Come per il defaticamento, anche il riscaldamento è un concetto che nel ciclismo contemporaneo sta prendendo sempre più piede. E come per il defaticamento, anche in questo caso non tutte le tappe necessitano di un lavoro preventivo, come spiega il preparatore della Trek-SegafredoPaolo Slongo: «Nelle tappe di pianura, quelle che hanno una prima parte filante e senza difficoltà non c’è riscaldamento perché sono gli stessi chilometri iniziali che servono a sciogliere le gambe».
L’andatura per così dire turistica ha un senso in questa veste?
Sì, anzi dirò di più: normalmente gli organizzatori predispongono i primi chilometri ad andatura controllata, per passare nel centro città e già quel tratto serve al bisogno dei corridori, che sono così pronti quando viene dato il via effettivo. Nelle tappe più complicate la situazione è naturalmente diversa.
Come si agisce in quei casi?
Quando è prevista una cronometro, oppure c’è una salita già nelle primissime fasi, i corridori arrivano prima alla partenza e fanno 15-20 minuti di riscaldamento sui rulli o ciclomulini. Se si tratta di salita, sarà un allenamento blando, solo per sciogliere i muscoli, per le cronometro si lavora 25 minuti con ripetute fino alla soglia o anche oltre, con volatine di 5-10 secondi. In quel caso controlliamo anche la frequenza cardiaca e il wattaggio, che ci dice quanto il corridore ha un residuo di stanchezza dei giorni precedenti.
Slongo e Nibali in un’immagine di Archivio: il siciliano ha sempre avuto bisogno di un riscaldamento breveFoto di archivio, Slongo e Nibali: il siciliano non fa mai grandi riscaldamenti
Gli allenamenti sono uguali per tutti?
Di massima sì, ma a decidere sono gli allenatori personali. Le variazioni sono minime, possono cambiare qualcosa anche in base all’età dei corridori, a sue abitudini acquisite nel corso degli anni.
Il riscaldamento in altre specialità di resistenza come ad esempio l’atletica è acquisito da sempre, come mai nel ciclismo se ne parla sono in epoca recente?
Il riscaldamento si è sempre fatto, come detto sfruttando le parti iniziali di gara. Il parallelismo con atletica vale soprattutto per le cronometro, dove lo sforzo è massimale sin dall’inizio e comporta anche un innalzamento della temperatura, che per il corridore alla partenza raggiunge anche i 37,5°.
Nibali ad esempio come si regola?
Solitamente non si è mai scaldato tantissimo, quel che bastava per essere pronto al via delle crono. Altri facevano molto più lavoro sui rulli, Vincenzo ha sempre avuto bisogno solo di qualche minuto per sciogliere la muscolatura.
Questa volta il secondo posto non gli brucia, Cimolai è davvero un ragazzo in gamba. E’ venuto al Giro per vincere: per un altro piazzamento altri avrebbero smoccolato tutta sera, anche solo per tirarsela.
«Ma no – dice – anzi, sono contento. Non ho rimpianti. Ho fatto tutto nel modo migliore, ho dato il massimo, ma se ti batte un fenomeno, hai poco da lagnarti. E’ pure partito lungo. Io ho stretto i denti e mentre spingevo speravo che calasse, invece niente (in apertura lo sprint di Termoli, ndr). Lui è forte. Molto peggio il secondo posto di Canale, quando per essere stati tutti degli addormentati, non abbiamo ripreso Taco Van der Hoorn e ho vinto la volata per il secondo posto…».
Al via della tappa di San Giacomo, assieme al corregionale e compagno in rosa De MarchiAl via della tappa di San Giacomo, con il corregionale e compagno in rosa De Marchi
Un fatto di gambe
Mancano due giorni alla nascita della bimba e sono tutti intorno a dirgli che in realtà il primo figlio arriva tardi. E lui, che non può uscire dalla bolla, sta lì a farsi i calcoli per quando il Giro arriverà a Sacile e magari Alessia potrà venire a fargli visita. Siamo onesti, se non ci fosse un contratto in scadenza, Davide a quest’ora sarebbe a casa accanto a lei, altro che storie! E intanto per esorcizzare l’attesa si parla ancora della volata.
«E’ stata tutta di gambe – dice – la sola accortezza tattica era prendere davanti l’ultima curva. Stamattina l’ho detto che era una tappa nel mirino, volevo vincere. Ma non avendo una squadra in supporto, nelle tappe di velocità pure posso fare poco. Bisognerà aspettare che il Giro vada più avanti, quando i velocisti saranno stanchi. Sicuramente se avessi uno o due uomini in grado di pilotarmi, risparmierei quel briciolo di forza che ti torna utile nello sprint. Diciamo che oggi ho scelto la ruota di Viviani e ho lasciato che a portarmi avanti fossero i suoi».
Alla partenza da Termoli, sapeva che avrebbe lottato per vincere la tappaAlla partenza da Termoli, sapeva che avrebbe lottato per vincere la tappa
Ultimo uomo
Tappe per velocisti non abbondano nel seguito del Giro, mentre Cimolai, che velocisti puro non è, si contende con Nizzolo la conta dei secondi posti. Due ciascuno, finora. E allora il discorso si sposta sulle scelte. Fare le proprie volate o lanciare quelle degli altri? Accetterebbe di fare come Guarnieri, che si è specializzato ormai nel lanciare Demare?
«Ho sempre pensato di essere veloce – dice – ma se dovessi affiancarmi a un velocista forte come Viviani o Nizzolo, non avrei problemi ad aiutarli. Ho già dimostrato di essere un ottimo ultimo uomo. Un corridore intelligente deve capire il proprio ruolo e io probabilmente renderei meglio accanto a un velocista di prima fascia. Nell’attesa che arrivi, vorrei approfittare degli spazi che mi vengono lasciati e provare a vincere qualcosa. E il sogno ora sarebbe la Grado-Gorizia, che si corre in Friuli. Ma temo che il disegno vallonato favorirà le fughe».
Secondo, quasi staccato: Ewan si è davvero superatoSecondo, quasi staccato: Ewan si è davvero superato
«Qui sto bene»
Questi sono i giorni in cui si fa il mercato e attorno al nome di Cimolai qualche movimento in effetti c’è. Il suo procuratore è Manuel Quinziato, il ragionamento di Davide è onestissimo.
«La mia intenzione – dice – visto che ci sto bene, sarebbe rimanere qua. Ma ho un’età in cui bisogna scegliere per il meglio, lo stesso motivo per cui sono qui e non a casa con la mia compagna. Sarebbe bello se il velocista forte arrivasse qui. Venire in questa squadra è stata la scelta migliore. Ma adesso c’è da pensare alla famiglia, al nostro futuro e alle prossime tappe. Credo che questa sera di metà maggio, ce ne sia già a sufficienza».
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Come è stato che Attila Valter sia approdato alla Groupama-Fdj lo spiega assai bene Philippe Mauduit, il più italiano dei francesi in gruppo. L’intuizione fu di Yvon Madiot, il fratello minore di Marc e suo socio nello squadrone della maglia rosa. Il ciclismo era appena ripartito dal primo lockdown e si era già sparsa la voce che la CCC non avrebbe continuato. E così Madiot si mise a studiare e individuò il nome di quel ragazzino ungherese che di lì a poco avrebbe vinto la corsa di casa lasciandosi dietro Quinn Simmons della Trek-Segafredo.
«Iniziò a martellare Marc – sorride Philippe – sul fatto che dovessimo incontrarlo, perché ne valeva la pena. E così ad agosto facemmo una call a tre su Skype. Yvon, Attila e il sottoscritto. Parlammo per mezz’ora e vedemmo che malgrado fosse davvero giovane, aveva appena compiuto 22 anni, aveva le idee chiarissime. Alla fine la scelta di prenderlo venne quasi da sé e lui parve molto contento di accettare».
Vuelta a Burgos 2020: concentrato e furibondo dopo una caduta, in attesa dell’ammiragliaVuelta a Burgos 2020: concentrato e furibondo dopo una caduta, in attesa dell’ammiraglia
Soglia del dolore
Da qui a immaginare che in meno di un anno sarebbe arrivata la maglia rosa, il passo è davvero lungo per il ragazzino che aveva vinto l’ultima tappa al Tour de l’Avenir del 2019 e che al Giro dello scorso ottobre si era piazzato 11° nella classifica dei giovani.
«E’ difficile dire il suo valore – spiega Mauduit – perché 22 anni sono davvero pochi per capire. Una cosa che abbiamo notato subito però è la capacità di farsi del male quando è in difficoltà o quando ha un obiettivo. Sa andare oltre la soglia del dolore e lo fa razionalmente. Se lui si convince che può farlo, di solito lo fa. E’ grintoso. Se molla la presa, vuol dire che è davvero morto».
La seconda rosa
Le versioni sulla tappa di San Giacomo sono contrastanti. Il corridore dopo l’arrivo ha dichiarato di essere partito sin dal mattino con l’obiettivo di conquistare il primato, mentre il direttore sportivo dice di avergli raccomandato di puntare alla tappa e che la classifica semmai ne sarebbe stata una conseguenza.
«Gli ho detto di restare concentrato sulla tappa – spiega – perché in salite di questo tipo, se i primi della classifica si fossero guardati, lui sarebbe potuto partire in contropiede e magari vincere. Probabilmente quando si è reso conto che non sarebbe stato possibile riprendere Mader, si è concentrato sulla maglia rosa e ha avuto questa ricompensa eccezionale. Per me la rosa è la maglia più bella al mondo, non so se stanotte riuscirò a dormire. Credo che per la Groupama-Fdj, che pure ha tanti anni nelle gambe, la sola volta prima fu con Bradley McGee al Giro del 2004. Non sono cose banali, ragazzi. Abbiamo preso la maglia rosa!».
In partenza dalle Grotte di Frasassi, con la maglia rosa nella testaIn partenza dalle Grotte di Frasassi, con la maglia rosa nella testa
Una grande scuola
Il senso di enfasi che filtra dalle sue parole dà l’esatta dimensione del prestigio del simbolo ed è ancora più bello pensando che a pronunciarle è un francese, il cui attaccamento al giallo del Tour è notoriamente inscalfibile.
«Dovremo tutti fare lo sforzo di restare con i piedi per terra – dice il tecnico della Groupama-Fdj – perché già la maglia bianca ci era sembrata eccezionale. Così prima di mandarlo a dormire gli ho detto: “Guarda dove ti trovi guarda quali campioni hai attorno e cerca di recuperare. Perché quella gente non ti regalerà niente”. Ma è chiaro che proveremo a tenerla, non si lascia andare un onore come questo e i ragazzi daranno tutto. Sappiamo che sulle montagne troveremo probabilmente corridori più forti di noi, ma in ogni caso daremo il massimo. Nella Groupama del Giro ci sono tre ragazzi molto giovani. Due di 22 anni e uno di 23. Comunque finirà, per loro sarà una scuola straordinaria».
Mentre tutti parlano di sicurezza dopo la caduta di Landa, Caleb Ewan punta al record di vincere una tappa in ogni grande Giro. Ma per farlo andrà via prima
«Una passeggiata serale? Mai fatta in 15 anni. Ho girato l’Italia in lungo e in largo e non ne ho vista neanche un po’…». Dario Cataldo, uomo d’esperienza della Movistar con i suoi 36 anni, sorride alla domanda se alla sera, per recuperare anche mentalmente, viene data una seppur minima libera uscita. D’altro canto uno degli aspetti per molti versi più complicati in un grande Giro è il tempo che la logistica toglie al riposo, con i continui cambi di hotel.
Il 36enne corridore della Movistar ormai non ci fa quasi più caso: «Siamo abituati, sai che al mattino devi consegnare la valigia pronta al massaggiatore che te la farà trovare nell’hotel successivo. Per la squadra è un impegno non da poco, non si può sbagliare. Per noi corridori conta molto se l’hotel è vicino all’arrivo o alla partenza perché è tempo guadagnato. L’ideale è quando le località coincidono, ma capita ormai di rado».
La distanza dell’hotel dall’arrivo è un aspetto importante, che può influire molto sul recuperoLa distanza dell’hotel dall’arrivo è un aspetto importante, che può influire molto sul recupero
Quanto influiscono i trasferimenti sulla prestazione?
Secondo me molto: se l’hotel è vicino puoi tornare con calma e farti la doccia, i massaggi, cenare in orario utile e andare a letto presto, tutto ciò favorisce il recupero. Quando invece è distante, è tempo perso. Il trasferimento in pullman ora è più comodo perché sono stati attrezzati per i nostri bisogni, ma non riposi comunque.
Quando la tappa termina tardi i problemi aumentano?
Notevolmente, lo scorso anno è capitato spesso – ricorda Cataldo – e questo pesava perché i ritardi si concatenavano. Alla fine abbiamo contato che abbiamo fatto più ore in sella che di sonno…
Una distanza ideale?
Finché l’hotel è a una trentina di chilometri è perfetto, il problema è quando te ne devi sobbarcare dai 100 in su, non arrivi mai. Capisco che gli organizzatori facciano i salti mortali e devono anche accontentare più località possibili, ma per noi resta un problema.
A parte il recupero fisico, come cercate di staccare mentalmente?
Come detto ogni minuto rubato al sonno è recupero in meno, noi però dopo la cena ci ritroviamo un quarto d’ora nel camion cucina: tra una tisana e un decaffeinato scambiamo due chiacchiere, condividiamo le nostre sensazioni sulla tappa affrontata e quella che arriva. Quei pochi minuti sono per molti una necessità.
Quanto tempo dedicate allo smartphone?
Bella domanda – Cataldo ride – noi più anziani lo ripetiamo sempre ai più giovani, se passi mezz’ora a smanettare al telefono è tempo che togli al sonno e in gara rischi di pagarlo. Diciamo che piano piano imparano…
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Accadde già al Tour del 2017, quando Richie Porte si schiantò nella discesa del Mont du Chat scendendo su Chambery e Caruso si ritrovò orfano del capitano e leader della Bmc. Ne uscì con l’11° posto finale strappato coi denti e forse fu proprio lì che il ciclismo iniziò ad accorgersi di lui. Poi successe anche nel 2018, perché Porte tendeva a cadere spesso. Ma in quel caso Damiano lasciò stare la classifica e si dedicò alle tappe, centrando un 4° posto sul San Bernardo e il 5° a Mende.
Rispetto a quella prima volta, la situazione è diversa per due motivi. Il primo è che allora Damiano aveva già 2’35” di ritardo da Froome. Il secondo è che nel 2017 non aveva la stessa consapevolezza di oggi e non è poco. Parliamo con lui dopo i massaggi e dopo la seduta dall’osteopata, a capo dell’aspra giornata sui Sibillini. A San Giacomo, il siciliano è arrivato al 6° posto: 25” dietro Mader. Mentre la classifica lo vede ora 7° a 39” da Attila Valter in rosa.
Peyragudes, Tour 2017: Aru prende la maglia gialla, Caruso sale dalla 16ª alla 14ª posizionePeyragudes, Tour 2017: Aru maglia gialla, Caruso sale in 14ª posizione
Damiano ha il tono bello brillante, malgrado la faticaccia. La stellata nel cielo marchigiano fa pensare che domani (oggi per chi legge, ndr) sarà bello.
La storia si ripete?
E’ diverso, ma certo è una situazione che conosco. Sicuramente questa volta è successo in un momento in cui non ho speso nulla più di quello che serviva. Per come si era messa la corsa, è come se avessi corso per me, quindi la condizione è buona e penso che crescerà giorno dopo giorno. Ero qui per Mikel e sarei stato orgoglioso di aiutarlo a vincere il Giro.
Quindi ti aspettavi di arrivare così bene in cima a San Giacomo?
E’ stato un buon test. In finale mi sono guardato intorno ed ero in salita in mezzo ai migliori. Sarà tutto da scoprire, ma sono benvoluto dai miei compagni e avrò il loro appoggio. Dopo la caduta di Landa, ci siamo parlati chiaro. Ognuno avrà le sue chance, non voglio che qualcuno ne sia privato per difendere me. Ma sia pure a rotazione, gli altri saranno a mia disposizione. Insomma, me la gioco.
Caruso è nato nel 1987 ed è professionista dal 2009Caruso è nato nel 1987 ed è professionista dal 2009
Volpi ha parlato della necessità, soprattutto per i più giovani, di accettare la caduta del leader…
Noi l’abbiano visto accadere altre volte, ma ugualmente è una cosa da metabolizzare. Quella sera, a margine dello scoramento, eravamo sollevati perché Mikel non ha avuto niente di grave. La clavicola è poca cosa. Ma lo stesso vederlo lì per terra… Sono immagini che rimangono nella mente, soprattutto dei più giovani. Bisogna spiegargli come uscirne.
E’ diverso dal 2017 perché sai di poterlo fare?
Da un anno e mezzo sto vivendo il momento più bello della mia carriera. Mi sono liberato dalle pressioni, dall’ansia di prestazione. Mi sento abbastanza competitivo. Non sono il più forte in salita, ma posso stare con loro. Non sono il più veloce in certi arrivi, ma posso buttarmi in mezzo. Non sono un cronoman, ma posso fare delle belle crono (a Torino ha fatto meglio di Yates, Nibali e Bernal, ndr). Non sono l’ultimo, insomma. E il mio punto di forza è la tenacia, è questa la mia vera forza
A Sestola nel gruppo dei migliori, mentre Landa aveva attaccatoA Sestola nel gruppo dei migliori, mentre Landa aveva attaccato
Cosa si può dire del percorso che ancora vi aspetta?
Il Giro è sempre impegnativo. Ci aspettano tappe esigenti e il duro ancora deve venire, lo so bene. Non mi voglio montare la testa. L’importante sarà restare in salute e non commettere errori banali…
E pensare positivo…
E’ tutto guadagnato. Nessuno mi sta chiedendo la luna, la squadra non fa pressioni. Caduto Landa, mi hanno detto: «Vai e divertiti. Quello che verrà, lo porteremo a casa».
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Si chiama Attila e già di per sé potrebbe bastare per descrivere la determinazione messa dal ragazzino ungherese nel prendersi la maglia rosa. Ciò che più stupisce però è la sua sicurezza nel raccontare di sé e delle sue intenzioni. Se infatti stamattina alla partenza aveva detto di voler conquistare il primato, la lucidità con cui ha gestito il finale è stata da applauso. E’ partito quarto in classifica a un minuto da De Marchi. E quando il friulano ha alzato bandiera bianca, nella sua testa è scattato il piano. Mentre i commentatori contavano i secondi di Bernal ed Evenepoel e i fotografi non avevano occhi che per loro, dalle retrovie il giovane ungherese ha stretto i denti. E anche se la sua maglia bianca non passava certo inosservata, ha remato a fatica fino al traguardo nello stesso gruppetto di Vlasov, Carthy e Yates e ha conquistato la maglia rosa con 11 secondi di vantaggio su Evenepoel.
«Mi dispiace aver dato una delusione a chi puntava su Remco ed Egan – dice quando gli facciamo notare la singolare situazione – loro avranno certamente delle altre occasioni di divertirsi. Il mio obiettivo del giorno era fare proprio questo, ma ho cominciato a crederci solo ai 2 chilometri dall’arrivo. Ho combattuto buttandoci dentro la mia vita e sono contento che alla fine sia venuta questa ricompensa».
Nella crono di Torino, per Attila un passivo di 53″, non proprio eccezionaleNella crono di Torino, per Attila un passivo di 53″, non proprio eccezionale
Orgoglio magiaro
Ungherese classe 1998, originario di Csomor alle porte di Budapest, non stava nella pelle all’idea che il Giro del 2020 partisse dalla sua città, ma l’appuntamento è solo rimandato.
«Spero che l’anno prossimo – dice – avrò la chance di far parte ancora del gruppo del Giro, perché correremo in posti stupendi. Da noi il ciclismo è in crescita. Ci servirebbero più squadre continental per permettere ai ragazzi di crescere, ma il livello è buono. Ieri è partito il Tour d’Ungheria, una corsa che ho vinto l’anno scorso. Non siamo francesi né italiani, ma questo non significa che siamo più deboli. Siamo ragazzi forti dal cuore dell’Europa. E se anche mi toglieranno la maglia, sarò pronto a lottare per altre tappe. Le sorprese da parte mia in questo Giro non sono finite».
La resa di De Marchi ha subito riaperto la lotta per la rosaLa resa di De Marchi ha subito riaperto la lotta per la rosa
Zero calcoli
Quel che piace è il suo essere diretto. Anche nell’ammettere di non aver fatto tanti calcoli e in questo forse le sue origini sulla mountain bike hanno avuto voce in capitolo.
«Non ho guardato i numeri mentre salivamo – dice – immagino di aver fatto una prestazione buona, ma non so quanto. Non sapevo nulla e non ho guardato il computer sulla bici. Volevo la maglia rosa e sapevo di dover andare a tutta. Punto. Se mi convinco davvero di qualcosa, la mente sposta avanti il limite e a quel punto non c’è niente di impossibile. Così non mi vergogno nel dire che la mia ambizione di lungo termine è vincere un grande Giro. Quello che è successo oggi e la difesa del primato dei prossimi giorni sarà un bello step nella mia crescita, in attesa di poter venire per puntare alla vittoria».
A Sestola, Attila con i migliori: è scattata così la sua idea rosaA Sestola, Attila con i migliori: è scattata così la sua idea rosa
Doppia dedica
Ha iniziato sulla mountain bike, approdando alla strada solo da junior. Ugualmente correva per divertirsi, mentre ora lavora sodo per migliorarsi. Da U23 è stato incluso in un progetto continental della federazione ungherese, poi è entrato nell’orbita della CCC Development e da lì è salito nella squadra WorldTour.
«Poi quando si seppe che il team chiudeva – racconta – sono entrato in contatto con questa squadra. Hanno impiegato poco a convincermi, mi hanno fatto sentire che ci tenevano ed è stata una scelta molto buona. Per questo dedico questa maglia a loro e a mio padre che mi ha permesso di seguire questa strada. E da domani credo che inizierà la seconda parte della mia carriera».
RIvediamo con Alessandro De Marchi il concetto di distanza. L'allenamento più lungo ormai ha cambiato faccia. Si lavora per ricreare le situazioni di gara
Davide Cassani ha seguito il Giro da una moto Rai e ha potuto così osservare gli azzurri per Tokyo. Una lista di 8-9 nomi da cui presto uscirà la squadra
«Ieri è stato un giorno molto triste – dice Gino Mader – ma quasi subito abbiamo trovato nuovi obiettivi. Non abbiamo più Landa da proteggere e così potremo correre in modo più aggressivo. Oggi Mohoric ha fatto una corsa incredibile. Credeva in me già da ieri. Non faceva che ripetermi che questa tappa fosse adatta a me e alla fine aveva ragione lui».
Matej Mohoric si è sacrificato per Gino Mader, risultando decisivoMatej Mohoric si è sacrificato per Gino Mader, risultando decisivo
La reazione
Sembrerebbe una storia già vista, come quella della Ineos dello scorso anno che, perso Thomas, si rimboccò le maniche e tirò fuori il Giro più bello. Ieri la caduta di Landa ha privato la Bahrain Victorious del suo leader, ma il gruppo ha saputo reagire.
«Nessuna alchimia strana – spiega Alberto Volpi, di ben altro umore stasera rispetto a ieri – si sono guardati in faccia e hanno capito di dover fare qualcosa. I più giovani magari no, ma quelli esperti sanno che queste cose accadono di continuo e si deve andare avanti. Sicuramente stiamo parlando di una squadra di valore. Uomini di qualità selezionati per stare accanto a un leader forte, che ora dovranno fare la loro corsa.
Ganna si è preso in spalla il Team Ineos dal cuore dei Sibillini fino a parte della salita finaleGanna si è preso in spalla il Team Ineos dal cuore dei Sibillini fino a parte della salita finale
«Mohoric, che oltre alle gambe ci mette tanta testa e oggi ha pilotato benissimo il ragazzino. Caruso, decimo al Tour e sapete meglio di me quale sia la sua storia. Pello Bilbao. Insomma, non proprio gli ultimi arrivati. E Mader, anche se è la prima corsa che facciamo insieme, lo ricordo lottare nelle corse a tappe da più giovane con Hindley e Pogacar. Ha dei numeri, verrà fuori».
La bici e la gioia
Gino Mader ha i capelli ricci e il suo inglese ha le durezze del tedesco. Quando gli dicono che un Gino vittorioso al Giro prima di lui faceva di cognome Bartali, lui forse un po’ arrossisce, ma neanche tanto. Spiega che quella storia del ciclismo è troppo indietro rispetto ai suoi anni e che gli piacerebbe scoprirla, ma che al momento la stessa domanda bisognerebbe farla ai suoi genitori che ne sanno certamente di più.
La sua storia recente parla di alcune beffe. Come quella alla Vuelta del 2020, battuto Gaudu all’Alto de la Covatilla. E quella di quest’anno alla Parigi-Nizza, preceduto da Roglic nel giorno delle polemiche.
Evenepoel e Bernal hanno sprintato per gli abbuoni e ha avuto la meglio il colombianoEvenepoel e Bernal hanno sprintato per gli abbuoni e ha avuto la meglio il colombiano
«Se c’è una lezione che ho imparato – Gino sorride – è che se in corsa non sei il più forte, per vincere puoi soltanto andare in fuga. E io oggi ho dato tutto me stesso fino alla riga. Se anche sai di avere alle spalle tutti i più forti, il tuo spirito non deve esserne condizionato. Lo spirito fa la differenza. La bici mi sta dando tanto. Ricordo benissimo quando nel 2019 andammo con la Dimension Data in Sudafrica a consegnare delle biciclette ai bambini. Ricordo i loro sorrisi e pensai che anche io voglio la stessa gioia quando vedo la mia bicicletta. Voglio divertirmi a correre, voglio una vita felice e la bicicletta me la può dare».
Giro che passione
Alle spalle c’è la scuola svizzera del ciclismo, che sin da piccoli permette ai ragazzi di provare tutte le discipline e li guida poi nella scelta della più adatta.
Ora è Caruso l’uomo di classifica della Bahrain Victorious: 7° a 39″Ora è Caruso l’uomo di classifica della Bahrain: 7° a 39″
«Ho avuto dei buoni mentori – dice – come Daniel Gisiger (professionista dal 1977 al 1988 e vincitore di due tappe al Giro, ndr) che mi ha portato in pista e poi su strada e alla fine mi ha aiutato a trovare la mia strada. Non so dove mi condurrà o come proseguirà questo Giro, Nel bus parleremo. Potrei andare ancora in fuga o tirare per un compagno, sarò ugualmente contento di farlo. Voglio godermi il Giro d’Italia, ho sempre pensato che sia la corsa più bella del mondo».
Un altro incontro con Roche, questa volta parlando di biciclette. La bici da gara con ruote alte è solo per grandi “manici”. E Bardet lo prende in giro...
La tappa di Lana, regala uno show basco. Pello Bilbao capitano, Landa gregario. E Pellizzotti racconta questo equilibrio basato su amicizia e gambe forti
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Abbiamo già avuto modo di trattare l’argomento dell’alimentazione in corsa, ma che cosa cambia quando c’è da affrontare un arrivo in salita? Anche in epoca recente ci sono stati casi di atleti costretti ad alzare bandiera bianca proprio a causa di problemi gastrici e quando ci si trova di fronte alle tappe più impegnative, i rischi in tal senso sono maggiori. Domenico Pozzovivo, uomo di grande esperienza, ha qualche piccola regola da seguire nella sua alimentazione.
«Io solitamente faccio fatica a ingerire cibi solidi naturali quando si tratta di ascese impegnative, cerco quindi di utilizzare le barrette, mangiandone una almeno 15’ prima che la salita inizi. Quando però la salita durerà oltre 30’, è necessario ingerirne una seconda ad almeno 20 minuti di distanza dalla prima».
In base ai tempi, sembra di capire che preferisci non mangiare quando la strada si rizza sotto le ruote…
E’ quasi impossibile farlo, anche il gel va preso al momento giusto, controllando la situazione perché se sei fortemente impegnato, è controproducente. Va considerato poi che quando sei oltre i 1.600 metri di altezza e hai il fiato corto, ingerire qualcosa di pastoso è difficile. Bisogna cercare un momento in cui la salita spiana, per questo è meglio provvedere prima.
Con il freddo intenso, anche un gesto simile può diventare difficile e pericolosoCon il freddo intenso, anche un gesto simile può diventare difficile e pericoloso
L’alimentazione in salita non può diventare una discriminante tattica, osservando gli avversari, quel che fanno, se sono alle porte di una crisi di fame?
Difficile dirlo – risponde il corridore della Qhubeka Assos – non sapendo quel che c’è nelle borracce, molti usano maltodestrine e fruttosio a concentrazione elevata. Certo se vedi che negli ultimi 5 chilometri ingerisce del gel, significa che qualcosa non va. A me comunque la borraccia molto zuccherata non piace, preferisco altre soluzioni.
Il clima influisce?
Molto. Con il caldo non ci sono grandi problemi, bastano i gel isotonici, col freddo si consuma di più e hai problemi anche nella manualità: io ad esempio con temperature molto basse perdo sensibilità alle dita – afferma Pozzovivo – e diventa arduo anche prendere la barretta dalle tasche… L’ultimo caso di Thomas, caduto al Romandia proprio perché non aveva più sensibilità nelle mani è esemplare. Per questo molti danno al rifornimento le borracce con il gel attaccato.
Veniamo a Pozzovivo: come arrivi a questo Giro?
Se avessi dovuto rispondere a inizio maggio sarei stato pessimista, ma negli ultimi giorni prima della partenza ho risentito le gambe girare al punto giusto, gli ultimi allenamenti sull’Etna mi hanno dato coraggio. Le mie carte voglio giocarmele tutte…
Scarponi disse subito di sì. In realtà lo fecero tanti e si ritrovarono il 23 ottobre del 2016 a Posta, un paesino della provincia di Rieti per portare il messaggio del ciclismo fra le terre straziate dal terremoto di agosto. La manifestazione la chiamammo #NoiConVoi2016 e grazie a Cristian Salvato incassò subito l’appoggio dell’Accpi. Per questo e per antiche amicizie, i corridori aderirono in gran numero.
C’erano Bartoli, Marta Bastianelli, Bettiol, Cacciotti, Cataldo, Colagè, Valerio Conti, Coppolillo, Roberto De Patre, Azzurra D’Intino, Ferrigato, Angelo Furlan, Nardello, Luca Panichi, Paolini, Petacchi, Piepoli, Pozzovivo, Proni, Marina Romoli, Salvato, Sbaragli, Scarponi, Stacchiotti, Simone Sterbini, Tonti, Visconti, Zanini e la maglia nera Bruno Zanoni. Vennero persino Paolo Belli e suo fratello.
Ecco l’altimetria generale della 6ª tappa
E questa è la salita di Forca di Gualdo
Questa è la salita finale, che si fa dura dal chilometro 12
Ecco l’altimetria generale della 6ª tappa
E questa è la salita di Forca di Gualdo
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Stacchio e Scarpa
La tappa di oggi, dalle Grotte di Frasassi a San Giacomo, percorrerà in parte le stesse strade e sarà dura rendersi conto che là in mezzo nulla o poco è cambiato.
«Il raduno di partenza era presto – ricorda Stacchiotti – per cui Scarpa passò a prendermi di buon mattino. Avevamo finito con le corse per quell’anno. Ci fermammo in autogrill per cappuccino, cornetto e le cavolate che sparava a raffica. Poi ci trovammo ad Ascoli con Stefano Giuliani e Formichetti. Avevano loro l’ammiraglia e ricordo che Formichetti, grande appassionato di ciclismo, se ne moriva di stare nella stessa macchina con Michele. Per quei 50 chilometri fino alla partenza lo sommerse di domande. E Michele gli dava corda, perché era sempre gentile con tutti».
Stacchiotti-Scarponi amici da una vitaStacchiotti-Scarponi amici da una vita
Giro addio
Riccardo ha ripreso ad allenarsi da due settimane. Luiil Giro non avrebbe potuto farlo comunqueper una mononucleosi scoperta un mesetto fa. Ripartirà nei prossimi giorni dal Tofeo Bro Leon in Francia, mentre il resto della squadra sarà al Giro di Ungheria. Non ce l’avrebbe fatta a reggere il ritmo. Poi, dopo le tre tappe francesi, correrà a Gippingen.
Un mondo ferito
La tappa passerà attraverso un lungo elenco di paesi fantasma. A distanza di ormai cinque anni, la gente vive nelle casette, ordinate come nelle fiabe, come camici d’un ospedale da cui non si riesce a venir fuori. Magari i corridori non riusciranno a vedere nulla. Un po’ perché saranno super concentrati. O forse perché, a parte i relitti di case franate, non c’è molto da vedere a parte la natura imponente dei Monti Sibillini. E quella la sentiranno sotto le ruote. Forca di Gualdo. Forca di Presta dopo il passaggio attraverso quel che resta di Castelluccio. Le rovine di Pretare, Piedilama, Arquata e Trisungo e poi la corsa vorticosa lungo la Salaria verso la salita finale.
Sosta davanti al monumento ai caduti realizzato dai Vigili del FuocoSosta davanti al monumento ai caduti realizzato dai Vigili del Fuoco
Miglior amico di tutti
«Arrivammo alla partenza – ricorda Stacchiotti – e Michele sparì in mezzo agli altri corridori. Sembrava davvero una gara di quelle importanti, c’erano davvero tutti. Ci teneva, ricordo che ne parlammo. Mi propose lui di venire insieme, perché il terremoto lo avevamo sentito anche noi. Noi ciclisti siamo gente alla mano e soprattutto si trattava di raccogliere fondi per delle persone in difficoltà. Passare là in mezzo a tutti quei muri sfasciati per noi marchigiani fu davvero un’emozione. Michele ovviamente era uno dei più conosciuti. Lui poteva anche non averti mai visto, ma dopo cinque minuti eravate i migliori amici. Per questo parlò con ognuno delle centinaia di partecipanti e per questo è rimasto nel cuore di tutti. L’anno scorso sono tornato in quelle zone, per fare una distanza dalle parti di Frontignano e Castelluccio. Ed è tutto come prima».
Discesa pericolosa
A Castelluccio ci arrivi facendo Forca di Gualdo: 10,4 chilometri al 7,4% di pendenza media e tratti al 12. Forca di Presta sul sito del Giro non la danno neanche, perché il versante duro di quella salita si farà in discesa. Però occhio all’ultimo chilometro, dritto e contro vento, perché potrebbe fargli andare di traverso una discesa che sarà velocissima, su asfalto a pallettoni e con curvette veloci e stretta nel centro di Pretare, uno di quei paesi che non c’è più.
Scarponi e Pozzovivo, tutto il percorso fianco a fiancoScarponi e Pozzovivo, tutto il percorso fianco a fianco
“Pozzo” ricorda
Pozzovivo partì da casa per unirsi alla manifestazione. Dormì ad Ascoli da un amico e poi raggiunse la partenza in bicicletta.
«La prima #NoiConVoi – ricorda – è come se fosse stata ieri. Anche io ci tenevo tanto ad esserci, perché ho frequentato tanto la zona dei Sibillini per allenamento e a volte mi sono spinto anche nella vallata del Tronto e ho scalato anche San Giacomo, l’arrivo di oggi. Vedere quei posti distrutti è stato veramente un grosso colpo anche per me. Quando iniziaste a organizzare l’iniziativa, per me fu quasi un obbligo venirci. La giornata con Michele fu una di quelle in cui lui dava il meglio di sé, capace di stare in mezzo alla gente, a scherzare. Abbiamo fatto praticamente tutto il tragitto a ridere. Ancora ricordo poi quella sorta di volata che abbiamo fatto alla fine con gli amatori arrivando nel centro di Ascoli. Comunque fu una giornata che mi è rimasta nella mente».
Il passaggio sulla Salaria dimezzata per la frana di Pescara del Tronto
Quei cartelli oggi sono sbiaditi, questa gente dimenticata
Luca Paolini, in furgone da Varese
Zanini comprò un guanciale al via da Posta e lo portò con sé
Lo sfascio senza eccezione di Pescara del Tronto
Stacchiotti con Scarponi e il giovane Conti
Salvato, Ferrigato (ora al Giro-E) e Angelo Furlan
Stefano Giuliani con Gazzoli e Spinozzi del Gp Capodarco
E Coppolillo ritrovò il capitano di un tempo
Un selfie con Petacchi,Paolo Belli e Bartoli
Sul furgone da Varese c’era anche Daniele Nardello
Leonardo Piepoli e suo figlio
Per Marina Romoli e Luca Panichi, ingresso ad Ascoli
Visconti e sua moglie Kathy, all’arrivo di Ascoli
Il pasta party si svolse in centro, in Piazza Arringo
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Quei cartelli oggi sono sbiaditi, questa gente dimenticata
Luca Paolini, in furgone da Varese
Zanini comprò un guanciale al via da Posta e lo portò con sé
Lo sfascio senza eccezione di Pescara del Tronto
Stacchiotti con Scarponi e il giovane Conti
Salvato e Ferrigato (ora al Giro-E)
Stefano Giuliani con Gazzoli e Spinozzi del Gp Capodarco
E Coppolillo ritrovò il capitano di un tempo
Un selfie con Petacchi,Paolo Belli e Bartoli
Sul furgone da Varese c’era anche Daniele Nardello
Leonardo Piepoli e suo figlio
Visconti e sua moglie Kathy, all’arrivo di Ascoli
Per Marina Romoli e Luca Panichi, ingresso ad Ascoli
Il pasta party si svolse in centro, in Piazza Arringo
Un piccolo Ventoux
Dall’arrivo si può vedere il mare, da questa montagna che vista da lontano fa pensare a un piccolo Mont Ventoux, tutto spelacchiato in cima, con distese di cardi e alberi bassi più in alto dove si riconoscono le piste da sci. Di quel 23 ottobre del 2016 i 700 partecipanti portarono via ricordi indelebili, che li spinsero a tornare per tre anni a seguire, ma già nel 2017 Michele non c’era più.
La giusta compassione
Da quella seconda volta, la manifestazione fu intitolata a lui. Tanti di quei ragazzi sono al Giro d’Italia. Visconti, Conti, Cataldo e Pozzovivo in corsa, come pure Puccio presente nel 2019. Zanini, che pedalò per tutto il giorno con un guanciale in tasca, sull’ammiraglia dell’Astana e con lui Martinelli, presente nel 2018. Tonti è il tour operator ufficiale del Giro, mentre Salvato segue la corsa rosa come delegato del Cpa. Giada Borgato, in postazione Rai, partecipò all’edizione del 2019 e come lei tanti altri.
Ma oggi, in questo giorno in cui il gruppo solcherà le splendide strade dei Sibillini, socchiudendo gli occhi su una di quelle cime, siamo certi che ci sembrerà di sentire ancora la risata di Michele. Mentre davanti a quelle case ancora distrutte e agli sguardi buoni e rassegnati delle persone proveremo la rabbia che ogni anno si rinnova. E avremo un sorriso tirato, come quando Michele voleva farti capire che non era contento. Sarà certo una grande giornata di ciclismo, a patto che troveremo il modo di viverla con la giusta compassione.
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