A volte la memoria t’impone un prezzo. Così quando l’altro giorno Mirko Rossato, citando la squadra in cui correva fra i dilettanti, ha parlato dei compagni di allora, il nome di Zanette si è messo a ballarci nello stomaco. A gennaio saranno 19 anni dalla sua scomparsa e chiunque abbia vissuto quel ciclismo non può non aver avuto la stessa reazione. E allora abbiamo deciso di pagarlo volentieri il conto alla memoria, rivolgendoci a uno dei compagni di allora, che con Denis si allenava tutti i giorni.
L’amico Biagio
Oggi Biagio Conte è uno dei direttori sportivi della Eolo-Kometa, ma allora era un velocista palermitano arrivato al Nord in cerca di gloria e fortuna. Vestiva la maglia della Mg Boys di Danilo Furlan e nel 1991 si vide arrivare in squadra il corridore di Sacile, di due anni più giovane.
«All’inizio – ricorda – più che amicizia fu un rapporto fra colleghi. Io vivevo in hotel a Vittorio Veneto, poi però conobbi mia moglie Rosi e mi spostai a Sacile, il suo paese. E a quel punto l’amicizia si rafforzò. Credo di essermi allenato senza Denis solo poche volte, mentre ad esempio Bruseghin che pure è vicino, preferiva andare da solo. Ognuno ha le sue abitudini…».
In perfetto ritardo
Biagio sorride, probabilmente trovando inatteso che qualcuno abbia voglia di scrivere di Denis a tanti giorni da qualsiasi ricorrenza.
«La prima cosa che ricordo – dice e sorride – sono i ritardi di tutte le mattine, quando lo passavo a prendere per allenarci. Era ogni giorno in perfetto ritardo. Arrivavo sotto casa sua e lui veniva fuori dalla finestra del bagno ancora in pigiama e diceva che aveva ancora cinque minuti, per cui potevo entrare a fare colazione con sua mamma. E così mi toccava la seconda colazione.
«Di solito ci allenavamo con la squadra di Mino Bariviera (ex professionista e storico diesse fra i dilettanti, ndr) che partivano dal passaggio a livello di Conegliano. E visto che avevamo 15 chilometri per raggiungerli ed eravamo sempre in ritardo, aspettavamo il primo camion che partiva dalla cava di Sarone per metterci a ruota e riguadagnare un po’ di tempo. Ma c’era da menare…».
Una fuga di 170 chilometri
Nonostante fosse più giovane, Denis al professionismo ci arrivò un anno prima di Biagio, ma la routine quotidiana e l’amicizia non cambiarono di molto.
«Alle gare capitava spesso di trovarsi al villaggio di partenza – ricorda Conte – e di organizzare qualcosa insieme, un attacco o una fuga. L’atro giorno mi sono ritrovato a guardare su Youtube le immagini della mia prima Vuelta in cui vinse due tappe. Pochi giorni dopo la prima vittoria (Conte vinse la prima tappa a Valencia e il giorno dopo fu leader, ndr) ci ritrovammo in fuga per 170 chilometri. C’era Baldato secondo in classifica che puntava alla tappa e alla maglia, così aveva messo tutta la Mg-Technogym a tirare. Bell’amico, avevo corso anche con lui da dilettante (ride, ndr).
«Ma noi davanti non abbiamo mollato un solo metro. Parlavamo. Si concordava tutto. Io soffrivo in salita, per cui un po’ si calava, ma in pianura eravamo sempre pancia a terra. Solo che il vantaggio non andò mai oltre i 2’30”, ci tenevano a bagnomaria e vennero a riprenderci su uno stradone a 20 dall’arrivo. E alla fine Baldato vinse la tappa».
Il gigante buono
Come fu che Zanette, cui certo non mancava il carattere, di colpo divenne per tutti “il gigante buono” è uno di quegli aneddoti che riportano a un ciclismo più verace di quello attuale.
«Era al suo primo anno da pro’ – racconta – con la Aki-Gipiemme. Aveva vinto la tappa del Santuario di Vicoforte al Giro e lo portarono al Tour a tirare sulle salite per Simoni. Doveva fare dieci tappe, per esperienza soprattutto. Un giorno, dopo che aveva tirato su un Gpm, Virenque strinse Simoni contro le transenne. E Denis, che carattere ne aveva sebbene fosse al primo anno, andò da Virenque a tirargli le orecchie per il suo gesto. E si guadagnò il suo soprannome. Era un ragazzo splendido, sempre pronto alla battuta…».
Manuela di Denis
A volte la memoria t’impone un prezzo e anche Biagio s’è lasciato trasportare dai ricordi. Così fa una pausa, riflette e riparte.
«Alle corse ti divertivi – dice – perché dopo cena ti ritrovavi nella reception a parlare, ridere, prenderci in giro, fare scherzi e il tempo passava alla grande. Oggi devi essere bravo con la tua squadra a fare un meeting dopo cena con la scusa di prendere un caffè e allora per una mezz’ora riesci a parlarci un po’, altrimenti sono tutti per i fatti loro col cellulare in mano. Pensate che domenica saremo a pranzo con Manuela, sua moglie, che per noi è ancora “Manuela di Denis”. Le figlie sono cresciute. Anna ha 22 anni e Paola 19. Le ho detto che avremmo parlato di Denis, mi sembrava giusto. Incredibile che siano già passati quasi vent’anni…».