Dice Alex Carera che quando ha letto l’articolo sul Team Colpack e le parole di Antonio Bevilacqua circa le ingerenze dei procuratori nella vita della sua squadra, gli è andato di traverso il primo dell’anno. Il procuratore di Tiberi, Piccolo e Trainini, ma anche di Nibali, Pogacar e Ciccone (i due sono insieme in apertura), ha la sua versione della storia ed è interessante ascoltarla.
«La storia del passaggio di Tiberi e Piccolo dopo il primo anno da under 23 – dice Carera – era arcinota da prima che scegliessimo il Team Colpack. Avevano entrambi l’accordo, con la Trek-Segafredo e l’Astana, per provare dal 2021. Se poi lo staff tecnico delle due squadre avesse ritenuto per vari motivi di rinviare il passaggio, sarebbero rimasti per un anno ancora. Questo non è successo e le squadre li hanno voluti da subito. Per cui dire che la colpa è dei procuratori e che siamo il male del ciclismo, non mi pare proprio giusto».
Antonio Tiberi passa alla Trek-Segafredo dopo il 2020 al Team Colpack (foto Instagram)Tiberi alla Trek dopo il 2020 alla Colpack (foto Instagram)
Il discorso di Carera non fa una grinza e semmai si inceppa su un 2020 che probabilmente non ha dato ai ragazzi il necessario spazio per mettersi alla prova. E mentre Tiberi dà la sensazione di essere più avanti, gli altri due restano un bel punto di domanda. Su Piccolo, le considerazioni di Mazzoleni (preparatore dell’Astana) sono state abbastanza chiare sin da subito, su Trainini ha parlato Reverberi, ma certo anche per lui il 2020 più che un anno di passaggio è stato un anno di (quasi) sosta forzata.
Secondo te sono scelte ragionate, quindi?
Ci mancherebbe altro che non lo fossero, per questo ci tenevo a dire la mia e non passare per quello che non fa il bene dei corridori. Se poi la cosa andrà bene, lo scopriremo in futuro.
Andrea Piccolo, anche lui corridore di Carera, qui al Gp FWR Baron a San Martino di Lupari, passa all’Astana (foto Scanferla)Piccolo, qui a San Martino di Lupari, va all’Astana
E’ difficile contraddire Bevilacqua sul fatto che, con Tiberi, la squadra avrebbe potuto correre un bel Giro d’Italia e anche a lui avrebbe fatto bene…
Per amor di Dio, non si discute che se Antonio fosse rimasto, la Colpack avrebbe avuto un giovamento, ma la scelta non è stata del procuratore e non poteva essere di Bevilacqua.
E’ stata, in questo caso, di Guercilena, giusto?
Faccio l’esempio di Cunego, che è storia vera. Da accordi precedenti, Damiano sarebbe dovuto passare nel 2001. Però parlando con la famiglia, con la Zalf e con Martinelli ci rendemmo conto che gli avrebbe fatto bene un altro anno fra gli under 23 e spostammo il debutto nel 2002, nonostante ci fossero stati altri accordi. Era un ciclismo diverso. I risultati del 2020 dicono altre cose e l’età in cui passare professionisti si è comunque abbassata.
Tomas Trainini, qui a Fontanafredda al Friuli 2019, va alla Bardiani senza risultati 2020 Trainini, qui al Giro del Friuli 2019, va alla Bardiani
Quindi Bevilacqua sbaglia a dire che si mette in pericolo la carriera dei ragazzi?
Le squadre scelte hanno entrambe grandi tecnici. Josu Larrazabal alla Trek-Segafedo e Maurizio Mazzoleni all’Astana, che fra l’altro segue Piccolo già da due anni. E’ fondamentale che fra tecnico e atleta si costruisca un rapporto di fiducia. L’esempio più evidente è la collaborazione fra Nibali e Slongo, che non si limita alla lettura dei numeri, ma si spinge anche sul piano psicologico.
Mentre Trainini?
Vedremo se anche il suo caso sarà stato ben gestito, il nostro lavoro è sempre sottoposto al giudizio del tempo e delle corse. Il rapporto con la Colpack è buono, è una squadra di Bergamo come siamo noi, abbiamo dentro altri atleti e altri ne porteremo.
Sarà il tempo a dire come andrà la storia e facciamo ovviamente tutti il tifo perché vada bene. L’alternativa purtroppo avrebbe i tratti di una sconfitta per tutto il sistema.
A Bergamo fa freddo, Parsani si ripara dietro alla barba bianca da direttore sportivo in pensione e torna a casa dopo la visita a mamma Rosetta, che ha da poco compiuto 99 anni.
«Le dico sempre di arrivare alla tripla cifra – sorride – poi potrà andare dove vuole. A volte molla un po’, come un velocista in salita. Poi però rientra. Quando giochiamo a scopa, non la faccio vincere perché così reagisce. Non le piace perdere. E’ la mia vita da pensionato. Non mi annoio, a casa trovo sempre qualcosa da fare. In più ho un nipotino che si chiama Leonardo e ha stravolto la mia vita, ma mi distoglie da tutti i problemi. Vado a prenderlo all’asilo e passo ogni giorno due ore con lui. E non penso ad altro…».
Serge Parsani, bergamasco nato in Francia, classe 1952. Nella foto di apertura è con Bettini dopo il mondiale di Salisburgo 2006. Da professionista ha corso dal 1974 al 1983 alla Bianchi-Piaggio, accompagnando Felice Gimondi negli ultimi 6 anni di carriera. Poi è salito in ammiraglia, guidando alcune fra le squadre più importanti degli anni 90: Gewiss-Bianchi e Mg-Gb, l’Ascis-Cga, la Mapei, la Quick Step e la Katusha, chiudendo poi la carriera con Scinto.
Nelle ultime settimane abbiamo parlato con qualche team manager e parecchi direttori sportivi, rendendoci conto di quanto sia cambiato il mondo. C’è chi li considera il cuore della squadra. Chi (a microfoni spenti) ti dice che la loro unica funzione è impedire che i corridori rompano le scatole. Chi li mette al centro del progetto e chi si accontenta che guidino l’ammiraglia. Rispetto al resto del mondo, l’Italia è ferma a un retaggio antico, ma il nuovo non è sempre garanzia di qualità. Per questo abbiamo chiamato lui. Perché è nato nelle squadre del primo Ferretti. Ha visto nascere la Mapei, antesignana degli squadroni di oggi. Ha vissuto le ingerenze straniere alla Katusha. E alla fine ha fatto i conti con i mezzi limitati della Farnese.
Bettini conquista la Coppa del mondo 2002 e la Mapei si scioglie. Sul palco del Lombardia anche i compianti coniugi Squinzi e Aldo SassiLombardia 2002, Bettini festeggia la Coppa e la Mapei si scioglie
Dicci Serge, come la vedi oggi la figura del direttore sportivo?
Partiamo da com’era. I miei inizi sono stati un po’ in sordina alla Gewiss-Bianchi, alle spalle di Ferretti, dato che ero ancora dipendente Bianchi. Oggi uno come Giancarlo non c’è più, direi purtroppo, pur rendendomi conto che sarebbe impossibile. Giancarlo era manager, direttore sportivo, responsabile del marketing. Faceva tutto lui. Oggi nelle squadre si sono differenziati i ruoli, probabilmente è necessario, ma in tanti casi manca il collante fra gli stessi.
In Italia siamo ancora fermi alla figura che accentra…
In Italia purtroppo ci sono soltanto quattro squadre professional. Se il ciclismo mondiale fosse solo questo, allora sarebbe uno sport molto povero, perché parliamo di manager incapaci di restituire allo sponsor tutto quello che il ciclismo riesce a dare. Del resto non si spiega perché non abbiamo più squadre WorldTour, visto che prima i campioni erano tutti qua. Bisognerebbe che tanti si facessero un esame di coscienza.
All’estero è diverso?
Ci sono manager all’altezza, che non vogliono essere dentro in tutto. Magari informati, ma lasciano le decisioni ai responsabili delle singole aree. Il modello Ferretti poteva funzionare in quegli anni, con lo sponsor che sceglieva la persona e gli dava carta bianca. Il ciclismo di oggi si è allargato, quello italiano no. E lo stesso mi viene da applaudire chi riesce a mettere insieme queste piccole squadre, perché pur senza grosse sostanze offre la possibilità a qualche giovane di farsi vedere.
Senza grosse sostanze, il tecnico riesce ancora a progettare o ha poco margine?
Quello che fa il tecnico è da capire, anche quando ci sono tanti soldi. Quando vedo che una squadra WorldTour ha 10-12 direttori, la figura perde di centralità e importanza. Non sei più il punto di riferimento per i corridori. Fai pochi giorni con ognuno, non riesci nemmeno a capire che carattere abbiano. Il corridore di 20 anni fa ti diceva che il tale direttore sportivo era stato o non era stato importante per la sua crescita e i suoi risultati, oggi fanno fatica a ricordarseli.
Qualcuno bravo però si distingue ancora…
Vedo Martinelli, che è un bravo diesse e non deve più fare le veci del manager, ma spesso è schiacciato dall’entourage kazako. Puoi programmare quello che vuoi, formare il gruppo, ma se i capi decidono che vogliono tre dei loro nella squadra del Tour, devi portarli. A me è successo in Katusha, quando bisognava dare spazio ai russi, perché a loro fa più comodo un russo che fa decimo, di uno spagnolo che vince. Come fai a conquistarti la fiducia dei corridori, se all’ultimo momento devi lasciarli fuori per queste imposizioni? E poi ci sono tutti gli altri…
Così oggi Parsani con la sua barba. Il bergamasco ha compiuto 68 anni ad agostoSerge Parsani e la sua barba bianca
Di chi parli?
Allenatore. Nutrizionista. Osteopata. Mental coach. Il direttore sportivo deve mettersi in fila e non vengano a raccontarmi che basta una videoconferenza. Il rapporto con i corridori sanno tenerlo in pochi. Alla Mapei, ciascuno col suo gruppo, si riusciva ancora.
Ecco bravo, la Mapei. E’ stata la prima squadra di un certo tipo.
La Mapei è stata il moderno senza tralasciare l’antico. C’erano tutte le strutture, di preparazione e tecniche, ma riuscimmo a mantenere il ruolo delle persone. La squadra era nata dalla visione di Aldo Sassi. Squinzi magari entrava nel merito dei risultati, ma non ha mai interferito sulla gestione degli atleti, pur volendo sapere tutto. Quando eravamo in Australia, face il conto del fuso orario e mi chiamava per sapere come stessero i ragazzi.
Ora lo sponsor è lontano, in effetti.
Sono meno coinvolti. Non so se per loro disinteresse o per scelta. Il ciclismo ha sempre dato una visibilità esagerata. L’inverno dopo la chiusura della Mapei, fummo invitati alla festa di fine anno dell’azienda. E Squinzi disse che per l’assenza della squadra il fatturato era calato del 15 per cento. Non so se Segafredo sia più appassionato al basket o al ciclismo, ma è strano che un’azienda così faccia il secondo nome in una squadra americana.
Perché strano?
Perché nonostante l’allargamento dei confini, i grandi Giri e le classiche più importanti le abbiamo noi, la Francia e la Spagna. L’Italia merita di avere 3 squadre WorldTour, altro che storie…
Ammettilo, ti manca la vita del direttore sportivo?
Adesso non più tanto. All’inizio, quando cominciai a vedere che arrivavano le corse giuste, un po’ mi pesò essere fuori. Poi capisci che il momento è finito e te ne fai una ragione…
Partenza della nuova stagione per un Colleoni super motivato. Il primo anno per fare esperienza, ora vuole un angolo per sé. Test e sensazioni fanno sperare
Il Team Colpack-Ballan sta ancora masticando un paio di bocconi indigesti e si prepara per ripartire, ancora come continental, con il team manager Antonio Bevilacqua che fa il punto della situazionee solleva obiezioni su certe cattive abitudini, di cui aveva parlato anche Rossella Di Leo in una precedente intervista, che è obiettivamente difficile non condividere.
«Si riparte da un gruppo giovane – dice Bevilacqua – la politica è questa. Ce ne sono 3-4 buoni, sono curioso di studiarmi il calendario. Vorremmo seguire il programma italiano con le corse che potremo fare, da Laigueglia in poi. Se ci sarà posto. Tante WorldTour all’estero non ci vogliono andare, un po’ di corse saltano e magari al Coppi e Bartali sarà difficile essere invitati. Con Amici abbiamo un buon rapporto, spero non ci saranno problemi».
Juan Ayuso, classe 2002, ha vinto i due campionati spagnoli strada e crono (foto Instagram)Ayuso, 18 anni, super talento spagnolo (foto Instagram)
Quali nomi hai cerchiato di rosso?
Gazzoli e Baroncini sono due begli atleti, che si sono affermati quest’anno. Su Gazzoli puntavo tantissimo. Ha preso sicurezza e si è sbloccato. Il Del Rosso lo ha vinto andando via in salita, sullo strappo. E’ veloce per corse impegnative, con gruppetto di 20-30 corridori. Un bel ragazzino è anche Persico, qui di Bergamo, di secondo anno. Sua sorella Silvia è alla Valcar, sono cinque figli e tutti e cinque hanno corso. Poi abbiamo Juan Ayuso, lo spagnolo di 18 anni che ci ha affidato la Uae Team Emirates.
Giusto, lo avete già incontrato?
Per ora lo abbiamo visto solo su Zoom. Dicono tutti che sia un fenomeno, dai test che ha fatto sembra così. Se la Uae Team Emirates lo ha preso per 5 anni, avrà qualcosa di buono. Verrà qui a gennaio, sempre se ci potremo muovere. Sta facendo una scuola inglese, per cui finirà gli esami a gennaio e poi è libero. Vivrà qui in casetta, da noi.
Che impressione ti ha fatto?
Un ragazzo di carattere. E’ serio, si vede che sa quello che vuole. Si presenta bene. Lo gestiremo noi, però sempre sotto la loro osservazione. Ci saranno degli incontri mensili per parlare di lui, perché giustamente ci tengono. La sua preparazione sarà concordata, anche perché dal 2021 oltre a Mazzoleni con noi ci sarà anche Antonio Fusi. Le nostre idee e la nostra preparazione alla Uae stanno bene, quindi seguiremo una linea concordata.
Perché hanno scelto voi?
E’ un po’ di tempo che parliamo con Matxin. Gli abbiamo dato Covi e prima ancora Consonni, Ganna e Troia. Gianetti ha corso con la Polti, ci conosce. Gazzoli fra poco andrà in ritiro con loro. Matxin ci aveva già dato Gomez, il velocista colombiano, che si è fatto il lockdown a Bergamo da solo.
Antonio Bevilacqua, team manager Colpack in uno scatto del 2015 (foto Scanferla)Bevilacqua, team manager Colpack (foto Scanferla)
Tornando agli italiani?
Abbiamo preso Verre, di secondo anno: vienedalla Casillo, è uno scalatore. Poi Petrucci dalla Francaise des Jeux. Lui è un carattere preciso, un ragazzo meticoloso e non stava bene con quello che gli dicevano. E’ un po’ particolare, va avanti per la sua strada. Gli eravamo stati dietro per due anni.
Perché alcune squadre hanno rinunciato a essere continental?
Per il lato economico e alcune cose da rivedere. E’ una bella esperienza, ma la partecipazione alle corse deve essere più sicura. Io non ho problemi, ma se fai una squadra così, con tutti i criteri giusti, devi dare la possibilità ai ragazzi giovani di provare con i professionisti.
I ragazzi giovani…
Li cercano e si fanno passare subito. Il caso di Trainini è incredibile. Come fai a prendere un ragazzino che non ha mai corso e che ha avuto dei problemini, senza nemmeno chiederci informazioni? A Reverberi ho detto: «Come mai?». Lui ha risposto che poi magari glielo portavano via. Ha firmato senza dirmelo, me lo ha detto dopo. Ma che comportamenti sono? A Reverberi ho chiesto: «Ma non vuoi sapere che corridore è? Se ti interessa, potevi chiedermi di tenerlo per un anno, gli fai firmare il contratto. Lo porti in riviera, gli fai fare lo stagista…».
Filippo Baroncini, primo alla Vicenza-Bionde 2020: ultimo acquisto (foto Scanferla)Baroncini arriva dal Team Beltrami (foto Scanferla)
Perché non ti ha chiesto informazioni?
Perché ormai comandano i procuratori. E i team manager si prendono i corridori senza sapere chi siano, per paura che li portino a un’altra squadra. Tutti vanno alla ricerca del fenomeno. Anche Piccolo e Tiberi avrebbero avuto bisogno di un altro anno.
Bisogno per voi o per loro?
Per entrambi. Mi sono salvato perché Gazzoli e Baroncini hanno rifiutato di passare in qualche squadra per rimanere qui e parto con due corridoi un po’ esperti e di livello. Ma di certo, se mi fossi presentato con Tiberi al Giro d’Italia, noi saremmo stati più coperti e lui avrebbe potuto mettersi alla prova. Che problema c’era se restava fino a giugno? Faceva Laigueglia, faceva il Coppi e Bartali, poteva andare con loro in ritiro e correva il Giro d’Italia. Se lo vinci o vai sul podio, passi anche con una bella cartolina.
Forse dei due, è più Piccolo che avrebbe avuto bisogno di altra gavetta?
Piccolo avrebbe avuto bisogno di mettersi alla prova da protagonista in mezzo a ragazzi del suo livello, ma quando un procuratore ti mette in testa che ti farà passare subito, hai chiuso. Il regolamento prevede che debbano fare due anni, io non ho voluto mettergli i bastoni fra le ruote e ho firmato una carta per dire che erano pronti per passare professionisti. A Guercilena ho chiesto di lasciarmi Tiberi ancora un anno, mi ha risposto che bisognava parlare con il procuratore.
Ci sono rischi?
Magari per Tiberi no, perché si è comportato bene ed è un corridore. Ad altri non danno tempo di crescere. Passano in tanti, poi che fine fanno? Adesso 4-5 che avevano smesso li ha presi Giuliani. Firmano giovanissimi, fanno due anni e chi non è Van der Poel resta a piedi. Consonni il primo anno non ci pensava a passare, nemmeno al secondo. Iniziò a parlarne al terzo. Adesso il procuratore gli dice: «Fatti vedere». Quindi il ragazzo pensa ai fatti suoi, preferisce fare quinto anziché aiutare il compagno a vincere. Non dovrebbe essere proprio l’Uci a scrivere queste regole?
Metti un giorno nella sede di Trek Italia a Bergamo, che sul cancello ha scritto Waterloo-Wisconsin, per parlare di professionisti e mercato delle bici. Cercando di capire in che modo avere in sella Nibali e la Paternoster, ad esempio, si traduca in volume di affari. All’interno del mega open space ci accoglie Rudy Pesenti, responsabile Media & Events di Trek Italia. La mascherina e l’andatura dinoccolata. Così dopo un giro di visita e un caffè, ci accomodiamo sugli sgabelli alti della sala destinata al riposo e il viaggio comincia, con una doverosa premessa.
«La gestione tecnica del team Trek-Segafredo – dice – non riguarda noi, quanto piuttosto la sede americana, dato che è l’unico team di proprietà. Hanno uno staff creato su misura, con due figure di riferimento. Bruno Savona sul fronte sponsor e Matt Shriver per Trek e Sram. I corridori parlano con loro».
Sempre presente, nella sede di Trek Italia, il richiamo alla sede centrale nel WisconsinIl richiamo alla sede centrale negli Usa
A quanto vi risulta, in ogni caso, i feedback dei corridori contribuiscono al miglioramento del prodotto?
Parecchio. La Domane praticamente l’ha sviluppata Cancellara, mentre ora c’è Nibali che ha ragionato parecchio sulla nuova Emonda. Non tutti sono in grado di fare queste cose. Tanti corridori dove li metti, stanno.
In quale altro modo i corridori sono di supporto?
Nelle scorse settimane abbiamo dato una city bike alla Paternoster, una gravel a Conci e Nibali ha in mano la mountain bike. La loro azione sui social network per noi è un grande aiuto. I social contano tanto. Durante il lockdown si parlava solo di Nibali. Abbiamo fatto delle dirette incredibili con grandi numeri.
Di conseguenza l’amatore vuole la bici del campione?
In Italia c’è la mania di avere la bici migliore e del resto avere un team porta il pubblico ad appassionarsi a certi modelli. La colorazione team comunque viene riproposta su vari livelli della gamma, in modo da poterla avere senza spendere per forza il massimo. Anche sulla Project One, che prevede la personalizzazione massima.
Bici e foto di imprese: non solo agonismo, anche avventura a casa di Trek ItaliaBici e imprese, agonismo e avventura
Quindi i campioni sono gli ideali testimonial delle vostre bici?
Di tutti gli sponsor, a dire il vero. Nibali ha sempre parecchi appuntamenti, anche se diventa inavvicinabile durante la fase di preparazione. Noi lo chiamiamo se abbiamo delle attività importanti, come ad esempio l’inaugurazione di qualche negozio monomarca.
Nibali usa anche la gravel…
E’ venuto qua e ne ha vista una nello show-room. La voleva a tutti i costi, ma gli ho detto che non potevo dargliela perché mi serviva e che per averla avrebbe dovuto comprarla. Loro per l’acquisto hanno un canale a parte e so che alla fine se l’è comprata davvero. La gravel è esplosa dopo il lockdown…
Fatto inatteso?
E soprattutto imprevedibile. Le compra gente che prima usava la bici in modo diverso. Le usano per il parco, per andarci al lavoro e per fare qualche uscita. Un pubblico cui ci stiamo avvicinando. Altri la prendono come seconda bici, che fa più gruppo perché è meno corsaiola. E’ un oggetto di moda, ma non è la fat-bike o la fixed, per intenderci. E’ una moda che ha fondamenti tecnici. In Italia siamo partiti adesso, ma l’Uci sta già mettendo mano a un campionato del mondo per il prossimo anno.
Sicurezza sulla strada: maglie fluo e le luci accese anche di giornoLuci diurne: la sicurezza al centro di tutto
Il lockdown ha portato anche a voi la grande crescita di cui si parla?
Una crescita quasi perfettamente divisa in tre. Un 33 per cento all’elettrico e quota identica per strada e mountain bike. E la gravel che resta trasversale. Di fatto abbiamo finito le bici. Per cui, se i negozianti hanno fatto bene il loro lavoro, le bici sono disponibili. Ma chi volesse partire adesso da zero, avrebbe da aspettare. Il boom è stato imprevisto e a livello mondiale e le aziende che producono componenti, soprattutto i gruppi, non riescono a stare dietro alle consegne. All’inizio temevamo che il Covid avrebbe avuto ricadute pesanti sulle vendite, invece ci è bastato un mese per appianare il buco.
Il team ha in mano le bici nuove?
Madone ed Emonda sono le stesse del Giro e per il 2021 si manterranno le colorazioni di quest’anno. Adobati, il meccanico italiano del team, dice che pur avendo circa cinque bici a testa, cercano di fare una rotazione, in modo che tutte le bici abbiano gli stessi chilometri e il carbonio non venga stremato dall’uso troppo prolungato.
Per le vostre campagne è utile avere corridori italiani oppure la nazionalità non fa differenza?
Meglio avere gli italiani e grazie a Segafredo e al Giro d’Italia, ce ne sono sempre diversi. Così non abbiamo problemi a parlare con loro. Quelli che abitano vicino, vengono qua una volta alla settimana. Giovedì scorso c’era qua Ciccone.
La bici del team, resta la regina dello show-room di Trek ItaliaLa bici del team regina dello show-room
Paternoster significa ciclismo femminile, ma nel catalogo non ci sono modelli dedicati, giusto?
C’erano, ma non le compravano, perché le ragazze volevano quelle da uomo. Perciò i modelli specifici sono stati eliminati, mentre quelli in catalogo prevedono un range di misure e accessori che possano andar bene a tutti. La percezione è che il pubblico femminile stia aumentando ma non abbiamo dati a conforto. Basti pensare però che oggi ci sono in strada le ragazze che fino a prima della chiusura per Covid erano nelle palestre a fare spinning. E guardandosi in giro, anche le altre marche puntano su ambassador donne.
Tra i cavalli di battaglia di Trek c’è da sempre la sicurezza.
Siamo stati fra i primi a presentare le luci diurne e le maglie giallo fluo, studiate prima ancora che la squadra arrivasse a Santini. E’ un’attenzione nata cinque anni fa, qualcosa di cui andiamo particolarmente fieri.
Dopo la caduta e il ritiro dal Giro, Giulio Ciccone riparte dalla Route d'Occitanie e fa rotta su Imola e su Tokyo. E poi penserà alla Vuelta da leader
Cittiglio il risultato più bello, ma la freddezza sul Muro d'Huy è un momento chiave nel 2021 di Elisa Longo Borghini. E' tutto collegato. Venite a vedere
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I numeri di Tessitura Gelmi sono davvero impressionanti. Duemila clienti attivi per seimila ordini evasi. Ottomila strutture per eventi. Un milione di metri (!) di tessuto promozionale stampato – il famoso Tnt – realizzato interamente in sede ed in Italia.
Poco altro da dire, se non… impressionante! Nel suo settore, Tessitura Gelmi è un’azienda molto molto ben strutturata. Conta 25 dipendenti e festeggia proprio quest’anno i primi 25 anni di storia.
Fra i clienti dell’azienda bergamasca, anche BianchiAnche Bianchi fra i clienti di Gelmi
Tessuti innovativi
Nel settore, Gelmi è sinonimo di produzione di dimensione industriale. A differenza di molte altre realtà che, in questo comparto, commercializzano prodotti stampati da altri. Dal 1995 il focus è ben centrato sullo studio, sulla progettazione e sulla conseguente realizzazione di tessuti innovativi. Avvalendosi di collaborazioni con strutture come l’Università d’Ingegneria Tessile di Bergamo.
A catalogo è presente una gamma davvero completa di tessuti e strutture per eventi. Oltre ad una linea di soluzioni per la comunicazione – per interno e per esterno – per eventi, fiere e punti vendita. Articoli che potrebbero davvero fare il caso delle aziende del settore bicicletta. Un esempio? Il tessuto esclusivo Gelmi HDTex, il massimo per la realizzazione di bandiere ad alta definizione…
Tutto in azienda
La progettazione, la realizzazione, la stampa e la confezione vengono curate internamente. Questo consente di offrire una qualità di stampa elevatissima, una flessibilità ottimale per realizzare soluzioni su misura e garantire tempi di produzione estremamente veloci e a prezzi vantaggiosi.
Stampa di alta qualità e realizzazione interna delle strutture in alluminioStampa ad alta qualità e strutture fatte in azienda
In azienda – un’unicità a garanzia della qualità Gelmi – è inoltre presente un’officina specifica per la lavorazione delle strutture in alluminio. Per il titolare Roberto Gelmi è un vero motivo di vanto, perché permette di realizzare strutture su misura, garantendone sempre la disponibilità.
Portafoglio al top
Fra i clienti più importanti del settore ciclismo oggi in portafoglio, Tessitura Gelmi annovera aziende e manifestazioni di assoluto prestigio. Bianchi, Pinarello, Campagnolo, De Rosa, Garmin, Polar, Enervit. E poi tra i pro’ la Bardiani-CSF-Faizanè, alla quale fornisce materiale promozionale e le mascherine personalizzate con i colori del team.
Gelmi per l’ambiente
Un altro aspetto molto importante da mettere in evidenza è l’attenzione che Tessitura Gelmi pone al rispetto per l’ambiente. Un’attenzione concretamente dimostrata dall’offerta a catalogo di una linea di tessuti nominati ReLife creati dal riciclo delle bottiglie di plastica.
E poi le soluzioni innovative, come la linea di tessuti BeDefender con trattamento antivirale. Testati e certificati dall’Università di Padova secondo le normative ISO 18184, dimostrano una riduzione della carica virale del 99%.
Quelli nati dopo il 1990 probabilmente non sanno che Ivan Quaranta è stato per qualche anno uno dei pochissimi velocisti al mondo in grado di mettere alle strette Cipollini. Lo chiamavano “il Ghepardo”, mentre per loro il cremasco è da qualche stagione uno dei direttori sportivi del Team Colpack. In cui dal 2021 correrà anche suo figlio Samuel. Chi scrive invece è nato ben prima e in un giorno imprecisato del 1992 si trovò a suonare al campanello della famiglia Quaranta a Vaiano Cremasco, per conoscere il campione del mondo juniores della velocità su pista.
Ventotto anni sono tanti e non sono stati sempre di rose e fiori. Nel mezzo ci sono stati quelli del dilettantismo nella stessa squadra che ora guida dall’ammiraglia. Poi quelli del professionismo, con 39 vittorie fra cui 6 tappe al Giro, che probabilmente sarebbero potute essere molte di più. I racconti dei festeggiamenti in discoteca con Stefano Giuliani. E una carriera spesso sul filo per un ragazzo che del velocista incarnò ottimamente anche l’estro e la follia. E poi, sempre pensando a lui, c’è un quesito che cerca risposte nel silenzio dei velodromi italiani. Perché mai non ci sono più ragazzi che si dedicano alla velocità, quantomeno nelle categorie giovanili?
Ivan oggi ha 45 anni e una passione per il ciclismo che nessuno può mettere in discussione.
Quaranta con Antonio Bevilacqua (foto Team Colpack)Con Antonio Bevilacqua (foto Team Colpack)
Hai smesso a 34 anni. E poi?
Avevo un po’ la nausea dell’ambiente. Del ciclismo no, perché continuavo a sentire gli amici e a seguire le gare. Finché a un certo punto Stefano Pedrinazzi della Uc Cremasca mi chiese perché mai uno come me fosse ancora fuori. E così mi propose di seguirgli gli allievi. Ma lo sapete com’è il ciclismo. Inizi piano e poi ti coinvolge sempre di più. Così a un certo punto il Comitato Regionale mi ha chiesto di seguire i ragazzini in pista. E una cosa tira l’altra, ho rivisto Antonio Bevilacqua e cinque anni fa sono entrato in Colpack. Ma esordienti e allievi in pista non li mollo, mi piace lavorarci. Così due pomeriggi a settimana sono con loro a Dalmine.
Come mai?
Perché se hai passione, capisci che fino agli U23 sono le categorie migliori, capisci che puoi dargli supporto, essere davvero utile. Fare il tecnico di Nibali e Sagan richiede tanto lavoro di organizzazione, ma cosa gli insegni? Invece così ho trovato la mia dimensione.
Tu non eri troppo inquadrato da junior, se la memoria dice il giusto…
Dice giustissimo. E’ cambiato il mondo. Noi vivevamo alla giornata, non c’era l’esasperazione di adesso. A parere mio c’è stato uno slittamento delle categorie: l’allievo di oggi è il dilettante di allora. E io, da allievo, il sabato pomeriggio giocavo a pallone e la domenica correvo. Oggi chi lo farebbe più? I dilettanti di oggi invece sono i professionisti di 30 anni fa. Fanno meno ore, ma hanno il nutrizionista, il preparatore, il mental coach, il fisioterapista, vanno in galleria del vento. E soprattutto hanno addosso tanta pressione.
In coppia con Paolo Bettini: è il 2007 e il toscano è campione del mondoIn coppia con Bettini in maglia iridata
E quella pesa…
Guardiamo i giovani più forti, anche Bagioli e Consonni che sono passati per la Colpack. Siamo contenti di vederli bene di là, ma io credo che nessuno farà più 15 anni di professionismo. Bagioli da dilettante era già corridore. E non parlo di un fatto mentale, quanto piuttosto fisico. Il ciclismo è uno sport pulito, non come anni fa quando vedevi davvero gli asini volanti. Ma a pane e acqua è durissimo recuperare. Per cui fanno due mesi e poi mollano. Due mesi e poi mollano. Ma se fai così da quando sei junior, quelli di fatto sono anni di professionismo prima di esserlo davvero. Anni di carriera in meno. Come per la scuola…
Cosa?
Pensano che se non vanno a scuola, arrivano prima al professionismo. Così invece di andare al liceo, fanno corsi professionali e dopo due anni smettono. E i risultati vengono falsati, perché questi magari vincono, ma solo perché gli altri che ancora vanno a scuola possono allenarsi dalle 14. E magari l’anno successivo c’è chi non trova squadra perché ha scelto di andare a scuola.
Perché più nessuno fa velocità in pista?
Perché non dà futuro, dato che si investe solo sulle discipline di endurance. Quelli del quartetto, ad esempio. Corrono da dilettanti e sono nei corpi militari. Se riescono, passano professionisti, altrimenti hanno il posto assicurato. La velocità devi iniziare a farla da esordiente e da allievo ed è difficile portarli via dalla strada.
Perché Quaranta accettò?
Perché i nostri mondiali si correvano a fine stagione. Così facevo l’inverno con i compagni stradisti e anche la stagione, vincendo corse. Poi un paio di mesi prima, iniziavo i lavori specifici. Solo che oggi i velocisti puri non li vogliono più, serve gente che tiene in salita e corridori come Mareczko o Guardini hanno vita dura. Per ricreare un Roberto Chiappa (velocista azzurro che ha partecipato a 4 Olimpiadi e vinto un mondiale, ndr) serve prenderli da giovani, proprio mentre sognano di essere Viviani o Nizzolo. Anche Viviani e Ganna hanno la loro temporizzazione e in pista ci vanno per i grandi eventi, mentre le qualificazioni se le fanno gli altri.
Con la Uc Cremasca, Quaranta al GP Fiera Persichello. E’ il 2013Quaranta, diesse della Uc Cremasca nel 2013
Quindi?
Quindi servirebbe un tecnico che faccia scouting nelle scuole di ciclismo e possa parlare con le famiglie proponendo cose concrete. Avendo le spalle coperte.
Come sarà dirigere tuo figlio?
Samuel è un po’ meno veloce di me, ma tiene meglio in salita. Ha iniziato perché mi vedeva uscire, ma fino ai 12 anni il sabato anche lui giocava a calcio e poi ha scelto. Ha fatto tutto da solo. Detto questo, dovremo essere bravi. I ragazzi hanno confidenza con me, ma ho l’obbligo di essere anche severo. Il bastone e la carota. Avevo paura che si creassero antipatie, che non lo coinvolgessero perché figlio del direttore, ma in apparenza va tutto bene.
Coinvolgessero in cosa?
Magari nella scappatella a mangiare un gelato, per paura che me lo dica.
Il rimedio c’è: il primo gelato lo paga lui e poi non ti dice niente…
Potrebbe essere un’idea, magari anche una birretta…
«Vuole davvero sapere – chiede Valentino Villa – chi sia Elisa Balsamo? Glielo dico. Lei magari non vorrebbe, ma mi ascolti e scusi se mi commuovo. L’anno scorso salta fuori un grosso sponsor. E’ la svolta. Invece dopo un po’ mi chiamano e dicono che salta tutto, perché sono stati acquisiti. Rischiavo il tracollo e ho trovato giusto dirlo alle ragazze. Eravamo in mezzo alla strada. Io parlavo e loro piangevano: mi chiedo che cosa abbia pensato la gente che passava. Forse avrei dovuto chiudere, ma a quel punto Elisa prese la parola. “Valentino – disse – se ti può essere utile, visto che mi hai dato la possibilità di entrare nelle Fiamme Oro, prendi pure il mio stipendio”. Sul momento mi sono sentito gratificato. Poi mi sono rimboccato le maniche. Prendo energia da queste cose, come fai a tradirle?».
Chiara Consonni vincitrice a Plouay: «Lei è il direttore d’orchestra!»Chiara Consonni prima a Plouay 2020
Prima la persona
Valentino Villa è un brav’uomo. Cominciamo facendogli notare il bene che Elisa Balsamo ci ha detto sul suo conto e già basta perché si commuova ancora (i due sono insieme nella foto di apertura, datata 2016).
«Ho sempre pensato che per avere un buon rapporto con l’atleta – dice – devi creare un legame con la persona. Avere questa squadra mi è servito tanto. Ho quattro figli e ho capito di non averli ascoltati abbastanza. Grazie alle mie ragazze, anche nei momenti difficili, ho scoperto che dentro questi ragazzi c’è tanta roba. E allora ho imparato a starmene zitto ad ascoltare…».
Strade di Bergamo
La Valcar-Travel Services è una delle più forti squadre italiane, che spesso le suona agli squadroni WorldTour. Iniziano dalle esordienti e arrivano alle elite: 31 ragazze in tutto. E lassù, fra coloro che lasciano il segno, ci sono campionesse d’Europa e del mondo. Da Elisa Balsamo a Chiara Consonni, da Martina Alzini a Marta Cavalli, da Vittoria Guazzini a Miriam Vece passando per Elena Pirrone.
Valcar fa da trent’anni fresatura e tornitura di metalli a Bottanuco, in provincia di Bergamo. Travel & Service effettua noleggi con conducente, ugualmente nella bergamasca.
Marta Cavalli tricolore al Giro dell’Emilia 2018: dal 2021 passa in Francia alla FdjCavalli, tricolore al Giro dell’Emilia 2018
Come mai il ciclismo?
Ho corso da ragazzino. A 14 anni ero tornitore e frequentavo la scuola serale, ma due volte a settimana riuscivo ad allenarmi. Poi ho capito che non si può fare tutto e mi sono buttato sul lavoro. A 21 anni mi sono sposato e guardavo le corse in tivù, ragionando sulle tattiche come i grandi diesse. Seguire una corsa dalla macchina è l’unica cosa che invidio al mio direttore sportivo.
Poi cosa è successo?
Avevo due sogni. La mia squadrettina di esordienti e allievi. E seguire una Roubaix sull’ammiraglia della Mapei. Finché mia figlia, la più piccola, cominciò a correre. E lì mi si aprì il mondo. Andai a seguirla nella prima gara a Bologna, che fu vinta da Elisa Longo Borghini. Non credevo che fra le ragazze ci fosse quella serietà e quel bel clima. Così di ritorno chiamai mia moglie e il mio socio davanti alla macchina del caffè, chiedendo che mi permettessero di esaudire il mio sogno nel cassetto. Loro accettarono, era il 2009. La prima ammiraglia la comprammo usata dalla Lampre e la verniciammo.
Parlano di lei come un padre.
E loro sono le mie figlie. Ho la fortuna di essere sempre presente. In tanti anni ho perso a dir tanto 7-8 gare. Per seguire tutte le categorie, mi è capitato di fare fino a 1.350 chilometri nello stesso giorno.
Elisa Balsamo vince a Madrid la Ceratizit Challenge by La VueltaElisa Balsamo, Madrid, Ceratizit Challenge by La Vuelta, 2020
Poi è arrivata una certa Elisa Balsamo…
Vivendo il vivaio, vedo il cammino delle ragazze. Vado a conoscere i genitori. Chi si perde è solo perché non trova le condizioni giuste. Vidi Elisa, era il 2014. Aveva ancora 16 anni e le dissi: “Tu sei come Ronaldo”. Sentivo il peso di questa responsabilità, perché avevo già in mente di fare la squadra elite e sapevo che al primo anno da junior avrebbe corso da sola.
E lei?
Capì benissimo. Le dissi che avrebbe dovuto fare goal da sola. Vennero tanti piazzamenti, ma a fine anno vinse il mondiale nello scratch. Il primo lampo di Ronaldo.
Cosa fa Valentino nella squadra?
Sono quello che le chiama quando sono in crisi. Nel ciclismo sono l’ultimo arrivato, ma credo che la loro tensione sia soprattutto psicologica. Non mi piacciono le pressioni eccessive, quando vanno forte non serve incalzarle. Quando le ragazze arrivano alla gara, devono essere felici.
Felici?
La gioia di vivere deve far parte del gioco. Sono una bella banda, a volte anche a me è capitato di tenerne a bada l’esuberanza. Una volta in Belgio ho dovuto chiedere che abbassassero la voce al ristorante, con Chiara Consonni direttrice d’orchestra. Ma se l’atleta è felice, se il suo sguardo è felice, ti dà il 100 per cento. Va bene tutta la tecnologia, ma è fondamentale che ogni ragazza sia in armonia con la squadra.
Un po’ manager e un po’ psicologo, insomma?
Se ne vedo una pensierosa, prima faccio una battuta, poi la invito a fare due passi e parlare. Si confidano. L’uomo puoi insultarlo e motivarlo, la donna va ascoltata e capita. Ci dicono che le viziamo, ma si confidano più con noi che con i genitori.
Vittoria Guazzini in azione ai tricolori di BreganzeGuazzini ai tricolori di Breganze
Valentino, come va con gli sponsor?
Sono spesso in ufficio a ragionare. Chiamo il sabato, anche la domenica o alle otto di sera. Chiedo scusa sempre a tutti, è il mio limite. Spero capiscano. Valcar ha un significato, ma se ci fosse la possibilità di un grosso nome, non sarebbe un problema. Vedo le cifre che offrono alle nostre ragazze, io non ci arrivo. Così già da tempo ho deciso. Ma se dovessi trovare un grosso nome, basta chiamarsi Valcar, ma ugualmente vorrei carta bianca. E’ quella la nostra forza.
Teme che dopo le Olimpiadi arriveranno gli squadroni con i soldi?
Se sei ricco e le vuoi tutte, non riesci a prenderle. Se il nostro gruppo non c’è più, il giocattolo si frantuma. Siamo noi il collante, per quello sto provando di tutto per tenerle insieme. Ho avvicinato dei team manager dei pro’. Ho chiesto un incontro per ragionare, non sapendo che opinioni avessero del ciclismo femminile. E l’incontro è stato addirittura rifiutato. Che modi sono? Questa gente non è mai stata nel mondo del lavoro.
Qualcuna andrà via?
Capisco la scelta di Marta Cavalli, che ha scelto di andare alla Fdj in Francia. Non posso e non sarebbe giusto trattenerle, è la loro vita. Quello che chiedo scherzando sarà semmai che mi invitino al matrimonio.
Perché non la vediamo mai in giro, signor Valentino?
Non voglio essere fotografato. Alle gare sono sempre defilato, l’apparire non mi appartiene. Poco prima di sposarmi, dissi a mia moglie che era il giorno più brutto della mia vita. Lei per poco non svenne, poi capì. Non volevo essere al centro dell’attenzione. Qualche foto di squadra l’ho fatta, ma poco più.
Che cosa è cambiato?
Ho scelto di farmi vedere. Prima ho rifiutato le interviste, ma per il bene della squadra ora le faccio. E’ d’obbligo per un manager, d’obbligo per le mie ragazze.
Finito il 2020 con la crono di Treviglio del primo novembre, il Team Colpack-Ballan ha chiuso la stagione versando l’assicurazione per il 2021. L’Uci infatti non ha voluto concedere rinvii, sia pure minimi. Rinnovare un progetto continental alla vigilia di un anno come quello che si annuncia è in effetti un atto di coraggio, dato che non c’è certezza delle corse che effettivamente si disputeranno, mentre è assai probabile che in quelle che saranno fatte sarà massiccia la presenza di WorldTour e professional dall’estero.
«Finché Colleoni sarà al nostro fianco – dice la team manager Rossella Di Leo – e avremo la conferma di sponsor come Ballan, potremo andare avanti. E poi, anche se a marzo compiremo trent’anni di attività e ne siamo fieri, trarremo le nostre conclusioni».
Tiberi vince il Trofeo San Vendemiano con 15 chilometri di fuga (foto Scanferla)Per Tiberi fuga e vittoria a San Vendemiano (foto Scanferla)
Cinque passaggi
Il Team Colpack-Ballan del prossimo anno sarà composto da 17 atleti. Potrebbero essere 18, avendo in squadra due specialisti (i pistard Gidas Umbri e Davide Boscaro), ma per ora ci si ferma un gradino sotto.
«Saranno tutti continental – dice Di Leo – il progetto under 23 si è fermato contro il Covid. Non sappiamo cosa succederà e dove correremo, siamo quasi allo sbaraglio, dal punto di vista economico e agonistico. In più metteteci il gioco dei procuratori e dei team manager, che fanno a gara a chi prende i corridori più giovani. Noi perdiamo Zoccarato, che è un quarto anno ed è pronto fisicamente e tecnicamente. Ma salutiamo anche Tiberi, Piccolo, Vacek e Trainini. Atleti di 19 e 20 anni. Il regolamento impone che facciano due anni da dilettanti, ma è chiaro che un contratto di lavoro viene prima. Noi abbiamo proposto di farli passare dopo un anno e mezzo, in modo che arrivino a fare al Giro d’Italia, ma non possiamo costringerli. Dovrebbe parlare la Federazione, ma finora io non ho sentito nulla. E il saccheggio va avanti…».
Non c’è più una logica, ribadisce, in una squadra come la Colpack che vorrebbe fare crescere i giovani come ha già fatto con Masnada, Ciccone, Consonni e Ganna.
Fenomeno spagnolo
Nel ciclismo dei giovani fenomeni, i ragazzi hanno gran fretta di passare tra i grandi. Atleti che hanno dimostrato qualcosa e altri che neppure si conoscono.
«Anche la Colpack avrà un fenomeno spagnolo – sorride – si chiama Juan Ayuso e ce lo ha portato Matxin della Uae Emirates. Lui ha compiuto 18 anni a settembre ed è determinato a vincere il Tour de France. Vediamo da vicino cos’è un fenomeno. Però, anche qui… Un conto è Matxin che vuole tenere il corridore tranquillo e quindi lo lascia under. Altra cosa sono i team manager e i procuratori che hanno paura di perdere i ragazzi e così li fanno firmare prestissimo. Trainini con noi ha fatto una corsa e si è ritirato. La musica cambierebbe se fossimo collegati a una WorldTour, com’era con la Lampre-Merida. Ma l’Uci ha messo paletti sul tipo di società e alla fine è saltato tutto».
Il 2020 era cominciato bene, con il debutto tra i pro’ a Laigueglia (foto Scanferla)Nel 2020 debutto tra i pro’ a Laigueglia (foto Scanferla)
Petrucci di Francia
La squadra che perde i talenti più giovani riparte con il velocista colombiano Gomez, con Gazzoli e Baroncini.
«Poi dalla Francia è tornato Petrucci – prosegue Di Leo – che era voluto andare alla Groupama, ma non è stata una bella esperienza. Nelle occasioni in cui lo abbiamo incrociato, si è mosso sempre bene, per cui speriamo che con un anno in più, possa portare energie fresche. Tra i giovani c’è anche il figlio di Ivan Quaranta, mentre mi dispiace che Baldaccini sia andato via poco prima che cambiasse il regolamento e gli permettessero di correre anche le gare nazionali. Lui sarebbe stato per noi come Masnada quattro anni fa».
Quanti diesse…
Sull’ammiraglia Colpack restano suo fratello Giuseppe Di Leo e con lui Antonio Bevilacqua, Gianluca Valoti e Ivan Quaranta.
«Abbiamo quasi più direttori che tecnici – scherza Rossella – ma la verità è che l’attività continental richiede anche parecchi accompagnatori disposti a sobbarcarsi viaggi impegnativi e non è facile trovarne. Per cui essere in tanti ci permette di coprire tutti i ruoli. Per il resto, correremo ancora su bici Cinelli e avremo un budget intorno ai 700 mila euro. Questo se le cose vanno in una direzione normale. E noi siamo qui a fare gli scongiuri che sia così…».
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