E’ ancora forte l’emozione per la notizia di Elia Vivianiportabandiera della spedizione italiana alle Olimpiadi di Tokyo. Un momento storico per il ciclismo azzurro. Tuttavia per un po’ certe emozioni vanno “accantonate” perché il Giro d’Italia non dà respiro ed oggi è ancora giorno di gara.
Un giorno che tra l’altro si veste di simbolismi ulteriori per Viviani. La tappa numero 13 infatti arriva nella sua Verona ed è piatta come un biliardo: il palcoscenico ideale per una vittoria dello sprinter della Cofidis.
L’annuncio dei portabandiera (Viviani e Jessica Rossi) sulle pagine social del ConiL’annuncio dei portabandiera (Viviani e Jessica Rossi) sulle pagine social del Coni
Che motivazione
E stamattina tra i bus in quel di Ravenna tutto ciò era palpabile. La squadra biancorossa si è raccolta in una lunga riunione: la posta in palio è alta. Quando apre le tendine e scende dal bus il diesse Roberto Damiani torna su quanto accaduto ieri in corsa: l’annuncio del portabandiera in diretta Rai.
«Tutto ciò – dice il lombardo – è totalmente di Elia. Mi fa molto piacere, è una gran cosa per la squadra, ma in questo caso parlo più da italiano che da diesse. Penso che sia meritatissimo questo ruolo di portabandiera ed è bellissimo anche per il ciclismo, perché è la prima volta che succede in Italia».
Roberto Damiani appena uscito dalla riunione sul bus questa mattina a RavennaRoberto Damiani appena uscito dalla riunione sul bus questa mattina a Ravenna
Concentrazione
Ieri sera in casa Cofidis non ci sono stati però grandi festeggiamenti. Bisognava mantenere la concentrazione alta in vista del (quasi) certo sprint di oggi.
«La notizia l’abbiamo accolta in corsa – spiega Damiani – Eravamo d’accordo con Elia che se fosse arrivata l’ufficialità glielo avrei comunicato subito ed è stata una bella iniezione di fiducia, mentre faceva tutta quella fatica. Dà morale, sia alla persona che all’atleta. E oggi ripartiamo ancora più motivati. Ma posso dire che per questa tappa già lo eravamo molto, credetemi…».
Dall’inizio del Giro il veronese ha colto solo due podiDall’inizio del Giro il veronese ha colto solo due podi
Occasione unica
E come non credere a Damiani. In fin dei conti sin qui le cose al Giro per Viviani non sono andate benissimo (solo due terzi posti) e già questo dovrebbe garantire la voglia di riscatto e le giuste motivazioni. Se poi si pensa che si arriva a casa sua è facile mettere insieme i pezzi.
«E’ una frazione perfetta per Elia – conclude Damiani – è portabandiera e si arriva nella sua Verona: sono stimoli in più. Lui sta bene, ce la giochiamo fino alla fine. E’ qualche giorno che parliamo di questa tappa, gestendo anche le altre proprio in funzione di questo arrivo che Viviani conosce come le sue tasche. Sono strade che ha percorse mille volte. Elia è già il regista del finale, in questo caso lo è ancora di più.
«Chi sono i più pericolosi in un arrivo così? Ci sono cinque velocisti che possono giocarsi la tappa oggi, più gli outsider. Stamattina sul bus abbiamo ripassato ogni dettaglio. Il nostro treno sarà composto da Attilio (Viviani, ndr), Sabatini e Consonni ultimo uomo a lanciare Elia. Io ho detto ai ragazzi di dare tutto oggi, come se domani non ci fossero tappe. Stasera vediamo…».
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Roberto Damiani è arrivato a casa lunedì dal Giro di Romandia. Il tempo di riassortire la valigia e domani raggiungerà Torino per il Giro d’Italia, consapevole che la posta sul piatto quest’anno sia decisamente alta. «La vittoria di Cholet ha cancellato lo zero dalla colonna delle vittorie – dice – ma non cambierà la carriera di Viviani. E’ stata una vittoria, ha portato la giusta grinta, ma è già alle spalle».
Nuovo inizio
Il primo anno del Covid ha lasciato tracce pesanti nello storico di tanti atleti, ma per il veronese il bilancio è stato ancora più pesante. La caduta di gennaio 2020 al Tour Down Under, il lockdown, l’incertezza, il rinvio delle corse, la chiusura dei velodromi, il divieto di organizzare ritiri e poi per ultimo l’intervento al cuore sono piombati come una condanna nella fase che, al contrario, avrebbe avuto bisogno di lavoro collegiale, corse e condivisione. Ricreare il treno perfetto per uno dei velocisti più forti al mondo sarebbe stato già complicato, farlo in simili condizioni è diventato uno stillicidio. La conseguenza più evidente è stato il brusco stop nella carriera di Viviani. La normalità, se fosse possibile lasciarsi tutto alle spalle senza condizionamenti, è cominciata quest’anno.
Damiani ha 62 anni, è il direttore sportivo della Cofidis: lavora molto sulla grinta dei suoi atletiDamiani ha 62 anni, è il direttore sportivo della Cofidis
«Elia sa che la posta è alta – spiega il tecnico della Cofidis – ma questa partita ce la giocheremo insieme. Dobbiamo fare un Giro importante, pronti a sfruttare bene le nostre carte. Abbiamo tutto quello che serve, compresi i tre uomini del treno per tirare le volate. Al Tour del 2020 la squadra scelse di non portare Sabatini, mentre al Giro si mise di mezzo il Covid. Questa volta c’è tutto. Elia è motivato dal fatto che si gioca tanto. Sa che da lui ci si aspettava tanto e sa che non ha più 25 anni. Bisogna trasformare tutto questo in grinta e non in paura».
Il mondiale di Novara
Il filo è sottile. Avere accanto il suo gruppo, che lui per primo ha scelto al momento di uscire dalla Deceuninck, sarà un utile appoggio.
«L’altro giorno abbiamo parlato – spiega Damiani – e gli ho detto che il 9 maggio non è solo una tappa, è il campionato del mondo. Elia ha bisogno di sentire che siamo con lui. In questi casi non esistono frasi fatte e formule valide per tutti, ogni messaggio è molto soggettivo. Bisogna essere concreti e fermare l’abitudine che ha di corrodersi dentro. Mi rendo conto che sia un verbo importante, ma è quello che accade. C’è chi è contento di finire a 2 ore dai primi e chi diventa matto se resta indietro di 5 secondi. Lui è così, per questo non ho dubbi sul fatto che abbia una super grinta».
Il 28 marzo, la vittoria di Viviani a Cholet ha riportato la motivazioneIl 28 marzo, la vittoria di Viviani a Cholet ha riportato la motivazione
Il percorso giusto
In gruppo parecchi sono pronti a scommettere su un Viviani ritrovato. Anche Guarnieri, giusto ieri, diceva di averlo visto più sereno e finalmente in possesso del treno migliore.
«Secondo me manca ancora un filo di intesa tra Sabatini e Consonni, ma Elia sa muoversi. Puoi portarlo davanti o farlo arrivare in buona posizione ai 500 metri e poi ci pensa lui: con lui hai più opzioni».
Damiani è d’accordo e consapevole che il percorso fatto per arrivare al Giro sia stato il migliore.
«Le aspettative sono alte – dice – ma Elia deve essere forte del fatto che arriva al Giro con la preparazione che ha chiesto di fare e in salute. L’unico neo può essere un chiletto di troppo del quale abbiamo già parlato, ma basteranno i primi giorni di corsa per metterlo a posto. Andiamo al Giro a fare quello che sognavamo dall’anno scorso e poi parleremo di tutto il resto. Gli ho detto che, per quanto io ami la pista, non voglio sentire discorsi sulle Olimpiadi fino a giugno. Se farà un bel Giro, andrà a fare delle belle Olimpiadi. In caso contrario, anche le Olimpiadi inizieranno a scricchiolare».
Marco Villa ha sistemato tutte le carte sul tavolo di Tokyo, ma ce ne sono ancora due da definire. Aspetterà sino all'ultimo, ma vorrebbe gratificare tutti
Una vittoria che ci voleva proprio. Il mattino dopo Cholet, per Elia Viviani, ha un sapore che non sentiva da tempo, troppo tempo. La Cholet Pays de Loire non sarà certo una classica, ma gli ha permesso di chiudere la più lunga parentesi senza successi, apertasi addirittura nel 2019 e gli ha dato nuovo slancio per questa fondamentale stagione.
Non serve neanche entrare nei dettagli, la voce di Viviani ha già un tono ben diverso rispetto agli ultimi mesi: «E’ stato un periodo troppo lungo senza soddisfazioni, ma sapevo che la condizione c’era e avevo già visto che l’anno era partito bene, al di là dei problemi fisici. Questo successo serviva a tutti, a me e alla squadra, ma questo deve essere un punto di partenza».
L’ultima vittoria risaliva alla quarta tappa del Giro di Slovacchia il 21 settembre 2019L’ultima vittoria al Giro di Slovacchia, il 21 settembre 2019
Si riparte da qui
Avevano ragione quindi i dirigenti della Cofidis a pensare a te per la prova francese e non per la Gand-Wevelgem?
Alla fine sì, è stata la scelta corretta, ma per questo dico che deve essere un punto di partenza. L’obiettivo deve essere vincere ben altre gare. Questa serve al team come esempio di come dobbiamo lavorare e mi fa piacere soprattutto per la squadra.
Che non ha mai smesso di credere in te, no?
Vero, ma dopo oltre 500 giorni che non vinci, dopo che quella maglia non è mai sfrecciata per prima sul traguardole domande te le fai. La condizione c’era, ma non è che questa basti automaticamente per vincere. A Cholet al di là della volata ci siamo mossi bene nella gestione della corsa, nella costruzione del treno, questo mi dà fiducia.
Sesta tappa dell’Uae Tour, solo Bennett gli è davanti: i primi segnali di ripresaSesta tappa del Uae Tour, solo Bennett gli è davanti
Raccontaci un po’ la corsa…
Erano 204 chilometri con 2.000 metri di dislivello, 150 di pianura e un circuito da ripetere 6 volte con all’interno uno strappo di 800 metri e altri tratti molto tecnici. Una corsa vinta anche con la testa, nella gestione della volata (Viviani vincente nella foto d’apertura di B.Bade/LNC, ndr): ho scelto la mia traiettoria e ho tirato dritto, un successo netto, con valori già molto alti.
Come ti sei trovato sullo strappo?
Bene, quando a 2 giri dalla fine sono scappati in tre potevo agganciarmi, ma ho pensato che non sarebbero arrivati al traguardo e ho avuto ragione. Anche quando ha provato il colpo Benoit Cosnefroy, poi ripreso all’ultimo chilometro.
Riparliamo della Sanremo
A proposito di strappi, alla Sanremo tutti hanno visto che ti sei praticamente fermato all’inizio del Poggio: che cosa era successo?
Ho imboccato il Poggio troppo indietro nel gruppo e le gambe erano già al limite, ho preso una frustata già al primo tornante. A quel punto la corsa era finita. Solitamente all’inizio il Poggio si affrontava con andatura più regolare, invece gli Ineos hanno dato subito tutto gas e infatti nessuno sopra ha fatto la differenza.
La Milano-Sanremo non gli ha mai sorriso: miglior piazzamento il 9° posto del 2017La Sanremo non gli ha mai sorriso: miglior piazzamento il 9° posto del 2017
Belgio e poi… pista
Ora si torna in Belgio?
Sì, mercoledì si corre la Attraverso le Fiandre e poi il mercoledì dopo la Scheldeprijs. Potrebbe anche essere la mia ultima corsa prima del Giro, a meno che non decida all’ultimo di andare al Romandia.
Al ritorno dal Belgio, spazio alla pista?
Sicuramente, ci sono da testare i materiali e lavorare duro per Tokyo. Il pensiero è sempre lì…
Elia Viviani sta tornando e guarda con fiducia alla Tirreno. La sensazione l’aveva sentita forte sulla propria pelle nella volata della penultima tappa del UAE Tour, quando era arrivato a un’incollatura dal dominatore Sam Bennett. E quella sensazione si avverte ancora di più sentendo il tono delle sue parole durante una pausa degli allenamenti che sta svolgendo su pista, perché nella sua mente l’obiettivo principale della stagione ha un solo nome: Tokyo.
La strada giusta
Quella volata nella quale è tornato protagonista ha un sapore dolce, ma chiaramente poteva esserlo di più.
«La vittoria non ha eguali – dice – è un’altra cosa, però è un buon segnale, ma tutta la trasferta negli Emirati Arabi mi ha dato indicazioni positive sin dalla prima tappa, quella dei ventagli dove mi sono ritrovato nel gruppetto davanti. Poi anche nell’altra volata vinta da Bennett, ero andato in progressione chiudendo quarto. La corsa araba mi ha detto che la potenza sta tornando quella del 2019, alla vigilia avrei pensato di essere solo al 70 per cento invece sono più avanti. Discorso diverso per la forma fisica…».
Dall’intesa con Simone Consonni sono nate tante vittorie, fra cui l’europeo 2019Dall’intesa con Consonni è nato anche l’europeo 2019
In che senso?
Sono ancora un paio di chili sopra il mio peso forma e devo perderli prima della Sanremo. Non posso lamentarmi, in fin dei conti sono già a buon punto a un mese dall’intervento al cuore, anzi posso dire di essere sorpreso per essere a questo livello. Ho fatto 10-12 giorni di recupero e alla fine mi hanno fatto bene, mi sono sentito potente e determinato. Quel che non mi manca è la voglia di riscatto dopo quanto ho passato, probabilmente è quella la molla che mi sta aiutando.
Come va con il team?
Molto meglio, finalmente si lavora in sintonia e i meccanismi cominciano a funzionare. Anche per questo volevo assolutamente esserci al UAE Tour, non potevamo perdere altro tempo dopo le cancellazioni delle prime gare. Stiamo lavorando bene insieme, c’è più dialogo, ognuno si impegna al massimo per il ruolo che deve svolgere. E questo mi dà tanta fiducia, anche se chiaramente manca qualcosa senza Simone Consonni.
A proposito, che notizie hai su di lui?
Ha ripreso ad andare in bici, fa 2-3 ore al giorno, ma il fastidio al ginocchio non è andato viae per questo salterà tutte le classiche. Il lavoro che stiamo facendo dovrà però consentirgli di reinserirsi nel treno in maniera rapida e semplice, senza sussulti. Attualmente i suoi compiti li sta svolgendo Kenneth Vanbilsen che nel lanciare la volata è l’uomo immediatamente davanti a Sabatini e a me, mentre il primo a pilotare il treno è mio fratello Attilio. Si sono tutti adattati e questo è un bel segnale.
Da quest’anno, Elia ha intensificato la presenza in pistaDa quest’anno, Elia ha intensificato la presenza in pista
Sai bene che molti guardano con particolare interesse alla tua intesa con Simone. Anche Villa parlando della madison olimpica accennava all’importanza che fra voi ci sia quella particolare intesa sia tecnica che umana…
Certo, io e Simone ci sentiamo quasi quotidianamente, ho cercato anche di aiutarlo nel trovare qualche soluzione al suo problema fisico. Quando hai un guaio a un ginocchio affronti tante incognite, ma quel che serve è soprattutto la pazienza. Simone farà un programma alternativo per poter rientrare nel nostro gruppo al Giro d’Italia.
In questo anno così particolare quanto ti sta aiutando la pista?
Tantissimo, credo sia parte del mio essere sulla via del ritorno ai valori del 2019. Ho già svolto tre ritiri a Montichiari in questa stagione pur con le difficoltà legate all’inconveniente fisico subìto. Dopo questo blocco di lavori ci rivedremo al termine del periodo delle classiche e conto di fare una preparazione massiccia su pista già prima del Giro. Poi dopo la corsa rosa mente e corpo saranno proiettati su Tokyo. Ora intanto la barra è puntata sulla Tirreno-Adriatico, dove spero di crescere ancora rispetto al UAE Tour, di quel gradino che mancava…
De Rosa e Cofidis: un binomio sportivo che prosegue, nel ristretto pool dei top team WorldTour, anche nella stagione 2021. Cofidis è probabilmente il brand sponsor più longevo nel mondo del ciclismo di oggi. Il costruttore di Cusano Milanino ha scritto invece da oltre mezzo secolo alcune delle pagine più belle di questo sport, affiancando con passione, ingegno e con la propria tecnologia imprese di grandi campioni.
Rosso passione e nero competizione
Ma la storia del marchio lombardo è ancora oggi in pieno svolgimento, e per il team francese di Elia Viviani le bici in dotazione hanno cambiato veste. Dal rosso “pieno” si è passati al rosso e al nero, più aggressivo e più “race”: probabilmente un auspicio per un calendario gare dal quale sia la Cofidis che De Rosa stesso si aspettano soddisfazioni.
La Merak Disc nella nuova colorazione Cofidis 2021La Merak Disc nella nuova colorazioni Cofidis 2021
Quasi tutto italiano
Cambiano i colori, ma i modelli di biciclette De Rosa in dotazione ai corridori della Cofidis rimangono gli stessi della stagione 2020, ovvero il “bestseller” Merak Disc oltre alla SK Pininfarina per le corse più veloci. Per quanto invece riguarda gli allestimenti ed il montaggio le bici saranno equipaggiate con materiale pressoché tutto italiano. Il gruppo è il Campagnolo Super Record EPS Disc, le ruoteFulcrum, le selle Selle Italia, il porta borracciaElite, l’abbigliamento Nalini. Attacco, piega e tubo sella sono FSA, mentre coperture e pedali sono invece francesi e forniti rispettivamente da Michelin e Look.
Merak mondiale nel 2000 a Plouay
In modo particolare, come anticipato la Merak rappresenta l’anima più competitiva e vincente di De Rosa. Proprio Merak fu l’originario modello che nel 2000 vinse il mondiale di Plouay, in Francia, con Romans Vainstains. Nel 2020 – a distanza di ben 20 anni – è ritornato nella gamma dei prodotti De Rosa per rappresentare la grande novità a livello di performance. Il telaio è ovviamente in fibra di carbonio e ben si adatta a tutte le tipologie di percorso.
Stabilità e guidabilità
E proprio il composito per il marchio italiano è la fibra ideale con cui perseguire la filosofia del brand: come definiscono in sede il “one to one” per ottenere una bicicletta su misura. Per De Rosa il peso è importante, ma non è tutto. E’ invece la modellazione del carbonio in fase di costruzione di un telaio che deve conferire allo stesso e poi conseguentemente alla bicicletta la corretta stabilità e la guidabilità, soprattutto in discesa.
Cristiano De Rosa, Amministratore dell’azienda di famigliaCristiano De Rosa, Amministratore dell’azienda di famiglia
Il carbonio per Cristiano De Rosa
«Il carbonio è oggi un materiale da far evolvere – ha dichiarato a bici.PRO Cristiano De Rosa, l’Amministratore dell’azienda di famiglia – e con il quale è più facile essere creativi per realizzare appieno un vero su misura, pur senza abbandonare la nostra tradizione che ci vede moto esperti nella lavorazione degli altri nobili materiali più tradizionali quali l’acciaio, il titanio e l’alluminio».
A un certo punto è sembrato che il Team Beltrami stesse per diventare vivaio italiano della Cofidis. Una sorta di academy in collaborazione con i marchi italiani che supportano il team francese e con la supervisione di Damiani. Poi un po’ il Covid, un po’ la perplessità dei francesi che probabilmente il vivaio l’avrebbero visto più volentieri in Francia e un po’ probabilmente anche per la necessità di pagare le bici De Rosa, il team manager Stefano Chiari ha rimesso i piedi per terra.
«Ho preferito mantenere la nostra identità – dice Chiari – anche per evitare che se un domani la collaborazione finisse, possiamo trovarci a piedi. E visto che Beltrami ci sostiene da cinque anni e di questo gli siamo tutti grati, siamo rimasti fedeli alle nostre bici. Cofidis seguirà i ragazzi che avranno tutto l’interesse ad andar forte e intanto siamo sicuro che per i prossimi due anni saremo continental. E poi si vedrà, magari potremmo anche crescere…».
Filippo Baroncini nel 2020 ha vinto la Vicenza-Bionde (foto Scanferla)Per Baroncini, la Vicenza-Bionde (foto Scanferla)
Juniores a tutta
Due anni di continental, dunque, per il team che resta emiliano e ha sull’ammiraglia Maini e Miodini, con la stessa idea di far crescere i ragazzi senza perdere di vista i capisaldi del ciclismo.
«Succede che adesso gli juniores siano preparatissimi a livello tecnologico – dice Maini – per cui la categoria diventa un vero spartiacque. Al punto che quelli che hanno cominciato più tardi o vengono da squadre meno organizzate hanno più margini di miglioramento. Noto che alcuni arrivano già con un ruolo cucito addosso e questo blocca la progressione. Purtroppo in certi ambienti ci riempiamo la bocca con il numero delle vittorie, ma di fatto quelli che sono diventati grandi corridori, da ragazzi non mietevano successi. Poi ci sono le eccezioni, come Tiberi. Ha fatto il salto di categoria, ha dimostrato di reggere bene e passerà professionista. Chapeau!».
Ruoli precisi
Quello che non funziona semmai è un ritorno al passato sul tema dell’approssimazione e della serietà nel fare le cose.
«Quando arrivano al professionismo – ancora Maini – devono avere ben chiaro che nelle squadre ci sono ruoli definiti e da rispettare. Il direttore sportivo. Il manager. Il medico. Il nutrizionista. Il preparatore. L’addetto stampa. Ognuno ha la sua area di competenza e a loro il corridore deve far riferimento. E’ fondamentale. Invece ancora adesso capitano incidenti di percorso per degli integratori, causati dall’ignoranza o dalla sapienza di qualche ignorante. Se mia figlia ha la febbre, posso darle un’aspirina. Ma se la febbre l’ha un corridore, deve pensarci il medico. E’ un esempio banale, ma noi dobbiamo insegnare questo».
Numeri e cuore
La continental deve insegnare questo e insieme deve proporre un’attività che faccia crescere il livello affinché il gap con i professionisti si riduca.
«Abbiamo tanti strumenti – dice Maini – e che ci fanno crescere. Mi piace guardare i corridori negli occhi, lavorare sulle motivazioni, avendo però consapevolezza dei loro valori. Però gli dico sempre che i numeri poi vanno confrontati con l’asfalto».
Orlando Maini, direttore sportivo assieme a MiodiniMaini è uno dei tecnici del team
Gli schiaffoni
Sullo stesso tema interviene Roberto Miodini, direttore sportivo di lungo corso anche alla Carmiooro e poi all’Androni (nella foto di apertura è con Gregorio Ferri).
«L’anno scorso partimmo da Besseges – ricorda – con 8 squadre WorldTour. Andò anche bene, perché facemmo un 10° posto con Parisini nella terza tappa. Eil nostro primo obiettivo resta fare attività fra i pro’, dove ci faranno andare. Tutte le gare italiane e all’estero quando si potrà. L’anno scorso sono state 35 giornate di gara. Non tutti i ragazzi capiscono che è più importante prendere schiaffi tra i pro’ che vincere il Circuito di Calvatone. Non sono quelle vittorie a dirti chi sei. Il limite dell’attività dei dilettanti in Italia è che ci sono poche corse a tappe. Per come la vedo io, la corsa a tappe è la più bella scuola per ragazzi dotati di motore. Perché impari a gestirti, a recuperare, a mangiare, a tener duro. Mica è per caso che tutti i giovani che all’ultimo Giro d’Italia dei pro’ sono andati forti, negli anni precedenti hanno fatto quasi solo corse a tappe…».
Le biciclette sono state consegnatetutte, anche quelle da crono. Ci sarà a breve un meeting su Zoom cui parteciperà anche Damiani. E poi, Covid e restrizioni permettendo, sarà tempo di ricominciare.
Con Damiani parliamo delle scelte (diverse) della Cofidis. Cimolai e Villella sono due nuovi innesti. Il primo è una certezza. Il secondo è da scoprire
Il direttore sportivo della Cofidis rilegge con bici.PRO il Tour de France di Elia Viviani. Il team francese aveva grandi attese, ma il veronese stenta sempre le ripartenze. Il Tour dopo 8 giorni di corsa è stato troppo ravvicinato. L'assenza del treno si è fatta sentire? Certo, ma le gambe non erano comunque delle migliori.
Simone Consonni ha debuttato al Tour de France ottenendo un buon terzo posto nella 14ª tappa vincendo la volata di gruppo (davanti c’era una fuga a due). Ma soprattutto è uscito dalla Grande Boucle con delle buone gambe. Per questo lo stiamo vedendo sulle strade del Giro d’Italia.
Ciao Simone, raccontaci la tua prima avventura al Tour…
Tutti mi dicevano che avrei visto una corsa incredibile, con tantissima gente, una festa ogni giorno. Chiaramente non è stato così per i motivi che conosciamo. Gli esperti mi hanno detto che non ho visto il vero Tour. Nonostante tutto l’importanza assoluta di questa corsa si è avvertita lo stesso. Poi sarà che sono in un team francese, la Cofidis, per cui il Tour de France è la corsa dell’anno. Per noi è stato un mondiale di 21 giorni. Siamo stati competitivi, ma purtroppo non siamo riusciti a vincere una tappa.
Simone Consonni (al centro) terzo nella Clermont Ferrand – Lione Consonni (al centro) terzo a Lione
E tu sei quello che ci è andato più vicino…
In realtà Jesus Herrada ha colto un secondo posto, poi c’è il mio terzo, tra l’altro nel giorno del mio compleanno. Dispiace perché siamo sempre entrati nelle fughe o abbiamo corso davanti.
Quel giorno eri tu il capitano?
No, non era stata programmata la mia volata. A metà tappa c’era una salita di 10 chilometri e la Bora-Hansgrohe ha iniziato a tirare forte per far fuori i velocisti puri in favore di Sagan. Viviani si è staccato mentre io sono stato l’ultimo che è riuscito a restare agganciato al gruppo di testa. Solo dopo ho saputo che Elia non c’era e così mi sono giocato le mie carte.
Hai parlato dell’importanza e della grandezza del Tour de France, hai notato differenze anche nel modo di correre?
Sul piano tattico no, però il livello è impressionante. Nelle tappe da fuga cercava di scappare gente come Alaphilippe, Van Avermaet, Lutsenko… e quando sono questi nomi che fanno la corsa e tu sei un velocista in giornata no, rischi di restare solo a inizio corsa. E a quel punto vai a casa.
Fa impressione sentirti dire: «Noi velocisti». Hai vinto un italiano U23 che era piuttosto duro…
Ma quella durezza di percorso è il minimo tra i pro’ per non arrivare in volata. Chi è velocista puro tra i dilettanti, tra i grandi fa davvero fatica ad arrivare al traguardo. Al Tour de France ci sono state tappe velocisti con 3.000 metri di dislivello. Se ne fai una così tra gli under arrivano in dieci. Non a caso io sono andato più forte dei miei standard. La sera analizzando i dati ho visto che ho fatto dei personal best. E tutto questo per restare attaccato al gruppetto!
Hai mai avuto paura di finire fuori tempo massimo?
No perché il gruppetto era sempre grosso, anche di 70 corridori, però ci sono stati giorni in cui tenerlo è stato duro. Ricordo la tappa con quelle tre salite lunghe, quella con arrivo al Col de la Loze. Mi sono staccato al primo chilometro della Madeleine e da quel momento fino alla fine sono stato al limite. E’ stata una sofferenza davvero brutta.
E come hai fatto a tenere duro tutti quei chilometri. C’era qualcuno con te: compagni, ammiraglia?
No, eravamo senza ammiraglia. Una era con Guillame Martin e una con Herrada che era in fuga. Io ero con Viviani. Nessuno parlava. Solo nei tornanti ci lanciavamo delle occhiate per darci coraggio. La consolazione era che anche gli altri faticavano. Quei momenti sono delicati anche di testa. Non puoi permetterti nessun black out neanche per 500 metri, perché se ti stacchi in quel punto dal gruppetto sei fuori. Dietro, non si vede dalle telecamere, ma quando si può si va forte. Pensate che nella valle dopo la Madeleine, tutta in falsopiano, c’erano 50-60 corridori che giravano in doppia fila. In alcuni momenti il gruppetto recuperava persino sulla testa della corsa. Quindi se resti solo perdi anche più di un minuto a chilometro.
Tour de France 2021, Viviani e Consonni verso Col de la LozeConsonni sul Col de Loze al Tour de France 2021
A proposito di Viviani, eravate in camera insieme? Elia ti ha dato dei consigli?
A volte ero con lui, a volte da solo, dipendeva dagli hotel, ma per tutto il resto del tempo in corsa e fuori siamo stati vicini. Il nostro rapporto era già buono, ma dopo il Tour si è cementato ancora di più. Più che consigli veri e propri la sera prima delle tappe in cui sarebbe potuta arrivare la volata mi chiamava per studiare il finale.
Ti aspettavi che Sam Bennet potesse rompere l’egemonia verde di Sagan dopo sette anni?
Sinceramente no. Al termine della seconda settimana era quello che tra i velocisti faceva più fatica, era finito. Poi invece dopo il secondo giorno di riposo è risorto. Succede nei velociti durante un grande Giro.
E tu come ne sei uscito? E hai perso peso?
Solo un chilo, ma perché sono partito già bello tirato: sapevo cosa mi aspettava. E ne sono uscito bene tutto sommato. Affaticato, stanco, ma non sfinito. Per questo mi hanno portato al Giro. Mi hanno detto: “Vediamo come va e semmai andiamo al Giro”. Sono rientrato il lunedì mattina dalla Francia, ho fatto un’oretta di agilità perché ne sentivo il bisogno e poi ho staccato tre giorni totali, più la domenica successiva. Ho fatto solo qualche richiamo di forza e di medio in salita prima del Giro.
Come mai niente volate? Non si perde brillantezza in questi casi?
Ma io non devo vincere le volate e poi per adesso l’obiettivo è quello di migliorare il fondo e la resistenza. Poi non vorrei essere un velocista puro, per dirla tutta. Ho provato fare gli sprint di gruppo, ma può andarmi bene una volta su venti, meglio quelli con qualche sprinter puro in meno.
Pogacar scorta Consonni alla Volta Algarve 2019Pogacar scorta Consonni alla Volta Algarve 2019
Ultima domanda: l’anno scorso eri nella Uae con Tadej Pogacar, cosa ci dici di questo giovane sloveno?
Ero con lui nella Volta Algarve, sua terza gara da professionista, non lo conoscevo. Pensate, nella prima tappa lui era il mio uomo, quello che doveva proteggermi, portarmi avanti. Ci riuscì benissimo e rimasi colpito della sua abilità anche nel sapersi infilare tra i buchi nonostante non avesse una stazza grossa. E poi faceva le cose con facilità e infatti vinse la frazione successiva e la classifica generale. Di lui mi ha stupito soprattutto l’aspetto umano: fa le cose con una naturalezza tremenda. Non sente la pressione.
E del suo exploit?
Al Tour de France il giorno della crono ha fatto un numero. Alla fine Roglic ha perso 20” da TomDumoulin a crono e ci sta, ma il vero valore della prestazione di Pogacar va fatto con RichardCarapaz. Lui era in lotta per la maglia a pois e fino all’imbocco della salita è andato a spasso, ciò nonostante Tadej gli ha rifilato 1’20” solo sulla salita.
Con una volata di Sam Bennett, scatta la Parigi-Nizza e torna in gara anche Roglic. Non correva dalla Vuelta. Punta su Ardenne, Tour e Olimpiadi di Tokyo
In che modo la Ineos metterà Viviani nelle condizioni di vincere? Parla Tosatto. Il veronese sarà aiutato e aiuterà. Con Ganna formerà un blocco eccezionale
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