Il Giro di Ornella, volume a tutta, faccende e famiglia

Giada Gambino
28.05.2021
4 min
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A Ragusa splende il sole e fa tanto caldo. Ornella prende un gelato con i suoi bimbi Oscar e Greta che sono avvolti da un clima di felicità e gioia in parte inaspettata, ma quando si tratta di papà Damiano Caruso tutto è possibile…

I giorni prima di una partenza per un grande Giro…  

Sono particolari! Cerchiamo di fare il più possibile insieme ai bambini; pesa più a loro che a me.  Io ormai – riflette Ornella – sono abituata a questo ritmo frenetico: c’è, non c’è, sta una settimana poi va via dieci giorni, sta due giorni e va via due mesi. Nei giorni pre partenza stiamo tutti insieme, con i genitori, gli amici: non ci facciamo mancare nulla, questo gli serve anche per avere un po’ di carica quando sta lontano da casa. 

Caruso è professionista dal 2009, è nato nel 1987
Caruso è professionista dal 2009, è nato nel 1987
Il suo essere (teoricamente) un gregario.  

Non è un compito da niente, è molto importante: è l’ultimo uomo del capitano. Ha dimostrato di saper superare qualsiasi situazione, finché ha le forze c’è sempre. Per fare un lavoro del genere oltre le gambe ci vuole tanta testa.  A lui va bene questo compito, lo gratifica, certo però… quando arriva una vittoria è ancora più bello. 

Quando, improvvisamente, è diventato capitano della Bahrain Victorious in questo Giro d’Italia…

Abbiamo condiviso lo stesso pensiero: era già in classifica, doveva pensare a quella, nel caso in cui fosse andata male… avrebbe puntato ad una tappa. Solo lui sa fin dove può arrivare e cosa può fare; da casa possiamo solo tifare, ma purtroppo non siamo lì a fargli da gregari, anche perché non saremmo abbastanza forti, non abbiamo le sue gambe (sorride, ndr).

Quando vi sentite?

La mattina prima della tappa e dopo, ma non subito dopo, so che ha tante cose da fare e non voglio disturbarlo. Quando va a letto, dedica cinque minuti a me e ai bimbi. 

Cercate di motivarlo?

No, parliamo di tutt’altro; principalmente di cosa hanno fatto i bambini durante la giornata. Nonostante stiamo insieme da tantissimi anni… non è che ne capisca tanto di ciclismo (ride, ndr), il fatto che vada forte in salita lo sanno tutti, lo sa lui e non ha bisogno di sentirsi dire questo da me

Suo figlio Oscar ora ha 6 anni (foto Instagram)
Suo figlio Oscar ora ha 6 anni (foto Instagram)
Quando è tornato a casa con quel baffo… 

L’ho guardato e gli ho detto: «Tu sei pazzo!». Spesso fa delle scommesse con i suoi amici, i quali credono che determinate cose non le faccia, ma siccome è un po’ matto accetta tutte le sfide. Poi, però, l’ho guardato nuovamente e ho esclamato: «Dai… un po’ mi piaci!». E siamo scoppiati a ridere. Il tutto è partito come uno scherzo, ci abbiamo scherzato su, anche noi ragazze ci siamo disegnate il baffo finto e gli abbiamo inviato le foto… se gli ha portato fortuna? Questo lo lascio decidere agli altri. 

Oscar… 

Lo segue un po’ in televisione, ha sei anni, non capisce bene tutto quello che sta succedendo nel particolare. Sa che suo papà è in televisione, che è bravo, sa che è il suo lavoro e che lo porta lontano da lui. Però, naturalmente, si distrae facilmente, la corsa non lo riesce ad intrattenere molto. Gli piace di più quando il suo papà è a casa, va ad allenarsi e quando torna giocano insieme

Come descrivi tuo marito? 

Damiano è una persona molo molto umile, dà tanto, fa tanto per gli amici, ma è testardissimo. Quando si mette in testa una cosa la deve raggiungere per forza, non dice mai: «No, non posso farcela». Lui dice sempre a noi che non c’è niente di impossibile, ma che possiamo riuscire in tutto.  

Con sua moglie Ornella: restare a Ragusa è una scelta nel pieno interesse della famiglia
Con sua moglie Ornella: restare a Ragusa è nel pieno interesse della famiglia
Come stai vivendo queste tappe del Giro? 

Guardo tutte le tappe dal Villaggio di partenza sino all’arrivo. Ovviamente non sto sei ore davanti alla televisione, la metto a tutto volume, faccio qualcosina a casa e mi distraggo anche un po’

Quando Bernal ha iniziato a soffrire e Damiano era lì, solo, che provava a staccarlo… 

Ero felice per lui e per come sta affrontando la situazione. Il momento di crisi ci sta per tutti, sono già alla terza settimana, sono stanchi. In quel momento ero emozionata, un cedimento ci può stare: fa parte del gioco. Testa, cuore e gambe… in alcuni momenti servono tantissimo. 

Hai mai pensato di fare ciclismo? 

Sinceramente… no! Come dice Damiano, sono l’antisportiva per eccellenza. In realtà, anni fa mi ero fatta comprare una bicicletta, ci sono uscita tre volte e poi ho scoperto di essere incinta di Oscar e l’ho posata. Questa è stata la mia carriera ciclistica (ride, ndr)! Preferisco farmi una passeggiata al mare. 

Cosa diresti a Damiano in questo momento?

Ho sempre creduto in lui, sono fiera di lui e di ciò che ha raggiunto oggi. Per me è già una vittoria, comunque andrà sono già soddisfatta. Gli auguro il meglio… (Ornella si emoziona e la voce quasi trema, ndr). Sa quanto vale e sa cosa fare. 

Bruttomesso-Ursella, Borgo Molino mostra i gioielli

28.05.2021
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La Borgo Molino Rinascita Ormelle in questa stagione sta ottenendo grandissimi risultati, sono molte le vittorie collezionate dai ragazzi del team veneto. In questo inizio di stagione le due punte di diamante sono Alberto Bruttomesso e Lorenzo Ursella, i due atleti si sono aggiudicati ben quattro vittorie a testa nella categoria Juniores. Parliamo un po’ di loro con Pavanello, il loro direttore sportivo, il quale ci tiene a precisare che i due sono ottimi amici ed i risultati ottenuti sono frutto di un duro lavoro ma anche di un reciproco aiuto, che i due ragazzi si danno ogni volta che indossano il numero sulla schiena.

La Borgo Molino ha abbastanza forza da tenere spesso in mano la corsa (foto Scanferla)
La Borgo Molino ha abbastanza forza da tenere spesso in mano la corsa (foto Scanferla)

La squadra diretta da Christian Pavanello è da più di 60 anni il riferimento nella categoria Juniores. Una società costruita con organizzazione e tanta dedizione da parte del presidente Pietro Nardin e del vicepresidente Marco Bonaldo, grazie ai quali gli atleti possono correre e divertirsi, sapendo che c’è sempre qualcuno con lo sguardo fisso sul loro futuro.

Abbiamo pensato, vista la grande serenità ed il clima amichevole della Borgo Molino, di fare un’intervista diversa, infatti i due ragazzi racconteranno l’uno dell’altro. Quindi Bruttomesso ci parlerà di Ursella e viceversa. L’idea ci è venuta parlando con Christian Pavanello, il quale ci ha detto con orgoglio che i due sono ottimi amici oltre che compagni.

Qui Ursella al Circuito di Orsago, vinto su Lava (foto Scanferla)
Qui Ursella al Circuito di Orsago, vinto su Lava (foto Scanferla)

Parola a Bruttomesso

Parliamo prima con Alberto, vicentino, più precisamente di Valdagno, che ha 17 anni e studia per diventare tecnico elettronico. Ad inizio maggio ha conquistato ad Altivole la maglia di campione regionale Veneto, categoria Juniores.

Ciao Alberto, descrivi il tuo rapporto con la squadra e con Lorenzo

La Borgo Molino è per me una famiglia, per me i direttori sportivi sono come dei padri e i miei compagni dei fratelli. Io e Lorenzo siamo molto amici, anche al di fuori della bicicletta. Ci vediamo poco a causa della distanza, ma tra ritiri e gare abbiamo costruito un rapporto molto solido.

Come descriveresti il Lorenzo corridore?

E’ uno sprinter puro, sempre pronto a lanciarsi in volata. E’ impegnato anche nella pista, ma non vorrebbe farne la sua attività principale, anche se è molto forte anche in questa disciplina.

Per Alberto Bruttomesso, arrivo imperioso alla Coppa Montes (foto Scanferla)
Per Alberto Bruttomesso, arrivo imperioso alla Coppa Montes (foto Scanferla)
Pensi che nel futuro possa continuare in tutte e due le attività?

Come detto, su pista è davvero bravo, ma non lo vedo molto convinto. Mi ha detto che non vuole abbandonarla, allo stesso tempo però non vorrebbe togliere troppo tempo all’attività su strada.

Se lo dovessi paragonare ad un corridore a chi lo accosteresti?

Visto il discorso della doppia disciplina, lo affiancherei a Viviani. So che è un corridore che ammira molto.

E ora parla Ursella

Passiamo a Lorenzo, 17 enne di Buja, come Alessandro de Marchi, al quale si ispira per la voglia di non mollare mai. Studia meccanica a Gemona del Friuli, rispetto al suo compagno è un po’ più timido, ma in bici la timidezza viene spazzata via e si trasforma in un gran combattente pronto a farsi spazio in mezzo al gruppo.

Ciao Lorenzo, ti facciamo la stessa domanda, parlaci di Alberto e di come ti trovi con lui. 

La Borgo Molino per me è casa, visto come mi fanno sentire i direttori sportivi e i compagni. Per quanto riguarda Alberto, beh lui ed io andiamo in simbiosi, mi trovo davvero bene con lui, sia in gara che fuori.

Per Ursella quattro vittorie in poco più di un mese (foto Scanferla)
Per Ursella quattro vittorie in poco più di un mese (foto Scanferla)
Descrivici il vostro rapporto in gara

Parliamo tanto, spesso ci affianchiamo per capire come stia l’uno rispetto all’altro. Questo atteggiamento ci ha permesso più volte di darci una mano a vicenda per vincere delle gare.

Alberto ti ha descritto come uno sprinter puro, tu come lo definiresti dal punto di vista sportivo?

Lui rispetto a me è un corridore più completo, ha un ottimo spunto veloce e a differenza mia va forte a che in salita, predilige le salite corte, dai 3 ai 5 chilometri. Questa è una caratteristica che gli invidio molto, perché riesce a farsi trovare davanti anche in gare con percorsi molto più impegnativi.

Pensi possa diventare un corridore da grandi Giri o da classiche?

E’ presto per dirlo, non abbiamo mai fatto grandi prove su più giorni, vero che ha una buona base di partenza viste le sue caratteristiche. Lo vedo bene però anche nelle gare di un giorno, è uno che non molla mai e questa sua mentalità lo aiuterebbe molto nei finali impegnativi.

Per Bruttomesso al Gp Rinascita 2° posto dietro Ursella (foto Scanferla)
Per Bruttomesso al Gp Rinascita 2° posto dietro Ursella (foto Scanferla)
Nonostante vi alleniate poco insieme, il vostro rapporto sembra essere molto solido, qual è il vostro segreto?

Nessun segreto, abbiamo alle spalle dei direttori sportivi bravi e competenti, questo ci aiuta a dare sempre il massimo. Non ci viene messa alcuna pressione per i risultati, lavoriamo seriamente ma allo stesso tempo ci divertiamo molto nel farlo. Penso proprio che i risultati arrivino di conseguenza in un ambiente così organizzato e tranquillo.

De Marchi Giro 2021

De Marchi: «Avrei voluto esserci, all’Alpe di Mera…»

28.05.2021
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Il Giro d’Italia di Alessandro De Marchi è già finito, dopo avergli riservato una vera montagna russa di emozioni, prima regalandogli la gioia immensa della maglia rosa vestita per due giorni, poi rendendolo protagonista di una terribile caduta alla tappa numero 12 costatagli il ricovero in ospedale con fratture multiple al costato. Il suo ritiro è stato una grave perdita per la corsa perché il “rosso di Buja” è uno che non passa mai inosservato.

Aiutante alla vigilia per Dan Martin, protagonista alla Israel Start-Up Nation che ha vissuto un Giro finora ben oltre la sufficienza a dispetto dei problemi del suo leader, De Marchi è uno dei più esperti nell’analizzare il ruolo del luogotenente in salita, un ruolo che nella tappa con arrivo all’Alpe di Mera avrà un peso fondamentale: «In tappe come queste il peso specifico di chi è al fianco del capitano è enorme ed è una grande responsabilità».

In sintesi quali sono i suoi compiti?

Dipende molto dalla strategia stabilita dal team e dalle intenzioni del capitano stesso: in certi casi può essere mandato in avanscoperta per fare da punto d’appoggio quando il leader andrà all’attacco, oppure può rimanere al suo fianco e tirarlo fin dove è possibile, facendo il ritmo o rispondendo ad attacchi dei suoi avversari. Può anche essere mandato lui stesso alla ricerca del risultato pieno, per costringere gli avversari a lavorare di più.

De Marchi Martin
De Marchi davanti a Martin: anche in maglia rosa il suo ruolo non era cambiato
De Marchi Martin
De Marchi a precedere Martin: anche in maglia rosa il suo ruolo non era cambiato
Tra queste eventualità qual è la più faticosa?

Probabilmente la fuga, ma è difficile dirlo in anticipo considerando che dipende molto dalla situazione di gara. Bisogna anche considerare l’altimetria della tappa, se è molto “esigente”…

Il ruolo cambia in base alla classifica?

Certamente, è in base ad essa che si decide se attaccare o difendersi. In quest’ultimo caso avere al fianco il luogotenente è un aspetto fondamentale, la storia del ciclismo è piena di esempi in tal senso.

Conosci le zone di questa tappa?

Personalmente no e mi spiace non averle potute scoprire in sella alla bicicletta. Mi dispiace perché mi ero avvicinato al Giro con la condizione in crescita e credo di averlo dimostrato, ma potevo ancora fare qualcosa d’importante, magari cogliere quel successo di tappa al quale ero andato vicino nel 2012, quando correvo nell’Androni, con meno responsabilità ma più alla garibaldina, con la forza della gioventù. Mi resta però il ricordo di quei due giorni in rosa che nessuno mi toglierà più…

Carthy capitano, la politica dei piccoli passi

28.05.2021
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Alla partenza da Canazei, Charly Wegelius aveva in qualche modo predetto che Hugh Carthy avrebbe dovuto stringere i denti a Sega di Ala, perché il britannico della Ef Education-Nippo preferisce le tappe con tante salite e probabilmente il solo passo di San Valentino prima del finale così duro, lo avrebbe messo in difficoltà. Detto e subito fatto, tanto che c’è voluto il super Bettiol di questi giorni per portarlo al traguardo, perdendo però più di 3 minuti da Yates. Resta comunque il fatto che il corridore del team americano, magrissimo (è alto 1,93 e pesa 69 chili) sta continuando nella progressione iniziata al Giro di Svizzera del 2019, che lo scorso anno lo ha portato sul podio della Vuelta, avendo vinto sull’Alto de Angliru.

Wegelius è tecnico in questo team sin dal 2012, quando si chiamava Garmin
Wegelius è tecnico in questo team sin dal 2012, quando si chiamava Garmin

«Lo aspettavamo a questi livelli – spiega Wegelius – ha avuto una progressione più lenta dei fenomeni e di tanti bimbi prodigio che ci sono in giro. Ha 26 anni. E’ sempre estato regolare. La tappa in Svizzera del 2019, prima di Rohan Dennis e di Bernal, poi la Vuelta sono stati dei passaggi fondamentali verso questa leadership. Ma non è facile gestire le aspettative di una squadra che lavora per te. Tutti vogliono la responsabilità, poi quando arriva si accorgono che pesa…».

Resta comunque una grande scuola…

La nostra squadra ha mentalità aperta. E’ chiaro che momenti come questi per un corridore, per un uomo sono significativi. Finora quello che accade è per lui uno stimolo positivo. Non ha buttato via energie per cause nervose e del resto viene dalla grande scuola con Rigoberto Uran, che ha insegnato a tutti in questa squadra a dare la giusta dimensione alle cose.

Primo arrivo in salita a Sestola, arriva con Bernal, Landa, Vlasov e Ciccone
Primo arrivo in salita a Sestola, arriva con Bernal, Landa, Vlasov e Ciccone
Che tipo di corridore è Hugh Carthy?

Io lo definisco un corridore all’antica. Va bene nelle tappe con più salite, che logorano di più. Il finale di Sega di Ala era buono per le sue caratteristiche, ma l’avvio era troppo veloce. Si è vista la stessa cosa sullo Zoncolan. Perché lui possa venire fuori, serve qualcosa che diminuisca l’esplosività degli altri.

Hai parlato di leadership.

Fondamentale in una squadra, ma non parliamo di un leader che batte il pugno sul tavolo perché pretende aiuto. Nelle squadre ci sono delle dinamiche, la ruota gira, tutti contribuiscono alla causa perché ne trarranno giovamento. Più che leadership, nel suo caso parlerei di credibilità verso i compagni. E’ un uomo onesto, trasparente. Ha il coraggio di chiedere aiuto. E’ diverso dal carisma di Rigo, ma piano piano troverà il modo di usare la sua voce.

Hai detto che non è come i ragazzi prodigio: è difficile farlo capire all’atleta?

E’ difficilissimo. Prima della Vuelta, si sentiva pronto, ma vedevo che viveva una frustrazione. Vedeva coetanei arrivare dal nulla e vincere. Ma il ciclismo non è come lavorare il legno, è giardinaggio e ogni pianta per crescere ha bisogno del suo tempo. E lui ora sta raccogliendo, forte proprio dell’esperienza della Vuelta.

Fino a qualche giorno fa si ragionava del podio.

Non voglio pensare che il Giro sia chiuso. Bernal sembrava inattaccabile, ma resta forte. Non so se il podio sia ancora possibile, forse no, ma siamo qui e continueremo a lottare.

Bettiol, la vittoria della testa e del mal di gambe

27.05.2021
6 min
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L’ha cercata così tanto e così tanto ha lavorato sul Teide per arrivare al Giro in buona forma, che in qualche modo la vittoria di Bettiol a Stradella è come se l’avessimo vissuta con lui. E adesso che ce l’abbiamo davanti, sentendolo parlare, ci scorrono davanti agli occhi le immagini di quell’ultima salita in cui ha visto Cavagna, lo ha puntato, lo ha preso e poi gli è scattato in faccia. Ma più che le gambe, c’è voluta tanta testa.

«Conta sempre la testa – dice – la terza settimana del Giro è solo testa. Non è che Egan Bernal abbia meno mal di gambe di me. Potevo mandare tutti a quel paese perché non collaboravano. Sapevo che non avevo molte chance di riprendere Cavagna, ma sapevo di essere più forte in salita. Fosse stata tutta pianura, forse non ci sarei riuscito. Ma sull’ultimo strappo l’ho visto e ho avuto la forza mentale di scattargli in faccia e passare in testa, perché so cosa significa quando ti prendono e ti scattano in faccia. Volevo distruggerlo mentalmente, ma avevo un gran mal di gambe. E vi assicuro che non è stato per niente facile, dopo 230 chilometri e le tappe dure degli ultimi giorni. Capito perché è un fatto di testa?».

Ieri a Sega di Ala ha tirato forte per Carthy e lo ha salvato dalla crisi
Ieri a Sega di Ala ha tirato forte per Carthy e lo ha salvato dalla crisi

Un anno sofferto

La sua storia recente non è stata semplice. La vittoria del Fiandre doveva aprirgli i salotti buoni, ma gli si è quasi ritorta contro, in un miscuglio diabolico di attese non mantenute e sfortune d’ogni genere. E mentre cercava faticosamente di riprendersi dai suoi acciacchi, la morte di Mauro Battaglini l’ha come congelato in un’affannosa immobilità nei mesi del Covid in cui l’equilibrio personale ha fatto la differenza tra chi è riuscito a confermarsi e chi invece s’è fermato.

«Però non sopporto – attacca – che si vada a dire che il Fiandre l’ho vinto per un colpo di fortuna, soprattutto se a dirlo è chi lo fa di lavoro. Quel giorno avevo la gamba giusta e non si vince se non ce l’hai. Per il resto, sono umano e forse ho più difficoltà di tanti altri. Ho fatto buone prestazioni. La squadra mi ha sempre dato fiducia. So quanto valgo, dovevo solo dimostrarlo. Ero un ragazzo di provincia che non aveva mai vinto tra i pro’, ci sta che abbia un po’ sbandato. Mauro era una colonna per me, la sua mancanza mi ha fatto vacillare. E ancora oggi quando penso a lui, mi commuovo. Certo che quelle dita al cielo erano per lui».

Quando ha preso Cavagna, ha respirato un secondo e poi gli scattato in faccia…
Quando ha preso Cavagna, ha respirato un secondo e poi gli scattato in faccia…

Ciclista, non supereroe

La differenza, gli dicono, la fai credendoci. Coloro che l’hanno seguito sin da ragazzo e che partecipano alla sua carriera attuale, da Piepoli che lo allena e Balducci che lo assiste, non fanno che ripetergli che se credesse per primo nei suoi mezzi, i suoi limiti sarebbero ben più alti.

«Non sapete quanto siano incavolati quelli che mi seguono – dice – perché vado forte, mi temono, ma vinco poco. Vivo dei limiti che proverò a superare e cioè che si può vincere anche con il mal di gambe. Io pensavo di farlo sempre da supereroe, invece il ciclismo è uno sport umile. Devo fare di più, è il mio obiettivo. E lo farò soffrendo e prendendo bastonate».

Dopo la corsa, gli amici tornano amici. Qui l’abbraccio con Roche
Dopo la corsa, gli amici tornano amici. Qui l’abbraccio con Roche

Pane e Giro

La partecipazione al Giro non è stata per caso. Quando nasci in un paesino toscano e sei cresciuto a pane e Giro d’Italia, va bene vincere sulle stradine delle campagne fiamminghe, ma c’è ancora più gusto a farlo in Italia.

«L’ho voluto questo Giro d’Italia – racconta – volevo tornare nella mia terra. Volevo vedere a che punto ero con la mia maturità. Il ciclismo ci insegna più a perdere che a vincere e per questo sono contento di aver vinto al Giro. Durante la tappa ero concentratissimo e molto determinato dentro di me. Avevo molti amici in quel gruppo, uno è Nico Roche, ma non ho parlato con nessuno. Volevo vincere. Anche se dopo l’arrivo, proprio lui ha idealmente dismesso i panni del Team Dsm ed è venuto ad abbracciarmi. E’ un bravissimo ragazzo, anche lui ha vissuto i suoi momenti difficili. Abbiamo condiviso i giorni sul Teide prima del Giro e quel tempo passato non si dimentica dopo una corsa».

Limiti da scoprire

E proprio i giorni sul Teide hanno fatto la differenza. Al punto che il suo allenatore Leonardo Piepoli, scherzando gli ha proposto di perdere un paio di chili e puntare la prossima volta alla classifica generale.

«Poche volte – dice – sono andato così forte in salita. Mi piace prepararmi sul Teide e lassù, per poco che ti alleni, fai 3.300 metri di dislivello. Piepoli mi dice anche che finché non trovi il tuo limite, non puoi sapere quali limiti hai. Io sto bene e in questi giorni sto parlando molto anche con Cassani. Questa vittoria è un bel segnale anche per lui. Sono un uomo di sport, chiaro che andare alle Olimpiadi sia un sogno che può diventare un obiettivo. Diciamo che sono un bell’obiettivo, anche perché qui al Giro le tappe per me sono finite e da domani si torna a lavorare per Carthy, dopo che la squadra mi ha concesso questo giorno di libertà».

Voleva una tappa al Giro, ci ha messo gambe e testa e ha così lanciato un segnale a Cassani
Voleva una tappa al Giro e ha così lanciato un segnale a Cassani

Messaggio per Cassani

E proprio parlando di Olimpiadi, nel toto-Tokyo fra giornalisti si è soliti fare i nomi di Nibali e Moscon, Caruso e Bettiol e un quinto che poteva essere De Marchi e adesso Ulissi oppure Ciccone se si riprenderà o chiunque altro, Aru compreso, dimostri di andare forte entro il 5 luglio, quando Cassani dovrà dare i nomi. E a quel punto, davanti alla rosa, ci si chiede: chi di loro però ha mai vinto grandi corse? La risposta è facile: Nibali e Bettiol.

«Perché vincere le gare monumento – dice – non è per tutti. Si parla di gare di oltre sei ore, il limite oltre il quale alcuni smettono di andare forte. Solo pochissimi ci riescono e sono gli stessi che poi possono lottare per i mondiali e le Olimpiadi, appunto. Vincere una prova monumento fa tanto e la tappa di oggi, di 231 chilometri alla fine del Giro, sia pure senza grande dislivello, fa vedere qualcosa. E’ un bel segnale, come è bello il rapporto che abbiamo con Cassani. Lui parla in modo molto diretto e noi siamo sinceri con lui. E questa è davvero una vittoria che significa tanto».

Le voci del Giau, la notte in tenda e… gli auguri a Camilla

27.05.2021
8 min
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Ricordate il video e la foto che pubblicammo sui nostri social il mattino della tappa di Cortina, per mostrare le condizioni del Giau? Le aveva girate per noi un amico, Davide Scardovi, che aveva passato la notte lassù. In tenda. Per festeggiare in modo decisamente originale il compleanno di Camilla, la sua ragazza. Ma quelle immagini non potevano bastare per descrivere l’esperienza vissuta. Perciò, ecco il suo racconto.

La tenda in una trincea, con un muretto attorno per ripararla dal vento di quota
La tenda in una trincea, con un muretto attorno per ripararla dal vento di quota

Ecco il tappone

La preparazione per assistere a questa tappa è iniziata il giorno della crono di Torino. Seguendo lo svolgersi del percorso del Giro sulla cartina è saltato subito all’occhio questo tappone dolomitico, con tre salite fuori categoria di cui la seconda addirittura Cima Coppi: imperdibile.

Inizia allora l’organizzazione per poter assistere per la prima volta dal vivo ad una tappa del Giro. Innanzitutto la data: il 24 maggio. Il 23 è il compleanno della morosa, non poteva andare meglio, cosa c’è infatti di meglio che festeggiare il compleanno in cima al Giau passando la notte in rifugio? Partono le telefonate, ma i rifugi sono ancora chiusi o quelli già aperti sono già al completo per la notte tra il 23 e il 24. Tenda! Sarà fine maggio, magari la notte farà un po’ freddino, in fondo siamo a 2.000 metri, ma cosa vuoi che sia… Ci si porta una coperta in più e il gioco è fatto. Il percorso sembra solo una formalità: dal Giau alla Croda da Lago, tempo previsto 3/4 ore, poi il giorno dopo si ritorna al Giau passando per le 5 Torri, tempo previsto 6 ore, giusto qualche ora prima dell’arrivo dei ciclisti.

Quando arriva la corsa, smette di nevicare, ma il freddo punge
Quando arriva la corsa, smette di nevicare, ma il freddo punge

Meteo incerto

Inizia così una giornaliera visone di tutte le webcam presenti in zona con la speranza di vedere quei tre metri di neve che cingono i due lati della strada abbassarsi lentamente. Ma non succede e anzi la settimana prima in Veneto piove tutto quello che non era piovuto nelle primavere scorse. L’ultima beffa: tre giorni prima della tappa viene prevista neve sopra i 2.000 metri in zona Cortina. Sembra tutto destinato a saltare, la morosa non vorrà mai passare il suo compleanno in cima ad un monte con la neve. E invece no, il dio del ciclismo viene in mio soccorso e Camilla accetta con un lieve luccichio in fondo agli occhi.

Ecco Bernal. Dalla televisione non si notano la tensione e la fatica…
Ecco Bernal. Dalla televisione non si notano la tensione e la fatica…

Neve e buio

Arrivati al Giau il 23 pomeriggio di buon’ora per trovare posto con calma senza dover fare a scazzottate con i camperisti, inizia l’avventura. Su le ciaspole e via sulla neve. Dopo due ore il passo è ancora lì ben visibile, le voci dei camperisti sembrano provenire dal dosso appena sotto di noi. Eppure secondo i calcoli a quel punto il panorama sarebbe dovuto essere ben diverso e il Giau solo una lontana striscia confusa tra la neve. Ed è già tardi, ancora due sole ore di luce e poi la temperatura inizierà a scendere. In cresta tira pure vento, non l’ideale per piantare la tenda. Il luccichio in fondo agli occhi sta spegnendosi e la consapevolezza di un compleanno gelato sta prendendo il sopravvento. Meglio darsi da fare. Le ciaspole sono lontane cugine dei badili e fanno la loro per scavare una trincea nella quale piantare la tenda, con tanto di muretto per proteggersi dal vento. La fatica viene ripagata da un tramonto rosa che non può che essere il miglior auspicio per il giorno dopo. Ma dopo una notte passata come dei merluzzi in un peschereccio in mezzo all’Atlantico del nord, a “svegliarci” ci pensa una pioggerella gelata che ci fa fare i bagagli in dieci minuti e in men che non si dica ci ritroviamo di nuovo al Giau. Il dubbio riguardo lo svolgimento della tappa a causa delle condizioni avverse non fa che aumentare la suspense. Ma dopo poco tutti i dubbi vengono fugati: la tappa si farà anche se accorciata delle prime due salite. Salutate la nuova Cima Coppi. Tanti auguri Camilla.

Il valico là in fondo, visto dalla tenda, alle prime luci del giorno. Inizia a nevischiare
Il valico là in fondo, visto dalla tenda, alle prime luci del giorno. Inizia a nevischiare

Gruppo ad Agordo

Nel frattempo la pioggerella è diventata neve, in fondo siamo a 2.236 metri a fine maggio. Nel frattempo è anche partita la tappa che viene seguita da tutti sul telefono ben accoccolati nelle macchine accese e con il riscaldamento attaccato, speriamo non passi Greta Thunberg a dirci di spegnere. Quando il gruppo arriva ad Agordo alla spicciolata gli appassionati iniziano ad andare a prendere posto lungo i tornanti. Dopo aver preso posto appena dopo il ventinovesimo ed ultimo tornante, smette di nevicare, tutto si prepara per accogliere i ciclisti. A questo punto si verifica una situazione a cui nell’era degli smartphone, della rete dati diffusa ovunque e della comunicazione veloce non siamo più abituati.

A causa delle avverse condizioni non ci sono immagini in diretta dei corridori in salita. Le ultime informazioni ricevute ci avevano lasciato con i fuggitivi con due minuti scarsi di vantaggio sul gruppo, ma dopo c’erano state solo immagini dall’arrivo e supposizioni dei telecronisti.

Nibali ha provato la fuga. In cima per lui rispetto e incitamenti
Nibali ha provato la fuga. In cima per lui rispetto e incitamenti

Arriva Radio Informazioni

La tensione sale, vengono scambiati consigli sull’emittente migliore in quanto ad affidabilità, le orecchie si aguzzano per cercare di captare informazioni dai telefoni accesi dei vicini, ma niente, nessuno sa come stanno andando effettivamente le cose. Non resta che una possibilità: piantare gli occhi sulla curva più lontana che si riesce a scorgere e cercare di capire cosa sta passando di là. Un gruppo di ragazzi attorniano la loro macchina, che con una cassa bluetooth sul cofano del motore amplifica Eurosport, a quanto pare in quel momento la voce più attendibile a detta di molti dei presenti. Uno di questi ragazzi, uno dei pochi a volto e capo scoperto commenta ogni mezzo che spunta da dietro quella curva che catalizza gli sguardi di tutti i presenti. Dopo innumerevoli falsi allarmi dovuti alle moto, le quali, fintanto che non si scorge il fanale acceso, sono facilmente confondibili con le biciclette, appare la macchina rossa di Radio Informazioni. Anticipata dal lampeggiare delle sue sirene viene su annunciando Bernal in testa solitario.

Un bel tramonto rosa alla vigilia della tappa, ma il meteo cambierà nella notte
Un bel tramonto rosa alla vigilia della tappa, ma il meteo cambierà nella notte

Bernal al comando

Tutti ai propri posti, pronti con i cellulari a filmare e con le voci ad incitare. Un signore con impermeabile e pantaloni gialli, dall’età ingiudicabile dato che l’unica parte del corpo visibile è il naso che spunta tra la berretta e lo scaldacollo, se ne resta tranquillamente seduto sulla sua seggiolina in legno piazzata a bordo strana, incurante dell’eccitazione circostante che sale di secondo in secondo. Ed ecco che finalmente in lontananza si vede spuntare la prima bicicletta. L’eccitazione sale alle stelle e dopo poco ecco Bernal, solo e al comando, con il volto contratto dalla fatica. La notte passata lassu al freddo per la paura di non trovare un posto da cui poter osservare la corsa il giorno dopo, l’attesa della mattina e l’incertezza della salita si fondono insieme nell’urlo di incitamento lanciato verso il colombiano, che in un attimo sparisce.

I corridori continuano ad arrivare alla spicciolata, poi a perdersi nella discesa
I corridori continuano ad arrivare alla spicciolata, poi a perdersi nella discesa

Corridori trasfigurati

Dalla televisione non si riesce ad apprezzare l’entità dello sforzo di un ciclista in salita: sguardo fisso, volto contratto, denti stretti e imprecazioni si perdono tra le voci dei telecronisti e le immagini dall’elicottero. Ma dal vivo no, dal vivo si riescono a vedere tutte queste cose e soprattutto si vede la bava che fila dal mento e la schiuma che attornia le labbra. Fortunato arriva stravolto, con un occhio chiuso non si sa se per lo sforzo o per qualcosa finitoci dentro. Un veneto con una barba bionda e a punta, coperto da un poncho blu scuro incita ogni corridore con un climax di bestemmie che partendo da aggettivi carini arriva fino allo zoo. Mano a mano arrivano tutti gli uomini di classifica, Nibali riceve un trattamento speciale composto di urla, corse a fianco della sua bicicletta e battiti di mani più forti di tutti i precedenti.

Davide e Camilla, entrambi scout a Padova. Li rivedremo al Giro…
Davide e Camilla, entrambi scout a Padova. Li rivedremo al Giro…

Buon compleanno, Camilla

A questo punto inizia la smobilitazione, ci si avvia al bar e verso le macchine e i camper. Due corridori della FDJ arrivati su con una buona mezz’ora di ritardo mimano un arrivo in volata al traguardo con tanto di colpo di reni. Qualcuno si ferma per indossare la mantellina o cambiare la borraccia e subito viene attorniato da tifosi in cerca di gadget. Arriva anche Ganna, salutato da fischi e applausi. Passato l’ultimo ciclista i fortunati con la macchina in cima iniziano a scendere tra la selva dei pollici alzati di chi ha la macchina qualche chilometro di strada e centinaia di metri di dislivello più in basso. Nel frattempo Camilla ha seguito l’arrivo della tappa sul cellulare nominando tutti i ciclisti che aveva appena avuto modo di conoscere, il luccichio in fondo agli occhi è molto luminoso e nemmeno più tanto in fondo e la prima domanda che fa è: «Quand’è la prossima tappa in Veneto?».

Tafi 2020

Tafi: «La lunga distanza può cambiare la classifica»

27.05.2021
2 min
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La tappa da Rovereto a Stradella, con i suoi 228 chilometri è la più lunga di quest’edizione del Giro d’Italia e si ha un bel dire che in fin dei conti non ci sono grandi asperità ed è una frazione di trasferimento. La distanza rappresenta sempre un’incognita, un qualcosa di diverso rispetto al solito. Non può essere affrontata alla leggera. Andrea Tafi, in base alla sua esperienza, ammonisce: «Quando raggiungi queste distanze sono tappe di valore assoluto che possono anche pesare sullo sviluppo generale della corsa rosa».

Che cosa possono comportare?

Pesano fortemente dal punto di vista psicologico soprattutto in base alla loro collocazione nel programma del Giro: se sono nella prima parte possono essere davvero frazioni di trasferimento, ma se sono nel finale come quest’anno possono anche presentare sorprese.

Come giudichi il chilometraggio di questa tappa?

E’ importante, in un grande Giro ci può stare ma peserà sulle gambe dei corridori: quando vai su queste distanze l’altimetria perde importanza, la lunghezza diventa un elemento distintivo, anche se è chiaro che la tappa va valutata anche in base alla classifica e se presenta qualche asperità, questa diventa un ulteriore aspetto tattico da considerare. Certamente poi conta molto come viene interpretata la frazione, più battaglia c’è, più la media oraria si alza e più fatica si accumula nei muscoli.

Tafi Giro 1999
Tafi davanti al gruppo al Giro d’Italia ’99: il toscano concluse quell’edizione, come nel ’95
Tafi Giro 1999
Tafi davanti al gruppo al Giro d’Italia ’99: il toscano concluse quell’edizione, come nel ’95
Quale sarebbe la sua collocazione ideale?

A metà Giro, nella seconda settimana avrebbe meno impatto. D’altronde bisogna considerare anche le esigenze degli organizzatori che devono tenere conto di mille cose, soprattutto cercando di evitare trasferimenti troppo lunghi verso gli hotel. Io comunque credo che tappe simili in un grande Giro abbiano pieno diritto di cittadinanza.

Che cosa aspettarci quindi?

Al momento della partenza, la classifica è ormai delineata a grandi misure, certamente questo influirà sull’aspetto tattico, qualcuno potrebbe cercare di sfruttare la fatica accumulata dagli altri per guadagnare spazio: quando si arriva all’ultima settimana non è solo la squadra della maglia rosa che ha interesse a controllare la gara, ci sono anche i team dei velocisti che vorrebbero arrivare alla volata, ma anche quelli di corridori con ambizioni di classifica che potrebbero scegliere di movimentare la corsa. E’ questo il bello del ciclismo.

Remco a casa è una dura lezione per la Deceuninck

27.05.2021
4 min
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Remco Evenepoel lascia il Giro e torna a casa pieno di lividi, anche se forse le ferite peggiori se le porta dentro. Vero che il ragazzo è giovane e abbastanza sicuro di sé da farsene presto una ragione, eppure in tutta la storia c’è più di qualcosa che non convince. E la Deceuninck-Quick Step forse questa volta non è stata impeccabile. Si disse prima del via e si ripete oggi: quale senso ha avuto far rientrare il ragazzo al Giro dopo 9 mesi che non correva, puntando per giunta al bersaglio grosso? Serve a poco ora dire che così non era, basta andarsi a rileggere le dichiarazioni e ripercorrere le tattiche giorno dopo giorno.

Remco va a casa dopo la caduta di ieri, ma anche dopo la paura di Montalcino, la fatica dello Zoncolan e la batosta di Cortina. «Ovviamente – ha detto – è triste lasciare la gara e il mio primo grande Giro troppo presto, ma alla fine è stata una bella esperienza e spero di tornare un giorno di nuovo. Auguro il meglio a tutti i miei compagni di squadra per le tappe rimanenti».

Settimo nella crono di Torino, si parlava già di prodigio
Settimo nella crono di Torino, si parlava già di prodigio

Basso, 21 anni fa

La vicenda ne ha richiamata alla memoria una ancora più insolita, per le abitudini italiane, che nel 1999 riguardò Ivan Basso. Il varesino allora era campione del mondo under 23, uno dei giovani più promettenti a livello mondiale, e come tale aveva ripreso la stagione con la Zalf Fior. La Riso Scotti di Davide Boifava, con la quale aveva firmato, aveva acconsentito a lasciarlo per la primavera nella squadra di Castelfranco, finché qualcosa iniziò a scricchiolare. Perché non farlo restare tutto l’anno, chiesero, fino al mondiale di Verona? Quando Boifava capì che la stagione rischiava di prendere una brutta piega si impuntò. E Basso, terzo al Palio del Recioto e sesto al Gp Liberazione, cambiò maglia e senza alcun assaggio di professionismo debuttò al Giro d’Italia.

Bloccato psicologicamente sugli sterrati, con Almeida che lo aspetta
Bloccato psicologicamente sugli sterrati, con Almeida che lo aspetta

Damiani racconta

Sull’ammiraglia della squadra viaggiava Roberto Damiani, oggi alla Cofidis, che di lì a poco proprio per le sue attitudini sarebbe passato nella Mapei Giovani, antesignana delle attuali continental. Che cosa ha visto Damiani in questa gestione di Evenepoel? E in che modo l’avrebbe impostata se avesse vuto fra le mani il giovane talento belga, come a suo tempo ebbe Basso, poi Cancellara e Pozzato?

«Quella volta con Basso – ricorda – alla fine decidemmo noi. Ivan non prendeva una posizione, ma del resto era ingiusto pretendere che un ragazzo di 19 anni potesse scegliere una cosa del genere. Così lo portammo al Giro con un’idea precisa. Doveva fare esperienza. E dopo una settimana sarebbe andato a casa. Ricordo che lo presentammo ai vecchi del gruppo, a sceriffi come Cipollini e anche Pantani, e lui riuscì a farsi benvolere. La difficoltà più grande di quel Giro fu mandarlo a casa».

L’arrivo di Evenepoel è stato meno sommesso. Anzi, non sono mancati gli squilli di tromba…

E chi le ha suonate le trombe? Non so perché abbiano deciso di farlo debuttare qui, senza fare un Tour of the Alps o il Romandia. Lo ha deciso la squadra. Si sarebbe potuto dire che veniva per fare una prova. E se poi fosse andato davvero bene, ci sarebbe stato tutto lo spazio per esaltarlo.

Il suo caso è diverso da quello di Basso, ma…

Ma un corridore di 20 anni con quel talento resta comunque un patrimonio da tutelare, nonostante quello che dice e che gli si permette di dire. E’ vero che Evenepoel ha già più esperienza di quel Basso, ma il Giro d’Italia resta il Giro d’Italia.

Sullo Zoncolan, il primo cedimento vero, con 1’30” da Bernal
Sullo Zoncolan, il primo cedimento vero, con 1’30” da Bernal
Ora dicono che non fosse venuto per vincere.

Neanche io ho mai creduto che sarebbe successo. Quando sul pullman si parlava della corsa e dei protagonisti, eravamo tutti abbastanza sicuri, direttori e soprattutto i corridori, che non avrebbe potuto fare classifica nella terza settimana. Ma la Deceuninck-Quick Step è venuta perché credevano che potesse fare un grosso exploit.

Da cosa si capiva?

Dal fatto che dovunque andasse, aveva sempre tre uomini accanto. Dal fatto che Almeida è stato messo al suo servizio praticamente da subito. In questi casi si dice che le aspettative modificano il risultato. E loro erano venuti per vincere e provarci.

Lefevere ha rilasciato un’intervista a Het Laaste Nieuws, dicendo che Remco non aveva mai perso, che l’euforia di venire al Giro montata nelle Fiandre sia stata difficile da gestire e che il ragazzo esce da questo Giro con il morale ammaccato…

Non ho letto l’intervista, ma portarlo qui non è stata necessariamente una buona operazione. L’ego è proprio quello che ha permesso a Evenepoel di fare le grandi cose che tutti abbiamo visto. Ha dimostrato qualità non comuni. E non credo fosse necessario danneggiare il suo ego, mandandolo contro un muro alto come il Giro d’Italia e poi a casa così malridotto. Tutelare il talento, anche dalle aspettative troppo alte, significa proprio questo.

Bernal e Caruso, una difesa per due

26.05.2021
4 min
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Bernal e Caruso si sono ritrovati insieme nei chilometri finali della salita e forse a un certo punto si sono guardati negli occhi e hanno capito che tanto valeva arrampicarsi insieme fino in vetta e rimandare tutto a venerdì. Erano insieme anche quando Yates ha cominciato a scattare, ma mentre la maglia rosa si è messa a rispondere agli scatti, il siciliano si è lasciato sfilare, si è messo in difesa ed è andato su con il suo passo. Un gran passo, se è vero che ha perso solo 50 secondi e a un certo punto è rientrato su Bernal e con un po’ di cinismo in più avrebbe persino potuto provare a staccarlo.

Caruso col sorriso

«E’ stata una delle tappe più dure di questo Giro – dice Caruso sorridendo – l’ultima ora e mezza l’abbiamo fatta a tutto gas, specialmente l’ultima salita è stata durissima. Come mi aspettavo, Yates ha attaccato e ha fatto il vuoto, ma io stavo bene e ho preso il mio ritmo fino all’arrivo. Alla fine il distacco non è stato così grande. In ogni caso, non potevo seguirlo e non avevo altre opzioni che andare del mio passo. Quando ho visto la maglia rosa soffrire come me, il morale è cresciuto, perché ho pensato che allora era duro per tutti…».

Damiano Caruso ha gestito con freddezza e lucidità il finale, tenendo il 2° posto
Damiano Caruso ha gestito con freddezza e lucidità il finale, tenendo il 2° posto

Mal di schiena?

Bernal si è piantato e onestamente un po’ ce l’aspettavamo, difficile dire perché. Sarà che lo avevamo visto da vicino riprendere fiato sullo Zoncolan ed era parso che per respingere Yates avesse fatto una fatica oltre ogni limite. Oppure perché questo tipo di arrivo avrebbe messo a dura prova la sua schiena più di quelli visti finora. Quando Yates ha affondato davvero il colpo, Egan ha ceduto e non sembrava in grado di imprimere forza nei pedali. Il primo pensiero è andato alla schiena, perché era evidente che gli eventuali dolori sarebbero venuti fuori sulle salite lunghe e ripide, che costringono la schiena a contrastare per un lungo tempo la spinta delle gambe. Chiaramente la maglia rosa si è guardata bene dal fare una simile ammissione, che sarebbe benzina sul fuoco dei rivali, ma qualcosa oggi non ha funzionato.

Bernal sapeva che Caruso stava tornando, per questo si è messo in difesa
Bernal sapeva che Caruso stava tornando, per questo si è messo in difesa
Che cosa è successo?

Ho sbagliato a rispondere allo scatto di Yates e per fortuna ho avuto accanto Martinez, che mi ha scandito il passo e mi ha pure incoraggiato (foto di apertura). Forse se come Yates avessi visto la salita sarebbe cambiato qualcosa, avrei mollato prima, mi sarei messo in difesa e avrei limitato il distacco negli ultimi 2,5 chilometri, ma non si può avere il tempo di provarle tutte. Poteva andare peggio, tutto sommato mi sono salvato bene.

Yates adesso ti fa paura?

Lo dico dal primo giorno che mi fanno paura tutti, non sottovaluto nessuno. Il Giro è una corsa imprevedibile, voglio essere tranquillo e concentrato. Devo gestire bene la corsa, perché si è visto oggi che se qualcuno ha gambe, può fare la differenza.

Per la prima volta i tuoi avversari hanno visto che non sei imbattibile…

Mi fa piacere sentirmi dire che sono il più forte in salita, ma non ci ho mai creduto. Già ieri avevo detto che avere un buon margine mi avrebbe permesso di stare tranquillo casomai avessi avuto una giornata storta ed eccola arrivata. Nessuno è imbattibile, neanche io. In questi momenti in cui si soffre, però, si vede la grinta dei corridori. Non sarebbe bello vincere facilmente. Bisogna essere onesti e dire che oggi sono stati più forti gli altri.

Caruso è rientrato sulla maglia rosa e Martinez, i tre si aiutano
Caruso è rientrato sulla maglia rosa e Martinez, i tre si aiutano
Hai avuto paura di crollare?

Yates ha fatto un paio di scatti davvero forti e ho sbagliato a seguirlo, c’era tanta pendenza e sono andato fuorigiri. Quando poi vai sopra al tuo ritmo, serve tempo per recuperare, ma su quelle pendenze è dura. In più dovevo tirare il fiato perché sapevo che sarebbe arrivato Caruso. Se mi avesse staccato, non avrei risolto un bel niente.

Mal di schiena o giorno di riposo che ha lasciato delle tracce?

Non so dire se sia stato il riposo, anche se può capitare. Gli scatti di Yates sono stati importanti, quindi magari non sarei riuscito a seguirlo anche se fossi stato bene. Bisogna essere onesti, Simon ha vinto perché era il più forte. Ma ho anche pensato che non fosse poi così vicino in classifica. Ho ancora un buon margine e il Giro è ancora lungo».