Campionati del mondo 2020, Imola, foto di gruppo per Davide Cassani, Federico Morini, Gianluca Carretta, Vincenzo Nibali

Gli infortuni senza ritorno: la lettura di Gianluca Carretta

06.10.2025
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«Se butti nella mischia un atleta di alto livello – dice serio Gianluca Carretta – perché normalmente spingi per il recupero degli atleti top, rischi di ottenere l’effetto opposto. Anche gli atleti vertice, se non sono in condizione, con i ritmi di adesso vanno in difficoltà. Per cui il rischio è di mettere sotto stress un organismo che è già sotto stress. Perché ha già subito quelli del trauma e quelli di un recupero affrettato. Quando è così, il corpo reagisce e ci sta che vengano fuori dei flop. E’ sicuramente meglio un recupero graduale e corretto, a maggior ragione nel ciclismo di adesso in cui vanno sempre a tutta».

Bernal è tornato in gruppo dopo l’incidente del 2022, ma non ha mai ritrovato il suo livello precedente e ha spesso dovuto fermarsi (foto La Sabana)
Bernal è tornato in gruppo dopo l’incidente del 2022, ma non ha mai ritrovato il suo livello precedente e ha spesso dovuto fermarsi (foto La Sabana)

I campioni spariti

Gianluca Carretta (in apertura con la maglia bianca assieme a Cassani, Morini e Nibali) è uno degli osteopati più esperti che abbia lavorato nel mondo del ciclismo. Ha aiutato il recupero di decine di atleti: quelli delle squadre in cui ha lavorato e anche quelli che si presentavano al suo ambulatorio di Parma. E ora che ha lasciato il mondo delle squadre ed esercita la professione nel suo studio, ha passato il testimone a suo figlio Matteo, fresco di inserimento nello staff della XDS-Astana. Lo abbiamo coinvolto per dare una misura ai mancati ritorni alla piena efficienza di atleti come Froome, Bernal, Alaphilippe, Marta Cavalli. I campioni che dal 2019 in avanti, in seguito a infortuni piuttosto seri, sono rientrati in gruppo senza più ritrovare il loro livello. Dipende dal tipo di incidente, dalla fretta di recuperare o dal ciclismo di adesso che non ti perdona lo stop di un anno in cui cerchi di ricostruirti?

«C’è infortunio e infortunio – annuisce Carretta – se mi rompo il femore, una volta che l’osso è a posto e recupero la muscolatura della gamba, il lavoro è fatto. Se vai accanto alla spalla e magari trovi delle lesioni ai legamenti o ai tendini, il discorso diventa un po’ più complesso. Altra storia invece è subire dei politraumi come quelli che hanno subito Froome e Bernal. Io non conosco bene la loro storia clinica, ne ho letto sui giornali, però il concetto resta. Nel momento in cui si parla di politrauma, cioè hai varie fratture e magari vai accanto alla colonna vertebrale, come è successo per Bernal, è chiaro che le cose si complicano».

Il 2022 fu anche l’anno dell’incidente che, sia pure non all’istante, ha segnato la carriera di Marta Cavalli
Il 2022 fu anche l’anno dell’incidente che, sia pure non all’istante, ha segnato la carriera di Marta Cavalli
La colonna vertebrale è la vera discriminante?

Si va potenzialmente accanto al sistema nervoso centrale e al sistema neurovegetativo. Non dimentichiamoci che la colonna vuol dire plessi nervosi che gestiscono i movimenti, ma vuol dire anche plessi nervosi latero-vertebrali che gestiscono l’attività fisiologica viscerale, che permette il recupero. Se vengono influenzati i processi di recupero, si incide in modo abbastanza importante sulla funzionalità del corpo.

Si dice che gli atleti di vertice siano fenomenali anche nella rapidità del recupero. Nella carriera di Gianluca Carretta è mai capitato di dover forzare la mano?

Sono ragazzi giovani, che hanno dei tempi di recupero molto rapidi, ma ci sono dei criteri da rispettare. Il tempo dedicato al recupero dipende dalla squadra. Io sono stato in gruppi che hanno sempre rispettato i tempi, senza mai fare troppa pressione. Se non l’ultima volta, ma di comune accordo con l’atleta, quando si decise di forzare i tempi. Mi riferisco al Tour del 2018 in cui Nibali ebbe una frattura da compressione di una vertebra.

Si parlò molto del tipo di intervento, proprio per accelerare il recupero, dato che i mondiali di Innsbruck sembravano perfetti per lui…

Venne fatto un tentativo di recupero veloce, per permettergli di correre anche la Vuelta. Ricordo che finii anche in una mezza polemica, perché mi scappò detta una cosa a un giornalista, che lo scrisse. Dissi che avevamo tentato di recuperare alla svelta, non rispettando i tempi corretti. Era vero, ma in squadra ci fu un po’ di maretta. Lo facemmo di comune accordo, perché Vincenzo era consapevole di tutti i rischi. Voleva andare alla Vuelta, per cui nel giro di un mese fu abile per tornare, sebbene la frattura da compressione di una vertebra normalmente richieda un po’ più di pazienza.

Un mese dopo la frattura al Tour del 2018, Nibali si schierò al via della Vuelta: un recupero forzato, secondo Carretta, concordato fra atleta e squadra
Un mese dopo la frattura al Tour del 2018, Nibali si schierò al via della Vuelta: un recupero forzato, secondo Carretta, concordato fra atleta e squadra
La cosa funzionò?

Vincenzo venne rimesso in condizioni di correre la Vuelta, chiaramente però in una condizione non ottimale dal punto di vista atletico e andò come andò. In quel caso in effetti vennero fatte un po’ di pressioni. Per il resto non ho dovuto gestire grossi infortuni. Mi viene in mente Cancellara al Tour del 2015, quando era maglia gialla. Anche lui si era fratturato due o tre vertebre, ma in modo meno grave di Vincenzo. In quel caso non venne fatta troppa pressione, anche perché con Luca Guercilena certi tempi venivano rispettati. Oppure ricordo il bacino rotto di Michele Bartoli al Giro del 2002, ma rispettammo i tempi.

Evenepoel tornò in gara al Giro d’Italia sette mesi dopo l’incidente del Lombardia 2020, ma trovò un livello troppo alto e dovette fermarsi. Bernal è tornato e si è fermato più di una volta. Non sarebbe meglio rientrare quando si è davvero a posto?

Su questo con me trovate una porta aperta. Secondo me è sbagliato accelerare i tempi rispetto a certi infortuni, a meno che non si tratti di un infortunio banale.

Traduci banale?

Quando Lance Armstrong tornò a correre, poco prima del Giro del 2009 si ruppe la clavicola in una garetta in Spagna, se ben ricordo (nella prima tappa delle Vuelta Castilla y Leon, ndr). Venne operato, gli fu messa una placchetta in titanio sulla clavicola e dopo tre giorni era in bici. Con la placca, la clavicola rotta era più solida dell’altra: quello è un incidente banale.

Dopo l’incidente del 2019 Froome non è più stato neppure l’ombra del campione vincitore di 4 Tour, un Giro e 2 Vuelta
Dopo l’incidente del 2019 Froome non è più stato neppure l’ombra del campione vincitore di 4 Tour, un Giro e 2 Vuelta
Per quelli più complessi?

Per un atleta di prestazione è sicuramente meglio tornare in gara nel momento in cui fisiologicamente è completamente recuperato, dal punto di vista osseo e anche funzionale. Deve ritrovare la condizione, quindi accelerare i tempi significa sollecitare il corpo in modo eccessivo. Ribadisco: soprattutto in questo ciclismo che non ammette ritmi blandi. Io sono sempre dell’idea che sia meglio rispettare la fisiologia. Per cui, se mi chiedete se sono d’accordo su un recupero veloce o su un recupero lento e fisiologico, sicuramente scelgo la seconda.

Vuelta, tappa bellissima mozzata dalla protesta. Vince Bernal

09.09.2025
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Gianmarco Garofoli, che stamattina ha lasciato la Vuelta a causa di un virus intestinale che lo ha colpito nella notte, lo aveva detto: «Qui in Spagna la questione palestinese è molto sentita, specie al Nord». E così oggi una tappa che si stava annunciando interessante e anche emozionante, vista la durezza del percorso, è stata mozzata sul più bello.

Per la cronaca ha vinto Egan Bernal, ma certo annunciare così una sua vittoria dispiace. Dispiace perché in fuga c’era con lui Mikel Landa. Due scalatori di rango, entrambi con un conto aperto con il destino e le cadute. Viene dunque da pensare cosa sarebbe potuto essere senza l’interruzione.

Il forcing di Bernal mette tutti in fila. Alla fine resteranno solo il colombiano (che otterrà la sua 22ª vittoria da pro’) e lo spagnolo
Il forcing di Bernal mette tutti in fila. Alla fine resteranno solo il colombiano (che otterrà la sua 22ª vittoria da pro’) e lo spagnolo

La vittoria triste di Bernal

Mancavano circa 16 chilometri quando la direzione di corsa ha ufficializzato l’accorciamento della tappa. «A causa di una protesta che ha bloccato la corsa, il vincitore di tappa e i tempi della classifica generale saranno decisi a 8 chilometri dal traguardo», così informava La Vuelta sul proprio sito ufficiale.

Stop dunque al cartello dei -8, proprio laddove iniziava la scalata finale verso Castro de Hervillo. A circa 3 chilometri dall’arrivo i manifestanti avevano occupato la sede stradale: la corsa non sarebbe potuta passare.

Landa e Bernal restavano in due grazie alla foratura che aveva fermato il terzo fuggitivo, Clement Braz Afonso. I tre avevano fatto la differenza sull’Alto de Prado, una scalata durissima con punte al 18 per cento. Bernal mostrava grande gamba: quando tirava lui, il gruppetto si allungava e anche i colli degli altri fuggitivi. Landa era uno dei pochissimi a resistere, ma con fatica.

In volata, come previsto, non c’è stata storia. Landa non è mai stato uno sprinter e per di più, trovandosi davanti al momento del lancio in leggera discesa, ha finito per offrire il colpo di grazia al rivale in un arrivo che tanto sembrava quello di una corsa di cicloamatori di terzo ordine, tanto era improvvisato, senza transenne, senza tifo…

Vingegaard sereno dopo l’arrivo. Nella generale nulla di fatto a parte Pellizzari che sale al quinto posto. Mentre Almeida insegue sempre a 48″
Vingegaard sereno dopo l’arrivo. Nella generale nulla di fatto a parte Pellizzari che sale al quinto posto. Mentre Almeida insegue sempre a 48″

Vingegaard, un altro passetto

E poi c’è la battaglia per la classifica generale. Apparentemente nessun grande movimento, ma a guardare bene Jonas Vingegaard è parso brillante e disteso in volto come nei giorni migliori. Pedalava leggero anche in piedi sui pedali. Bene anche Joao Almeida, più agile del danese.

La UAE Emirates si è trovata scoperta dopo il forcing della Bahrain-Victorious, preoccupata per il rientro in classifica di Bernal, e ha richiamato Marc Soler che era davanti. Giusto una precauzione, più che l’idea di un attacco. L’unico vero brivido è stata la foratura di Vingegaard sull’Alto de Prado: immediato il cambio bici con quella di Ben Tulett, senza conseguenze.

A conti fatti, questa protesta ha fatto gioco al leader della Vuelta. E’ passata un’altra tappa e Vingegaard resta in maglia roja, evitando il pericolo dell’ultima scalata. Avrebbe potuto anche affondare il colpo lui, sia chiaro. Dopo il “traguardo” Jonas era sorridente, salutava le telecamere e festeggiava con i compagni.

L’assembramento lungo la salita finale. Già verso le 16,30 mentre salivano i mezzi quello della Israel-Premier Tech era stato bloccato (foto Marta Brea)
L’assembramento lungo la salita finale. Già verso le 16,30 mentre salivano i mezzi quello della Israel-Premier Tech era stato bloccato (foto Marta Brea)

La protesta inarrestabile

La notizia del giorno resta però la protesta palestinese. La percezione in Spagna sembra diversa dalla nostra, sia per impatto mediatico che per approccio politico e sociale a 360°. Lo aveva detto Garofoli, lo si vede dalle immagini trasmesse dalla Vuelta e dalle prese di posizione del premier Pedro Sanchez.

Il primo ministro spagnolo, giusto ieri, aveva rincarato la dose contro Israele e Benjamin Netanyahu. Aveva chiuso gli spazi aerei e navali per eventuali carichi di rifornimenti militari, dato supporto alla Global Simud Flotilla e preso posizione netta.

Ieri erano state fatte delle riunioni per la sicurezza in vista di queste tre tappe in Galizia, con l’obiettivo di blindare soprattutto la frazione 17, quella di domani con arrivo al Alto de El Morredero, secondo le fonti quella più a rischio. Era stata prevista una task force ulteriore di 147 agenti tra Guardia Civil, Unità di Mobilità e Polizia locale. I manifestanti, però, hanno anticipato.

Il direttore della Vuelta, Javier Guillen, ha ammesso di trovarsi davanti all’edizione più difficile dei suoi 16 anni di direzione. L’Israel-Premier Tech resta al centro della bufera. Fa da capro espiatorio, ma la sensazione (ripetiamo sensazione) è che la protesta sulle strade iberiche ci sarebbe lo stesso proprio perché c’è un’altra visone in merito alla guerra in Medio Oriente.

Guillen si trova in una posizione difficile. Non hai mai incentivato la Israel a lasciare, ma neanche si è espresso affinché restasse in gara. L’UCI da parte sua ha diramato un comunicato molto neutro: «La squadra ha il diritto di partecipare, non possiamo vietarlo». Di fatto tutto è in sospeso e questi sono i risultati.

Stefano Zanini (classe 1969) diesse della XDS in questa Vuelta
Stefano Zanini (classe 1969) diesse della XDS in questa Vuelta

Dalla Spagna, Zanini…

Abbiamo intercettato a caldo Stefano Zanini, direttore sportivo della XDS-Astana, per provare a capire quale atmosfera si vive sul campo.
«In effetti – ha detto Zazà – oggi c’erano tantissimi manifestanti lungo il percorso. Sembra quasi che la protesta cresca. Ci hanno avvertiti dello stop via radio mentre eravamo sulla quella salita durissima, l’Alto de Prado (quindi poco prima rispetto a noi, ndr) e lo abbiamo comunicato ai ragazzi».

Stefano, gli atleti hanno la sensazione di correre rischi?

Se bloccano la strada come oggi no, ma se succede come qualche giorno fa nella cronometro, o come quando quel tizio si è gettato addosso a Romo (oggi non partito per i traumi di quella caduta), allora sì: un po’ di timore credo lo abbiano.

I tuoi corridori ne parlano tra loro?

Abbiamo orari differenti, ma almeno negli ultimi due giorni non ne hanno discusso.

Avete mai condiviso l’hotel con la Israel-Premier Tech?

Sì, anche nel giorno di riposo e non ci sono mai state proteste. Tutto molto tranquillo.

Personalmente che sensazioni hai? E’ stata persino messa in discussione la tappa finale di Madrid… Cosa succederà?

La sensazione è che il problema c’è e non sarà facile. Parlavo con un giudice e mi diceva che anche tecnicamente riorganizzarsi ogni volta è complicato. Dover prendere i tempi a mano all’improvviso è come tornare a 40 anni fa. Quindi la mia sensazione è: “speriamo che vada bene”. Non so cos’altro dire. E’ una situazione insolita, in cui lo sport subisce la politica.

E’ così: questa è politica e il ciclismo si corre sulla strada. Storicamente è sempre stato così. Oggi parlare solo di sport è difficile, forse anche fuori luogo. Staremo a vedere quel che succederà e se davvero questa Vuelta ferita arriverà a Madrid. Qualcuno in Spagna inizia davvero a chiederselo, come è accaduto in un dibattito su Marca, il maggior quotidiano spagnolo, e anche in altre trasmissioni. Intanto domani c’è un altro arrivo in salita… forse.

Gavazzi: il Bernal “piemontese” e quel sorriso ritrovato

27.08.2025
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Sorridente, disponibile, disteso, con la battuta sempre pronta, in una sola parola: felice. Egan Bernal ha messo piede in Italia per la partenza della Vuelta Espana con un piglio che sembrava aver quasi perso. Si era assaporato un po’ di quel buon umore al Giro d’Italia, ma si vedeva che l’animo del corridore colombiano era differente. Sulle terre piemontesi, che lo hanno visto sbocciare nel suo grande talento, Bernal sembra essersi totalmente ritrovato. Su queste strade ci ha vissuto per tanti anni, sono state loro ad accoglierlo quando era arrivato in Italia alla corte dell’Androni Giocattoli di Gianni Savio. 

Il sorriso sul volto di Bernal non è mai mancato, ma alla partenza della Vuelta, sulle strade piemontesi, ha un sapore speciale
Il sorriso sul volto di Bernal non è mai mancato, ma alla partenza della Vuelta, sulle strade piemontesi, ha un sapore speciale

Un sorriso per tutti

Egan Bernal era approdato nella professional italiana da perfetto sconosciuto, ad accoglierlo aveva però trovato la figura di Francesco Gavazzi. Il valtellinese, ritiratosi nel 2023, ora sta studiando per ottenere l’abilitazione UCI e diventare direttore sportivo. Nel frattempo lavora come gommista nell’azienda che prima era del nonno e ora è in mano ai suoi cugini. L’obiettivo è di salire in ammiraglia a partire dalla prossima stagione, ma questo è un’altra storia che ci auguriamo di avere modo e piacere di raccontare più avanti. 

«Anche dopo aver vinto il Tour de France – racconta Gavazzi nella sua pausa pranzo – Bernal non è mai cambiato di una virgola. E’ sempre stato un ragazzo umile e aperto, forse troppo. Ha sempre concesso un sorriso e un autografo a tutti, e in alcuni casi eravamo noi a dovergli dire di muoversi perché la gara stava per iniziare. Adesso non lo vedo più dal vivo, ma quello che si vede in televisione o nelle poche gare alle quali assisto, è un ragazzo professionale e disponibile».

La serenità ritrovata di Bernal può essere un fattore chiave in questa Vuelta
La serenità ritrovata di Bernal può essere un fattore chiave in questa Vuelta
Com’è stato il tuo primo incontro con Bernal?

Eravamo in ritiro a Padova, nel novembre del 2015. Stavamo facendo un po’ di prove per i materiali e avevamo programmato un’uscita in bici. Gianni (Savio, ndr) era venuto da noi presentandoci questo ragazzo colombiano di diciotto anni. Ci aveva detto che arrivava dalla mountain bike e che era davvero molto forte. Poi siamo partiti con la pedalata.

Che è successo?

Ci ripetevamo di andare piano, dovevamo fare un giro sui Monti Berici e tornare indietro. Appena abbiamo approcciato una discesa, dopo tre curve, ci troviamo Bernal a terra. Lui si era rialzato subito, però dentro di noi abbiamo pensato: «Chissà che fine fa questo». Gli sono bastate poche settimane per farci capire che aveva doti fuori dal comune. 

A Limone Piemonte, primo arrivo in salita, il colombiano è quarto
A Limone Piemonte, primo arrivo in salita, il colombiano è quarto
Ha “rimediato” subito…

Non una presentazione in grande stile, ma in gruppo ci ha fatto vedere che sapeva stare. Seguiva i corridori più esperti e quando c’era da limare non si tirava indietro. Inoltre, fin da giovane, ha dimostrato un carattere solare e deciso. Non ha mai avuto paura di parlare ed esporsi. 

Sicuro di sé?

E delle sue idee. A quel tempo c’erano tanti corridori esperti in squadra, compresi Frapporti e io, lui non aveva paura a dire la sua. Ha sempre avuto le caratteristiche del leader, senza sovrastare gli altri. Sono doti che ho riscontrato anche in altri grandi campioni come Nibali e Pogacar. Questi corridori in bici si divertono, non li vedi mai stressati o rabbuiati. 

Bernal è arrivato in Piemonte grazie a Gianni Savio che dalla Colombia lo ha portato all’Androni Giocattoli nel 2016
Bernal è arrivato in Piemonte grazie a Gianni Savio che dalla Colombia lo ha portato all’Androni Giocattoli nel 2016
Hai notato questa cosa anche nel momento più difficile, dopo l’incidente del 2022?

Sinceramente sì. Non l’ho vissuto molto, anche perché l’anno successivo mi sono ritirato, ma non ha mai dato l’impressione di aver perso quelle sue caratteristiche umane che lo contraddistinguono. Magari ha perso serenità in bici, però con se stesso no. 

In questi primi giorni in Piemonte sembra ancora più sorridente, se possibile.

Ci sono luoghi che ti danno delle sensazioni positive, una scarica di energia unica, e improvvisamente ti senti ancora più forte e sicuro. Il Piemonte per Bernal è una seconda casa. La sua stella è nata lì, in tanti anni ha costruito amicizie e ha trovato tanti tifosi intorno a lui. 

Nonostante i suoi diciannove anni Bernal è diventato uno dei volti di riferimento del team di Savio insieme a corridori come Chicchi, Gavazzi e Pellizotti
Nonostante i suoi diciannove anni Bernal è diventato uno dei volti di riferimento del team di Savio insieme a corridori come Chicchi, Gavazzi e Pellizotti
Un qualcosa che può spingerlo per tutta la Vuelta?

Credo che Bernal potrà andare forte anche una volta arrivati in Spagna, è partito bene e questa cosa gli ha dato morale. Lui è un corridore che nella terza settimana migliora, serviva partire con il piede giusto. Gli ho sentito dire in un’intervista che si augurava potesse andare tutto bene, di non cadere o avere problemi. Evitare queste complicazioni lo farà sentire ancora più sicuro. Credo che il podio sia alla portata di Bernal. 

E domani iniziano le salite…

La testa è importante, ma come ho detto prima ha dimostrato di essere forte da questo punto di vista. Atleticamente Egan ha dalla sua ottime qualità sulla distanza e in salita.  

Vingegaard strozza l’urlo di Ciccone: Vuelta subito esplosiva

24.08.2025
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LIMONE PIEMONTE – A un respiro dalla gloria rossa. Per qualche istante, la sagoma di Giulio Ciccone aveva fatto capolino nella nebbia e sembrava quella destinata a tagliare per prima il traguardo di Limone Piemonte, quassù dove di solito d’inverno si scia ed è di casa Marta Bassino. E, invece, con tutta la sua freddezza da killer, Jonas Vingegaard ha strozzato in gola l’urlo dell’abruzzese della Lidl-Trek, sfoderando il colpo di reni che in un sol colpo gli ha regalato tappa e maglia, la prima di leader della Vuelta della sua carriera.

Sul traguardo, Giulio è senza fiato, ma trova le parole per spiegare quanto lui davvero ci abbia sperato fino all’ultimo millimetro di asfalto: «Gli ultimi 500 metri c’è stato un po’ di casino e sono rimasto chiuso con Ayuso. Poi, sono partito con un rapporto troppo duro e infatti gli ultimi 50 metri ero troppo, troppo duro. Peccato perché oggi volevamo prendere la maglia e regalare una bella gioia a questo pubblico che mi spinge, ma ci riproveremo».

Ciccone si volta, Vingegaard vede che c’è ancora il margine per passarlo: si decide tutto in questi pochi metri
Ciccone si volta, Vingegaard vede che c’è ancora il margine per passarlo: si decide tutto in questi pochi metri

I dubbi di Vingegaard

E dire, che lo stesso Vingegaard non pensava più di ricucire sullo scatenato italiano: «A 100 metri dal traguardo – dice – non pensavo più di riuscire a vincere perché Giulio è andato fortissimo. Subito dopo la curva, credevo che lui fosse già vicino al traguardo, ma poi mi sono accorto che mancava più di quanto pensassi e così ho deciso di lanciarmi con tutte le forze e ce l’ho fatta».

Nonostante, il finale concitato, il danese della Visma-Lease a Bike si è subito reso conto di avercela fatta, alzando il braccio destro e baciando la fede nuziale. L’altro, sanguinante, non sembra preoccuparlo, così come il ginocchio sinistro, dopo la caduta occorsa per l’asfalto bagnato a una rotonda ai -25 chilometri dall’arrivo.

«Ho preso una bella botta, poi in realtà sono solo scivolato per parecchi metri. Il colpo più forte l’ha preso il ginocchio, ma subito mi sono reso conto che andata bene e per ora non sento particolare fastidio», ha aggiunto commentando il terzo successo di tappa nella Corsa spagnola dopo i due del 2023.

Ladri di biciclette

Peggio è andata al suo compagno Axel Zingle che, oltre a lussarsi la spalla sinistra e ad arrivare a più di 24 minuti, è rimasto anche a piedi per colpa di un ladro maldestro: «Mi sono slogato la spalla e ho dovuto rimettermela a posto da solo. Poi mi è successo una seconda volta mentre prendevo un gel, così mi sono dovuto fermare. Ho lasciato la bici a una persona che non parlava molto l’inglese, per tenerla quei 5/10 minuti mentre ero in ambulanza a farmi sistemare la spalla e questo tizio se n’è andato via. Per fortuna, sono arrivati con la bici di scorta dopo qualche minuto».

In realtà la versione di Zingle, evidentemente scosso, è stata più smentita dai fatti, dato che il suddetto tifoso aveva passato la bici agli addetti del camion scopa (tuttavia nella notte la Visma Lease a Bike avrebbe subito un furto ben più consistente in hotel).

In serata, come spiega anche Grisha Niermann, si valuterà se potrà ripartire domani da San Maurizio Canavese, in attesa che si sveli il mistero sulla bici sottratta: «Sono caduti sei su otto dei nostri e questo ha scombussolato un po’ i piani, ma per fortuna Jonas è rimasto concentrato e ce l’ha fatta. Devo dire che c’è stato anche grande fairplay in gruppo, al netto della situazione caotica che si era creata. La squadra si è comportata alla grande, ma sapremo solo dopo alcuni accertamenti se Axel potrà continuare la Vuelta».

Botte e risposte

Dunque, Vingegaard ha fatto centro al primo arrivo in salita, ma sottolinea subito che «se ci sarà una fuga, non sarà un problema perdere la maglia nei prossimi giorni». Niermann conferma: «A noi interessa che Jonas la indossi sul podio di Madrid, null’altro».

Fatto sta che le altre squadre dovranno inventarsi qualcosa per ribaltare tutto. La Uae Emirates ci aveva provato oggi, lanciando in avanscoperta Marc Soler ai 600 metri (subito dopo il forcing di Giulio Pellizzari). Almeida (5°) e Ayuso (8°) non hanno avuto però le gambe per seguire Ciccone e Vingegaard.

Lo spagnolo, comunque, è fiducioso: «Penso di aver superato questo primo test – dice Ayuso – e sono convinto di migliorare già verso Andorra, che sarà il momento chiave della settimana iniziale della Vuelta. Jonas e Ciccone erano favoriti, ma sia io e Joao abbiamo ancora tanta strada per dimostrare quanto valiamo».

Almeida gli fa eco: «E’ stata una giornata un po’ caotica, con la pioggia arrivata nei chilometri finali, le cadute e il nervosismo in gruppo. Per fortuna è andato tutto bene. Io, Juan e anche Marc siamo andati molto forte, gli altri sono stati più forti di noi, ma dobbiamo solo continuare a spingere. Il finale di domani presenta alcune curve insidiose, per cui cercheremo di stare davanti».

Il quarto posto di Bernal fa il pari con il sorriso del colombiano, che sembra molto in forma
Il quarto posto di Bernal fa il pari con il sorriso del colombiano, che sembra molto in forma

E la terza, breve frazione (134,6 chilometri) da San Maurizio Canavese a Ceres, sarà speciale per Egan Bernal, che tornerà sulle strade su cui è cresciuto agli ordini di Gianni Savio. Il quarto posto di oggi ha sorpreso lo stesso colombiano: «Non mi aspettavo di riuscire a lottare per il successo. Mi sono trovato là davanti e ci ho provato. E’ una bella iniezione di fiducia per il mio morale questo risultato e ringrazio Ben, Pippo e Kwiato (rispettivamente Turner, Ganna e Kwiatkowski, ndr) per avermi tenuto fuori dai guai».

Ellena custode del Colle del Nivolet (palestra di Bernal)

10.08.2025
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E’ il 24 maggio 2019 quando il Giro d’Italia affronta le rampe di Ceresole Reale. E’ la tappa numero 13 e la corsa rosa entra nel vivo con le grandi, anzi grandissime montagne. Il finale è nello splendido scenario del Colle del Nivolet, nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, uno degli angoli più suggestivi delle Alpi Graie (in apertura foto roadbookmag).

Quel giorno la classifica generale non subisce grandi scossoni, ma avviene un episodio che segnerà l’intero Giro. Vincenzo Nibali e Primoz Roglic discutono su chi debba chiudere il gap su Mikel Landa e Richard Carapaz, che si erano avvantaggiati. Nibali, irritato dalla passività dello sloveno, gli ricorda che in casa ha già degli altri trofei del Giro mentre lui no. Dal canto suo Primoz non la prende bene.

Il giorno dopo, nel continuo marcarsi, i due perdono di nuovo terreno nei confronti di Carapaz. A Courmayeur, negli ultimi chilometri, i più facili, Roglic e Nibali sono praticamente fermi, e l’ecuadoriano va a vestirsi di rosa. Rosa che terrà fino a Verona.

Roglic e Nibali quel giorno sul Nivolet…
Roglic e Nibali quel giorno sul Nivolet…

Ellena, custode del Nivolet

Nonostante la sua magnificenza e la sua bellezza, il Colle del Nivolet non è una salita super nota al ciclismo. La strada è chiusa per buona parte dell’anno e non rappresenta un valico di collegamento. Si sale e si scende (su asfalto) da un solo versante. Per di più la strada è stretta e non consentirebbe l’alloggio di cui necessitano i grandi eventi come il Giro. Tuttavia per alcuni è una vera palestra, un punto di riferimento che va oltre l’essere una semplice salita. Uno di questi è Giovanni Ellena, oggi direttore sportivo della Polti-VisitMalta, che del Nivolet è un po’ il custode.

«Questa è la mia salita sin da quando correvo – racconta Giovanni – parliamo degli anni ’80. All’epoca il tracciato era diverso: la strada che ora passa in galleria non c’era e si saliva per la vecchia via esterna, più panoramica. Oggi però questa via è di nuovo percorribile. Ed è bellissima. Dopo la tappa del Giro 2019, infatti, quella parte è stata riasfaltata come pista di soccorso, così chi pedala può evitare i tre chilometri e mezzo di tunnel».

La salita inizia di fatto a Noasca con due strappi secchi. «Il primo – racconta Ellena – va su al 15 per cento, poi c’è un tratto più dolce e di nuovo un altro muro durissimo. Dopo circa 9 chilometri si entra a Ceresole Reale e la strada sale regolare. Seguono 3 chilometri quasi pianeggianti lungo il lago di Ceresole. Poi ecco una rampa verso il Serrù con pendenze al 7-8 per cento, un breve tratto in discesa ed infine gli ultimi 5-6 chilometri verso il Nivolet. Questo tratto è abbastanza regolare, sul 7 per cento, ma è duro visto che si va sopra quota 2.200 metri. L’altitudine comincia a farsi sentire tanto che si scollina a 2.612 metri».

Ellena conosce il Nivolet metro per metro: «Lo facevo almeno venti volte ogni estate quando ero un corridore e continuo a salirlo ancora oggi, almeno una volta l’anno. La passata stagione scorso, nonostante un infortunio pesante, sono salito da Ceresole fino in cima. Non vi dico che dolori e quanto ci ho messo, ma è stata una soddisfazione importante. Quest’anno ancora non l’ho fatto, ma ci tornerò».

Quanti ricordi…

Il legame di Ellena con il Nivolet è anche emotivo. Qui si intrecciano memorie personali e storie di corsa. «Mi ricordo – prosegue il tecnico della Polti – un Giro della Valle d’Aosta, quello del 1986 mi sembra, quando non correvo. Sempre un Valle d’Aosta ma del 2009 e una tappa del Giro d’Italia femminile (era il 2011 e vinse Marianne Vos, ndr). Ma la vera consacrazione è arrivata con il Giro 2019. Rivedere quelle strade in mondovisione è stato speciale per me».

La salita, però, non è solo asfalto e pendenze: è un luogo che unisce due mondi. «Dalla cima si può scendere in Val d’Aosta solo a piedi o con tratti di mountain bike a spalla. Durante la seconda guerra mondiale era un sentiero usato dai partigiani per portare in salvo prigionieri e trasportare armi. Qualcuno in bici lo fa, ma ci si deve comunque portare dietro le scarpe da ginnastica, perché per almeno 20′-30′ c’è da proseguire con la bici in spalla prima di arrivare a Pont, in Valsavarenche».

«Poco dopo lo scollinamento l’asfalto continua per un po’. C’è un rifugio. Quando correvo, erano i tempi della Brunero, un giorno facemmo questa salita. Arrivammo al rifugio, ci mettemmo a mangiare, poi scese un po’ di nebbia. Nell’attesa ci addormetammo. Al risveglio erano le sei di sera. Impossibile scendere da lassù. Il freddo era pungente e ci voleva tempo. Così chiamammo i nostri della squadra che ci vennero a riprendere dalla pianura. Arrivarono su che era ormai buio. Vi lascio immaginare le parole che ci prendemmo!».

L’aria rarefatta, i laghi alpini e la sensazione di essere sospesi tra cielo e terra fanno del Nivolet un posto che, per chi ama la montagna, diventa un rifugio dell’anima e meta ambita per tanti ciclisti che d’estate non mancano mai. «Ogni volta che torno su – confessa Ellena – è come incontrare un vecchio amico: so già dove mi farà sorridere e dove mi farà soffrire».

Bernal e Sosa in cima. Dall’altra parte la Valle d’Aosta (foto Instagram)
Bernal e Sosa in cima. Dall’altra parte la Valle d’Aosta (foto Instagram)

Le SFR di Bernal

Il Nivolet è anche la “salita di casa” per i colombiani che Ellena ha avuto in squadra. E qui scattano i veri ricordi, quelli più forti e recenti legati ai corridori. Il primo a salirci fu un allora quasi sconosciuto Egan Bernal appena arrivato in Italia. «Gianni Savio, vista la sua giovane e anche quella di Sosa, mi disse di portarli vicino a casa mia per seguirli meglio. Quando lo portai sul Nivolet, si mise a fare le SFR a 2.000 metri. Gli dissi di lasciar perdere che non era il caso di fare certi lavori a quelle quote, ma lui mi rispose: “Giovanni, ma io vivo a 2.600 metri, qui sono ancora basso”. Rimasi in silenzio!».

Un altro aneddoto riguarda il lago Serrù: «Ci fermammo un attimo e gli indicai il sentiero verso il Col de l’Iseran. Si illuminò, perché sentiva la connessione tra quelle montagne e il Tour de France. Erano nomi che aveva solo visto in tv o sentito nominare. Quando era ai massaggi dopo quella grandinata proprio sull’Iseran, gli scrissi chiedendogli se si ricordava di questa storia. Egan rispose che se la ricordava eccome. Incredibile prese la maglia gialla proprio lassù».

Dopo i colombiani dell’Androni il legame fra Ellena e i sudamericani prosegue. Oggi è Germán Darío Gómez ad andarci e in qualche modo l’idea dell’alta quota è un richiamo per loro. «Mi chiedono sempre di salirci. Proprio Gomez quest’anno è arrivato da noi a marzo, ha fatto la Milano-Torino e la settimana dopo era già lassù. Un giorno mi manda la foto che era sulla neve del Nivolet. Anche prima gli altri ragazzi mi inviavano non so quante foto, anche a primavera quando c’era ancora neve e la strada era chiusa. Per loro è casa. A quelle quote si muovono con una naturalezza impressionante, mentre per noi europei ogni pedalata richiede uno sforzo diverso. E’ questo che ogni volta mi colpisce».

Bernal e la dura rincorsa per riunire le gambe con la mente

29.05.2025
6 min
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BORMIO – Dodicesimo a 1’10” da Del Toro, Egan Bernal non riesce ancora a essere continuo. Il Mortirolo lo ha visto faticare più di quanto ci saremmo aspettati. E’ evidente che il colombiano sia sulla via del recupero, ma ancora manca qualcosa. Per la Ineos Grenadiers il bilancio è tuttavia positivo. Le loro storie sono intrecciate. L’incidente di Bernal ha privato la squadra del suo ultimo vincitore del Tour, aprendo per i britannici due stagioni di siccità, con la sola parentesi del Giro di Tao, passato nel frattempo alla Lidl-Trek.

Lo spiega molto bene Zak Dempster, direttore sportivo classe 1987, arrivato nel 2023 sull’ammiraglia della squadra britannica. E’ lui al Giro il riferimento di Bernal ed è lui a spiegare alcuni passaggi e ad offrirci diverse prospettive. «Se davvero il suo corpo gli permetterà di fare ciò che la sua mente vuole – dice – allora potrebbe essere davvero speciale».

Qualche giorno fa, Egan ha detto: «Siamo il Team Ineos, dobbiamo fare qualcosa!». Che cosa intendeva?

Penso che questa squadra abbia una storia gloriosa basata sulla vittoria. Quindi l’obiettivo deve sempre essere vincere ed è per questo che siamo qui e faremo tutto il necessario per cercare di raggiungere questo obiettivo.

Ti aspettavi di nuovo Bernal a un livello così alto?

Penso che abbia avuto un inizio davvero sfortunato. Veniva dalla Colombia, dove ha accumulato molta fiducia. Si è allenato senza il mal di schiena e, ad essere sinceri, si sentiva al settimo cielo. E anche noi avevamo piena fiducia in questo processo. Siamo arrivati in Catalogna e lui era ancora molto cauto a causa della clavicola, temendo di essere rientrato troppo presto. E da lì abbiamo mantenuto il piano di rimandarlo in Colombia per prepararsi, come stabilito inizialmente. E’ stato un rischio.

Col fiato strozzato dopo l’arrivo di Monte Berico, in cui ha chiuso 10° a 5 secondi
Col fiato strozzato dopo l’arrivo di Monte Berico, in cui ha chiuso 10° a 5 secondi
Perché?

Abbiamo discusso se includere il Tour of the Alps o il Romandia o qualcosa del genere. Poi abbiamo deciso di no, di avere fiducia che si sarebbe preparato nel modo giusto e penso che nelle ultime due settimane i segnali siano stati davvero buoni. Abbiamo sempre creduto che se tutto fosse andato bene, avrebbe potuto lottare per un risultato.

Trovi che in squadra si sia ricreata la mentalità del Team Sky di leader fortissimi come Froome e il gruppo tutto per loro?

E’ diverso, quella del Team Sky è una lunga storia. Ci sono ancora in giro delle persone che c’erano già allora, ma io ad esempio sono relativamente nuovo nella squadra. Sono nella mia terza stagione e penso che l’anno scorso non sia andata proprio bene. Bisogna essere realisti, gli ultimi tre mesi si sono trascinati a dismisura e questo alla fine ci ha aiutato a forzare il cambiamento.

La Ineos Grenadiers è stata rifondata. Qui Heiduk e dietro Castroviejo, che a fine anno lascerà il ciclismo
La Ineos Grenadiers è stata rifondata. Qui Heiduk e dietro Castroviejo, che a fine anno lascerà il ciclismo
In che modo?

Abbiamo fatto discorsi chiari perché finalmente tutte le persone che lavorano per questa squadra vogliano fare parte di qualcosa di speciale. Quest’inverno abbiamo riflettuto, abbiamo parlato di come corriamo, di come vogliamo comportarci. Abbiamo apportato anche alcuni cambiamenti in alcuni processi di preparazione.

E ha funzionato?

Abbiamo fatto un’analisi approfondita di cosa stiamo facendo. Ed è stato davvero bello vedere che ciò di cui abbiamo parlato è stato messo in pratica. Non è tutto perfetto, perché commettiamo errori e dobbiamo accettarlo. Ma allo stesso tempo, penso che possiamo essere davvero orgogliosi della mentalità e dello spirito che abbiamo portato. Ritengo che se continuiamo così – pensando in modo critico e valutando come stiamo andando e prendendo decisioni basate sulla vittoria – allora creeremo tutti qualcosa di cui essere davvero orgogliosi. In realtà lo stiamo già facendo.

Arensman sta vivendo la sua classifica personale, ma potrebbe mettersi a disposizione di Bernal
Arensman sta vivendo la sua classifica personale, ma potrebbe mettersi a disposizione di Bernal
Vedi Bernal come un leader o deve ancora guadagnare la fiducia dei compagni?

E’ un leader, per le sue azioni o quello che dice. Le sue parole hanno peso nei meeting. Abbiamo Arensman che è arrivato sesto in due Grandi Giri ed è uno che nella terza settimana si comporta bene come i migliori. Quindi abbiamo due carte da giocare e le manterremo, ma è probabile che uno dei due dovrà sacrificare il suo risultato per l’altro. Questa è una delle cose che ci stanno a cuore come squadra. Si fidano l’uno dell’altro, comunicano apertamente e gareggiano per vincere. Quindi sono sicuro che a un certo punto quella decisione arriverà e non peserà.

Parliamo di Egan: il suo ritorno sta nelle gambe o anche nella mente?

Penso davvero che se il suo corpo gli permetterà di fare ciò che la sua mente vuole, allora ne vedremo delle belle. Ha avuto forti problemi di mal di schiena: dopo l’incidente con il pullman, è fortunato a poter ancora camminare, figuriamoci correre. E’ stato un processo lungo e frustrante per lui, perché non sai mai cosa ti riserverà la vita. Ma da come l’ha gestita, ne è uscito più resiliente che mai

Bernal è al Giro mostrando finalmente sprazzi della vecchia intraprendenza
Bernal è al Giro mostrando finalmente sprazzi della vecchia intraprendenza
L’hai visto cambiare durante l’anno a fronte dei miglioramenti?

Sì, penso che lui sia ansioso di essere lì davanti e ha aspettato davvero tanto per tornarci. Era lì ogni settimana a competere con i migliori. Quando ha vinto il primo Tour, la maggior parte di noi era convinta che avrebbe continuato a vincerne altri. Poi ha vinto il Giro ed è stato chiaro che Egan fosse uno di quei 3-4 corridori più forti del gruppo. Ma la vita ti lancia delle sfide ed il suo è stato un lungo processo per tornare. In queste ultime tappe lo vedo desideroso di godersi il fatto di essere lì. Ma allo stesso tempo è un killer.

Un killer?

Ci dimentichiamo di come fosse all’inizio della carriera: competitivo con i migliori su finali di potenza e cose del genere. Ma penso che questi istinti si affineranno e quel giorno inizierà a ottenere anche delle vittorie.

Non è passata salita in cui Bernal non abbia provato ad attaccare Del Toro, che è stato però pronto a rispondere
Non è passata salita in cui Bernal non abbia provato ad attaccare Del Toro, che è stato però pronto a rispondere
Sentite come squadra di essere sulla porta di due giorni molto importanti?

Sì, sicuramente. Se si guarda al dislivello, la tappa di San Valentino è stata una delle più impegnative che abbiamo avuto nel Giro in questa terza settimana. Abbiamo già avuto alcune tappe decisive, ma ce ne sono state anche tante in cui abbiamo sofferto senza aspettarcelo. Cadute sotto la pioggia. Abbiamo avuto la tappa delle Strade Bianche che è stato un vero caos. La cronometro sul bagnato con tanto di caduta. Le prossime due sono le tappe più importanti. Due giorni davvero decisivi e penso che bastino 20 minuti ben fatti perché tutto possa ancora cambiare.

Primi attacchi alla maglia rosa: Carapaz e Bernal fanno sul serio

25.05.2025
5 min
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ASIAGO – Le cadute fanno male soprattutto il giorno dopo. Quando Roglic ha tagliato il traguardo aveva l’espressione svuotata, come di chi ha provato a difendersi, ma non ha trovato le risorse per opporsi ai colpi: non era dove doveva essere. Pellizzari e Martinez lo hanno scortato, dando la sensazione di perderlo se per caso una pedalata fosse stata più energica. Anche Tiberi inizialmente è parso bloccato e solo scaldandosi è riuscito a improntare una difesa convincente. E così sulle prime montagne vere del Giro, prima il Monte Grappa e poi la salita di Dori in direzione di Asiago, solo pochi scalatori hanno provato a mettere in difficoltà la maglia rosa. Bernal prima di tutti, con l’aiuto di Arensman. Poi Carapaz. E solo alla fine ha messo fuori il naso anche Simon Yates. Piccoli colpi di assaggio, nulla di irresistibile, anche perché le pendenze dell’ultima scalata erano tutt’altro che proibitive. Eppure è bastato per mostrare un Del Toro super concentrato, pronto e tonico, come chi ha la vittoria cucita addosso e sente la forza sprizzargli dalle gambe. Reggerà così per tutta la settimana?

Roglic ha tagliato il traguardo 1’59” dopo Verona, 1’30” dopo la maglia rosa. Ora è 10° a 3’53”
Roglic ha tagliato il traguardo 1’59” dopo Verona, 1’30” dopo la maglia rosa. Ora è 10° a 3’53”

Il ritorno di Bernal

Ecco cosa hanno detto alcuni dei protagonisti. A cominciare dal pimpante Bernal, all’attacco sul Grappa, che forse per domani avrebbe preferito un altro tappone e non il giorno di riposo.

«Non ero al top stamattina – ha detto il colombiano – sapevo che non sarebbe stata la mia giornata. E’ stato un bene che la prima parte fosse pianeggiante perché mi ha permesso di cambiare umore. Nella prima parte della salita del Monte Grappa abbiamo adottato un approccio un po’ più conservativo, ma poi nella seconda abbiamo deciso di cambiare. Come abbiamo già detto un paio di volte, non abbiamo nulla da perdere, ma molto da guadagnare. E’ stata una giornata divertente e durissima. Il mio attacco? Ho solo cercato di dare il massimo, Arensman è stato bravissimo e Carapaz è il miglior alleato con cui affrontare la salita. Non so cosa sia successo a Roglic. L’ultima salita non era ripidissima, ma era il tipo di strada su cui si può perdere un sacco di tempo una volta staccati. Abbiamo fatto bene a provarci. Siamo il Team Ineos e dobbiamo sempre provare qualcosa. Sto bene, dopo tre anni vado in bici senza dolore e ora finalmente posso diventare l’ago della bilancia. Sono felice di essere tornato. Questa corsa mi darà qualcosa in più. Può essere un grande passo avanti».

Tiberi ha reagito bene al mal di schiena e ha avuto le gambe e la grinta per tenere i migliori, ma la maglia rosa non l’ha perso di vista
Tiberi ha reagito bene al mal di schiena e ha avuto le gambe e la grinta per tenere i migliori, ma la maglia rosa non l’ha perso di vista

Il sollievo di Tiberi

Tiberi, che ieri ha innescato la caduta sul pavé di Gorizia, ha risposto bene alle accelerazioni, avendo accanto un Damiano Caruso che, a dispetto degli anni, mostra ogni giorno di più il fondo e l’autorità per rispondere in prima persona agli attacchi dei campioni.

«Sono contento di come sono riuscito a gestirla – ha detto Tiberi – ma all’inizio non riuscivo a spingere, per questo ho attaccato Ca’ del Poggio abbastanza indietro e ho preso il buco. A quel punto la squadra si è fermata per riportarmi sotto e hanno fatto un lavoro veramente spettacolare. Sono serviti tanto, anche mentalmente e il supporto che mi hanno dato è stato veramente importante. Poi per fortuna anche il fisico ha iniziato a reagire bene. Scaldandomi e iniziando a spingere ho iniziato infatti a sentire un po’ meno dolore, anche se comunque il mal alla schiena c’è ancora. E’ stata comunque una tappa importante. Sono contento di come sono riuscito a reagire e quindi moralmente anche è stato importante non aver subito appunto un’altra sconfitta».

Il confabulare fra Yates, Majka e Del Toro in rosa dopo l’arrivo: la UAE Emirates è parsa in controllo
Il confabulare fra Yates, Majka e Del Toro in rosa dopo l’arrivo: la UAE Emirates è parsa in controllo

La leggerezza di Del Toro

Su tutti loro, la leggerezza e l’autorità di Del Toro fanno pensare che il messicano avrà pure davanti a sé dei punti di domanda, ma per ora fronteggia bene ogni tipo di imprevisto. Ha risposto in prima persona agli attacchi di tutti. Anche a quello di Derek Gee, che quando si è voltato e se lo è visto addosso tutto rosa, ha avuto un sussulto.

«Nella mia posizione – ha detto il messicano – mi sento nervoso perché sono come un tifoso che corre in mezzo ai suoi idoli. Ora devo seguire gli attacchi e di sicuro so che arriveranno. Devo solo aspettare quando e capire se sarò in grado di seguirli tutti. Sono super attivi e competitivi, sapevo che oggi avrebbero iniziato a scattare. Non posso dire con certezza che qualcuno riuscirà ad andarmi via. Per questo a un certo punto ci siamo messi davanti noi e abbiamo aspettato che cominciassero gli attacchi, perché sapevamo che sarebbe successo. Ho cercato di capire quando. Ma sono certo che tanti vogliano vincere e ci proveranno ancora. Per oggi sono riuscito a seguire tutti e a gestire più o meno la situazione. Si riparte fra due giorni e cercheremo di capire anche quale sarà il nostro assetto come squadra».

Ma che bel Bernal abbiamo rivisto. Ed Ellena racconta

19.05.2025
5 min
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VIAREGGIO – Il tempo all’improvviso rallenta. Dopo la frenesia totale dei giorni scorsi, ecco una giornata relativamente tranquilla. Di certo senza stress. Ed E’ senza stress e di meritato riposo anche per Egan Bernal. Negli hotel si lavora comunque. La sgambata per quasi tutti verso le 11, ma forse con un filo in meno di frenesia. Forse… Almeno qui è una bella giornata, anche se per domani sembra che il tempo si guasterà e dovrebbe sfavorire chi partirà nel finale.

Ma torniamo a Bernal. Il colombiano passeggia mano nella mano con la sua compagna. Poi, una volta accompagnata alla macchina, lei se ne va e lui ritorna alla base. E’ sereno, sorridente. Stamattina la sgambata con delle bici che vedremo a Treviso. I massaggi. Qualche chiacchiera con la sua amata. E tra poco la cena.

La Pinarello Bolide di Bernal. Il colombiano oltre ad essere campione nazionale su strada, lo è anche a crono
La Pinarello Bolide di Bernal. Il colombiano oltre ad essere campione nazionale su strada, lo è anche a crono

Giornata di relax

E’ sereno e sorridente e, soprattutto, dopo un bel po’ di tempo ci torna ad apparire muscoloso. Lo scorso anno era solo magro. Insomma, è un corridore.

«Sto bene – ci ha detto Egan – fa piacere essere di nuovo lì. Ieri è stato un momento difficile per tutta la tappa: dalla partenza alla fine».

Intanto i suoi meccanici lavorano sulla Pinarello Bolide che domani sfoggerà nella crono da Lucca a Pisa. Egan spingerà un 64×11.
Due prove fanno (quasi) un indizio: Tagliacozzo e Siena. Chiaramente non si può non partire dalla tappa di ieri, quella degli sterrati. Quanto è stato bello vederlo là davanti in una tappa lunga e dura. Tutti, ma veramente tutti, sono stati contenti di ammirare nuovamente il corridore della Ineos Grenadiers così pimpante.

«Il piano di gara – aveva detto Bernal riferendosi alla frazione di Siena – non era affatto una scienza esatta. Dovevamo essere in testa all’ingresso del primo settore sterrato e da lì in poi correre a tutto gas. Dovevamo solo rimanere in testa, settore dopo settore. Siamo riusciti a concludere in una buona posizione. Mi è mancata un po’ di potenza per non farmi staccare dalla testa della corsa nel finale, dopo aver speso molte energie nei chilometri precedenti».

Non solo, abbiamo scoperto un dettaglio non da poco. Nel finale Bernal si è staccato anche perché molto probabilmente era disidratato. Quando l’ammiraglia gli è piombata finalmente addosso, mancavano ormai meno di 20 chilometri all’arrivo. E appena gli hanno dato da bere, ha preso la borraccia in modo quasi famelico. Di sicuro non beveva già da diversi quarti d’ora. Immaginiamo la sete, la polvere che s’impasta con la saliva… devono essere state sensazioni tremende.

A Tagliaccozzo la maglia rosa 2021 ha messo a segno il primo acuto di questo Giro: terzo. Prima grossa iniezione di fiducia
A Tagliaccozzo la maglia rosa 2021 ha messo a segno il primo acuto di questo Giro: terzo. Prima grossa iniezione di fiducia

Bernal c’è

Fatto sta che a quasi metà Giro d’Italia, domani il colombiano si presenta al via in settima posizione, a 1’10” da Isaac Del Toro.

«Le sensazioni sono buone, molto buone, però bisogna andare piano: giorno dopo giorno», ci ha detto Egan.

I giornalisti colombiani, che sono sempre molto attenti ai loro connazionali, cominciano a muoversi come un tempo. Questo non è più il Bernal del recupero. Adesso si torna a parlare del corridore. Un altro dettaglio. Ieri dopo la tappa di Siena ha voluto fare il defaticamento sulla bici da crono… Questo lo fa chi punta alla classifica.

In questo assalto al podio c’è da metterci anche lui? Molto probabilmente sì. E il Giro e lo spettacolo ne guadagnerebbero non poco. «Egan per me, senza l’incidente, sarebbe stato uno dei pochissimi, se non l’unico, a poter lottare con Pogacar sulle lunghe salite».

Bernal (classe 1997) è alla sue seconda partecipazione al Giro
Bernal (classe 1997) è alla sue seconda partecipazione al Giro

Parola ad Ellena

Questa ultima frase è di Giovanni Ellena, il direttore sportivo che lo ha avuto ai tempi dell’Androni Giocattoli, quando Bernal arrivò in Italia. Ellena, ora in forza alla Polti–VisitMalta, ci ha detto la sua.

«Vedere Bernal, ma anche Brendon Rivera, che si sono divertiti lì davanti, mi ha fatto davvero piacere. Rivera è il suo amico di sempre. Egan ce lo aveva proposto in Androni, ma era un emerito sconosciuto. Andava in Mtb con lui, e ieri sugli sterrati si sono divertiti, ne sono certo».

«Se invece andiamo su un livello psicologico, io ho passato un po’ quello che ha passato Egan sul mio corpo. E pensare che uno si butti a fare quello che sta facendo lui sulle strade vuol dire che ha una testa impressionante. Senza contare il suo recupero fisico. Ora lui non è tanto il campione che va in bicicletta per vincere, ma è quello che dà l’esempio alla gente che ha dei problemi. Dimostra che se ne può uscire».

Per Ellena vederlo buttarsi in questo modo in discesa, in gruppo e nello sterrato è segno di una grande forza mentale da parte di Bernal
Per Ellena vederlo buttarsi in questo modo in discesa, in gruppo e nello sterrato è segno di una grande forza mentale da parte di Bernal

Podio possibile?

Cosa può fare dunque concretamente Egan Bernal in questo Giro d’Italia? Davvero può lottare per il podio? Anche in questo, l’occhio tecnico e di chi conosce l’atleta, quello di Ellena, ci viene in soccorso: «Difficile dire cosa davvero potrà fare – riprende Ellena – bisogna vedere il fisico, che non è più quello di prima. La testa però sì. Ne sono certo. Si vede. Vi racconto questa.

«Un giorno mi sono ritrovato a Madrid per andare al Gran Camino e sull’aereo vedo un cappellino nero sul mio sedile. In inglese chiedo al ragazzo di spostarlo. Quel ragazzo alza gli occhi e mi fa: “Ciao Giovanni”. Era Egan. A un certo punto gli ho chiesto: “Ma tu come stai?”. E lui: “Sono abbastanza ben messo. Vediamo, cosa mi dirà il futuro”. Allora l’ho guardato e gli ho detto: “Il tuo futuro dice che o diventi quello di prima (o quasi), o smetti. Perché tu non sei mediocre”. Mi disse che avevo ragione.
Questo per dire che Bernal non è qui per portare a spasso la bici. Se poi lotterà per il podio, la vittoria, una top five… non lo so. Ma di certo è qui per fare bene».

Ellena poi sottolinea un altro aspetto: la fiducia da parte della squadra. E questa non è cosa da poco. Come tutti i grandi, anche Bernal si è creato il suo ambiente. «Ormai Egan ha il suo massaggiatore di fiducia, il suo compagno di allenamenti e d’infanzia. E poi è un ragazzo che si fa amare e si fa rispettare al tempo stesso».

Pinarello torna bicicletta ufficiale della corsa rosa

15.05.2025
3 min
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Pinarello segna il suo ritorno al Giro d’Italia come bicicletta ufficiale della Corsa Rosa, riaffermando il proprio ruolo centrale nella storia e nell’evoluzione del ciclismo. L’edizione in corso del Giro, la numero 108, ha preso il via da Durazzo, in Albania, venerdì 9 maggio, per concludersi tra gli applausi di Roma domenica 1 giugno. Ma sarà la tappa 14, in programma sabato 24 maggio, a rappresentare un momento simbolico e profondamente emozionante. La partenza avverrà da Treviso, città natale del brand, con il Km 0 posizionato davanti alla sede storica di Pinarello.

Questo ritorno sulle strade del Giro non è soltanto un’operazione di visibilità, ma un autentico tributo alla storia e alla passione che animano il marchio fondato da Giovanni Pinarello. Un marchio che ha scritto pagine indelebili del ciclismo mondiale e che, nel 2025, celebra anche il 50° anniversario della prima vittoria in un Grande Giro. Era il 1975 quando Fausto Bertoglio conquistava la maglia rosa proprio in sella a una Pinarello, dando inizio a un’epopea costellata di trionfi.

Nel corso dei decenni, Pinarello ha collezionato 30 vittorie nei Grandi Giri, diventando il produttore di biciclette più vincente della storia. Tra i successi più iconici al Giro d’Italia figurano quelli di Chris Froome (2018), Tao Geoghegan Hart (2020) ed Egan Bernal (2021). Senza dimenticare le due affermazioni consecutive di Miguel Indurain, ambasciatore del brand, nel biennio 1992-1993, e Chioccioli l’anno precedente.

Design e ricerca

Il legame tra Pinarello e il Giro d’Italia va oltre il risultato sportivo: è un vero e proprio patto culturale e identitario con il territorio, con le squadre, con i tifosi. Ogni singola bicicletta firmata Pinarello nasce difatti da una fusione di design all’avanguardia, ingegneria di precisione e una ricerca costante della massima performance, elementi che si riflettono in ogni curva, ogni salita, ogni sprint affrontato lungo il percorso della Corsa Rosa.

«Siamo profondamente orgogliosi di essere di nuovo al fianco del Giro d’Italia come fornitore ufficiale – ha commentato Fausto Pinarello, Presidente dell’azienda – questa corsa è parte del nostro DNA. Abbiamo sempre creduto nell’innovazione al servizio della bellezza, e il Giro rappresenta il palcoscenico perfetto per esprimere questa filosofia. Tornare significa onorare il nostro passato, ma soprattutto guardare al futuro con ambizione».

Con la partecipazione ufficiale al Giro d’Italia 2025, Pinarello rinnova la propria vocazione: essere non solo un produttore di biciclette, ma un autentico simbolo vivente della cultura ciclistica italiana, capace di ispirare atleti, appassionati e nuove generazioni.

Pinarello