Campioni e debuttanti, non è sempre facile. Nibali racconta

30.01.2024
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Qualche giorno fa Nibali è uscito in bici assieme a Ulissi sulle strade di Lugano. Sapendo che ci saremmo sentiti, lo Squalo ha approfondito il tema anche con l’amico. Lo spunto è quello dell’editoriale di ieri: i corridori giovani crescono prima se nella loro squadra ci sono campioni con cui confrontarsi? Il discorso si può prestare a una doppia interpretazione. Si può entrare nello spinoso terreno dei giovani che non ascoltano i consigli dei più esperti. Oppure si può restare nell’ambito descritto da Pellizzari ed Ellena, sugli stimoli derivanti dal semplice allenarsi assieme a loro.

«Quando passai alla Liquigas – racconta Nibali – il capitano era Di Luca e io anche in allenamento volevo staccarlo sempre e questo certamente mi ha fatto crescere. La mia svolta più grande c’è stata però dal 2008-2009 in poi. Danilo era andato via e noi del gruppo giovani abbiamo iniziato a fare i ritiri di squadra sul Teide. Il mio riferimento da quel momento in poi è diventato Pellizotti e solo dopo è arrivato Basso. Franco lo copiavo per come lavorava, come si preparava, per come strutturava l’allenamento. Guardavo quello che faceva lui, anche per lo stile di gara. Mi dava delle indicazioni perché io ero molto impulsivo e sbagliavo i tempi».

Sin dai primi mesi nella Liquigas, Nibali si è sempre voluto confrontare con capitan Di Luca
Sin dai primi mesi nella Liquigas, Nibali si è sempre voluto confrontare con capitan Di Luca
Che cosa vi siete detti con Ulissi a proposito di questo?

Che oggi lavorare con i giovani è molto più difficile, perché hanno le loro idee. A volte, anche quando gli spieghi delle cose, sembra che gli dici chissà cosa. Hanno già i numeri e vincono, quindi alla fine, tra virgolette, hanno ragione loro. Io ho vissuto un ciclismo diverso, in cui era bello che accanto al giovane ci fosse un uomo di esperienza. Oggi sembra sempre meno utile. Quello che una volta insegnavano gli anziani, oggi in base al budget delle squadre lo imparano dai preparatori e dai nutrizionisti.

Infatti il punto non è tanto quello che il campione può insegnare a parole, ma quello che si impara su se stessi allenandosi al suo fianco.

Ci può stare, comunque credo che andando alla VF Group-Bardiani, Pellizzari abbia scelto di crescere tranquillamente. Per cui in questo momento magari si può rimanere male perché quelli che hanno la stessa età e fino a ieri erano sullo stesso livello hanno già vinto, ma non è detto che questi exploit diventino la regola e che le differenze ci saranno per sempre. A fare le cose di fretta, si rischia che l’exploit duri 2-3-4 anni e poi però che la discesa sia rapida quanto la salita.

Prova a metterti nei panni di uno di questi ragazzi: non pensi che allenarsi con Pogacar gli dia maggior consapevolezza?

Sì, è così. Se nella tua squadra complessivamente hai atleti di un certo valore, chiaramente anche il tuo livello si porterà su un gradino leggermente più alto. Sai che stai competendo con della gente che è il gotha del ciclismo, perché nel UAE Team Emirates metti dentro Ayuso, Pogacar e tutti quelli che ci sono, uno si misura subito. Se però provi a parlargli, non funziona. Diego mi faceva l’esempio di corridori giovani che potrebbero anche avere vantaggio dal ricevere qualche consiglio e invece lo guardano come fosse di un altro pianeta. Eppure è serissimo, sa lavorare bene, tutti gli anni ha sempre vinto. E’ un professionista esemplare, quindi qualcosa da insegnare ce l’ha. In una squadra è sempre bene affiancare un uomo di esperienza ai più giovani. Ad esempio, nella Q36.5 di cui sono ambassador, Brambilla ricopre esattamente questo ruolo.

Ulissi è uno dei grandi corridori con cui i giovani del team si confrontano ogni giorno in allenamento (foto UAE Emirates)
Ulissi è uno dei grandi corridori con cui i giovani del team si confrontano ogni giorno in allenamento (foto UAE Emirates)
E’ sempre stato così?

Quando sono passato io, gli anziani non ti dicevano molto. Ricordo che alla Fassa Bortolo arrivai giovanissimo. Trovai dei corridori come Flecha oppure Kirchen e Codol che davano i consigli veri, quelli giusti. Se li ascoltavi, bene. Se non li ascoltavi, si voltavano dall’altra parte e continuavano la loro vita. Lo stesso negli anni successivi ho fatto io, provando a correggere chi eventualmente stava commettendo un errore.

Aru può aver guadagnato sicurezza in se stesso prendendo le misure su di te in allenamento?

Probabilmente sì, ma in quel periodo l’Astana era una squadra forte. C’era Fuglsang, poi è arrivato Scarponi. Andavamo a giocarci il Giro, il Tour e la Vuelta. Ci eravamo posizionati ai vertici delle classifiche, non solo con due atleti, ma con tutta la squadra (Nibali e Aru sono insieme nella foto di apertura al Giro del Trentino del 2013, ndr). Se un giovane si trova a vivere in certe squadre, per forza assorbe qualcosa in più. Sicuramente avere un veterano oppure un corridore con un bel palmares e che continua ad andar forte, può essere un bel riferimento. Se invece nella squadra il riferimento non c’è, chiaramente si fa più fatica perché a quel punto l’esperienza devi farla in gara. Ma Pellizzari potrebbe dire: l’ho staccato una volta, lo posso staccare ancora.

Al momento il confronto lo fanno su Strava, guardando i tempi di Evenepoel in allenamento…

Sì, ma certe osservazioni lasciano il tempo che trovano. Ero anche io a Calpe e si parlava di questo tempo stellare fatto da Remco sul Coll de Rates. Ho sentito Bramati, mi ha detto che sembravano non poggiasse le ruote per come andava. I suoi compagni dicono che bastava che la strada si alzasse leggermente e li lasciava lì. Quindi sta già andando forte, non ha ancora fatto grandi cose e ha battuto il KOM di Poels. Aver fatto dieci secondi di più a inizio stagione rispetto a uno che neanche è a tutta non è tanto indicativo.

Papà per la seconda volta a ottobre, ecco Nibali con Emma e la piccolissima Miriam (foto Instagram)
Papà per la seconda volta a ottobre, ecco Nibali con Emma e la piccolissima Miriam (foto Instagram)
E questo conferma che sarebbe stato meglio per lui, se fossero stati in squadra insieme, salire alla sua ruota e mettersi alla prova.

Sarebbe stato diverso, certo. Quando facevo dei test, non ero mai tra i migliori. Però poi in gara di fatto ero sempre davanti. Da dilettante, da junior, riuscivo a vincere 10-12 gare ed era normale, mentre ora si esaltano se ne vincono la metà. I confronti veri si fanno in gara, come Bettini che attaccava il numero e diventava un altro. I giovani forti ci sono sempre stati. Giorni fa mi sono scritto con Cunego su Instagram e anche lui parlava di questi ragazzi prodigiosi. E mi è toccato ricordargli che lui a 23 anni ha vinto il Giro e il Lombardia. Non è che andasse poi così piano. Rispetto ad allora, sono cambiati gli strumenti.

Certamente sono più accessibili.

Io sono passato professionista che quasi non sapevo usare il cardiofrequenzimetro. Adesso usano il powermeter da juniores, avendo pure i rapporti liberi. Hanno tutti i numeri disponibili, mentre una volta il direttore sportivo più bravo era quello che riusciva ad adattare le tabelle alla squadra. Ora è più scientifico, dalle ruote alle gomme, dalle bici al casco. Il casco col paraorecchie e anche il casco col paraocchi, visto che qualcuno ogni tanto sbatte (ridiamo di gusto, ndr). Vanno a cronometro e guardano la traccia sul computerino, tengono la testa giù e poi picchiano sulle transenne e si chiedono come mai.

Potere del computer…

Negli ultimi anni da professionista, c’erano quelli che facevano la discesa guardando il Garmin, perché avevano la traccia GPS. Io non l’ho mai fatto, io guardavo le curve e come dovevo prenderle per impostare la prima e, se c’era la seconda in sequenza, come impostare anche la seconda. La traccia la facevo io e non mi sembra che in discesa Nibali fosse scarso. Qualche errore di valutazione l’ho fatto, il più grave fu alle Olimpiadi di Rio, ma perché la strada era mezza asciutta e mezza bagnata. E questa comunque è un’altra storia. E le ruote, posso assicurarvelo, non c’entravano niente.

Reverberi e il Giro: «Una questione di vita o di morte»

29.01.2024
5 min
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Forse la partecipazione della VF Group-Bardiani al Giro d’Italia non è mai stata in discussione. Nonostante ciò, vedere il proprio nome fra quelli che il 4 maggio prenderanno il via da Torino ha portato in casa Reverberi la serenità per continuare sulla strada intrapresa a dicembre nel primo ritiro.

«Per una squadra italiana – spiega Roberto Reverberi – l’ufficialità del Giro è questione di vita o di morte. L’80 per cento della pubblicità di uno sponsor è legata a questo. E’ vero che non è un diritto, a meno che non arrivi fra le prime due professional. Ma noi l’anno scorso siamo arrivati sesti nella classifica europea, ci ha passato la Q36.5 per una multa presa da Henok e i punti che gli hanno tolto. Per cui certi commenti sul nostro organico e sul fatto che non meriteremmo il Giro li rimando al mittente. Siamo stati la prima squadra italiana, da qualche parte quei punti li avremo pur fatti…».

Roberto Reverberi, durante le prima corse 2024 a Mallorca, con la testa già sul Giro. In apertura, una foto VF Group Bardiani
Roberto Reverberi, durante le prima corse 2024 a Mallorca, con la testa già sul Giro. In apertura, una foto VF Group Bardiani
Avevate già pronto il piano B?

No, zero. Abbiamo programmato tutta la stagione in previsione del Giro. Facciamo sempre doppia e anche tripla attività, il piano B sarebbe stato fare richiesta per qualche gara a maggio. Ma onestamente non abbiamo mai pensato al rischio di non esserci. Insomma, avevamo già prenotato due ritiri in altura con le date per il Giro

Esiste anche una lunga lista di nomi?

Proprio per un fatto di programmazione, abbiamo un gruppo di 10 corridori ai quali però si potrebbe unire qualcun altro, se durante l’anno dovesse andare bene. A quel punto si potrebbe inserirlo nel secondo ritiro, come pure non è da escludere il coinvolgimento di qualche giovane all’ultimo momento, come già capitato in passato.

Pellizzari fa parte di quella lista. Quale potrebbe essere un suo obiettivo realistico al Giro?

Finirlo sarebbe già una cosa importante. Il massimo con un giovane così, visto che qualcosina l’ha già dimostrata, sarebbe provare a vincere una tappa. Non avrà l’assillo della classifica e allora potremmo puntare sulle 2-3 giornate importanti, con percorsi adatti e dove magari c’è meno controllo. Potenzialmente una potrebbe anche giocarsela: vincere è difficile, fare un bel piazzamento è alla sua portata. Lo ha dimostrato l’anno scorso al Tour of the Alps. Poi conoscendolo, quando si trova là davanti, gli viene anche più grinta. Credo sia presto pensare alla classifica, visto anche il livello dei partecipanti.

Chi altri, oltre a Pellizzari?

Uno potrebbe essere Martinelli che finora non è stato troppo costante per problemi di salute, tra cui il Covid. Finalmente ha risolto un problema al ginocchio e se trova la sua dimensione, può mettersi in luce. Di solito programmiamo tutto, ma se venti giorni prima uno di quelli prescelti non va e c’è un giovane che ha dimostrato qualcosa, lo mettiamo dentro. E a volte succede come con Ciccone, che prima del Giro 2016 aveva fatto vedere qualcosa e ha vinto la tappa di Sestola da neoprofessionista.

Martinelli sta risolvendo i suoi acciacchi e potrebbe essere uno dei giovani in rotta sul Giro
Martinelli sta risolvendo i suoi acciacchi e potrebbe essere uno dei giovani in rotta sul Giro
Come capisci se un giovane è pronto per debuttare al Giro?

Lo vedi dalle prime corse. Li vedi fare certi numeri che ad altri non riescono. Li riconosciamo noi dall’ammiraglia, ma se ne accorgono anche i corridori più grandi. Tonelli è uno dei più esperti, quello su cui si fa un po’ più affidamento. Penso a Modolo, brillante dall’inizio. Di Ciccone abbiamo detto. Colbrelli che per poco vinceva il Giro del Piemonte da stagista. Oppure Battaglin. Si vedono subito, non c’è bisogno di aspettare tanto.

Avere un corridore esperto e forte con cui misurarsi e confrontarsi fa crescere prima: perché non avete mai valutato di riprendere Pozzovivo?

Per una squadra come la nostra, al limite potrebbe essere utile. Potrebbe curare la classifica e permetterci di avere l’ammiraglia più avanti. Però con la politica dei giovani che ci siamo dati, non avrebbe senso prenderlo, anche se è un grande professionista e va ancora forte. Preferiamo dare spazio a un giovane, che magari trova il giorno giusto, si fa vedere e fa parlare di sé e della squadra.

Non è un fatto di stima.

Per lui ho tanto rispetto e ammirazione, è il corridore più serio che abbia mai visto. Domenico è stato anche sfortunato. Nell’ultimo anno con noi vinse cinque corse, compresa la tappa di Lago Laceno al Giro, l’ultima che ha portato a casa. Capisco che non sia facile smettere quando hai passato tutta la vita a fare questo lavoro, specialmente quando sai di essere ancora competitivo. Magari non è proprio un vincente, però capisco la voglia di chiudere la carriera in modo dignitoso e non perché qualcuno ti dice che devi smettere perché sei vecchio.

Tonelli è il corridore più esperto della squadra, il riferimento per i direttori
Tonelli è il corridore più esperto della squadra, il riferimento per i direttori
Facciamo un passo indietro, dove farete i due ritiri in altura?

Entrambi sull’Etna. Bisogna stare dietro a quello che fanno anche gli altri. Il gap rispetto agli squadroni è già abbastanza grande: se non fai le cose nel modo giusto, la differenza aumenta e fare risultato è impossibile.

Senza dimenticare che avendo messo in piedi una struttura di preparatori, anche loro spingeranno in questa direzione, no?

Hanno messo tutto nero su bianco. Il dottor Vicini, che rappresenta lo staff tecnico, ha preteso una serie di cose ben precise. E noi a quel punto gli abbiamo dato carta bianca. Almeno arriveremo al Giro senza rimpianti per quello che si sarebbe potuto eventualmente fare.

I corridori sembrano soddisfatti del lavoro fatto in ritiro a gennaio.

Abbiamo lavorato bene. Borja, il nostro allenatore spagnolo, è veramente bravo. Segue anche gli allenamenti delle squadre WorldTour, così abbiamo dei parametri di riferimento che vengono condivisi anche con i corridori. E proprio per questo i ragazzi hanno capito che devono lavorare il doppio rispetto a quanto facevano prima. Borja è un vero ricercatore. Dopo ogni corsa ha già in mano i dati dei protagonisti e li confronta con quelli dei nostri. L’altra mattina Zoccarato gli diceva di avere mal di gambe. E lui gli ha risposto che va bene, significa che ha lavorato come doveva. Se ti alleni forte, il mal di gambe fa parte del pacchetto…

EDITORIALE / Quei giovani cresciuti all’ombra dei campioni

29.01.2024
5 min
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Ricordate l’editoriale di un paio di settimane fa, in cui definimmo la nazionale della pista come la sola WorldTour italiana? Oggi proseguiamo nel discorso, ispirati da un’osservazione fatta pochi giorni fa da Giulio Pellizzari su alcuni giovani prodigiosi, poi sottolineata da Giovanni Ellena.

«Sicuramente è un fatto fisico e di crederci – ha detto Pellizzari parlando dell’inattesa vittoria del ventenne messicano Del Toro al Tour Down Under – ma secondo me la differenza la fa l’ambiente. A dicembre si è allenato con Pogacar, Ayuso, Hirschi e tutti più forti al mondo e quello secondo me fa tanto. Prendi consapevolezza dei tuoi mezzi, perché dalle voci che girano, in allenamento non era niente meno dei migliori».

«E’ una cosa giustissima – gli ha fatto eco Ellena – Pellizzari ha visto giusto. Il confronto con certi campioni, il fatto di pedalargli al fianco, ti fa scattare una molla: se lo fa lui, lo faccio anch’io. Se invece non sei con loro, chiaramente hai il dubbio e la paura. E’ una questione psicologica».

Moro (in primo piano) e Milan subito accanto sono entrati nel quartetto in modo fulmineo, grazie al lavoro di Montichiari
Moro (in primo piano) e Milan subito accanto sono entrati nel quartetto in modo fulmineo, grazie al lavoro di Montichiari

La sfida dei quartetti

Nella nazionale della pista, sarà pure per caso, ma dal momento in cui si è rimesso in moto il meccanismo dei quartetti, grazie agli allenamenti comuni a Montichiari sono saltati fuori anche giovani capaci di insidiare i titolari più forti. Prima Jonathan Milan e poi Manlio Moro hanno bussato fortissimo alla porta di Villa, al pari di quello che a breve potrebbe fare anche Federica Venturelli.

Non succede invece su strada, proprio perché manca la famosa squadra WorldTour in cui i giovani, pedalando accanto ai campioni, potrebbero imparare più rapidamente qualcosa sui loro limiti (in apertura Cunego e Simoni l Giro del 2005, ndr). Cercare di scoprirli in corsa rende tutto più complicato e lento: come andare all’esame universitario, avendo studiato sul libro del liceo. Allenarsi accanto a un campione di livello mondiale significa provare a prendergli le misure in ogni occasione. E se anche è vero che i giovani del ciclismo attuale sono poco propensi ad ascoltare consigli (questo dipende dal carisma di chi i consigli li vuole dare), la consapevolezza di tenere sempre più a lungo le ruote del numero uno al mondo ha dato certamente a Del Toro (e ad Ayuso prima di lui) la consapevolezza di valere più del minimo sindacale.

La Carrera di Boifava permise a Pantani di crescere e misurarsi accanto a Chiappucci
La Carrera di Boifava permise a Pantani di crescere e misurarsi accanto a Chiappucci

La catena dei leader

Tanto per dare un’idea, proviamo a ricordare il… passa parola che ha permesso ai vari leader del ciclismo italiano di formarsi accanto a campioni inizialmente più grandi di loro.

Gotti è passato professionista accanto a Bugno e ha vissuto sotto lo stesso tetto per quattro stagioni. Casagrande, che pure il Giro non l’ha mai vinto, ha approfittato di una stagione accanto a Franco Chioccioli. Pantani non lasciava passare un solo giorno senza prendere le misure a Chiappucci alla Carrera. Lo stesso romagnolo è diventato poi il riferimento di Garzelli alla Mercatone Uno. Non è stato forse Simoni il metro di paragone per il primo Cunego? Allo stesso modo Nibali, passando alla Liquigas accanto al miglior Di Luca, cercava quotidianamente il confronto. Così Bettini con Bartoli, Paolini con Bettini e anche Bennati, che si è formato guardando da vicino e tirando le volate di Cipollini. L’ultimo a beneficiare di un simile traino fu Aru con Nibali: non a caso i quattro anni trascorsi con il siciliano all’Astana sono stati i migliori della sua carriera.

Confidiamo che gli azzurrini passati nelle continental straniere abbiano la possibilità di allenarsi e crescere dal confronto con Vingegaard, Van Aert, Roglic, Gaudu, Quintana e tutti i campioni con cui potranno misurarsi.

Pozzovivo avrebbe avuto il profilo per ispirare e alzare il livello dei giovani in una professional?
Pozzovivo avrebbe avuto il profilo per ispirare e alzare il livello dei giovani in una professional?

Il coraggio di osare

Sappiamo bene che al cospetto di colossi come UAE Emirates, Visma-Lease a Bike e Bora-Hansgrohe, non ci sono professional che tengano. Alle nostre squadre manca però il coraggio di osare, investire su un corridore di nome, che diventi traino e ispirazione per i giovani del team. D’accordo, difficilmente un uomo di gran nome accetta di lasciare il WorldTour, eppure l’ha fatto Trentin e la Tudor ne trarrà certamente beneficio. Qualche anno fa la Eolo-Kometa aveva pensato a Viviani e poi a Nibali: sarebbe stato geniale. La Bardiani ha provato con Visconti, Modolo e Battaglin, ma non ha funzionato.

La politica di queste due squadre è quella di far crescere in casa i talenti migliori, che senza prospettive superiori diventeranno però appetibili per le squadre più grandi. La scelta di entrambe di non ingaggiare un corridore come Pozzovivo è comprensibile, ma fa riflettere. E’ stata valutato il vantaggio che la presenza di un così grande professionista avrebbe potuto avere sui giovani della squadra? Per Piganzoli o Pellizzari, due nomi a caso, provare a stargli a ruota in ogni santo giorno di allenamento sarebbe stato una scuola interessante. Avrebbe certamente meno senso prenderlo ora, con entrambi i ritiri alle spalle, perché quel che conta in certe operazioni è la quotidianità. Certi ragionamenti probabilmente andrebbero fatti a monte, quando si progetta un’impresa e si devono elencare i passaggi per realizzarla e gli indicatori di verifica per poterne infine valutare gli esiti.

Del Toro vince, Pellizzari “rosica” e si consola col Giro

25.01.2024
5 min
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La stagione di Giulio Pellizzari inizierà l’8 febbraio al Tour of Antalya, in Turchia. Il ritiro di gennaio si è concluso con un salto a Benidorm per vedere la Coppa del mondo di ciclocross e adesso il marchigiano è a casa per l’ultima rifinitura. Nel programma è previsto anche qualche giro con il suo mentore Massimiliano Gentili sulle strade intorno Colfiorito, fra le Marche e l’Umbria. Ma la vera notizia è il fatto che correrà il Giro d’Italia: l’elenco delle squadre diffuso martedì da RCS Sport ha dato alla notizia il senso dell’ufficialità.

Sono mesi strani. Appena alla fine di agosto, quindi cinque mesi fa, Pellizzari e Piganzoli lottavano alla pari con Del Toro al Tour de l’Avenir e ne composero il podio. L’altro giorno il messicano ha vinto la prima tappa al Tour Down Under. Lui subito a mille, altri a metà fra la voglia di bruciare le tappe e la consapevolezza che è meglio procedere per gradi.

Al Tour de l’Avenir la sfida finale fra Del Toro e Pellizzari: a Giulio la tappa, al messicano la classifica (foto Avenir)
Al Tour de l’Avenir la sfida finale fra Del Toro e Pellizzari: a Giulio la tappa, al messicano la classifica (foto Avenir)
Che effetto fa iniziare la stagione sapendo che potrai correre il Giro d’Italia?

E’ un bello stimolo, la voglia di farlo c’è sicuramente. Per ora sto andando bene, quindi la voglia sale. Per esserci dovrò andare forte, mettermi in mostra. Le gare che farò sono di buon livello, però ad esempio non farò la Tirreno-Adriatico. Mi ritrovai in ballo per il Giro anche l’anno scorso dopo il Tour of the Alps, dove ero andato forte, però giustamente abbiamo deciso che sarebbe stato meglio aspettare ancora un anno.

Non hai avuto voglia di buttarti nemmeno per un secondo?

Sinceramente la cosa mi prese alla sprovvista. Ovvio che se dici a un ventenne, che sogna di fare il ciclista e sta vivendo il suo sogno, che andrà a fare il Giro, partirebbe subito. Però a mente lucida dico che abbiamo fatto bene a non rischiare.

Che cosa ti ha dato questo anno fra i professionisti e cosa speri di trovare da qui a maggio?

Ho visto che rispetto all’anno scorso sono cresciuto molto. Sicuramente le tante gare a tappe che ho fatto l’anno scorso mi hanno dato una marcia in più, cui si somma il fatto che stia ancora maturando. Vedo che in allenamento sopporto molto meglio il carico e tengo senza problemi le 5-6 ore. Sono migliorato nella resistenza e da qui a maggio mi aspetto di continuare in questo modo. Sono appena stato in Spagna con la squadra e abbiamo lavorato forte. Ora sono a casa e rifiato un attimo, perché la stagione è lunga.

Giulio Pellizzari è nato a Camerino il 21 novembre 2023. E’ pro’ dal 2022
Giulio Pellizzari è nato a Camerino il 21 novembre 2023. E’ pro’ dal 2022
Da cosa si capisce che sei al livello giusto per fare il Giro?

I tempi sulle salite. Un giorno in ritiro è venuta fuori una gara tra noi, vera battaglia. Abbiamo fatto tre salite a tutta e la seconda era Tarbena. Per farla ho impiegato 10 secondi più di Remco. Mentre l’ultima salita era il Coll de Rates e, dopo quasi 5 ore, ho fatto 23 secondi peggio di Ayuso. Quindi ho valori buoni e questo sicuramente mi motiva. E’ ovvio che in gara cambia molto, però il fatto di esserci non è affatto male.

Vedere che il tuo amico Del Toro ha già vinto che effetto fa?

Un po’ rosico, è normale. Fino ad agosto ce la giocavamo, adesso mi sveglio la mattina, vedo su Instagram che ha vinto nel WorldTour e penso che vorrei essere al suo posto. Però alla fine so che me la sono giocata con lui fino ad agosto e anche questa è un’iniezione di fiducia.

Perché Del Toro di colpo ha questo livello, che cosa può essere successo?

Sicuramente è un fatto fisico e di crederci, ma secondo me la differenza la fa l’ambiente. Dopo l’Avenir ha staccato, non ha più corso e già da novembre faceva dei bei carichi. Poi a dicembre si è trovato ad allenarsi con Pogacar, con Ayuso, Hirschi e tutti più forti al mondo e quello secondo me fa tanto. Prendi consapevolezza dei tuoi mezzi, perché dalle voci che girano, in allenamento non era niente di meno dei migliori.

I tempi sulle salite della Costa Blanca dicono che Pellizzari sta crescendo (foto Sprint Cycling)
I tempi sulle salite della Costa Blanca dicono che Pellizzari sta crescendo (foto Sprint Cycling)
Ti sta bene la tua crescita graduale o preferiresti essere buttato in mischia come lui?

Sto bene così. Vedo che ogni anno miglioro e sento che sto crescendo bene. Ovvio che la foga è tanta, vorrei spaccare il mondo, però sento che qui sto facendo i passi giusti.

Cosa farai dopo Antalya?

Dopo Antalya vado sull’Etna fino al 23, poi faccio Laigueglia, Coppi e Bartali, Tour of the Alps e Giro.

Come hai reagito quando ti hanno detto che avresti fatto il Giro?

Bello, bellissimo, ma rimaniamo coi piedi per terra. Manca tanto e quindi guarderò gara per gara, ma è ovvio che l’emozione c’è. Un amico non vede l’ora di venire a vedermi. Però dico anche a lui di stare calmo.

Te la sentiresti di fare come Pantani che promise di staccare Indurain al primo Giro oppure è meglio stare coperti?

No, magari lo penso, ma non lo dico. Dico che mi stacca lui, però penso il contrario.

La crono non è nemica di Pellizzari: in quella del Tour de l’Avenir si è piazzato al quarto posto (foto Sprint Cycling)
La crono non è nemica di Pellizzari: in quella del Tour de l’Avenir si è piazzato al quarto posto (foto Sprint Cycling)
Hai guardato il percorso del Giro?

Qualcosa, ma poco. Conosco la crono Foligno-Perugia, che conosco bene perché su quelle strade mi allenavo da piccolo. Non so se ci sarà il tempo di vedere qualche tappa. Qualche giorno fa ero a Torino e ho pensato di andare a vedere Oropa, ma c’erano tre gradi e ho rinunciato.

Vai al Giro per fare cosa?

La maglia bianca, quindi la classifica, diciamo che è meglio lasciarle stare. Tre settimane sono tre settimane, non so sinceramente cosa aspettarmi. Io spero di andare forte dall’inizio alla fine, però vediamo come risponde il fisico. Sicuramente un obiettivo è mettersi in luce nelle tappe, quindi nelle fughe, nelle tappe in salita. Sono le due quelle che mi piacciono tanto. L’arrivo a Livigno e quella a Bassano del Grappa, perché papà è della zona, quindi conosco bene le strade. E anche il Monte Grappa l’ho già fatto un paio di volte…

Pellizzari riavvolge il nastro e sogna il Giro… dei grandi

17.12.2023
6 min
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BENIDORM (Spagna) – Volto, atteggiamento, entusiasmo e persino i brufoli sono quelli di un ragazzo come tanti. E forse Giulio Pellizzari lo è anche, solo che ha anche il pregio di andare forte in bici. Molto forte. Il gioiellino della Green Project-Bardiani, che dal primo gennaio diventerà VF Group-Bardiani-Faizanè, è con la sua squadra in Spagna. Anche loro sono nel pieno del ritiro. Vogliono fare le cose ancora meglio. 

Parliamo con il marchigiano mentre affida i suoi muscoli alle mani di Emanuele Cosentino. La stagione che si appresta ad arrivare si presenta davvero come un bel trampolino di lancio per Pellizzari. Dopo la bella annata, in tanti, a partire da lui stesso, si aspettano belle cose da Giulio.

Il “quadro”: Pellizzari diventa pro’ a 18 anni, dagli juniores viene inserito direttamente nel gruppo dei giovani guidato da Mirko Rossato nel 2022. Giulio viene gestito alla perfezione dalla famiglia Reverberi e da chi gli è intorno: 5.671 chilometri in 42 giorni di gara nella prima stagione, 7.936 chilometri in 58 giorni di corsa in quest’ultima. Un buon 35 per cento in più. Una crescita graduale, ma senza stare troppo alla finestra. I tempi non lo permettono più.

A parte un po’ di raffreddore che sappiamo hai avuto nei primi giorni di ritiro, come vanno le cose, Giulio?

Direi benone, siamo qua con la squadra. Ci alleniamo bene.

Sei giovanissimo, ma sei quasi un “vecchietto” ormai in questa squadra. Alla fine sei al terzo ritiro invernale…

Eh già! Però comunque sono sempre considerato uno dei giovani, quindi finché sono considerato così direi che va bene. Rispetto al primo ritiro mi sento più maturo. E dal punto di vista fisico sopporto molti più carichi di lavoro. Ma come ambiente è sempre lo stesso: tranquillo, familiare ma con uno staff preparatissimo.

Cosa hai messo dunque nella valigia per venire qui?

La consapevolezza, sai quello che ti aspetta. Mentre nel concreto la valigia è sempre la stessa. Avevo molta più voglia di venire rispetto ad altre volte. Diciamo che quando parto da casa mi dispiace sempre, però questa volta non vedevo l’ora di venire qui perché sto bene con i compagni, quindi non mi serve chissà cosa per ammazzare il tempo. Ci sono loro: ridiamo, scherziamo…

Cosa ti aspetti per la prossima stagione?

È ancora presto per dire quello che sarà. Volendo potrei ancora fare il Giro Next Gen, ma ci sono davvero molte corse sul piatto, tra cui il Giro d’Italia, quello vero. E il sogno sarebbe quello. Penso che non sarà facile. Bruno (Reverberi, ndr) mi ha detto che se me lo merito mi porta. 

Giulio Pellizzari (classe 2003) sta per iniziare la sua terza stagione da pro’. Eccolo in ritiro in Spagna (foto Gabriele Reverberi)
Giulio Pellizzari (classe 2003) sta per iniziare la sua terza stagione da pro’. Eccolo in ritiro in Spagna (foto Gabriele Reverberi)
Tutto sommato ci sta, dopo una stagione tanto corposa e un Avenir che ti ha visto secondo e protagonista perché non esserci? Ormai siamo nell’era in cui a 22 anni non compiuti, si è vinto il Tour de France… Perché Giulio Pellizzari non può provare a fare il Giro?

E’ tutto un altro mondo rispetto all’Avenir. Quello è un terzo del Giro d’Italia. Comunque sia non andrei a far classifica. Sarebbe più un test e questo mi consentirebbe di viverlo in modo più tranquillo. Quando devi fare classifica un grande Giro diventa molto duro di gambe, ma anche di testa perché devi sempre limare, stare attento a tutto per tre settimane.

Hai chiesto qualcosa in merito alla corsa rosa ai tuoi compagni più esperti, magari a Covili che ci prova a fare classifica?

Sì, sì. Per esempio ne ho parlato con Marcellusi. Gli ho detto: «Martin immagino quanto sia duro». E lui: «No, non te lo puoi immaginare se non lo hai fatto!». Una botta di fiducia! In generale siamo una squadra che punta più alle tappe che non alla classifica, quindi alla fine l’obiettivo è quello metterci in risalto per le fughe.

Una stagione che ti chiama ad un ulteriore salto e che vede il tuo sviluppo fisico, 20 anni compiuti da una manciata di giorni, cambierà qualcosa nella tua preparazione? Ne hai già parlato con chi ti segue (Leonardo Piepoli) di aumentare i carichi?

Leonardo l’ho visto qui in ritiro giusto qualche giorno fa, era di passaggio. Riguardo alla preparazione chiaramente ruota tutto intorno all’eventuale presenza al Giro. Se dovessi farlo la stagione sarebbe improntata su quello, quindi più altura rispetto rispetto agli altri anni, carichi di lavoro differenti. In più riguardo ai cambiamenti, da quest’anno sono seguito da una nutrizionista esterna, Erica Lombardi.

Tour of the Alps: il momento in cui Pellizzari “diventa grande”. Va in fuga e la gente lo acclama
Tour of the Alps: il momento in cui Pellizzari “diventa grande”. Va in fuga e la gente lo acclama
Però Pellizzari nella passata stagione non ha fatto bene solo nelle classifiche generali delle corse a tappe. Hai vinto il Giro del Medio Brenta, sei stato secondo al Recioto e hai ottenuto altre vittorie nelle tappe delle varie stage race. Alle corse di un giorno ci pensi? Magari anche quelle U23, oppure si è definitivamente voltato pagina con questa categoria? Insomma di quale gruppo fai parte: pro’ o under 23?

Quest’anno ero un po’ una via di mezzo, anche se comunque ho corso tanto con i professionisti. L’anno prossimo spero di fare ancora più corse con i professionisti. Diciamo che questo 2023 è stato più un esame. Certo, non sono passato con 30 e lode, direi con un 27 che mi prendo e mi porto a casa!

Cosa butteresti via dell’anno appena concluso? E cosa invece terresti stretto e emoziona ancora pensarci?

Butterei il Giro d’Italia under 23, sicuro. Neanche è andato male… non è andato proprio! Non sono partito perché stavo male. Ed è stato un peccato perché ci avevo lavorato tanto. Il miglior momento invece – Giulio fa una pausa –  boh, forse l’Avenir. La vittoria dell’ultima tappa? No, no, no… Il terzo posto nella quarta tappa del Tour of the Alps. Quello è stato il momento più emozionante.

Perché?

Perché è stato un primo grande palcoscenico. Sì, qualche corsa con i pro’ già l’avevo fatta, ma quella era la prima volta che mi giocavo una gara, una gara importante. Una gara che avevo sempre visto in televisione ed ora ero lì anche io. E poi non scorderò mai la gente che in salita diceva il mio nome. E’ stato ancora più emozionante.

In Turchia, Pellizzari si è trovato spesso davanti con i big delle WorldTour
In Turchia, Pellizzari si è trovato spesso davanti con i big delle WorldTour

Siparietto turco

Dietro di noi ci sono un paio di compagni di Pellizzari. Dopo quest’ultima domanda gli fanno notare che un’altra buona prestazione è stata quella al Giro di Turchia a fine stagione.

«Caspita, Giulio – dicono in coro – anche al Turchia, nella tappa in salita. Sei andato forte. C’era la UAE Emirates a tirare. Erano convinti di aver staccato tutti. Poi si sono girati e ti hanno visto lì. Gli è crollato il mondo addosso». Allora Pellizzari risponde: «Sì, lì è andata bene. Ma il livello del Tour of the Alps era ben diverso». Un siparietto, simpatico, che però denota anche la consapevolezza del corridore.

Il pubblico italiano aspetta senza pressioni. Con la speranza che questo atleta, questo ragazzo, non perda mai la sua semplicità naturale, marchigiana, genuina. E la sua forza chiaramente.

Green Project: arriva Turconi a completare il progetto giovani

11.11.2023
4 min
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L’inizio del terzo anno del progetto giovani della Green Project-Bardiani-CSF Faizanè (che diventerà Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè dal 2024), ha visto l’inserimento di un solo corridore di primo anno: Filippo Turconi (in apertura al Giro di Primavera, dove è arrivato secondo, photors.it). 

«Questo perché visti gli investimenti fatti negli ultimi due anni – incalza subito Roberto Reverberi – abbiamo una rosa che su 22 corridori vede 9 under 23. Nella stagione appena conclusa abbiamo messo insieme 220 giorni di gara, inizia ad essere un’attività importante. Abbiamo solo Turconi per scelta, anche perché arriva anche Rojas, cileno classe 2002, anche lui under 23».

Per Turconi una prima parte di stagione promettente con ottimi risultati (foto Instagram)
Per Turconi una prima parte di stagione promettente con ottimi risultati (foto Instagram)

In linea con il progetto

La scelta della famiglia Reverberi continua nella direzione intrapresa nel 2021. L’arrivo dei team development delle squadre WorldTour ha abbassato l’età in cui si fa la selezione, non si può aspettare che un corridore sia under 23, si deve agire prima. 

«Il progetto continua e lo seguirà sempre Rossato – spiega ancora Reverberi – la nostra rimane una scelta legata al modello internazionale. I team devo vengono a prendere i corridori quando sono juniores e lo fanno anche in Italia. La nostra squadra è sempre stata legata ai giovani corridori del nostro Paese, questo inserimento nel mercato ci ha costretto ad agire di conseguenza. Turconi rientra in questa idea, è un ottimo corridore e dai test fatti dal nostro staff è emerso che si tratta di un ragazzo con un grande motore. Chiaramente non basta solamente questo, ma serve anche la testa e qui entra parzialmente la seconda parte del nostro progetto».

Il progetto giovani della Green Project serve per far maturare i corridori con i giusti tempi (foto Instagram)
Il progetto giovani della Green Project serve per far maturare i corridori con i giusti tempi (foto Instagram)

Tempo e spazio

Quello che serve ai giovani corridori sono il tempo e lo spazio per dimostrare le proprie qualità. Non si discute del fatto che i team di sviluppo di squadre WorldTour non siano una bella occasione, ma non tutti i ragazzi sono pronti subito. 

«Noi come squadra – dice Reverberi – ai ragazzi di primo anno offriamo, in quasi tutte le situazioni, un contratto di quattro anni. Cosa che abbiamo fatto anche con Turconi. Questi ragazzi hanno bisogno di tempo per crescere e di avere una certa tranquillità. Nei team development di solito si firmano contratti di due anni e ci si trova ad avere la fretta di andare forte per dimostrare di valere. Avere a disposizione il doppio del tempo è una bella tranquillità, i giovani mordono per emergere ma i momenti difficili ci sono. Abbiamo comunque visto che i ragazzi con 4 anni di contratto non si sentono arrivati, ma lavorano sodo per crescere e fare bene».

«I corridori giovani dai noi hanno delle buone occasioni – continua – anche perché come calendario under 23 possiamo correre solo gare internazionali. Capite che questo per un corridore di primo anno è un bel banco di prova, si capisce se vale».

I ragazzi di Reverberi e Rossato si confrontano spesso con i team development delle WT (in foto il podio del Recioto)
I ragazzi di Reverberi e Rossato si confrontano spesso con i team development delle WT (in foto il podio del Recioto)

Cammino continuo

Non ci si ferma solamente al primo anno, il prosieguo della crescita arriva con le stagioni “intermedie” e davanti ci sono esempi importanti.

«Se un corridore ha già fatto un paio d’anni tra gli under 23 – spiega Reverberi – allora si può fare un passaggio in più e farlo correre tra i professionisti. Pellizzari e Pinarello sono due esempi, soprattutto il primo. Giulio (Pellizzari, ndr) è andato a correre il Tour of the Alps e in una tappa ha fatto terzo. E’ arrivato secondo al Tour de l’Avenir e ha vinto il Giro del Medio Brenta. Secondo me questi risultati sono una bella testimonianza che il progetto funziona. Pellizzari stesso se tutto andrà bene nel 2024 potrebbe fare il Giro d’Italia, occasioni così nei team development non ci sono. Anche se al terzo anno passi nel WorldTour è difficile partecipare ai grandi Giri».

«Prendere i giovani è sempre più difficile – conclude Reverberi – ma le soddisfazioni arrivano. Grazie al nostro progetto riusciamo comunque a prendere juniores di primo piano, tenerli in Italia e farli crescere secondo il nostro metodo».

Pinarello: uno sguardo al passato e uno al futuro

24.10.2023
4 min
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La chiamata con Alessandro Pinarello avviene qualche ora prima del suo volo verso Sharm El Sheik, meta delle vacanze di fine stagione. Con la Veneto Classic si è chiusa la prima metà del suo cammino in Green Project-Bardiani CSF-Faizanè. Insieme a Pinarello facciamo un recap di questi primi due anni sotto la guida di Mirko Rossato, diesse che gestisce il progetto giovani del team che fa capo a Bruno Reverberi. 

«Il primo anno, ovvero il 2022 – ci racconta Pinarello – è stato più tranquillo, ho corso sempre da under 23, tranne nel finale di stagione dove sono andato al Giro di Slovacchia e poi alla Tre Valli Varesine a correre con i pro’. Quest’anno, invece, ho fatto molti più giorni di corsa all’estero. Siamo partiti dalla Croazia, poi Flèche Ardennaise, Alpes Isere Tour e Tour Alsace. In più con la maglia della nazionale sono andato al Carpathian Couriers Race, al Tour de l’Avenir e alla Liegi U23».

Nei due anni in Green Project Pinarello è cresciuto con continuità
Nei due anni in Green Project Pinarello è cresciuto con continuità
Come giudichi la tua crescita in questi due anni?

Sono migliorato tanto a livello fisico, grazie ad un calendario importante fatto con il team e grazie anche alle esperienze con la nazionale. Mi sento cambiato e non poco, ora reggo meglio una corsa a tappe e dopo le gare di un giorno mi sento meno stanco. 

Sei stato il primo, assieme a Pellizzari, a sposare il progetto giovani della Green Project, scelta che rifaresti?

Assolutamente. Per tanti all’inizio era una cosa sbagliata, ma con la squadra mi sono sempre trovato bene. Il percorso di crescita è stato graduale, se guardiamo solo ai giorni di corsa nel 2022 ne ho messi insieme 45, mentre quest’anno 62. Non serve correre tutte le settimane per entrare in forma. Con la Green Project ho modo di gestirmi bene tra una corsa e l’altra, abbiamo un metodo più “adulto” di gestire la cosa. 

Negli allenamenti in queste due stagioni cosa hai migliorato?

Rispetto al 2022 sicuramente la quantità di ore, visto che in quell’anno avevo la scuola. Nel 2023 ho aumentato il tempo in sella e soprattutto non devo scegliere tra palestra e bici, ma posso fare entrambe. Nei lavori specifici sono aumentati i minuti delle ripetute e sicuramente i wattaggi. 

Qual era l’obiettivo del 2023?

Capire dove andassi forte, se nelle corse a tappe oppure nelle gare di un giorno. Ho visto che nelle prime reagisco bene anche dopo cinque o sei giorni, nelle seconde invece mi sento più reattivo, come detto prima. 

Un rimpianto per Pinarello è stato il Giro Next Gen, ma nel 2024 vuole riprovarci
Un rimpianto per Pinarello è stato il Giro Next Gen, ma nel 2024 vuole riprovarci
Che stagione è stata quella appena conclusa?

Non la stagione perfetta. Sotto alcuni aspetti non è andata come avrei voluto, sono contento di aver fatto esperienze come l’Avenir, anche se chiamato all’ultimo. Un rimpianto è il Giro Next Gen, dove sono caduto un paio di volte e non ho raccolto quanto avrei desiderato. Il finale di stagione mi ha lasciato più soddisfatto e ripartirò da qui. 

Pellizzari, che ha iniziato il progetto insieme a te, ha avuto un grande exploit quest’anno, ti spaventa?

Non mi spaventa il paragone e non ho paura ad ammettere che è andato davvero forte. Se avessi paura dei paragoni non dovrei nemmeno guardare all’estero, dove il livello si alza ancora di più. 

La condizione a fine stagione era in crescita, base su cui costruire il prossimo futuro (foto DirectVelo)
Alessandro Pinarello, Green-Project Bardiani CSF-Faizanè (foto DirectVelo)
Hai ancora due anni di contratto, cosa ti aspetti nella seconda metà del cammino?

L’anno prossimo mi piacerebbe correre ancora di più con i professionisti, con gli under 23 vorrei correre la Liegi e la Flèche Ardennaise. Un obiettivo sarebbe quello di tornare al Giro Next Gen, non mi va giù com’è andata quest’anno e voglio riscattarmi. 

Quando riparti?

Il 15 novembre riprendo da solo, mentre con la squadra avremo un primo ritiro di due settimane a Benidorm ai primi di dicembre.

La squadra parallela di Pellizzari e il “libro scritto” di Gentili

01.09.2023
6 min
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«Questa è la storia di un libro già scritto. Anzi, che stiamo scrivendo», esordisce così Massimiliano Gentili, ex professionista e direttore sportivo di Giulio Pellizzari quando era uno junior all’UC Foligno. Tra i due c’è stato e c’è tuttora un legame forte.

Oggi Pellizzari è una delle speranze più concrete che abbiamo per le corse a tappe. Il secondo posto al Tour de l’Avenir è stato la conferma di un processo di crescita che era sotto gli occhi di tutti, ma che per un motivo o per un altro non riusciva a fiorire del tutto. Adesso gli scenari cambiano.

Pellizzari, junior con la maglia dell’UC Foligno
Pellizzari, junior con la maglia dell’UC Foligno

In famiglia…

«Negli ultimi quattro anni – dice Gentili, nella foto di apertura vicino a Pellizzari – in pratica ho vissuto per lui o quasi. Sono arrivato a Giulio perché prima di lui avevo in squadra suo fratello Gabriele, col quale tra l’altro ci sentiamo ancora. L’altro giorno l’ho preso in giro perché era in Francia a tifare Giulio ed è rientrato a casa dopo il via della tappa che ha vinto. Che poi è la stessa cosa che fece il papà Achille al Tour of the Alps. Lui andò via e il giorno dopo Giulio fece quel tappone!».

La prima volta che Gentili incontrò Pellizzari, Giulio era un esordiente. Racconta di un ragazzino piccolo, anzi piccolissimo… magro che forse non non arrivava a 40 chili.

«Quel giorno andammo in bici insieme e su un circuitino dalle nostre parti, appena arrivò una salita, partì come un sassata… Gli dissi di stare calmo. Però mostrò subito un certo carattere».

Giulio Pellizzari (classe 2003) è cresciuto moltissimo in questa stagione
Giulio Pellizzari (classe 2003) è cresciuto moltissimo in questa stagione

Niente under 23

Gentili lo vede crescere. Capisce che può esserci parecchio di buono in quel ragazzo che oltre ad essere un buon atleta è una persona educata ed umile.

«Da allievo – racconta Gentili – Giulio vinse una sola corsa. Ma più che altro in quel periodo, capendo che poteva essere bravo veramente, iniziai a fargli dei test. Ma questi erano mirati non a spingerlo verso i suoi limiti, ma a tutelarlo. 

«Io ho la fortuna di essermi sempre tenuto in buona forma, anche dopo aver concluso la mia carriera. In bici ci vado e qualche ora a buon livello la faccio ancora. So capire, so valutare e il mal di gambe me lo ricordo ancora. Uscivo con i ragazzi e vedevo che c’era qualcosa di buono per davvero».

Giulio va sempre meglio. Quando passa junior però ecco il Covid. Come i suoi coetanei perde una stagione o quasi. Però andava forte. Gentili gli ripeteva che poteva anche perdere, che poteva anche trovare uno più forte di lui, ma con quelle gambe non poteva scendere al di sotto del terzo posto.

E così dopo quell’annata cambiarono registro. Pellizzari fece un bell’inverno, ma sempre considerando che di mezzo c’era la scuola, e migliorò ancora. Diciamo che smise di “giocare” in bici come aveva fatto fino a quel momento.

«Per lui – prosegue Gentili – ho fatto una cosa che mai avevo fatto prima: ho iniziato ad alzare il telefono e a farmi sentire, anche dai tecnici in nazionale…

«E a Giulio dicevo: “Se va come dico io, tu salti i dilettanti e diventi professionista”. Avevo questa idea sia perché iniziavo a vedere di questi progetti giovani che nascevano nei team dei pro’, sia perché la vera tutela per lui era quella». 

Max infatti fa un discorso tecnico sul non aver mandato Pellizzari fra gli under 23. Giulio infatti non è veloce e neanche è un drago in bici… anche se sta migliorando.

«Buttarlo tra i classici under 23 – spiega – significava bruciarlo, o quanto meno non valorizzarlo. Magari lo avremmo anche perso. Per lui doveva esserci un periodo di crescita. “Tu sei da corse a tappe e io devo traghettarti”, gli ripetevo. Ancora oggi, nonostante l’Avenir e tutto il resto, se lo portassi a correre alla gara di Castiglion Fibocchi di turno, Giulio avrebbe le sue difficoltà».

Al prologo del Giro, poco prima di doversi ritirare: la crono è un terreno da esplorare bene (foto Green Project-Bardiani)
Al prologo del Giro, poco prima di doversi ritirare: la crono è un terreno da esplorare bene (foto Green Project-Bardiani)

La squadra

Le cose vanno avanti, anche oltre il ciclismo degli allenamenti ed è così che di fatto nasce una squadra: Gentili, Giulio e il papà Achille. E poi anche il coach, Leonardo Piepoli.

Gentili sa che a certi livelli, vanno bene la squadra e il personale, ma serve soprattutto qualche punto fisso,:qualcuno che ti stia vicino anche e soprattutto nei momenti più difficili. Un po’ come fece Nibali nel tempo: con Pallini, Magni, Agnoli, Vanotti… Un piccolo team, all’interno del team. Pellizzari non è ancora arrivato a tanto, ma il concetto è quello.

«Tutelarlo è la mia parola d’ordine – spiega Gentili – non voglio che commetta gli errori che ho fatto io e che si ritrovi da solo di fronte alle difficoltà che verranno. Ricordo per esempio la storia del ritiro dal Giro Next Gen.

«Lo aveva preparato con meticolosità: si puntava forte sullo Stelvio e anche di più. A pochi giorni dal via gli viene la febbre. Tutti insieme (anche con la Green Project, ndr) decidiamo di non fargli fare nulla. Il giovedì una sgambata. Sembra che le cose vadano meglio fino alla presentazione delle squadre. Quella sera sto per chiamarlo. Il Giro iniziava con una crono e volevo sapere quando partiva. Prendo il telefono in mano e mi chiama lui in lacrime: “Mi è tornata la febbre e ho anche problemi intestinali”. Si prova a partire, ma ormai la frittata era fatta. Lo consolai un quarto d’ora al telefono. Ecco a cosa serve la squadra che dico io.

«Perché da quel supporto poi piano piano ci si rialza più forti. Oggi la testa, che prima era un suo punto debole, è diventata un punto di forza».

La vittoria al Medio Brenta, Pellizzari l’ha ottenuta di rabbia e non di gambe. E lo stesso le critiche dopo Capodarco, che per Giulio è quasi la corsa di casa, andavano vagliate. In tanti si aspettavano qualcosa da lui.

«Siamo a Capodarco – racconta Gentili – se mi giro c’è il mare e queste sulla collinetta sono olive. Ecco, Giulio non è tipo da mare né da ulivi, ma da vette e abeti. E forse neanche quelli per le quote dove va forte lui».

Giulio in fuga alle alte quote di cui parla Gentili con il re dell’Avenir: Del Toro (foto Tour Avenir)
Giulio in fuga alle alte quote di cui parla Gentili con il re dell’Avenir: Del Toro (foto Tour Avenir)

Come Kuss

Piepoli lo ha chiamato in causa Gentili. Non che Max non sapesse il fatto suo, ma per certi livelli serve una figura professionale e che stia nel mondo dei pro’. I due si conoscevano da anni. C’era fiducia. Il confronto tra papà, Max e Leonardo è costante.

Il passaggio alla Green Project-Bardiani in parte dell’entourage del ragazzo fece storcere il naso a più di qualcuno. Non per la squadra di destinazione, sia chiaro, ma perché specie nel Centro Italia si era usciti dagli schemi: juniores, under 23, pro’.

«Giulio ha dei valori fisiologici eccezionali – conferma – eppure da junior ha vinto solo tre gare. Ma non era quello l’importante. Gli dicevo che passando pro’ e lavorando in un certo modo, già al secondo anno sarebbe andato più forte… e così è stato. Che si sarebbe ritrovato dapprima fianco a fianco con i colleghi più forti in squadra negli allenamenti e poi avrebbe messo il naso davanti nelle corse. Una pagina già scritta del nostro libro. Lo dico sempre ad Achille, Giulio è il figlio maschio che non ho avuto!

«Gli è stato chiesto quale fosse il suo sogno e lui ha risposto vincere il Tour de France. Io non so se ci riuscirà, non si conoscono ancora i suoi limiti, ma se con i valori che ha, con il suo recupero, già diventasse un Sepp Kuss non sarebbe male. Ma questi poi sono sogni e per i sogni c’è un altro libro».

Il super Avenir dell’Italia visto con gli occhi di Amadori

31.08.2023
5 min
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La voce di Marino Amadori è carica di emozioni e felicità, il Tour de l’Avenir appena concluso ha dato tanti motivi per essere contenti. La vittoria dell’ultima tappa firmata da Giulio Pellizzari è stata solamente la ciliegina sulla torta di un trasferta in Francia di otto giorni. Tappe dure, dove gli azzurri sono stati sempre presenti e combattivi, tanto da vincere la classifica a squadre con un margine di 14 minuti sulla Colombia. 

Sul podio finale due italiani: Pellizzari secondo (a destra) e Piganzoli terzo (a sinistra, foto Tour de l’Avenir)
Sul podio finale due italiani: Pellizzari secondo (a destra) e Piganzoli terzo (a sinistra, foto Tour de l’Avenir)

Due su tre

Due gradini del podio occupati, il secondo e il terzo, rispettivamente da Pellizzari e Piganzoli. L’Italia partiva con grandi ambizioni e si è dovuta inchinare solamente davanti a Del Toro, ma quando chiediamo ad Amadori se si poteva fare qualcosa di più risponde senza troppi dubbi.

«Di meglio possiamo fare solo i complimenti a chi ha vinto – dice – Del Toro è stato impressionante. Gli ultimi quattro giorni aveva una condizione super, imbattibile. Noi ci abbiamo provato, ma il ragazzo ha risposto sempre bene agli attacchi. E giusto riconoscere il merito a chi è stato più forte, con la serenità di aver fatto il possibile e anche qualcosa oltre».

Alla prima tappa maglia gialla sfiorata per l’Italia, Villa si arreso solamente al compagno di team Foldager (foto Tour de l’Avenir)
Alla prima tappa maglia gialla sfiorata per l’Italia, Villa si arreso solamente al compagno di team Foldager (foto Tour de l’Avenir)

Preparati

Gli azzurri (in apertura alla presentazione delle squadre, foto Tour de l’Avenir) sono stati protagonisti in otto tappe su otto, dalla prima all’ultima. Una costanza che ha portato la firma di Busatto: il quale nelle prime cinque tappe non è mai uscito dai primi dieci.

«Busatto ha fatto vedere di cosa è capace – replica Amadori – purtroppo per un motivo o per l’altro non è riuscito a vincere, ma non è da tutti avere questa costanza. Non dobbiamo però dimenticare tutti gli altri, a partire da Villa che nella prima tappa ha sfiorato il successo, battuto solamente dal suo compagno di squadra Foldager. Peccato per Romele che ha avuto dei problemi fisici all’inizio ma poi è stato davvero importante. Anche Pinarello si è comportato molto bene, era il suo primo Tour de l’Avenir e una caduta gli ha complicato le prime tappe.

«Questo Tour de l’Avenir – continua – lo abbiamo preparato nella maniera migliore, e per questo dobbiamo ringraziare la Federazione. Siamo andati a visionare le tappe e curato tutto nei minimi dettagli. Ma il plauso più grande va fatto ai ragazzi, mentre un grazie importante è per le società. Senza il loro benestare non avremmo potuto lavorare così tanto e bene. I corridori, alla fine, sono di loro proprietà e privarsene per quasi due mesi non è facile. Noi come nazionale cerchiamo di dare quel qualcosa in più che serve ai ragazzi per crescere e l’Avenir è una di queste gare».

A ognuno la sua occasione

L’Italia ha conquistato la classifica a squadre, così come lo scorso anno. Non è un caso, Amadori ha portato sei corridori in grado di fare bene ovunque. Ragazzi forti e preparati, ai quali è stata concessa l’occasione di mettersi in mostra. 

«Vedo queste corse – ci racconta Amadori – come un modo per dimostrare che abbiamo tanti ragazzi forti e in gamba. Non si possono impostare questi appuntamenti come se fossimo una squadra WorldTour, non avrebbe senso. Sarebbe ingiusto chiedere ad un ragazzo di mettersi a completa disposizione di un compagno annullando le sue possibilità di fare bene. Chiaramente tutti sapevano che Pellizzari e Piganzoli sarebbero stati i due uomini di classifica, viste le loro caratteristiche, e per questo bisogna avere un occhio di riguardo. Ma poi ad ogni ragazzo veniva concessa l’occasione di fare il suo». 

Piganzoli è stato il regista in corsa, la sua esperienza è risultata fondamentale per il podio finale (foto Tour de l’Avenir)
Piganzoli è stato il regista in corsa, la sua esperienza è risultata fondamentale per il podio finale (foto Tour de l’Avenir)

Duo Pellizzari-Piganzoli

Quando la strada ha iniziato ad impennarsi sotto le ruote dei corridori sono emersi Pellizzari e Piganzoli. I due scalatori giovani che tanto stanno crescendo e che hanno già fatto molto bene. Non si arriva secondo e terzo al Tour de l’Avenir senza una preparazione adeguata, vero, ma poi servono delle qualità innate per rimanere davanti ogni giorno e giocarsi la vittoria

«Piganzoli – spiega Amadori – è stato il regista in squadra, visto che in queste gare si corre senza radiolina. I ragazzi devono inventare delle strategie ed agire al volo, lui era al suo secondo Avenir e ha fatto delle belle esperienze. Ora è il momento di puntare a qualcosa di più, è giusto così. Piganzoli partiva con i gradi, tanto da aver programmato questo Avenir fin nei minimi dettagli. Ha curato la preparazione al cento per 100 ed è arrivato al meglio delle sue possibilità.

«D’altro canto – dice ancora – Pellizzari ha fatto vedere grandi qualità per essere alla sua prima esperienza. L’idea era quella di tenere due pedine da giocarci per la classifica finale, entrambi ci hanno provato ed entrambi hanno attaccato. Giulio non è mai uscito dai primi cinque nelle ultime tappe, quelle di montagna. E’ chiaro che con un corridore del genere si voglia puntare a fare meglio il prossimo anno, e meglio del secondo posto c’è solo la vittoria (conclude con una risata, ndr)».