Pontoni: la Coppa di Viezzi è un trionfo di tutti

31.01.2024
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In queste ore Daniele Pontoni e il suo gruppo azzurro stanno prendendo le misure di un mondiale, quello che si svolgerà da venerdì a Tabor in Repubblica Ceca, dove la squadra azzurra parte con molte ambizioni, avendo di fatto scarse chance solo nelle due prove Elite (almeno a livello di podio, perché la Casasola ha tutte le carte in regola per un piazzamento di prestigio). Gli azzurri sono arrivati oggi sull’onda dell’entusiasmo scaturito dal trionfo di Stefano Viezzi in Coppa del Mondo, considerando che un azzurro vincitore di una challenge internazionale nel ciclocross mancava ormai dal secolo scorso.

Quella del friulano è stata una cavalcata lunga, difficile, a tratti sconfortante ma proprio per questo esaltante ed è singolare che il suo successo sia arrivato quasi in contemporanea con quello di Sinner dall’altro capo del mondo. Se il tennista altoatesino ora è sulla cima assoluta del mondo, Viezzi ci può arrivare, continuando su questa strada, ma sempre con le stimmate del vincente.

Pontoni e un selfie per festeggiare la vittoria e la conquista definitiva della maglia
Pontoni e un selfie per festeggiare la vittoria e la conquista definitiva della maglia

Daniele, al suo fianco per tutta l’avventura, riassapora attraverso il suo giovane pupillo ricordi della sua grande carriera, ma la sua mente è tutta proiettata verso l’attualità: «Quello di Stefano è stato un trionfo a lungo cercato, inseguito, voluto con tutte le forze. Insieme a lui abbiamo lavorato per molte settimane, è stato un vero successo di squadra con uno staff affiatato e l’importante contributo del team performance. Stefano però ci ha messo tanto di suo, nel modo di affrontare la stagione».

Questa Coppa è diventata un target per tutto il movimento…

Dopo la vittoria nelle prime due tappe non poteva essere altrimenti. A Dublino non era previsto che andassimo, ma la situazione di classifica imponeva la sua e quindi la nostra presenza. E’ stato un cammino difficile, nel quale abbiamo spesso dovuto apportare correttivi anche perché non abbiamo mai perso di vista altri obiettivi che potevano essere il campionato italiano e quello mondiale.

Viezzi ha vinto le tappe di Troyes, Dublino e Hoogerheide, più finora altre 7 gare (foto Ricardo Esteve)
Viezzi ha vinto le tappe di Troyes, Dublino e Hoogerheide, più finora altre 7 gare (foto Ricardo Esteve)
Una vittoria tecnica o di carattere?

Entrambe, sono due componenti fondamentali. Mi piace pensare in questo momento all’europeo dove solo la sfortuna l’ha privato di un podio meritatissimo. Una settimana dopo trionfava in Coppa, questo significa che dentro, Viezzi ha una straordinaria forza d’animo, quella dei campioni. So che Stefano con quella maglia non è per nulla appagato, anche i 10 giorni di ritiro che abbiamo effettuato in Spagna sono stati fatti pensando principalmente alla gara iridata di domenica.

Tu, dopo la tappa di Benidorm e il sorpasso di Sparfel, eri rimasto comunque ottimista sull’esito finale della challenge. Da che cosa derivava il tuo pensiero?

Conosco troppo bene Stefano, so quanta voglia ci mette ogni volta. Lì era stata la sfortuna a penalizzarci ed ero convinto che avrebbe tirato fuori una grande prestazione proprio come aveva fatto in Francia dopo la gara continentale. Sapeva che doveva fare una gara d’attacco, che doveva evitare di farsi imbrigliare dalla ragnatela francese con tanti compagni al fianco di Sparfel. Dopo il primo giro ha visto che si era formato un buco e ha insistito. Tatticamente ha compiuto una gara ineccepibile, rompendo gli schemi e non sbagliando nulla. Ma vorrei sottolineare che anche gli altri ragazzi hanno corso bene, lottando per la Top 10, mi spiace solo per l’infortunio di Serangeli costretto a chiudere anzitempo la stagione e per la brutta giornata di Agostinacchio.

Per il friulano il mondiale ha un sapore particolare, dopo la beffa del 4° posto europeo
Per il friulano il mondiale ha un sapore particolare, dopo la beffa del 4° posto europeo
Ora però Viezzi dovrà partire a Tabor con il ruolo di favorito. Tu che hai grande esperienza diretta al riguardo, come si gestisce tanta pressione?

Di questo non mi preoccupo, Stefano è un ragazzo di poche parole, che sa cosa vuole ed è molto attento a tutto, dai materiali alla tattica. Poi chiaramente ci confrontiamo e ci confronteremo fino agli ultimi minuti prima della partenza. La vittoria in Coppa dà forza, è sicuro, ma domenica, sulla linea di partenza, tutto verrà azzerato e questo vale per tutti, anche per lo stesso Van Der Poel nella gara elite. Chi corre lo sa bene…

Sparfel è lo spauracchio?

Magari fosse solo lui… Un po’ tutta la Francia è da tener d’occhio, ma anche il ceko Bazant: proprio per esperienza so che quando i corridori boemi gareggiano in casa danno il 200 per cento, hanno qualcosa in più, poi ci sono Solen e Mouris dell’Olanda, Van Den Boer del Belgio e non dimentichiamo gli Usa che avranno la compagine più numerosa con ben 7 corridori.

La Venturelli, divisa fra pista e ciclocross, vuole riscattare la beffa del 4° posto juniores del 2023
La Venturelli, divisa fra pista e ciclocross, vuole riscattare la beffa del 4° posto juniores del 2023
Viezzi. E poi?

Abbiamo una bella squadra, con 15 elementi tutti in grado di far bene, con la Venturelli con la quale abbiamo lavorato di comune accordo con Villa e la supervisione di Amadio per averla in forma qui. Casasola e Bertolini hanno recuperato dagli ultimi acciacchi, la squadra è forte e compatta e lo vedremo già venerdì con il team relay, dove puntiamo a una medaglia e sapete quanto tenga a quella gara, quella che davvero rappresenta la forza di un movimento.

Lo sprint di Hoogerheide con Franzoi, Bramati (e Bartoli)

10.02.2023
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Il mondiale in una curva. Il ciclismo è uno sport di situazione, lo abbiamo detto tante volte, e questo è il suo fascino. Basta un attimo, una scintilla che tutto può cambiare. Non contano sempre e solo le gambe. E’ passata neanche una settimana ma abbiamo ancora negli occhi lo spettacolo dei campionati del mondo di ciclocross di Hoogerheide, in particolare lo sprint, la sfida tra Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert.

Duello doveva essere e duello è stato. Due giganti che dopo mezzo giro di fatto avevano messo in chiaro chi comandava. Un duello fatto di watt, ma anche di tattica e questa è stata decisiva. E a ribadirlo sono stati due veri esperti: Enrico Franzoi e Luca Bramati.

Dicevamo dell’ultima curva. Ci si aspettava che i due campioni ci arrivassero a mille all’ora e invece non solo ci sono arrivati piano, ma hanno anche rallentato. E ad abbassare ulteriormente la velocità è stato forse il belga. L’epilogo: un lungo sprint da bassa velocità che ha visto vincere l’olandese.

Van Aert si aspettava un attacco sugli ostacoli da parte di Van der Poel che non c’è stato
Van Aert si aspettava un attacco sugli ostacoli da parte di Van der Poel che non c’è stato

Questione di sguardi

«Ho il numero di Van der Poel – racconta Bramati – e gli ho inviato un messaggio in cui gli dicevo che lo aveva  battuto come suo papà Adrie aveva battuto me e Pontoni a Parigi! Mi ha risposto con una faccina sorridente!

«Detto ciò, per me la gara l’ha persa Van Aert. Forse VdP aveva un pelo in più di gamba, ma quel finale lo ha sbagliato lui. Van der Poel ha messo la corsa esattamente come voleva. E’ partito in quel modo e dopo un giro ha mandato tutti a casa. Così si è concentrato solo su Van Aert.

«Wout si aspettava un suo attacco in salita, ma non lo ha fatto. Si aspettava un attacco dopo le tavole, ma non lo ha fatto… Non sapeva cosa fare. A quel punto ha commesso l’errore di non partire prima lui. La gamba per vincere ce l’avevano entrambi. Gli è mancato il coraggio di partire prima».

Poi Bramati fa un’analisi che è da antologia del ciclismo.  «Era una volata alla pari per me, ma se ci fate caso – e io ho riguardato la gara più e più volte – nel momento in cui sta per iniziare la volata Van Aert ha gli occhi fissi su VdP. Mathieu aspetta l’attimo in cui Van Aert guarda avanti per valutare la distanza con il traguardo e in quel preciso momento, appena perde il contatto visivo, parte. E’ partito secco e su quel decimo di secondo è riuscito a prendergli i due metri che poi Van Aert non è più riuscito a chiudergli. VdP correva in casa, conosceva a menadito quel percorso e aveva studiato tutto nei minimi particolari. Lo ha voluto sfidare in volata».

Van Aert ha preso la testa nel finale, ma poi forse all’ingresso del rettilineo ha rallentato troppo
Van Aert ha preso la testa nel finale, ma poi forse all’ingresso del rettilineo ha rallentato troppo

Sprint “lento”

«Ho visto un Van der Poel che andava davvero forte – analizza Franzoi – ha attaccato e stava bene. Hanno fatto una volata quasi da fermi e in questi sprint Mathieu è leggermente favorito. Con la sua potenza, non che Van Aert non ne abbia, ma gli ha preso quei 2-3 metri che si è portato sino all’arrivo. Se lo avesse portato all’ingresso del rettilineo con una velocità più alta, bastavano 3-4 chilometri orari in più, avrebbe vinto Van Aert, forse sarebbe riuscito a recuperare».

Anche per Franzoi, Van der Poel ha giocato ottimamente le sue carte sul piano tattico.  «Per me lo ha spiazzato il fatto che VdP non lo abbia attaccato sugli ostacoli, come se fosse andato un po’ in tilt. Anche perché VdP veniva da un paio di attacchi importanti e magari gli avrebbe fatto male.

«Comunque alla fine ha vinto il più forte. Non era uno sprint semplice. Sì, forse Van Aert ha tentennato un po’ al momento del lancio dello sprint, ma sono valutazioni che in quel frangente non sono facili da analizzare. C’è una tensione tremenda e non è facile essere sempre lucidi. Ripeto, forse Van Aert si aspettava un finale diverso dopo gli ostacoli».

Rapporti e… Bartoli

Infine altre due considerazioni. La prima riguarda i rapporti e in particolare il confronto tra doppia (Van der Poel) e monocorona (Van Aert). E’ ipotizzabile che in questo finale ci siano state diverse reazioni al momento dello sprint. Eppure né Bramati, né Franzoi riconducono a questa differenza tecnica l’esito dello sprint. Semmai è la scelta del rapporto dell’atleta al momento del lancio. E in questo Franzoi una minima differenza la trova ma, ripetiamo, è una scelta di rapporto da parte dell’atleta e non un limite tecnico.

«Ho visto che Van Aert aveva un monocorona – ha detto Franzoi – ma era bello grande. Credo fosse un 46 se non un 48, in più con Sram aveva a disposizione anche il 10, quindi lo sviluppo metrico c’era. Semmai l’unica postilla è che nel momento in cui parte è un pelo troppo agile e lì ha perso quei due metri fatali».

La seconda considerazione invece la facciamo noi. E ci rifacciamo alle parole di Michele Bartoli quando ci parlò del confronto tra i due fenomeni. Bartoli è stato un vero cecchino. Il toscano aveva detto: «In uno sprint a ranghi ridotti, che di solito parte da velocità più basse, Van der Poel è favorito». E ancora: «Van Aert tatticamente è più forte, più completo, ma se VdP capita nel giorno in cui azzecca la tattica può combinare ogni cosa. Sbaglia tattica nove volte su dieci, ma magari la decima, quella giusta, è al mondiale». Meglio di così…

Storia di Gerben Kuypers, corridore, studente, lavoratore

07.02.2023
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Questa è una storia che il travolgente mondiale messo in scena da Van der Poel e Van Aert rischiava di trascinare via assieme alla poesia che contiene. E’ la storia di Gerben Kuypers, corridore belga classe 2000 che in pochi giorni ha visto esauditi tutti i suoi sogni di corridore. Ha partecipato al mondiale accanto a Van Aert (come elite senza contratto) e ha firmato il contratto da professionista con la Intermarché-Circus-Wanty. Passaggi che fino a poco tempo prima gli sarebbero sembrati impensabili, mentre è assai probabile che al di fuori dei confini fiamminghi, nessuno sappia di chi stiamo parlando.

«Ma non vengo fuori completamente dal nulla – sorride – anche se per il mondo esterno può sembrare così. Nelle categorie giovanili ho sempre ottenuto risultati decenti. Nel 2022 sono arrivato 9° al mondiale di cross mentre da junior sono stato 7°. Un po’ di talento l’ho sempre avuto, solo che il mio potenziale sta venendo fuori tutto in una volta. E ottengo risultati che non mi sarei mai aspettato da me stesso».

A gennaio Kuypers ha conquistato la maglia di campione belga degli elite senza contratto
A gennaio Kuypers ha conquistato la maglia di campione belga degli elite senza contratto

Laurea triennale

Fino a poco tempo fa, Gerben Kuypers rientrava nella schiera di quelli con la testa dura, che corrono e intanto studiano e si trovano un lavoro, avendo forse intuito che con la bici non diventeranno mai ricchi.

«Nel mio team – racconta – il Proximus-Alphamotorhomes-Doltcini, corro letteralmente per maglia e pantaloncini. Mia madre e mio padre hanno dovuto comprarmi delle biciclette, ma due non bastano quando si corre nel fango. Nel frattempo ho lavorato nell’ufficio tecnico di Ter Beke a Veurne, un’azienda che produce salumi per Delhaize. Avevo iniziato alla fine di aprile. Prima lavoravo di giorno, dall’estate ho iniziato con i turni. La mattina dalle 5 alle 13 oppure il pomeriggio dalle 12,30 alle 20,30. In famiglia è sempre stato chiaro che ottenere una laurea sarebbe stato fondamentale e così ho preso la triennale in elettromeccanica. Questo forse ha rallentato la mia carriera agonistica, ma ne sono orgoglioso. Come del fatto che volessi un lavoro.

«L’anno scorso vivevo già con la mia ragazza Justine. Lei pagava tutti i conti, mentre io non potevo contribuire con niente. Ho vissuto dei suoi risparmi e non era più sostenibile. Lei invece si sentiva persino in colpa perché per lavorare non potevo più allenarmi a tempo pieno. Le sarò eternamente grato».

Kuypers vive con la compagna Justine che per quasi un anno lo ha mantenuto col suo lavoro (foto Instagram)
Kuypers vive con la compagna Justine che per quasi un anno lo ha mantenuto col suo lavoro (foto Instagram)

Miglioramenti all’improvviso

Poi di colpo una svolta. Il tempo di mettersi a fare le cose sul serio e le sue prestazioni sono migliorate. E a quel punto, accanto agli occhi delle squadre di cross, sono arrivati quelli delle WorldTour.

«Ho notato per la prima volta dei miglioramenti – dice – la scorsa estate su strada, al Giro di Liegi. Un compagno di squadra era in maglia di leader e a me spesso toccava tirare. Una volta sono riuscito a lavorare per 40 chilometri in pianura e poi in salita ho recuperato gli scalatori. In gruppo se ne sono accorti e si sono messi a chiedermi quanto fossi forte e se avessi mal di gambe, ma io stavo benissimo. E piano piano quello stesso livello è arrivato anche nel cross. Da qui l’interesse per farmi passare professionista. Anche se quando la sveglia suonava alle quattro del mattino, sembrava tutto molto lontano.

«Mi sono sempre allenato, ma non nel modo in cui si allenerebbe un professionista. La mattina andavo al lavoro in bicicletta, che era a 16 chilometri. E la sera facevo altre altre 2-3 ore con lo zaino del lavoro sulle spalle. Al punto che quando facevo uno sprint in salita, sentivo sempre il cucchiaio dello yogurt tintinnare nella scatola dei panini».

Ai mondiali di Hoogerheide, Kuypers ha conquistato il sesto posto (photonews)
Ai mondiali di Hoogerheide, Kuypers ha conquistato il sesto posto (photonews)

Mito Van Aert

Così a dicembre, Gerben Kuypers ha lasciato il lavoro, prendendo un’aspettativa non retribuita. L’azienda gli ha proposto di salvare il salario se avesse lavorato fra Natale e Capodanno, ma essendo nel pieno della stagione del cross, il belga ha dovuto dire di no. E così si è ritrovato in nazionale accanto a Van Aert.

«Questo per me è irreale. Quando ero in nazionale da junior e U23, la sera a cena guardavo con occhi spalancati la grande tavolata dei professionisti e Wout era già lì. Compio gli anni il primo febbraio e per il mio 18° compleanno la Federazione mi aveva regalato una torta ai mondiali. Quando facemmo la foto, la pubblicai su Instagram e la sera vidi che Van Aert era piaciuta. Pensai fosse incredibile che Wout van Aert fosse andato sulla mia pagina Instagram e avesse apprezzato quella foto. Ho ancora lo screenshot di quel cuore sul mio telefono.

«Invece più di recente, dopo la mia vittoria nel cross di Essen, sono andato in ritiro in Spagna e in cima a una salita ho incontrato proprio Wout. Me ne stavo in disparte, invece lui si è avvicinato per fare due chiacchiere e congratularsi per la vittoria Essen. Mi ha chiesto anche se avessi un contratto e questo mi dimostra che è un grande corridore e una brava persona. Ho subito dovuto pubblicarlo nel gruppo Whatsapp di famiglia: “Indovinate chi si è congratulato con me per l’allenamento oggi?”».

Questa la foto con la torta per i 18 anni, piaciuta a Van Aert su Instagram
Questa la foto con la torta per i 18 anni, piaciuta a Van Aert su Instagram

WorldTour dal 1° marzo

Gerben Kuypers sarà professionista con la Intermarché-Wanty a partire dal primo marzo, integrato nel gruppo del cross, ma con un bel calendario su strada. Perché la storia fosse perfetta, sarebbe dovuto finire alla Jumbo Visma, ma forse sarebbe stato poco credibile.

Ai mondiali di Hoogerheide è arrivato 6° a 54″ da Van der Poel e dal suo capitano. Non ha potuto aiutarlo granché. Non è stata mica colpa sua se quei due diavoli là davanti sono partiti come aerei da caccia e nessuno li ha più visti…

EDITORIALE / Il ciclismo non ha ricette complicate

06.02.2023
4 min
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Una volta sulla cima di Guzet Neige, nel lontano Tour del 1995 (foto di apertura), chiedemmo a Marco Pantani se non trovasse strano correre e vincere così all’antica, con quegli attacchi da lontano che sembravano giungere da un ciclismo precedente. E Marco, cui certo non mancava una visione di ciò che avrebbe potuto rendere spettacolare questo sport, rispose in modo chiaro.

«Non credo di correre all’antica – disse – forse sono semplicemente troppo moderno».

Negli anni in cui si limavano i secondi in salita e si distribuivano minuti a crono, il ciclismo era più un esercizio di equilibri. Pertanto l’avvento di quello scalatore così… sovversivo ebbe lo stesso effetto che si osserva oggi quando nel gruppo ci sono Van der Poel e Van Aert, Pogacar ed Evenepoel. Nessuno si sognerebbe di fargli la stessa domanda, tutt’altro. Si elogia il ciclismo moderno che in certi giorni manda in malora i calcoli e fa esplodere il gruppo. Pantani faceva lo stesso.

Van Aert e Van der Poel concordi sull’importanza della loro rivalità: per lo sport e per se stessi
Van Aert e Van der Poel concordi sull’importanza della loro rivalità: per lo sport e per se stessi

La meraviglia di Hoogerheide

Non tutti sono capaci e non sempre le imprese sono possibili se non si ha un rivale che le renda necessarie. Il campionato del mondo di ciclocross corso ieri a Hoogerheide ne è stato la prova lampante. E le parole finali del vincitore Van der Poel davanti allo sconfitto Van Aert hanno ottimamente sintetizzato il concetto.

«Sono felicissimo per questa vittoria – ha detto l’olandese – che considero una delle tre più importanti. Incredibile, perché ottenuta a due passi da casa e scaturita al termine di una lotta leale ed appassionante con Wout. Vi assicuro che la nostra è una sana rivalità che fa bene a questo movimento e che ci migliora in modo reciproco. Certo quando si perde brucia, ma se manca uno di noi alla partenza, la gara non ha lo stesso sapore».

Il fatto che Van Aert, seduto accanto, gli abbia dato prontamente ragione fa capire che gli stessi campioni siano consapevoli di quale sia l’ambiente ideale per rendere lo sport davvero appassionante e una vittoria memorabile.

Il Tour del 2020 fu super avvincente per il duello fra Pogacar e Roglic
Il Tour del 2020 fu super avvincente per il duello fra Pogacar e Roglic

Il gioco delle coppie

Gli ingredienti sono sempre gli stessi e una sana rivalità è forse il principale. I monologhi di uno o dell’altro alla lunga stancano, i duelli all’ultimo colpo di pedale infiammano il pubblico. Coppi e Bartali. Gimondi e Merckx. Moser e Saronni. Hinault e Lemond. Bugno e Chiappucci. Cunego e Simoni. Pantani e Indurain, Tonkov oppure Ullrich.

La più grande sfortuna per un campione è non avere qualcuno contro cui lottare per la gloria. E’ stato ben più spettacolare il primo Tour di Pogacar vinto in extremis su Roglic, rispetto al secondo, corso senza veri avversari. Per lo stesso motivo è stato elettrizzante il Tour di Vingegaard, capace di disarcionare lo stesso Pogacar.

La differenza fra questi campioni e tutti gli altri, oltre alla dotazione naturale da cui non si può prescindere, sta nell’aver capito che per vincere bisogna rischiare di perdere. Per questo sono felici quando vincono e non fanno drammi eccessivi quando non ci riescono: se te la giochi a viso aperto, perdere fa parte del gioco. Le formule perfette e tutti i calcoli di questo mondo vanno bene quando ci si allena, poi però bisogna essere capaci di accettare il dolore che viaggia con la fatica, spingendosi sempre più a fondo. E questo a ben vedere è mancato troppo a lungo nel ciclismo degli ultimi anni.

Quintana ha corso i campionati colombiani da isolato: può correre, ma nessuno lo prende
Quintana ha corso i campionati colombiani da isolato: può correre, ma nessuno lo prende

Una grande primavera

Pensare che rivedremo presto Van der Poel e Van Aert contrapposti alla Strade Bianche, poi alla Sanremo e sulle stradine del Nord è già un buon motivo per augurarsi che la primavera arrivi in fretta. Aspettare Pogacar ed Evenepoel al UAE Tour sarà il primo momento per vedere contrapposti due che non si accontentano mai semplicemente di esserci. Il danno degli squadroni che fanno incetta di campioni sta proprio nell’impoverimento del gruppo. Sarebbe stato interessante vedere Evenepoel alla Liegi contro Alaphilippe, invece il francese è stato dirottato sul Fiandre.

Per lo stesso motivo Pantani rifiutò a suo tempo di infilarsi nella Mapei, pagando alla lunga di tasca propria. A ben vedere il mondo non è poi così diverso. Ci sono i campioni. Ci sono le grandi squadre. E c’è chi governa il ciclismo, esercitando il potere come meglio ritiene, spesso senza metterci la faccia. E così, dopo aver azzerato la Gazprom senza offrire una via d’uscita, adesso ha deciso di fermare Quintana e Lopez, facendo però in modo che la scelta ricada sugli altri. I due possono correre, hanno licenza e passaporto biologico. Che colpa ne hanno quelli che governano (e dispensano consigli: richiesti e non) se nessuno vuole più tesserarli? Squalificateli, se ci sono gli elementi, oppure lasciateli in pace. Che colpa avevano se il Tour smise di invitare Pantani, aprendo la strada al nuovo dominatore? Visto come finì la storia, peccato che dalle lezioni del passato non si riesca quasi mai ad imparare.

Van der Poel incendia Hoogerheide. Van Aert si inchina

05.02.2023
5 min
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Con una progressione pazzesca nella volata finale sull’eterno rivale belga Wout Van Aert, l’olandese Mathieu Van der Poel ha vinto in casa il suo quinto titolo iridato, dopo i successi ottenuti nel 2016, 2019, 2020 e 2021.

Epica, pazzesca, appassionante, affascinante, avvolgente, prevedibile ma anche sorprendente… Ci vorrebbero decine di aggettivi per potere descrivere questa corsa, anche se poi alle fine basta solo questo: UNICA!!!

Mathieu e Wout hanno risposto alle numerose aspettative. L’incredibile pressione mediatica non ha destabilizzato questi due fenomeni del ciclismo, anzi se possibile sembra aver dato loro una marcia in più.

Un mare di persone in Olanda per sostenere la squadra di casa, ma non mancavano i tifosi belgi
Un mare di persone in Olanda per sostenere la squadra di casa, ma non mancavano i tifosi belgi

Oltre 40.000 tifosi

Finalmente baciata dal sole, col passare delle ore Hooghereide si è letteralmente trasformata in una vera è propria bolgia. Parliamo di oltre 40.000 spettatori! Una marea di appassionati di tutte le età, perché qui l’amore per il ciclocross è assai più grande di quello per il calcio. Le bici da fango sono nel DNA di questa bellissima gente. Bellissima perché nel ciclocross il tifo va oltre la propria bandiera, oltre il proprio pupillo. Qui si incoraggiano tutti, dal primo all’ultimo senza eccezione. E poi se in giro ci sono fuoriclasse del calibro di Van der Poel e Van Aert, allora si va oltre, si osannano come fossero degli Dei. Lo si capisce al volo che questi signori nell’ambiente sono delle leggende viventi.

Così, in conferenza stampa, alla nostra specifica domanda su che effetto faccia correre in un’atmosfera del genere, il nuovo campione del mondo ha risposto: «Vi confido che è stato molto speciale, questo calore mi ha sicuramente aiutato a mantenere la calma nei momenti chiave della corsa. Mi sentivo rilassato. In questa stagione sono stati battuti diversi record di affluenza e questo è bello, anzi bellissimo».

Van Aert è parso a suo agio, ma ha pagato il cambio di ritmo solo nel finale su un percorso non troppo duro
Van Aert è parso a suo agio, ma ha pagato il cambio di ritmo solo nel finale su un percorso non troppo duro

Insinuazioni sul percorso

Alla vigilia, i bookmaker parlavano chiaro. I super favoriti erano loro: Van Aert e Van der Poel, con il belga leggermente più avanti rispetto all’olandese, in termini di quotazioni. Non solo hanno rispettato le aspettative, ma hanno pure schivato le pressioni mediatiche concentrandosi sul loro copione. Quello di una sfida epica, archiviando pure la polemica nata perché Adrie Van der Poel, papà di Mathieu, avrebbe fatto modificare il percorso per favorire il figlio… A conferma che disgraziatamente le cattive lingue sono veramente ovunque.

Caramelle da condividere

Ma torniamo alla corsa, essendo già prenotati oro e argento, è stato il belga Eli Iserbyt, primo degli umani, a prendersi il bronzo. E dire che proprio ieri dichiarava: «Non mi faccio illusioni, non credo di poter vincere. Ma sarebbe bello anche il bronzo, perché un podio al mondiale è sempre qualcosa di speciale».

Oggi invece in conferenza stampa ha confidato: «Voglio farmi inquadrare la foto di questo podio e metterla nella mia stanza, la faccio firmare da Mathieu e Wout e mi posso pure ritirare», risata generale e applausi, bravo Eli.

Il bello di questi ragazzi è che, malgrado la posta in palio, sono stati disponibili e sorridenti durante tutto il weekend. Volete un aneddoto? Arrivando in sala stampa, hanno candidamente preso qualche caramellina al volo per poi condividerle. Gesto così semplice da essere magico, come abbiamo tutti fatto da piccoli a scuola.

Alle spalle dei due marziani, Van der Haar e Iserbyt si sono giocati il bronzo: l’ha spuntata il belga
Alle spalle dei due marziani, Van der Haar e Iserbyt si sono giocati il bronzo: l’ha spuntata il belga

Van Aert al limite

Pronti via, e sono bastati solo cinque minuti di gara per confermare che ci sarebbero state due corse parallele: quella per la maglia iridata con soli due pretendenti, e quella per il terzo gradino del podio. Fuggito con Wout, l’olandese del team Alpecin-Deceuninck ha aspettato la terza tornata per dare la prima significativa accelerata sulla rampa centrale, ripetendo l’azione nel 7° e 9° giro, ma con pochi risultati. Bisogna credere che fosse destino fare durare la suspence fino all’arrivo, fino a quella salita al 6 per cento. Una rampa micidiale per le gambe perché arrivava proprio dopo la lunga scalinata, già ripetuta per 9 volte.

Wout, sorpreso di rimanere davanti all’ultima curva, confiderà che per un attimo la cosa lo ha distratto. Vdp l’ha sorpassato come un razzo e non ha potuto reagire: «Ero al limite sin dalla partenza – ha detto il belga – ma se potessi cambiare qualcosa, lancerei la volata direttamente dopo l’ultima curva. Ma c’è poco da recriminare, oggi Mathieu era il più forte».

Un olandese e due belgi: Van Aert col muso lungo, Iserbyt invece più soddisfatto
Un olandese e due belgi: Van Aert col muso lungo, Iserbyt invece più soddisfatto

Un duello che fa bene

Van der Poel apprezza e aggiunge: «Chiaro che sono felicissimo per questa vittoria che considero come una delle tre più importanti. Incredibile, perché ottenuta a due passi da casa e scaturita al termine di una lotta leale ed appassionante con Wout. Vi assicuro che la nostra è una sana rivalità che fa bene a questo movimento e che ci migliora in modo reciproco. Certo quando si perde brucia, ma se manca uno di noi alla partenza, la gara non ha lo stesso sapore», ha concluso Vdp.

Il microfono passa nelle mani di un nostro collega per la domanda successiva, ma Van Aert alza la mano per aggiungere: «Concordo in pieno con quello appena detto da Mathieu».

Talento fuori dal comune, rispetto, lealtà, sportività e sano agonismo… Grazie ragazzi non potevamo chiedervi altro. 

Il cross azzurro insegue, ma Pontoni vede la luce

05.02.2023
4 min
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Appena conclusi i bellissimi mondiali di Hoogerheide che hanno visto Mathieu Van der Poel vincere davanti al pubblico di casa l’epico duello contro Wout Van Aert (diventando per l’occasione campione del mondo per la quinta volta in carriera), per l’Italia è arrivata l’ora dei primi bilanci stagionali. Così, dopo averlo sentito alla vigilia, abbiamo chiesto al nostro commissario tecnico, Daniele Pontoni di dirci la sua.

Venturelli battuta al colpo di reni da Gery nello sprint per il bronzo fra le donne junior
Venturelli battuta al colpo di reni da Gery nello sprint per il bronzo fra le donne junior

I mondiali

«Partiamo da venerdì e sabato – dice – che ci hanno regalato delle prove importanti. So che mi ripeto, i quarti posti bruciano subito ma pensandoci bene, siamo rimasti in corsa ed abbiamo lottato per le medaglie in tre specialità. Prima venerdì nel team relay – dove l’Italia ha chiuso al quinto posto a soli 19 secondi dal podio ndr – poi ieri con le ragazze junior (4ª Venturelli e 10ª Corvi) e nell’elite donne (4ª Persico e 12ª Casasola), ma purtroppo abbiamo bucato con i ragazzi U23. 

«Oggi invece voglio sottolineare la bella prestazione di Tommaso Cafueri negli juniores (12° all’arrivo, ndr), che per un attimo si è anche messo in testa nei primi due giri di corsa. Ammirevole la sua prestazione, la migliore di quest’anno. Per gli altri invece i risultati sono in linea con quelli di tutta la stagione. Ma bisogna anche dire che sia Scappini, sia Viezzi, sia Paccagnella, partendo dietro, sono stati subito fermati dalla maxi caduta dopo appena 200 metri, quindi benino anche loro. Per le donne U23 sapevamo che questa purtroppo è la nostra situazione attuale».

Infine, contro i mostri sacri degli elite uomini, per Filippo Fontana (28°) una top 15 sarebbe già stato un ottimo risultato.

La stagione 

Ne approfittiamo per chiedere al tecnico friulano di fare il bilancio di una stagione azzurra ormai conclusa: «La stagione – spiega Pontoni – si può ritenere positiva, perché ci siamo messi in luce in Coppa del mondo, agli europei e a questi mondiali».

In effetti considerando solo europei e mondiali, la sua nazionale ha raccolto, un argento, tre quarti e due quinti posti: «Sì, siamo lì a lottare e questo è importante. Certo sappiamo che in certe categorie siamo pronti, mentre in altre siamo molto indietro, comunque adesso è tempo già di programmare le prossime stagioni.

«Non dico domani, ma nei prossimi giorni ci metteremo in moto per quello. Qualche giorno di vacanza però adesso ce lo meritiamo. Sapete, a me piace passarle a casa in mezzo alla natura».

E c’è da scommettere che sicuramente ci sarà di mezzo pure una bici.

I ringraziamenti

Chi ha la fortuna di fermarsi a parlare con il commissario tecnico sa quanto sia importante e naturale per lui trovare il tempo per fermarsi e ringraziare.

«Se mi permettete un ringraziamento grande e grosso a tutto lo staff – dice Pontoni – quindi meccanici, cuoca, massaggiatori, autista e la nostra segreteria. Grazie anche al nostro presidente Cordiano Dagnoni e al team manager Roberto Amadio, perché loro assieme al Consiglio federale ci permettono di fare questa attività».

Pontoni ci tiene anche a ringraziare per la collaborazione nata col Team Performance: «Ci tengo a sottolinearlo – dice – sono sicuro che questa collaborazione nei prossimi anni ci regalerà soddisfazioni ancora più grandi. Riusciremo a programmare per tempo grazie pure al database dei ragazzi che abbiamo testato. Così avremo le nuove leve della categoria allievi, per il nostro futuro».

Pontoni sulla Persico: «Sul podio salirà quando serve»

04.01.2023
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Due quarti posti e un sesto tra Coppa del Mondo e Superprestige. La stagione di Silvia Persico procede spedita verso l’appuntamento pianificato sin da quando correva ancora su strada, ossia i mondiali di inizio febbraio. L’azzurra, che nel 2022 ha centrato il podio iridato in entrambe le specialità facendo un salto di qualità enorme, ha iniziato la stagione sui prati molto più tardi, ma sta procedendo su un cammino segnato in grande sicurezza, anzi lasciando intravedere molte prospettive interessanti.

La stagione della lombarda è iniziata il 26 dicembre. Finora già 5 vittorie in carniere
La stagione della lombarda è iniziata il 26 dicembre. Finora già 5 vittorie in carniere

Il cittì Pontoni non ha mai nascosto che punta molto sulla campionessa di Alzano Lombardo, proprio considerando le caratteristiche tecniche del percorso iridato di Hoogerheide e ha quindi guardato le sue prestazioni con grande attenzione. Non è arrivato il podio, ma in certi momenti non è neanche fondamentale che lo si ottenga.

«Se però guardate la gara di Val di Sole – dice – il podio era a portata di mano, le è sfuggito solo per piccoli errori di guida che su quel percorso e considerando le sue caratteristiche sono normali. Oltretutto ha corso l’ultimo giro senza freni, per la rottura della guaina, senza quell’inconveniente sono convinto che si giocava la piazza d’onore. Poi a Zolder si è ripetuta, è la dimostrazione che è già lì, a quel livello. Ora bisogna solo pensare a raggiungere la miglior forma possibile quando servirà».

Essere finita ai piedi del podio due volte non c’è rischio che possa però anche lasciarle un tarlo psicologico?

Conoscendola, assolutamente no. Silvia è una ragazza che sa prendere sempre l’aspetto positivo anche dalle situazioni peggiori, figuriamoci dopo prestazioni del genere. Questa è la sua forza, se il podio non è arrivato significa che se lo prenderà più avanti. In questo caso posso davvero parlare in sua vece, la conosco troppo bene.

Pontoni con l’azzurra dopo il bronzo mondiale: il cittì confida molto su di lei per Hoogerheide
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Che programmi ha?

Con il suo staff siamo in perfetta sintonia, con contatti molto frequenti. Andrà ora per un periodo di allenamento in Spagna con il suo team su strada e tornerà per i tricolori, poi affronteremo insieme le tappe di Coppa del mondo restanti fino al mondiale. Sta lavorando con grande serenità e la cosa mi rende molto fiducioso. Poi le gare si vincono e si perdono, l’importante è arrivarci sapendo di aver fatto tutto il necessario.

Dal punto di vista tecnico i percorsi affrontati e quelli che arriveranno, che informazioni ti danno in vista dei mondiali?

Ben poco. Val di Sole è qualcosa a sé stante e questo è notorio. Zolder è un percorso molto più impegnativo, Zoonhoven sarà molto diverso considerando la vasca di sabbia dove si passa. Di Benidorm non sappiamo ancora, ma penso che anche quello sarà molto diverso da Hoogerheide. Noi il tracciato mondiale lo conosciamo bene, lo scorso anno ho portato una nazionale folta ad affrontare la prova di Coppa del Mondo proprio pensando alla gara iridata d’inizio febbraio. Silvia su quel percorso ha gareggiato più volte, lo conosce bene, so che è davvero adatto alle sue caratteristiche, non tanto tecnico e filante con quei 37 gradini che alla lunga faranno la differenza.

Per la Persico una grande prestazione a Vermiglio: il podio è sfuggito per pochissimo…
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Persico ma non solo perché anche da altre ragazze sono arrivate prestazioni interessanti…

E’ giusto non focalizzarsi solo sulla Persico. Sara Casasola ad esempio è un’altra che ha fatto grandi gare, in Val di Sole è finita ottava ma anche lei con un po’ di fortuna poteva anche entrare nella Top 5. A Diegem nel Superprestige ha sfiorato la presenza nelle prime 10 ma ha confermato di essere a quei livelli. Poi bisogna considerare che le gare possono anche prendere una piega tattica e magari lei può anche finire più avanti, infatti a Jesolo ha battagliato con la Persico fino alla fine. Non dimentichiamo poi la Lechner che sta crescendo e per i mondiali sarà sicuramente pronta.

Allarghiamo un po’ lo sguardo: ti sorprende che le olandesi restano dominatrici ma con nomi diversi rispetto a quelli soliti di Brand e Vos?

Per nulla, l’Olanda ha il più grande bacino di praticanti della specialità e può attingere continuamente a nuovi talenti. E’ in atto un profondo rinnovamento, se pensiamo che con i nuovi innesti molti considerano la Alvarado “anziana” solo perché ha 24 anni, per il fatto che è da più tempo nel giro rispetto alle nuove Van Empel, Pieterse, Van Anrooij. E’ chiaro che col passare degli anni le grandi dovranno pian piano lasciare spazio e in questo festival arancione si inseriranno solo presenze estemporanee, magari proprio come la Persico. E attenzione perché dalle categorie inferiori arriveranno sempre nuovi talenti, come ad esempio la Molengraaf.

Alvarado e Vos agli ultimi europei. La vecchia guardia olandese punta forte sui mondiali di casa
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E per i mondiali, spazio alle nuove leve?

Non sarei così sicuro, per ora vecchie volpi come Brand e Vos vanno ancora tenute in considerazione. Quel che è certo è che la marea arancione dominerà ancora a lungo, noi dovremo essere bravi a cavalcarla…