Tour of Guangxi, Paul Double, Jasha Sutterlin

Copeland a piene mani nella rifondazione della Jayco-AlUla

21.10.2025
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Guai ad accontentarsi nel ciclismo moderno. Lo sa bene Brent Copeland, che gira nell’ambiente oramai da più di 26 anni dopo essere sceso di sella nel 1999. Gli sponsor vogliono risultati. Le squadre si fondono e non sempre gli investimenti fatti a tavolino portano agli obiettivi sperati una volta che si è su strada.  Il general manager della Jayco-AlUla non si nasconde dietro a un dito. Nei giorni scorsi ha applaudito il successo nella classifica generale al Tour of Guangxi di Paul Double (in apertura), ma rimane coi piedi per terra.

«E’ stata una stagione decente – ammette Copeland, prima di riavvolgere il nastro – ma potevamo fare meglio. Abbiamo vinto la tappa regina del Giro d’Italia con Chris Harper e poi fatto altrettanto con Ben (O’Connor, ndr) al Tour de France. A fine stagione però, ti viene sempre da pensare che forse avresti potuto fare qualcosa in più. Anche perché le aspettative all’inizio dell’anno sono sempre molto più alte di quello che si riesce a ottenere. Forse, gli unici casi che rappresentano l’eccezione dell’equazione sono la UAE di quest’anno (96 sigilli, ndr) o la Visma del 2023 che ha vinto quasi 70 corse (69 le affermazioni dei calabroni due anni fa, ndr) più tutti e tre i Grandi Giri».

Al timone del team australiano dall’estate 2020, Copeland si aspettava qualche fiammata in più dai suoi ragazzi e lo dice senza remore. «Vedendo la squadra di quest’anno con O’Connor, Matthews, Dunbar, Zana, Schmid – aggiunge Copeland – avevamo almeno 7-8 corridori capaci di vincere, ma non tutti loro hanno lasciato il segno. Guardando la classifica a squadre, siamo al 18° posto: non è la posizione che ci compete. Dovremmo essere quantomeno in top 10 per quello che abbiamo investito e per le energie che ci abbiamo messo». 

Brent Copeland, visite mediche Jayco-AlUla, Torino 2025
Brent Copeland ha preso il comando del Team Jayco-AlUla nell’estate del 2020, in pieno Covid
Brent Copeland, visite mediche Jayco-AlUla, Torino 2025
Brent Copeland ha preso il comando del Team Jayco-AlUla nell’estate del 2020, in pieno Covid

Un tetto per i budget

La filosofia per il 2026 cambia. L’obiettivo è che qualche promessa diventi realtà con la speranza più allargata che si trovi un equilibrio. Il 2025 è stato dominato dal UAE Team Emirates-XRG, forte del budget e un vero e proprio Dream Team attorno al fenomeno Tadej Pogacar. Da presidente dell’AIGCP (Associazione Internazionale Gruppo Ciclisti Professionisti), Copeland rincara la dose. «Bisognerebbe parlarne di più di questa tendenza. Potrebbe portare all’esplosione della bolla se non si istituisce, ad esempio, per un tetto per il budget di ciascuna squadra. Se non si interviene, il gap crescerà ancora, ci sarà meno incertezza e il rischio è che ne vada della spettacolarità del nostro sport». 

Copeland se ne intende . Oltre a gestire anche il team femminile della Liv AlUla-Jayco, in passato ha seguito il centauro Ben Spies in MotoGp. «In questo momento, i migliori team hanno un budget del 100 o del 200 per cento superiore rispetto alle squadre intermedie. E queste a loro volta hanno molta più disponibilità di quelle più piccole. Questo sistema non funziona e andrà sempre peggio se non lo regoliamo in qualche modo. Tetti salariali, limiti al budget complessivo delle squadre, altri interventi: qualcosa dev’essere fatto. Se il nostro sport diventa meno combattuto, perderemo tv, sponsor e pubblico. Formula 1 e MotoGp hanno cambiato moltissimo negli ultimi dieci anni per restare al passo. Noi dobbiamo evitare di restare indietro, sia nel ciclismo maschile sia in quello femminile. In quest’ultimo, ad esempio, si è fatta la scelta saggia di evitare sovrapposizioni in calendario tra le grandi corse. Una cosa che, invece, avviene in campo maschile con contemporaneità come quelle tra Parigi-Nizza e Tirreno-Adriatico». 

Il Lombardia 2025, Tadej Pogacar incorona Rafal Majka alla sua ultima corsa da pro', UAE Team Emirates-XRG
Lo strapotere della UAE Emirates è innegabile, ma può trasformarsi in un boomerang per il ciclismo mondiale
Il Lombardia 2025, Tadej Pogacar incorona Rafal Majka alla sua ultima corsa da pro', UAE Team Emirates-XRG
Lo strapotere della UAE Emirates è innegabile, ma può trasformarsi in un boomerang per il ciclismo mondiale

Il ruolo di O’Connor

Poi torna sulla Jayco-AlUla per il 2026. «Per quanto ci riguarda – dice Copeland – abbiamo ridotto gli investimenti per comporre il nuovo roster, anche se è sempre più difficile trovare un equilibrio tra il budget ed essere competitivi ad alto livello. Noi vogliamo puntare sui giovani, ma senza abbassare il livello della squadra. Abbiamo fatto una scelta coraggiosa, ma sono sicuro che, se la gestiamo bene con i direttori sportivi e col nostro performance group, possa essere sostenibile e funzionale».

Sicuramente, gran parte delle aspettative pesa sulle spalle di Ben O’Connor. I pugni sferrati al cielo per celebrare il trionfo sul Col de la Loze sono l’istantanea di quest’annata per il team australiano. Eppure per quanto mostrato nel 2024, Copeland chiede di più alla sua stella.

«Il nostro sogno, così come quello di qualunque squadra – dice – è di salire sul podio al Tour de France. Per farlo, ci vogliono tanti investimenti e non è detto che bastino perché, davanti al tuo cammino, ti trovi ad affrontare tanti ostacoli. Se tutto fila liscio e i pianeti si allineano, diventa possibile. Noi abbiamo questa possibilità con Ben e, al giorno d’oggi, è ancora meglio un podio in un Grande Giro rispetto a vincere una Monumento. Certo, sappiamo di non avere un organico ai livelli delle supersquadre di Pogacar e Vingegaard, ma se il percorso che sveleranno in questi giorni sarà adatto alle sue caratteristiche, ci proveremo».

La vittoria al Col de la Loze è stata l’emblema del 2025 di Ben O’Connor, ma Copeland si aspetta di più
La vittoria al Col de la Loze è stata l’emblema del 2025 di Ben O’Connor, ma Copeland si aspetta di più

Il percorso del Tour

La presentazione della Grande Boucle si svolgerà il 23 ottobre e quello sarà un crocevia per i piani in casa Jayco-AlUla e per la stagione di O’Connor. D’altronde, il ventinovenne di Subiaco ha già dimostrato ai mondiali di Zurigo 2024 di poter dire la sua anche nelle corse di un giorno, terminando secondo nella corsa iridata alle spalle soltanto dell’imprendibile Pogacar.

«Una volta delineato il profilo del Tour– spiega ancora Copeland – decideremo se puntare a un possibile podio o comunque a una top 5, oppure se concentrarci sulle classiche. Non dimentichiamoci che è arrivato nella nostra squadra dopo aver terminato al 4° posto il WorldTour 2024. Quest’anno è fisiologico che abbia dovuto prendere le misure con il nuovo ambiente, i nuovi compagni. È giusto dargli tempo perché sono sicuro che nel 2026 ci farà divertire. 

Giro di Lombardia 2025, Michale Matthews nella stessa fuga di Filippo Ganna
Michael Matthews è il corridore più rappresentativo della squadra: i suoi risultati hanno tenuto in alto i destini del team
Giro di Lombardia 2025, Michale Matthews nella stessa fuga di Filippo Ganna
Michael Matthews è il corridore più rappresentativo della squadra: i suoi risultati hanno tenuto in alto i destini del team

La centralità di Matthews

E per le gare di un giorno, torna a splendere la stella di Bling. Il sorriso di Copeland si illumina: «Matthews è il più grande “asset” della squadra. Forse non vince molto quanto meriterebbe, ma soltanto perché ci sono corridori con le sue caratteristiche che sono leggermente più forti, un po’ come accade a Remco quando si scontra con Pogacar. Michael, infatti, oggi affronta titani del calibro di Van der Poel o Van Aert». 

Visto quanto mostrato al Lombardia, chissà che non possa proprio essere il veterano della squadra, il grande acquisto per il 2026. «Quando i dottori ci hanno detto che lui era guarito – replica Brent, che poi ricorda – non avevo dubbi che sarebbe tornato ancora più forte, vista la sua convinzione. Nel 2022, eravamo in piena lotta per non retrocedere. Invece Matthews fece terzo ai mondiali e salvò la nostra licenza per altri 3 anni. Ha fatto qualcosa di speciale, così come anche lo scorso anno, quando ha vinto in Canada il Grand Prix de Québec. Michael può dire la sua nella Milano-Sanremo o all’Amstel Gold Race. Per supportarlo, abbiamo scelto corridori come Capiot, De Bondt, Vendrame e Covi: lavorando insieme, sono certo che si creerà un gruppo affiatato».

E nei prossimi giorni, per provare a portare punti importanti, verrà annunciato anche Pascal Ackermann. In uscita dalla Israel, lo sprinter tedesco che vinse la maglia ciclamino al Giro d’Italia 2019 ha già svolto le visite mediche torinesi col resto dei compagni all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torino due domeniche fa.

Il piano della Visma è come lo yeti: nessuno l’ha ancora visto

24.07.2025
6 min
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COURCHEVEL (Francia) – C’era curiosità. Il piano tanto a lungo sbandierato dalla Visma-Lease a Bike prometteva una battaglia senza quartiere nella tappa regina di questa edizione. Con 5.642 metri di dislivello, c’erano tutto il tempo e il terreno per sferrare un vero attacco a Pogacar. Già da qualche giorno, la maglia gialla correva con insolita cautela. Se Vingegaard fosse riuscito a portargli via una manciata del suo vantaggio, la tappa di domani avrebbe avuto un’attesa stellare e l’interesse attorno al Tour sarebbe stata superiore.

La Visma ha preso in mano la corsa a metà della Madeleine. Vingegaard ha provato poi un solo scatto
La Visma ha preso in mano la corsa a metà della Madeleine. Vingegaard ha provato poi un solo scatto

Il piano della Visma

In realtà non è successo nulla di tutto questo. Gli olandesi hanno tentato un affondo a metà della Madeleine, ma lo scatto di Vingegaard non ha costretto Pogacar neppure ad alzarsi sui pedali. Ci aspettavamo che lo doppiasse e poi facesse il terzo. Invece Jonas si è rimesso seduto con il suo passo. Se quello era il suo modo di mettere a rischio il secondo posto pur di vincere, forse domani farà bene a tenersi stretto il piazzamento.

Nel fondovalle, il gruppo della maglia gialla è andato così piano da far rientrare gli staccati. E quando si sono ritrovati sulla salita di Courchevel, gli unici segni di vita si sono segnalati nel tratto più alto. Prima con il secondo scatto di giornata da parte di Vingegaard, poi con il giusto ceffone da parte di Pogacar.

«Sono super felice e orgoglioso di come abbiamo corso oggi», dice la maglia gialla, cui riferiscono che Vingegaard lo avrebbe visto tirato dopo l’arrivo. «Il Tour non è ancora finito – prosegue – mancano ancora tre giorni. Proverò a fare del mio meglio domani, dopodomani e poi a Parigi per mantenere il mio vantaggio sino alla fine. Era tutto sotto controllo, siamo andati benissimo. La Visma ha provato il tutto per tutto sulla Madeleine, ma sono arrivato senza problemi. Il Col de la Loze è difficile a prescindere dagli avversari, ma ho avuto un grande supporto dalla squadra. Alla fine non c’è stato troppo stress, speriamo di avere la stessa situazione domani perché probabilmente ci proveranno ancora».

Sul podio Pogacar è parso contento come dopo una vittoria: una tappa in meno verso Parigi
Sul podio Pogacar è parso contento come dopo una vittoria: una tappa in meno verso Parigi

Un leader diverso

C’è qualcosa di nuovo in questo Pogacar. Che sia stanco o non abbia più tanta voglia di stupire, di colpo il cannibale giallo si è trasformato in un leader vecchio stampo e si è messo a regalare tappe in giro. Ieri a Valence ha risposto per le rime a Thomas Voeckler che in diretta televisiva aveva accusato la sua squadra di correre in modo arrogante. Tadej ha preso la parola e ha spiegato che un conto è essere arroganti e un altro correre per vincere la maglia gialla. Poi ha invitato il cittì della nazionale francese a darsi una regolata, scusandosi con ironia se l’invito fosse suonato… arrogante.

Si sono fatti i paragoni con Indurain e il suo modo signorile di gestire il comando. Non si è considerato che sua maestà Miguel crebbe come gregario di Delgado e vide in che modo i vecchi capitani gestivano la corsa. E quando a sua volta arrivò a vincere il Tour, aveva già trent’anni e un’esperienza da campione navigato. Pogacar a 21 anni era già sul podio della Vuelta e a 22 ha vinto il primo Tour: da chi poteva prendere esempio se non da se stesso? Con l’impeto dei vent’anni, non c’è stato un solo giorno in cui non abbia voluto vincere. Invece le sue parole sul Ventoux, quando si è quasi commosso assistendo alla telefonata a casa di Paret Peintre che aveva appena vinto, fanno capire che probabilmente anche lui sta diventando grande. Che a 27 anni ha capito che il gruppo è composto da persone e non solo da avversari. Anche se questo probabilmente rischia di rendere il suo Tour meno elettrizzante.

Quando ha capito che Vingegaard aveva finito la spinta, Pogacar è scattato guadagnando altri 9 secondi
Quando ha capito che Vingegaard aveva finito la spinta, Pogacar è scattato guadagnando altri 9 secondi

Stanco e infastidito da tutti

Gli chiedono: qualcuno una volta ha detto che si affronta il Tour de France con tanta voglia di vincere e poi, a un certo punto della corsa, verso la terza settimana, non si vede l’ora che finisca. E’ così che ti senti ora?

«Esatto, è il classico momento – risponde – in cui mi chiedo perché sia ancora qui. Queste tre settimane sono davvero lunghe. E allora mi metto a contare i chilometri fino a Parigi e non vedo l’ora che finisca tutto. Posso fare anche altre belle cose nella mia vita, ma cerco di godermi il più possibile ogni giorno in bici, anche se è dura. I tifosi aiutano, quindi è comunque bello pedalare anche nella terza settimana, quando sei stanco e infastidito da tutti quelli che ti circondano e vorresti solo tornare a casa. Così alla fine, quando affronti queste grandi salite e la gente ti incoraggia e ti dà una motivazione in più, ti rendi conto che non è poi così male essere qui. Soprattutto se hai buone gambe, che rende tutto piuttosto bello».

Il talento di O’Connor

La tappa l’ha vinta Ben O’Connor, che sorride come un bambino, dopo un inizio di stagione in cui non è mai riuscito ad andare come voleva e un inizio di Tour non proprio esaltante. Per essere stato secondo alla Vuelta e poi anche ai mondiali dello scorso anno, lui per primo si aspettava di più passando alla Jayco-AlUla.

«Il Tour è una gara piuttosto crudele – dice – nei primi due giorni mi sono ritrovato a terra un paio di volte, ma non per colpa mia. A Copenaghen tre anni fa, la stessa cosa. Per contro nel 2021 ho vinto e sono arrivato quarto in classifica. Quello che ho fatto oggi significa molto. Sono orgoglioso di me stesso e della squadra. Nella discesa della Madeleine ho avuto una piccola discussione con Matthew Hayman sull’ammiraglia. Volevo capire cosa fare, come avrei potuto vincere. Non avevo niente da perdere e sapevo che per vincere sarei dovuto partire dal fondovalle, possibilmente con Matteo Jorgenson che di quelli davanti era il più forte. Alla fine è andata così. 

«Per me vincere così, a fine Tour – conclude – è stato lo scenario perfetto. Siamo arrivati in fondo alla discesa e avevamo già bruciato quasi 5.000 calorie. E’ un’enormità e mancava ancora un’ora. Era una di quelle situazioni in cui so di essere bravo. Si trattava di gestire lo sforzo, anche quando ti sbarazzi del tuo compagno di fuga. Devi essere sicuro che attaccare sia la mossa giusta. Sono rimasto a lungo da solo, mi è capitato altre volte nella mia carriera, quindi penso di avere un buon talento nel capire quando attaccare e quando no. E sono tanto sollevato di esserci riuscito oggi e di aver dato la vittoria alla Jayco-AlUla».

Pogacar si congratula. Gli dice che hanno fatto una grande corsa e ribadisce di non aver corso per la vittoria quando la Visma si è messa ad attaccarlo. Gli sarebbe piaciuto vincere, annota, ma ha preferito difendere la maglia gialla. Forse però questo passo in più nel lungo viaggio verso Parigi si può ritenere a buon diritto una vittoria.

XCR TRI: la gamma di bici al servizio di cronoman e triatleti

16.12.2024
4 min
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VAN RYSEL arriva con una bella novità sul mercato: la gamma di biciclette da triathlon XCR TRI. Tre modelli chiamati XCR TRI, XCR TRI Ultegra Di2 e XCR TRI Rival. Realizzate dal marchio francese in collaborazione con Swiss Side, azienda specializzata in studi sull’aerodinamica. Queste nuove biciclette realizzate per le prove contro il tempo e il triathlon sono quindi frutto di approfonditi test e studi in galleria del vento. La gamma XCR TRI offre una bassa resistenza all’avanzamento e assicura una velocità di punta ottimale. A tutto questo si aggiunge una grande efficienza generale, che favorisce la ricerca della massima prestazione. 

Per lo sviluppo della XCR TRI sono state spese tante ore in galleria del vento
Per lo sviluppo della XCR TRI sono state spese tante ore in galleria del vento

I consigli dei grandi campioni

E’ proprio grazie ai consigli e al supporto di atleti di alto profilo che la gamma XCR TRI è stata sviluppata per essere super efficiente sia nel triathlon che nel ciclismo professionistico. Tra questi spiccano Denis Chevrot, due volte campione europeo dell’Ironman, e i corridori della Decathlon AG2R La Mondiale, ai quali VAN RYSEL fornirà le bici per la stagione 2025

Tra i suggerimenti principali dati da Denis Chevrot c’è quello di munire la XCR TRI con punti di stoccaggio, ideali per riporre barrette e gel da utilizzare nelle prove di lunga durata. Le biciclette sono state costruite con l’assemblaggio di 486 componenti in carbonio, per garantire un perfetto equilibrio tra leggerezza, rigidità e durata.

Una bicicletta realizzata seguendo i consigli di atleti di alto livello, come Denis Chevrot: volte campione europeo dell’Ironman
Una bicicletta realizzata seguendo i consigli di atleti di alto livello, come Denis Chevrot: volte campione europeo dell’Ironman

Costruite per la velocità

L’intera gamma delle biciclette XCR TRI è stata costruita con l’intento di avere il migliore mezzo possibile, in grado di fornire il giusto supporto nelle sfide contro il tempo. Un prodotto nato dopo 36 mesi di meticoloso lavoro, sviluppo e costante miglioramento. Dopo tanti studi e continui miglioramenti è nata la XCR UCI. Modello utilizzato da Ben O’Connor durante i campionati del mondo di Zurigo nel mixed team relay dove la nazionale australiana ha vinto la medaglia d’oro. La XCR TRI UCI si è anche laureata campione nazionale a cronometro francese insieme a Bruno Armirail

Il peso del telaio è una delle caratteristiche che fa la differenza a livello qualitativo, infatti il modello XCR TRI Ultegra Di2 pesa solamente 1490 grammi in taglia M, ai quali vanno aggiunti i 490 grammi della forcella. L’attenzione ai dettagli non è solo nella scelta del carbonio ma anche nella sua disposizione. La bicicletta è studiata per tagliare perfettamente il vento, senza conseguenze negative sulla guidabilità. 

Il modello XCR TRI UCI ha vinto l’oro con Ben O’Connor nel mixed team relay a Zurigo 2024
Il modello XCR TRI UCI ha vinto l’oro con Ben O’Connor nel mixed team relay a Zurigo 2024

Posizionamento perfetto

La posizione sulla bicicletta è fondamentale per le prestazioni e, nella ricerca ci si è resi conto che la regolabilità è la chiave per ottenere la posizione perfetta. Per questo motivo la gamma XCR TRI consente una grande quantità di regolazioni, ogni ciclista potrà quindi trovare quella migliore per le sue caratteristiche. 

«Siamo incredibilmente orgogliosi – ha detto Jeremie Debeuf, head of product di VAN RYSEL – di presentare il nuovo VAN RYSEL XCR TRI. Il nostro obiettivo è stato quello di superare i limiti dell’aerodinamica e del comfort, creando una bicicletta che offrisse prestazioni ineguagliabili Abbiamo progettato il telaio in modo che potesse essere uno dei modelli più veloci presenti in circolazione. Dal cockpit altamente regolabile alle soluzioni di stivaggio integrate, ogni dettaglio è stato progettato per rispondere alle esigenze dei moderni triatleti e cronoman. Questa bicicletta è un vero e proprio biglietto da visita, che racchiude la filosofia, l’esperienza e l’anima del marchio VAN RYSEL».

Due le versioni disponibili: XCR TRI Ultegra Di2 e XCR TRI Rival. La prima è in vendita al prezzo di 7.700 euro, la seconda di 6.200 euro. 

VAN RYSEL

O’Connor, quattro anni in Francia e l’inglese ritrovato

15.12.2024
7 min
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ALTEA (Spagna) – Dato che non può ancora indossare gli abiti del Team Jayco-AlUla, Ben O’Connor ha pensato bene di presentarsi in ritiro con la maglia bianca e sopra una giacca larga e marrone. Di ottimo umore e anche leggermente abbronzato, l’australiano per quest’inverno non tornerà in patria, essendo diventato da poco papà e volendosi calare appieno nella parte di leader del nuovo team. Australiano come lui.

Riepiloghiamo, per chi fosse rimasto scollegato. Dopo aver conquistato il secondo posto alla Vuelta alle spalle di Roglic (che l’ha detronizzato a tre tappe dalla fine), l’australiano ha vinto con la sua nazionale il Team Mixed Relay ai mondiali di Zurigo e poi si è piazzato secondo nella gara in linea alle spalle di Pogacar e prima di Van der Poel. Ha riannodato in un solo colpo il filo che penzolava dopo il quarto posto al Tour del 2021, guadagnando valore di mercato e stuzzicando l’ambizione della squadra di Brent Copeland, che l’ha ingaggiato per farne il leader nei Grandi Giri. Lo incontriamo nei giorni del training camp della Jayco-AlUla ad Altea, lungo la costa fra Calpe e Benidorm.

O’Connor viene dalla punta più a Sud dell’Australia Occidentale, da una cittadina di settemila abitanti che si chiama Subiaco. Se qualcuno a questo punto ha pensato che c’è una Subiaco anche in Italia, a sud di Roma, sappia che l’omonimia non è casuale. Nell’area inizialmente popolata dagli aborigeni, nel 1851 si stabilì infatti una comunità di Benedettini che fondò la città dandole il nome di New Subiaco, proprio in onore della città italiana. A Subiaco, infatti, San Benedetto aveva fondato dodici monasteri e di uno era divenuto egli stesso l’abate. Otto anni dopo gli stessi monaci costruirono un grande monastero e nel 1881 la città prese semplicemente il nome Subiaco.

Tre le vittorie 2024 di Ben O’Connor, 29 anni: la Vuelta Murcia, la 6ª tappa della Vuelta (sopra), il Team Mixed Relay ai mondiali
Tre le vittorie 2024 di Ben O’Connor, 29 anni: la Vuelta Murcia, la 6ª tappa della Vuelta (sopra), il Team Mixed Relay ai mondiali
Come sta andando l’inverno?

Bene, finora il tempo è stato molto bello, piuttosto mite. Di solito vado via da Andorra quando nevica, non credo di esserci mai rimasto con la neve fuori dalla porta. Io andavo via e la neve arrivava, con un tempismo perfetto. Ma quest’anno che non ho intenzione di partire, la neve sembra non voler venire. Curiosa coincidenza.

Come si guarda indietro alla stagione 2024?

La guardo con un sorriso, è stato fantastico. Poche cose sono andate storte, ma ce ne sono sicuramente alcune che so di poter migliorare. Si potrebbe pensare che uno sia al settimo cielo, ma ci sono sempre prestazioni migliori, risultati migliori o modi migliori di gestire le situazioni. Però è stato certamente un anno da sogno.

Hai conservato tutte le maglie rosse della Vuelta?

Ne ho un sacco, questo è certo. Anche se hai vestito la maglia di leader in una qualsiasi gara World Tour, vorresti tenerla. E’ un ricordo, una cosa speciale. Se poi parliamo di un Grande Giro, è la ciliegina sulla torta. Indossare la maglia rossa per due settimane è stato qualcosa di diverso. Scendere dall’Andalusia attraverso la Galizia fino alla Cantabria è stato davvero una cosa grande. Il bello di quest’anno è che sono riuscito a mostrare la migliore versione di me in tutte le gare.

O’Connor ha conquistato la maglia di leader della Vuelta vincendo la 6ª tappa e l’ha difesa per i 12 giorni successivi
O’Connor ha conquistato la maglia di leader della Vuelta vincendo la 6ª tappa e l’ha difesa per i 12 giorni successivi
Avete individuato un fattore chiave per ottenere questa costanza durante la stagione?

Non so se sia l’età o il fatto di aver imparato a gestire il volume di allenamento. Il corpo ha imparato ad assorbire il carico di lavoro e fisicamente sono migliorato ogni anno da quando ho iniziato. Si impara a riposare e ad allenarsi per dare tutto quando serve. La squadra ha avuto un piano molto chiaro per ogni gara e in questo contesto abbiamo deciso che io fossi l’uomo delle classifiche generali. Alla Vuelta i ragazzi erano un po’ più al guinzaglio perché avevamo la maglia, però al Giro abbiamo vinto due tappe, con Vendrame e Valentin Paret-Peintre. La chiarezza è stata alla base di tutto ed è qualcosa su cui ragionare per la prossima stagione.

Pensi che potrai ripetere quello che hai vissuto quest’anno?

Probabilmente non rimarrò in testa alla Vuelta per due settimane, ma credo di potermi avvicinare. Non so se il 2024 rimarrà l’anno migliore della mia vita di corridore, ma di sicuro l’anno prossimo potrò ottenere prestazioni simili. Non ho dubbi sul fatto che possa migliorare, perché so che posso fare di più. Poi è chiaro che i risultati sono difficili da confermare, fai del tuo meglio e le cose magari non funzionano. Serve essere intelligenti. Non credo che al mondiale fossi il secondo più forte del gruppo, ma me la sono giocata meglio e alla fine ho preso la medaglia d’argento. Il ciclismo è così, non sempre alle prestazioni corrispondono i risultati.

Cosa ti fa pensare che l’anno prossimo otterrai prestazioni migliori?

Sono fiducioso perché, per esempio, nell’ultima settimana del Giro sono stato male come un cane. Eppure alla fine è stata una grande occasione persa, perché avrei avuto ugualmente la possibilità di salire sul podio, ma non ce l’ho fatta. Sarei potuto salire sul podio in entrambi i Grandi Giri della mia stagione. Avrei potuto vincere il UAE Tour e conquistare una gara a tappe WorldTour, invece Van Eetvelt è stato migliore di me. Tante cose sarebbero potute accadere, ma non sono successe. E io so che l’anno prossimo si può migliorare, ma non si può tornare indietro e cambiare il tempo.

O’Connor non ama le classiche ma riconosce l’atmosfera unica del mondiale con la maglia della nazionale
O’Connor non ama le classiche ma riconosce l’atmosfera unica del mondiale con la maglia della nazionale
Pensi di poterti avvicinare a Pogacar e Vingegaard?

No, sono fuori portata, sono troppo forti. Posso essergli vicino in certi giorni, ma non credo fisicamente di avere il loro stesso talento.

Arriverai al punto di pianificare le tue gare in base a ciò che non fanno loro?

Sì, è possibile. Si potrebbe seguire questa linea, perché ciascuno di noi ha sempre il proprio obiettivo personale. Potrei fare ogni anno il Giro se volessi, ma significherebbe evitare il Tour, che alla fine è l’apice. E proprio per questo tutti vogliono andare in Francia, perché è la corsa più importante dell’anno e tu vuoi esserci. Lo sport è pieno di grandi campioni, è una sua caratteristica, così come il fatto che non si può vincere tutto. Non si può evitare di andare al Tour e neppure di essere sconfitti, perché così è lo sport professionistico. Devi andare avanti e affrontarlo.

Perché si guarda a te solo per i Giri quando la tua prima vittoria 2024 è stata la Vuelta Murcia, di un solo giorno, poi sei arrivato secondo al mondiale?

Le corse di un giorno sono qualcosa che il mio ex allenatore ha sempre pensato che avrei dovuto fare di più. Solo che i programmi non si sono mai allineati. Le classiche devono piacerti e io non le trovo proprio così divertenti. Non è che proprio non veda l’ora che arrivino Amstel, Freccia e Liegi. Invece il mondiale è un po’ diverso, perché ha un’atmosfera da brivido. Indossi la maglia della nazionale australiana insieme agli altri corridori australiani ed è davvero una cosa speciale e allo stesso tempo per me un’eccezione. Con le corse di un giorno devi davvero metterti in gioco, mentre nelle corse a tappe puoi aspettare. Puoi essere il migliore semplicemente alla fine, che sia con la cronometro o sulla cima di una montagna. Invece durante la gara di un giorno, devi andare a cercarti anche il vento, devi essere aggressivo ed è un modo piuttosto divertente di gareggiare. Quindi da un lato non mi fanno impazzire, dall’altro forse potrei impegnarmici di più.

Il concetto di O’Connor è chiaro: la Decathlon non era il team più forte, ma ha guidato la Vuelta grazie a ruoli ben definiti
Il concetto di O’Connor è chiaro: la Decathlon non era il team più forte, ma ha guidato la Vuelta grazie a ruoli ben definiti
Che cosa hai imparato dal 2024?

Che puoi anche non avere una squadra di superstar, ma puoi ugualmente controllare una gara. Alla Vuelta avevamo un gruppo di bravi ragazzi, ma non certo dei campionissimi. Al confronto con quelli della UAE eravamo inferiori, ma i miei compagni sono stati forti perché avevano un compito prestabilito da svolgere e sono stati in grado di farlo. Ne sono rimasti tutti colpiti e abbiamo imparato che se hai le idee chiare, puoi riuscirci a prescindere dal nome dei tuoi compagni.

E’ scontato dire che il legame con l’Australia sia stato un fattore importante nella tua scelta?

No, di sicuro è stato un fattore importante. Sono stato per quattro anni in una squadra francese e ha significato cambiare completamente il mio stile di vita, il modo di comunicare. Se vai a correre in Francia, devi imparare prima di tutto la lingua. Sei tu il leader, hai la responsabilità di fare tu la corsa, eppure i direttori sportivi che ti guidano non parlano inglese. Così ho imparato a comunicare con i compagni e tutti i membri dello staff e i direttori. Soprattutto se sei un australiano in una squadra francese, devono davvero fidarsi di te perché vieni da un diverso modo di lavorare.

Una convivenza difficile?

Da un lato mi è piaciuta, ho vissuto un bel periodo, ma allo stesso tempo ero pronto per cambiare. Essere in una squadra australiana significa ritrovare la facilità di parlare e di stare con i ragazzi, me ne sono accorto già in questi pochi giorni. E anche con lo staff fila tutto liscio, si può parlare in modo diretto. Penso che come persona mi sentirò molto più a mio agio. In Francia mi sono divertito, ma qui è come tornare a casa.

Una Jayco-AlUla a misura di O’Connor? Sentiamo Copeland

31.10.2024
4 min
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Ben O’Connor è una delle belle conferme di questa stagione. L’australiano della Decathlon-Ag2R è stato autore di due ottimi grandi Giri, tanto da salire sul podio alla Vuelta. E un altro podio di quelli importanti lo ha conquistato al Mondiale in Svizzera.

Ora O’Connor è atteso a un grande salto: l’approdo nella Jayco-AlUla, team australiano come lui. Un team che, tra l’altro, si sta formando attorno a lui, con l’ingaggio di tanti ottimi corridori. Per questo ci chiediamo, anzi lo domandiamo al team manager Brent Copeland, se è già lecito parlare di “blocco O’Connor”.

Copeland sta costruendo un ottimo gruppo attorno all’australiano: ecco qui (da sinistra) Zana, Dunbar e Plapp
Copeland sta costruendo un ottimo gruppo attorno all’australiano: ecco Dunbar e Plapp, per esempio
Brent, insomma arriva O’Connor: un acquisto di peso per il suo team…

In realtà, O’Connor ci piaceva da tempo, già da quando era nel team sudafricano Dimension Data: si vedeva che aveva talento, specie per i grandi Giri.

Come è arrivato da voi? Come è andata la trattativa?

Quando Simon Yates ci ha comunicato che avrebbe cambiato squadra, abbiamo dovuto muoverci subito per sostituire un atleta così importante. Ben era libero, e l’ho contattato subito. Abbiamo iniziato a parlare, ci siamo scambiati idee, e anche lui aveva piacere di cambiare. Certo, la Decathlon-Ag2R non era contenta che andasse via, ma capiva il motivo di questa scelta. Io sono contento. O’Connor ha dimostrato di saper affrontare la pioggia al Giro d’Italia, il caldo alla Vuelta e il freddo al Mondiale. Gli ultimi risultati gli hanno dato molta fiducia.

È un leader?

Lo diventerà. Bisogna essere realistici: non è ancora allo stesso livello di un Pogacar o di un Vingegaard, e scontrarsi con questi campioni non è facile. Però può fare belle corse, dare spettacolo, ottenere risultati.

Quest’anno O’Connor ha imparato molto. I 13 giorni da leader alla Vuelta lo hanno trasformato
Quest’anno O’Connor ha imparato molto. I 13 giorni da leader alla Vuelta lo hanno trasformato
La sua squadra sta cambiando molto. Ha ormai un gruppo solido per le corse a tappe: possiamo parlare di un gruppo “grandi Giri” per O’Connor?

Ci stiamo lavorando. Già dopo il Lombardia ci siamo ritrovati per tracciare una prima bozza del programma. Di certo, accanto a lui ci saranno Gamper e Bouwman, gente di esperienza che ha lavorato con grandi capitani. E poi c’è Zana, che bisogna capire bene come “collocare”. Abbiamo Luke Plapp… Insomma, sì, abbiamo parecchi corridori validi per i grandi Giri e costruire una squadra solida.

Pensiamo anche a un altro nuovo arrivato, Double, o a Dunbar…

Sì, per loro vale lo stesso discorso di Zana. A metà novembre, in accordo con i preparatori, vedremo i percorsi, definiremo i programmi e, nel ritiro di dicembre, lo comunicheremo ai corridori.

In cosa O’Connor può migliorare con voi?

In molti aspetti. Sicuramente a crono. Con Marco Pinotti potrà fare grandi progressi, e Marco ha già iniziato a lavorare su questo. Poi credo che servano obiettivi chiari per i grandi Giri: sapere cosa si può davvero ottenere e farlo sentire leader.

Copeland ha detto che uno dei punti dove O’Connor potrà migliorare di più è la crono, che curerà con Pinotti
Copeland ha detto che uno dei punti dove O’Connor potrà migliorare di più è la crono, che curerà con Pinotti
Ecco, farlo sentire leader: un corridore australiano in un team australiano che, tra l’altro, lo ha voluto fortemente… questo può fare la differenza?

Può dargli “confidence” e potrà acquisirla non tanto per la nazionalità, ma per l’ambiente che troverà. Un inglese può trovarsi bene in un team italiano e viceversa… se l’ambiente è quello giusto per lui. Noi, per rendere l’ambiente ideale, dobbiamo metterlo nelle condizioni di svolgere al meglio il suo lavoro. Poi, certo, una certa mentalità e un linguaggio comune possono agevolare l’inserimento e rendere tutto un po’ più semplice.

Magari, se si sente più sicuro, anche i suoi alti e bassi e la fiducia in se stesso potranno migliorare. Quest’anno Ben ha fatto passi da gigante in questo senso…

Mentalmente è migliorato moltissimo e ha imparato tantissimo quest’anno. È stato l’unico al Giro a provare a tenere Pogacar. Era la tappa di Oropa, ricordate? Poi ha pagato lo sforzo, è vero, ma si è reso conto dell’impresa. Ha provato. E infatti poi non ha più commesso lo stesso errore. Alla Vuelta ha corso da leader. Ha tenuto la maglia rossa a lungo e ha gestito la squadra da primo in classifica. Forse anche lui pensava di cedere prima, e invece ha capito le sue qualità. Qualità che ha scoperto di avere anche nelle gare dure di un giorno.

Vuelta, mondiali e nuova squadra: cosa dice O’Connor?

19.10.2024
7 min
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TORINO – Il peso di una Nazione sulle spalle, ma Ben O’Connor non è uno che si lasci influenzare dal giudizio altrui né dalle pressioni. L’ha dimostrato con un finale di stagione da applausi, andandosi a prendere il tanto agognato podio in un Grande Giro alla Vuelta, riscattandosi così di quello sfuggitogli all’ultimo Giro d’Italia e in precedenza al Tour del 2021. Non contento, ha sfoderato un’altra piazza d’onore di prestigio nella rassegna iridata in quel di Zurigo.

Mentre lo guarda svolgere i test all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torino, Brent Copeland si frega le mani pensando al gioiellino che sarà il farò della Jayco-AlUla per il 2025. L’aspetto che lo stuzzica di più è proprio il fatto che i due secondi posti ottenuti dal ventottenne di Perth siano arrivati in corse così diverse sia come tipologia sia per le condizioni ambientali e metereologiche. Ora il manager della squadra australiana è ancora più convinto nell’avergli affidato il compito di raccogliere l’eredità di Simon Yates.

Abbiamo incontrato Ben O’Connor in occasione delle visite del Team Jayco-AlUla presso il Centro IRR di Torino
Abbiamo incontrato Ben O’Connor in occasione delle visite del Team Jayco-AlUla presso il Centro IRR di Torino
Ben, che effetto ti fa il pensiero di indossare dal 1° gennaio 2025 la maglia di una squadra australiana?

I quattro anni con la Decathlon hanno rappresentato un’esperienza completamente nuova, ma sarà speciale far parte di una squadra del mio Paese. Mi conforta molto perché, pur vivendo a migliaia di chilometri dalla nostra Australia, in effetti mi sentirò un po’ a casa. Sono contento di ritrovare un amico come Luke Durbridge e uno staff di connazionali. Essere il capitano della Jayco-AlUla in un Grande Giro poi, sarà una motivazione enorme ad alzare ancora l’asticella per portare in alto la nostra bandiera comune. Spero di ripetere quanto fatto quest’anno.

Sei cresciuto in una Nazione esplosa con i successi di campioni come Cadel Evans e Simon Gerrans: hai sempre pensato di fare il ciclista?

In realtà, no. Ho provato moltissimi sport, come ad esempio il cricket, il calcio e anche la corsa. Il Tour de France era sempre in tv da noi, ma il ciclismo non è mai stata un’ossessione, semmai un’opportunità che si è creata. Ci ho provato e, con il supporto dei miei genitori che mi hanno comprato la prima bici da corsa, è cominciato tutto. E’ successo tutto in fretta e in maniera inaspettata. In poco tempo mi sono trovato da correre nelle gare nazionali in Australia a gareggiare col primo team Continental in Asia. Fino ad arrivare in Europa l’anno dopo, nel 2017, e cominciare a vivere come un ciclista professionista

Nell’ultima settimana, O’Connor ha perso l’occasione di scalare il podio del Giro. Sul Grappa 9° posto di tappa
Nell’ultima settimana, O’Connor ha perso l’occasione di scalare il podio del Giro. Sul Grappa 9° posto di tappa
Sei passato da essere spettatore alla tv a esserne protagonista, visto che negli ultimi anni ti abbiamo visto parecchio anche nella serie sul Tour de France trasmessa da Netflix. Ti sei divertito?

Forse sono stato in onda pure troppo e chiedo scusa a tutti gli utenti che mi hanno guardato. Dai, almeno non ci sono nella prossima stagione, per cui vi do un po’ di sollievo. E’ stato interessante, ma direi che preferisco vedere le corse piuttosto che la serie di Netflix.

Beh, il tuo 2024 è stato un film avvincente, sei d’accordo?

Direi proprio di sì, penso di aver finalmente espresso il mio potenziale. Al Giro mi è spiaciuto stare male l’ultima settimana. In quel momento pensavo soltanto al podio perso nella generale e non sapevo se e quando mi sarebbe ricapitata un’altra occasione del genere. Poi, quando mi sono trovato in testa alla Vuelta per due settimane, è stato folle.

La vittoria di Yunquera ha permesso a O’Connor di salire in testa alla Vuelta e di restarci fino alla 19ª tappa
La vittoria di Yunquera ha permesso a O’Connor di salire in testa alla Vuelta e di restarci fino alla 19ª tappa
Com’è stato per la prima volta trovarsi al comando di un Grande Giro?

E’ stato pazzesco indossare una maglia iconica come quella rossa. Vedi gli altri farlo nei Grandi Giri e ti chiedi mille volte che cosa si provi. Poi tocca a te ed è incredibile, un mix di orgoglio e consapevolezza di essere un vincente. In quel momento, comunque, sei davanti a tutti. Non c’è niente di meglio e se non ti fai distogliere dalle tante attenzioni, è una carica in più.

A volte non ti sembra ti chiedere troppo a te stesso?

Sono entusiasta del mio finale di stagione perché ho raggiunto il livello che sapevo di valere. Il quarto posto al Giro mi aveva lasciato una sensazione di incompiutezza perché sentivo di poter valere di più, così come già all’Uae Tour perso all’ultimo giorno per appena due secondi. Il secondo posto alla Vuelta, invece, è stato come una vittoria per me.

Indossare la maglia rossa e difenderla (qui ai Lagos de Covadonga) ha fatto crescere la consapevolezza di O’Connor
Indossare la maglia rossa e difenderla (qui ai Lagos de Covadonga) ha fatto crescere la consapevolezza di O’Connor
E tra quella piazza d’onore sudata per tre settimane e quella della domenica mondiale, che punti in comune ci sono?

In entrambi i casi ho dato tutto quello che avevo e ho finito senza nessun rimpianto né alcun pensiero negativo. Sia in Spagna sia in Svizzera ho interpretato la corsa nel migliore dei modi. Punto. E ora sono carichissimo per la prossima stagione.

Non ti ha un po’ sorpreso essere sul podio nella gara di un giorno, primo degli umani dopo l’imprendibile Pogacar?

Il mio allenatore alla Decathlon continuava a ripetermi che avrei dovuto fare più corse di un giorno perché si addicono alle mie caratteristiche, per cui penso che ora possa essere orgoglioso. Forse perché sono arrivato al mondiale senza troppe aspettative, non sapendo se avrei finito la corsa né tantomeno in che posizione, per cui figuriamoci sul podio. E’ stata una bella sorpresa, perché ero così stanco dopo la Vuelta che non ho fatto nemmeno la crono e così sono arrivato molto tranquillo alla prova in linea. 

Dopo la crono finale di Madrid, il prevedibile crollo emotivo: il podio è suo
Dopo la crono finale di Madrid, il prevedibile crollo emotivo: il podio è suo
Com’è stato lottare contro Pogacar?

Non ho lottato con lui, anche se in realtà ero proprio alla sua ruota quando è partito. Ho avuto un momento di riflessione e mi sono chiesto se avessi dovuto seguirlo. Ci ho provato e non ero così lontano. Lui viaggiava su un altro pianeta, per cui sono stato contento di aver sfruttato l’occasione per avvantaggiarmi sugli altri perché chiunque degli inseguitori avrebbe potuto fare secondo o terzo. 

Hai qualche hobby quando non pedali?

Mi piace stare comunque all’aria aperta e passare tempo con mia moglie o con i miei amici. Magari mi concedo qualche bicchiere di vino o di birra o un buon caffè, niente di speciale. Preferisco fare un bel picnic, una camminata in montagna o comunque qualunque attività outdoor.

Pensi già ai piani per il 2025?

E’ ancora tutto da decidere, ma mi piacerebbe tornare al Tour de France. Se poi riuscissi a inserire anche Giro o Vuelta non sarebbe male, ma non devi fare due Grandi Giri per forza e magari potrei tenermi questo piano per il 2026. Mi è sempre piaciuta la combinazione Giro-Vuelta, mentre non sono così sicuro dell’abbinamento Tour-Vuelta. Giro-Tour, invece, potrebbe essere stimolante perché d’altronde il Giro è il Grande Giro che forse si addice di più alle mie caratteristiche

Ai mondiali di Zurigo, O’Connor ha fatto la sua parte per la vittoria australiana nel Team Relay
Ai mondiali di Zurigo, O’Connor ha fatto la sua parte per la vittoria australiana nel Team Relay
A maggio non le avevi mandate a dire a chi criticava la neutralizzazione della tappa di Livigno sotto la neve. Hai visto quanto successo di recente con la cancellazione delle Tre Valli Varesine e che ne pensi delle reazioni del pubblico?

Non mi sognerei mai di dire a nessuno come deve svolgere il proprio lavoro. Non dirò mai a un avvocato come deve comportarsi né a un giudice o un investitore. Per questa ragione, mi è parso alquanto paradossale che ci fosse gente che parlasse alle nostre spalle riguardo a un lavoro che non conoscono e che non saprebbero nemmeno fare. Chiunque può andare in bicicletta, non è così difficile. Ma gareggiarci e fare il ciclista professionista è totalmente un altro mondo. Ho chiuso coi social media e preferisco non leggere cosa scrive la gente che pensa di poter fare il nostro mestiere. Dovremmo essere noi ciclisti, insieme agli organizzatori, a prendere le decisioni, non il pubblico. 

La tua salita preferita?

Port de Cabus, in Andorra, forse una delle più belle che abbia fatto. E poi anche Arcalis non scherza affatto.

Maini: «Gara nella gara. Non è stata una Vuelta monotona»

12.09.2024
7 min
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Sono iniziati ieri gli europei in Limburgo (in modo fantastico per l’Italia con l’oro di Affini e il bronzo di Cattaneo nella cronometro individuale) che la Vuelta sembra già lontana molto più dei quattro giorni che sono trascorsi dalla frazione conclusiva di Madrid. Questo non è altro che la conseguenza dell’effetto-lampo del ciclismo attuale, dove si va sempre più veloce in gruppo e pure nel passare con l’attenzione alla gara successiva.

Noi però abbiamo tirato i freni per un attimo andando a ripercorrere gli highlights della corsa spagnola vinta da Roglic in compagnia di Orlando Maini. Il tecnico bolognese è momentaneamente giù dall’ammiraglia, ma ovviamente resta un assetato di ciclismo. Non si è perso nemmeno una tappa della Vuelta, gara che gli è rimasta nel cuore da quando vinse la Saragozza-Soria nel 1984. Ecco la sua analisi.

Orlando Maini (qui con Canola al GiroE) non si è perso una tappa della Vuelta
Orlando Maini (qui con Canola al GiroE) non si è perso una tappa della Vuelta
Orlando da dove vuoi iniziare?

Partirei dall’ultima tappa solo per indicarvi un dato che mi ha impressionato. Hanno fatto la crono di Madrid a medie orarie folli, dopo una Vuelta molto dura. Kung l’ha vinta sopra i 55 chilometri orari. Solitamente l’ultima crono di un grande giro a tappe è l’indicatore della condizione. E molti stavano bene. Cattaneo e Baroncini sono andati molto forte, Affini appena dietro, ma lui era già andato bene in quella di apertura. Non mi stupisce che i primi tre della crono europea siano reduci dalla Spagna.

Qualcuno dice che è stata una Vuelta noiosa. Cosa rispondi?

Ci sta che il pubblico da casa voglia sempre che tutti i migliori dieci corridori al mondo si scontrino in ogni tappa. Per le volate, in salita o nelle frazioni ondulate. Ma non può essere così perché innanzitutto c’è un calendario molto fitto e le energie vanno dosate. Poi perché il livello medio è altissimo. Si va forte ogni giorno, basta guardare i dati dei computerini dei corridori. Anche nella penultima tappa, che aveva più di 5.000 metri di dislivello in 170 chilometri, sono andati molto forte (oltre 37 km/h di media, ndr). Le differenze sono minime in certi casi.

Alla 6ª tappa O’Connor trova la fuga, vince e guadagna minuti preziosi in classifica. Chiuderà secondo cedendo solo al terzultimo giorno
Alla 6ª tappa O’Connor trova la fuga, vince e guadagna minuti preziosi in classifica. Chiuderà secondo cedendo solo al terzultimo giorno
Alla fine secondo te ha vinto la Vuelta chi doveva vincerla?

Delle tre grandi corse a tappe, quella spagnola è quasi sempre quella col risultato più aperto, specialmente quest’anno. Senza fenomeni come Pogacar, Vingegaard e Evenepoel, il favorito principale era Roglic, anche perché i rivali diretti sulla carta non erano al top. Almeida si è ritirato all’inizio, Adam Yates è andato a corrente alternata, Landa era in buona condizione, ma non abbastanza e Mas è un regolarista cui manca sempre il guizzo decisivo. Tuttavia la vittoria di Roglic non era scontata, nonostante ne avesse già conquistate tre. Infatti abbiamo visto com’è andata. Ha dovuto rosicchiare il vantaggio di O’Connor fino alla fine. Per me è stata una Vuelta che è andata oltre le attese.

In che modo?

Sostanzialmente ogni giorno c’era una fuga numerosa e quindi si assisteva ad una gara nella gara. Una per la vittoria di tappa, l’altra per la generale. Abbiamo visto lampi che hanno reso interessante la corsa. Ad esempio in una di queste azioni da lontano, O’Connor è andato a prendersi un successo parziale, la maglia rossa e alla fine pure il secondo posto finale. Guardate che fare un podio nelle grandi corse a tappe non è facile, anche se non ci sono i soliti tre tenori che dicevo prima.

La fuga di O’Connor ha ricordato quella di Arroyo al Giro del 2010 che gli permise poi di chiudere secondo dietro Basso in classifica. Secondo te ha scombinato i piani di molti uomini?

Penso proprio di sì. Bisogna dire però che rispetto ad Arroyo, O’Connor alle spalle aveva un quarto posto al Tour del 2021 e al Giro di quest’anno, quindi era già abituato a certi piani alti. Però per me ha fatto un grande numero. Idealmente gli do un voto alto perché ha giocato molto bene le sue carte. E’ vero che gli hanno lasciato molto spazio e lui ha guadagnato molti minuti con quella fuga, però gli va dato atto che è stato bravo a crearsi quella occasione. E bravo successivamente a gestire gli sforzi. Tutti pensavano che saltasse prima, invece ha ceduto solo al terzultimo giorno.

La Kern Pharma ha ottenuto tre vittorie (qui con Castrillo a Estación de Montaña Manzaneda). Un ottimo bottino per un team professional
La Kern Pharma ha ottenuto tre vittorie (qui con Castrillo a Estación de Montaña Manzaneda). Un ottimo bottino per un team professional
Lato velocisti invece cosa ci dici?

Le tappe se le sono divise in due rispettando abbastanza i pronostici. Mi è dispiaciuto tantissimo per la caduta e il relativo abbandono di Van Aert. Peccato, stava andando fortissimo, mi ricordava quello del 2022 al Tour. Ha raccolto tre vittorie, era sempre in fuga, anche in montagna, aveva una condizione incredibile ed era al comando di due graduatorie. Non so se avrebbe vinto la classifica dei gpm, ma di sicuro quella a punti, che poi è andata a Groves, autore di tre successi nelle altrettante tappe per velocisti.

C’è qualcosa che ti ha colpito in particolare?

Sicuramente le vittorie delle formazioni professional. A parte quello di Woods della Israel, che è già stata nel WorldTour, i tre successi della Kern-Pharma con Castrillo e Berrade mi sono piaciuti. Penso che vadano a beneficio del nostro sport. Sono di certo vittorie figlie della Vuelta che si è creata come dicevo prima, ma sono importanti perché danno un segnale. Che anche le squadre più piccole possono riuscire a vincere nei grandi giri. Pensate al Giro d’Italia se una professional italiana vincesse tre tappe. Per gli sponsor sarebbe una manna e magari servirebbe per attirarne di nuovi.

Van Aert sembrava quello del Tour 2022. Tre vittorie, fughe, maglie di classifica, ma anche la solita sfortuna. Abbandona per una caduta
Van Aert sembrava quello del Tour 2022. Tre vittorie, fughe, maglie di classifica, ma anche la solita sfortuna. Abbandona per una caduta
Cosa ti ha deluso?

Devo dire con onestà che mi sarei aspettato di più da Landa. Non tanto in termini di generale, quanto più per una vittoria di tappa. Però per come stava andando ed è andata la Vuelta, la Soudal avrebbe dovuto cambiare tattica. Ovvero non lasciare andare via la fuga e poi inventarsi qualcosa nel finale. Oppure far uscire di classifica Landa subito e cercare la fuga come fanno spesso in tanti per avere più libertà d’azione. Certo, non è così semplice. Una conseguenza di tutto ciò però ha portato a fermare Cattaneo nella diciottesima tappa per aspettare ed aiutare Landa staccato. Mi è spiaciuto molto per Mattia che meritava di giocarsi la vittoria siccome aveva dimostrato di stare bene.

Nella 18ª tappa Cattaneo era in fuga, ma è stato fermato per aiutare Landa staccato. Avrebbe meritato di giocarsi le proprie carte
Nella 18ª tappa Cattaneo era in fuga, ma è stato fermato per aiutare Landa staccato. Avrebbe meritato di giocarsi le proprie carte
Orlando Maini come ha guardato la Vuelta?

Ho un debole per le gare spagnole e per questa in particolare. L’ho corsa da corridore e l’ho fatta tante volte da diesse. Ogni giorno appena mi collegavo alla televisione cercavo di capire com’era la situazione e mi immedesimavo nei direttori sportivi, sia degli atleti in fuga sia di quelli in lotta per la maglia rossa. Cercavo di interpretare le tattiche e magari vedere se i miei pensieri combaciavano con ciò che vedevo. D’altronde noi addetti ai lavori guardiamo le gare in questo modo, valutando aspetti che spesso la gente da casa non tiene in considerazione.

Con Belli il premonitore il bilancio della Vuelta

10.09.2024
6 min
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«Ben  O’Connor finirà tra i primi cinque. Vedrete». Wladimir Belli ha azzeccato in pieno il pronostico sul conto del corridore della Decathlon-AG2R. L’ex corridore lombardo, oggi commentatore per Eurosport, ha seguito la Vuelta molto da vicino e tra il suo occhio lungo e il fatto di stare sempre sul pezzo è la persona giusta per tracciare un bilancio del grande Giro spagnolo.

Sempre Belli aveva azzeccato anche la vittoria di Roglic, questa più pronosticabile, certo. L’unico dubbio circa lo sloveno era: arriverà a Madrid? O sarà bloccato, come spesso gli succede, da qualche caduta?

Wladimir Belli (classe 1970) è stato pro’ per 16 stagioni, ora è un commentatore di Eurosport
Wladimir Belli (classe 1970) è stato pro’ per 16 stagioni, ora è un commentatore di Eurosport
Vuelta finita Wladimir, partiamo proprio dalla tua visione su O’Connor…

O’Connor è un buon corridore, magari non è un vincente, né un super campione, va bene in salita, si difende bene a crono e ha un grande livello di continuità. Ormai si sa gestire: si conosce. Conosce i suoi limiti e sa sfruttare bene le sue qualità. Non ha vinto chissà cosa, ma se andiamo a guardare il suo palmares è uno di quelli che non crolla mai. Quarto al Giro d’Italia, quarto al Tour de France.

Ha guadagnato un gruzzoletto di minuti nella sesta tappa, quella che ha vinto, ma davvero ti aspettavi un risultato simile?

Io sì, alla fine dopo quel giorno quanto ha perso nei confronti degli altri? Faccio un esempio. Prendiamo il Pozzovivo di qualche anno fa. Se gli lasciavi 10′ non so se il Roglic della situazione lo riprendeva. Semmai solo lui. Ma gli altri no. Pozzo si sarebbe staccato tutti i giorni, ma non avrebbe mollato mai. Sarebbe andato su al massimo delle sue possibilità e non avrebbe avuto un giorno di enorme crisi. E quindi sarebbe andato sul podio. 

E poi c’è Primoz Roglic: quarta Vuelta. Cosa ne pensi?

Sono gli altri che hanno perso una buona occasione, quella che lui, ancora una volta ha sfruttato bene. Ad un certo punto credo si sia anche spaventato un po’ con il vantaggio che aveva O’Connor e tutto sommato questo distacco ha tenuto viva la Vuelta stessa. Io avevo ipotizzato che Roglic avrebbe ripreso la maglia rossa ai Lagos de Covadonga: non ce l’ha fatta per 5”, ma ricordiamoci anche della sua penalizzazione di 20”.

O’Connor stoico: in montagna ha ceduto poco terreno agli altri (Roglic escluso) e ha fatto un’ottima crono finale. Risultato: 2° a Madrid
O’Connor stoico: in montagna ha ceduto poco terreno agli altri (Roglic escluso) e ha fatto un’ottima crono finale. Risultato: 2° a Madrid
La sensazione, al netto dei nomi che erano anche buoni, è che sia stata una Vuelta un po’ in caduta in quanto a livello di forma. Tu come la vedi?

Roglic secondo me non è andato forte come i suoi standard. Non era il solito Roglic, ecco. Come ho detto prima gli altri hanno perso una buona occasione. Carapaz ha lottato, ha detto che voleva vincere la Vuelta, ma alla fine ha fatto il suo. O’Connor con quella fuga ha fatto molto e ha messo pepe all’intera corsa. La Vuelta è spesso un esame di riparazione, a parte per gli spagnoli che la sentono e la vivono in modo diverso. 

A tal proposito Enric Mas è andato forte….

Sì, molto. Però va anche ricordato che il livello era quello che era. Ho l’impressione che Mas non sia al pari di quei 3-4 corridori che difficilmente sbagliano. Magari un giorno potrebbe provare a vincere la Vuelta sfruttando quell’occasione di cui dicevo, ma è anche vero che il tempo passa e dietro c’è gente che spinge.

In generale chi ti è piaciuto?

Beh, questo Pablo Castrillo ha fatto dei bei numeri. E’ stato un corridore inaspettato. Un gran bel lottatore. Mi è piaciuto molto anche Kaden Groves. E’ vero che i velocisti veri non c’erano, però oltre che a fare bene in volata ha tenuto su percorsi mossi e difficili nonostante la sua stazza. Alla fine si è portato a casa tre tappe e la maglia verde. E bene anche Richard Carapaz, mi è piaciuta la sua solita tenacia. Alla fine non è andato lontano dal podio.

Wladimir Belli ha messo Kaden Groves tra i promossi di questa Vuelta
Wladimir Belli ha messo Kaden Groves tra i promossi di questa Vuelta
E degli italiani cosa ci dici?

Non si sono visti moltissimo a dire il vero. Ma mi sono piaciuti Aleotti, Baroncini e Cattaneo. Baroncini ha delle qualità… quando non cade e si frattura, quindi è sfortunato. Anche quando Velasco vinse l’italiano ricordiamoci che forò nel finale e lui era nettamente il più veloce. Battè Girmay al mondiale under 23, e questo vuol dire molto, va forte a crono. Insomma è un bel corridore. Aleotti mi è piaciuto per quel che ha fatto. Ha svolto un ottimo lavoro, è stato sempre presente e secondo me ha trovato il suo posto in gruppo. Per fare classifica non ha ancora la forza necessaria a crono, in salita e nel recupero, ma ha il suo spazio ed è un corridore molto utile alla causa.

Non abbiamo ancora parlato di Van Aert. Fin quando è stato in corsa, sembrava in netta crescita…

Sì, ma per le sue caratteristiche vince poco. Era in lotta per gli sprint, per le tappe, per la maglia verde e tutto ciò a cosa lo ha portato? A precludergli il finale di stagione. Pensate a Van der Poel: quante volte lo abbiamo visto davvero attivo al Tour? Poche. E magari quando si vedeva provava a vincere. E’ vero che Wout è più duttile va forte su più terreni e si mette più in gioco, ma così no.

Dici che deve selezionare insomma?

Sì, e poi c’è un’altra cosa che penso al suo riguardo: uno come Van Aert non dovrebbe fare mai il gregario. Si fa in quattro per aiutare questo o quello. Lo portano al Tour per Vingegaard. Lo fanno andare in fuga, lo fermano per attenderlo, per farlo tirare, ci si aspetta che poi vinca lui stesso. Okay la sfortuna, ma quest’anno ha vinto cinque corse: poco per uno forte come lui. Vi faccio un esempio…

Per Van Aert una Vuelta a doppio volto: bene all’inizio, ma poi un ritiro che gli è costato molto
Per Van Aert una Vuelta a doppio volto: bene all’inizio, ma poi un ritiro che gli è costato molto
Vai…

Ripenso, e mi arrabbio, alla prima tappa del Tour di quest’anno, quella che ha vinto Bardet. Una tappa ideale per Van Aert. Bastava che su una di quelle salite finali, quando il gruppo era tornato ad aver la fuga a vista, Vingegaard facesse una tirata delle sue di 250 metri e Van Aert avrebbe chiuso o si sarebbero eliminati del tutto i velocisti. Cosa sarebbe costato a Vingegaard? Quanto avrebbero inciso 250 metri di tirata sul Tour del danese? Non è facile per Wout stare in quel team.

Torniamo alla Vuelta: c’è qualcuno che invece ti ha deluso?

Vlasov. Alex lo conosco bene, so delle sue doti. Lo allenavo io quando vinse il Giro Under 23. Ma dopo tanti grandi Giri quante tappe ha vinto? Nessuna. E ha sempre avuto una o più giornate no. E poi in generale non mi è parsa brillante la UAE Emirates. E’ vero che hanno perso Almeida (il leader, ndr) per covid ma poi Adam Yates non ha reso come ci si poteva attendere, evidentemente le fatiche del Tour si sono fatte sentire. Non è facile essere competitivi tanto a lungo. E poi avevano avuto già prima quel problema con Ayuso. Se fosse stato bene sarebbe di certo entrato nei primi cinque, perché lui è un corridore vero.

Nella gran festa di Madrid, brindano in due: Roglic e Kung

08.09.2024
6 min
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Gli assenti hanno sempre torto, ma chissà perché finiscono sempre nei discorsi. Primoz Roglic vince la quarta Vuelta Espana senza avere davanti chissà quali avversari. Il suo percorso fino al trono di Madrid è lo stesso delle prime tre volte: cadute o batoste al Tour e poi la redenzione in Spagna. Roglic ha avuto per anni il livello di Pogacar, almeno finché questi ha salito il gradino che Primoz non potrà mai raggiungere. Per questo, era abbastanza scritto che, se fosse tornato al suo meglio, avrebbe conquistato la maglia rossa.

Alle sue spalle si piazzano Ben O’Connor, il cui miglior risultato finora era stato il quarto posto nel Tour del 2021. E poi Enric Mas, che per tre anni è arrivato secondo alla Vuelta e ormai ci si dovrà chiedere se chi la dura la vince o questa sia la sua dimensione definitiva.

Cadute e redenzioni, la prima

La prima nel 2019. Aveva chiuso terzo il Giro d’Italia vinto da Carapaz su Nibali, cui era arrivato vincendo la Tirreno-Adriatico e il Romandia. Era partito conquistando la maglia rosa nella crono di Bologna, poi si perse nei battibecco con Nibali e chiuse terzo. Arrivò in Spagna correndo nel mezzo soltanto il campionato nazionale, conquistò la maglia rossa nella crono di Pau alla decima tappa e la portò sino in fondo, lasciandosi dietro Valverde e un giovane connazionale di cui si diceva un gran bene: Tadej Pogacar.

La seconda nel 2020

La seconda nel 2020, dopo che quello stesso ragazzino impertinente gli rovinò il sogno del Tour. Roglic tenne la maglia gialla per undici tappe e la perse nella famigerata cronoscalata a La Planche des Belles Filles. Quel giorno gli astri si disallinearono e lo scaraventarono nella polvere. Riprendersi fu dura, ma Primoz trovò la forza in qualche angolo sperduto della mente. Andò in Spagna, prese la maglia il primo giorno, la lasciò andare per quattro tappe e si prese la seconda maglia rossa, precedendo Carapaz e Carthy.

La terza nel 2021

La terza l’anno dopo, quando si ritirò dal Tour dopo la caduta nella tappa di Tignes. Ugualmente si rimboccò le maniche, andò in Spagna, prese la maglia il primo giorno. Trascorse la maggior parte della Vuelta in terza posizione, lasciando l’incombenza del controllo alla Intermarché. Infine se la riprese vincendo la tappa ai Lagos de Covadonga, a quattro tappe dalla fine e vincendo anche la crono finale di Santiago de Compostela.

La quarta giusto oggi

Il meccanismo perfetto si inceppò l’anno dopo. Si ritirò dal Tour per caduta dopo aver aiutato Vingegaard a battere Pogacar e cadde anche alla Vuelta. Si arrotò in una improbabile volata nella tappa di Tomares, quando era chiaro che avesse le gambe per rimontare Evenepoel, che così conquistò il suo primo Grande Giro. Lo scorso anno, infine, vinse il Giro d’Italia e quando arrivò in Spagna trovò sulla sua strada i suoi compagni di squadra. Dovette arrendersi alla scelta di far vincere Kuss, lasciando il secondo posto a Vingegaard.

Un affare fra sloveni

Quest’anno doveva essere quello dell’assalto deciso e decisivo al Tour. Il passaggio alla Bora-Hansgrohe, diventata nel frattempo Red Bull-Bora-Hansgrohe. La preparazione certosina e lo scampato pericolo al Giro dei Paesi Baschi. E quando al Tour sembrava che, pur essendo indietro, avrebbe potuto giocarsi al meno il podio, la caduta verso Villeneuve sul Lot, provocata da Lutsenko e da una posizione troppo arretrata nel gruppo, lo ha rilanciato ugualmente verso la Vuelta. A tre anni dall’ultima vittoria e con 35 candeline da spegnere a ottobre. Nella stessa stagione, per giunta, in cui Pogacar ha vinto Giro e Tour: la Slovenia continua a comandare.

«E’ bello – dice Roglic – avere il record per il maggior numero di vittorie alla Vuelta. Oggi volevo finirla. E’ stata dura, ma è andato tutto bene e sono felice. Ho visto la prestazione di Kung. Sappiamo tutti che è forte in questo tipo di cronometro pianeggiante. Tuttavia, ho cercato di motivarmi per provarci, altrimenti sarebbe stata ancora più dura. Ho spinto e non ce l’ho fatta, per cui voglio congratularmi con lui, perché ha fatto un ottimo lavoro. Kung è stato incredibilmente forte oggi. Non ho parole, è incredibile che la Slovenia abbia vinto tutti e tre i Grandi Giri nel 2024. Ci sono da fare molti sacrifici, non solo io. La mia famiglia, le persone che ho intorno, ci sacrifichiamo tutti. E io sono felice di avercela fatta, per dare un senso alle tante rinunce. Apprezzo molto il supporto che ho ricevuto. Mi hanno già chiesto se vincerò la quinta, ma diciamo che per adesso quattro possono bastare».

La vittoria di Kung è stata netta: era lo specialista più forte in gruppo
La vittoria di Kung è stata netta: era lo specialista più forte in gruppo

La prima di Kung

Stefan Kung ha trent’anni ed è professionista dal 2015. Eppure, nonostante abbia vinto europei e titoli nazionali, non aveva mai vinto crono nei Grandi Giri. Oggi quel gap è stato chiuso ed è per questo che il sorriso dello svizzero era secondo forse soltanto a quello di Roglic.

«E’ incredibile – dice Kung – ho lottato per vincere una tappa di un Grande Giro per molto tempo. Volevo davvero la vittoria oggi e sapevo che con questo percorso dovevi dare il massimo e tenere duro fino alla fine. E’ quello che ho fatto, ho sofferto molto, ma penso sia stato così per tutti. C’è voluto molto tempo, ma è sempre bello se vinci con più di mezzo minuto. Dimostra che sei stato assolutamente il migliore, non è stata una coincidenza. E’ davvero bello e ripaga tutto il lavoro che abbiamo fatto come squadra, anche per sviluppare la nuova bici con Wilier.

«Cerco sempre di essere professionista al 100 per cento. Cerco sempre di tirare fuori il massimo da me stesso. E quando si vince, è una bella sensazione. Ci sono molte grandi cronometro ancora e aver vinto oggi mi darà la sicurezza per restare sull’onda. Penso che la Vuelta sia stata per me la migliore preparazione possibile per gli europei e per i mondiali di Zurigo, che saranno molto duri».