Nuova BMC Roadmachine: una piattaforma, tre bici diverse

09.04.2024
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GIRONA (Spagna) – BMC ufficializza la terza generazione della Roadmachine, ovvero il progetto che ha l’endurance come soggetto principale. La nuova piattaforma diventa ancora più funzionale, versatile e dedicata ad un’interpretazione ad ampio spettro della bici.

La famiglia comprende la versione classica stradale e la X: quest’ultima concepita per affrontare anche lo sterrato/gravel (comunque differente dalla bici gravel race Kaius). A queste si aggiunge AMP, ovvero la bici con assistenza alla pedalata con le unità elettriche TQ. Entriamo nel dettaglio con il contributo del capo ingegnere BMC Stefan Christ.

Stefan Christ, capo ingegnere BMC
Stefan Christ, capo ingegnere BMC

BMC formula endurance

«Formula endurance è il nostro punto di vista ingegneristico di questa categoria di biciclette – ci racconta Christ – anche se lo sviluppo di questa piattaforma ha origine nel 2013 con il modello Granfondo. Van Avermaet e altri atleti l’hanno utilizzata alla Roubaix. All’epoca il soggetto tecnico principale era il comfort, ma anche la volontà di far lavorare in combinazione il telaio con ogni singolo componente della bicicletta: un concetto innovativo per il periodo. Molto è cambiato, perché le bici sono diverse, le tecnologie si sono evolute, così come tutto quello che è legato alla componentistica e così le geometrie. La nuova Roadmachine – prosegue Christ – è assolutamente una bici endurance/performance, ovviamente diversa dalla Teammachine R e dalla SLR. Certamente è più comoda, ma anche molto più versatile e facile».

Aspetto inconfondibile

«Si chiama BMC visual identity ed è una sorta di DNA che permette di riconoscere una BMC sempre e comunque – dice Christ – anche quando le scritte sul telaio non si vedono. Impatto estetico a parte, il cuore della nuova Roadmachine è tutto diverso. La laminazione del carbonio è cambiata completamente, così come le geometrie e la possibilità di montare, in modo effettivo e non virtuale, pneumatici fino a 40 millimetri di sezione.

«Il rinnovato processo di laminazione – argomenta Christ – ci ha permesso di creare il vano nella tubazione obliqua e di ottenere al tempo stesso un elevatissimo rapporto tra rigidità e peso, decisamente superiore alla media della categoria endurance. Nella versione 01 e nella taglia 54 l’ago della bilancia si ferma a 7,2 chilogrammi.

«Taglia per taglia abbiamo aumentato lo stack – prosegue – la bici è più alta di un centimetro rispetto alla versione precedente ed è di qualche millimetro più corta grazie ad un reach più contenuto. La scatola del movimento centrale è stata alzata di 3 millimetri, un fattore di estrema importanza nell’ottica di un utilizzo gravel anche impegnativo della versione Roadmachine X».

Numeri in comune

«Tutte le taglie – continua Christ – hanno dei valori in comune e funzionali alla prestazione del mezzo meccanico. Il seat-post arriva ad avere una flessione anche di 2 centimetri, per un concetto che noi chiamiamo compliance da sempre e comprende gli obliqui, il piantone e l’orizzontale. Il componente è specifico, mutuato dai modelli Kaius e URS. I foderi bassi del carro posteriore sono lunghi 41,5 millimetri, relativamente corti per la categoria endurance, mentre il trail del triangolo principale è di 63 millimetri.

«Tutto questo – termina Christ – permette di avere una bici con un passo corto, quindi agile e facile da guidare, comunque comoda. La Roadmachine stradale e quella con il suffisso X hanno il medesimo frame-kit (predisposto al supporto dei parafanghi specifici), non cambia nulla se non l’allestimento».

Il nuovo integrato ICS Evo Carbon presente sulle 01
Il nuovo integrato ICS Evo Carbon presente sulle 01

Allestimenti e prezzi

Le taglie disponibili sono sei, dalla 47 alla 61. La terza generazione della BMC Roadmachine è prodotta nelle versioni Roadmachine 01 (carbonio con laminazione Premium) e Roadmachine (carbonio laminato in modo standard).

Per la prima gli allestimenti totali sono quattro: One a 13.999 euro, Two a 12.999 euro e si basa sulla trasmissione Shimano Dura Ace. Si passa alla Three e Four, rispettivamento a 8.499 con la trasmissione Sram Force AXS e 7.999 euro con Shimano Ultegra. Mentre la Roadmachine “standard” è disponibile in tre allestimenti, Two (con un listino di 5.499 euro sulla base dell’Ultegra), Four (4.199 euro sulla base dello Shimano 105 Di2) e Five (3.199 euro di listino con il 105 meccanico).

Tutti i modelli 01 Premium Carbon (stradali) sono dotati del nuovo cockpit integrato in carbonio ICS Evo Carbon, mentre le bici con il carbonio standard hanno lo stem e la curva in alluminio (separati tra loro). La luce posteriore è compresa nel pacchetto 01.

Gli allestimenti della AMP e X

In totale gli allestimenti AMP sono quattro, tre nelle versioni 01 e uno dedicato al segmento 01 X, ma tutti hanno in comune l’utilizzo dell’unità elettrica TQ da 360 Wh. Le AMP con allestimento “stradale” sono la 01 One con un prezzo di listino di 8.999 euro, sulla base della trasmissione Ultegra Di2. La 01 Two a 7.999 euro con la trasmissione Shimano GRX Di2 e la Roadmachine 01 AMP Three, sempre a 7.999 euro, ma con il pacchetto Shimano 105 Di2.

BMC Roadmachine 01 AMP X One è una sorta di endurance-gravel elettrica, proposta ad un listino di 8.999 euro con la configurazione Sram Force XPLR AXS, dedicata a chi ama affrontare anche tratti di sterrato.

Si passa alla Roadmachine X e anche qui le versioni sono due, 01 X e X, tutte con corona singola anteriore e tutte dotate di attacco manubrio ICS MTT, quello ammortizzato. In cima alla lista troviamo la 01X One a 7.999 euro che si basa sulla trasmissione Sram Force AXS XPLR. Gli allestimenti X Two (4.799) e X Three (4.299) si basano rispettivamente sui componenti Sram Rival AXS XPLR e Apex AXS XPLR.

BMC-Switzerland

Alla Vuelta sboccia Groves che un po’ ricorda Greipel

26.09.2023
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Con tre tappe vinte alla Vuelta e in precedenza quella di Salerno al Giro d’Italia, Kaden Groves è stato la rivelazione dei velocisti del 2023 o quantomeno una delle voci emergenti cui prestare più attenzione. Quello che sembra interessante (e che la corsa spagnola ha amplificato) è stata la sua tenuta sui percorsi più duri. Siamo certi, si sono chiesti alla Alpecin-Deceuninck, che questo australiano sia soltanto uno sprinter?

«Non ho ancora capito del tutto che tipo di corridore sono. I miei migliori risultati arrivano dagli sprint di gruppo dopo tappe difficili e collinari, quindi mi considero un velocista che può sopravvivere a un certo tipo di salite».

A Burriana, Groves vince la sua seconda tappe della Vuelta: batte Ganna
A Burriana, Groves vince la sua seconda tappe della Vuelta: batte Ganna

Velocista atipico

Queste parole profetiche, Groves le pronunciò nel 2019 alla fine del suo percorso fra gli under 23, dopo aver fatto tappa nella Seg Academy Racing e da lì aver spiccato il volo verso il WorldTour con la maglia della Mitchelton-Scott. «Non c’è dubbio – ricorda oggi – che il 2019 sia stato un punto di svolta, con due tappe al Triptyque des Ardennes e altre due al Circuit des Ardennes».

Vinse anche una tappa alla Ronde de l’Isard e si piazzò nei dieci alla Liegi U23. In Australia, dove è nato il 23 dicembre del 1998, era un corridore già molto apprezzato, ma dopo la prima stagione completa in Europa, è stato chiaro che la sua caratura fosse da scoprire.

«La sua seconda vittoria al Catalogna – ha raccontato di recente il suo diesse Gianni Meersman – comprendeva una salita di quasi otto chilometri, al sette per cento. Dei 150 corridori al via, ne erano rimasti in testa circa cinquanta. Non c’erano più velocisti in giro. Kaden era lì in mezzo a corridori che pesavano meno di 65 chili. E bastava guardare le sue gambe per capire che lui fosse ben più pesante (Groves è alto 1,76 e pesa 70 chili, ndr)».

La popolarità di Groves è uscita dai confini australiani: è il primo “canguro” a vincere la verde
La popolarità di Groves è uscita dai confini australiani: è il primo “canguro” a vincere la verde

Australiano con la valigia

Il ragazzo che iniziò ad andare in bici per guarire dai danni di un infortunio nel motocross, fece il salto di qualità decisivo quando prese coraggio e decise di spostarsi in Europa. 

«Venire a vivere in Spagna – ha raccontato dopo l’ultima tappa della Vuelta – è stato un grande passo, reso più semplice grazie al supporto e agli amici che mi sono fatto nel gruppo. A Girona ho trovato strade strette e un clima più rigido. Correre in Australia è meno aggressivo, ma quando sono in Spagna e non corro, riesco a divertirmi. Ed essendoci intorno anche altri corridori australiani, mi sembra di essere quasi a casa.

«Mi hanno detto che sono il primo australiano a vincere la maglia verde alla Vuelta e questo significa molto per me. Dimostra la coerenza che abbiamo dimostrato in questa corsa, impegnandoci in tanti sprint intermedi e anche sulle montagne. Anche io sono dovuto andare in fuga nella tappa di Bejes con l’arrivo in salita. Senza quei punti, la maglia sarebbe stata impossibile».

In fuga per 75 chilometri nella 16ª tappa verso Bejes per fare punti nei traguardi volanti e sulle salite
In fuga per 75 chilometri nella 16ª tappa verso Bejes per fare punti nei traguardi volanti e sulle salite

L’amico Dainese

Nell’intreccio delle sfide dell’ultima Vuelta, non è passata inosservata quella con Alberto Dainese: un altro che quando è in condizione e la fatica si accumula, riesce a fare la differenza nel gruppo dei velocisti. Così, dopo essergli finito alle spalle nelle prime due settimane, il veneto è riuscito a vincere dopo le montagne asturiane, mentre Groves proprio in quel giorni di Sicar è caduto dovendo rinunciare alla volata.

«Alberto è sempre stato incredibilmente veloce – ha raccontato Groves – e ci siamo allenati spesso insieme quando eravamo alla Seg, soprattutto nel ritiro che facemmo in Grecia nel 2017. Allenarmi con lui ha migliorato molto il mio sprint, siamo entrambi molto competitivi e ogni volta ci spingevamo al limite. Abbiamo una grande amicizia, in corsa sapevamo muoverci insieme».

Come Greipel

Quando la Vuelta è finita e, vinta la tappa di Madrid su Ganna, Groves ha raccontato che i suoi sogni da professionista sono la Sanremo e i Campi Elisi, i tecnici che erano già usciti dal Tour con le quattro vittorie e la maglia verde di Philipsen, si sono davvero fregati le mani. Al punto che Bart Leysen, che in carriera si è diviso fra le maglie della Lotto e quella della Mapei, si è lanciato in un interessante parallelo.

«Kaden mi ricorda André Greipel – ha detto – sia in termini di statura che di personalità. Si inserisce molto bene nel gruppo e ha la fiducia di tutti. Ha fatto davvero molta strada per la sua giovane età».

Catalunya subito stellare, ma che paura per Cataldo…

21.03.2023
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Nel giorno in cui sul traguardo di Sant Feliu de Guixols, Evenepoel e Roglic si misurano la febbre e lasciano un acconto di quel che sarà la sfida del Giro d’Italia, la prima tappa della Volta a Catalunya lascia sull’asfalto il dolore di Dario Cataldo. L’abruzzese si ritrova in ospedale con una diagnosi pesantissima solo da leggere.

Le inquadrature lo mostrano accovacciato sul marciapiede alla destra della strada, insieme ad altri corridori ugualmente a terra. L’intervento di due passanti è da pelle d’oca. Prima lo muovono, poi per fortuna capiscono di non dover intervenire e lo vegliano in attesa dei soccorsi.

Il comunicato diffuso nella serata di ieri dalla Trek-Segafredo è un rosario di fratture, al termine del quale si annuncia che Dario sarà trasferito e operato all’ospedale di Girona per la riduzione della frattura alla testa del femore. La caduta è avvenuta a 5,4 chilometri dall’arrivo, mentre il gruppo era lanciato verso il primo arrivo.

Cataldo è caduto ai 5,4 chilometri dall’arrivo, ora è ricoverato con una prognosi molto impegnativa
Cataldo è caduto ai 5,4 chilometri dall’arrivo, ora è ricoverato con una prognosi molto impegnativa

Partenza ritardata

Sul traguardo Roglic ha guastato la festa a Evenepoel, che ha cercato di rimediare a una volata iniziata dalle retrovie e persa al fino di lana. Lo sloveno, fresco vincitore della Tirreno-Adriatico, è partito in testa e ha subito la rimonta del belga. Sul traguardo spagnolo a vederlo c’erano anche i genitori.

«Penso di aver fatto lo sprint più veloce di tutti – ha detto Remco – ma sono venuto da troppo indietro. Ero a ruota di Van Wilder, ma all’improvviso sono passati da entrambi i lati e questo mi è costato la vittoria. A 300 metri ero quattro o cinque bici dietro Roglic. Se arrivi secondo per così poco, allora puoi parlare davvero di un’occasione persa. All’inizio della corsa non mi sentivo bene, forse a causa dell’allenamento in altura. Ma quando in salita il ritmo è aumentato, le gambe pesanti sono gradualmente scomparse».

Torna finalmente in gruppo anche Bernal, qui con Carapaz e il campione del mondo
Torna finalmente in gruppo anche Bernal, qui con Carapaz e il campione del mondo

Guadagno negli sprint

Il campione del mondo se ne è fatto una ragione. Così prima ha picchiato il pugno sul manubrio e poi si è complimentato con Roglic, che gli è superiore su certi tipi di arrivo, e poi ha fatto un bilancio obiettivo.

«Roglic ha vinto quasi ogni sprint alla Tirreno-Adriatico – ha spiegato – e io l’ho quasi battuto. Sono diventato molto più forte in questi arrivi, il mio sprint è migliorato enormemente. Non ho ancora la miglior potenza, ma l’aerodinamica e il peso inferiore mi fanno andare più veloce. Ora posso anche competere su traguardi da finisseur e questa è una buona notizia anche per gli arrivi in salita. Dopo uno sforzo prolungato, mi sento ancora meglio negli sprint».

Roglic arriva al Catalunya dopo la vittoria alla Tirreno-Adriatico e pare ancora molto in palla
Roglic arriva al Catalunya dopo la vittoria alla Tirreno-Adriatico e pare ancora molto in palla

La solidità di Roglic

E Roglic cosa ha detto? Lo sloveno, che alla Tirreno-Adriatico si era detto stupito per le sue ottime performance, deve aver capito che la condizione che lo sostiene è vera e degna dei giorni migliori.

«So di non essere un vero velocista – ha detto – ma sapevo di poter lottare per la vittoria di tappa. Avevo buone gambe, ma ovviamente c’è voluta un po’ di fortuna. Sono molto grato alla squadra. I miei compagni hanno fatto un ottimo lavoro. Senza di loro il risultato di oggi non sarebbe stato possibile, mi hanno messo in un’ottima posizione per gli ultimi chilometri».

Al Catalunya anche Moscon, già rientrato al Gran Camino dopo l’infortunio del Tour Down Under
Al Catalunya anche Moscon, già rientrato al Gran Camino dopo l’infortunio del Tour Down Under

Arrivo in salita

Oggi il Catalunya affronta una tappa difficile, 165 chilometri con arrivo in salita a Vallter: salita finale di 11,4 chilometri con una pendenza media del 7,6 per cento.

«Non ho mai fatto questa scalata, ma sono sicuro che riusciremo a gestirla. Questo è solo l’inizio. Ci sono ancora tappe difficili davanti. Ovviamente vorrei vincere la classifica generale, ma questo è solo il primo giorno. La gara non sarà finita fino a quando non avremo raggiunto Barcellona».

In ansia per Cataldo

Il bollettino medico relativo a Cataldo preoccupa, ma Dario non ha mai perso conoscenza. Il cammino per il ritorno sarà lungo.

«Una scansione TAC eseguita in ospedale – recita il comunicato della Trek-Segafredo – ha rivelato la frattura della testa del femore sinistro e dell’acetabolo destro (l’articolazione “sferica” dell’anca), due fratture del processo trasversale della colonna lombare senza impatto neurologico, costole rotte multiple con un pneumotorace bilaterale e la clavicola sinistra fratturata. Dario è cosciente ed emodinamicamente stabile e sarà trasferito in un altro ospedale in Catalogna. Dopo una seconda valutazione presso il nuovo ospedale di Girona, subirà un intervento chirurgico per riparare la frattura del femore».

Si potrebbe parlare ancora del duello fra Roglic ed Evenepoel e siamo certi che sin da oggi ce ne saranno altri spunti. Ma qui vogliamo prima di tutto mandare a Dario gli auguri dell’Italia del ciclismo, della nostra redazione e, ne siamo certi, di tutti i nostri lettori. Forza amico, torna presto!

E se il nuovo Dumoulin ripartisse dal Giro?

26.12.2021
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E se fosse Dumoulin il faro straniero per il prossimo Giro d’Italia? La presentazione della Jumbo-Visma del 23 dicembre è stata cancellata a causa dell’impennata dei contagi e rinviata all’11 gennaio ad Alicante, quando saranno presentati colori e programmi. Eppure questa suggestione e l’idea stanno prendendo forma. Allo stesso modo in cui è chiaro che l’olandese potrebbe non andare con Roglic al Tour. Fra i due è nata un’insolita amicizia, basata sulle reciproche, incolmabili differenze.

«Una cosa è certa – ha detto Dumoulin – in alcune corse continuerò a lottare per la classifica generale, ma probabilmente non al Tour. Nella nostra squadra abbiamo problemi di abbondanza nell’effettuare le varie scelte».

Annullata la presentazione in Olanda, la squadra si svelerà l’11 gennaio ad Alicante (foto Jumbo Visma)
La squadra si svelerà l’11 gennaio ad Alicante (foto Jumbo Visma)

Programmi e strategie

Se ne parlava nelle scorse settimane di come il team olandese avrebbe suddiviso i suoi uomini. Se mandando Roglic, Dumoulin, Kruijswijk e Vingegaard tutti al Tour, oppure scegliendo per il più giovane danese il palcoscenico italiano. Ma la Grande Boucle partirà dalla Danimarca e Vingegaard già da tempo ha raccontato che una tappa passerà davanti casa sua. E allora la suggestione di Dumoulin che torna sulle strade che lo incoronarono nel 2017 prende forme e piace. Perché Tom in Italia ha tanti estimatori, che lo hanno visto invincibile nel 2017, poi fragile nel 2020.

«Ho trascorso gran parte della stagione 2020 mentalmente e fisicamente stanco – ha raccontato Dumoulin a L’Equipe – non riuscivo più a riprendermi e quando sono arrivato all’inizio del 2021, ero come in trappola. Non avevo altra scelta che smettere. Per diverse stagioni, avevo preso l’abitudine di adattarmi alle richieste degli altri, non riuscivo a superarlo e ho dovuto prendere la decisione di smettere. Solo così avrei trovato il giusto punto di vista e il modo per cambiare la mia vita e tornare a guidarla in prima persona».

Per Vingegaard il 2022 potrebbe parlare ancora del Tour, vista la partenza dalla Danimarca (foto Jumbo Visma)
Il ritiro di Girona ha restituito un Dumoulin di nuovo brillante e motivato. che potrebbe far rotta sul Giro. Decisive le chiacchierate con Roglic
Per Vingegaard il 2022 potrebbe parlare ancora del Tour (foto Jumbo Visma)

Un addio inatteso

La svolta c’è stata nel raduno di gennaio di quest’anno, come ci raccontò anche Affini, appena arrivato nella squadra olandese. Lo videro arrivare e poi, di ritorno da un allenamento, gli fu detto che avesse lasciato il ritiro e la squadra.

«Ricordo quell’incontro, davanti a cinque persone – ha raccontato Tom – in cui mi suggerirono di prendermi un periodo di riposo. E’ stato un momento difficile per me, doloroso. Non è facile ammettere di doversi fermare, mi sentivo in colpa. Ma dopo qualche giorno ho scoperto che avevo bisogno di questo periodo. Essere un ciclista professionista può rendermi ancora felice?».

Questa la domanda che in quei mesi lontano dalla bici, in cui si rincorrevano voci sugli studi in Medicina e vari avvistamenti di ciclisti nella zona di Maastricht che gli somigliassero.

«Ho cominciato a vivere senza costrizione – ha ricordato – per la prima volta nella mia carriera, non avevo obblighi, niente più stress. Facevo passeggiate con il mio cane, con gli amici e poco a poco mi sono reso conto che negli ultimi tempi avevo smesso di guidare in prima persona la mia carriera, le mie scelte. Finché un giorno ho visto passare sulla strada l’Amstel Gold Race e ho avuto la rivelazione. Volevo ancora andare in bicicletta. Non usarla per fare passeggiate, ma per dare il meglio di me».

Sul podio della crono di Tokyo, Dumoulin battuto solo da Roglic
Sul podio della crono di Tokyo, Dumoulin battuto solo da Roglic

L’amicizia con Roglic

In questo quadro si inserisce appunto l’insolita amicizia con Roglic, di cui sembrava fosse diventato ormai gregario, come seguendo quel corso di eventi da cui ora Dumoulin vuole prendere le distanze. Al punto che fra i prossimi passi – non subito, ma nel 2023 – si sussurra possa esserci il passaggio al Team Bike Exchange.

«Dice che ha l’impressione che io sia fuori dal mondo – ha confidato lo sloveno – ma anche io non sono stato risparmiato dalla sfortuna. Anche io mi faccio molte domande. Anche io ho dei dubbi e a volte sono stato sul punto di arrendermi. Non è questo non è il problema principale».

E’ probabilmente un fatto di sensibilità. Tanto era sensibile Dumoulin alle aspettative dei tifosi e dell’ambiente, quanto lo sloveno è capace di non lasciarsene condizionare, con quella specie di armatura che gli permette in apparenza di non risentirne.

Sapremo l’11 gennaio, quando saranno presentati i programmi della Jumbo Visma, se davvero Dumoulin sarà al Giro 2022
Sapremo l’11 gennaio se Dumoulin sarà al Giro 2022

Una nuova storia

E proprio parlare con Roglic ha permesso a Dumoulin di individuare una nuova chiave per interpretare questa seconda parte di carriera, rinata sulla strada della crono olimpica di Tokyo.

«Se avessi potuto scegliere da chi essere battuto – ha raccontato – avrei scelto Primoz. Lui è una specie di esempio per me. Non sembra preoccupato per i problemi della vita. Adoro confrontarmi con lui. Quando gli parli dei tuoi problemi, ti ascolta davvero. Non l’ho mai visto giudicare nessuno. Rivela i suoi sentimenti, parla della sua esperienza e quello che mi ha detto mi aiuterà a vivere il resto della mia carriera. Voglio vederla come un’avventura, una storia che scrivo, per me e solo per me. Qualcosa che hai la fortuna di vivere una sola volta nella vita e di cui devi accettare il meglio e il peggio».

GALLERY/Israel al lavoro in attesa di Froome e del Giro

25.01.2021
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Cozzi è rientrato ieri dal ritiro della Israel Start-Up Nation a Girona, il resto del gruppo partirà oggi. Nella voce del tecnico milanese si capisce che le cose sono andate davvero bene, in attesa che Froome torni in Europa. Devono ancora stabilire se Chris rientrerà su Milano e di lì si imbarcherà con il resto della squadre per lo Uae Tour o se volerà direttamente dalla California ad Abu Dhabi.

In attesa di conoscere il percorso del Giro d’Italia, il kenyano sta lavorando molto sodo nel centro di High-Performance Red Bull, consapevole di dover recuperare massa e tono muscolare. Il suo percorso viene monitorato costantemente dallo staff dei preparatori del team. Nel frattempo a Girona si è lavorato e si è lavorato bene.

Il britannico ha svolto un enorme lavoro di recupero muscolare
Il britannico ha svolto un enorme lavoro di recupero muscolare

«Mi è piaciuto – dice Cozzi – sono contento del lavoro che abbiamo fatto e il livello della squadra è cresciuto davvero di tanto. Ho visto i ragazzi già in forma e soprattutto motivati. De Marchi e Woods sono due grandi professionisti, Vanmarcke è incredibile. Questi sono uomini che trascinano il gruppo solo con lo sguardo».

Quanto è attendibile la possibilità che Froome partecipi al Giro?

Dipenderà tutto dal livello che Chris avrà nelle prime corse e poi, ovviamente anche dal percorso, di cui però qualcosa si è già capito. Diciamo che potrebbe servirgli correrlo. Ci saranno tappe impegnative, con 6-7 arrivi i salita di cui Sestola sarà il meno impegnativo. Avremo un Nord molto duro, ma a me piace che ci sia il Sud. In Puglia becchi il vento ed è come una tappa di salita. Se vai in Calabria puoi fare tappe con 4.000 metri di dislivello. Se ricordate bene, in Abruzzo, sir Wiggins che doveva papparsi il Giro, ci lasciò le penne. Nelle Marche ci sono quei muri. I velocisti possono contare su un’area pianeggiante di 400 chilometri nella Pianura Padana, per il resto sono condannati alle salite.

Si percepisce la presenza di Froome, anche se è così lontano?

Si capisce dalla voglia che tutti hanno di migliorare. Lo vedo su me stesso, lo vedo nel personale che cura i dettagli come non aveva mai fatto prima. Abbiamo avuto i capi in ritiro quasi per tutto il tempo, Sylvan Adams è stato fino a ieri. Quando è così la voglia di fare bene diventa contagiosa.

A proposito di velocisti, come sta Greipel?

Ho lavorato tanto con il suo gruppo, in cui ci sono anche Dowsett e Cimolai, perché verrà al Giro. Sono rimasto impressionato dalla sua potenza e da come la bici lo assecondi. Quando parte per lo sprint, la Factor non flette neanche un po’. Hanno trovato il giusto compromesso fra rigidità e aerodinamica. E poi avete visto quanto è cattiva? La scritta è prismatica e cambia colore. E poi avremo un solo modello, per fortuna…

Meno scocciature per i meccanici?

Esatto, c’è sempre nell’anno il momento in cui i corridori si mettono a fare storie. Invece questa abbiamo e su questa lavoriamo, facendo le dovute sistemazioni, guardando il millimetro. Mentre a marzo arriverà la nuova da crono.

Diversa dalla precedente?

La stanno sviluppando con Froome e Dowsett, che venendo dalla scuola britannica e avendo la testa su record dell’Ora, sta attento davvero ai minimi dettagli. Pensate che si è fatto realizzare un body per correre su strada con cui guadagna un bel mucchietto di watt. Costa 1.200 euro, ma è davvero performante.

Al Giro dunque ci saranno anche Dowsett e Cimolai?

Che però in quei giorni attende la nascita della bimba. Lui è stato super onesto e disponibile. Nei giorni della nascita, la corsa dovrebbe essere in Friuli. Ha detto: partiamo, poi si vedrà.

Chris Froome è rimasto ad allenarsi in California presso il centro high-Performance di Red Bull
Froome è rimasto ad allenarsi in California
E De Marchi?

Sono entrambi friulani, ma Cimo è sponda veneta ed è malleabile. Mentre Dema è sponda delle montagne ed è una bella testa dura. Lui dovrebbe fare il Giro e poi, in base alle Olimpiadi, forse anche il Tour. Però un passo alla volta. Intanto pensiamo allo Uae Tour e all’Etoile de Besseges. Poi la Tirreno, dove verremo con Woods e Martin. Dal Laigueglia stiamo aspettando una risposta, perché ci sono 29 squadre. E’ incredibile quanta voglia ci sia di correre. Per me si potrebbe partire in 6 per squadra, ma gli organizzatori non possono pretendere che portiamo Froome a tutte le corse. Lui ha il suo programma, sarebbe un errore stravolgerlo.

Lachlan Morton, vittoria Badlands, 8 settembre 2020 @peterofthespoon

Il ciclismo di Lachlan alla ricerca di se stesso

20.11.2020
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Un’intervista a Lachlan Morton, che fra tanti direte voi… Sentite come è nata. Avete presente Paolo Mei, speaker del Giro d’Italia e grande appassionato di gravel bike? Bene. Si fa per parlare e gli scappa detto: «Io appassionato? Certo, ma dovreste parlare con Lachlan Morton della EF Pro Cycling, che ha fatto il Giro ed è il simbolo del gravel mondiale».

Così in un pomeriggio meno intasato di altri, componiamo il numero, gentilmente fornito dal Hannah Troop, addetta stampa della Ef Pro Cycling. Nel momento in cui i professionisti hanno riscoperto la mountain bike e bici.PRO si è messa al loro servizio con una serie di consigli e pareri, perché non esplorare il mondo gravel? 

Lachlan ha 28 anni, è australiano e vive in Colorado, ma per fortuna oggi si trova a Girona, per cui non c’è da combattere con il fuso orario.

Lachlan Morton, Giro d'Italia 2020, cronometro Palermo
Lachlan Morton al Giro d’Italia 2020, 71° nella cronometro di Palermo
Lachlan Morton, Giro d'Italia 2020, cronometro Palermo
Morton, Giro d’Italia, crono di Palermo

Sì, viaggiare

La gravel bike, per chi non lo sapesse è una sorta di minotauro, nato dall’incrocio fra una bici da strada e una mountain bike. Qualcuno vuole rintracciare elementi costruttivi delle bici da ciclocross, ma la vera contaminazione riguarda strada e mountain. Lachlan Morton se ne serve per viaggiare, con le sue borse da bikepacking attaccate e il naso che fiuta la strada, ma anche per competizioni estreme. Come quella che ha vinto in Spagna prima del Giro d’Italia. L’anno scorso invece ha viaggiato con suo fratello Gus dall’Albania a Istanbul su strade che non conosceva e realizzando durante il viaggio una sorta di documentario.

«Molte persone – racconta – sono entrate in contatto con me grazie a questo tipo di impresa. La maggior parte delle volte in cui corro, non mi sento come se fossi davvero importante per qualcuno, come se mancasse qualcosa. Forse l’idea del viaggio. Invece trovo eccitante attraversare luoghi in cui non avevo mai pensato di andare e che non rientrano fra le rotte tipiche del ciclismo».

Lachlan Morton, Alex Howes, foto Fsa, Dirty Kanza
Con il compagno Alex Howes, nel grande evento gravel Dirty Kanza (foto Fsa)
Lachlan Morton, Alex Howes, foto Fsa, Dirty Kanza
Con Alex Howes nel Dirty Kanza (foto Fsa)

Ritorno alle origini

Non c’è solo lui. Anche Daniel Oss finita la stagione prendeva e partiva con la bici e le borse. Wellens e De Gendt tornarono in Belgio pedalando dopo il Lombardia. Ma su strada, restando il più delle volte nei limiti dell’asfalto.

«E’ una cosa difficile da spiegare – dice Morton – ma essenzialmente stai ampliando i tuoi orizzonti attraverso uno strumento familiare, ma in una maniera completamente diversa. Attraverso le montagne dell’Albania, abbiamo trovato un tratto senza una strada. Avevamo solo Google Maps e il nostro istinto. Dopo un viaggio come quello torno a casa con nuove idee sulla bici e su me stesso. Ma al contempo non vedo l’ora di ricominciare a correre. Il ciclismo agonistico è molto faticoso e nessuno potrebbe reggere simili sforzi senza avere dentro la spinta per farli. Credo che pedalare in cerca di se stessi riaccenda quella passione che gli schemi a volte spengono».

Lachlan Morton, attrezzatura gravel bickepacking
Tutto il necessario per la partecipazione a un evento bikepacking
Lachlan Morton, attrezzatura gravel bickepacking
Il necessario per un bikepacking

Senza schemi

Ma in che modo la gravel può essere utile al professionista, nel mese di stacco dalla strada? E siamo certi che la posizione in sella, simile ma non identica, non crei qualche problemino?

«Ho provato ad avere lo stesso settaggio – spiega Morton – ma sono così diverse. Qui a Girona ho la bici da strada, la mountain bike, la gravel e per andare in giro uso una fixed. Nell’arco della settimana le uso tutte. Mi sveglio e parto. Il giorno che non riesco a immaginare di uscire per sei ore con la mia bici da strada, prendo la mountain bike e magari le sei ore le faccio in giro per sentieri. Oppure faccio la stesa cosa sulle strade bianche e la gravel. Mi piace cambiare posizione, non è mai stato un problema». 

Lachlan Morton, foto Cannondale
Lachlan Morton in piena azione: è alla Ef Pro Cycling dal 2019 (foto Cannondale)
Lachlan Morton, foto Cannondale
Alla Ef Pro Cycling dal 2019 (foto Cannondale)

Sfinito prima

Ciclista atipico o atipico che vuole fare il ciclista? Il quesito è legittimo e si fa fatica a immaginarlo “ingabbiato” negli schemi del Giro d’Italia, in cui il suo miglior risultato è stato il 71° posto nella crono di Palermo.

«Il Giro è stato una bella corsa – dice – con strade e paesaggi indimenticabile. Peccato che non avessi la preparazione specifica. Il mese prima avevo vinto una gara in gravel, la Badlands di Granada. Percorso impegnativo, con deserto, sabbia a 40 gradi, valichi a 3.000 metri dove faceva freddo. E’ stato molto difficile, non la miglior preparazione per il Giro. Ho impiegato un giorno 19 ore e 30 minuti. E quando mi sono alzato dal letto il giorno dopo, riuscivo appena a muovermi e ho pensato: “No, il Giro è fuori discussione”. Ora invece il mio sogno è il Tour de France, il motivo per cui mi sono innamorato del ciclismo. Vorrei fare il Tour e la Cape Epic in mountain bike (la gara a tappe che si disputa a coppie che anche Nibali vorrebbe prima o poi provare, ndr). E’ pazzesco rendersi conto di quanti grandi eventi ci sono là fuori».

Saluta dicendo che resterà in Spagna fino a prima di Natale e poi volerà in Colorado. Il Covid lo sta frenando, ma presto conta di ripartire. Paolo Mei, dicci la verità: immaginavi che il ragazzo fosse così?