Davide Stella, Sei Giorni di Gand

Stella a Gand: sei giorni di festa, musica e divertimento

29.11.2025
5 min
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L’inverno di Davide Stella lo ha visto pedalare in giro per il mondo tra parquet e strada, dal mondiale di Santiago del Cile su pista al Criterium a Singapore con Vingegaard e Milan. Ma per il classe 2006 del UAE Team Emirates Gen Z il richiamo della Sei Giorni di Gand è stato troppo forte per rinunciare quella che è la gara più bella per gli amanti di questa disciplina. Una settimana nel cuore del ciclismo, tra birre, giri di pista a velocità folli, musica e un mare di gente.

«Ero venuto qui anche lo scorso anno – racconta Stella – e quella di Gand si conferma una delle Sei Giorni più belle da correre in assoluto. La manifestazione prevede anche gare per la categoria under 23, le giornate sono meno frenetiche e si ha modo di guardare i grandi darsele di santa ragione. 

A sinistra Matteo Fiorin con Davide Stella, Sei Giorni di Gand
A sinistra Matteo Fiorin con Davide Stella, i due hanno corso insieme alla Sei Giorni di Gand
A sinistra Matteo Fiorin con Davide Stella, Sei Giorni di Gand
A sinistra Matteo Fiorin con Davide Stella, i due hanno corso insieme alla Sei Giorni di Gand

Preparatori e pista

Alla Sei Giorni di Gand le gare iniziano alla sera, intorno alle 18,30, con le prove riservate agli under 23. Dopo un’ora e mezzo nella quale i giovani scaldano il pubblico, come se ce ne fosse bisogno, entrano in pista i pezzi da novanta. Lo spettacolo inizia e per Stella e gli altri si apre il sipario sul mondo che verrà.

«Nella Sei Giorni di noi under – spiega ancora Stella – si corre molto meno rispetto agli elite, cosa che in questa parte dell’anno va anche bene. Siamo nel mezzo della ripresa invernale e i preparatori ci fanno fare tante ore a bassa intensità. Diciamo che una corsa in pista contrasta un po’ con il programma, però per una settimana si può fare. Anzi, io mi sento di stare meglio. Per i primi tre giorni noi under 23 correvamo due gare: una corsa a punti singola con due manche, dove le coppie venivano divise in numeri bianchi e neri. Poi la seconda prova era il giro lanciato. Mentre gli altri tre giorni avevamo la madison al posto della corsa a punti».

Davide Stella, Sei Giorni di Gand
Stella e Fiorin hanno corso nelle gare riservate agli under 23
Davide Stella, Sei Giorni di Gand
Stella e Fiorin hanno corso nelle gare riservate agli under 23
Hai corso in coppia con Fiorin, come vi siete organizzati con la logistica?

Eravamo in trasferta con la nazionale, quindi l’alloggio e gli spostamenti ce li hanno organizzati loro. Per il resto ci organizzavamo noi la giornata: la sveglia era abbastanza comoda visto che correvamo la sera. Io avevo con me anche la bici da strada e uscivo per fare qualche ora di allenamento. Una volta tornato riposavo, insieme a Fiorin giocavamo a Mario Kart e poi si andava in pista.

Che clima c’era una volta arrivati?

L’atmosfera era bellissima, uno spettacolo unico. E’ sia una corsa di ciclismo che uno show. Ogni sera dopo le nostre gare ci fermavamo a guardare quelle degli elite e ci siamo divertiti tantissimo, soprattutto perché era l’ultima in pista di Elia Viviani. Essere presenti a questo addio, dopo averlo visto vincere il mondiale qualche mese fa, è stato emozionante. 

Quanto prima correvate?

Questione di minuti, noi iniziavamo alle 18,30 mentre gli elite alle 20. La cosa bella è che potevamo scegliere se sederci in tribuna o rimanere in mezzo ai corridori. Per vedere bene la corsa era meglio andare in tribuna, ma facevamo fatica a trovare un posto libero (ride, ndr). 

Com’è vivere la corsa tra il pubblico?

Bello perché la maggior parte della gente se ne intende di ciclismo, tutti sanno come funzionano le varie prove. Poi in Belgio conoscono tutti i ciclisti, prendevano d’assalto anche me! Il più gettonato però era Viviani, diciamo che tra la sua carriera e la maglia di campione del mondo era difficile che passasse inosservato. 

Sei Giorni di Gand, pubblico
A Gand l’evento porta con sé sei giorni di festa e divertimento
Sei Giorni di Gand, pubblico
A Gand l’evento porta con sé sei giorni di festa e divertimento
Siete stati anche con Viviani?

Andavamo spesso a trovarlo tra una gara e l’altra. Però loro rimanevano poco nel parterre, tra una gara e l’altra ci saranno stati forse venti minuti di pausa. Ci siamo goduti ogni momento, poi sono arrivati anche Lamon, Ganna e Consonni per fargli una sorpresa e siamo stati tanto anche con loro. Diciamo che le sere una birretta post gara ce la siamo bevuta, mentre intorno a noi andava avanti la festa.

Una vera festa, che effetto fa viverla in prima persona?

Il DJ della Sei Giorni penso sia uno dei più bravi che abbia mai visto. Per prima cosa se ne intende di ciclismo e capisce i movimenti della corsa e dei corridori. Ogni atleta, quando attacca, ha la sua colonna sonora. Oppure a ogni passaggio o situazione lui cambia ritmo e coinvolge tutto il pubblico. Quando correvamo nel giro lanciato ogni coppia poteva scegliersi la canzone che preferiva.

Michele Scartezzini, Elia Viviani,Filippo Ganna, Simone Consonni, Sei Giorni di Gand 2025
La Sei Giorni di Gand è stata l’ultima corsa su pista di Viviani, qui con Scartezzini, Ganna e Consonni che sono venuti a fargli una sorpresa
Tu e Fiorin che canzone avete scelto?

Pedro di Raffaella Carrà, il remix. Mentre Viviani aveva “Sarà perché ti amo” dei Ricchi e Poveri. 

Quindi appuntamento per il 2026?

Speriamo in un altro invito! Adesso ho collezionato tre maglie della Sei Giorni. I colori li decidono l’organizzazione insieme agli sponsor. Quest’anno insieme a Fiorin avevo il verde. Poi lui non ha corso l’ultimo giorno perché è stato male, mi sono trovato a correre con un belga. Così ora a casa ho anche una maglia rossa.

Renato Favero, Soudal Quick-Step Development 2025

Favero: la scuola della Soudal e l’esame con la Biesse

26.11.2025
6 min
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Il periodo di riposo di Renato Favero ha tardato un po’ di più rispetto agli altri ad arrivare, infatti il corridore che dal 2026 sarà con la Biesse Carrera Premac di Marco Milesi e Dario Nicoletti ha corso i mondiali elite su pista in Cile. Solo una volta terminati i suoi impegni con il quartetto e l’inseguimento individuale ha potuto trovare la meritata pausa invernale. Una quindicina di giorni prima di riprendere la preparazione il 10 novembre. Prima in maniera leggermente più blanda con qualche sessione di palestra, della corsa a piedi, il tutto intervallato da qualche uscita in mtb

Renato Favero, Italia, mondiali pista 2025, Santiago del Cile, inseguimento individuale
Renato Favero, Italia, mondiali pista 2025, Santiago del Cile, inseguimento individuale
Renato Favero, Italia, mondiali pista 2025, Santiago del Cile, inseguimento individuale
Renato Favero, Italia, mondiali pista 2025, Santiago del Cile, inseguimento individuale

Già all’opera

Nel momento in cui lo chiamiamo Favero ha appena finito una sessione di rulli, è quasi sera ma la giornata lo ha portato a fare un check insieme al suo preparatore per capire se gli esercizi in palestra vengono fatti nella maniera corretta. 

«Un controllo che ha confermato che sto facendo tutto bene – dice Favero con un sorriso – però ci siamo presi il giusto tempo, quindi non ho avuto modo di uscire in bici, così ho recuperato con una sessione di rulli. Adesso sono ufficialmente entrato nel vivo della preparazione. Non ho ancora avuto modo di conoscere personalmente i nuovi compagni e lo staff, ma dovrei farlo a dicembre ai primi test. Oppure ci sarà il tempo di farlo a gennaio con il ritiro a Denia, in Spagna. Negli anni al devo team della Soudal Quick-Step andavamo ad Altea, lì vicino. Cambia il nome della cittadina ma non quello delle salite e delle strade che faremo (sia Denia che Altea si trovano nella Comunità Autonoma Valenciana, ndr)». 

Favero (al centro) insieme a Giami e Grimod (rispettivamente a destra e sinistra) ha vinto il titolo iridato nell’inseguimento individuale da juniores (foto Uci)
Favero (al centro) è da anni nel giro della pista azzurra e da juniores ha vinto il titolo iridato nell’inseguimento individuale (foto Uci)
Che off-season è stata quella dopo il mondiale su pista in Cile?

Rilassante, sono andato in vacanza con i miei amici della pista: Etienne Grimod e Luca Giaimi. Praticamente tra mondiale e ferie abbiamo passato un mese abbondante insieme. Abbiamo un bellissimo rapporto e stare con loro è davvero piacevole. 

Dal mondiale sei tornato soddisfatto?

Speravo di fare qualcosa di meglio. Il quartetto è andato abbastanza bene alla fine, siamo arrivati a pochi decimi di secondo dal podio. Alla fine eravamo un quartetto pressoché giovane, quindi va bene così, anche perché le altre nazionali avevano un livello davvero alto. Mentre, nell’inseguimento individuale pensavo di andare molto più forte. Tuttavia dopo una stagione lunga e con le fatiche del quartetto non è stato semplice fare una buona prestazione. 

Renato Favero, Soudal Quick-Step Development 2025
Renato Favero è passato under 23 con la Soudal Quick-Step Development nel 2023
Renato Favero, Soudal Quick-Step Development 2025
Renato Favero è passato under 23 con la Soudal Quick-Step Development nel 2023
Possiamo dire che dal prossimo anno prenderai il posto di Grimod alla Biesse? Gli hai fatto qualche domanda?

Siamo sempre in contatto e in questi due anni ha sempre parlato bene della Biesse, quindi non gli ho fatto tante domande perché sapevo già tante cose. Quando ho scoperto che non avrei più continuato con la Soudal Quick-Step ho capito che all’estero sarebbe stato difficile trovare spazio. Nel momento in cui mi hanno detto dell’interessamento della Biesse Carrera ho accettato subito, credo siano la miglior continental italiana e così ho firmato con loro. 

Perché le strade tue e della Soudal si sono separate?

A inizio luglio mi hanno detto che non avrei proseguito il mio cammino in Belgio, sinceramente il perché non mi è mai stato detto. Penso si aspettassero qualcosa in più nella prima parte della stagione, periodo nel quale ho fatto più fatica. Avevo firmato un contratto di due anni con il devo team e al termine hanno deciso di non continuare.

Renato Favero, Soudall Quick-Step Development, Paris-Roubaix Espoirs (foto Freddy Guérin/DirectVelo)
Favero ha deciso di seguire la strada delle Classiche, qui alla Paris-Roubaix Espoirs nel 2024 (foto Freddy Guérin/DirectVelo)
Renato Favero, Soudall Quick-Step Development, Paris-Roubaix Espoirs (foto Freddy Guérin/DirectVelo)
Favero ha deciso di seguire la strada delle Classiche, qui alla Paris-Roubaix Espoirs nel 2024 (foto Freddy Guérin/DirectVelo)
Ti saresti aspettato qualcosa in più da te stesso?

Credo di aver imparato tanto nel mio periodo alla Soudal Quick-Step, anche se non proseguirò con loro ho accumulato un bagaglio di esperienze importanti. Mi hanno insegnato il loro modo di correre, la loro mentalità e io mi sono messo alla prova in un ambiente tanto diverso dal nostro. 

E’ stato difficile?

Devi essere forte mentalmente, perché si passa tanto tempo via da casa ed è difficile trovare qualcuno che parla la tua lingua. Rispetto alla Borgo Molino, dove ho corso da juniores, è tutto diverso e grande. Quando sono arrivato ho fatto dei test e mi hanno detto che avrei potuto scegliere se far parte del gruppo delle classiche o delle corse a tappe. Ho optato per le classiche anche visto il mio fisico (Favero è alto 192 centimetri, ndr). 

Molti ragazzi partono con in testa le Classiche, ma è difficile affermarsi, per te è stato così?

Correre in Belgio, o in generale al Nord è molto diverso dal farlo in Italia. Tra pavè, vento, muri e tutto il resto c’è molto da imparare e il salto è ampio. Inoltre il modo di correre in gruppo è totalmente differente, si attacca sempre e le corse escono dure e selettive, anche perché ogni dieci minuti qualcuno attacca. 

Questo è ciò che hai imparato?

Sì, soprattutto quest’anno e in particolare nella seconda metà di stagione. Mi sono messo tanto alla prova, lanciandomi in azioni e fughe fin da inizio gara. E proprio ad agosto ho trovato la mia prima vittoria in una gara nazionale. Per me è stata una conferma di quanto fatto. 

Renato Favero, campionato italiano under 23 a cronometro, 2025
Favero torna in Italia consapevole di avere ancora ampi margini di crescita, una disciplina su cui vuole lavorare è la cronometro
Renato Favero, campionato italiano under 23 a cronometro, 2025
Favero torna in Italia consapevole di avere ancora ampi margini di crescita, una disciplina su cui vuole lavorare è la cronometro
Marco Milesi ha detto che in Italia troverai percorsi diversi, credi possa essere comunque un passo importante per crescere ancora?

Le corse del calendario italiano sulla carta sono più toste, con salite lunghe e strappi importanti. Penso sia una cosa positiva per me e non mi spaventa, anzi mi stimola. Tornare in Italia dopo due stagioni in un devo team mi dà la carica, voglio dimostrare di essere tornato più forte di prima. Ci sono ancora tanti margini, uno di questi è la cronometro. Non avevo mai corso una gara contro il tempo e al campionato italiano under 23 ho colto un bel quarto posto. Quindi sono fiducioso di quanto posso fare nella prossima stagione.

Alberto Dainese

Dainese primi assaggi di Soudal ed è già nel pieno del Wolfpack

02.11.2025
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E’ uno dei passaggi più importanti del ciclomercato per noi italiani: quello di Alberto Dainese dalla Tudor Pro Cycling Team alla Soudal–Quick‑Step. Lo sprinter veneto è ormai una certezza e approdare in un team che fa delle classiche e delle tappe il suo obiettivo maggiore non è da poco. Specie se quel team è proprio uno squadrone come la Soudal–Quick-Step.

Qualche giorno fa Dainese è volato in Belgio a Turnhout presso la sede di ricerca e sviluppo di Soudal, per un meeting di tre giorni come si è soliti fare oggigiorno. Qui ha conosciuto i nuovi compagni, ma anche tecnici, staff. Da lui ci siamo fatti raccontare le prime impressioni ed è emersa subito la “parolina” magica: Wolfpack.

Alberto Dainese (classe 1998) saluta la Tudor dopo due stagione
Alberto Dainese (classe 1998) saluta la Tudor dopo due stagione
E quindi, Alberto, è cominciata una nuova avventura: quanto della stagione è già impostato e quanto invece è ancora in divenire?

Sì, esatto, siamo andati in Belgio e ci siamo trovati tutti quanti: atleti, direttori sportivi, parte dello staff. Il primo giorno ho preso le misure per la bici, ho fatto il bike-fitting. Poi ho incontrato preparatori e nutrizionisti. Il giorno successivo ho conosciuto l’altra parte dello staff: mental coach, dottori, massaggiatori…

E cosa ti è parso?

Mi sembra tutto bene, professionali, più pignoli di quello che credevo, quindi è un bene. Abbiamo fatto anche un tour per la sede Soudal. Non eravamo al service course della squadra.

Invece un aspetto più descrittivo di questa giornata: la sede com’è? Come te l’aspettavi?

E’ una struttura moderna. Eravamo nella sede proprio di Soudal, quindi non eravamo al service course dove c’è il magazzino della squadra ma eravamo proprio in sede Soudal, che ha diverse filiali. Abbiamo fatto una visita dell’azienda. Siamo andati in quello che era il primo stabilimento di produzione di siliconi, incollaggi, isolanti. E’ bello che comunque tocchi con mano la realtà dell’azienda. E devo dire che mi è piaciuto molto vedere i lavoratori di Soudal. Eravamo un po’ ospiti loro.

Con gli altri ragazzi non è mancata una visita al centro R&D di Soudal
Con gli altri ragazzi non è mancata una visita al centro R&D di Soudal
Vi riconoscevano? Vi chiedevano selfie?

Sì certo, poi chi più chi meno… Conoscevano soprattutto i corridori belgi. Poi comunque eravamo ben separati. Anche perché eravamo anche nel reparto di ricerca e sviluppo. Loro non venivano a disturbarci e noi non andavano a disturbare loro. Però sì, alcuni ti fermavano ed è stato carino.

In quei giorni siete andati in bici, avete fatto una pedalata?

No, siamo stati due notti e tre giorni alla fine. E tra viaggio e partenza i veri giorni di lavoro sono stati due. Come detto, abbiamo fatto visite, misure, incontri, test fisici… Per esempio ci hanno valutato con lo squat la differenza di forza fra una gamba e l’altra. Mi sono ritagliato giusto un’ora una mattina perché sono andato a correre con Filippo Zana.

Ti è stato già assegnato un preparatore?

Esatto. E’ un belga e preparerà tutti e quattro gli italiani… quindi dovrà iniziare a imparare l’italiano da qui a fine anno! Mi sembra in gamba. Con lui abbiamo visto due o tre cose da implementare e migliorare rispetto a quest’anno. Soprattutto in considerazione del fatto che venivo da una stagione con due infortuni importanti ed è stata un po’ tosta. Ho subìto un po’ sia quel che è stato il mio 2024 e una preparazione che non ha considerato la mancanza delle ore dell’anno precedente.

Da rivali a compagni di squadra: ecco Alberto con Magnier
Da rivali a compagni di squadra: ecco Alberto con Magnier
Quindi?

Quindi probabilmente quest’anno mi allenerò un po’ di più. Però sono motivato, voglio anche riscattarmi da due annate sotto tono perché da quando ho fatto quella caduta terribile (il riferimento è all’incidente avvenuto lo scorso inverno a Calpe, ndr) non sono più tornato ai miei livelli. Non a caso sono già tornato in bici. Ho fatto due settimane di fermo, anche se comunque andavo a correre a piedi, ma come ripeto da sei giorni sono già in bici. E le sensazioni mi sembrano buone.

E’ interessante il discorso dell’incontro col preparatore. Tu già avevi inviato i tuoi file al coach o avete parlato lì sul momento?

Ovviamente lui aveva accesso al mio TrainingPeaks già da prima, perché quando fanno firmare un corridore tutte le squadre te lo richiedono. Vedono tutti i valori, da lì lui si è fatto un’idea e mi ha fatto un programma.

Il corridore in questo caso esprime le sue preferenze, le sue sensazioni?

Sì certo. Io sono stato il primo a dire cosa avrei voluto, cosa mi aspetto dalla preparazione e da un preparatore.

Secondo Dainese vista da fuori la Soudal dava un senso di compattezza più di altre squadre
Secondo Dainese vista da fuori la Soudal dava un senso di compattezza più di altre squadre
Hai visto gli altri due sprinter del team? Chiaramente parliamo di Paul Magnier e Tim Merlier…

Sì, sì, uno: Paul Magnier, era di ritorno dalla Cina: era bello provato! Sicuramente è stimolante stare con gente di questo calibro. Non vedo l’ora di confrontarmi con loro già dal primo ritiro. Loro sono il primo e il secondo sprinter al mondo per numero di vittorie quest’anno, di conseguenza se avrò un calendario in comune sarò pronto anche a dare una mano. Anche questa è una cosa che mi stimola. E poi farò un terzo calendario e cercherò di far bene. Una cosa è certa: qua si corre per vincere ed è una mentalità che mi piace. E’ diversa da altre realtà. Conta solo fare primo.

Quindi hai già parlato con Merlier e Magnier?

Brevemente, c’erano da conoscere così tante persone che con loro ho fatto fatica a parlare anche perché erano abbastanza pressati. Ci conoscevamo per aver scambiato qualche rapida battuta in gruppo, ma nulla di più.

E invece Bramati che dice?

Con lui sono contento. Lo conoscevo poco però è una guida che mi sembra molto valida. Mi dà una carica… Ci segue, ci tiene, ci dà le dritte giuste: Brama è molto presente in squadra. Mi dicevano che è in questo gruppo da 30 anni. Lui sarà il direttore sportivo di riferimento di noi italiani, quindi: Garofoli, Raccagni, Zana e io.

L’ultima vittoria di Dainese è quella alla Région Pays de la Loire del 2024. Poi tanti problemi che non lo hanno fatto rendere al meglio
L’ultima vittoria di Dainese è quella alla Région Pays de la Loire del 2024. Poi tanti problemi che non lo hanno fatto rendere al meglio
Parli con entusiasmo, Alberto, si percepisce proprio, e allora dicci: qual è stata la cosa che ti ha colpito di più?

La mentalità. La mentalità che è quel che fa la differenza. Si respira questa voglia di vincere. Per un cacciatore di classiche o per uno sprinter come me è come andare al Real Madrid… dove ti aspetti di vincere tutte le partite. Si corre per vincere e questo trascina tutta la squadra e tutto lo staff. Questa cosa mi ha sempre colpito, catturato anche prima, quando li vedevo da fuori. Già ti senti parte di qualcosa, del famoso Wolfpack… Puoi dire corro nel Wolfpack. Corrono uniti: tutti per uno, uno per tutti.

Avete già parlato un po’ di calendario o è tutto in divenire?

Per adesso so che parto dall’Australia. Pensate: mi hanno chiesto come l’avrei presa se mi avessero mandato subito al Down Under. E gli ho risposto: «Volevo domandarvelo io!». Quindi sono contento di partire subito.

Campionati del mondo 2025, Kigali, Remco Evenepoel dopo il traguardo

Il mondiale a ostacoli di Evenepoel, tra iella e grandi gambe

29.09.2025
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KIGALI (Rwanda) – Dopo l’arrivo, mentre Pogacar ancora faceva festa con la squadra e la compagna, Remco Evenepoel è andato a sedersi contro una transenna con la testa fra le mani (foto di apertura). Il secondo posto brucia, il fatto che sia stato scatenato da un problema meccanico, lo rende anche più pesante. Sul podio il belga aveva un sorriso vagamente mesto, ma gradualmente ha recuperato il senso delle cose. Dopo aver vinto l’oro nella crono, il belga ha centrato l’argento su strada. Se esistesse una classifica combinata fra le due discipline, sommando i distacchi fra crono e strada, il leader nella sfida contro Pogacar sarebbe ancora lui, con margine di 1’09”. Meglio sorridere e fare buon viso a cattivo gioco.

La sua giornata è stata variopinta, come lo è stata la sua settimana. E’ iniziata con la crono stellare in cui ha imposto la sua legge anche su Pogacar. E’ proseguita con una conferenza stampa piena di sicurezza e con un’affermazione sugli italiani che si è prestata a interpretazioni poco simpatiche. Quando la corsa è partita, lo abbiamo visto fermarsi e infilarsi in un WC chimico. Poi ha cambiato per due volte la bici, con tanto di scena stizzita diventata ormai virale sui social. E alla fine, rimesse le cose in pari, si è espresso in un inseguimento così potente da aver tolto di ruota Ciccone in pianura e discesa e non in salita. La sua giornata l’ha spiegata lui quando, ultimo dei tre del podio, è venuto a raccontarsi davanti alla platea dei giornalisti.

Perché quei minuti sconsolati dopo l’arrivo?

Forse dopo la guarderò con occhi diversi, ma al momento non mi sento benissimo.

Che cosa è successo da farti cambiare per due volte la bici?

Prima del Mount Kigali, sono finito in una buca della strada e la sella si è abbassata, tanto che stare seduto è diventato un problema. Poi è cominciata la salita e i crampi ai muscoli posteriori della coscia si sono fatti sempre più forti. Non è stato il massimo. E una volta che Tadej ha sferrato il suo attacco, cosa che sapevo sarebbe accaduta lì, ho avuto dei crampi e non riuscivo a spingere bene. Potrebbe sembrare strano, ma è così che funziona quando si cambia posizione drasticamente. Finché ho trovato dei compagni di squadra e ho detto loro che dovevano riportarmi dentro, ma che al traguardo avrei dovuto cambiare bici.

Primo cambio: e poi?

Al box mi hanno passato la terza bici, che non uso molto. Sentivo che aveva la sella troppo orizzontale e che iniziava a darmi molti problemi alla parte bassa della schiena, a causa dei miei infortuni del passato. Quindi non sono riuscito a farci neanche un giro, perché ero davvero in difficoltà. A quel punto mi sono fermato per prendere la seconda bici dall’auto. Sfortunatamente in quel tratto c’erano alcuni corridori staccati e un po’ di traffico, quindi ho dovuto aspettare un po’ per la macchina. Una volta presa la bici, ho sentito che ero nella posizione giusta e tutto girava correttamente. Così sono rientrato in gara e ho concluso con un secondo posto.

Campionati del mondo 2025, Kigali, Remco Evenepoel con BEn Healj e atias Skjelmose
La compagnia di Healy e Skjelmose dopo un po’ non è bastata e Remco li ha staccati, ma Pogacar era imprendibile
Campionati del mondo 2025, Kigali, Remco Evenepoel con BEn Healj e atias Skjelmose
La compagnia di Healy e Skjelmose dopo un po’ non è bastata e Remco li ha staccati, ma Pogacar era imprendibile
Hai pensato anche solo per un secondo di ritirarti?

Sì, l’ho pensato. Ero fermo, con la bici rotta. Guardavo con stupore il mio distacco che ormai era di 1’45”. A quel punto mi sono chiesto: perché continuare? Mancavano ancora cinque giri o qualcosa del genere, per cui è stata dura. Poi però ci siamo ritrovati tra le ammiraglie, almeno fino a che c’è stato il barrage e così sono tornato nel gruppo. Con il secondo cambio di bici, mi sentivo di nuovo meglio, le gambe giravano e avevo meno crampi. Ho sentito che c’era ancora un po’ di potenza e qualcosa da fare. Ovviamente in quel momento il distacco era già troppo grande per colmarlo, perché sappiamo tutti che se Tadej prende vantaggio, non rallenta. Siamo bravi cronomen, sappiamo come mantenere un certo margine. Quindi, la gara in quel momento era già persa, potevo solo sperare nel meglio e puntare al massimo.

Sei andato fortissimo, sapevi di stare così bene?

Credo di essere andato piuttosto forte, ma Tadej ancora una volta ha fatto una corsa fenomenale ai campionati del mondo. Ero frustrato perché sapevo che oggi sarebbe potuta andare diversamente senza i problemi alla bici. Penso che se non avessi avuto i crampi sul Mount Kigali, sarei riuscito a stare al passo con lui e Del Toro. E a quel punto la gara sarebbe finita, perché in tre saremmo arrivati davvero lontano. Le gambe c’erano, ma ho avuto anche un po’ di sfortuna.

Campionati del mondo 2025, Kigali, Remco Evenepoel all'arrivo
Evenepoel ha mantenuto pressoché invariato il suo ritardo da Pogacar, segno di due andature piuttosto simili
Campionati del mondo 2025, Kigali, Remco Evenepoel all'arrivo
Evenepoel ha mantenuto pressoché invariato il suo ritardo da Pogacar, segno di due andature piuttosto simili
Ti accorgi che il gap da Tadej è sempre più sottile?

Mi rendo conto che il mio livello è salito. Oggi sono finito dietro Pogacar, ma non a tre minuti come al Lombardia dell’anno scorso. Sono rimasto dietro di un minuto e non sono diventati tre. L’ho inseguito andando alla sua stessa velocità. A un certo punto abbiamo perso terreno in tre. Io stavo lavorando molto, invece sentivo che Ben e Matthias (Healy e Skjelmose, ndr) ci stavano rallentando ed è per questo che ho deciso di provarci sulla cima della salita del golf. E alla fine ho sempre mantenuto lo stesso distacco. Mi sento abbastanza bene e spero di poter mantenere questa forma la prossima settimana agli europei e poi anche al Lombardia. E’ una gara che prima o poi nella mia carriera mi piacerebbe vincere.

Alcuni corridori hanno detto che si è trattato della gara più dura della loro carriera.

Per me no, per esempio Glasgow fu qualcosa di completamente diverso perché eri sempre in salita. Certo, il tratto sul pavé alla fine ha reso tutto davvero difficile, perché inizi a essere stanco e poi hai di nuovo quel pavé e ancora quel pavé e ancora, ancora, ancora. Non era una cosa che mi infastidisse, ma alla fine ho iniziato a odiarla. Non mi è sembrata la gara più dura, probabilmente perché sono in ottima forma.

Campionati del mondo 2025, Kigali, Remco Evenepoel, affaticato dopo l'arrivo
Dopo il traguardo, Evenepoel non ha voluto altro che un angolo di asfalto per sedersi a smaltire fatica e delusione
Campionati del mondo 2025, Kigali, Remco Evenepoel, affaticato dopo l'arrivo
Dopo il traguardo, Evenepoel non ha voluto altro che un angolo di asfalto per sedersi a smaltire fatica e delusione
Perché a un certo punto hai dovuto andare in un bagno chimico? Problemi di stomaco?

Dovevo fare pipì e non ho osato farla da qualche altra parte per paura che mi squalificassero. Ma poi, dopo qualche chilometro, ho visto tre australiani che la facevano sul ciglio della strada. E allora mi sono chiesto: perché non l’ho fatto anch’io? Però è vero che negli ultimi giorni ho avuto qualche problema di stomaco, non serve che vi spieghi cosa (ride, ndr). All’inizio della gara è andata abbastanza bene, ma appena ho cominciato a mandaregiù dei gel, ho avvertito un po’ di crampi allo stomaco. Ma non mi hanno frenato, solo che dopo l’arrivo sono dovuto correre in bagno per sfogarmi, diciamo così. Penso di non essere il primo e neanche l’ultimo in questa trasferta ad avere problemi di stomaco.

Vincere il campionato europeo di domenica prossima potrebbe riequilibrare la situazione?

L’ultimo mese della mia stagione ha da tempo tre obiettivi: il mondiale di Kigali, gli europei in Ardeche e il Lombardia. La maglia degli europei è anche l’unica che manca dal mio armadio, quindi nel prossimo fine settimana avrò molta motivazione. Ma non cerco la vendetta, è solo un obiettivo molto ambizioso e mi sento pronto. Quindi spero di riprendermi bene e poi ci riproveremo.

Il ritorno di De Lie e la forza di uscire dal momento buio

28.08.2025
7 min
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L’immagine del ritorno alla vittoria per Arnaud De Lie si divide in due momenti a distanza di pochi secondi, forse attimi. In quel breve lasso di tempo, superata la linea del traguardo di Leuven nell’ultima tappa del Renewi Tour, il Toro di Lecheret è tornato a incornare gli avversari. Nell’arena di casa i panni del torero li ha vestiti Mathieu Van Der Poel, il quale ha scelto la corsa a tappe belga come ultimo trampolino di lancio prima di andare a caccia del titolo iridato in mountain bike. 

Podio finale Renewi Tour 2025, vincitore Arnaud De Lie, secondo Mathieu Van Der Poel e terzo Tim Wellens (RhodePhoto)
Podio finale Renewi Tour 2025, vincitore Arnaud De Lie, secondo Mathieu Van Der Poel e terzo Tim Wellens (RhodePhoto)

La mente e le gambe

Una vittoria a testa per i due contendenti alla classifica finale e solamente tre secondi a separarli. De Lie ha vinto il Renewi Tour grazie agli abbuoni. Ma sarebbe meglio dire che non ha perso grazie alla grinta e alla voglia di soffrire oltre i limiti. Sull’arrivo dell’iconico Muur Geraardsbergen il belga è stato l’unico a tenere le ruote di Van Der Poel. Uno sforzo brutale che lo ha costretto a due minuti di totale apnea prima di tornare a sorridere (in apertura nella foto di RhodePhoto).

«Penso ci siano diversi aspetti da considerare – ci racconta Nikola Maes, diesse della Lotto Cycling che ha seguito la corsa in ammiraglia – nel periodo delle Classiche (dalle quali è stato escluso, ndr) De Lie non ha dato il meglio di sé. Ha fatto quello che doveva fare, ma se il corpo non è completamente pronto per l’allenamento e la mente non è al 100 per cento è quasi impossibile crescere fino alla forma migliore. E penso che avesse alcuni problemi personali che doveva risolvere. La squadra lo ha sostenuto in tutto, ma alla fine dei conti è il corridore che deve cambiare».

«De Lie – continua – si è assunto alcune responsabilità dopo quel periodo e ha capito cosa stesse succedendo, cosa stava andando storto».

L’attimo in cui De Lie realizza di essere tornato alla vittoria e di aver fatto suo il Renewi Tour (RhodePhoto)
L’attimo in cui De Lie realizza di essere tornato alla vittoria e di aver fatto suo il Renewi Tour (RhodePhoto)
E’ stato capace di ripartire…

De Lie è ancora un ragazzo giovane, è con noi da molto tempo ma ha solamente 23 anni e sta ancora imparando tanto. Si trova nella fase di apprendimento della sua carriera e ogni anno mette un tassello in più. A essere sinceri lo abbiamo visto tornare dal Tour de France con una mentalità nuova. Dopo le difficoltà della prima settimana ha ritrovato una grande forza mentale e la fiducia di credere in se stesso. Alla fine dei conti puoi parlare quanto vuoi, ma sono le prestazioni che ti danno la fiducia per vincere le gare o per competere di nuovo con i migliori. 

Cosa non stava funzionando?

È difficile individuare il problema. De Lie è un corridore, ma prima di tutto è una persona. In un periodo come quello delle Classiche tutto deve funzionare al meglio prima di andare a fare certe corse. Durante l’inverno non era tutto al 100 per cento. Arnaud (De Lie, ndr) voleva essere al meglio, non possiamo dire che fosse carente o che se la prendesse comoda. Ha lavorato sodo ma non ci sono garanzie, non è con la scienza che ottieni tutto, ci sono anche aspetti umani da considerare. 

Il Toro di Lecheret si era già lanciato in uno sprint nella prima tappa arrivando secondo alle spalle di Merlier (RhodePhoto)
Il Toro di Lecheret si era già lanciato in uno sprint nella prima tappa arrivando secondo alle spalle di Merlier (RhodePhoto)
Era una questione di testa?

Penso che la parte mentale abbia avuto un ruolo, sicuramente. Perché alla fine è il pulsante del motore che ti farà performare o meno. Il suo stato mentale in quel momento non era al massimo, ed era una cosa che doveva risolvere principalmente da solo. Posso solo congratularmi con lui per averlo capito e per il modo in cui ha ritrovato la concentrazione, la fame e la voglia di lavorare sodo per un obiettivo. Se mi chiedete cosa è andato storto non lo saprei dire, è più complesso di un semplice errore di programmazione.

Come siete ripartiti dopo quel momento buio?

Lo abbiamo affidato a un nuovo allenatore, è passato da un preparatore esterno ad allenarsi con Kobe Vermeire, uno dei membri del nostro staff. Non avevamo dubbi sulle qualità dell’atleta, ma sapevamo che sarebbe stato un lavoro a metà. Solo ripartendo da zero avrebbe potuto raggiungere un certo livello. Al Tour è scattata la molla e ha avuto la conferma che la strada intrapresa era quella giusta. Vedere De Lie migliorare durante una corsa a tappe difficile come il Tour ci ha fatto capire che ha qualità incredibili. E se non fa nulla di anormale, direi che riuscirà sempre a risalire la china. E questo è anche ciò su cui ha puntato la squadra.

Sul muro di Geraardsbergen De Lie è stato l’unico a resistere ai colpi di Van Der Poel
Perché si è cambiato preparatore?

Lo scorso anno c’erano alcuni problemi con l’allenatore interno al team che lo seguiva, così gli abbiamo dato fiducia nel trovarne uno esterno. Tutto stava andando bene, però la squadra vuole avere un certo controllo sui suoi corridori, soprattutto quelli di primo piano. Nel periodo delle Classiche abbiamo fatto una bella chiacchierata con De Lie e, in accordo con lui, abbiamo cambiato. Questo non vuol dire che si riparte da zero, la sua crescita e il suo cammino sono continuati.  

L’arrivo a Geraardsbergen e la vittoria a Leuven ci hanno mostrato un De Lie di nuovo capace di sostenere certe sfide…

Dopo quelle due giornate ha avuto un momento di “decompressione”. Specialmente al termine del Renewi Tour, a Leuven. De Lie ci ha sempre abituati a buoni risultati, anche durante questa stagione, ma gli avversari al Renewi Tour erano di un’altra caratura, pensiamo al solo Van Der Poel. Sul muro di Geraardsbergen ha tenuto botta e nell’ultima tappa ha vinto. Arnaud nella sua forma migliore può competere al livello di quei corridori.

Eccoli i due contendenti alla vittoria finale che se ne vanno, alle loro spalle spunta Wellens (foto Rhode Photos)
Eccoli i due contendenti alla vittoria finale che se ne vanno, alle loro spalle spunta Wellens (foto Rhode Photos)
Torniamo a marzo, quando lo avete fermato, ti saresti mai aspettato di rivederlo davanti così presto?

Sì. Ed è quello che hanno detto i miei colleghi durante il Tour. Lo stato mentale di De Lie era ripristinato, avevamo di nuovo il vecchio Arnauld: che ride, che si sente bene, ascolta, dà suggerimenti e parla molto. Era completamente diverso da quello che avevamo visto durante le Classiche. 

E’ tornato se stesso?

Definirei quei comportamenti come tipici di un corridore che si sente bene nel proprio corpo rispetto a uno che si sente perso. Qualsiasi atleta che non si sente al meglio tenderà a isolarsi, smetterà di comunicare, di ridere e diventerà più introverso. Quando l’ho rivisto ad Amburgo era un ragazzo, anzi un uomo diverso. Aveva recuperato la concentrazione. 

Non è un caso che De Lie sia tornato al successo sulle strade di casa, dove ha ritrovato l’abbraccio del proprio pubblico (RhodePhoto)
Non è un caso che De Lie sia tornato al successo sulle strade di casa, dove ha ritrovato l’abbraccio del proprio pubblico (RhodePhoto)
Il fatto che sia tornato alla vittoria sulle sue strade, in Belgio, non può essere un caso…

Ha un ottimo rapporto e un ottimo feeling con questo tipo di gare. E l’intera corsa ruotava attorno alle tappe di Geraardsbergen e Leuven. C’è da dire che lo scorso anno, proprio a Geraardsbergen, aveva vinto. Mentalmente il legame con la gara c’era già, oltre al fatto che gli addice. Essere riuscito a battere rivali di altissimo livello come Van Der Poel e Wellens non farà altro che dargli più fiducia e confermargli che nei suoi giorni migliori può competere con questi corridori. Inoltre c’erano i suoi genitori e la sua fidanzata a seguirlo, questo ha giocato un ruolo importante. 

Ora però serve mantenere la concentrazione.

Saprà farlo, abbiamo ancora alcune gare importanti come Bretagne Classic, Quebec e Montreal. Sono abbastanza fiducioso che la sua concentrazione rimarrà buona e adeguata fino alla fine della stagione.

Nella tana dei capi più veloci del mondo. Uno di noi da Bioracer

01.05.2025
7 min
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TESSENDERLO (Belgio) – Già la sola accoglienza, ordinata, con gli spazi appositi per le auto elettriche e le siepi curate, racconta quanto in Bioracer si dia importanza ai particolari… e la porta deve ancora aprirsi. Poi il livello si alzerà ulteriormente. E non di poco.

Ad accoglierci c’è Jelmer Jacobs, Performance Manager del brand belga. Una gigantografia di Remco Evenepoel che festeggia la vittoria olimpica sotto la Tour Eiffel ci introduce nel mondo Bioracer. «Guardate – dice con orgoglio Jacobs – in questa foto si vede bene il nostro logo (sul pantaloncino di Remco, ndr) e lui è nella stessa posizione». Una posa che richiama l’uomo vitruviano di Leonardo. «Uno spot perfetto per noi», conclude.

Si comincia

Inizia così un viaggio nell’azienda che veste molti dei migliori atleti al mondo, a partire da quelli della nazionale belga (e non solo). In queste stanze sono passati campioni come Evenepoel, ma anche Kopecky, Van Aert, Bigham… e altri che forse neanche si potrebbero nominare. «Remco – dice Jacobs – non è pretenzioso per nulla. E’ un ragazzo davvero tranquillo ed educato. Una volta capito che funziona, si fida»

Ogni angolo di Bioracer è un settore specifico. Il primo che Jelmer ci fa visitare è per certi aspetti il più importante: il cuore di una delle caratteristiche fondanti del marchio belga, l’aerodinamica.

Siamo infatti nella stanza in cui, partendo dalla posizione in sella, si ottengono i feedback necessari per creare il completo perfetto, su misura, per ogni ciclista. Due grandi telecamere laterali, una frontale, una bici centrale e un software che elabora tutto. Ci sono poi 22 marker, ovvero sensori: 10 sul corpo dell’atleta e due sulla bici.

«Questo software – spiega Jacobs – serve per capire come pedala l’atleta. La sua efficienza, quanto si muove e quanto si muove la bici. Come cambia la superficie frontale in base alle posizioni. Da qui otteniamo dati fondamentali per migliorare la stabilità e la postura. Informazioni preziose che possiamo correggere con i nostri plantari e che ci servono per realizzare completi specifici», che siano per bici da crono, strada o pista.

L’aerodinamica è centrale

Il tema dell’aerodinamica è centrale in Bioracer. Ne è la colonna portante. Proprio qui è nata una parte del Record dell’Ora di Filippo Ganna. «Pippo – riprende il tecnico fiammingo – non è mai venuto, ma Bigham ha svolto qui moltissime ore di lavoro. Un lavoro che poi è stato trasmesso a Ganna, il quale lo ha ottimizzato al Politecnico di Milano».

Per questo dicevamo che la stanza iniziale era importantissima. E’ chiaro poi che un body, una maglia, un calzino aero non sono frutto di un settore solo, ma dell’insieme: materiali, posizione, taglio, calzata… Ma la creazione del capo di abbigliamento con la “personalizzazione attiva” è quel passo in più di Bioracer.

I completi, siano da strada, crono o pista, sono progettati e costruiti sulle forme dell’atleta, in particolare su quelle che assume nello sforzo massimo. Le pieghe che un completo fa su un atleta non sono mai le stesse che fa su un altro. C’è dietro un lavoro minuzioso. E le foto della gallery che segue possono aiutare molto a capire…

Stabilità = efficienza

Un altro principio base di Bioracer è la stabilità. E’ un passaggio tutt’altro che secondario, specie quando il corridore è a tutta. La stabilità influisce sull’efficienza e persino sull’aerodinamica. Come dicevamo nessun settore è indipendente dall’altro.

Da qui nascono le loro solette-plantari speciali, realizzate con materiali specifici che rendono la suola su misura pressoché indeformabile. Aiutano i corridori a stare più fermi, a spingere di più, distribuendo meglio la pressione e migliorando così la prestazione.

Materiali

La ricerca e lo sviluppo dei materiali è una costante assoluta. Ogni ambiente, ogni funzione ha un proprio ufficio, una “stanza” dedicata. La riduzione delle pieghe nei completi è uno degli obiettivi primari, spesso minimizzate fino a sparire. Il tessuto, passateci il termine, è compressivo su tutto il corpo, ma in modo personalizzato da atleta ad atleta. Le cuciture sono ridotte al minimo, le zip sono a scomparsa.

Non è un caso che qui vengano anche i pattinatori di velocità su ghiaccio. «Noi spesso – aggiunge Jacobs – sfruttiamo anche la galleria del vento di Ridley, che non è lontana da qui».

Colori e personalizzazione

Come in altre aziende del settore, anche in Bioracer si insiste molto sulla personalizzazione grafica, ma anche la resa dei colori è oggetto di test approfonditi. Perché un colore visto su una cartella è una cosa, vederlo sulla Lycra è tutt’altro. Anche il giorno della nostra visita si stavano effettuando test su una tonalità di nero che, se abbiamo ben capito, era destinata a una mantellina.

A proposito di test, non manca quello sulla qualità. Ci sono macchinari specifici che distendono il materiale e ne misurano la reazione, la dilatazione e la tenuta. Ma non solo, ce ne sono anche altri.

L’idea è che davvero ogni cosa sia studiata al massimo e soprattutto sotto diversi punti di vista. Insomma è proprio il classico esempio in cui si può dire che nulla è lasciato al caso. Ci si pongono continuamente domande. E così si va avanti nello sviluppo… seguendo gli atleti di pari passo, ovviamente.

Masciarelli e i ragionamenti di un ragazzo diventato uomo

12.04.2025
5 min
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Sono passati poco più di due anni dal ritorno in Italia di Lorenzo Masciarelli, l’abruzzese emigrato in Belgio per seguire il sogno del ciclocross. Il volto giovane sorridente è rimasto tale, solo che ora sui lineamenti di Masciarelli si è fatto largo un primo accenno di barba. Insomma, il ragazzino sta diventando grande e si è fatto uomo. Per questo all’inizio della terza stagione in maglia MBH Bank-Ballan-Csb siamo andati da lui per parlare a quattrocchi. La vita ha messo Lorenzo davanti a tante scelte e innumerevoli esperienze. Sicuramente queste hanno creato un bagaglio difficilmente replicabile dai suoi coetanei, ma per Masciarelli è arrivato anche il momento di guardarsi indietro a fare un primo bilancio (in apertura foto Jacopo Perani).

«Quando sono tornato pensavo di essere più maturo». Racconta Lorenzo Masciarelli mentre dalla sua Pescara si dirige a San Vendemiano per la corsa di domenica. «Ma non è stato così, dovevo trovare serenità e un modo diverso di vivere la vita qui in Italia. Sinceramente è stato difficile riallacciare il filo con tutto».

«Gli ultimi due anni – prosegue – sono serviti a questo. Arrivavo dal Belgio con molta pressione addosso, che mi ero messo io stesso. Penso che il 2025 mi sia servito per fare uno step mentale importante da questo punto di vista. Mi sento più sereno e tranquillo».

Lorenzo Masciarelli è giunto al suo terzo anno in maglia MBH Bank-Ballan-Csb (foto Jacopo Perani)
Lorenzo Masciarelli è giunto al suo terzo anno in maglia MBH Bank-Ballan-Csb (foto Jacopo Perani)
Una pressione che arrivava da te?

Ce l’ho sempre un po’ avuta. Quando sono andato in Belgio ero piccolo, avevo appena terminato la categoria allievi ma andavo forte e mi sentivo pronto. Nei due anni da junior volevo dimostrare di essermi guadagnato quel posto e di meritarmelo. Senza dimenticare che la mia famiglia mi aveva seguito trasferendosi lì, non me lo hanno mai fatto pesare ma dentro di me c’era questa voglia di dimostrare il mio valore anche per loro. 

Come a non deluderli?

Mi dicevo: «Cavolo sono venuti fin qui per seguirmi, ora sta a me fare il massimo per diventare professionista, lo devo anche a loro». La mia famiglia non mi hai mai fatto questo tipo di ragionamento, lo voglio precisare. Però è chiaro che nella mente di un ragazzino si crei questo meccanismo.

Masciarelli si era trasferito in Belgio alla Pauwels Sauzen – Bingoal al primo anno junior per correre nel ciclocross
Masciarelli si era trasferito in Belgio alla Pauwels Sauzen – Bingoal al primo anno junior per correre nel ciclocross
Quest’inverno sei tornato a fare cross, hai mai pensato che saresti potuto rimanere in Belgio e seguire la tua passione?

Quando sono tornato a correre da quelle parti a dicembre ho pensato a tutto questo. Sono contento della scelta che ho fatto. L’unica cosa che mi è dispiaciuta è aver fatto il secondo anno junior con il Covid, senza magari sarebbe andato tutto in maniera differente. Ne ho parlato con Mario De Clercq (coordinatore tecnico della Pauwels Sauzen-Bingoal, la squadra dove correva Masciarelli, ndr) e secondo noi l’errore è stato quello di trasferirmi troppo presto. 

In che senso?

Magari avrei dovuto fare la categoria juniores in Italia e andare in Belgio una volta diventato U23. Quando mi sono trasferito ero piccolo e lasciare gli amici mi è pesato molto. Inoltre lassù non avevo molti coetanei con i quali uscire e fare la vita di un diciassettenne. Se avessi aspettato magari sarei salito da solo, senza portare dietro tutta la famiglia e le cose sarebbero andate in maniera differente. 

Dopo due stagioni di pausa lo scorso inverno è tornato a correre nella disciplina che lo ha lanciato (foto NB Srl)
Dopo due stagioni di pausa lo scorso inverno è tornato a correre nella disciplina che lo ha lanciato (foto NB Srl)
Quando sei tornato in Italia questo sentimento del voler dimostrare l’hai abbandonata?

Tutt’altro. E’ sempre stato un mio punto debole. Alle gare volevo far vedere di essere forte quindi ero alla costante ricerca di conferme e risultati: podi, vittorie o piazzamenti. Questo aspetto mi ha portato spesso a sbagliare sia nella preparazione che nell’alimentazione. La squadra e la mia famiglia mi hanno sempre lasciato sereno però dentro di me avevo questo meccanismo. 

Che ti portava a stressarti?

Sì. Sentivo il dovere di passare professionista. Vedevo tanti ragazzi della mia età o più giovani entrare nel WorldTour e mi sentivo di doverlo fare anche io. Anche ora lo voglio ma è un aspetto che vedo con maggiore serenità e divertimento. 

Eri tornato in Italia perché tutti avevano intravisto le tue qualità su strada, ora tralasciando gli altri tu come ti vedi a distanza di due anni?

Devo ancora capire che corridore sono ma sento di essermi allontanato dall’aspetto delle corse a tappe. Mi piacciono le gare di un giorno dure ed esigenti, le sento mie. Sinceramente quando sono tornato dal Belgio pensavo di essere più esplosivo, invece è un aspetto che mi è mancato. Anche se con il ritorno al ciclocross ho ritrovato un po’ questa qualità

Dopo tanti anni a rincorrere qualcosa ora l’abruzzese vuole correre con serenità e per se stesso (foto Jacopo Perani)
Dopo tanti anni a rincorrere qualcosa ora l’abruzzese vuole correre con serenità e per se stesso (foto Jacopo Perani)
Sei al quarto anno U23, è un aspetto che ti pesa?

Se penso agli anni passati dico di no. Le stagioni precedenti le vivevo con molta più pressione. Il percorso che sto facendo mi piace, sento di essere cresciuto e di aver avuto la serenità per farlo. Non sono sicuro, con il senno di poi, che sarei stato pronto ad entrare in un devo team o a passare professionista. Nonostante sia l’ultimo anno da under sono sereno, sento che ho ancora dei margini e che posso migliorare.

Guardando solo a te stesso ci dici un obiettivo del 2025?

Voglio essere competitivo in tutte le gare. Sicuramente mi rimane la voglia di trovare una vittoria, ma con meno pressioni. Quest’anno ho lavorato un po’ su questo aspetto anche grazie a uno psicologo e sono riuscito a trovare la serenità che mi mancava. 

Primo Fiandre in fuga, Romele e il sogno di una vita

09.04.2025
7 min
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OUDENAARDE (Belgio) – «Penso che l’obiettivo principale l’ho raggiunto. Per tutto quello che è venuto dopo, anche in accordo con la squadra e avendone parlato con i direttori, penso si possa essere contenti. Il rimpianto potrebbe essere non aver finito il Fiandre. Però se penso al bambino che la sognava fin da piccolino, posso dire di averne avuto un piccolo assaggio, anche fosse essere passato per primo sul Qwaremont (foto di apertura, ndr). E poi in futuro si vedrà».

La fuga di Romele al Fiandre potrebbe sembrare un racconto scontato, ma se foste stati lì e gli aveste visto brillare gli occhi, capireste che di banale nel viaggio di questo ragazzo c’è veramente poco, se non la considerazione di chi potrebbe ritenerlo tale. Noi lo abbiamo vissuto da vicino prima e dopo, seguendo il durante attraverso il maxi schermo della sala stampa. E alla fine lo abbiamo raggiunto con mille domande.

Ti sei ripreso?

Tutto okay, grazie. C’è voluta una buona giornata di riposo lunedì, senza fare nulla, ma ieri sono già tornato in bici. Non so da quanto sono qua, ho perso il conto dei giorni. Ho fatto la Nokere Koerse (19 marzo, ndr) e non me ne sono più andato. Domenica farò anche la Roubaix, non era nel programma, ma abbiamo deciso così. Un po’ per scelta tecnica e un po’ perché, tra un infortunio e una malattia, servivano corridori. Io però sono super contento della decisione della squadra.

Allora facciamo due passi indietro: che cosa hai pensato quando ti hanno detto che avresti fatto il Fiandre al primo anno da pro’?

Era dicembre ed è stato a particolare. Mi hanno consegnato il programma e mi sono messo a scorrerlo. Nella prima parte ho visto la Strade Bianche e già lì ero super emozionato. Poi ho continuato a scendere e ho letto Gent-Wevelgem. Mi sono detto: bella la Gent, l’ho fatta da U23. Vado oltre e leggo Dwars door Vlaanderen e Ronde. Lo rileggo e chiedo: la Ronde sarebbe il Fiandre? Siete sicuri?

E loro?

«Sì, sì – mi hanno risposto – vogliamo fartela fare. Sappiamo che è super dura, probabilmente la corsa più dura e più importante che avrai quest’anno in calendario». Diciamo che mi hanno dato questa grande opportunità. Nella campagna del Belgio, tutte le corse sono importanti, ma il Fiandre è un’altra cosa.

Ecco Romele al via del suo primo Fiandre: la Piazza del Mercato di Bruges è stracolma
Ecco Romele al via del suo primo Fiandre: la Piazza del Mercato di Bruges è stracolma
Torniamo a un passato più recente: nella riunione del sabato ti hanno detto che dovevi andare in fuga?

In realtà no. Ero stato designato come uomo squadra assieme Gazzoli e a Toneatti. Dovevamo tenere coperta la squadra il più possibile, lavorare nei nostri punti, nei nostri ingressi nei vari settori di pavé. Ovviamente se andavano via 20 corridori, non si poteva non essere dentro. La proposta di andare in fuga a qualsiasi costo l’ho lanciata io e devo dire che alla fine è stata accolta bene. Mi hanno detto che effettivamente poteva avere un senso per la squadra e da quello spunto è nata anche la decisione di Ballerini di anticipare il suo attacco. Quindi penso che alla fine sia stata una scelta che ha anche ripagato.

Scendere dal pullman, pedalare lungo quella strada e arrivare nella piazza del mercato di Bruges…

Fa specie, perché ti rendi conto di quanta gente c’è. Non sai il numero, ma sentire che solo alla presentazione erano stimate 30-35 mila persone, fa venire la pelle d’oca. Sei su quel palcoscenico in mondovisione, qualcosa di paragonabile forse a un Tour de France. E poi, proprio a livello di gente, sentivi questa enorme vicinanza al mondo del ciclismo. Dei miei amici erano qua e si sono fatti qualche giro nei bar e c’era un’atmosfera quasi da festa nazionale. E’ proprio la percezione del ciclismo che è diversa: lo senti e lo vedi, lo vivi.

Sono servite decine di scatti perché la fuga giusta prendesse il largo
Sono servite decine di scatti perché la fuga giusta prendesse il largo
Come è nata la fuga?

Impossibile prenderla, è stato veramente difficilissimo. Ho impiegato una quantità elevatissima di scatti e di energie. La partenza del Fiandre ha tutta una serie di elementi pericolosi che ci sono nelle città del Belgio. Spartitraffico, aiuole, siepi, isole del traffico che rendono la partenza più nervosa e pericolosa. Però dai ero lì e volevo andare in fuga fin dall’inizio. Penso che questa cosa mentalmente mi abbia aiutato a non fare trasparire le emozioni col rischio di perdere completamente il filo.

Che effetto fa passare da primo del Fiandre, con tutta quella gente? E’ vero che le forze si moltiplicano?

Si percepiva la spinta della gente, si sentiva. Parlavo con Cucinotta che mi seguiva con la seconda ammiraglia e quando ha visto che mi stavo avvantaggiando, ha cominciato a urlarmi via radio che li stavo staccando. Eppure era una cosa involontaria. La presenza della gente era enorme in uno spazio relativamente piccolo, perché la strada lì è veramente stretta. Poi mettiamoci anche l’emozione, perché sicuramente ero lì che mi godevo tutta quella gente. Mai mi sarei aspettato una cosa del genere. Pensavo al tifo e a tanta gente, ma così tanto è difficile anche da spiegare. E’ quasi inconcepibile che ci sia tanto casino da far vibrare tutto il corpo. Era veramente qualcosa di fuori di testa che non ho mai vissuto e ho ancora i brividi nel raccontarlo.

Correre fra due ali di pubblico rumoroso ha moltiplicato le forze
Correre fra due ali di pubblico rumoroso ha moltiplicato le forze
Quando hai saputo che stava arrivando Ballerini, hai chiesto di aspettarlo?

In un primo momento si stava avvicinando tutto il gruppo, quindi assieme ai ragazzi della fuga abbiamo accelerato fino a riportare il vantaggio intorno ai 2’40”. Poi è arrivato il Molenberg di cui avevamo parlato la sera prima. Mi ero riguardato la corsa del 2024 e quello era stato il punto in cui il gruppo si era spaccato e da dietro erano rientrati. Non sapevo che Ballerini si fosse avvantaggiato e quando è arrivato ho sperato di potergli dare una mano.

Invece sono arrivati i crampi, come mai secondo te?

Non sono venuti perché avessi bevuto poco, quello ormai è difficile. Il crampo arriva e ti ferma, difficilmente continui. Dipende dalla tipologia, ma quella è stata una tensione al muscolo dovuta allo sforzo. Non credo alla carenza di carboidrati, su quel fronte ero a posto. Secondo me è stato tutto lo sforzo fatto all’inizio e magari anche il fatto che sono passato primo sul Qwaremont. Mettiamo tutto assieme, mettiamoci i chilometri che erano già 200 e prendiamola come esperienza.

Quando hai realizzato che ti dovevi fermare, è stato come avere la morte nel cuore?

Quando sono stato raggiunto dal gruppo, ho capito che non sarebbe stato neanche troppo utile per la squadra che io finissi in fondo, cercando di rimanere a galla. Piuttosto meglio aiutare Teunissen e Bol a stare davanti all’ingresso dei settori che arrivavano. Finché sono rimasto senza energie, non avevo più nulla da dare. E probabilmente questa cosa, il fatto che avessi finito tutto quello che potevo, mi ha fatto stare bene anche con me stesso.

Gazzoli e Romele alla fine del viaggio: uno 72° all’arrivo, Romele purtroppo ritirato
Gazzoli e Romele alla fine del viaggio: uno 72° all’arrivo, Romele purtroppo ritirato
Quanto è importante conoscere i muri del Fiandre?

Fa la differenza e per questo sono stato ripreso dai ragazzi. Bol una volta si è un po’ arrabbiato, e aveva ragione, perché non ne sapevo proprio nulla, non sapevo dove passasse la corsa. Da piccolino le guardavo, ma solo gli ultimi 30 chilometri. Invece per capire davvero una corsa, c’è da studiare. E così ho iniziato a concentrarmi guardando il percorso al computer su VeloViewer.  Da un lato lo schermo e accanto l’elenco delle salite. Tutto per essere consapevole delle cose e alla fine devo ringraziare i ragazzi perché mi hanno quasi obbligato a studiare e mi hanno anche aiutato a conoscere, capire e interpretare bene anche dinamiche tipiche di queste corse.

Quando hai riacceso il telefono, hai ricevuto più messaggi che dopo qualunque altra corsa della tua carriera?

Secondo me sì. Adesso sto cercando di limitare un pochettino, però subito dopo la corsa tendo sempre a rivedere i messaggi. Anche per capire se ho lasciato un qualcosa o se quello che ho fatto ha avuto un po’ un senso. Voglio una sorta di conferma mia e ammetto che ho avuto parecchi messaggi, da quelli che mi conoscono sin da quando correvo da ragazzino. Ma alla fine i messaggi importanti sono più quelli stretti, quelli della famiglia.

Che cosa hai imparato da questo Fiandre?

Non nascondo che mi abbia lasciato tanto, quindi penso che a livello di caratteristiche possa entrare tranquillamente fra le corse cui potrei ambire e che per ora si possono solo sognare. Ammetto che mi è piaciuto, mi ha sfinito. E mi ha anche emozionato tanto.

Lelangue ci guida nell’atmosfera dell’Opening Weekend

16.02.2025
5 min
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Mancano poco meno di due settimane all’inizio della stagione delle Classiche, la gara che darà il via a tutto sarà la Omloop Het Nieuwsblad che porterà il gruppo da Gent a Ninove. Un assaggio di pietre, il primo della stagione, al quale seguirà il giorno dopo la Kuurne-Brussel-Kuurne. Da quelle parti, dove il ciclismo è poco meno o poco più di una religione, il fine settimana dell’1 e 2 marzo prende il nome di opening weekend. John Lelangue, ora impegnato con il Tour de Pologne, ci racconta cosa vuol dire per i belgi vivere quel fine settimana all’insegna e del ciclismo e che aria si respira. 

«Per tutti gli appassionati di ciclismo belgi – racconta Lelangue – il fine settimana della Omloop Het Nieuwsblad e della Kuurne-Brussel-Kuurne apre la stagione. E’ vero che si è corso in Australia, in Spagna e negli Emirati Arabi, ma per un belga la stagione inizia sulle pietre delle Fiandre. L’attesa cresce e prende sempre più forma, man mano che passano i giorni. Sui quotidiani il ciclismo prende sempre più spazio, se ne parla in ogni posto e in tutte le trasmissioni radiofoniche e televisive». 

Sui giornali si parla già delle corse e dei protagonisti del Nord, qui Het Nieuwsblad il quotidiano belga
Sui giornali si parla già delle corse e dei protagonisti del Nord, qui Het Nieuwsblad il quotidiano belga

Arrivano i campioni

Nell’epoca moderna il ciclismo inizia a metà gennaio, dall’altra parte del mondo, con il Santos Tour Down Under. Ma per chi vive di questo sport contano i fatti e le tradizioni. Una vittoria nel deserto non vale quanto il primo confronto sul pavé. 

«Per i tifosi – continua Lelangue – è la prima volta che si possono vedere dal vivo i corridori e i protagonisti della stagione delle Classiche. E’ un momento speciale che vive di emozioni e di attesa. Per le squadre belga, come la Lotto DSTNY, la Soudal Quick-Step, la Alpecin-Deceuninck e l’Intermarché-Wanty queste due gare hanno un valore speciale. Sono fondamentali per vedere e testare il peso della rosa. Uscire dall’opening weekend senza un buon risultato equivale a una sconfitta».

La Omloop Het Nieuwsblad è il primo contatto del pubblico belga con i corridori
La Omloop Het Nieuwsblad è il primo contatto del pubblico belga con i corridori
Si inizia con la Omloop Het Nieuwsblad. 

Da anni questa gara apre il calendario belga, lo faceva trent’anni fa quando si chiamava Het Volk e non è cambiato nulla. Si tratta dell’esordio per i protagonisti del pavé. Il clima è subito agguerrito, e per fortuna che il giorno dopo si corre la Kuurne-Brussel-Kuurne perché l’atmosfera è infuocata. 

Per i tifosi quanto è importante?

Prima tantissimo. Ora con la televisione e le notizie si resta aggiornati anche delle gare di gennaio e febbraio. Però un vero appassionato belga non dà tanto peso a quei successi, per loro contano i risultati sul pavè. Se quella che dal Giro delle Fiandre alla Parigi-Roubaix è la settimana santa allora l’opening weekend è il Natale. Tutti i giorni si parla di ciclismo.

La presentazione delle squadre avviene nel velodromo Kuipke di Gand, una festa continua con palco, deejay e presentatore
La presentazione delle squadre avviene nel velodromo Kuipke di Gand, una festa continua con palco, deejay e presentatore
Da quanti giorni prima si entra nel clima giusto?

Dalla domenica prima della corsa. I siti e i giornali iniziano con approfondimenti e pagine dedicate con interviste a corridori e team manager. Non un articolo, ma tre, quattro o cinque pagine. 

E finalmente si corre…

La presentazione delle squadre per la Omloop Het Nieuwsblad è nel velodromo Kuipke di Gand ed è una festa immensa. Ci sono un deejay, il presentatore e tantissimo intrattenimento. I corridori entrano, fanno un giro, salgono sul palco e firmano. Da quel momento inizia la stagione delle Classiche. E’ la prima volta che il pubblico è a contatto con i corridori. 

Poi si passa all’azione. 

Intanto le strade si riempiono di gente, che sarà sempre sui percorsi da lì fino alla Roubaix. Anche nelle gare in settimana il pubblico non manca mai. In Belgio l’appassionato di ciclismo preferisce stare in strada, ma non tutti possono, così le gare si guardano anche in TV. Non potete immaginare l’audience che raggiungono le corse durante l’opening weekend

Il pubblico accorre numeroso alla prima gara sulle pietre e sarà presente fino al Giro delle Fiandre
Il pubblico accorre numeroso alla prima gara sulle pietre e sarà presente fino al Giro delle Fiandre
Quanto è importante per un corridore esserci?

Molti atleti spingono per essere al via delle gare (uno di questi è Wout Van Aert che negli ultimi anni ha sempre corso alla Omloop Nieuwsblad, ndr). Non sempre i programmi coincidono, ma è fondamentale per i leader vedere e capire come si muove la squadra

Cosa vuol dire avere tutta quell’attenzione addosso?

Che se non arriva un buon piazzamento tra Omloop Het Nieuwsblad e Kuurne-Brussel-Kuurne i giornali e i tifosi ne parleranno nei giorni successivi. E se va bene la pressione sale ancora, così come le aspettative. Pensate che se in una delle due gare va via una fuga numerosa senza che ci siano corridori dei top team belga per i tifosi è una cosa negativa. Infondo sono corse paragonabili alle prime gare a tappe di rilievo per gli scalatori. Se uno di loro va alla Parigi-Nizza o alla Tirreno-Adriatico e fa male tutti lo notano. 

La curiosità maggiore è intorno ai tratti in pavé, come ci arriveranno gli atleti?
La curiosità maggiore è intorno ai tratti in pavé, come ci arriveranno gli atleti?
Per i belgi la curiosità aumenta perché poi si corre sempre su quelle strade, fino al Fiandre. 

La vera attenzione è posta su come un corridore affronta il pavé. Magari perde in volata ma se sui tratti con le pietre si mette in mostra, attacca e va forte allora i tifosi e gli addetti ai lavori lo notano. Sui quei settori si passa dieci o dodici volte nell’arco di due mesi, capire come vengono affrontati è un primo riscontro. 

L’altro grande appuntamento qual è?

Pochi giorni dopo c’è Le Samyn, ma non ha una grande rilevanza. Si passa direttamente alla Milano-Sanremo e alle Classiche.