Vingegaard da solo, dietro il vuoto. La Tirreno è chiusa?

08.03.2024
7 min
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VALLE CASTELLANA – A 5,6 chilometri dalla vetta di San Giacomo, dopo il lavoro tirato e duro della Visma-Lease a Bike, Jonas Vingegaard attacca da solo. Mancano 29,5 chilometri al traguardo, di cui 14 in discesa. Una discesa insidiosa, appena riasfaltata, con ghiaino scuro a tenere alta l’attenzione. Si scende meglio da soli che in un gruppetto all’inseguimento: forse anche per questo il danese continuerà a guadagnare su Ayuso e Del Toro, Hindley, O’Connor, Uijtdebroeks e Arensman.

Monocorona vincente

Vingegaard si fa largo sulla montagna che divide Teramo da Ascoli con una bella pedalata potente e fluida. Quando stamattina lo abbiamo visto partire da Torricella Sicura con il monocorona (52 denti) e un pacco pignoni quasi da gravel (10-36), qualcuno ha storto il naso, ma alla prova dei fatti non sembra che la trasmissione Sram lo rallenti. Il danese vola e se dietro non ci fosse Del Toro, forse Ayuso sprofonderebbe ben di più. C’è in giro una generazione di corridori che non ha paura di prendersi dei rischi. Come Evenepoel e Pogacar nelle ultime settimane, anche Vinegaard scopre le carte, prendendosi la tappa e la maglia.

«Avevamo fatto un piano – spiega – e lo abbiamo eseguito alla perfezione. Van Baarle e Kruijswijk hanno tirato fin dalla partenza e hanno reso la gara davvero dura. Finché in salita sono passato davanti e ho chiesto che si facesse il ritmo più duro. Ammetto che non mi è dispiaciuto affatto andare da solo. E’ stato molto bello e sono felice di averli ripagati tutti. Ovviamente non è stato facile, non lo è mai. Per staccare tutti sono dovuto andare molto in profondità e lo stesso ho fatto per mantenere il vantaggio. Quindi alla fine è stata una giornata molto calda (sorride, ndr)».

Lo stupore di Cian

Il primo ad abbracciarlo è stato Cian Uijtdebroeks, che ha marcato il gruppetto alle spalle e ha provato a fare la volata, ma Ayuso è stato più forte. Il giovane belga si ritrova all’accademia del grande ciclismo e per ora non sembra soffrire il ruolo di supporto che gli è stato affidato. Anzi, ogni giorno impara qualcosa.

«Oggi per me è stata un’esperienza – racconta in fiammingo – far parte della squadra di Jonas in giorni così è una scuola. Il piano era di lanciarlo, il mio compito era rimanere nel gruppo di testa e poi semmai in quello alle sue spalle. Il suo attacco è stato super intelligente e ha fatto un finale fantastico, ha funzionato tutto alla grande. Ha corso un rischio, perché c’erano ancora tanti chilometri e ancora due salite. L’anno scorso ero in una squadra avversaria, potevo giocare le mie possibilità. Qui invece sto sperimentando che cosa significhi prendere davvero il controllo della corsa e questo mi dà una grande spinta per crescere. Sto iniziando ad abituarmi…».

Piano ben riuscito

Il rischio e il coraggio di prenderlo: è questo che rende questi corridori così speciali. E’ chiaro che non si tratti soltanto di fantasia, perché altrimenti non andrebbero lontano. Ed è stato per questo impressionante rendersi conto che il gruppetto alle spalle non riusciva a guadagnare. Si potrebbe sottilizzare sul fatto che a tirare ci fosse un ragazzino come Del Toro, ma se gli altri avessero avuto più gambe, siate certi che lo avrebbero staccato. Ayuso in persona ha ammesso di non essersi sentito nella sua giornata migliore. «Altrimenti non sarei stato con Vingegaard – ha detto – ma non avrei neppure perso così tanto».

«Il rischio va bene – prosegue Vingegaard – ma sapevo cosa avevo fatto prima e che la mia forma era buona. Quindi mi sono sempre fidato di me stesso e del livello che avevo. Ci abbiamo creduto, altrimenti non ci saremmo gestiti così. Volevamo provarci e ancora una volta il team ha fatto un lavoro fantastico. Si sarebbe potuto concentrare tutto su domani, che probabilmente sarà il grande giorno, ma anche oggi era un’opportunità e penso che quando si può, si debbano cogliere. Intanto ho una vittoria di tappa e la maglia blu e sono davvero felice di essere in testa alla corsa».

Morkov e Cavendish, già affaticati ieri, arrivano fuori tempo massimo: la stagione si complica
Morkov e Cavendish, già affaticati ieri, arrivano fuori tempo massimo: la stagione si complica

Scambio di… carezze

Mentre arriva la notizia che Cavendish e Morkov sono finiti fuori tempo massimo (bruttissimo colpo per l’Astana), ascoltando Vingegaard si ha la sensazione che il rischio in realtà fosse tutto calcolato. Al pari dei 22 secondi subiti nella crono, come un tributo pagato senza troppo affanno, viste le montagne in arrivo. Chissà se ha davvero ragione Pogacar ad aver detto che il danese sia il miglior scalatore del mondo.

«Nella cronometro – ammette – ho fatto buoni numeri come potenza. Quindi, invece di prenderla per una cosa negativa, l’ho presa come un segnale positivo. Ero consapevole della mia condizione, quindi perché non provarci? Oggi era un’occasione, la prima di due. E’ difficile dire se sia lo scalatore più forte al mondo, penso di essere fra i primi, ma è difficile dire chi sia il migliore. Non voglio infilarmi in questo discorso, perché anche Tadej è uno dei più forti ed è anche un ragazzo eccezionale. Penso (ride, ndr) che avremo di certo molti scontri amichevoli in cui ci scambieremo tanti complimenti».

Il gusto dell’impresa

Mentre il gruppo ha preso la via della discesa per raggiungere i pullman parcheggiati a 21 chilometri nel piazzale dello stadio di Ascoli, Vingegaard prende tempo, perché sa che scenderà sull’ammiraglia. Per questo, nel giorno di tutte le donne dedica la vittoria a sua moglie, che definisce un punto fondamentale della sua riuscita come corridore e più ancora come uomo. Conferma che la prossima settimana andrà a provare le tappe italiane del Tour de France. E poi, proprio parlando del Tour, parla della squadra, che sarà forte, anche se non avrà Uijtdebroeks e Attila Valter che faranno il Giro. Infine prima di salutare, torna brevemente sulla vittoria.

«Anche se sei sicuro di te stesso – dice – puoi comunque avere delle brutte sorprese. Domani sarà difficile, ma sono anche consapevole del fatto che questo tipo di vittorie mi facciano davvero bene. E’ più bello vincere quando vai via da solo, è divertente rilanciare scatto dopo scatto. Mi piace correre così, oggi sono proprio felice».

Van Aert e Vingegaard, la vittoria resta in famiglia

25.02.2024
4 min
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Nonostante fra loro ci fossero 1.800 chilometri, Jonas Vingegaard e Wout Van Aert hanno dato un senso compiuto alla domenica e più in generale al weekend della Visma-Lease a Bike. Dopo la tripletta di ieri, con Vingegaard in Spagna più Tratnik e Marianne Vos alla Het Nieuwsblad, oggi è stata la volta nuovamente del danese e del gigante belga che ha trionfato nella Kuurne-Bruxelles-Kuurne. E se ieri alle spalle di Tratnink era finito Nils Politt, questa volta è toccato a Tim Wellens, anche lui del UAE Team Emirates.

Vingegaard ha detto che avendo già perso Roglic, al Tour sentirà la mancanza di Van Aert. Non c’è dubbio che la convinzione sia oggi ancor più radicata.

Wellens è in ottima forma: il suo forcing sui muri si è fatto sentire
Wellens è in ottima forma: il suo forcing sui muri si è fatto sentire

Selezione inattesa

Van Aert non aveva mai corso la Kuurne-Bruxelles-Kuurne, cosa che sembra surreale parlando di un corridore belga. Il podio di ieri lo aveva gratificato per la vittoria del compagno Tratnik, ma certo avendo fatto tutta la preparazione finalizzata alle classiche, un po’ gli era seccato non vincere l’apertura.

«E’ una vittoria molto bella – ha detto Van Aert nell’intervista flash nella zona mista – è davvero bello, perché è stata una gara dura. Con Wellens e Lazkano avevo due buoni compagni di avventura e grazie al vento a favore sapevo che i più forti sarebbero rimasti tagliati fuori finita la zona dei muri. Non ho avuto neppure bisogno di voltarmi, ho sentito che dietro di me il gruppo iniziava a lacerarsi, ma siamo rimasti molto meno di quanto mi aspettassi».

Mentre Lazkano era a corto di gambe, la volata di Van Aert con Wellens è stata tirata: duello belga
Mentre Lazkano era a corto di gambe, la volata di Van Aert con Wellens è stata tirata: duello belga

Strade e Sanremo, au revoir

Il belga ora partirà per un ritiro in altura e tornerà in gruppo soltanto alla E3 Saxo Classic di Harelbeke, saltando quindi la Strade Bianche e anche la Sanremo. La sensazione che il Fiandre e la Roubaix si stiano trasformando in ossessione si fa largo.

«Sapevo che era possibile controllare il finale – ha spiegato Van Aert – e quando Laurence Pithie (corridore della Groupama-Fdj, ndr) si è staccato, dopo che aveva fatto il furbo non tirando, ho pensato che fosse meglio andare via in tre. Sarebbe stato più difficile per due soli sorprendermi, per questo ho deciso di andare. Negli ultimi chilometri ho corso con molta attenzione e avevo molta fiducia nel mio sprint. E’ stato un ottimo modo per aprire la stagione delle classiche e ovviamente dà molta fiducia. Era il mio primo tentativo a Kuurne e ho fatto centro subito. Questa gara è ovviamente molto diversa dalle classiche che verranno. Ora è il momento di aggiungere il poco che manca e vincere una Monumento».

O Gran Camino: l’attacco finale di Vingegaard gli ha consegnato l’ultima tappa, ma Martinez non ha mollato
O Gran Camino: l’attacco finale di Vingegaard gli ha consegnato l’ultima tappa, ma Martinez non ha mollato

Il tris di Vingegaard

Questa mattina, nella partenza dalla cittadina di Ponteaeras, Vingegaard sembrava rilassato. Si avviava all’ultima tappa con un buon vantaggio, dato che i due numeri di ieri e di venerdì avevano praticamente messo in cassaforte la vittoria finale. Solo il tempo poteva mettere i bastoni tra le ruote. E infatti la tappa, che sarebbe dovuta finire a Monte Aloia è stata abbreviata a causa delle avverse condizioni meteorologiche.

Si sarebbe dovuta fare la salita finale per due volte, ma l’organizzazione ha deciso di cambiare subito. E alla fine è stato ancora Vingegaard a vincere. Solo che prima di esultare ha dovuto fare i conti con Lenny Martinez, un cucciolo di campione che spinge davvero forte.

«Sono molto soddisfatto della settimana trascorsa – ha detto Vingegaard – tutti hanno fatto un lavoro fantastico. Con tre vittorie di tappa e la classifica possiamo parlare di una O Gran Camino quasi perfetta. L’unica cosa meno positiva è stata il meteo. E’ davvero un peccato dover finire in queste condizioni atmosferiche difficili».

Contrariamente al compagno belga, Vingegaard farà ora rotta sull’Italia. Il suo programma di gare a tappe di qui al Tour prevede la Tiirreno-Adriatico, il Giro dei Paesi Baschi e il Delfinato.

Il ciclismo di Roglic, fra volontà, emozioni e fiducia

22.02.2024
6 min
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Non è mai troppo tardi per raggiungere i propri sogni. Primoz Roglic si è raccontato a L’Equipe in una lunga intervista, da cui abbiamo estrapolato e riletto i concetti chiave. Lo sloveno vincitore dell’ultimo Giro d’Italia debutterà il 3 marzo alla Parigi-Nizza (foto Instagram di aperetura), allo stesso modo in cui lo scorso anno era ripartito dalla Tirreno-Adriatico. La sola differenza è che nel 2023 era in ripresa dal terribile infortunio della Vuelta, mentre questa volta sorridendo ammette di aver rallentato per alcuni virus portati in casa dai bambini da scuola, ma per il resto dice di avere buona salute.

Il 28 maggio del 2023, Primoz Roglic riceve il trofeo del Giro dal presidente della Repubblica Mattarella
Il 28 maggio del 2023, Primoz Roglic riceve il trofeo del Giro dal presidente della Repubblica Mattarella

L’usura del tempo

Il cambiamento di squadra è stato fisiologico, per la consapevolezza che nell’attuale Visma-Lease a Bike la presenza di Vingegaard gli avrebbe precluso per sempre la chance del Tour. Poco dice invece della Vuelta. Se il danese ha ammesso di aver sofferto nel lasciare la corsa spagnola a Kuss, Roglic spiega di aver sempre saputo che l’americano potesse vincerla e per questo non sembra particolarmente afflitto.

«L’idea di cambiare maglia – dice – ha cominciato a prendere piede nell’estate. Facevo parte della stessa squadra da parecchio tempo. Non mi è venuto in mente all’improvviso, nell’ultima settimana della Vuelta. Avevo già riconosciuto l’usura del tempo e ad un certo punto bisognava fare il grande passo, ma solo a condizione che le condizioni fossero soddisfatte. Ho identificato venti gare che vorrei ancora vincere e che non sono nella mia lista di successi. Quindi ho dovuto cambiare, visto la mia squadra non poteva offrirmi queste opportunità. Il Tour de France è ovviamente il motivo principale del mio trasferimento e il mio obiettivo finale. A parte questo, mi piacerebbe diventare campione del mondo, vincere il Tour de Suisse e gare come il Tour Down Under. Ci sono tantissime gare fantastiche da vincere nel calendario ciclistico internazionale!».

L’amore per la neve non si scorda: prima di Natale, scorribanda sulle montagne di casa (foto Instagram)
L’amore per la neve non si scorda: prima di Natale, scorribanda sulle montagne di casa (foto Instagram)

Cordialmente avversari

Il guerriero non è affatto arreso, questo è certo. Non è difficile, almeno in apparenza, spiegare la differenza di atteggiamento fra Roglic, Pogacar e Vingegaard. Il danese, come pure Froome prima di lui, vince corse a raffica in avvicinamento al Tour, ma con la sensazione che siano conseguenza e necessità dettata dalla preparazione svolta. I due sloveni vincono perché amano le corse cui prendono parte, ne fanno obiettivi veri, pur riconoscendo la supremazia della sfida francese. E in questo, pur rimanendo rivali e con la ferita del Tour 2020 che ancora pulsa, i due hanno trovato delle insospettabili sintonie.

«E’ bello che Tadej abbia deciso di correre il Giro», spiega Roglic. «Vincerlo alla fine potrebbe essere più facile per lui di quanto sia stato per me. Non conosciamo ancora tutti i rivali, ma sarà difficile che qualcuno possa batterlo. Ha studiato bene tutto. Ama la pioggia e il maltempo, quindi il percorso di quest’anno dovrebbe adattarsi perfettamente. Purtroppo per lui (sorride, ndr) non sarà il primo sloveno a vincere la maglia rosa, perché quello l’ho già fatto io. E non so neppure se spenderà troppo verso il Tour, è difficile da valutare. Nel 2020 lo conoscevo a malapena. Ora so che è un ragazzo molto simpatico oltre che un grande campione. E’ difficile definire il nostro rapporto. Facciamo lo stesso lavoro, veniamo dallo stesso Paese che non è molto grande e viviamo entrambi a Monaco. Anche noi siamo avversari. Andiamo d’accordo, parliamo, è un ottimo compagno di viaggio e ovviamente ha tutta la mia stima».

Il 27 maggio 2023, giorno prima del gran finale, Roglic conquista la maglia rosa a Monte Lussari, in un tripudio di bandiere slovene
Il 27 maggio 2023, giorno prima del gran finale, Roglic conquista la maglia rosa a Monte Lussari, in un tripudio di bandiere slovene

Il giorno del Lussari

Il Giro resta un capitolo di grande impatto nella carriera di Roglic, che lo scorso anno scelse di correre in Italia, chiamandosi fuori dal Tour, avendo capito che in quella squadra non ci sarebbe stato posto per le sue ambizioni.

«Vincere un Grande Giro, qualunque esso sia – spiega – richiede un investimento tale per cui non potrò mai dire che una vittoria valga più di un’altra. Sarebbe irrispettoso nei confronti degli eventi e degli avversari. Quello che è certo è che le emozioni vissute al Monte Lussari durante l’ultimo Giro, quasi in Slovenia, rimarranno uniche. E’ legato al lavoro di squadra, alle condizioni drammatiche della mia cronometro (riferimento al salto di catena, ndr), alla comunione con i tifosi in quel contesto così speciale che mi ha ricordato la mia giovinezza come saltatore con gli sci. Tutti elementi che non si riuniranno mai più lo stesso giorno nello stesso posto. Le vittorie sono sempre importanti e allo stesso tempo non possiamo dormire sugli allori, dobbiamo rimetterci velocemente in cammino per prepararci alle conquiste successive. Non voglio nemmeno immaginare cosa significherebbe nella mia vita una vittoria al Tour de France».

Alla Bora lo ha accolto Cesare Benedetti, autentico veterano del team tedesco (foto Matthis Paul)
Alla Bora lo ha accolto Cesare Benedetti, autentico veterano del team tedesco (foto Matthis Paul)

34 come Bartali

Quel giallo continua a scintillare nel mezzo dell’estate, non si può fare a meno di guardarlo. E forse per quest’anno si potrebbe anche giustificarlo se nel nome della conquista sacrificasse il resto. La carta di identità dice che Primoz ha 34 anni, gli stessi di Gino Bartali quando vinse il secondo Tour. Un’età critica, anche se il record appartiene ancora a Firmin Lambot che lo vinse a 36 anni.

«Credo di poterlo vincere – dice Roglic – sono ancora qui, in buona salute, con un livello adeguato: ho la mia occasione e ci credo. Ho scelto la Bora-Hansgrohe perché negli ultimi due anni ha cambiato strategia e obiettivi. Adesso è una squadra completamente diversa, ha corridori di grande talento. Ho visto come ha corso nei grandi Giri delle ultime due stagioni, è strutturata per sostenermi in modo adeguato. Per questo non ho portato compagni con me, mentre ho insistito per avere il mio allenatore, Marc Lamberts. Non me la sentivo di rinunciare al suo bagaglio di conoscenze e sono felice che abbia accettato di cambiare squadra con me».

Non resta che cominciare, annotando un’altra singolare coincidenza. Anche il Tour del 2024, come quello del 2020 e come il Giro dello scorso anno, si chiuderà con una crono molto impegnativa sulle strade di Nizza, su cui Primoz si allena tutti i giorni. Quel giorno non ci saranno le migliaia di tifosi sloveni del Monte Lussari, ma si sentirà ugualmente un po’ a casa. E non è nemmeno da escludere che, con i due eroi nazionali impegnati in una sfida per la maglia gialla, quelle orde di appassionati così in gamba, si mettano in viaggio per fargli nuovamente sentire le loro voci.

O Gran Camiño, riparte Vingegaard: in testa solo il Tour

21.02.2024
5 min
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LA CORUNA (Spagna) – Jonas Vingegaard finisce di mangiare e, puntuale, si dirige nella lounge dell’hotel María Pita de la Coruña, dove le onde che si infrangono sulla spiaggia di Orzán si possono toccare con la punta delle dita. Una ventina di giornalisti attendono di sentirlo parlare. Sono le prime parole in pubblico di questa stagione che vedrà domani l’esordio del vincitore degli ultimi due Tour de France. Del signore e padrone della maglia gialla che vuole  fare nuovamente sua il prossimo luglio. E se la formula dell’anno scorso ha funzionato, perché cambiare? Qui, nel O Gran Camiño che inizia domani, Vingegaard ha debuttato anche nella scorsa stagione. L’inizio del percorso che lo portò a vincere il suo secondo Tour. Qui vuole seminare di nuovo lo stesso seme affinché fiorisca, lucido e giallo a Nizza la prossima estate.

Nel 2023, la Jumbo-Visma ha centrato i 3 grandi Giri con Vingegaard, Kuss e Roglic (foto Jumbo-Visma)
Nel 2023, la Jumbo-Visma ha centrato i 3 grandi Giri con Vingegaard, Kuss e Roglic (foto Jumbo-Visma)

Cinque mesi a casa

E’ «la mia motivazione principale». Il sogno che lo fa alzare ogni giorno e salire sulla bici per spingersi ancora di più. E poi ancora di più. E rifinire ogni dettaglio al minimo per diventare, ancora una volta, imbattibile.

«Mi piace correre, mi piace vincere. Mi piace fare ritiri per raggiungere il punto più alto – afferma – lavorarci sopra e sapere qual è il mio livello migliore. Farò tutto ciò che è in mio potere per arrivare al Tour nel miglior modo possibile».

Sono cinque mesi che non porta un numero sulla schiena. Dall’ultima Vuelta a España in cui ha dovuto frenare per far vincere il suo gregario Sepp Kuss. «E’ tanto tempo, ma mi è piaciuto molto anche stare a casa con la mia famiglia. Ora ho fame e voglio correre di nuovo».

Nuova maglia e stesse ambizioni: il 2024 di Vingegaard inizia domani (foto Visma Lease a Bike)
Nuova maglia e stesse ambizioni: il 2024 di Vingegaard inizia domani (foto Visma Lease a Bike)

Subito una crono

Mancano poche ore al debutto. I suoi primi colpi di pedale saranno i 15 chilometri contro il tempo con cui partirà domani O Gran Camiño..

«E’ una prova del fuoco, con tutti i chilometri contro il tempo che ci sono nel Tour, questi saranno molto importanti per mettermi alla prova e testare il materiale, nel caso in cui ci sia da fare qualche modifica da qui al Tour de France». Vingegaard non lascia nulla al caso. Tutto è misurato al millimetro nella sua preparazione.

La crono di domani sarà un test, ma proprio in quella di Combloux, Vingegaard ipotecò il Tour 2023
La crono di domani sarà un test, ma proprio in quella di Combloux, Vingegaard ipotecò il Tour 2023

No alla Strade Bianche

Anche i giorni che trascorre a casa. Per un ragazzo come lui, così legato alla famiglia, è fondamentale. Al punto da aver eliminato dal suo calendario la Strade Bianche, proprio per quel motivo.

«Il mio piano iniziale era di correrla – rivela – e poi andare alla Tirreno-Adriatico. Ma abbiamo deciso di toglierla dal mio calendario, perché così potrò stare a casa un giorno in più. Altrimenti ci sarei rimasto troppo poco tempo».

La Corsa dei Due Mari sarà, dopo il Gran Camiño, il suo prossimo obiettivo, seguito dal Giro dei Paesi Baschi, vinto anche lo scorso anno.

Van Aert si ritirò dal Tour dopo le Alpi per l’imminente nascita del figlio: Vingegaard gli portò la mini maglia gialla
Van Aert si ritirò dal Tour dopo le Alpi per l’imminente nascita del figlio: Vingegaard gli portò la mini maglia gialla

Manca Van Aert

Tutto concentrato sul Tour de France. Il danese del Visma non ha dubbi: «La gara quest’anno sarà più dura che mai. Sarà più difficile che mai vincerla – sottolinea – ma devo guardare a me stesso e fare la migliore preparazione possibile. Arrivare nella migliore forma possibile. Se basterà potrò vincere, altrimenti avrò fatto tutto il possibile», semplifica.

In questo 2024, dice, ha più rivali che mai. C’è Pogacar, che «anche se avrà fatto il Giro, lo aspetto al Tour forte come sempre. E ci sarà Remco Evenepoel e anche Roglic», che da compagno di squadra diventa rivale: «Sarà una sensazione strana. Sarà molto diverso per me correre contro di lui. Siamo compagni di squadra da cinque anni e abbiamo sempre corso insieme. Adesso siamo rivali e lotteremo entrambi per vincere. Penso che sarà una grande battaglia».

Vingegaard non esita a sottolineare che «Van Aert mi mancherà molto. Abbiamo visto negli ultimi tre anni quanto sia stato importante per la squadra, ma non vedo l’ora di seguirlo anche al Giro d’Italia. Spero che ottenga grandi risultati».

Nonostante faccia il Giro, Vibgegaard si aspetta al Tour un Pogacar fortissimo
Nonostante faccia il Giro, Vibgegaard si aspetta al Tour un Pogacar fortissimo

La Vuelta? Chissà…

E poi? Il mondo finisce dopo il Tour de France? E’ ancora un’incognita, chiarisce Vingegaard. «Non so quando deciderò se correre o meno la Vuelta a España. Vediamo come mi sento dopo il Tour. Dovremo aspettare fino ad allora».

I precedenti parlano chiaro, è stato l’uomo più forte dell’ultima Vuelta a España. «So che potrei farcela, ma ci sono più cose che ti influenzano, non solo i piani che puoi aver fatto. Per ora preferisco concentrarmi solo sul Tour». Domani al Gran Camino inizia la corsa verso la maglia gialla.

Coppie per la salita. Per Pozzovivo è già scontro fra UAE e Visma

17.02.2024
5 min
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Il livello è sempre più stellare. Se pensiamo che un corridore come Adam Yates deve fare il gregario di Pogacar in salita, ogni cosa si spiega da sola! Proprio da questo spunto e vedendo il ciclomercato di questo inverno, vogliamo fare un’analisi delle migliori coppie per la salita.

Un’analisi nella quale ci conduce Domenico Pozzovivo. Il “Pozzo” è super tecnico e soprattutto è uno scalatore che con questi grandi campioni ci corre. Adam Yates e Tadej Pogacar dunque. Ma anche Sepp Kuss e Jonas Vingegaard. Mikel Landa e Remco Evenepoel…. chi sono i più forti?

Pozzovivo e Nibali a ruota. Il lucano e il siciliano hanno formato una formidabile coppia per la salita
Pozzovivo e Nibali a ruota. Il lucano e il siciliano hanno formato una formidabile coppia per la salita
Domenico, partiamo da queste tre coppie…

Sono tutte molto forti, specie le prime due. Difficile stabilire quale sia la migliore, perché comunque presentano delle differenze.

Analizziamole queste differenze. Partiamo da Kuss e Vingegaard?

E’ la coppia migliore per le salite lunghe. La loro squadra, la Visma-Lease a Bike, è ben attrezzata per i tapponi. E loro due in particolare si esaltano su questo tipo di scalate e quando ci sono dislivelli estremi. Sono molto adatti alle pendenze più arcigne. Vediamo tutti la facilità di passo che ha Kuss in salita, come si muove in gruppo. Dal suo lavoro partono le azioni top di Vingegaard. Li vedo molto a loro agio.

Adam Yates e Pogacar…

Gli UAE Emirates in quanto a brillantezza sono la coppia killer. Forse sono anche i più completi, perché anche se sulle salite lunghissime pagano qualcosa rispetto ai Visma, sono più forti su quelle brevi. Sono entrambi due corridori più esplosivi.

Ci sono poi Remco e Landa. Come ti sembrano?

Loro costituiscono la coppia più imprevedibile. Nella giornata secca, se sta bene, Remco è il più forte di tutti. Ma entrambi non danno totale affidamento nelle tre settimane. Ogni tanto hanno degli alti e bassi, si somigliano parecchio in tal senso. Però Landa ha esperienza e potrebbero completarsi alla Soudal-Quick Step.

Algarve 2024: prime prove per Landa e Remco. A sua volta lo spagnolo è protetto da Knoxx prima di entrare in azione
Algarve 2024: prime prove per Landa e Remco. A sua volta lo spagnolo è protetto da Knoxx prima di entrare in azione
L’ultimo uomo in salita incide come l’apripista del velocista?

Conta, eccome. E’ un riferimento per il capitano e deve capire cosa vuole il suo leader. Non tutti infatti amano stare in seconda o terza posizione, altri preferiscono avere un approccio più conservativo alla salita. L’ultimo uomo per la salita deve destreggiarsi diversamente. Sono meccanismi diversi sul passo e sul proporre l’azione.

Cioè?

Ci sono leader che prima dell’attacco preferiscono gli venga impostato un passo molto forte nei 2′-3′ prima dell’affondo. E chi invece preferisce un ritmo meno intenso per poter fare un’azione più brusca. A questi meccanismi ci si abitua stando parecchio dentro la squadra, con le corse. E potrebbe essere lo svantaggio di Remco e Landa.

A tal proposito c’è anche un’altra coppia che può fare molto bene ed è quella della Bora-Hansgrohe: Alex Vlasov e Primoz Roglic. Cosa pensi di loro?

Vlasov e Roglic sono le tipiche persone che a prima vista non sono loquaci, ma quando prendono fiducia e si aprono sono invece espansive. Tecnicamente, sono la coppia che corre di rimessa, pronta a sfruttare i punti deboli degli altri. Questo soprattutto per le caratteristiche di Roglic. Primoz ama stare coperto e quasi mai è il primo a muoversi. Lui, e in questo mi ricorda molto Purito Rodriguez, sa di avere un ottimo finale. Quindi calibra il suo attacco violento in base alle energie e alla distanza. Anche io spesso ragionavo in questo modo. Nel 2012-2013 sapevo che avevo quell’autonomia, quel minutaggio per l’attacco e mi regolavo di conseguenza. Spesso vediamo Roglic attaccare negli ultimi 1.500 metri.

Veniamo in Italia: Damiano Caruso e Antonio Tiberi…

Anche tecnicamente i due della Bahrain-Victorious sono corridori simili nella capacità di esprimersi in salita. Sono due regolaristi. Vanno bene sulle scalate lunghe. Si adattano bene l’uno all’altro sotto questo punto di vista. Certo, in questa coppia c’è un grande dislivello di esperienza. C’è un maggiore flusso d’informazioni da Caruso a Tiberi. Intendo che più che in altre coppie il pallino della situazione sarà molto più spesso in mano a Damiano, anche sul posizionamento in gruppo.

Il metodo Sky: ritmi folli. Il leader attaccava alcuni minuti dopo che rano rimasti in 5-6 corridori al massimo
Il metodo Sky: ritmi folli. Il leader attaccava alcuni minuti dopo che rano rimasti in 5-6 corridori al massimo
Altre coppie di vertice? Alla Ineos-Greandiers Thomas non ha più un uomo così fidato. Ciccone e Geoghegan Hart non dovrebbero correre spesso insieme…

Io trovo interessante un’altra coppia italiana: Piganzoli e Fabbro della Polti-Kometa. Loro però hanno un focus diverso: le tappe e non la generale e l’approccio cambia parecchio. Non devono stressarsi sempre. Non devono prendersi dei rischi inutili limando anche nei finali in pianura. Possono stare lontani dalle mega cadute. Possono mollare. Credo che difficilmente li vedremo lavorare insieme, ma sono paralleli: un giorno può andare in fuga uno e un giorno l’altro. Questo può essere il loro vantaggio.

Possono risparmiare energie?

Esatto. Nel ciclismo moderno si è visto come a certi livelli si aspetta un po’ prima di mollare del tutto. Oggi l’ultimo uomo per la salita è un po’ una seconda punta. La prova l’abbiamo avuta all’ultimo Tour proprio con Yates e Pogacar. Tadej non ha vinto, ma in UAE sono riusciti a piazzare un secondo atleta sul podio. In questo caso l’uomo per la salita esce da certe dinamiche di squadra. Magari in pianura non deve coprire o badare al capitano e sprecare energie, ma può salvarsi per conto suo. Restare coperto.

Nel ruolo di ultimo uomo per la salita, la scuola Ineos ha segnato un punto: ritmi estenuanti prima dell’attacco. Anche voi capivate quando stavano per attaccare?

Quello sicuramente è il modo più “facile” per preparare un attacco, ma non era il solo. Per esempio, quando lavoravo per Nibali, lui voleva un ritmo forte ma non impossibile. Preferiva fare lui una differenza netta di passo. Quel metodo che dite voi è la scuola Ineos o Sky e l’emblema era Froome. Era il più forte e partiva quando ormai il gruppo era ridotto a 5-6 unità. Era uno scatto telefonato, ma non ci potevi fare nulla. Erano i più forti.

L’eredità di Vingegaard: il WorldTour approda in Danimarca

26.12.2023
5 min
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La notizia, ufficializzata appena prima di Natale, è passata un po’ sotto traccia dalle nostre parti, ma merita invece un approfondimento: la Danimarca dal 2025 avrà una propria prova nel WorldTour. Una gara in linea sia al maschile che al femminile, che resterà nel programma del massimo circuito almeno per tre anni. Il progetto è figlio diretto della partenza del Tour de France nel 2022 che destò tantissimo scalpore in Patria e fuori, amplificato poi dalle imprese di Jonas Vingegaard: su quella base si è lavorato duramente, per realizzare un progetto importante.

Vingegaard con le sue vittorie al Tour ha dato nuovo impulso al ciclismo danese
Vingegaard con le sue vittorie al Tour ha dato nuovo impulso al ciclismo danese

Città a misura di bici

Il fatto che la Danimarca abbia una prova in linea nel WorldTour va a colmare una lacuna. E’ bene dirlo subito: se Nazioni come Olanda e Germania fanno leva soprattutto sulla cultura delle due ruote, non avendo una tradizione solida e radicata come il Belgio e i Paesi affacciati sul Mediterraneo, era assurdo che la Danimarca rimanesse in serie B e lo si capisce facendo un giro per la sua Capitale, Copenhagen, che sarà l’epicentro del nuovo progetto.

Partiamo dall’aspetto urbanistico: una Capitale fatta di grandi strade che collegano i vari quartieri e confluiscono nel centro città. Ogni strada (e sottolineiamo “ogni”, anche le piccole traverse) ha uno spazio ciclabile, con il disegno della pista che è stato studiato nei particolari. L’incidenza con il traffico veicolare è estremamente ridotto, si cammina davvero in parallelo, anche perché le strade (salvo le grandi direttrici) sono a senso unico permettendo comunque una circolazione abbastanza semplice, anche senza affidarsi alle varie app direzionali.

Le strade di Copenhagen sono invase da una stragrande maggioranza di ciclisti rispetto alle auto
Le strade di Copenhagen sono invase da una stragrande maggioranza di ciclisti rispetto alle auto

L’esempio di padre in figlio

La cosa che colpisce girando per la città è l’enorme numero di ciclisti. La bici è uno strumento prioritario per spostarsi: mezzi molto economici (in un Paese dove il costo della vita, in paragone al nostro, è molto alto pur con il cambio 7 corone=1 euro) che devono avere l’unico scopo di essere affidabili negli spostamenti. L’utilizza una grande parte della popolazione per essere al lavoro molto presto (si sfruttano al massimo le ore di luce d’inverno) e l’osservanza del codice stradale è massima: non troverete mai un ciclista che passa col rosso non vedendo altri veicoli vicini…

Tutto ciò è importante perché è l’humus dove si coltiva anche la passione sportiva. In tal senso esemplari erano state le parole di Albert Philipsen, il campione del mondo junior su strada e mtb che raccontava come la voglia di gareggiare sia emersa andando dietro al padre non tanto nelle gare quanto nelle escursioni, vivendo quella profonda gioia di pedalare in mezzo alla natura, condividendo l’esperienza con gli altri.

Il passaggio davanti alla Sirenetta probabilmente non mancherà nella classica del 2025
Il passaggio davanti alla Sirenetta probabilmente non mancherà nella classica del 2025

Un progetto ben definito

Il Giro di Danimarca è da anni un appuntamento importante della seconda parte di stagione, richiamando anche team del WorldTour ma dopo quanto avvenuto in Francia c’era bisogno di un’ulteriore salto di qualità.

E’ stato messo insieme un consorzio di forze a sostegno del progetto, comprendente i comuni di Copenhagen e Roskilde sede di partenza, la Federazione ciclistica nazionale, la Sport Event Denmark, Wonderful Copenhagen principale riferimento di promozione turistica della capitale, i ministeri statali della cultura e degli affari. Tutti insieme ci si è presentati davanti all’Uci, mostrando un programma dettagliato, articolato in ogni aspetto e la federazione internazionale ha dato il suo placet, a partire dal 2025.

Nyhavn, uno dei centri nevralgici della capitale, turisticamente ma anche come socializzazione
Nyhavn, uno dei centri nevralgici della capitale, turisticamente ma anche come socializzazione

Percorso da classica del Nord

Il percorso è naturalmente in via di definizione, ma già si sa che partirà da Roskilde, sede storica di uno dei più grandi festival musicali sin dal lontano 1971 attraverso il quale sono passati tantissimi nomi di spicco europei, americani e non solo, per poi concludersi nel centro di Copenhagen, forse con un circuito finale.

«Vogliamo creare un percorso spettacolare – ha affermato il responsabile eventi della federciclismo danese Jesper Tikiob – che possa concentrare tutto il meglio che offre la regione dello Zealand. Useremo le strade di campagna, da affrontare con attenzione perché molto ventose ma anche gli spazi aperti e le lunghe strade a ridosso della corsa. Ne verrà fuori una gara incerta, che vogliamo disegnare ispirandoci anche alle classiche del nord, nell’uso ad esempio di curve strette e passaggi tecnici. Ma in testa alla nostra agenda ci saranno sempre gli aspetti della sicurezza e dell’interesse comune».

La sindaca Sophie Haestorp Andersen insieme al presidente Aso Prudhomme (foto Getty Images)
La sindaca Sophie Haestorp Andersen insieme al presidente Aso Prudhomme (foto Getty Images)

Un festival delle due ruote

Il progetto, che come detto prevedrà una prova al maschile e una per le ragazze (da vedere se nella stessa giornata o nell’arco di due giorni) va anche oltre: «Copenhagen è la miglior città ciclistica del mondo – ha sottolineato la sindaca Sophie Haestorp Andersen annunciando l’accettazione della proposta – e i pro’ contribuiranno anche al ciclismo di tutti i giorni. Intendiamo abbinare alla gara del WT un grande festival delle due ruote ma non solo: dopo la gara libereremo le strade perché la gente comune possa prenderne possesso e pedalare senza la presenza di auto». Si prospetta un grande evento, tocca solo aspettare…

EDITORIALE / Le tante domande per Pogacar al Giro

18.12.2023
5 min
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LA NUCIA (Spagna) – Il giornalista belga guarda, sorride e dice che il prossimo anno gli toccherà sicuramente venire al Giro. Sono le 19 di una domenica di interviste nell’hotel dell’Astana Qazaqstan Team, il video con cui RCS Sport ha annunciato la presenza di Tadej Pogacar al Giro ha già fatto il giro del modo del ciclismo. «Con Wout, Uijtdebroeks e adesso Tadej – sorride – ne abbiamo abbastanza per lavorare bene». Poi chiude lo zaino e se ne va. Manca poco per finire l’intervista con Cavendish, poi lo seguiremo.

Uno screenshot del video Instagram con cui Pogacar annuncia la sua presenza al Giro, dicendo: «Andiamo!»
Uno screenshot del video Instagram con cui Pogacar annuncia la sua presenza al Giro, dicendo: «Andiamo!»

Regalo di Natale

Pogacar ha fatto un bel regalo al Giro d’Italia e anche il Giro d’Italia si è fatto un bel regalo. Sarà l’aria del Natale, la notizia suona grandiosa, ma lascia un’infinità di punti di domanda che proprio mentre starete leggendo ci accingeremo a porre al diretto interessato.

Oggi nell’hotel che ospita il UAE Team Emirates si terrà il media day in cui potremo toglierci le prime soddisfazioni, incontrando Tadej e tutti i suoi compagni per i quali abbiamo dovuto presentare richiesta ai primi del mese.

E’ il 2018. Froome ha già vinto quattro Tour e due Vuelta. Viene al Giro e a Bardonecchia arriva il capolavoro
E’ il 2018. Froome ha già vinto quattro Tour e due Vuelta. Viene al Giro e a Bardonecchia arriva il capolavoro

Quelli del Tour

Pogacar al Giro farà spettacolo, ma fa già paura. Gli ultimi anni hanno offerto alcuni esempi di corridori da Tour che sono venuti al Giro e che hanno mostrato un livello davvero più alto rispetto ai concorrenti locali.

Il primo degli anni moderni fu Indurain, in Italia dopo aver vinto il Tour del 1991: si pappò due Giri, giocando contro Bugno, Chiappucci e Chioccioli. Restando in anni più recenti, quando nel 2005 arrivò Basso, reduce dal podio francese dell’anno precedente, il divario rispetto a Cunego e Simoni fu disarmante. Quel Giro lo vinse Savoldelli perché Ivan stette male nella tappa di Livigno, ma tornò l’anno dopo e vinse.

Poco dopo, era il 2008, toccò a Contador, richiamato in extremis. Aveva vinto il Tour dell’anno precedente, arrivò in Italia ed ebbe vita piuttosto facile contro Riccò, Bruseghin e Pellizotti. Tornò e vinse anche nel 2011 (vittoria revocata) e nel 2015.

Gli ultimi ad essere venuti sono stati Froome, Bernal e Roglic. Il primo ribaltò la classifica a Bardonecchia, con un solo giorno da vincitore di Tour. Il secondo fece fatica, ma era reduce da problemi alla schiena e varie vicissitudini. Il terzo è il vincitore in carica e nel 2024 riproverà l’assalto al Tour.

Al contrario, tolti Bugno, Chiappucci e Pantani, nessuno dei protagonisti dei Giri degli ultimi 30 anni è andato al Tour per giocarselo. Di loro tre, soltanto Marco è riuscito a conquistare la maglia gialla finale, facendo anche l’accoppiata che si sta già tentando di cucire sulle spalle di Tadej.

Gli ultimi due Tour hanno visto Tadej arrendersi a Vingegaard, il cambio di programma è dovuto anche a questo?
Gli ultimi due Tour hanno visto Tadej arrendersi a Vingegaard, il cambio di programma è dovuto anche a questo?

Le ragioni tecniche

E qui iniziano le domande per lo sloveno. Viene in Italia per tentare davvero l’accoppiata Giro-Tour? Viene in Italia perché, come ha sempre detto, per lui il ciclismo è un divertimento e dopo quattro anni di Tour, è arrivato il momento di cambiare? Oppure dopo due anni di bocconi amari, la scelta del Giro è un’implicita resa, sfuggendo allo strapotere della Jumbo?

Per mesi negli scorsi anni abbiamo sentito ragionamenti sulla necessità di arginare gli sforzi di primavera per arrivare più fresco al Tour, correre il Giro rientra in questa logica? Pogacar partirà più piano lasciando il Fiandre e magari concentrandosi sulle Ardenne? Come gestirà i 34 giorni che dividono le due corse? Il Tour sarà per lui anche una preparazione olimpica? Con quale criterio la squadra dividerà i corridori? 

Il Giro d’Italia si presta ogni giorno a un’impresa, come lo affronterà Pogacar? Qui da solo al Lombardia 2023
Il Giro d’Italia si presta ogni giorno a un’impresa, come lo affronterà Pogacar? Qui da solo al Lombardia 2023

Il Giro e le trappole

In un’intervista fatta oggi sulla Gazzetta, Nibali dice che Pogacar potrebbe conquistare il margine necessario nelle prime due settimane e gestirlo poi con la squadra nella terza. La cosa è assolutamente credibile, come è credibile che il livello dello sloveno sarà molto più alto rispetto agli altri pretendenti alla maglia rosa. Potrebbe davvero limitarsi a entrare in azione quando ci sarà da guadagnare, restando… dormiente e in guardia nel resto del tempo. Siamo certi però che Pogacar sia capace di addormentarsi in corsa?

Se vorrà correre alla Pogacar, come tutti si augurano, il Giro gli offrirà certamente trampolini e spazi per giocare, ma la troppa esuberanza potrebbe trasformarsi in una trappola. Ci sono oceani di differenze tra Pogacar e Van der Poel, ma l’ultima volta che l’olandese venne al Giro ed ebbe la sfrontatezza di correre ogni giorno all’attacco, portò a casa una vittoria il primo giorno, bei piazzamenti e una lunga serie di lezioni ben più aspre.

Il Giro del 1994 sembrava nuovamente preda di Indurain, ma due ragazzini (Pantani e Berzin) si misero di traverso…
Il Giro del 1994 sembrava nuovamente preda di Indurain, ma due ragazzini (Pantani e Berzin) si misero di traverso…

Lo spirito del Pirata

Insomma, in attesa di parlare con Pogacar e di raccontarvi cosa ci dirà, speriamo con ardore che presto il campo dei partenti si arricchisca di altri nomi di alto livello (fermo restando che a nostro avviso Van Aert non abbia il livello e la testa per vincere il Giro). Ci eravamo quasi abituati all’idea di un Giro che premiasse la linea verde del ciclismo mondiale, adesso prenderemo le misure al Giro di Pogacar. E speriamo che chiunque si troverà fra i piedi abbia il coraggio e le gambe per mettersi di traverso.

Non è per caso che il mito di Pantani si inizio a costruire quando Marco sfidò e piegò il gigante Indurain, ritenuto imbattibile. Per i giovani in cerca di gloria, il prossimo Giro sarà un’occasione d’oro, purché abbiano davvero il carattere necessario. Sarebbe monotono, per avere occasione di applaudirne la vittoria, ritrovarsi con una corsa rosa che ricalchi le dinamiche dell’ultima Vuelta.

La ricerca di Plugge, l’appetito di Kuss: la Jumbo del 2024

25.10.2023
4 min
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Mentre i corridori sono in vacanza, la macchina organizzativa del team che nel 2023 ha vinto Giro, Tour e Vuelta lavora a pieni giri. La squadra di Richard Plugge ha presentato infatti il dossier per la registrazione 2024, ma non è ancora chiaro se il primo nome sarà ancora Jumbo oppure se la catena di supermercati si ritirerà con una stagione di anticipo. Alcuni ipotizzano che il team potrebbe chiamarsi Visma-Lease a Bike, mentre parrebbe tramontato l’interesse da parte di Amazon e di Neom, una nuova megalopoli miliardaria di prossima costruzione nel deserto saudita.

Il marchio Lease a Bike, che promuove il noleggio di biciclette all’interno delle aziende, è un marchio dell’olandese Pon Group, già proprietaria di Cervélo e delle scarpe Nimbl che vestono i corridori del team. Il budget, per quello che ipotizza Wielerfits, sarà di circa 40 milioni di euro anche per il 2024. Saltata la fusione con la Soudal-Quick Step, quando lo stesso Plugge parlandone con l’UCI si è reso conto dei tanti esuberi che avrebbero colpito entrambe le squadre, il manager olandese si è nuovamente rimboccato le maniche.

Quest’anno Richard Plugge ha brindato ai tre Grandi Giri, oltre che ad altre 66 vittorie
Quest’anno Richard Plugge ha brindato ai tre Grandi Giri, oltre che ad altre 66 vittorie

Uscite e mercato 

Nel frattempo, non è prevista a breve una fuga di talenti: i corridori sono sereni, anche perché la temuta necessità di ridurre gli stipendi parrebbe scongiurata. La fuoriuscita di Roglic ha origini sportive e non economiche, il ritiro di Van Hooydonck è stato dovuto a problemi cardiaci, Michel Hessmann è fermo per la positività a un diuretico.

Ai corridori già in rosa, si sono aggiunti Bart Lemmen e i due giovani norvegesi Johannes Staune-Mittet (21 anni, vincitore del Giro Next Gen) e Per Strand Hagenes (20 anni, vincitore di tappa alla Quattro Giornate di Dunkerque e iridato da junior su strada a Leuven 2021), oltre all’olandese Loe van Belle (21 anni). Corridori che non hanno ingaggi da primi della classe, mentre gli arrivi di Matteo Jorgenson dalla Movistar e Ben Tulett dalla Ineos avranno avuto certamente un costo superiore.

Johannes Staune-Mittet, vincitore del Giro Next Gen, passa in prima squadra (foto LaPresse)
Johannes Staune-Mittet, vincitore del Giro Next Gen, passa in prima squadra (foto LaPresse)

La lezione di Roglic

Resta da stabilire quali saranno i nuovi assetti all’interno del team. Ad ora, infatti, le punte della squadra per i grandi Giri sono due: Jonas Vingegaard, re di due Tour, e Sepp Kuss, la cui vittoria alla Vuelta è stata certamente propiziata dalla… complicità di Roglic e Vingegaard che hanno scelto di non attaccarlo. In ogni caso, se Roglic fosse rimasto in squadra, l’imbarazzante senso di abbondanza si sarebbe riproposto.

«Penso che sia stato meglio per tutti – ha detto Kuss – che Primoz sia andato in un’altra squadra. Adesso riceverà il sostegno che merita. Primoz ha portato la nostra squadra dove è oggi. Ha spinto tutti a dare il meglio di sé e ci ha mostrato che fare abbastanza bene non era sufficiente. Ho imparato molto da lui. Non significa necessariamente che mi abbia insegnato delle cose, ma osservarlo crescere, sbagliare e migliorarsi è stato una lezione molto importante. Se il tuo leader commette un errore e lo vedi correggerlo alla corsa successiva, vale più di tante parole».

L’abbraccio fra Kuss e Roglic sul podio della Vuelta: c’era già la consapevolezza dell’addio?
L’abbraccio fra Kuss e Roglic sul podio della Vuelta: c’era già la consapevolezza dell’addio?

Il destino di Kuss

Il punto ora è capire se il livello di Kuss nella Vuelta dominata dai tre compagni di squadra basti per farne un leader nelle prossime grandi corse a tappe. La squadra olandese partirà al Giro d’Italia con il numero uno, ma non si sa ancora con chi potrebbe correrlo.

«Penso che alla Vuelta – dice Kuss – mi sono mosso in molti ambiti diversi. Sono stato gregario, ma a un certo punto ho scoperto l’istinto di vincere. Sono stato orgoglioso di come ho gestito la situazione, ma ho anche capito che molti dei vincitori hanno una mentalità diversa dalla mia. Il difficile sarà trovare quell’equilibrio senza perdere di vista il mio modo di essere. Fare classifica al Tour? Vedremo il percorso, ma penso che la Vuelta sia più adatta…».

Sulla Vuelta Saronni ne ha per tutti, da Vingegaard in poi

24.09.2023
5 min
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E’ passata una settimana dalla conclusione della Vuelta, da quel podio tutto targato Jumbo-Visma con Vingegaard e Roglic, ossia il re del Tour e del Giro a fare da valletti a Sepp Kuss, loro gregario nelle due prime avventure della stagione e questa volta proiettato sul gradino più alto. Un dominio incontrastato, ma con qualche perplessità destata dalla gestione del team olandese.

Le ultime tappe dure avevano dimostrato in maniera evidente come Jonas Vingegaard fosse il più forte della compagnia, ma hanno anche evidenziato come il danese abbia corso quasi con il bilancino, attento a non superare l’americano. Scelta dettata dal team? Volontà di non penalizzare Kuss che aveva capitalizzato al meglio la fuga bidone della prima settimana? Tante le ipotesi possibili, abbiamo allora provato a fare chiarezza parlandone con chi il mondo dei pro’ lo conosce in ogni sua sfumatura, Giuseppe Saronni.

Saronni, qui con Argentin, esprime le sue idee su vantaggi e svantaggi per la Jumbo-Visma
Saronni, qui con Argentin, esprime le sue idee su vantaggi e svantaggi per la Jumbo-Visma
Che idea ti sei fatto dell’epilogo della corsa iberica?

Io credo che la Jumbo-Visma abbia iniziato la corsa con qualche dubbio, legato al futuro di Roglic. Si parlava molto della possibilità che lo sloveno cambiasse squadra, invece pare rimanga perché il team olandese gli ha garantito il giusto spazio. Questo ha influito sull’evoluzione della corsa, che poi ha preso una piega probabilmente inattesa.

La vittoria di Kuss è stata decisa a tavolino dal team?

Penso di no, è certo però che la squadra aveva per certi versi interesse che Kuss vincesse, per molte ragioni: gratificare il corridore dopo quanto fatto a Giro e Tour, ma anche capire quali sono i suoi limiti e come può gestire la pressione di un grande giro. Attenzione però: la Vuelta non è al pari di Giro e Tour, che scatenano un’attenzione decisamente maggiore.

Anche alla Vuelta Vingegaard si è dimostrato il più forte, ma senza conquistare il trofeo
Anche alla Vuelta Vingegaard si è dimostrato il più forte, ma senza conquistare il trofeo
Vingegaard come l’hai visto?

Non era quello del Tour, è evidente, eppure in un buon campo partenti – e sottolineo buono, non oltre – aveva fatto la differenza. Poteva superare l’americano, è molto probabile, ma è stato bravo anche Kuss a tenere botta, restare lì davanti, meritandosi la maglia roja.

Resta però la sensazione di una classifica che non rispecchia la vera gerarchia dei valori…

Io credo che la Jumbo-Visma abbia lasciato mano libera ai suoi corridori. L’interesse del team era quello di vincere, a un certo punto quello di fare man bassa sul podio e scrivere una pagina storica, ma chi fosse, primo, secondo e terzo era delegato direttamente ai corridori, senza combinare disastri… Poi è chiaro che per i diesse una soluzione del genere, voluta dagli stessi atleti evita ogni malumore e questo nel prosieguo dell’attività è molto importante.

Da che cosa deduci la scelta di lasciare libertà ai propri atleti?

Se si guarda l’evoluzione delle tappe, si vedeva che quando partiva uno di loro gli altri stavano lì, aspettavano, poi appena conclusa l’azione partiva un altro e così via. Quelle sono azioni frutto di accordi in corsa, fatte per non pestarsi i piedi nella consapevolezza della propria superiorità. Anch’io l’ho fatto tante volte, poi è difficile che il progetto vada in porto in maniera così schiacciante come avvenuto alla Vuelta, ma i Jumbo non hanno davvero sbagliato nulla.

C’erano dubbi sulla permanenza di Roglic nel team, dissipati durante la corsa
C’erano dubbi sulla permanenza di Roglic nel team, dissipati durante la corsa
Pensi sia stata anche una scelta di Vingegaard evitare il sorpasso per non trovarsi un nemico in casa?

Sicuramente per Jonas questo è stato un investimento a lungo termine. Lui sa e Kuss sa altrettanto bene che il danese era il più forte e gli ha fatto un favore, verrà il momento che riscuoterà. Per l’americano, e ancor più per il team, la situazione era ideale perché anche avesse avuto un cedimento, c’erano gli altri due pronti a prendere il suo posto.

Domanda al Saronni campione: in questo modo però Vingegaard si trova con una Vuelta in meno…

Verissimo e nello sport non si può mai ipotecare il futuro. Fare due grandi giri in una stagione è sempre un rischio, non puoi sapere se l’anno prossimo sarai nella stessa situazione, nella stessa forma. L’incognita la devi mettere in conto, quindi è vero che il danese ha pagato un prezzo salato, per sua scelta. Solo in futuro sapremo se ha fatto bene e ha perso poco.

Kuss e Vingegaard. Ora l’americano ha un debito da saldare verso il danese…
Kuss e Vingegaard. Ora l’americano ha un debito da saldare verso il danese…
La Jumbo-Visma diventa così sempre più una squadra di leader che fanno anche da gregari, quasi cancellando questo ruolo…

E’ il ciclismo del futuro e io a tal proposito ricordo quand’ero alla Mapei, dicevo sempre che avrei sempre voluto tanti campioni da mettere d’accordo. Sarà anche difficile, ma lo è ancor di più cercare il risultato quando non hai qualità in mano. Oggi è un ciclismo fatto di punteggi, di calcoli, un ciclismo fatto col bilancino. Alla fine i fuoriclasse veri si contano sulle dita di una mano. Molto influisce anche il calendario, così ricco che dà spazio a tutti, ma le gare che contano sono sempre quelle poche e io preferirei un calendario più asciutto dove i campioni si scontrino in quegli stessi appuntamenti, tutti insieme. Invece ti trovi giornate anche con 6 gare in contemporanea, questo non è un bene.

Un dominio come quello del team olandese non rischia di creare inimicizie all’interno del gruppo?

Questo penso che lo abbiano messo in preventivo. Così aiuti nel gruppo non ne trovi. Hai fatto una cosa fantastica e difficilmente ripetibile, ora però andando avanti raramente troveranno qualcuno che gli darà una mano nel togliere le castagne dal fuoco…