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Zanette, vent’anni dopo come un tatuaggio sulla pelle

10.05.2023
8 min
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«E’ un ricordo ancora così vivo – dice a bassa voce Manuela Zanette – che fa strano anche a me pensare che siano già passati vent’anni. Non so se perché sono toccata direttamente, quindi lo percepisco in modo diverso, ma è un ricordo che continua, una persona che sicuramente ha lasciato un segno che nessuno si aspettava. Nonostante sia passato tanto tempo, io sono ancora la moglie di Denis. E’ come se fosse un tatuaggio che ho sulla pelle».

Quando Milan ha conquistato la tappa di San Salvo, pensando ai corridori friulani capaci di vincere al Giro d’Italia, il nome di Denis Zanette è saltato fuori accanto a quelli di Giordano Cottur e Franco Pellizotti. Il gigante buono di Sacile di tappe ne vinse due, la seconda nel 2001. E mentre si era all’alba della stagione 2003, che avrebbe corso nuovamente con la maglia della Fassa Bortolo, il suo grande cuore smise di battere. Fu un colpo durissimo da assorbire, allo stesso modo in cui pochi giorni fa la morte improvvisa di Gianluca Tonetti ha lasciato un’altra famiglia in lacrime. Come farsene una ragione? E come mandare giù quello che fu scritto nei giorni successivi?

Quando Denis chiuse gli occhi, aveva una moglie, una figlia di otto mesi e una di due anni. Oggi che le ragazze sono grandi, abbiamo bussato alla porta della loro mamma per farci raccontare suo marito e cosa rimanga di lui nelle loro vite.

Giro d’Italia 2023, il friulano Milan vince la seconda tappa del Giro d’Italia
Giro d’Italia 2023, il friulano Milan vince la seconda tappa del Giro d’Italia
La sensazione è che Denis non se ne sia mai andato…

Ho un gruppo di amici che si chiamano “Gli amici di Denis”, che per anni hanno organizzato le corse, con cui almeno una volta all’anno ci ritroviamo condividendo un sacco di cose. Con alcuni di più, con altri meno. Per cui anche le mie figlie hanno modo di vivere e condividere una parte che loro non hanno conosciuto. Paola, la più piccola, è nata il 9 maggio del 2002, in pieno Giro d’Italia, il giorno dopo che suo padre partì per il via da Groeningen, in Olanda. Denis poi è mancato che aveva 8 mesi, di conseguenza Paola non ha la possibilità di ricordare nulla. Mentre Anna, la più grande, ha dei ricordi. A volte chiedono, anche perché non siamo usciti completamente dal mondo del ciclismo.

Come mai?

Il ciclismo resta un interesse di famiglia, in più abbiamo parecchi amici. Faccio un po’ di nomi, per dare un’idea. Biagio Conte, Cristian Salvato, Roberto Amadio, Davide Rebellin. Il suo nome lo dico con il cuore in mano, perché per me è una ferita aperta. Davide l’ho vissuto parecchio, non tanto negli ultimissimi anni, ma prima era una presenza costante da noi e mi dispiace che non venga ricordato quanto Denis. E’ stato una persona veramente meravigliosa, come corridore e come uomo. Lui e Denis erano insieme da una vita.

Purtroppo Davide se ne è andato con un marchio addosso, come se per alcuni fosse un problema parlare di lui…

Mi riferivo proprio a questo e lo trovo tremendamente ingiusto.

Come fu per Denis partire per quel Giro il giorno prima che nascesse sua figlia?

Mi ricordo che la vide per la prima volta tre settimane dopo, quando andai a Montegrotto con la piccola. La prima cosa che mi disse Gonchar, con cui divideva la stanza, fu che Denis si fece un pianto spaventoso, perché era stata proprio una sofferenza, dettata però da una situazione di necessità. Il dovere prevaleva su qualsiasi cosa.

State seguendo il Giro d’Italia?

Lo guardiamo ovviamente. Non vi nego che per anni non l’abbiamo seguito, perché era più un dolore che un piacere. Quando poi ogni cosa trova il suo posto, si ricomincia a vivere in modo diverso, quindi lo seguiamo e abbiamo visto in diretta la vittoria di Milan e ce la siamo anche goduta. Sono fatiche, è bello quando vengono ripagate dalla vittoria.

Denis è stato è stato un uomo felice col ciclismo, secondo lei?

Ha avuto degli eventi che lo hanno ferito molto, però credo di sì. Quando sarò morta ne discuterò con lui e vedremo se è vero o meno. Mi sono fatta questa idea che Denis, amando molto la vita e amando molto i suoi amici e la famiglia, sia riuscito comunque ad avere delle note positive che gli hanno permesso di superare le cose avverse.

Nel 2002 Zanette corre alla Fassa Bortolo, come gregario di Basso, Baldato, Petacchi, Casagrande e Bartoli (foto bikenews.it)
Nel 2002 Zanette corre alla Fassa Bortolo, come gregario di Basso, Baldato, Petacchi, Casagrande e Bartoli (foto bikenews.it)
Quali cose avverse?

Non ha avuto una vita semplice. Anche lui ha perso il papà da giovane, quindi ha sempre dovuto lavorare. La sua è sempre stata una vita molto dura, però non è che gli sia pesata. Sapeva di doverlo fare. Ha sempre avuto rispetto nei confronti della vita e nei confronti degli altri, per cui viveva con serenità. Era sempre un uomo gioioso, ma anche giusto.

In che modo lo dimostrava?

Al funerale di Rebellin, ero con Roberto Amadio e si è avvicinato un ex collega dei tempi della Liquigas, mi pare un lombardo. Dalla tasca ha estratto una serie di foto con lui e Denis. Da lì ha iniziato a raccontarci degli aneddoti e ci ha fatto rivivere dei momenti che io non conoscevo. C’era anche mia figlia, la piccola, che solitamente ascolta i racconti degli amici, ma non aveva mai sentito parlare di suo padre persone che non conosce.

Che cosa raccontava?

Le ha raccontato una storia successa in Belgio. «Eravamo in un capannone e stavamo praticamente cenando – ha detto – quando è entrato un tale con la sigaretta. Denis si è alzato in piedi e gli è andato incontro perché c’era un divieto di fumo grande così. Lui è sempre stato ligio alle regole, per cui si è avvicinato con questo dito lunghissimo, perché Denis quando parlava puntava spesso l’indice, gli ha mostrato il cartello e gli ha detto che non si poteva fumare. E questo, spaventatissimo perché si è trovato davanti un omone di due metri, ha preso ed è uscito. E come se non bastasse – ha continuato a raccontare – la sera siamo andati in camera e io avevo lasciato il lavandino non pulito. Lui è venuto a chiamarmi e mi ha detto: “Ma chi viene dopo di te cosa deve fare? A casa, pulisce tua moglie o lasci pulito tu?”».

E sua figlia?

E’ rimasta veramente colpita e mi ha detto: «Finalmente sento raccontare qualcosa di diverso».

Ivan Basso, fresco vincitore del Giro 2006, al Criterium in onore di Zanette, suo compagno alla Fassa Bortolo
Ivan Basso, fresco vincitore del Giro 2006, al Criterium in onore di Zanette, suo compagno alla Fassa Bortolo
Anche a casa era così preciso?

Molto ordinato. Quando aveva due minuti, dato che adorava suo fratello Claudio che fa il decoratore edile, andava nel capannone e lo riordinava. Ci teneva come forma mentis. Io ho imparato da lui a fare le valigie e a far stare le cose nei bauli delle macchine. Aveva tutto ordinato, tutto incastrato e io non capivo come facesse.

Scusi la domanda, che cosa ha provato quando sui giornali la sua morte fu affiancata a tutti quei sospetti?

La rabbia penso sia inevitabile, vista e considerata la situazione. Io penso che il giornalista abbia un ruolo fondamentale, in modo particolare al giorno d’oggi. Deve sapersi estraniare dalla situazione per raccontarla al meglio, ma deve avere anche la grande capacità di capire i contesti. E secondo me le tragedie devono sempre e comunque essere rispettate. Glielo posso assicurare: io sono stata colpita a morte più di una volta ed è una cosa che ancora faccio fatica ad accettare. A distanza di anni sono cose che rimangono scritte nero su bianco e le mie figlie ne sono state colpite più di qualche volta.

Ha potuto spiegarglielo?

Ovviamente da madre ho cercato di fare protezione e di raccontare le cose com’erano, ma non è stato semplice. Per questo, ci sono delle cose che io non perdono. Purtroppo nella mia vita ho sempre avuto un grande rispetto degli altri. Dico purtroppo perché se non ce l’avessi, avrei fatto strage: ho una lingua che è capace di fare strage. Io rispetto il lavoro di tutti, ma ci sono stati dei momenti in cui ho odiato i giornali e per anni ho comprato solo Il Sole 24 Ore. C’è di buono che le persone intorno conservano il ricordo del Denis che hanno conosciuto e non quello che hanno letto.

Nel 2019 a Brugnera, Jaramillo Nicolas Gomez vince il Memorial Zanette (photors.it)
Nel 2019 a Brugnera, Jaramillo Nicolas Gomez vince il Memorial Zanette (photors.it)
Come l’ha superato?

Dico sempre che nella mia vita sono stata sfortunata, ma anche tanto fortunata, perché ho attorno persone e famiglie cui posso solo dire grazie. Ho degli amici senza cui sarei morta io. Ho avuto un Roberto Amadio che per anni ha frequentato tutte le settimane casa mia. E se non la frequentava, telefonava per sapere se avessimo bisogno di qualcosa e come stessimo. Cristian Salvato con la sua famiglia. Flavio Vanzella. Biagio Conte. Nella mia sfortuna, sono una donna fortunata.

In casa è rimasto qualcosa del Denis corridore?

Sì, certo. Se avessi voluto cancellare il ciclismo dalla mia vita, avrei dovuto escludere anche buona parte dei nostri amici. Invece per andare avanti, bisogna saper affrontare la realtà. Così ho continuato a vivere la mia vita. Ho cambiato casa, ma era già in programma, e le sue cose sono lì perché fanno parte della vita mia e delle mie figlie. E’ una parte che c’è stata e che è stata fondamentale e che comunque resterà fondamentale per le ragazze. Quindi sì, è giusto così.

Esiste una foto di voi due insieme?

Sì, esiste, ma non gliela mando. Io sono una che ama molto leggere e immaginare come potrebbe essere quello di cui leggo. Mi piace che anche gli altri lo facciano leggendo le mie parole.

FVG Bike Emotion, le quattro stagioni friulane con Vanotti

03.10.2022
7 min
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Le quattro stagioni scandiscono l’anno solare e sono da sempre fonte d’ispirazione per gli artisti che hanno regalato all’umanità scritti, dipinti e musiche come l’omonima e famosa opera di Antonio Vivaldi. Il compositore per ordinare le note della sinfonia dedicata all’autunno ha utilizzato i movimenti: allegro, adagio molto e ancora allegro. Parole che non stridono alle orecchie del ciclista e che spesso scandiscono anche l’andatura in sella. L’autunno sarà la stagione che farà da cornice alla pedalata organizzata da FVG Bike Emotion, con i suoi colori che dipingono il territorio del Friuli Venezia Giulia. Con una tavolozza naturale pennellata su alberi, colline e panorami unici. 

A dirigere l’orchestra ci sarà Alessandro Vanotti, ex professionista che accompagnerà i ciclisti il 22 e il 23 ottobre in occasione delle due pedalate autunnali. Insieme a lui nella direzione ci sarà Anna Andriani di FVG, amante delle due ruote e fulcro dell’organizzazione. Dopo aver affrontato le pedalate di primavera ed estate ora tocca alla stagione dai colori caldi e i profumi della vendemmia e del sottobosco. Il tutto avvolto da panorami mozzafiato, dalla Carnia, al Collio, al mare triestino. Un’occasione imperdibile di danzare in sella accompagnati dalla musica della natura friulana. 

FVG e le quattro stagioni

Pedalare sulle strade friulane è un’esperienza che tutti possono provare prendendo la bici e il casco e andando incontro alle bellezze e alle salite più iconiche. Farlo accompagnati e coccolati sotto tutti i punti di vista è però un altro modo per godersi e vivere un’esperienza unica.

«Questo è il terzo evento dell’anno – dice Anna Andriani – siamo partiti a marzo e dopodiché abbiamo deciso di fare le quattro stagioni. Primavera, estate, autunno e poi ci sarà l’appuntamento invernale a fine anno. FVG Bike Emotion è fondamentalmente un profilo instagram, una vetrina per mettere in risalto il cicloturismo nella nostra regione. Far scoprire i territori, i percorsi collegandoli ad aspetti extraciclistici, quindi enogastronomici, culturali con l’obbiettivo di fare conoscere il nostro territorio a tutti. 

«Ho incontrato Alessandro Vanotti casualmente – racconta – e abbiamo trovato fin da subito un’intesa rivolta a quello che è il nostro messaggio. Ha apprezzato fin da subito il nostro territorio per quello che può offrire dal punto di vista ciclistico. C’è la montagna, c’è il mare, c’è la collina, ci sono un’infinità di posti differenti. Poi si è accorto che di traffico ce n’è veramente poco e che le strade sono ben tenute e si è innamorato da subito di questi luoghi.

«Ad aiutarci invece – spiega – dal punto di vista organizzativo c’è Banca Ter, che ha sposato a pieno il progetto e ci sostiene dal primo giorno. Il Gatto e la Volpe, bar di riferimento nel centro di Tolmezzo, che rappresenta un po’ il nostro braccio destro dal punto di vista di alcuni aspetti organizzativi. Infine il Pedale Manzanese, la mia società ciclistica che è stata la scintilla del gruppo che ha dato il via ad organizzare questi eventi».

La sinfonia d’autunno

Le pedalate in programma il 22 e il 23 ottobre sono state studiate minuziosamente rivolgendo un’attenzione mirata a far godere la vista e il gusto a tutti i partecipanti.

«Il punto di partenza sarà Cormons. Da lì partiremo per i giri che ci porteranno a scoprire il Collio goriziano e il Collio sloveno e infine il mare perché andremo a Trieste pedalando sulla Costiera che è una bellissima strada che si affaccia sul bellissimo golfo della città marittima. In più faremo un tour che ho definito “piccolo fiandre friulano” perché sarà animato da un susseguirsi di muri tra Italia e Slovenia tra cui quello protagonista della 15ª tappa del Giro d’Italia 2021

«Il weekend partirà il sabato da Cormons con un giro di 120 chilometri attraversando il Carso per arrivare poi a Trieste. In particolare andremo sul Monte Grisa che vanta una vista mozzafiato su tutto il golfo triestino. Per poi rientrare sulla Costiera. Il sabato pomeriggio ci ritroveremo a Grado con la possibilità di fare la doccia, mentre per chi arriva da più lontano c’è la possibilità di un punto d’appoggio in albergo. La sera si andrà ad assaporare le specialità di pesce a Grado. La domenica da Cormons si farà appunto il “Piccolo Fiandre Friulano” con tutti muri che lo caratterizzano attraversando il Collio friulano e il Collio sloveno».

Lo spirito di gruppo e le nuove amicizie sono il motore dell’evento
Lo spirito di gruppo e le nuove amicizie sono il motore dell’evento

Alla scoperta con Vanotti

Oltre ad un contesto naturale da scoprire e vivere metro per metro tra le eccellenze paesaggistiche e culinarie, Alessandro Vanotti rappresenta il valore aggiunto a questa esperienza in sella. L’ex pro’ infatti da qualche anno accompagna i ciclisti in lungo e in largo per l’Italia fianco a fianco una pedalata dopo l’altra.

«Fin dal primo evento – racconta Vanotti – ho visto entusiasmo, voglia di fare gruppo e di unire le persone. Facendo questo tipo di pedalate si cerca di portare leggerezza e non competizione. Quando si attraversano i paesi, i bambini ti salutano, le persone ti guardano e vedono che stai facendo qualcosa diverso. Non è il classico gruppo che esce a tirarsi il collo. E’ un po’ il messaggio che stiamo cercando di trasmettere. 

«Il mio compito – spiega – è quello di dirigere il gruppo. Alcuni li conosco già perché hanno già riconfermato la presenza e altri invece saranno nuovi. Prima della partenza si fa sempre un briefing per avere chiaro che si viaggia sulle strade e che quindi bisogna comportarsi nel rispetto nostro ma anche degli automobilisti. Un aspetto che apprezzo molto del Friuli è quello che si incontra davvero poco traffico, è il contesto migliore per apprezzare il territorio e goderne al meglio».

FVG Bike Emotion è protagonista nel promuovere il cicloturismo in Friuli Venezia Giulia
FVG Bike Emotion è protagonista nel promuovere il cicloturismo in Friuli Venezia Giulia

Un autunno da vivere insieme

La lunga carriera di Alessandro è un biglietto da visita unico che avvicina i ciclisti e li incuriosisce a domandare com’era il ciclismo visto da dentro il gruppo.

«Quando passava il Giro d’Italia sulle strade del Friuli – dice – ero sempre davanti al gruppo a tirare. Mi ha sempre incuriosito e mi capitava di captare un territorio tenuto bene, la natura rigogliosa e contaminata a misura di ciclista, le strade tenute bene, sembrava di essere Svizzera. Tant’è che dissi “Mamma mia che regione che ho scoperto”

«Nell’analisi ciclistica che faccio – spiega – le regioni più cliccate dagli stranieri, sono Sicilia e Toscana mentre il Friuli è sempre visto come una regione un po’ più lontana, poco conosciuta. Invece è un mondo da scoprire. Le Dolomiti sono bellissime, però il traffico e l’affluenza rendono tutto più difficile per esperienze cicloturistiche di gruppo. Il Friuli non è assolutamente un ripiego, ma una regione da scoprire. E’ un territorio pazzesco, ti senti sicuro e pedali in totale libertà. Non a caso abbiamo voluto fare le quattro stagioni perché è un territorio da vivere tutto l’anno».

I paesaggi sono unici così come l’esperienza da vivere insieme
I paesaggi sono unici così come l’esperienza da vivere insieme

Coach al fianco

Pedalando su e giù per le pendenze del territorio friulano, avvolti dal clima gentile dell’autunno, Vanotti è pronto ad essere oltre che cicerone anche coach in sella.

«Il focus del camp – dice Alessandro – è rivolto a valorizzare il territorio e a colorare le strade del Friuli apprezzandone tutte le sue particolarità. Non è un evento improntato sul coaching,  ma io metto al servizio di tutti la mia esperienza. Mi capita infatti di dare consigli in gruppo. Io mi occupo infatti anche di questo, dando feedback e consigli su respirazione, postura, tecnica di guida direttamente con il mio supporto in bici. Questo lo faccio sia nelle strade di casa oppure come in questi casi in pedalate di questo tipo. Credo sia un momento di crescita anche sotto questo punto di vista. 

«Dietro c’è l’assistenza – conclude – si ha quindi la possibilità di viaggiare con le tasche vuote. Questo è un valore aggiunto che ti permette di pedalare in sicurezza con i comfort di avere un cambio, indumenti pesanti, impermeabili e perché no liberarsi anche del cellulare per godersi a pieno la bici in tutta la sua convivialità pedalando leggeri in tutti i sensi. Un momento magico che unisce, lontani dallo stress, instaurando amicizie, unendo culture regionali e creando sinergie che solo il ciclismo ti sa regalare».

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Da Andorra, i consigli di Fabbro per la tappa di Castelmonte

27.05.2022
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Matteo Fabbro non è al Giro d’Italia a dar man forte a Hindley e compagni. Il friulano è in ritiro ad Andorra. Al Giro avrebbe voluto esserci. E avrebbe voluto esserci soprattutto oggi, nella frazione che arriva a Castelmonte. Ma vista la situazione già al Tour of the Alps ci aveva detto che non avrebbe avuto molto senso venire al Giro senza essere in forma.

«Ora – dice Fabbro – sono qui in altura. Rientrerò al Delfinato. Il Tour? Un’ipotesi più che un programma, per ora. Intanto pensiamo a rientrare in corsa al Delfinato, visto che la Grande Boucle quest’anno non è molto adatta alle mie caratteristiche, tra la partenza in Danimarca, il vento, la tappa in pavé. Le montagne ci sono, ma prima devi sopravvivere!

«L’idea normale è quella di fare la Vuelta».

Con Fabbro però andiamo alla scoperta della tappa numero 19 del Giro, la Marano Lagunare – Santuario di Castelmonte, frazione friulana (e un po’ slovena).

Matteo già ce ne aveva parlato questo inverno, ma adesso vogliamo ritornarci, per farci dare dare una sorta di “consigli” per entrare nei meandri tecnici della tappa e analizzarla con la classifica attuale.

Matteo Fabbro (classe 1995) dal ritiro in Andorra ci ha raccontato la tappa nel “suo” Friuli
Matteo Fabbro (classe 1995) dal ritiro in Andorra ci ha raccontato la tappa nel “suo” Friuli
Matteo, se fossi in Gasparotto, che consigli daresti ai tuoi ragazzi per affrontare questa tappa?

Bisognerebbe vedere come stanno. Sin qui hanno speso molto, vengono da tappe dure e li aspetta la Marmolada. Se avessimo avuto la maglia rosa avrei corso in difesa, altrimenti avrei cercato d’inventarmi qualcosa sul Kolovrat, che di certo resterà indigesto a qualcuno. E’ una salita micidiale.

Micidiale, addirittura?

Ha una pendenza media del 10%, ma bisogna considerare che in un tratto spiana un po’ e in un altro scende, quindi si significa che sei sempre sopra al 12% E chi ha la gamba lì va.

Che rapporti monteresti?

Un 36 davanti e un classico 11-30 al posteriore. Con quello vai dappertutto.

E che ruote sceglieresti: alte o a medio profilo?

Una ruota alta ti potrebbe agevolare nella prima parte che è piatta, quella a medio profilo ti potrebbe aiutare dopo, ma alla fine credo che opterei per una ruota da 50 milllimetri.

Per te questa frazione somiglia a quella di Torino? Lì c’erano molti saliscendi…

Da Villanova Grotte la strada diventa stretta e tortuosa e lo diventa già in salita, ma soprattutto dopo. Quindi potrebbero esserci degli attacchi in discesa. Ma dal Tanamea in poi non c’è più respiro. Da Caporetto inizia la salita più dura e poi ancora è tutto un vallonato. Nella prima parte di questo segmento vallonato è più discesa, poi per rientrare in Italia ci sono dei pezzi che salgono e scendono, in ogni caso bisogna pedalare. Difficile organizzare un inseguimento di squadra.

C’è spazio per attaccare dunque?

Sì, anche perché il tratto vallonato è nel bosco, è umido, è tortuoso. E se dovesse piovere sarebbe tutto più complicato.

Invece il finale?

Terminato questo tratto vallonato si arriva in pianura, ma saranno tre, quattro chilometri al massimo. Una svolta a sinistra e inizia la salita di Castelmonte. Però qui non è super necessario stare davanti. La salita infatti è larga. E’ una salita impegnativa, ma ben più pedalabile del Kolovrat.

Nibali ha detto che nella frazione di Torino, anche per come è stata corsa, era difficile persino alimentarsi. Sarà così anche verso Castelmonte?

Non credo. Perché tra una salita ed un altra ci sono dei tratti rettilinei. Sono brevi, però hai spazio per mandare giù un boccone. E poi per il Kolovrat dovresti esserti alimentato prima. Da quel punto in poi mandi giù un gel che è ben più pratico.

Tornando sempre alla frazione di Torino, lì la tua Bora-Hansgrohe ha stravolto il Giro, sarà ancora così? Gasparotto s’inventerà qualcosa?

“Gaspa” ha portato una ventata di aria nuova e credo che serviva. Abbiamo iniziato a correre più all’attacco invece che subire la corsa. E per ora ha dato i suoi frutti. Kamna quando sta bene ha carta bianca e in fuga sbaglia poche volte. Kelderman anche nel giorno dell’Aprica è stato sfortunato: ha avuto dei problemi meccanici, e Hindley è lì. Vedremo cosa s’inventerà (ride, ndr).

E quindi si potrebbe arrivare tutti insieme ai piedi del santuario di Castelmonte?

Mi aspetto due corse, quella per la tappa e quella per la classifica. La tappa è divisa in due parti nette: i primi 75-80 chilometri che sono totalmente piatti, e i secondi 100, da Tarcento in poi, in cui non c’è più respiro. Quindi gli uomini di classifica che decideranno di attaccare devono essere consapevoli che il giorno dopo c’è la Marmolada.

Adriatica Ionica Race, viaggio nei sapori con il Food Project

21.05.2022
6 min
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Cinque giorni, quattro regioni per 826,5 chilometri. Questa è l’Adriatica Ionica Race 2022 che scatterà il 4 giugno con la tappa Tarvisio-Monfalcone. La corsa nata dall’intuizione del campione Moreno Argentin nel 2018 è arrivata alla quarta edizione. Un viaggio che attraverserà le bellezze dei territori di Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna e Marche

Non solo territorio e competizione ma anche gastronomia. La carovana della corsa infatti avrà un appuntamento fisso alla fine di ogni arrivo con le specialità del posto e un piatto tipico. Ispirata ai valori di un ciclismo passato, questa gara a tappe vede nel suo percorso luoghi come Monte Grappa, Mazzolano, Filottrano, Recanati, e l’arrivo ad Ascoli Piceno. Questi sono solo alcuni dei passaggi più iconici che gli atleti dovranno affrontare per la conquista della maglia azzurra. 

Da oggi vi accompagneremo nei cinque appuntamenti dedicati ad ogni frazione, attraverso territorio, cibo e le parole di: campioni, esperti ed ex cittì della nazionale. 

A tavola

L’Adriatica Ionica Race oltre ad essere un’occasione per la scoperta del territorio, è anche un viaggio tra le specialità gastronomiche di un Paese come l’Italia.

E’ nato infatti per questa edizione un Food Project, coordinato da Federico Da Re, attraverso cui ogni giorno, all’interno dell’area Hospitality creata presso la sede d’arrivo, il piatto del giorno verrà realizzato con i prodotti e le eccellenze agroalimentari del territorio. Un’opportunità per dare risalto alla specialità del luogo che ospita la carovana e dare la possibilità a chi segue la corsa di prendere spunto e conoscere i piatti tipici. 

Saranno inoltre proposti prodotti tipici che rispecchiano le eccellenze della gastronomia Friulana. Tra questi ci sarà il Consorzio Prosciutto San Daniele DOP con un tagliatore che farà assaggiare i tagli direttamente sul posto. E ancora, il salumificio Uniko con i suoi prodotti provenienti dal cuore della Valle del Vajont. Ci sarà anche una degustazione di vini proposta dall’azienda vinicola Cozzarolo di Cividale (UD).

Per il primo arrivo di tappa gli Chef Mirko e Alex De Luca, padre e figlio titolari di Filo Eventi, ci portano alla scoperta delle specialità.

«Tra i prodotti tipici che verranno proposti – spiega Mirko – si può trovare il prosciutto crudo San Daniele DOP, che nasce tra le colline di San Daniele del Friuli a pochi chilometri da Udine e le specialità che rispecchiano i sapori e i gusti del Friuli-Venezia Giulia. Non mancheranno i vini, i salumi e i formaggi come il Frico che rappresenta uno dei prodotti tradizionali di questa regione».

La corsa

Come già introdotto la corsa si svilupperà in cinque tappe che partiranno dal Friuli-Venezia Giulia, in particolare da Tarvisio a Monfalcone, 189 chilometri. La seconda tappa sarà invece teatro dei primi distacchi in classifica generale con la scalata del Monte Grappa su cui è posto l’arrivo. Mentre la partenza sarà dalla località di Castelfranco Veneto e si svilupperà poi in 155 chilometri.

La terza frazione scatterà dalla città emiliano romagnola di Ferrara per arrivare nel borgo storico di Brisighella con 139 chilometri alle spalle. La penultima tappa invece sarà ospitata dalle Marche dove andrà in scena la quarta frazione Fano-Riviera del Conero (Sirolo) con 165 chilometri. Infine l’ultima tappa Castelraimondo-Ascoli Piceno che consegnerà la maglia azzurra del leader al vincitore al termine dei 119 chilometri tra i sali e scendi marchigiani. 

Le altre maglie in palio saranno: la maglia verde per il migliore scalatore, bianca per il miglior giovane e la rossa per il miglior sprinter. 

La tappa

Il Friuli-Venezia Giulia aprirà le danze alla quarta edizione dell’Adriatica Ionica Race 2022. La prima tappa vedrà la partenza dalla città storica di Tarvisio. Una delle quattro città italiane che confinano con due Stati esteri: a un passo da Austria e Slovenia. Un primo appuntamento tutto sommato tranquillo con un’altimetria che non offre dislivelli eccessivi e salite che possano già dare una scossa alla classifica. I chilometri da percorrere saranno 189 e il dislivello sarà di 1400 metri. 

L’arrivo è posto nella città industriale di Monfalcone conosciuta in tutto il mondo per la maestosità delle navi che si costruiscono all’interno dei propri cantieri. Luogo insignito della medaglia al valor militare, dopo essere stata rasa al suolo durante la prima Guerra mondiale, ha saputo rinascere proiettandosi al futuro con la forza delle proprie tradizioni. 

Enzo Cainero e Chris Froome all’indomani della vittoria del britannico sullo Zoncolan nel 2018
Enzo Cainero e Chris Froome all’indomani della vittoria del britannico sullo Zoncolan nel 2018

Parla Cainero

Per raccontare cosa vuol dire ospitare un evento come l’Adriatica Ionica Race ci siamo affidati a Enzo Cainero. Colui che ha portato il ciclismo svariate volte nel territorio del Friuli e che ancora oggi lavora per ospitare le due ruote dei pro’ in più occasioni. 

«Il Friuli – dice – è presente da 19 anni con il Giro d’Italia, con ottimi risultati sotto tutti i profili. L’Adriatica Ionica Race è una corsa nuova che logicamente si è inserita molto bene nel nostro territorio. Questo infatti non è il primo arrivo di tappa che la nostra regione ospita.

«E’ logico che possa essere un elemento aggiuntivo a quella che è l’azione complessiva che la regione svolge per il ciclismo. Siamo un territorio amico delle due ruote, che grazie a passaggi come questi e all’organizzazione di corse per giovani e non solo, sta contribuendo a rendere questi luoghi sempre più appetibili e fruibili».

Pendenze Pericolose, il paradiso per ciclisti e accompagnatori

20.04.2022
5 min
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“L’unico albergo al mondo solo per ciclisti con bici da strada”. Basterebbe questa frase per descrivere il progetto di Pendenze Pericolose. Una storia nata otto anni fa che ha fatto il giro d’Italia e del mondo incuriosendo gli appassionati e non solo. Un vero e proprio paradiso per il ciclista situato ai piedi del “Kaiser” delle salite europee, lo Zoncolan

Un’intuizione, ma anche una scommessa che ha preso vita nel 2014 dal licenziamento dal posto fisso in Città del Vaticano del suo ideatore Emiliano Cantagallo e da sua moglie Esmeralda Mazzetti anche lei licenziata da una multinazionale. Poi la vendita della casa di proprietà e il salto nel vuoto ma con le idee chiare per un’ideale di ciclismo destinato ad essere un esempio per il mondo. 

Il logo è un cartello stradale che segnala una pendenza pericolosa con al posto del numero un punto interrogativo. Una rappresentazione di come la vita abbia in serbo per il futuro sorprese a cui ci si può preparare solo allenandosi e godendosi il viaggio. 

Gli otto appartamenti sono situati ad Arta Terme un paese a pochi chilometri dallo Zoncolan
Gli otto appartamenti sono situati ad Arta Terme un paese a pochi chilometri dallo Zoncolan

Carnia Cycling

Situato in Friuli Venezia Giulia per la precisione ad Arta Terme, Carnia Cycling è il luogo dove la bici e il ciclista diventano protagonisti. Composto da otto ampi appartamenti accessoriatissimi, da 100 a 120 mq, in una palazzina signorile, sapientemente ristrutturati su un unico o due livelli. Non è un semplice Bike Hotel in quanto in questa struttura se non si ha una bici da strada le porte non vengono aperte. 

Non è un concetto di esclusiva o antipatia ma semplicemente una valorizzazione della filosofia del suo ideatore Emiliano Cantagallo, elevata a comfort e benessere per chi decide di andarlo a trovare. Diventa un nido da cui spiccare per andare a planare tra le montagne salendo e scendendo in picchiata nel territorio friulano. 

Oltre a salite e discese, il territorio friulano ha anche fondo valle pianeggianti per escursioni più tranquille
Oltre a salite e discese, il territorio friulano ha anche fondo valle pianeggianti per escursioni più tranquille

Territorio unico

Perché il territorio della Carnia? «Mia mamma – risponde Cantagallo – era carnica e mio papà era ciclista (ride, ndr). Sette vallate meravigliose che io definisco “patrimonio mondiale del ciclismo”, perché racchiude ben quarantanove salite Hors Catégorie, tra cui: Zoncolan, Crostis e Stentaria.

«La Carnia è qualcosa di fantastico perché permette di fare pianura o salita. Percorrendo interi giri su vallate, pianure oppure in 30 chilometri fare 2.000 metri di dislivello. Costantemente contornati dalla flora e dalla fauna delle montagne imponenti. Si è sempre accompagnati dall’acqua con i sette fiumi che discendono dalle sette vallate. Affluenti del Tagliamento, che sono come una mano che racchiude questo territorio. E poi c’è questo asfalto perfetto con un traffico ridottissimo che rende questo posto unico al mondo. 

«C’è gente che ci viene a trovare da sette anni oppure c’è anche chi fa quindici giorni di soggiorno. Chi viene qui, arriva con il mito dello Zoncolan e torna a casa con un bagaglio stravolto da territori unici. Io stesso ho scalato il “Kaiser” 118 volte, ma sono innamorato di ognuna delle quarantanove salite».

Nella foto Emiliano Cantagallo, la moglie Esmeralda Mazzetti e il figlio Marco
Nella foto, Esmeralda Mazzetti e il figlio Marco

Servizi per la bici

Presso la struttura si possono reperire tutta una serie di servizi dedicati alle due ruote che rendono questo residence su misura per il ciclista. E’ presente la Bike Room allarmata e video sorvegliata. Il bicilavaggio, l’angolo per la manutenzione, lo Show Room e la vendita di integratori per lo sport. 

E ancora, il pulmino per il trasporto con carrello portabili e la vendita di accessori di primo consumo come camere d’aria, copertoni ecc… E’ presente anche la “Piazzetta dei Ciclisti” un luogo unico nel suo genere volto ad ospitare nei momenti di riposo i ciclisti e gli accompagnatori. 

Qui Emiliano Cantagallo insieme al suo amico e socio Giancarlo Fisichella
Qui Emiliano Cantagallo insieme al suo amico e socio Giancarlo Fisichella

L’Academy

Ad aiutare Emiliano in questo progetto c’è il figlio Marco anche lui guida turistica e formatore. Esatto, perché Pendenze Pericolose non si occupa solo di ospitare il ciclista ma è anche un accademia riconosciuta dalla federazione per la formazione di guide cicloturistiche.

«Sono stato nominato – spiega Cantagallo – formatore nazionale per cicloguide. Pendenze Pericolose ha come aspirazione la formazione delle guide per tutte le località d’Italia. Facciamo un Master per insegnare il mestiere di guida cicloturistica. 

«Lavorando 24 ore su 24 ho imparato a vivere questa figura. Con otto anni di lavoro e trenta persone alla settimana da guidare. Uno degli errori più grandi è pensare di fare la guida come secondo lavoro. La formazione è uno dei momenti più importanti. Anche perché è un ambiente un po’ lasciato al caso che deve trovare una dimensione comune. Per noi è una cosa seria e curiamo ogni dettaglio, dalla creazione del percorso al riuscire a legare con il territorio bike friendly, al bar alle pasticcerie affinché si sviluppi una coscienza comune. 

I paesaggi mozzafiato si snodano nelle sette vallate caratterizzate dalle 49 salite
I paesaggi mozzafiato si snodano nelle sette vallate caratterizzate dalle 49 salite

Saper accompagnare

L’importanza di saper guidare i cicloturisti ma anche quella di formare chi dovrà farlo è un aspetto a cui Cantagallo tiene molto.

«Prima di lavorare in Vaticano – racconta Emiliano – portavo la gente a visitare il mare sott’acqua. Ho alle spalle più di 5.000 immersioni. Per formare gli istruttori di subacquea dovevo fargli fare 200 ore di immersione e li portavo a testare le condizioni più stressanti. In bici questo non accade anche se in realtà è un ambiente molto pericoloso e che richiede un’attenzione costante. La cicloguida è quella che riesce a farti innamorare del territorio. Che è in grado di farti trovare l’acquario perfetto intorno a te. Non è semplice».

Un altro aspetto fondamentale per rendere una vacanza perfetta è saper intrattenere e cucire un soggiorno unico anche per chi accompagna il ciclista.

«Immagina che io e mio figlio prepariamo il furgone con tutti i cambi degli ospiti, lo portiamo all’arrivo di tappa di domani e torniamo indietro con la macchina. Facciamo 100 km, 2.300m di dislivello con arrivo in cima e ci trovi mia moglie con le mogli, figli e accompagnatori che hanno passato la mattina ad assaggiare la gastronomia e scoprire la tradizione del territorio. Si capisce che nulla è lasciato al caso, anche perché l’accompagnatore è altrettanto importante se non di più. E’ colui che sconta una pena (ride, ndr)».

Buja fucina di professionisti. E De Marchi è il pioniere

06.02.2022
8 min
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Un campanile, un piccolo centro storico arroccato su una collina, le zone residenziali in basso, un centro sportivo, il palazzo del comune e un bel gruzzolo di campioni: è Buja. Se si fa una percentuale fra corridori professionisti e abitanti di certo questo borgo vincerebbe a mani basse. Alessandro De Marchi, Jonathan e Matteo Milan, Nicola Venchiarutti, Davide Toneatti e Lorenzo Ursella, oltre ai crossisti Alice Papo e Tommaso Bergagna, sono “les enfants du pays”.

Andiamo in questo piccolo paesino della provincia di Udine. Siamo nel cuore del Friuli Venezia Giulia, tra le colline che separano la Carnia e le Prealpi Giulie. Il fiume Torre ad Est, il Tagliamento ad Ovest.

Rosa e oro

Questa estate i suoi circa 6.600 abitanti hanno vissuto una sbornia di gioia con i loro campioni: la maglia rosa di Alessandro De Marchi e la medaglia d’oro di Jonathan Milan. E proprio con il “Rosso di Buja”, Alessandro De Marchi, il pioniere, colui che ha aperto la strada, cerchiamo di capire perché da lì arrivano tanti ragazzi al professionismo.

«Io – spiega De Marchi – direi che si sta premiando il lavoro di una società che non sempre è sotto i riflettori, perché noi in Friuli siamo spesso un po’ lontani dei grandi riflettori. Ed è così un po’ in tutto. A volte è un qualcosa di negativo, a volte è un qualcosa di positivo. Essere un po’ più isolati è ormai parte della nostra identità e questo, tornando al ciclismo, si riflette soprattutto nel settore giovanile.

«Tuttavia giovanissimi ed esordienti sono sempre riusciti a resistere. E’ vero, ci sono meno corridori e meno gare, e lo specchio di tutto ciò è la categoria allievi, ma finché ci sono società che tengono duro le cose prima o poi vengono fuori».

Bujese e Jam’s

Le società che tengono duro: il nocciolo della questione forse è tutto qui. Oggi le squadre che lavorano con i ragazzi navigano in un dedalo di difficoltà, non solo economiche, ma anche burocratiche e tecniche. Pensiamo solo alle responsabilità nel portare un ragazzino in mezzo al traffico. 

«Quasi tutti – riprende Marchi – hanno cominciato nella Ciclistica Bujese. E di questa cosa ci pensavo proprio quest’anno al Giro. Guardavo il gruppo e mi dicevo: siamo in due di Buja e della Ciclistica Bujese. Oltre a me, infatti, c’era Venchiarutti».

«E poi c’è la Jam’s Bike Team. Questa squadra è nata anni dopo. All’inizio era votata solamente al ciclocross e alla mtb, poi si è aperta anche alla strada». Ed è qui, nella squadra creata da suo padre Flavio, che ha mosso i primissimi passi Jonathan Milan.

«La Ciclistica Bujese ha oltre 40 anni di attività, 44 credo. E’ davvero storica. Nacque poco dopo il terremoto del 1976 proprio per dare una possibilità in più ai ragazzi. Ha una tradizione fortissima. Molte delle persone che hanno tirato su me ci sono ancora, ma ce ne sono anche di nuove».

De Marchi, chiaramente tende per la Bujese, dove ha posto un pezzetto di cuore, però ammette che le due società, dopo gli screzi iniziali circa la nascita della Jam’s tutto sommato hanno collaborato. E, conoscendo la forte tradizione campanilistica italiana, non è affatto una cosa da poco.

«Con un paese di 6.000 abitanti o poco più – continua De Marchi – due società che fanno la stessa cosa un po’ mi lascia perplesso, ma loro iniziarono pensando al ciclocross. E tutto sommato si sono ritagliati una fetta specifica di attività.

«Se mi chiedete se sono a favore dei due team, direi che preferirei un’unione delle forze. E a volte tutto ciò è avvenuto, come per esempio nell’aiutarsi reciprocamente quando organizzano le gare. E poi in questo modo i ragazzi possono scegliere fra più attività. Ma questo è possibile perché alla base ci sono persone che si conoscono».

Alessandro De Marchi aveva 7 anni in questa foto. Ha iniziato con le gimkane promozionali
Alessandro De Marchi aveva 7 anni in questa foto. Ha iniziato con le gimkane promozionali

Come li crescono

«Negli anni che ho trascorso alla Bujese e per tutte le categorie non agonistiche (fino agli juniores, ndr) posso dire di aver svolto l’attività con serietà e con impegno, ma al tempo stesso senza stress da risultato. Non ci hanno mai messo fretta: né a me, né agli altri ragazzini e neanche alle famiglie. Anzi anche loro hanno condiviso questo stile».

Il discorso dei genitori pressanti in qualche modo viene toccato. Noi stessi chiediamo a De Marchi se da quelle parti le famiglie ancora sanno rispettare i ruoli della società civile in cui l’allenatore è l’allenatore, il maestro è il maestro… 

«I genitori che rispettano questo stile ti permettono di svolgere un’attività sana per i ragazzi. Se penso alla mia esperienza ricordo che gli allenatori volevano impegno, ma non sono mai stati pressanti».

«E forse io sono proprio l’esempio perfetto per questo discorso. Solo da juniores ho iniziato a fare qualche “risultatino”, ma fino da allievo ero entrato solo qualche volta nei primi dieci. In un’altra società non so se sarebbe andata allo stesso modo.

«Ho più ricordi delle grigliate e delle partite a pallone dopo la gara, che delle gare stesse. Si faceva la corsa, c’erano le premiazioni, si apriva il baule della macchina e si iniziava a mangiare e bere sul posto».

Effetto campioni 

Ma torniamo a quanto accennato all’inizio. Dopo la sbornia di successi di questa estate, i ragazzini di Buja hanno più voglia di fare ciclismo? C’è stato un effetto entusiasmo?

«Sicuro! È automatico che accada quando ci sono dei successi così grandi – riprende De Marchi – Le Olimpiadi e la maglia rosa sono un bel riflettore. Mi aspetto nei prossimi anni una certa risposta dal territorio. E di questo sono molto contento. Sono contento che il nostro esempio stia dando i suoi frutti.

«Io pioniere? Anche per questo sono molto vicino alla Bujese, spero che la mia visibilità sia di riflesso anche per loro».

I campioni però non bastano. La gioia di un oro olimpico è enorme, ma come un’ondata arriva e se ne va. “Per trattenere l’acqua” serve il lavoro costante sul territorio. Serve costruire una base solida e soprattutto che sia concreta.

«Come attraggono i ragazzi? Principalmente si fa promozione nelle scuole, un po’ come accadde con me. E’ lì che si va a proporre l’attività del ciclismo. Io per esempio iniziali ad una sagra di paese: era una gimkana promozionale. La Bujese metteva a disposizione le bici, i caschi e mi buttai… Tempo fa andai ad aiutarli anch’io in un evento simile».

Una veduta di Buja (foto Turismo FVG)
Una veduta di Buja (foto Turismo FVG)

Poco traffico?

Una cosa che ci colpì quando andammo a Buja proprio per delle interviste con De Marchi e Milan, tra l’altro una delle prime di bici.PRO, fu la tranquillità di questo paesino. Colline dolci da una parte, montagne un po’ più alte dall’altra e una certa scarsità di traffico. Elemento quest’ultimo affatto secondario.

«Traffico tranquillo dite? Sì e no, rispondo io – replica De Marchi – Dipende da cosa si è abituati a vedere. Se mi dite che la situazione è tollerabile dico okay, ma se mi chiedete com’è rispetto a qualche anno fa, dico che le cose sono peggiorate. Non siamo a livelli intollerabili, ma…».

«Gestire un team di giovanissimi non è così facile. Portarli ogni tanto fuori dal pistino è una bella responsabilità. Anche per questi motivi nacque la Jam’s che puntava sull’offroad, fra cross e mtb.

«La Bujese ha una piccola pista nella zona sportiva del paese. E’ un giro che corre attorno ai campi da calcio e va molto bene per la categoria dei giovanissimi, specie quelli più piccoli. In più da qualche anno collaboriamo con la Carnia Bike, società di Tolmezzo. Loro avevano molte richieste da parte di bambini, ma il loro settore erano le granfondo. Sono degli amatori. Quindi hanno chiesto aiuto a noi per iniziare i ragazzi al ciclismo».

«A Tolmezzo, che dista circa 30 chilometri da Buja, c’è un una vera e propria pista per la guida sicura. E lì gli amici della Carnia Bike hanno iniziato ad allenare i giovani. Ma è un luogo ideale anche per i più grandi e così ogni tanto ci portiamo anche i nostri ragazzi».

Il “Rosso di Buja” starebbe ore a parlare di questo argomento. Alessandro risponde davvero in modo appassionato. Quando può dà una mano, partecipa alle riunioni. Gli avevano anche proposto di fare il vicepresidente della Ciclistica Bujese: «Ma – risponde – a quanto pare se sei un professionista non puoi avere anche la tessera da vicepresidente di una società giovanile. Mah…».

Quel Milan corridore prima di Jonathan e Matteo

28.12.2021
6 min
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La prima volta che incontrammo Jonathan Milan era alla fine del 2019 e il gigante di Buja si era recato con suo nonno presso la sede del CTF Lab per mettere a punto la posizione. Villa lo aveva notato in pista e lo aveva convocato per un ritiro. Solo dopo qualche ora, parlando con il diesse Renzo Boscolo, facemmo il collegamento tra quel cognome e un corridore friulano classe 1969 che quasi trent’anni prima avevamo visto passare professionista con l’Amore e Vita. Era l’estate del 1992 e scaduto il blocco olimpico quasi 40 dilettanti italiani si riversarono tra i professionisti.

«Solo una decina di loro tenne banco – racconta Flavio Milan – i più, fra cui anche io, smisero nel giro di un paio di stagioni. In quegli anni era così, non eravamo poi così maturi per passare. E io in casa non avevo nessuno per consigliarmi, a parte mio padre che aveva imparato da sé. Per i miei figli è stato diverso. Avere in famiglia uno che ha corso fa una bella differenza».

Flavio Milan passò professionista nell’estate del 1992 (foto Amore & Vita)
Flavio Milan passò professionista nell’estate del 1992 (foto Amore & Vita)

Flavio Milan, classe 1969

Flavio Milan è il padre di Jonathan e Matteo, figlio di quel nonno che tre anni fa accompagnò l’altissimo nipote biondo. Da dilettante in tre anni, Flavio vinse le internazionali più belle. Il Buffoni e il Belvedere, il Trofeo Zssdi e l’Astico-Brenta, il Trofeo Del Rosso e una tappa del Val d’Aosta, una tappa alla Settimana Bergamasca e il Trofeo De Gasperi. Se non avesse avuto davanti nomi come Bartoli e Casagrande, Pantani, Casartelli e Belli, probabilmente avrebbe meritato spazio in una squadra più grande.

I figli hanno seguito le sue orme – uno già professionista al Team Bahrain Victorious e campione olimpico e mondiale, l’altro U23 di primo anno al CT Friuli – anche se all’inizio lui fece di tutto perché provassero altro.

Un panino durante l’allenamento e poi si riparte: a sinistra Matteo, a destra Jonathan
Un panino durante l’allenamento e poi si riparte: a sinistra Matteo, a destra Jonathan
Li mettesti tu in bicicletta?

Le ho provate tutte perché si dedicassero ad altro. Jonathan ha fatto tennis, nuoto, judo e basket, però si vedeva che non fosse contento. Idem suo fratello Matteo. Finché ci trovammo con un amico, Marco Zontone con cui correvo fra gli amatori, e fondammo la Jam’s Bike Team Buja, smettendo a nostra volta di far gare. Iniziò tutto così. Jonathan cominciò a 5 anni con la mountain bike. Ci tenevo che all’inizio fosse per gioco, sviluppando le abilità alla guida.

Che effetto fa ora pensare che quel bambino è un campione olimpico?

Un bell’effetto, ma anche strano. Non pensavo che sarebbe arrivato così rapidamente a certi risultati, così come che passasse così presto tra i professionisti. Per i nonni e per la mamma è una grandissima emozione. Per me che ho corso è diverso. Da ex corridore, avrei voluto correrle le Olimpiadi. Sono il sogno di tutti, ci vedo un po’ i miei sogni. Avevo vinto i mondiali militari 1988 nella Cento Chilometri, ma non sono riuscito ad andare ai Giochi.

La Jam’s Bike Team Buja, creata anche dal padre, è stata la squadra d’esordio per Jonathan e Matteo (foto Facebook)
La Jam’s Bike Team Buja è stata la squadra d’esordio per entrambi (foto Facebook)
Che idea ti sei fatto dei tuoi figli come corridori?

Jonathan è un passista veloce, che però riuscirà a buttarsi anche nelle volate. Ha quel pizzico di follia che serve per farlo. E poi, avendo tutta questa resistenza sui 4 chilometri, potrà fare anche volate più lunghe.

Invece Matteo?

Matteo è tutto da capire, perché è giovane. Tiene bene sulle salite medie ed è veloce. Al confronto con Jonathan, lui somiglia a me, perché è più piccolino. Jonathan è più pesante, le salite di 4 chilometri sono il suo limite.

Sono due ragazzi molto educati.

Gli abbiamo dato i valori di una famiglia normale, in cui più che con le parole si insegna con l’esempio. Insegnamenti che imprimi quotidianamente.

I ragazzi sembrano molto legati fra loro.

Jonathan non lo dà a vedere, ma si preoccupa per Matteo. Lo controlla tramite i suoi compagni di squadra, i tecnici e lo stesso Andrea Fusaz del CTF Lab, che li prepara entrambi.

Le due vittorie di Matteo non hanno aiutato nella ricerca di un team U23 (foto Scanferla)
Le due vittorie di Matteo non hanno aiutato nella ricerca di un team U23 (foto Scanferla)
Si è un po’ discusso lo scorso anno sull’età di Jonathan e sul suo passaggio…

Ha visto l’opportunità di passare e si è detto che magari il treno non sarebbe ripassato e che poteva succedergli qualcosa per cui non lo avrebbero più voluto e non si sarebbe riconfermato. Adesso non si passa più a 25 anni, adesso a 25 anni si smette. Per cui o si mettono delle regole, oppure si continua così.

Così come?

Tutti parlano di tenerli calmi, ma intanto iniziano a prepararli da esordienti. Io li ho fatti crescere entrambi tranquilli, ma col senno di poi, avrei potuto aumentare del 10 per cento i carichi ai 12-13 anni. Forse con qualche risultato di più, avrei avuto meno difficoltà a trovare una squadra per Matteo. Dicono di tenerli calmi da juniores e poi però vanno a vedere i risultati delle categorie precedenti. Secondo me è tutto sbagliato, ma succede perché i pro’ li cercano a 19 anni. Bisognerebbe che restassero per tre anni fra gli under 23.

Credi che Jonathan sia passato presto?

Ne sono certo e gli mancano le corse a tappe. Al secondo anno da U23 ha fatto il Giro d’Italia, spero che ora possa farne in modo graduale. Non si può buttarli nei primi anni a fare i grandi Giri.

Quando ti sei accorto che avessero qualcosa di speciale?

Jonathan prendeva la bici come gioco anche una volta passato su strada, forse perché veniva dalla MTB. Non ci metteva la grinta necessaria. Se faceva una salita con il nonno, a metà si stancava di stringere i denti e si metteva a fare le impennate, con mio padre che si infuriava fuori misura. La prima volta in cui si è impegnato fu ai regionali su pista al primo anno da junior.

Jonathan Milan è passato dopo due anni da U23: qui nel 2019 (foto Scanferla)
Jonathan Milan è passato dopo due anni da U23: qui nel 2019 (foto Scanferla)
Cosa successe?

Si trovò in finale contro Amadio. Jonathan partiva più forte, l’altro veniva fuori alla distanza. La pista gli piaceva forse perché le gare duravano solo 4 minuti. Così partì a tutta e poi tenne, con Floreani, il direttore sportivo del Team Danieli, che si stupì per il suo rendimento. La pista ce l’ha nel sangue…

Invece Matteo?

A lui la pista non piace, la trova stressante, fra rulli, gare e il pubblico addosso. A Matteo piace la strada e vuole migliorare in salita, ma credo che 2-3 anni da under 23 per lui saranno necessari. Con Fusaz che è molto bravo a leggere i dati.

Un ciclismo diverso dal tuo…

Qualcosa posso ancora spiegargli a livello di tattica. Per il resto ognuno si allena da solo, mentre noi uscivamo in gruppetti. Non è facile allenarsi sempre da soli, devi essere molto motivato. Quanto ad altri consigli… Dico loro di ascoltare tutti, anche il vecchietto che prima della partenza li avvisa di un passaggio particolare. Ascoltare tutti e poi farsi la propria opinione. E’ importante ragionare con la propria testa. Anche se il consiglio gli arriva dal padre…

Briko veste la Deejay 100 Virtual Race

26.11.2021
2 min
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Domenica 28 novembre è in programma l’edizione 2021 della Deejay100 Virtual Race, gara ciclistica online organizzata da Radio Deejay. Briko sarà partner tecnico della manifestazione avendo disegnato la maglia ufficiale dell’evento. Un capo speciale che sarà fornito a tutti i partecipanti in modo che lo possano così indossare nel corso della gara.

Linus, direttore artistico e voce di Radio Deejay grande appassionato di ciclismo
Linus, direttore artistico di Radio Deejay e appassionato di ciclismo

Un tributo a Milano

La maglia è stata creata dal centro Ricerca e Sviluppo di Briko. Il disegno vuole essere un tributo alla città di Milano come dimostra il richiamo grafico alla rete stradale del capoluogo lombardo. La vestibilità comoda e avvolgente la rende inoltre un prodotto ideale per chi va in bici. Tutti i partecipanti alla Deejay100 Virtual Race riceveranno la maglia direttamente a casa, unitamente al pettorale personalizzato, come se si trattasse del pacco gara di una normale gran fondo.

Si pedala in Friuli

Il percorso dell’edizione 2021 della Deejay100 Virtual Race è stato disegnato fra i meravigliosi paesaggi delle Alpi friulane e misura esattamente 24,8 chilometri con un dislivello complessivo di 600 metri. Si tratta di una distanza che su strada può non essere impegnativa, ma che sui rulli e con il dislivello da coprire richiede un certo impegno. La Deejay100 Virtual Race è infatti una gara “virtuale” da correre con i propri rulli interattivi, classici senza sensori o spinbike, connessi a un’applicazione online tramite computer, tablet o smartphone. Sarà inoltre possibile seguire live la gara su Facebook.
Il tempo massimo per completare il percorso sarà di 100 minuti mentre la partenza è fissata per le 10. A guidare il gruppo ci sarà naturalmente Linus, direttore artistico di Radio Deejay e grande appassionato di ciclismo.

Maglia della Deejay100 Virtual Race disegnata da Briko
Maglia della Deejay100 Virtual Race disegnata da Briko

Con Briko al proprio fianco

L’edizione 2021 della Dejay100 Virtual Race conferma ancora una volta lo stretto legame che si è creato nel corso di quest’anno tra Linus e Briko. Lo scorso mese di giugno Briko ha infatti disegnato la maglia ufficiale che Linus e Nicola Savino hanno indossato in occasione del Tour de Fans, una pedalata in 15 tappe che ha portato nell’arco di tre settimane i due rappresentanti di Radio Deejay a pedalare lungo l’Italia.

Briko

Gasparotto alla Bora? Un ottimo acquisto, ecco perché

18.11.2021
5 min
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Gasparotto ha già cominciato a lavorare. Martedì si è caricato in macchina Matteo Fabbro e, approfittando del fatto che il biondo vive vicino ai suoi genitori, sono andati insieme a vedere la tappa del Santuario di Castelmonte, terzultima del Giro.

«Tappa interessante – dice prima di rimettersi in viaggio per Lugano – in zone che non ho mai frequentato. Quello è il feudo di De Marchi, che abita ai piedi delle prime salite di tappa. La salita di Kolovrat che parte dalla Slovenia vicino Caporetto è davvero dura. Sale su uno di quei passi su cui le dogane non sono controllate. Là in cima hanno tutti il fucile in casa. E’ un po’ lontana da Castelmonte, perché prima di scendere su Cividale c’è una serie di su e giù. Ma è dura…».

Un post su Instagram per annunciare il passaggio alla Bora-Hansgrohe
Un post su Instagram per annunciare il passaggio alla Bora-Hansgrohe

Progetto Bora-Hansgrohe

Il “Giallo” è uno dei nuovi direttori sportivi della Bora-Hansgrohe ed è stato bravissimo a tenersi il segreto in pancia, dato che le trattative sono iniziate molto presto nel corso della stagione. Dice che al momento dei primi contatti era concentrato su altre cose e che lo ha conquistato il fatto che si sia parlato di un progetto a lungo termine.

«Hanno parlato di anni futuri – spiega – e questo mi convince, perché non è facile cambiare tanto in una squadra in poco tempo. Avevo diverse idee per la testa. Nel 2021 ho avuto la fortuna di capire come si lavora in un’organizzazione come Rcs. Poi ho avuto la possibilità di sperimentarmi nel ruolo di direttore sportivo, sia pure in una continental (in apertura, sull’ammiraglia della Nippo Provence, in una foto scattata da sua moglie Anna Moska, ndr). E’ presto per dire se quello che sto iniziando è ciò che mi piacerebbe fare da grande. Adesso siamo tranquilli, vedremo come andrà sotto stress».

Gasparotto ha partecipato al Giro d’Italia del 2021 come regolatore in moto, assieme a Velo, Longo Borghini e Barbin
Gasparotto ha partecipato al Giro come regolatore in moto, assieme a Velo, Longo Borghini e Barbin

Giovani direttori

I team manager hanno capito che puntare su direttori sportivi appena scesi di bici offre un enorme vantaggio nel rapporto con i corridori. Perché sanno cosa vivono i ragazzi, avendo ancora sulla pelle e nella testa le stesse sensazioni. Parlano la stessa lingua. E gli atleti giovani, che credono ai fatti più che alle parole, ascoltano più volentieri un tecnico che fino al giorno prima era in mezzo a loro e aveva una voce forte nel gruppo. Uomini che hanno vissuto la schiavitù dei watt, ma sanno che in un corridore c’è tanto di più. E’ così con Pellizotti al Team Bahrain Victorious, con Tosatto alla Ineos e sarà così con Bennati in nazionale.

Si dice che da grandi si tende a imitare quello che si è vissuto. Quale sarà il tuo riferimento?

Per me Rolf Aldag è stato un bel modello e ho la fortuna di lavorarci anche alla Bora. Poi un altro bell’esempio è stato Marcello Albasini, con cui ho lavorato nella continental. Lui è stato illuminante per la capacità di essere padre dei corridori nonostante la grande differenza di età, il fatto di saperli ascoltare. Da tutti si può prendere qualcosa, non vorrei fare nomi…

Nemmeno di Fortunato Cestaro?

Fortunato fu un secondo padre, abbiamo lavorato insieme nei dilettanti e purtroppo non c’è più. Porto con me tutto il buono che mi ha insegnato. E a questo punto, parlerei anche di Franco Cattai, che mi ha messo in bici e che diceva allora in dialetto veneto le cose che ora vengono dette in inglese. Da tutti ho imparato qualcosa, che mi tornerà utile. Il ciclismo è cambiato molto. E’ tutto o niente, è diventato totalizzante. Si rischia di trascurare l’aspetto umano e le esigenze dei ragazzi

Sai già i nomi dei corridori con cui lavorerai?

Ne avrò sei e alcuni che mi intrigano, perché hanno dei caratteri particolari. Ci sono anche gli italiani…

Nel 2005 Gasparotto è passato alla Liquigas, qui al Trofeo Laigueglia
Nel 2005 Gasparotto è passato alla Liquigas, qui al Trofeo Laigueglia
Cosa ti pare di Aleotti?

Quando su un atleta si fanno programmi a lungo termine, vuol dire che la squadra ci crede. Giovanni ha caratteristiche simili alle mie, sarebbe intrigante portarlo alle classiche del Belgio e provare a fare qualcosa di buono.

Credi che questo incarico pareggi i conti con la cattiva sorte che ha condizionato tanto la tua carriera?

Non pareggia i conti, perché in definitiva nonostante gli alti e i bassi, sono contento della strada che ho fatto. Non ho rimpianti e rifarei certe cose, perché tutto, anche gli errori, mi hanno consentito di essere la persona che sono oggi. E sono contento perché entro in un ambiente che, tolti Aldag ed Eisel, non mi conosce…

Che cosa intendi?

Se mi avessero conosciuto 10 anni fa, magari il ricordo li condizionerebbe. Il “Gaspa” di oggi non è quello di prima e devo ammettere che mi piace più quello di oggi di quello di allora. Riconosco che ero un bel testone…

Ti sei fatto da solo la prossima domanda…

In che senso?

Che cosa diresti al “Gaspa” di allora se fossi il suo direttore sportivo?

Eh… (ride, ndr). Cercherei il canale giusto. Gli spiegherei quello che ho vissuto, sperando che accenda la lampadina anche a lui. Ho da raccontare esperienze pratiche che a me sono costate, io ho avuto tempo per rimediare, loro non ce l’hanno. Bisogna tirare fuori il meglio da tutte le situazioni, perché oggi il margine di errore è davvero ridotto.

Fabbro e Aleotti sono due dei corridori che lavoreranno con Gasparotto
Fabbro e Aleotti sono due dei corridori che lavoreranno con Gasparotto
Come si fa a conquistare la fiducia dei corridori?

Ve lo dico l’anno prossimo (ride nuovamente, ndr). Siamo tutti diversi, per questo è bello e interessante farne parte. Non si può avere con tutti lo stesso approccio, con ciascuno va trovato quello giusto ed è parte del mio lavoro. Arrivo da un corso all’Uci, in cui erano comprese quattro ore di coaching per spiegare come essere a capo di un gruppo di corridori. L’ho trovato molto interessante.

Prossimi passi?

Ritiro in Germania per programmi e misure. Poi liberi fino a gennaio e a quel punto si andrà in ritiro a Mallorca. La squadra ha deciso di lasciarli liberi a dicembre, perché i ragazzi sono veramente professionali. Ai miei tempi c’era da puntare il fucile perché ci allenassimo, qui bisogna frenarli perché fanno anche troppo. Aleotti e Fabbro andranno alle Canarie, molti si stanno attrezzando in questo senso. Stressarli adesso non serve. Saltato il Tour Down Under, si comincerà tutti più avanti. E la stagione sarà ancora una volta lunghissima…