Il Lombardia da dentro. In corsa c’era anche Elisa Longo Borghini

08.10.2023
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BERGAMO – Il Lombardia visto da dentro. Questa è stata la giornata di Elisa Longo Borghini nell’ultima Monumento della stagione. Una gara che l’ossolana della Lidl-Trek adora dichiaratamente e che ha seguito sull’auto di Stefano Allocchio, direttore delle corse targate Rcs Sport.

La stagione agonistica di Longo Borghini è finita anzi tempo per una serie di sfortunate vicissitudini fisiche. Non ha mai fatto mistero di quanto abbia sofferto chiudere prima il 2023, quindi tanto vale fare le cose che uno ama di più e, se possibile, divertirsi per guardare oltre. Elisa ha già superato questo step, anzi ha gli ultimi preparativi del matrimonio col suo Jacopo Mosca che l’attendono. E ne racconta alcuni divertenti di prima mattina a Como mentre è davanti al bus della sua squadra prima della partenza.

Così, tra una chiacchiera e l’altra, ne approfittiamo per rendere Elisa nostra inviata per sapere come un’atleta vive una gara da un altro punto di vista.

Stefano Allocchio è il direttore di corsa di Rcs Sport. Nella sua auto passano tutte le informazioni della gara
Stefano Allocchio è il direttore di corsa di Rcs Sport. Nella sua auto passano tutte le informazioni della gara

Dopo il traguardo

I mezzi dell’organizzazione scorrono sotto la linea d’arrivo di Bergamo anticipando le ultime pedalate solitarie di Pogacar. L’appuntamento con Longo Borghini ce lo abbiamo in zona palco premiazioni per il suo racconto.

«Avevo già vissuto questa esperienza nel 2016 – spiega Elisa – Rispetto al passato stavolta partiva Jacopo ed è stato particolare durante il trasferimento iniziale al chilometro zero vederlo di fianco a me. Io sull’auto del direttore di corsa, lui in bici. Anche se della gara in sé si vede poco, se non la testa, ho seguito la corsa da amante del ciclismo da una postazione privilegiata. Di mestiere faccio la professionista, amo profondamente questo sport e mi piace guardare le corse ma vederle dal vivo è tutta un’altra cosa, specie in questo modo.

«Se mi aspettavo Jacopo in fuga? – risponde – Diciamo che sapevo che, mancando Ciccone, doveva andare in fuga uno dei nostri compagni di squadra. Sapevo che ci avrebbero provato anche se poi le dinamiche di gara sono diverse e non sempre così semplici. Alla fine lui non c’era ma ci è andato in fuga Hellemose ed è stato bello vederlo tutto il giorno davanti».

Dentro l’auto

Qualcuno dice che se non si vuole vedere o sapere nulla di una gara di ciclismo, bisogna salire su un’auto in corsa. In realtà non è proprio così, però certamente si percepisce l’emozione e l’adrenalina ti fa trascorrere sei ore di gara senza quasi accorgertene.

«In macchina ci sono tantissime comunicazioni radio – prosegue Longo Borghini – tra direttore e radio corsa, staffette, cambio ruote, polizia, squadre e altri mezzi. É un continuo scambio di informazioni per avere la situazione sempre sotto controllo. Sono importantissime per tutti, e di conseguenza per i corridori».

Il Giro di Lombardia regala sempre grandi panorami, soprattutto se il clima è più estivo che autunnale
Il Giro di Lombardia regala sempre grandi panorami, soprattutto se il clima è più estivo che autunnale

«Secondo me – va avanti nella analisi – sono fondamentali alcune segnaletiche, anche laddove uno possa pensare che sono superflue. Bisogna tenere conto che negli 30/40 chilometri di gara si è sempre al gancio, può mancare un po’ di lucidità. Ad esempio le insegne luminose, accompagnate da un suono che attirano l’attenzione, penso che abbiano portato molta più sicurezza per noi corridori in curva o nei punti in cui possono esserci ostacoli sul percorso».

«Tuttavia da amante della velocità – ci dice col sorriso sulle labbra – mi è piaciuto particolarmente essere nella macchina del direttore perché deve sempre allungare rispetto corridori, quindi eravamo sempre un po’ di traverso nelle curve. Mi sono divertita in quei momenti e scusate se non vi ho fatto nessuna foto dal finestrino. Significava avere la nausea e far passare una brutta giornata a tutti».

Amore per il Lombardia

L’anno scorso quando il Giro Donne arrivò a Bergamo, Longo Borghini lo disse subito che quel traguardo profumava di Giro di Lombardia. E la versione femminile sarebbe il suo sogno. II panorami, le grandi salite e il pubblico possono stimolare il corridore a non sentire la fatica.

Il pubblico ha salutato l’ultima gara di Pinot. Ma bisogna fare attenzione a non esagerare col contatto per non far cadere l’atleta
Il pubblico ha salutato l’ultima gara di Pinot. Ma bisogna fare attenzione a non esagerare col contatto per non far cadere l’atleta

«Mi piace l’atmosfera che si respira. Di questa gara mi piace veramente tutto. Si passa in zone in cui il ciclismo è nel cuore delle persone, che sono sempre tante sulla strada. I paesaggi sono stupendi e quindi per me il Lombardia ha sempre un fascino particolare. E’ per questo che vorrei un giorno poter correre il Lombardia femminile. So che c’è la volontà per farlo ma tuttavia so che ci sono delle difficoltà logistiche che comprendo pienamente. Però ripeto, sarebbe bello poterlo correre.

«Il ciclismo è lo sport del popolo – chiude – oggi ne ho avuto l’ennesima riprova. Il pubblico del ciclismo non paga un biglietto per i propri idoli in gara. E’ il bello del ciclismo. Il pubblico non può essere contenuto però deve essere più disciplinato, questo sì».

Il signor Mosca, maestro di scherzi, fughe e volate

07.09.2023
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Il video di Ganna che al via della tappa di ieri porta a spalla la Trek di Mosca e pedalando la deposita davanti al cambio ruote Shimano ha fatto il giro del web, diventando virale. I due non sapevano che di lì a poco sarebbero andati in fuga verso Laguna Negra, perché al momento erano presi soprattutto a farsi due risate.

«Uno scherzetto – ride Mosca durante i massaggi dopo la tappa – di quelli che fai quando puoi, quando si è un po’ tranquilli. Gli ho rubato il Garmin, perché alla firma avevo la bici accanto alla sua. Ho visto che non aveva il filo, l’ho preso e gli ho detto: “Tieni, se vuoi te lo vendo”. Lui non ha capito subito che era suo, poi però mentre eravamo sul palco, ho visto che tirava su la mia bici, dopo aver firmato qualche autografo. E mi ha fatto ciao-ciao con la mano…».

Questa la storia su Instagram in cui Ganna porta via la bici di Mosca: è diventata praticamente virale
Questa la storia su Instagram in cui Ganna porta via la bici di Mosca: è diventata praticamente virale

Dice che Cerea sta facendo un massaggio profondo e che in certi momenti gli fa anche male, ma va bene, almeno domattina (oggi, ndr) avrà le gambe sciolte. La Vuelta è ancora lunga e il compito del corridore piemontese, di cui pochi giorni fa è stato annunciato il rinnovo del contratto fino al 2025, è quello di entrare nelle fughe e tirare le volate per Edward Theuns.

Al momento dello scherzo avevate già previsto di andare in fuga insieme?

No, ognuno fa la sua corsa. Però non è che ci voglia un genio a capire che se loro vogliono andare in fuga con Thomas, è Pippo quello che la porterà via. Anche perché onestamente, la fuga l’ha proprio portata via lui. Aveva già provato prima con Bernal, ma credo ci fosse dentro qualcuno troppo vicino in classifica e la Jumbo ha chiuso subito. Poi dopo 30 chilometri ha portato via quella giusta. Ha fatto tutto lui. E sulla salita finale, mi ha fatto morire. Pensavo di star bene, poi l’ho visto passare davanti a tirare… Ma gliela farò pagare questo inverno, in qualche uscita me ne ricorderò (ride, ndr).

Decimo giorno di Vuelta alle spalle, metà corsa. Mosca va avanti con le fughe e le volate da tirare
Decimo giorno di Vuelta alle spalle, metà corsa. Mosca va avanti con le fughe e le volate da tirare
Come sta andando questa Vuelta per te?

Benone, direi. Tendenzialmente siamo venuti qua con l’obiettivo delle tappe e comunque ci stiamo provando ogni giorno. Chiaro che oggi (ieri, ndr) ci siamo trovati davanti Vergaerde ed io e non eravamo i due migliori per essere in una fuga con arrivo in salita. Però alla fine, dopo 60 chilometri di scatti, ci sta che non tutto vada secondo i piani. Anche perché lui ed io siamo qua per le tappe di pianura e finora nelle tre volate è andato tutto abbastanza bene. Vediamo domani a Saragozza se ne faremo un’altra buona, ma non credo avremo problemi a recuperare le fatiche di oggi.

Non sembrano volate con un treno che la fa da padrone, giusto?

Di molto organizzata c’è la Alpecin, per cui sono volate tanto caotiche proprio perché c’è una squadra sola che prova a controllarle. L’ultima volta c’è stata una caduta ai 5 chilometri e siamo rimasti tutti dietro. Per mia fortuna però, ho trovato Vlasov che era rimasto dietro, quindi la Bora ha fatto tutto il lavoro e ci riportato dentro a 1,5 chilometri dall’arrivo. E io mi sono ritrovato a ruota di Theuns e sono riuscito a tirargli la volata. Quindi ho avuto anche un po’ di fortuna.

Nella tappa di Oliva, Theuns ha colto il terzo posto: Mosca gli ha tirato la volata dopo una caduta di gruppo
Nella tappa di Oliva, Theuns ha colto il terzo posto: Mosca gli ha tirato la volata dopo una caduta di gruppo
Cosa si può dire delle polemiche sulla sicurezza e le varie neutralizzazioni?

Devo dire che le polemiche alla fine sono sempre fatte da chi non è sulla strada o in gruppo. Nella tappa di Barcellona, purtroppo, la sfortuna è stata che ha piovuto proprio la sera della cronometro ed è venuta giù tutta l’acqua che non era caduta negli ultimi tre mesi. Fino a poche ore prima c’erano 35 gradi. Il giorno dopo è veramente piovuto tanto e la strada, come succede nelle località di mare quando non piove da tanto tempo, era scivolosa e il finale di tappa era in ogni caso troppo pericoloso. Fortunatamente siamo arrivati a questa via di mezzo, per cui i tempi della generale sono sati presi ai 9 dall’arrivo, perché quelli di classifica non devono rischiare. Se metti un gruppo di 170 corridori alla prima tappa della corsa, dove tutti sono freschi e motivati, è chiaro che tutti i velocisti ci avrebbero provato e anche gli uomini di classifica avrebbero provato a tenere. E su quelle strade non c’era posto per tutti.

Invece l’altro giorno a Caravaca de la Cruz, con la neutralizzazione ai due chilometri?

Gli organizzatori hanno fatto una bella scelta. Chiaro che poi vengono le polemiche, perché uno dice che con l’arrivo in salita c’era margine per passare in sicurezza. Ma sinceramente, già noi corridori non siamo dei geni, per una volta che usiamo il cervello non è che ci si può dire tanto. Se è pericoloso, perché devo rischiare quando ormai la tappa è andata, la generale è già definita e a 200 metri dall’arrivo c’è una curva con il fango? Io sono passato dopo 80 corridori e ce n’era ancora parecchio. Immagino che i primi l’abbiano visto anche meglio, mentre nel parcheggio dopo l’arrivo si sono infossate le ammiraglie. Bisogna dire un’altra cosa sugli organizzatori…

La pioggia di Barcellona ha reso pericolosi i primi due giorni. Mosca applaude le decisioni degli organizzatori
La pioggia di Barcellona ha reso pericolosi i primi due giorni. Mosca applaude le decisioni degli organizzatori
Che cosa?

Stanno facendo delle gran belle cose, in quanto a sicurezza per noi. Ci sono delle discese dove vedi i materassi per fermare eventuali cadute, ci sono i segnalatori e tutto quel che serve. Poi è chiaro che ci sono sempre problemi, si può sempre migliorare, però per ora non possiamo lamentarci. Loro hanno questo modo di fare gli arrivi in mezzo al nulla, ma è una loro scelta: a noi non cambia molto.

Com’è stare in fuga, che ambiente c’è là davanti, che pubblico?

Oggi per la prima volta in una salita sono arrivato quando ancora la gente faceva veramente il tifo. Quando passi nel gruppetto è diverso, invece anche se all’ultimo chilometro ero già un po’ indietro, è stato bello vedere l’entusiasmo dei tifosi, quello vero.

L’annuncio del rinnovo del contratto è appena arrivato, ma l’accordo era stato raggiunto a marzo
L’annuncio del rinnovo del contratto è appena arrivato, ma l’accordo era stato raggiunto a marzo
Che effetto fa aver rinnovato il contratto per altri due anni?

Diciamo che è stato ufficializzato solo ora, però io avevo parlato con Luca Guercilena nel periodo della Sanremo e abbiamo impiegato veramente due minuti a trovare l’accordo. Io gli ho chiesto quale fosse la loro idea, lui si è detto contento del mio lavoro e che volevano tenermi. Il mio ruolo in squadra ormai è ben definito e fortunatamente è abbastanza solido. Sono contento, finalmente mi sento ritrovato dopo l’incidente. Purtroppo vado ancora un po’ troppo piano in salita, ma secondo me io vado forte come nel 2021, è il gruppo che ha accelerato…

Si va avanti fra altre battute. Sulle prossime fughe e le volate. Sulla campagna acquisti della Lidl-Trek e sulla compagna Elisa Longo Borghini ormai prossima al rientro, che intanto manda avanti tutto quello che serve per il matrimonio di ottobre. C’è la leggerezza del dopo tappa e c’è la serenità di aver trovato un ruolo ben definito in cui muoversi bene. Il resto sarà la strada a dirlo. A partire da quella verso Saragozza. Si parte alle 13,58, arrivo previsto per le 17,30. Lungo il percorso un paio di salitelle e l’annuncio di un’altra volata.

Mosca: la fuga e quella (quasi) maglia a pois…

07.08.2023
5 min
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KRAKOW – “Una vita da mediano, lavorando come Oriali. Anni di fatica e botte e vinci casomai i mondiali”, così cantava Ligabue parafrasando il calcio. Il mediano del ciclismo è il gregario e la lista sarebbe molto più lunga rispetto all’Oriali della situazione. Al Tour de Pologne c’era forse il gregario perfetto, Salvatore Puccio, ma c’era anche Jacopo Mosca.

Il corridore della Lidl-Trek stavolta non vestiva i soliti panni. Aveva un altro ruolo. Stava conquistando la maglia dei Gpm con voglia, gambe, intelligenza. Era sempre entrato nella fuga buona. Poi nel giorno del tappone, la quinta frazione, che metteva in palio più punti dell’intero Polonia, succede che la fuga la prende, ma non è quella buona. E i sogni svaniscono.

Jacopo Mosca (classe 1993) in maglia a pois blu al Tour de Pologne
Jacopo Mosca (classe 1993) in maglia a pois blu al Tour de Pologne

Sogno sfumato

Tornando a Ligabue, lotti e le botte magari le dai anche, ma se il destino dice che tu non devi vincere, non vinci. Lottatori e “dannati”: alla fine sono questi i corridori che più piacciono. A Mosca restano tre giorni sul podio e una maglia da guardare con orgoglio e piacere una volta a casa. Cosa che ci aveva detto lui stesso.

Il secondo giorno, aveva concluso la frazione con cinque punti, come Lucas Hamilton. Erano leader entrambi.

«Magari mi danno la maglia a pois per simpatia», ci aveva detto Jacopo dopo il traguardo.

Il giorno successivo prima del via ci fa: «Ohi, forse non gli sono stato simpatico! Non me l’hanno data!». Ma mentre scherzava era già in prima linea. Voleva tornare in fuga. Aveva riassaporato dopo parecchio tempo quelle sensazioni di libertà. Aveva un progetto chiaro in testa.

E il progetto stava andando bene. L’unica consolazione è che quella maglia è rimasta in casa Lidl-Trek. Markus Hoelgaard in teoria doveva difenderla dagli attacchi, ma una volta fiutato il pericolo di perderla giustamente ha affondato il colpo. Meglio lui, della Lidl, che un altro.

Il piemontese è stato spesso in fuga, poi quando i sogni sono sfumati nell’ultima tappa ha aiutato il velocista della squadra
Il piemontese è stato spesso in fuga, poi quando i sogni sono sfumati nell’ultima tappa ha aiutato il velocista della squadra

Quasi come Ciccone

Mosca era un po’ il Ciccone del Polonia. E come Cicco a gestito le energie. Attaccava quando era il momento, si staccava per risparmiare negli altri frangenti.

«Sì – commenta Mosca con ironia – ma Cicco era al Tour! La differenza era che i puntini qui erano blu e in Francia sono rossi. La sua era più bella. Un po’ come Instagram versus realtà! Sul social è bellissima, nella realtà decisamente meno… Lui aveva quella grossa, io quella più piccola! A parte tutto ci abbiamo provato. Spesso il gruppo non ci ha lasciato troppo spazio, ma va bene così». 

«Quella maglia a pois la porterò a casa e me la guarderò», ha scherzato Mosca qui poco prima di indossarla per la prima volta
«Quella maglia a pois la porterò a casa e me la guarderò», ha scherzato Mosca qui poco prima di indossarla per la prima volta

Capitano per un giorno

Sentirsi leader. Una sensazione insolita per Mosca. Lui è uno dei gregari più apprezzati. Sa fare bene il suo lavoro. Poi è arrivata questa opportunità.

«Eravamo venuti al Polonia per aiutare Edward Theuns nelle volate – ha detto Mosca – io ed Otto Vergaerde dovevamo supportarlo nel finale. Poi c’è stato un po’ di spazio e questo, per noi che lavoriamo sempre, è bello. Ti dà la carica.

«Mi ero “inventato” questo obiettivo della maglia dei Gpm, ma sapevo che la tappa numero cinque sarebbe stata decisiva». E così è stato…

Mosca entra poi anche nel dettaglio tecnico. Andare in fuga, lottare quando mancano tanti chilometri all’arrivo, comporta anche un approccio differente.

«Nei primi anni da pro’ – va avanti Mosca – facevo solo quello: ero sempre in fuga. A me piace attaccare, chiaramente oggi con il gruppo che va sempre più forte è anche difficile andarci e una volta che ci riesci sicuramente spendi di più. 

«E il discorso è semplice: per stare fuori da solo, o in pochi, prendi più aria e per fare velocità fai più watt. Quindi spendi di più e di più devi mangiare. Ma devo dire che tra App, riunioni e soprattutto esperienza ti gestisci alla grande».

Alla fine Jacopo è stato in testa alla classifica dei Gpm per tre giorni
Jacopo ha indossato la maglia a pois per tre giorni

Studiando Elisa…

Mosca è ottimista, propositivo. Più o meno scherzando gli chiediamo se in questo Polonia, in cui è stato più libero, ha chiesto qualche consiglio alla sua compagna, Elisa Longo Borghini.

«Ah – ride Mosca – semmai dovrei essere io a darle dei consigli su come andare in fuga. Lei ci va di gambe. Io me la devo guadagnare. I suoi attacchi non contano come fughe! Sono sono le azioni di quelli forti!

«Scherzi a parte, andare in fuga è bello. Ma è interessante vedere i suoi approcci alle corse, agli attacchi. In questo modo anche io vedo come affronta la gara un leader. Lo vedo da un’altra angolazione. E quando ho a che fare con i miei compagni che puntano a qualcosa penso ai sacrifici che devono fare, alle pressioni che hanno addosso…

«Non è detto che essendo nati più forti, tutto gli venga facile, così come per noi che “andiamo più piano”. Alla fine loro hanno gambe migliori, sono stati più fortunati, ma su certi aspetti siamo uguali. Tutti e tutte facciamo i ciclisti al 100 per cento, altrimenti coi tempi di oggi non vedremmo neanche la coda del gruppo».

Trek Ballista, incredibilmente leggero ed efficiente

26.07.2023
5 min
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Il nuovo casco Trek Ballista è prima di tutto un casco aerodinamico, ma sorprende per leggerezza, comfort e per la sua efficienza in fatto di aerazione complessiva. Lo abbiamo provato. E poi abbiamo chiesto anche a Jacopo Mosca del Team Lidl-Trek, uno dei primi atleti ad averlo indossato.

Jacopo Mosca ancora in versione Trek-Segafredo, tra i primi ad usare il nuovo Ballista
Jacopo Mosca ancora in versione Trek-Segafredo, tra i primi ad usare il nuovo Ballista

Sempre sfruttabile

«Il nuovo Ballista – spiega il piemontese – ha dimostrato e sta dimostrando di essere un casco molto versatile, pur rientrando nella categoria dei caschi veloci. E’ sfruttabile anche nel corso delle giornate calde. Aggiungo che è anche confortevole e per un casco che nasce aero, non è un dettaglio. Volendo fare un confronto con la versione precedente, il nuovo Trek Ballista è molto più leggero, comodo e trattiene in modo perfetto anche gli occhiali attraverso le due asole laterali».

Come è fatto

Il Trek Ballista ha una forma che non passa inosservata. Le sezioni mediana e frontale sono molto arrotondate e in un certo senso contrastano con la “coda” che invece è più squadrata ai lati. Quest’ultima è completamente staccata dalla testa è funge come uno spoiler ribassato verso la schiena, con il compito di far si che l’aria che scende dalla testa non vada a schiacciarsi sulla schiena. Al tempo stesso influisce in modo positivo sull’estrazione di calore ed umidità che si formano durante lo sforzo.

L’interno del casco è rastremato, scavato e presenta una serie di canali che obbligano all’aria in entrata di seguire delle linee ben precise. Le feritoie sono quattro, due laterali con i bordi gommati per trattenere gli occhiali, una centrale che corrisponde al canale interno con il volume di trasporto maggiore e quella centrale/alta.

L’imbottitura è una sola e con degli spessori differenziati. Si sviluppa sulla fronte, ai lati e unisce anche i quattro allungamenti centrali. Inoltre la stessa imbottitura integra il Mips Air, soluzione che aumenta l’effetto rotazionale del casco per distribuire al meglio le forze che si generano in caso di impatto.

Una volta indossato, quasi non si sente
Una volta indossato, quasi non si sente

Risponde l’ingegnere

Il sistema di chiusura è composto dalle classiche fibbie, alleggerite e con la chiusura classica, così come dalla gabbia posteriore con il rotore Boa. Il cavo laterale, sottilissimo agisce sull’anello frontale che è nascosto dall’imbottitura. Tornando alla gabbia posteriore, oltre ad essere abbondantemente personalizzabile in altezza è sostenuta da una sorta di piccolo frame “staccato” dalla parete del casco. Per contestualizzare meglio alcuni aspetti tecnici del nuovo Trek Ballista abbiamo fatto alcune domande a Erich Schleicher ingegnere che ha contribuito in maniera fondamentale al suo sviluppo.

Quanto tempo è stato necessario per lo sviluppo del nuovo Ballista?

Il nuova Ballista ha richiesto uno sviluppo significativo, oltre un anno e mezzo al quale si aggiunge un altro anno per essere immesso sul mercato. Il casco è nato da migliaia di iterazioni modellate al computer, più di 50 prototipi, 5 prove nella galleria del vento e innumerevoli ore di test in condizioni reali, anche grazie al contributo degli atleti professionisti.

L’aerodinamica è il soggetto principale. Ci sono altri fattori che hanno avuto un’importanza primaria nelle fasi di sviluppo?

L’efficienza aerodinamica era l’obiettivo di sviluppo primario per il nuovo Trek Ballista. Secondari all’aerodinamica erano la ventilazione e il peso. Attraverso l’analisi della fluidodinamica computazionale, il Ballista è stato ottimizzato nella ventilazione. Lo dimostrano le tre grandi prese d’aria nella parte anteriore e in quello che è il grande scarico posteriore. Una volta determinata la forma del casco, è stato raggiunto un peso sorprendentemente basso ed è stato fatto uno sforzo consapevole per ottimizzare l’utilizzo del materiale e scegliere i componenti per contenere il più possibile il valore alla bilancia.

C’è una porzione del casco, oppure uno step nella creazione del prodotto che ha creato difficoltà?

Il Trek Ballista è un tutt’uno. Inoltre, come evidenziato dall’enorme quantità di iterazione e dalla tempistica complessiva dello sviluppo, ci sono voluti molti tentativi ed errori per raggiungere il risultato finale. Una svolta significativa l’abbiamo avuta durante i test finali condotti agli inizi di luglio del 2022 nella galleria del vento. In quel momento abbiamo ottenuto di fatto il Ballista che vediamo ora.

Attraverso un numero, quanto conta il casco nella performance complessiva?

Nel caso del nuovo Ballista abbiamo un prodotto che gioca un ruolo importante e senza un aggravio di peso significativo. Voglio fare alcuni esempi ed accostamenti: per risparmiare 16,4 watt si può cambiare un Trek Emonda con una Trek Madone, al prezzo di 600 grammi. Possiamo montare le ruote Bontrager Aeolus RSL 75 invece delle ruote RSL 37 e risparmiare 6,3 watt, con un aggravio di 320 grammi. Quando si passa da un casco Trek Velocis ad un casco Trek Ballista, il guadagno è di 10,1 watt e costa solo 11 grammi. Il nuovo casco è la dimostrazione che i miglioramenti aerodinamici che si ottengono con un casco fanno la differenza.

Trek

Comano Terme, regno di Longo Borghini. Il bis è servito

25.06.2023
7 min
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COMANO TERME – «Quando ho visto l’ultimo chilometro, ho detto: “Adesso le secco!”. Penso sempre che se non sei convinto di vincere una corsa – dice tutto d’un fiato Elisa Longo Borghini – è meglio che non parti. E soprattutto se non sei convinto all’ultimo chilometro, è meglio che neanche fai la volata».

Tre, il numero perfetto

Le sei del pomeriggio, tre giorni dopo la vittoria nella prova a cronometro. Il campionato italiano delle donne si è concluso da mezz’ora e adesso Elisa trova il tempo per fermarsi e raccontare. Per la piemontese è il poker delle doppiette crono più strada. La corsa è stata da mal di testa, con una serie di scatti a vuoto senza lucidità apparente, che invece stavano attuando il sottile piano delle tre ragazze della Trek-Segafredo.

Yaya Sanguineti si è presa il gruppo sulle spalle e ha messo nel mirino la fuga del mattino. Gaia Realini si è sfinita di attacchi, giocando la sua carta, ma anche preparando il terreno per la Longo. E poi Elisa, in questa nuova dimensione da killer, è andata verso la volata con una lucidità impressionante.

«Ieri ho riguardato la volata di Velasco – racconta la piemontese – e mi sono detta che per vincere una volata con la Persico avrei dovuto fare qualcosa di simile. L’ho guardata più volte. L’ho analizzata. E ho provato a rifarla uguale. Non mi è venuta benissimo, perché lui ha vinto nettamente, mentre io sono arrivata letteralmente testa a testa con Silvia, ma è andata bene così».

L’aiuto di Jacopo

Il dopo corsa è stato un susseguirsi di emozioni. Mentre Elisa si stava cambiando, è arrivato di corsa Jacopo Mosca. Sudato perso, ha confermato che la compagna aveva già battezzato il finale in volata, mentre lui era convinto che avrebbe attaccato in discesa. 

«Prima nelle volate – racconta Elisa – partivo sconfitta e invece adesso a livello tecnico sono migliorata tanto. Devo molto a Jacopo perché mi ha fatta giocare in allenamento. Sembra sciocco, ma le volate ai cartelli dei paesi, le stesse che di solito fanno gli esordienti, aiutano molto. Conta molto la tecnica e come prendi la volata, in quale posizione sei. Lui ha fatto tanto e lo ringrazio anche per questo». 

Sul palco, attorniata dai genitori, dal fratello Paolo e i suoi figli, Elisa ha ringraziato per la famiglia, per i nipoti che l’hanno tenuta allegra durante la complicata primavera. E ha ringraziato per la sua stessa vita, con un sorriso che era un inno alla gioia. Commovente, lo ammettiamo.

Jacopo Mosca è diventato un grande motivatore per Elisa Longo Borghini, oltre che maestro di volate
Jacopo Mosca è diventato un grande motivatore per Elisa Longo Borghini, oltre che maestro di volate
Però Silvia Persico sulla carta era più veloce…

E’ una ragazza molto forte da non sottovalutare mai. Ha sette vite come i gatti e devo sempre anticiparla. L’ho già visto al Fiandre (Elisa è arrivata terza e Persico quarta, ndr) e mi è andata bene anche stavolta. Ogni tanto mi va bene.

Gaia Realini ha fatto un lavoro pazzesco.

Oggi avevo una squadra numericamente piccola, ma con un grande cuore. Ilaria e Gaia mi hanno supportata benissimo. Volevamo fare forte il penultimo giro, per attaccare. Sono andata via in un primo momento con Cavalli e poi ho detto a Gaia di giocarsi le sue carte. L’ho vista molto forte e per come sta andando in questa stagione, si meritava anche la maglia tricolore.

Di solito quando una squadra ha due leader c’è sempre il rischio di gelosie: cosa c’è alla base della vostra intesa?

Alla base di tutto c’è sincerità. Entrambe sappiamo quali sono le nostre caratteristiche. Io so che Gaia è un’ottima scalatrice e lei sa che può contare su di me per tutto il resto (sorride, ndr). Le opportunità per Gaia saranno tante e spero di essere un’ottima spalla per lei anche in futuro. E lei sa benissimo che quando io punto a qualcosa, lei è pronta per aiutarmi. E’ un bel rapporto, costruito durante questa stagione, nei vari ritiri che abbiamo fatto, anche in altura. Gaia sa che può contare su di me e io so che posso contare su di lei.

Gaia è andata via da sola, ma Persico l’ha messa nel mirino.

Nel momento in cui l’abbiamo ripresa, io ho provato a stancare un po’ Silvia e a sfruttare il lavoro di Marta Cavalli. E poi ho detto nuovamente a Gaia di tirare dritto. Non so perché, ma ogni tanto ti senti di vincere. E io oggi me lo sentivo che avrei vinto.

Era così chiaro che non fosse un percorso per arrivare da sole?

Ieri si era visto che questa salita fa la differenza, ma gli scalatori forti rimangono sempre insieme. C’è un tratto duro, che io avevo definito “dal cartello sesto fino alla casa” (ride, ndr), che poi diventa molto pedalabile e quindi aiuta a rientrare o comunque a tirare il fiato. Un corridore da solo poteva arrivare, ma doveva fare una grossa differenza e dietro dovevano proprio essere morte. L’ho sperato quando Gaia era davanti, ma l’hanno ripresa. E quindi nella mia testa ha preso forma lo scenario della volata.

Elisa Longo Borghini è molto legata ai nipoti: «Mi hanno tenuta allegra quando le cose non andavano troppo bene»
Elisa è molto legata ai nipoti: «Mi hanno tenuta allegra quando le cose non andavano troppo bene»
Undici maglie tricolori, quale può essere ora l’obiettivo dei sogni?

A me la bicicletta piace, mi rende felice. Ogni gara è un’opportunità per vincere e io poi sono un’agonista dentro, mi piace vincere anche quando gioco a scacchi. Oppure devo far vincere la mia squadra. E’ qualcosa con cui nasci, per cui il mio sogno è la maglia iridata. Non so se lo raggiungerò mai, magari sarò d’aiuto per farlo raggiungere a una mia compagna. Sarebbe già tanto, ma siccome è già successo, non sarebbe male se una volta la vincessi io.

La nuova maglia tricolore ora andrà al Giro, poi al Tour, ma con un nuovo sponsor.

Voglio onorare il Giro al meglio e poi porterò la maglia al Tour. E’ l’ultima maglia tricolore per Segafredo, che ringrazio per averci sostenuto così tanti anni, ed è la prima per Lidl. Sarà emozionante partire per queste due corse con il tricolore, perché i campioni nazionali sono sempre guardati, a volte è anche imbarazzante, ma è bello per me portare la bandiera della mia Nazione sulle spalle.

Il mazzo di fiori sulla Trek Emonda di Longo Borghini: è tempo per i festeggiamenti
Il mazzo di fiori sulla Trek Emonda di Longo Borghini: è tempo per i festeggiamenti

I fiori sulla bici rallegrano la stanza. I nipoti la aspettano fuori. Jacopo Mosca ha seguito sorridente le interviste, mandando via l’amarezza per la mancata convocazione al Tour. E’ la serata perfetta, peccato solo che – in barba alla sbandierata parità fra donne e uomini – tanti giornalisti siano andati via dopo la gara dei professionisti. Elisa dice che per il caldo ora andrebbe a buttarsi nel fiume del suo paese. Un po’ di venticello concede tregua ai passanti. Lei sparisce, a noi non resta che scrivere.

Baroncini, tanta rabbia e un fiume di lacrime

24.06.2023
5 min
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COMANO TERME – Una foratura a 3,8 chilometri dall’arrivo. La fine di un sogno tricolore che ha un sapore amaro condito da tanta rabbia e lacrime. Filippo Baroncini quest’oggi era indubbiamente tra i favoriti e durante la corsa ha dimostrato di volere questa maglia ai meno 45 chilometri dall’arrivo, quando è uscito dal gruppo insieme a Matteo Sobrero e a Matteo Trentin. Dopo un inseguimento concitato, il finale era apparecchiato per un arrivo in volata ristretto tra i magnifici sette di quest’oggi. 

Sull’arrivo però Filippo ha tagliato la linea del traguardo con la ruota alzata dalla rabbia e un urlo che di liberatorio aveva ben poco. Un centinaio di metri dopo ha scaraventato la bici a terra ed è scoppiato in lacrime con le mani sul viso

Filo Fans Club

Sul percorso una curva faceva più rumore di tutte, era quella del Fans Club di Filippo Baroncini. Direttamente dalla Romagna, in particolare da Massa Lombarda la sua città natale, sono arrivati decine di sostenitori per lui. Piadine, salsiccia e il motore di una motosega ad animare la quiete di Comano Terme addobbato a festa per questi campionati italiani.

Gli stessi volti che hanno accompagnato l’ex campione del mondo U23 per 227 chilometri erano dopo l’arrivo a consolarlo di fronte al suo hotel. Le lacrime di Baroncini però non si sono mai fermate. Per un’ora la delusione era troppo forte per prendere la macchina ed avviarsi verso la sua Romagna. Nemmeno la forza di mangiare una fetta di pizza, regalata dopo un morso alla fidanzata.

Dagli occhi del papà

Quando siamo arrivati al camper della Trek-Segafredo l’ira di Filippo non si era ancora placata. Le imprecazioni avevano gli stessi decibel di quella motosega che lo aveva accompagnato per nove giri sul circuito. Ancora una volta le lacrime sul volto, questa volta seduto sull’erba con lo sguardo rivolto verso il Fiume Sarca sottostante. A consolarlo c’era Davide Bramati, diesse della Soudal-Quick Step. «Lo capisco – dice – non è un mio corridore, ma lo capisco. Io ho corso e posso immaginare come si possa sentire in questo momento». Per infondergli un po’ di speranza e consolazione prima di andare via si è voltato urlandogli: «Stai tranquillo che lo vincerai un italiano, ora vai a farti la doccia!».

A porgergli una spalla su cui piangere oltre alla sua ragazza, c’era papà Carlo Baroncini: «Dispiace tanto. Filippo è così arrabbiato e deluso perché ci credeva molto. Se la poteva giocare, stava bene. Se avesse forato a cinque chilometri sarebbe potuto rientrare, ma così non c’era niente da fare. Non ricordo delusioni di questo tipo. Posso dire che di solito sbollisce in fretta e non sta tanto a rimuginare. Questa volta però la sfortuna lo ha colpito ancora».

Per Filippo la giornata di oggi è stata una dimostrazione dell’ottima condizione
Per Filippo la giornata di oggi è stata una dimostrazione dell’ottima condizione

La sfortuna di Filippo

Filippo ha un conto in sospeso con la fortuna. Dopo il passaggio tra i professionisti quando ancora quella maglia iridata era sulle sue spalle ma non poteva essere indossata è iniziato un calvario. Due stop a inizio stagione, nel 2022 e 2023, entrambi per lo stesso motivo. La frattura del radio che ancora oggi costringe il classe ’99 a portare il tutore anche in corsa.

Oggi la dea bendata lo ha ignorato strappandogli il sogno a tre chilometri dall’arrivo. E’ chiaro che questa volta quando la rabbia sarà passata e le lacrime saranno asciugate, dall’analisi della gara potrà trarre sicuramente un bilancio positivo sulla condizione. L’inseguimento condiviso con Trentin e Sobrero prima, più una sgasata fatta vedere ai meno 14 chilometri dall’arrivo. Poche centinaia di metri che hanno fatto vedere che per Baroncini questa poteva essere davvero la giornata giusta

Mosca ha tirato i primi giri in circuito per ridurre il distacco dai fuggitivi
Mosca ha tirato i primi giri in circuito per ridurre il distacco dai fuggitivi

Una gara quasi perfetta

A consolarlo c’era anche il suo procuratore Luca Mazzanti, diviso tra gioia e dispiacere. Da una parte Velasco, gli ha regalato una vittoria inaspettata e dall’altra Filippo in ottima condizione ma con tutt’altro stato d’animo. Ciccone ha preparato le valigie e dopo aver dato due pacche sulle spalle al suo compagno si è avviato a raggiungere sua moglie, con cui si è sposato due giorni fa. 

Chi invece dopo due pacche sulle spalle si è fermato e si è messo in assetto diesse, è Jacopo Mosca che rimarrà qui fino a domani per assistere all’italiano della sua promessa sposa Elisa Longo Borghini. Al piemontese abbiamo chiesto che bilancio si porterà a casa da questa giornata per la Trek Segafredo.

«Dispiace per come è andata la corsa – dice – mi sento di dire che abbiamo fatto tutto bene. Ovviamente più di tutto dispiace per Filippo. Non se lo meritava per tutta la sfortuna che sta subendo. Le cadute ci stanno ma quest’anno ha subito un altro infortunio a inizio stagione. Non si può dire che avrebbe vinto è vero, però stava davvero bene. Ho tirato i primi giri del circuito per ridurre il distacco sui fuggitivi. Noi eravamo in tre e queste erano le nostre carte da giocare. Bisogna ricordarsi che chi ha vinto se lo è meritato quindi complimenti a lui».

Sanremo e Muri del Nord: due diversi modi di tirare

08.04.2023
7 min
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Fra i motivi che, a detta di Baldato, hanno permesso a Pogacar di vincere il Fiandre c’è stato il lavoro dei compagni di squadra. Avendo limato un minuto alla fuga, hanno infatti permesso allo sloveno di rientrare su Trentin in fuga senza rimanere troppo a lungo nella terra di nessuno. Ci è venuto in mente il lavoro fatto invece da Jacopo Mosca alla Sanremo. Al Fiandre sono serviti quattro uomini per togliere un minuto alla fuga, alla Sanremo il solo Mosca ha tenuto nove uomini nel mirino e gli altri 165 a ruota. Gli abbiamo chiesto di fare un ragionamento sulla differenza, approfittando del tempo libero dopo l’allenamento al Centro di Alto Rendimento di Sierra Nevada, preparando il Giro.

Cosa significa correre una Sanremo, dovendo tirare tutto il giorno?

Sapevo già da prima che lo avrei fatto, lo sapevo praticamente dall’inizio dell’anno. Ne avevamo parlato tra compagni e anche con Mads (Pedersen, ndr), che aveva detto subito di voler puntare alla Sanremo. E’ un ruolo che si è sempre visto negli anni. Uno che tira in una squadra dove i capitani possono fare la corsa c’è sempre. Avendo due leader come Pedersen e Stuyven, partivamo con un’idea abbastanza precisa.

E come è andata?

Non abbiamo vinto, Mads è arrivato sesto. Gli è mancato poco per essere coi primi quattro. Quando hai un leader del genere, è giusto dare il proprio apporto per tirare. La UAE è venuta davanti, vero, ma dopo il Turchino. Potevano tranquillamente farlo da prima, visto che avevano Pogacar. In ogni caso, noi eravamo partiti con la nostra idea e così anche la Jumbo.

Come ci si attrezza per una giornata in cui si tirerà così tanto?

Sono partito con l’assetto della bici per tirare. Con le ruote da 75 e il 56 davanti. Sapevo quello che mi aspettava e fortunatamente ho avuto una buona giornata, perché sono riuscito ad arrivare fino al Capo Mele tirando dall’inizio. Chiaro che poi, quando la gara si è accesa, sono passato dalla prima all’ultima posizione. Ho resistito fino al Capo Berta e poi mi sono staccato con gli altri morti.

Tu hai tirato da solo, al Fiandre la UAE ha tirato con quattro uomini…

E’ diverso, non per sminuire quello che ho fatto. Alla Sanremo ti metti lì, vai a 45-50 all’ora costante per tutto il giorno e fai quattro curve ogni tanto. Al Fiandre devi fare curva su curva, continui rilanci, salite e discese. Sicuramente loro sono arrivati al momento di tirare avendo già uno sforzo enorme nelle gambe e poi hanno fatto un’azione violenta. Io ho fatto un’azione lunga e costante.

Una giornata come quella di Sanremo si prepara nelle settimane che precedono?

Sostanzialmente non hai bisogno di lavori particolari. Devi stare bene, ma di solito io lavoro tanto sulla base e magari meno sull’esplosività. Ormai il mio lavoro in gruppo è questo, tenere gli altri al coperto, tirare… Per fare una Sanremo a quel modo, devi semplicemente stare bene e avere tanto fondo, perché comunque ho tirato per 250 chilometri.

Stando così le cose, la fuga era spacciata o c’era margine di successo?

Abbiamo corso in modo intelligente. Sapendo che c’era vento a favore, non abbiamo lasciato tanto spazio perché comunque erano in nove. Mi dispiace per Tonelli e Maestri, con cui avevo parlato prima della corsa. Gli avevo detto: «Spero che siate pochi, perché se siete troppi dobbiamo per forza lasciare poco spazio». E così è stato, abbiamo iniziato praticamente subito. C’era anche Van Emden della Jumbo, li tenevamo a 3-4 minuti. Dopo un po’, capisci il ritmo che puoi tenere. Se la fuga va a 45 all’ora, tu vai a 45 all’ora. Passi una giornata al medio, Z2 o Z3. E’ un ritmo che puoi tenere tutto il giorno, diverso da quando devi fare uno sforzo violento che poi ti richiede di recuperare.

A che distanza si tiene la fuga per evitare che ad altri venga la voglia di partire?

Se hai meno di 3 minuti quando inizi la valle del Turchino, con la lotta per le posizioni mangi troppo vantaggio e magari arrivi sul mare che la fuga ha solo un minuto. Loro ci sono arrivati con 1’30”, ma sapevamo che una volta laggiù, avrebbero accelerato, mentre il gruppo dietro fa l’ultimo pit stop generale, quindi il vantaggio torna a salire. Infatti sono passati a 5 minuti, ma noi dietro andavamo talmente forte, che era impossibile che la fuga potesse arrivare.

A che punto della Sanremo la fuga deve essere nel mirino?

Dipende, perché ormai il livello è talmente alto che prima o poi qualcuno arriverà. La Cipressa si sale a 35 all’ora, il Poggio a 40. Perdi un minuto sicuro su ogni salita, ma c’è sempre una piccola percentuale di rischio. Secondo me, la strategia migliore è arrivare con un minuto di ritardo all’inizio della Cipressa. Dopo il Berta puoi averne anche due, perché uno lo mangi nella lotta per le posizioni prima della Cipressa. Per fare quel rettilineo di 2 chilometri, fino alla curva a destra, il gruppo impiega un minuto e mezzo, quindi va a 70 all’ora.

Pedersen è arrivato terzo al Fiandre anticipando i migliori con una fuga: sarebbe possibile la stessa tattica alla Sanremo?

Non potrà mai succedere. Al Fiandre, se sei davanti non devi rispondere continuamente agli scatti del gruppo e riesci a gestirti. Alla Sanremo, se stai a ruota fai 250 chilometri spendendo veramente poco, ma quando arrivi in fondo, diventa una lunga volata di 50 chilometri. E’ un continuo accelerare, uno shock unico. Se sei stato a lungo allo scoperto, quando sul Poggio arrivano da dietro quelli più freschi, ti passano a doppia velocità ed è difficile che riesci a tenerli.

Quando sul Poggio iniziano gli scatti dei più forti, chi è stato a lungo in fuga non ha gambe per rispondere
Quando sul Poggio iniziano gli scatti dei più forti, chi è stato a lungo in fuga non ha gambe per rispondere
Ultima cosa, cosa dici della volata di Elisa Longo Borghini al Fiandre? Lei ha parlato del beneficio delle volate al cartello che fate assieme…

Praticamente da metà gennaio ad oggi siamo usciti in bici forse una volta. Però durante l’inverno almeno una volata ogni giorno la facevamo. All’inizio era soprattutto divertente. Poi dopo un po’ ti obblighi a farle, perché sai che comunque fa bene e porta sempre un po’ di competitività. Non è che lei non fosse veloce prima e adesso lo è diventata grazie a questo. Però almeno adesso, facendole, ci crede un po’ di più e la differenza si vede.

E poi c’è da dire che è un’atleta di fondo, no?

Esatto ed è quello che ho sempre cercato di dirle. Se fa una volata contro Balsamo, ovviamente non ci sarà mai storia. Però Elisa è talmente forte e resistente, che alla fine di una gara dove sono tutti a blocco, quella veloce magari perde il picco di potenza, lei invece ce l’ha identico. E poi sul Fiandre c’è da dire che è stata anche tatticamente perfetta e di questo vado orgoglioso…

Cioè?

Non è che io possa insegnarle chissà cosa, però sapevamo che non fosse al top della condizione. Quando non sei forte, devi arrivarci con l’intelligenza e io ho sempre dovuto pensare per arrivare da qualche parte. E anche Elisa stavolta ha fatto di necessità virtù.

Baffi: dall’esempio Sanremo ecco come cambia la fuga

24.03.2023
4 min
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Il tema della fuga alla Milano-Sanremo tiene ancora banco, dopo aver sentito due dei fuggitivi di giornata abbiamo ascoltato anche la voce di chi ha gestito la rincorsa. Sull’argomento delle fughe ci sono delle cose da dire. Come sottolineato anche da Contessa, parlando di Lucca e del suo motore adatto ai tentativi da lontano, si è notato come i corridori abbiano sempre meno spazio per cercare azioni di questo genere.

Alla Classicissima la fuga è sempre stata braccata dal gruppo
Alla Classicissima la fuga è sempre stata braccata dal gruppo

Sempre sotto controllo

Alla Classicissima proprio la Trek-Segafredo, guidata in primis da Jacopo Mosca, si è messa a gestire subito lo svantaggio, non facendolo mai decollare. Sull’ammiraglia era presente il diesse Adriano Baffi, con lui entriamo nel merito di questo lungo inseguimento e non solo. 

«Nel caso della Milano-Sanremo – spiega Baffi – uno deve fare delle previsioni e porsi delle priorità da seguire in corsa. Le scelte tattiche vengono decise prima della convocazione, poi in base a come si vuole gestire la corsa si portano determinati corridori. Sabato noi avevamo intenzione di tenere la fuga sotto controllo fin da subito (lo aveva anticipato lo stesso Mosca parlando a Maestri e Tonelli prima del via da Abbiategrasso, ndr). Sapevamo che sulla costa ci sarebbe stato vento a favore e quindi era bene non rischiare nulla. Poi c’è da dire una cosa: una squadra parte con la sua idea, ma non sa quello che accadrà in gara. Alla Sanremo noi volevamo gestire il distacco, siamo stati fortunati perché anche la Jumbo era della stessa idea. In questo modo ci siamo potuti spartire un minimo il lavoro».

Pedersen alla sua seconda Sanremo, è arrivato sesto, eguagliando il risultato del 2022
Pedersen alla sua seconda Sanremo, è arrivato sesto, eguagliando il risultato del 2022

Di necessità virtù

Il team americano ha lavorato per Mads Pedersen che ha eguagliato il risultato dello scorso anno: sesto sul traguardo di via Roma. L’altra punta era, invece, Jasper Stuyven, che ha concluso decimo. 

«In base alle necessità della squadra – riprende Baffi – e dei propri capitani, si decide che tipo di corsa fare. Mettersi in testa a gestire l’inseguimento permette di rimanere sempre nelle prime posizioni, evitando il nervosismo fin dai primi chilometri. In più, quando hai un uomo che tira, il capitano prende responsabilità perché vede nel concreto il lavoro dei suoi compagni. C’è da aggiungere che noi avevamo pensato fin da subito di controllare la corsa, per questo abbiamo portato Mosca, lui è un corridore che si presta molto bene a questo tipo di lavoro. Se ci pensate, grazie al lavoro di Jacopo la squadra ha utilizzato un solo uomo fino ai Capi, ci ha dato davvero una grande mano».

La presenza di Mosca è stata funzionale alla tattica che si è voluta applicare in corsa
La presenza di Mosca è stata funzionale alla tattica che si è voluta applicare in corsa

Livello sempre più alto

Va bene gestire la gara, ma un distacco così minimo tra gruppo e fuga, alla Sanremo, non si vede spesso. E’ una caratteristica degli ultimi anni, le fughe non prendono più tanti minuti di vantaggio sul gruppo, e di conseguenza faticano ad arrivare all’arrivo. 

«Questo perché il livello si è alzato – risponde Baffi – anche corridori che tu pensi possano essere meno pericolosi, alla fine, vanno forte comunque. Si sono alzate le medie (questa Milano-Sanremo è stata la seconda più veloce di sempre, ndr) ed è migliorata anche la qualità degli interpreti. Ormai le squadre sono impostate e costruite per vincere sempre, Roglic alla Tirreno-Adriatico ha portato a casa tre tappe di fila. Qualche anno fa vincevi una tappa ed eri soddisfatto, e così in quella successiva lasciavi spazio alla fuga. Magari mettevi la squadra davanti a tirare, ma solo per gestire il distacco, non di certo con l’obiettivo di andare a riprendere il gruppetto davanti. Nella tappa dei muri, quest’anno, i fuggitivi sono stati riagganciati a 60 chilometri dall’arrivo, così come a quella di Tortoreto.

«Questo nuovo sistema ha cambiato il modo di vedere la corsa, anche per le squadre WoldTour – conclude – non ci sono più le classiche fughe d’appoggio. Ora mandare un corridore in avanscoperta, sperando possa dare una mano ad un possibile attacco, non funziona più, quando viene ripreso dagli inseguitori è sfinito ed il suo lavoro è pressoché inutile. Di conseguenza, mandi un corridore in fuga solo per muovere la corsa o eventualmente per farti vedere se non hai alternative valide (l’Astana, priva di capitani, alla Sanremo ha mandato in fuga Riabushenko per questo motivo, ndr)».

Trek Madone SLR7, mamma mia quanto spinge

31.01.2023
6 min
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Il test della nuova Trek Madone SLR7

«La Trek Madone precedente era un po’ per tutti. Questa è una vera bici aerodinamica da corridore e pensata per chi vuole spingere, sentire la bicicletta ed essere veloce quando c’è da scattare, fare uno sprint, rientrare sulla fuga a gas aperto e tirare a vento in faccia».

Apriamo il racconto del test della nuova Madone di settima generazione con questo virgolettato di Jacopo Mosca, che dal momento della consegna non ha più mollato la nuova versione della bicicletta.

Imponente e muscolosa, unica, con l’IsoFlow che oltre ad essere una nuova soluzione, pone anche un solco netto tra le bici “normali” e quelle aerodinamiche da agonista e senza mezze misure. E poi abbiamo raccolto le considerazioni di tre corridori molto differenti tra loro: Giulio Ciccone, Juanpe Lopez e Quinn Simmons.

La nuova Trek Madone, senza dubbio aggressiva e corsaiola
La nuova Trek Madone, senza dubbio aggressiva e corsaiola

GIULIO CICCONE: «Io uso sia la Emonda come prima bici per un 70% e poi la Madone che è quella più aerodinamica e più adatta per le tappe di pianura dei grandi Giri. Quest’ultima è velocissima. E’ stata lanciata al Tour de France e proprio lì ho iniziato ad usarla. La prima impressione, quando monti in sella è quella di sentire la bici che scappa via. Offre degli enormi vantaggi nelle fasi di rilancio, ad esempio all’uscita delle curve. E si sente come agevola il mantenimento di un’alta velocità senza grosse resistenze».

JUANPE LOPEZ: «La nuova Trek Madone è velocissima. L’ho usata la prima volta alla Vuelta Burgos. Mi piace. Rispetto alla precedente è più veloce e più sfruttabile anche su salite inferiori ai 15 minuti. Il peso entro quel limite non è un problema. Quando devo affrontare dislivelli importanti scelgo la Madone. E’ utile anche nelle corse mosse, perché forse, fra le bici aerodinamiche del gruppo è la più maneggevole e leggera.

QUINN SIMMONS: «Uso due modelli di bici Trek, la nuova Madone e la Emonda, direi che ora sono probabilmente 50 e 50. Prima ero quasi sempre sulla Emonda, ma ora con la nuova Madone, un po’ più leggera e un po’ più veloce, considero fifty-fifty. Ti fa sentire sempre veloce e ti permette di tenere un’ottima impostazione in sella, favorevole all’aerodinamica».

Quinn Simmons all’ultimo Tour con la nuova Madone
Quinn Simmons all’ultimo Tour con la nuova Madone

Madone SLR7 in test

Il telaio e la forcella sono quelli costruiti con il carbonio OCLV800, ultimo sviluppo del composito Trek. Il cockpit è quello di nuova generazione, più stretto sopra e con un flare (ovvero una sorta di svasatura) che lo porta ad essere largo nella sezione bassa. Quello usato sulla bici test ha un appoggio superiore, in pari ai comandi del cambio pari a 39 centimetri, mentre le estremità basse sono aperte a 42.

C’è la trasmissione Shimano Ultegra Di2 (52-36 e 11-30) con le ruote Bontrager Aeolus Pro51. Il cerchio è full carbon con il canale interno da 21 millimetri e le gomme sono le R3 da 25, sempre Bontrager e in versione copertoncino.

La sella è corta con i rails in acciaio. Il valore alla bilancia, rilevato e senza pedali è di 8,12 chilogrammi per un prezzo di listino di 10.999 euro.

IsoFlow, stabilità da primato

Le versione più anziana della Madone SLR aveva l’IsoSpeed, ovvero il dissipatore che permetteva alla bicicletta di essere più confortevole della media delle bici aero, ma anche di garantire stabilità e trazione ottimali su fondi sconnessi. Qui invece abbiamo una bici che sfrutta la zona del nodo sella, il piantone ed i foderi obliqui per aumentare l’efficienza aerodinamica, sacrificando in parte il comfort, ma non la stabilità.

Anzi, la nuova Trek Madone ha una stabilità da primato e una reattività del tutto accostabile ad una bicicletta molto più leggera. L’Iso Flow non prevede nessun inserimento meccanico smorzante.

Reggisella diverso…

Il profilato che parte dall’orizzontale e sostiene la sella non è poi così diverso dal passato, con il reggisella vero e proprio che si innesta nel telaio. Efficiente il sistema che permette di variare l’angolazione della sella, senza che questa venga sganciata dal fermo.

Cambia la modalità di serraggio e dal lato pratico cambia anche la performance di questa parte del telaio, proprio perché non c’è più l’IsoSpeed e per via di quella tubazioni che formano una sorta di traliccio. La bici è rigida e si sente.

Il cockpit un esempio di funzionalità e comfort
Il cockpit un esempio di funzionalità e comfort

Tubeless da 28, tanta roba

A nostro parere è la configurazione migliore, considerando una ruota medio-alta. Un buon tubeless da 28, gonfiato nel modo corretto permette di non disperdere nulla quando la strada sale, essere scorrevoli e attaccati al terreno quando si spinge nei tratti pianeggianti e di andare alla corda in discesa, piegando senza paura. E anche il comfort ne guadagna in differenti contesti stradali.