruppo, oltre che per allenarsi. Servono per conoscersi meglio, anche perché sennò porteresti solo il leader. Bisogna portare le persone che fanno star bene il capitano, compreso magari il meccanico più simpatico o il massaggiatore preferito, per creare un clima per arrivare all’appuntamento nel modo migliore possibile.

Vingegaard all’arrivo della tappa di ieri, dove ha pagato oltre 2′ su Pogacar. Queste polemiche sono arrivate, forse, nel momento meno indicato
Vingegaard all’arrivo della tappa di ieri, dove ha pagato oltre 2′ su Pogacar. Queste polemiche sono arrivate, forse, nel momento meno indicato
Un’intervista del genere in un momento così delicato potrebbe avere delle conseguenze all’interno della squadra? 

Non ha scelto certamente il momento migliore. Ma siamo ad un livello altissimo, sia il management della Visma che i corridori sono grandi professionisti e avranno trovato le parole giuste per far rientrare quest’uscita sbagliata. La Visma mi sembra una squadra molto coesa, da loro non esce mai niente, sono bravi a gestire le questioni all’interno.

Quindi la tua sensazione è che ora ci sia più stress che in passato…

Una volta questo stress c’era solo nelle grandi squadre ora invece c’è già tra i giovani, quasi da juniores, quindi sarà sempre più pesante. 15 anni fa andavano in altura solo le grandi squadre perché avevano le possibilità economiche. Ora invece quasi non trovi posto, perché ci sono già juniores e se le fai per anni poi diventa pesante a livello psicologico.

I ritiri sono un luogo molto importante per la coesione della squadra. Nella foto un momento per l’Astana del 2017, con Scarponi e Tiralongo
I ritiri sono un luogo molto importante per la coesione della squadra. Nella foto un momento per l’Astana del 2017, con Scarponi e Tiralongo
Quindi c’è del vero in quello che dice Trine Hansen ?

In quel senso sì, purtroppo è il momento attuale che estremizza tutto. Alle fine le squadre di alto livello sono delle aziende. E le aziende vogliono produrre e guadagnare sempre di più, ma alla fine i corridori sono uomini, e quando li hai spremuti troppo poi saltano. Anche i migliori.

Il capitalismo del ciclismo…

L’unica nota positiva è che oggi corrono un po’ meno di una volta. Però per arrivare agli appuntamenti al top devono fare quei sacrifici di cui abbiamo parlato, mentre una volta ti prepararvi nelle corse minori. Ora invece non è più possibile, arrivano già in formissima.

Per i corridori ci sono dinamiche più importanti di quelle economiche?

La famiglia per un atleta è incredibilmente importante. Però la carriera di un corridore dura 8-10 anni, e poi ha davanti altri 50 anni dove può godere di quello che ha raccolto in quel periodo. Quindi penso che la moglie di Vingegaard dovrebbe anche pensare alla fatica che fa il resto del mondo per accontentarsi di molto meno.

Martinelli, in pensione dalla fine del 2024, finalmente può godersi la sua passione senza troppo stress
Martinelli, in pensione dalla fine del 2024, finalmente può godersi la sua passione senza troppo stress
Come si potrebbe fare per alleviare questo stress secondo te?

Credo ci sia poco da correggere. L’unica sarebbe avere un calendario un po’ più soft, ma si sta andando nella direzione opposta, con sempre più gare così l’UCI incassa. Si potrebbe forse fare in modo che le WorldTour facciano solo gare tra loro, ma poi c’è il rischio di avere un ciclismo di serie A e di serie B. Ma ci sono tanti fattori di stress in questo momento. Una volta con il preparatore avevi un rapporto quasi di amicizia, ora invece è tutto più tecnico, basato sulle tabelle. Come anche il nutrizionista, che è fondamentale, ma ogni giorno manda al corridore la scheda con cosa deve mangiare. Il risultato è che i ragazzi sono lasciati tranquilli solo quando vanno a dormire. E se salta la testa poi però non funziona più niente.

Infatti adesso hanno gli psicologi…

Lo psicologo e il mental coach. Il loro “io” non esiste più, non trova più spazio. Io adesso per fortuna sono fuori da tutte queste dinamiche, la passione c’è sempre naturalmente, ma il fatto di poter agire liberamente è impagabile.

Ad Hautacam per Samuele: Pogacar fa la cosa giusta

17.07.2025
6 min
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Il senso di questa giornata al Tour sta probabilmente nelle ultime parole di Tadej Pogacar, mentre sui rulli cercava di mandar via la fatica dalla testa e dalle gambe. La fronte imperlata di sudore e un bottino sin troppo ricco in cima al primo arrivo pirenaico. Hautacam non passa mai inosservato e così è stato anche stavolta.

«Penso che questa tappa sia per Samuele e per tutta la sua famiglia – ha detto il campione del mondo – perché è stato davvero triste. E’ stata la prima notizia che ho letto stamattina e mi sono ritrovato a pensare a lui nell’ultimo chilometro. A quanto può essere duro questo sport e a quanto dolore può causare».

Al via un minuto di raccoglimento e applausi per salutare Samuele Privitera, scomparso nella notte ad Aosta
Al via un minuto di raccoglimento e applausi per salutare Samuele Privitera, scomparso nella notte ad Aosta

Un minuto di applausi

Sarà l’emotività del momento o il ricordo di tutti gli amici che abbiamo salutato in questi anni, le parole di Pogacar hanno dato alla scena un sapore umano, a margine di uno show di potenza e forza che ancora una volta ha annichilito i rivali. Anche il Tour è stato scosso dalla notizia della morte di Samuele Privitera al Giro della Valle d’Aosta. In partenza il gruppo, con il Team Jayco-AlUla in testa, ha osservato un minuto di raccoglimento che si è concluso con l’applauso delle migliaia di persone accorse ad Auch per salutare la partenza del Tour.

«E’ stata una notizia devastante per tutta la famiglia Jayco-GreenEdge – ha dichiarato il direttore sportivo Mathew Hayman – ed è stato emozionante vedere il Tour de France fermarsi per un minuto per onorare la sua memoria. I nostri pensieri sono rivolti alla sua famiglia».

Giornataccia Visma

Ora che si fa la conta dei distacchi sul primo arrivo in salita, ci si rende conto che la classifica scoraggia già ogni volo di fantasia. Prima è naufragato Evenepoel. Poi abbiamo assistito al forcing interrotto della Visma-Lease a Bike, che ha dovuto fermarsi per non perdere Jorgenson. E quando si è arrivati alla salita finale, quelli del UAE Team Emirates si sono messi davanti e hanno stritolato Vingegaard e compagni. Se gli olandesi davvero avevano un piano, forse non avevano fatto i conti con l’oste iridato, che ha dato sul traguardo 2’10” al danese e 2’23” a Lipowitz.

«Penso che oggi Jonas si sentisse bene – ha commentato il direttore sportivo Grischa Niermann – ma sull’ultima salita, Pogacar è stato chiaramente il migliore. Jonas ha sofferto molto, è stata una giornata dura. Matteo (Jorgenson, ndr) non è stato bene, ma non possiamo biasimare i corridori. Avevamo una strategia, ma lui non ce l’ha fatta. Non è successo quello che speravamo, ma comunque Jonas si è dimostrato il migliore di tutti gli altri. Congratulazioni a Tadej e alla UAE Emirates, hanno dimostrato chi è il più forte».

I fantasmi di Hautacam

Non si vive nel passato e forse la Visma lo ha capito tutto in una volta. Se qualcuno credeva di poter ripetere la scena del 2022, quando Hautacam spense definitivamente le velleità di Pogacar, oggi avrà avuto un brusco risveglio. Un senso di positivo stupore che ha coinvolto anche il campione del mondo, che si è ripreso la maglia gialla con 3’31” su Vingegaard e 4’45” su Evenepoel.

«L’ultima volta che eravamo venuti a Hautacam – ha detto Pogacar – fu una storia molto diversa. Già la prima volta che feci la ricognizione di questa salita, pensai che fosse fantastica e non vedevo l’ora di affrontarla in corsa. L’unica cosa è che nel 2022 andai praticamente contro un muro. Stavo cercando di recuperare la maglia gialla, ma in quel periodo la Jumbo era troppo forte. Così ho cercato di dimenticare e non vedevo l’ora che arrivasse oggi. Tanti sono venuti da me a dirmi che sarebbe stata la mia rivincita e quando ci siamo avvicinati all’inizio della salita, la storia è parsa subito diversa rispetto ad allora. C’era di nuovo un corridore belga in testa, ma era Wellens e non Van Aert, e a tirare c’era la nostra squadra. Sono super contento di aver guadagnato tempo e di aver vinto su questa salita».

Healy ha onorato la maglia gialla, ha combattuto per tutto il giorno. Ha chiuso a 13’38”
Healy ha onorato la maglia gialla, ha combattuto per tutto il giorno. Ha chiuso a 13’38”

L’imbattibile Riis

Pogacar e tutta la sua squadra hanno corso utilizzando la Colnago Y1Rs, quella aerodinamica e leggermente più pesante della V5Rs. Il feeling con la bici è andato crescendo di corsa in corsa e probabilmente l’esigenza è sempre più quella di fare velocità, su pendenze mai severe come al Giro d’Italia.

Eppure, nonostante il suo strapotere, Pogacar non ha stabilito il record di Hautacam, che appartiene ancora a Bjarne Riis, per sua stessa ammissione dopato al momento di stabilirlo. Tadej ha percorso i 13,5 chilometri della salita (7,8 per cento di pendenza media) in 35’21” a 41″ dal record del danese che nel 1996 la scalò in 34’40”. Partito a circa 12 chilometri dall’arrivo, lo sloveno è stato nettamente in vantaggio sui tempi intermedi del danese, ma con il passare dei chilometri ha iniziato a calare il ritmo. Non è dato sapere se perché stanco o perché abbia ritenuto che non fosse necessario insistere avendo ancora un Tour intero da correre.

Il suo tempo è stato comunque di prim’ordine. Nel 2022 impiegò 37’39” dietro allo scatenato Vingegaard: due minuti peggio di oggi.

La vittoria più bella

In questa tappa del Tour che si è chiusa nel segno di qualcosa che abbiamo già visto, forse la cosa migliore da fare è accucciarsi nuovamente in un bozzolo silenzioso e dedicare gli ultimi pensieri a Samuele Privitera e al suo sogno spezzato di essere un giorno su queste strade. Non condividiamo la retorica del ciclismo diventato uno sport pericolosissimo, perché scava fosse comuni in cui non si fanno distinzioni.

Di certo, in questa inesorabile metafora della vita che è la strada, può capitare di doversi fermare a piangere un fratello che non c’è più. Per questo a nostro avviso, la vittoria più bella del Pogacar odierno è stata aver pronunciato le parole con cui abbiamo iniziato questo articolo.