Zana riserva (con Sobrero), ma la prende bene e racconta

22.09.2022
5 min
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Le due riserve azzurre per il mondiale di domenica saranno Sobrero e Zana. Solo che mentre il primo ha corso la crono individuale e poi ha conquistato l’argento nel Team Relay, il campione italiano della Bardiani-CSF-Faizanè andrà via dall’Australia senza aver attaccato il numero sulla schiena. Si potrebbe pensare che sia seccato, di certo è dispiaciuto, ma tutto sommato l’ha presa bene, perché di base Filippo è un bravissimo ragazzo. Esserci, dice, è comunque una grande soddisfazione.

Lo scorso anno, Zana fu il regista del cittì Amadori, nella nazionale che vinse fra gli U23 con Baroncini
Lo scorso anno, Zana fu il regista del cittì Amadori, nella nazionale che vinse fra gli U23 con Baroncini

Grazie a Bennati

Lo incontriamo dopo pranzo mentre si avvia verso la stanza. La mattina se ne è andata tutta in pioggia e corridori divisi fra rulli e quelli che sono usciti comunque. E adesso che parliamo, fuori spunta un timido sole che se non altro fa sperare per domani e i giorni successivi, quando ci sarà da correre.

«Sicuramente mi sarebbe piaciuto correrlo – ammette con il suo tono educato – però già essere qua è veramente una grande emozione ed esperienza. Quindi mi dispiace, però allo stesso tempo sono già molto felice di essere stato convocato. Penso sia il sogno che avevo da quando ero bambino. E’ la nazionale maggiore, insomma…

«E Bennati è veramente bravo. Diciamo che ha finito da poco di correre, quindi è quasi come avere un altro compagno. E’ bello avere un cittì così giovane, perché riesce a darci dei consigli, almeno a me che sono più giovane, davvero importanti».

La bici di Zana è la sola a non avere il nome scritto, perché è l’unica con il fregio tricolore
La bici di Zana è la sola a non avere il nome scritto, perché è l’unica con il fregio tricolore

Il più timido

Bennati lo aveva detto in fase di convocazione: Zana deve esserci. Perché è un giovane di ottime prospettive, perché è il campione italiano e quella maglia tricolore merita rispetto. E conoscendo Daniele, c’è da scommettere che abbia sofferto nel comunicargli l’esclusione, in uno di quei passaggi che fa crescere come tecnici e come uomini. Ieri parlando di Zana, Bettiol lo aveva definito un po’ timido, rimarcando però che si stava integrando.

«Sì, dai – sorride – io sono un po’ così. Anche in squadra ci ho messo un po’. Sto sulle mie, ascolto, però questo è un bel gruppo, stiamo bene e spero che domenica si riesca a fare un bel risultato. Mi piace stare qui perché si sta insieme anche finito di mangiare e questa è una cosa bellissima, perché se c’è gruppo va tutto meglio, anche in gara. Sicuramente ti dà qualcosa in più».

Nuovi stimoli

E così di colpo la stagione, che era iniziata un po’ storta e aveva avuto al Giro un apice negativo (anche a causa di un cambio di preparazione di cui si è parlato poco), si è raddrizzata a partire da giugno. Prima la vittoria alla Adriatica Ionica Race, poi il campionato italiano e più di recente i bei piazzamenti al Sazka Tour e al Tour du Limousin. Di lui, come noto, si erano già accorti da un pezzo i tecnici della Bike Exchange-Jayco che lo hanno fatto firmare fino al 2025.

«Diciamo che la seconda parte di stagione mi ha soddisfatto – sorride – e adesso che la stagione è quasi finita, cerchiamo portarla a casa nel migliore dei modi. Anche per iniziare la prossima con nuovi stimoli e la speranza di crescere sempre di più».

Dopo la prova sul percorso, anche Zana si è convinto della sua velocità: «Ma lo strappo resta nelle gambe»
Dopo la prova sul percorso, anche Zana si è convinto della sua velocità: «Ma lo strappo resta nelle gambe»

Più duro del tricolore

L’Australia resterà sicuramente un bel ricordo, senza escludere che la nuova squadra possa portarcelo presto di nuovo, utilizzando il Tour Down Under come battesimo di fuoco, cosa che gli permetterebbe di vedere posti simili sotto il sole torrido di gennaio.

«Diciamo che siamo venuti qui – sorride – in un periodo un po’ così, alla fine dell’inverno. Però sono bei posti, un po’ selvaggi e belli. Potremo dire (sorride, ndr) di essere passati anche di qui! Anche se per noi tutte le attenzioni erano e sono incentrate sul percorso, che è sicuramente veloce. Però quando si entra nel circuito e si inizia a farlo forte, di sicuro la salita resterà nelle gambe a qualcuno. Nelle curve non si frena e lo strappo è duro. I primi 200 metri magari si fanno di slancio, poi però si deve alleggerire il rapporto. Quindi bisogna stare attenti. Perché il percorso può essere anche non durissimo, però sono i corridori che fanno la gara. Bisogna vedere come si muoveranno le altre nazionali. Secondo me il circuito dell’italiano era più facile, perché lo strappo era molto meno duro. Però sicuramente era più caldo…».

Bettiol sente la fiducia, lancia Bagioli e ha tanta voglia di correre

22.09.2022
7 min
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Un volo da Montreal a San Francisco, poi uno per Sydney e l’avventura australiana di Alberto Bettiol ha preso il via. Quando si è accorto che sulla stessa rotta viaggiavano Sagan, Matthews e Van Aert, in qualche modo il toscano ha sentito di aver fatto la scelta giusta. E’ arrivato a Sydney mercoledì scorso, ha mandato giù il fuso orario e se lo guardi mentre si muove nell’hotel della nazionale oppure a tavola mentre tiene banco tra il presidente federale e Amadio, capisci che l’umore sia quello giusto.

«Sto bene infatti – sorride – sono arrivato dal Canada in anticipo sugli altri. Siamo andati a vedere il percorso, che è veloce. Le curve si fanno tutte senza frenare. Ci sarà poco tempo fra una salita e la successiva».

Volume e recupero

Il Gibraltar Hotel sta sul monte. Per andare verso il mare ci sono poche strade e una è la Tourist Road Oval, che si perde tra prati e foreste di eucalipti. All’imbrunire si incontrano i canguri, durante il giorno frotte di corridori dei team che hanno scelto di dormire nella stessa area e di amatori che ogni giorno scalano il Macquarie Pass che dal mare si inoltra verso l’interno.

«Alla fine c’è solo quella salita lunga – conferma Alberto da perfetto padrone di casa – ma le strade sono tutte vallonate e sono belle, non c’è un metro di pianura. Per fortuna, ad eccezione di questi ultimi giorni, abbiamo sempre trovato bel tempo e sono riuscito a fare prima tutti gli allenamenti di volume. Ho fatto una bella distanza sabato e poi due volte quattro ore, lunedì e martedì. Così di qui a domenica ci sarà solo da recuperare, al massimo farò un richiamo venerdì, ma vediamo il tempo».

Ultima distanza

Chiacchiere di un pomeriggio quieto. Oggi (ieri per chi legge) gli azzurri hanno fatto cinque ore, l’ultima distanza approfittando del tempo che ancora reggeva, mentre stamattina piove e di certo faranno meno. “Betto” ha la barba lunga e lo sguardo placido.

«Recupero e massaggi – sorride – sono contento di essere arrivato prima, piuttosto che fare scalo a casa per quattro giorni, come ha fatto Bagioli. Ma lui ha prenotato il volo prima di sapere di essere convocato, sennò alla fine avrebbe seguito la mia rotta. Si trattava di arrivare in Italia, stare quattro giorni, assorbire il fuso e poi ripartire e doversi abituare a quello australiano. In fondo sono qua da otto giorni. C’è lo chef italiano, il massaggiatore, il meccanico. Sembra di essere in ritiro a Riotorto come ai tempi della Liquigas, si sta bene».

Con Massini e Battaglini

La squadra gli piace e in qualche modo si può dire che l’ha vista nascere. Bennati è stato a casa sua per parlare di avvicinamento, in quel pomeriggio in cui fu messa in giro la voce folle delle sue dimissioni.

«Con “Benna” – dice – abbiamo tanti punti in comune. Siamo cresciuti entrambi col Massini e poi con Mauro Battaglini come procuratore e soprattutto consigliere. Mi manca tanto Mauro, chissà cosa direbbe del ciclismo di oggi. Con Daniele siamo anche stati compagni di squadra ai mondiali di Bergen e ci siamo incrociati in più di qualche corsa. Con lui c’è un rapporto sincero, in cui l’amicizia a un certo punto viene messa da parte, senza che io mi aspetti favori o protezione. Ad esempio abbiamo visto entrambi che Bagioli va molto forte, le gare in Canada sono state giuste per capire lo stato di forma. Oggi abbiamo visto il Team Relay in camera mia, anche con Battistella. E Benna è davvero un bel mix. Ha ancora elementi del corridore, ma lo vedi che pensa già da tecnico».

Bettiol conferma che il Bagioli visto in Canada va davvero molto forte
Bettiol conferma che il Bagioli visto in Canada va davvero molto forte

C’è voglia di correre

Anche il team azzurro è un bel mix, cocktail di giovani, giovanissimi, debuttanti e gente esperta che malgrado il tanto vociare disfattista lasciato in Italia, domenica potrebbe dire la sua.

«Io e Trentin siamo quelli più esperti – annuisce – anzi lui è più grande, però è uno di noi (sorride, ndr). Zana è un po’ timido, ma si sta integrando bene. Si scherza e si ride, ma quando martedì Daniele sul pulmino che ci riportava in hotel dopo aver visto il percorso (foto di apertura, ndr) ci ha chiesto le nostre impressioni, ci siamo animati dello spirito giusto. C’è voglia di correre, forse perché siamo da tanto via di casa. Io di fatto sono partito il 4 settembre, ho corso in Canada il 9 e l’11, poi il 12 sono ripartito e sono qui da mercoledì 14 di mattina presto. E il pomeriggio sono subito uscito a farmi un allenamento con Ganna, Sobrero e Affini che erano già qui. Comunque sono tanti giorni».

Lo strappo col 40

E poi prima di salutarsi, come per un riflesso o un atto dovuto, il discorso torna sul percorso che li aspetta e che da domani diventerà il teatro delle sfide.

«Mount Keira è una bella salita, anche lunga – riflette Bettiol – ma messa in avvio di gara non penso possa far partire qualcuno. O almeno non qualcuno di quelli buoni. Lo strappo invece è duro e impegnativo, per cui anche se il circuito è veloce, con il passare dei chilometri la corsa viene dura. Dovremo farlo 12 volte, non sono poche. Di sicuro non si farà con il 53, anche perché il 53 non c’è più e toccherebbe semmai usare il 54 (riferimento ai gruppi Shimano 2022, che sono passati dal 53 al 54, ndr). Credo che userò rapporti normalissimi, per cui lo strappo si farà con il 40 e poi vedremo cosa dirà la corsa».

Fuori è buio. L’Italia ha centrato l’argento nel Team Relay vinto dalla Svizzera. A breve Ganna sarà in hotel e chiuderà la valigia. Per i ragazzi di Bennati invece il mondiale sta appena entrando nel vivo.

Alice Toniolli, il mondiale come il paese delle meraviglie

21.09.2022
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Velo ha appena finito di dirle che durante l’inverno dovrà lavorare soprattutto sulle curve. Non è tanto perché ci entra piano, ma perché così facendo è costretta ogni volta a dei rilanci faticosissimi che la costringono a spendere troppo. Alice Toniolli lo osserva in silenzio e mentalmente annota. Tutto quello che la circonda la stupisce. Le attenzioni a tratto la commuovono. Tutto quello che serve per crescere merita attenzione e lei, che è nata a Trento nel 2005 e vive a Mezzocorona, sulla bici c’è salita per la prima volta a marzo del 2021. E cose da imparare ne ha a palate.

«Quest’inverno niente palestra – mormora – quest’inverno solo curve».

La sua è una storia molto interessante. Prima di salire in bici infatti, faceva pattinaggio artistico su ghiaccio. Di lei ci aveva parlato Paolo Sangalli, che dopo averla vista arrivare 7ª ai campionati italiani, l’ha convocata per gli europei di Anadia, dove ha vinto il Team Relay e ottenuto il 12° posto nella crono. Così è arrivata anche la chiamata per i mondiali, nel senso di un importante investimento. E la crono juniores appena finita diventa l’occasione per conoscerla.

Primo anno che corri e ti convocano per i mondiali…

Non me lo aspettavo proprio. Sinceramente non sapevo neanche cosa fosse un mondiale crono e neanche la bicicletta, fino a poco più di un anno fa.

Quanto c’è in comune tra pattinaggio e questo sport?

Niente, sono passata da un estremo all’altro. Forse a livello muscolare. Sicuramente le gambe col pattinaggio le allenavo tanto. Per saltare in aria e avere della stabilità lavoravo sia con la destra che con la sinistra su un piede solo. Perciò la muscolatura si vede che c’è. Infatti a cronometro è quello che tutto sommato mi fa andare forte, perché sulla tecnica ancora siamo un po’ indietro. Ma stiamo lavorando…

Il passaggio com’è nato? 

Ho lasciato il pattinaggio perché, essendo uno sport competitivo, non riuscivo a farlo combaciare con la scuola (studia a Trento al Liceo delle Scienze Umane, ndr). Allora ho deciso di abbandonarlo, perché lo sport mi piace e non lo voglio praticare solo come hobby. E mi son buttata sulla bici. Il perché specifico non si sa, però mi piace far fatica e sicuramente il pattinaggio è un altro sport faticoso.

Alice durante il riscaldamento prima della crono di Wollongong
Alice durante il riscaldamento prima della crono di Wollongong
Chi ti ha proposto di provare la bici

No, no, sono tutte scelte mie. I miei genitori non mi forzano sicuramente a scegliere lo sport più adatto. Mi hanno lasciato decidere, io ho scelto e loro mi sostengono sempre (si commuove, ndr).

Facciamo il punto sulla tecnica mancante?

Sicuramente ho migliorato tantissimo rispetto all’inizio della stagione, però c’è ancora da lavorare. Ovviamente perché devo portarmi al livello delle altre. Ma intanto come forza e potenza ci sono, l’unica cosa adesso è che quest’inverno miglioro la tecnica e poi il prossimo anno sarà tutto un altro andare.

Quando ti hanno detto che andavi al mondiale cosa hai pensato?

Che fosse uno scherzo, perché sinceramente da un giorno all’altro in maglia azzurra… Dici: «Vabbè, questo mi prende in giro!». Non ci credevo nemmeno io, sinceramente, anche perché un mondiale è un mondiale. Poi dall’altra parte del mondo, io che ho iniziato l’anno scorso, subito così sulla bici, con la nazionale… Cioè, era troppo grande!

Ad Anadia a luglio, ha conquistato il titolo europeo juniores del Team Relay
Ad Anadia a luglio, ha conquistato il titolo europeo juniores del Team Relay
Su quel blocco in partenza a cosa hai pensato?

Ero agitata, avevo un po’ di tensione. Ma era tensione non tanto perché so che non ce la faccio, ma perché non ci credo nemmeno io, sinceramente, di essere qua in maglia azzurra.

Seguivi il ciclismo prima di cominciare?

Proprio no, io seguivo tanto il pattinaggio. Ho fatto solamente un anno da G1, solo perché mio nonno conosceva degli amici del paese che facevano ciclismo e lo insegnavano. Avevano questa squadretta del paese, però io ho fatto quella stagione G1 tutto tramite gioco. Andavo, mi divertivo, non ero così impostata, però facevo sempre podio, seconda, terza. Poi ho smesso da G2 perché volevo fare pattinaggio. Seguivo Carolina Kostner, era proprio bello. Poi è sempre stato uno sport particolare. Saltare, trottole… e niente, mi sono buttata sui balletti e sul tutù, per poi dopo arrivare di nuovo alla bicicletta e al body.

Alice ha chiuso la crono delle donne junior in 15ª posizione a 2’22” da Zoe Backstedt: un punto di partenza
Alice ha chiuso la crono delle donne junior in 15ª posizione a 2’22” da Zoe Backstedt: un punto di partenza
E’ la vittoria del nonno, in fondo…

E’ più contento di me. M’ha detto: «Stai tranquilla, l’importante è che ti diverti». Perché sinceramente non ci crede neanche lui che dopo così poco, io sono andata all’europeo e al mondiale. E allora m’ha detto: «Prendila già come traguardo. E poi per il prossimo anno è tutto un punto di partenza». E io comincerò a lavorare già tra due settimane, quando la stagione sarà finita. Ritorno in Italia, faccio un po’ di vacanza e poi si riparte. Da questo fantastico punto di partenza

Team Relay: vendetta della Svizzera, iridata per 3 secondi

21.09.2022
5 min
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Svizzera, Italia, Australia. Il tavolo della conferenza stampa oggi è pieno di campioni. Diciotto, sei per squadra, e per una volta a dominare è il concetto di Nazione. Lo stesso motivo per cui anni fa funzionava alla grande la Cento Chilometri. Così quando a Stefan Kung chiedono che cosa si provi ad aver conquistato una maglia iridata, lui fa un sorriso e dice che andrà ad aggiungersi alla sua collezione, ma che fondamentalmente la maglia appartiene a Swiss Cycling, la Federazione svizzera.

Tattica australiana

L’Australia partita presto per anticipare la pioggia non ne ha tratto poi questo gran vantaggio. Avrebbero probabilmente fatto lo stesso tempo partendo con gli altri, ma alla vigilia non potevano saperlo. Di certo il cielo oggi su Wollongong è nero come la pece, tira aria fredda e da domani fino a sabato ci sarà da ripararsi come meglio si può.

L’Olanda ha perso subito Mollema per l’attacco di un gabbiano (@PhotoNews)
L’Olanda ha perso subito Mollema per l’attacco di un gabbiano (@PhotoNews)

Maledizione olandese

Perciò è stato di nuovo Svizzera contro Italia sin dall’inizio. Schmid, Kung e Bissegger contro Ganna, Sobrero e Affini. Poi Chabey, Reysser e Koller, contro Guazzini, Longo Borghini e Cecchini. C’era così tanto talento lungo la strada a un certo punto, che anche l’apparizione di Van der Poel è passata sotto silenzio, anche se sull’Olanda si è abbattuta una iella da guinness dei primati.

«Quasi tutto ciò che poteva andare storto, è andato storto – ha detto lo stesso Van der Poel – abbiamo perso Bauke Mollema quasi subito per l’attacco di un gabbiano. Abbiamo comunque cercato di fare il meglio, ma fa una grande differenza fra tre corridori e due. Fai meno curve in testa e ti siedi più a lungo. E poi le cose sono andate storte anche per le donne. Spero che Annemiek Van Vleuten non si sia fatta troppo male, perché è sembrata una brutta caduta. Questo praticamente riassume tutta la giornata».

Per la azzurre hanno corso (da sinistra) Guazzini, Longo Borghini e Cecchini
Per la azzurre hanno corso (da sinistra) Guazzini, Longo Borghini e Cecchini

Rimonta Italia

Tra Svizzera e Italia alla fine sono rimasti appena 2”920, meno di 3 secondi. Erano 10 dopo la prova degli uomini, poi le ragazze ne hanno recuperati 7.

«Avevamo un buon morale – dice Elisa Longo Borghini – sia prima sia adesso. Abbiamo avuto buona musica grazie a Filippo Ganna e proprio i ragazzi hanno fatto una buonissima corsa. Noi abbiamo fatto il nostro meglio per chiudere il buco con la Svizzera. Elena Cecchini aveva il compito di portarci il più avanti possibile fino alla salita, poi siamo rimaste Vittoria ed io a fare la nostra parte».

I tre svizzeri (Schmid, Kung e Bissegger) scavano un solco di 10″
I tre svizzeri (Schmid, Kung e Bissegger) scavano un solco di 10″

Rivincita Reusser

Seduta accanto, Marlen Reusser ha ricambiato il sorriso. Terza l’altro giorno nella crono elite e campionessa europea a Monaco, ha ricordato di quando lo scorso anno la Svizzera rimase giù dal podio, pur avendo lo stesso tempo dell’Italia. La differenza la fecero i centesimi, che furono 5 a favore dei nostri. Gli svizzeri erano gli stessi che oggi hanno conquistato l’oro, nell’Italia c’era Marta Cavalli al posto di Vittoria Guazzini.

«L’anno scorso – dice Reusser – abbiamo perso la medaglia per un pelo. Quando quest’anno abbiamo visto di aver vinto, è stata una clamorosa rivincita. E proprio contro l’Italia. Siamo partiti per andare forte, non era chiaro chi si sarebbe dovuto staccare, non era chiaro se qualcuno si sarebbe staccato…».

Ganna e l’Ora

E poi la domanda immancabile è arrivata anche per Ganna, che è andato certamente meglio di domenica scorsa, pur non dando le trenate terrificanti che tanti si aspettavano. Ma è anche vero che in una prova come questa conta che arrivi anche il secondo.

«Non credo – risponde Pippo – che la preparazione del record dell’Ora mi abbia danneggiato nella crono e non credo che siano sforzi paragonabili. La crono ha un ritmo diverso, nell’Ora devi essere costante. Per cui l’altro giorno è stata una giornataccia, chiudiamo il libro. Domattina alle 6 ho il volo per tornare a casa e recuperare, prima di iniziare a lavorare per il record».

A quattr’occhi, uscendo dalla sala della conferenza aggiunge che andrà via dall’hotel alle due del mattino e a questo punto tirerà dritto senza chiudere occhio, sperando di dormire poi in aereo.

Annemiek Van Vleuten cammina lentamente dalla partenza, dove è caduta, fino al box
Annemiek Van Vleuten cammina lentamente dalla partenza, dove è caduta, fino al box

Van Vleuten in ospedale

L’ultima voce arriva da Annemiek Van Vleuten, che in queste ore è in ospedale facendo esami e radiografie.

«E’ esplosa la gomma anteriore – fa sapere – non potevo farci niente. Improvvisamente mi sono ritrovata a terra. Ho solo molto dolore e il gomito che non sta affatto bene. Tutto il fianco è ferito, perciò siamo andati subito in ospedale a fare delle radiografie. Sono preoccupata per sabato (gara su strada delle donne, ndr). Non mi aspettavo una cosa del genere, non posso credere a quello che è successo».

Segaert, l’argento della crono su un prototipo Ridley

21.09.2022
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«La mia strategia di gara – ha detto Segaert dopo l’argento nella crono U23 –  è stata elaborata da mio fratello Loic, che è anche il mio allenatore e in cui ho piena fiducia. Ci abbiamo lavorato fino all’ultimo per via dei cambiamenti del vento. Nonostante un simile piano, è sempre difficile contenersi durante un mondiale. Con tutto quell’incoraggiamento lungo la strada e anche pensando alle persone che stanno guardando da casa. Era particolarmente importante trattenersi nel primo giro, ma penso di non aver risparmiato abbastanza. Ero ancora forte , ma non è bastato».

L’argento accettato con soddisfazione da Segaert, davanti alla superiorità indiscussa di Waerenskjold
L’argento accettato con soddisfazione da Segaert, davanti alla superiorità indiscussa di Waerenskjold

Scoperto per caso

Alec Segaert lo scoprimmo un anno fa per le sue frequentazioni italiane. Senza darlo troppo a vedere, il giovane belga, che nel 2021 era ancora uno junior, veniva a correre (e vincere) da noi, con l’appoggio del Team Ballerini. Solo che con il passare dei mesi, quella che poteva sembrare una presenza simpatica, si è trasformata nell’identikit di un campione, che ha da poco firmato un contratto WorldTour con la Lotto Dstny. Diventerà professionista dal primo giugno 2024: prima si concentrerà sui suoi studi di ingegneria, grazie a una norma dell’ordinamento belga che permette agli atleti di vertice di distribuire i loro esami universitari in base ai loro impegni agonistici. E Segaert, che ha 19 anni, ha ribadito di volersi laureare a tutti i costi.

Dopo essere stato campione europeo juniores a Trento lo scorso anno e aver vinto anche la Chrono des Nations, a luglio Segaert è diventato campione d’Europa nella crono U23 ad Anadia, in Portogallo.

«Il titolo europeo mi ha motivato – ha detto – ma non sapevo come sarei potuto andare andare al mondiale, perché ci sono state poche prove a cronometro di riferimento in questa stagione. Mi aspettavo molto dal norvegese Waerenskjold, dal tedesco Hessman, da Leo Hayter e anche dall’italiano Milesi dal quale ho perso l’ultima tappa del Tour de l’Avenir. Avevo visto bene…».

Nel 2021 da junior Segaert ha vinto a Stradella per distacco
Nel 2021 da junior Segaert ha vinto a Stradella per distacco

«Il percorso mi è subito piaciuto – ha proseguito – molte curve, molti saliscendi, zero pianura e nessuna salita troppo dura. Bisognava capire bene dove dare il massimo e dove recuperare. La mia ambizione? Certo mi sarebbe piaciuto vincere una medaglia, ma se fossi finito quinto, sarei stato contento anche di quello».

Tattica norvegese

E’ arrivato secondo, pagando forse la gestione troppo arrembante, al cospetto del norvegese che invece ha saputo dosare meglio gli sforzi.

«A metà gara – ammette Segaert – sapevo di avere più o meno lo stesso tempo di Waerenskjold, ma sapevo anche che lui aveva fatto un fantastico secondo giro. Da quel momento in poi ho capito che l’oro sarebbe stato molto difficile, ma anche l’argento sarebbe stato fantastico. Così ho continuato a spingere e alla fine è arrivato».

Segaert ha vinto per due anni di seguito l’europeo a crono. Questo il primo, nel 2021, da junior su Cian Uijtdebroeks
Segaert ha vinto per due anni l’europeo a crono. Questo il primo, nel 2021, da junior su Uijtdebroeks

La famiglia al seguito

Mai previsione fu più azzeccata. Il norvegese Waerenskjold che l’ha battuto e Hayter che gli è finito dietro sono stati i primi due nomi, con l’eccezione di Milesi che si è fermato al 10° posto, senza sprizzare troppa gioia. Sul traguardo di Wollongong, Segaert ha trovato anche la sua famiglia, che si è sobbarcata il viaggio per stargli accanto. Vincere il mondiale U23 è da sempre il sogno di suo padre e la crono ha messo in tutto il clan belga una bella fiducia in vista della prova su strada.

«Il piano a lungo termine – ha detto il padre Frank al belga Het Nieuwsblad – è quello di diventare campione del mondo nella categoria U23. Dopo il titolo europeo in Portogallo e soprattutto il tanto lavoro che abbiamo fatto, sapevamo che una medaglia fosse alla sua portata e come genitori abbiamo voluto esserci. Per condividere la gioia, ma anche per esserci se le cose non fossero andate secondo i piani».

In Australia è volata tutta la famiglia Segaert, per turismo e per sostegno (@Belga)
In Australia è volata tutta la famiglia Segaert, per turismo e per sostegno (@Belga)

La nuova Ridley

Per la crono, fra le curiosità più evidenti c’è anche il fatto che Segaert è stato il primo in assoluto ad avere la nuova bici da cronometro di Ridley, sponsor della Lotto-Soudal.

«L’intenzione era che la bici fosse pronta per il Tour de France – ha spiegato il fratello-allenatore Loic – noi ci speravamo, anche in modo che si potessero apportare modifiche se necessario. Sfortunatamente non ci sono riusciti, quindi Alec è stato il primo in assoluto a correre con la nuova bici da cronometro, in realtà ancora un prototipo. Venerdì ci sarà la corsa su strada. Ora sappiamo che la condizione è davvero buona. Se non per se stesso, mio fratello sarà in grado di aiutare un compagno di squadra a vincere il mondiale».

Segaert ha portato al debutto l’attesissima bici da crono di Ridley: un vero prototipo privo di scritte
Segaert ha portato al debutto l’attesissima bici da crono di Ridley: un vero prototipo privo di scritte

Futuro nella Lotto

Alec ha concluso parlando già da professionista navigato e proiettandosi verso il futuro nella Lotto Dstny, nel cui team di sviluppo sta vivendo il primo anno da under 23.

«In questa stagione – ha detto – ho notato quanto questa squadra mi stia seguendo. L’ambiente di lavoro, ma anche l’ambizione di continuare a migliorare. Da un lato, c’è la grande esperienza di talenti che sono arrivati dal devo team, come Wellens, Vermeersch e De Lie. Ma d’altra parte la squadra continua a svilupparsi. Ad esempio nel reparto performance o quando si tratta di materiali. La nuova bici da cronometro di Ridley ha sicuramente giocato un ruolo nella mia decisione di firmare con loro».

Venturelli più forte del dolore per lo staff e per la squadra

20.09.2022
5 min
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Ha deciso di partire dopo il riscaldamento, ma dire che Federica Venturelli avesse certezze sulle sue condizioni sarebbe poco credibile. Coraggio tanto, quello ha lasciato tutti a bocca aperta. Cerotti su entrambi i gomiti. Una garza sul ginocchio destro. Le mani ferite. E un’abrasione sull’addome che sfregando contro il body le dava un gran fastidio. Tutto per la caduta violentissima del giorno prima. E quando dopo la gara è rientrata al box azzurro, l’applauso con cui è stata accolta ha fatto capire la paura e il sollievo che hanno attraversato il clan azzurro nelle ultime 24 ore.

Brutta caduta

La notizia è arrivata intorno alle 12 con un messaggio. Caduta Federica Venturelli, la stanno riportando in hotel. E’ piuttosto malconcia, non si sa se domani farà la crono. Aspettiamo le radiografie.

«Stavo andando in discesa – racconta mentre gira le gambe sui rulli – forse un po’ troppo forte. C’era un tratto di strada disconnesso, che non era stato segnalato. E purtroppo sono finita in questa parte di strada piena di buche. Ho perso le mani dal manubrio. Sono caduta e intanto ho visto un furgone che saliva dalla parte opposta. Proprio per cercare di evitarlo e scongiurare il peggio, mi sono procurata un bel po’ di abrasioni, cercando di aggrapparmi all’asfalto per non finire dall’altra parte».

Durante il riscaldamento, Federica Venturelli si è confrontata con Velo su come gestire la crono
Durante il riscaldamento, Federica Venturelli si è confrontata con Velo su come gestire la crono

Test sui rulli

Infilare le maniche nel body le è sembrato un supplizio, ma nulla in confronto a quando ha provato a salire sulla Cinelli montata sui rulli. Aveva lo sguardo impaurito e dolorante, così pure quando ha iniziato a pedalare, sentendo il ginocchio e il gomito, sentendo la mano quando ha provato a cambiare e non riuscendo a sfilare la borraccia. Attorno a lei prima Elisabetta Borgia e poi Rossella Callovi accompagnavano le sue smorfie con parole rassicuranti, finché Federica ha iniziato a raddrizzarsi e ad aumentare il ritmo di pedalata.

«Ho deciso di partire – conferma – quando ho finito il riscaldamento, perché comunque avevo ancora male al gomito. Scaldandomi però, un po’ è passato e quindi ho deciso di provarci. Inizialmente avevo paura di non riuscire a far le curve o guidare la bici. Però poi ho visto che ero in grado, anche se non ero al top della mia condizione. E allora ho deciso di partire».

Senza borraccia

Così si è avviata, dopo aver provato a fare un paio di curve, con la certezza che difficilmente sarebbe riuscita ad alzarsi sui pedali. Senza borraccia, perché non potendola prendere, ha chiesto a Giuseppe Campanella, il suo meccanico, di smontare tutto. E forse la spinta decisiva è venuta proprio dall’attaccamento al gruppo azzurro.

«Quando sono caduta – conferma – non è stata tanto la sensazione di vedermi sfuggire il mondiale, perché comunque non ero qua per vincere. C’erano avversarie molto più forti di me, ma per fare esperienza. E’ stato il dispiacere nei confronti dello staff e della squadra che ha fatto tanti sacrifici e quindi ero dispiaciuta di non poter dare il meglio di me. Ieri sera ero abbastanza giù. Però comunque, dopo il controllo in ospedale e la radiografia in cui mi hanno detto che era tutto a posto, mi sono un po’ ripresa. Ho iniziato a pensare che magari sarei riuscita a partire e quindi ho passato una notte non troppo travagliata».

Il mondiale crono delle donne junior è stato vinto da Zoe Backstedt (Gran Bretagna), su Czapla e Joriis
Il mondiale crono delle donne junior è stato vinto da Zoe Backstedt (Gran Bretagna), su Czapla e Joriis

Dolore e adrenalina

L’hanno accolta come se avesse vinto, anche se il 24° posto a 2’59” da Zoe Backstedt è decisamente al di sotto delle aspettative di partenza: il quarto posto agli europei induceva a sperare in qualcosa di meglio e certamente Federica si sarebbe fatta valere. Probabilmente però essere partita aiuterà nella prova su strada, cui arriverà con la certezza di poter pedalare.

«L’adrenalina è servita parecchio – racconta – sentivo solo la fatica. Il male era in secondo piano. Più di tutti, probabilmente mi ha dato fastidio il gomito, soprattutto con le vibrazioni. Oppure dover spostare le braccia per fare le curve o alzarmi in piedi e rilanciare. Infatti la salita è stata la parte in cui ho sofferto di più e ho sentito di non riuscire ad andare come volevo. Adesso so di riuscire a stare in bici e questo è qualcosa che mi mette più tranquilla. Nei prossimi giorni vedrò di riabituarmi a spingere e lavorare anche sulla posizione delle mani sul manubrio, che sicuramente è qualcosa che in discesa o comunque nei momenti un po’ nervosi in gruppo sarà necessario. E tutto sommato è andata anche bene senza borraccia. Di solito bevo molto, ma oggi non era particolarmente caldo. E sono arrivata senza avere la gola secca».

EDITORIALE / La legge di Newton, Ganna e le cose della stampa

19.09.2022
5 min
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E’ tutto un fatto di equilibrio, in fondo. Pertanto, applicando il principio di azione e reazione, tanto vieni portato in alto quando vinci, per quanto verrai tenuto sotto quando qualcosa si incepperà. Nello sport e soprattutto in Italia, la terza legge di Newton ha un’applicazione quasi perversa. Puoi diventare dio e il giorno dopo ritrovarti servo della gleba. E a quel punto nel mirino finisce anche la decorazione del casco. Chi ha avuto la fortuna di lavorare negli anni di Pantani sa di cosa stiamo parlando. Ieri la scure si è abbattuta su Filippo Ganna, che ha accusato il colpo, forse perché finora non ne aveva ancora sperimentato il taglio.

Nella vicenda in sé, quel che ha uno strano sviluppo è il metro di certe valutazioni. Per cui la frase di Ganna dopo la resa nasconde una profonda verità. «Se vincevo – ha detto – erano tutti felici. Ma a quanto pare perché è venuto un settimo posto, ho fatto il flop dell’anno».

Ganna è arrivato bene al mondiale, come conferma la vittoria del prologo al Giro di Germania
Ganna è arrivato bene al mondiale, come conferma la vittoria del prologo al Giro di Germania

La tutela di Ganna

Questo concetto lo abbiamo parzialmente affrontato dopo la crono, oggi andiamo oltre. Al pari dell’indignazione per il monumento Lombardia picconato dal record dell’Ora, vogliamo chiederci in che modo sia gestito il monumento Ganna. E se la sua generosità non stia diventando la sua condanna.

Lo scorso anno 66 giorni di gara: neanche tanti, direte. Ma se si entra nello specifico, si nota che oltre al Giro d’Italia con le due crono vinte e i tanti chilometri tirati per Bernal, al cumulo dei giorni vanno aggiunti le Olimpiadi (5° nella crono e oro nel quartetto) e subito dopo i campionati europei (2° nella crono e ritirato su strada), i mondiali strada (oro nella crono) e per finire i mondiali su pista (oro nel quartetto e bronzo nell’inseguimento individuale). Ciascuna di queste prove ha richiesto ritiri e lavori specifici. Quanto è logorante un calendario del genere? Quanto costa in termini nervosi? E quanto questo stillicidio toglie freschezza alla preparazione successiva?

Quest’anno, finora, 66 giorni di corsa: gli stessi di fine 2021. Il Giro è stato sostituito dal Tour e nel mezzo ci sono stati ugualmente gli europei della crono (bronzo), i mondiali crono (settimo posto) e mancano ancora il Team Relay di mercoledì, quindi il record dell’Ora e i mondiali in pista. Fermo restando che nell’anno post olimpico tutti gli atleti che abbiano vinto accusano una flessione di rendimento, non è forse sbagliato pretendere che Ganna continui a vincere e criticarlo se non ci riesce? E non è poco lungimirante da parte di chi lo gestisce continuare ad assecondarne la generosità?

La sala stampa di Wollongong, dimensionata per i soliti numeri, appare ancora deserta
La sala stampa di Wollongong, dimensionata per i soliti numeri, appare ancora deserta

Dal nostro inviato

Chi ieri fosse stato accanto a Ganna mentre si scaldava avrebbe colto dei segni di nervosismo. Probabilmente perché Filippo, come poi ha detto, si era accorto dal mattino di non avere grandi sensazioni e sapeva di avviarsi verso una gara nella quale è impossibile nascondersi. Se non stava davvero bene, tutti lo avrebbero visto. Gli amici. I parenti. E anche i tifosi che non lo conoscono, ma gli vogliono bene. E che, al pari di coloro che lui ha citato nelle sue scuse, si sono alzati per vederlo correre.

Il guaio è che ieri accanto a Ganna eravamo davvero in pochi. E qui si apre un’altra pagina. Venire in Australia è stato un piccolo investimento, ma non esserci avrebbe significato interrompere il filo invisibile che permette al giornalista di raccontare dopo aver visto. Provando a dare una lettura obiettiva e non filtrata dai commenti di altri.

A Wollongong siamo in pochi, circa 150 tra giornalisti, fotografi e televisivi. Dall’Italia appena in 6. La Rai con Stefano Rizzato, Bicisport con Luca Neri, i fotografi Luca Bettini, Stefano Sirotti ed Eloise Malavan e ovviamente chi vi scrive. D’accordo, si sopravvive bene anche con il telefono, gli audio whatsapp e le videoconferenze ereditate dal Covid, ma se questa fosse la regola, perderebbe senso l’esistenza stessa degli inviati. Non è la stessa cosa, grazie al Cielo. Scrivere a migliaia di chilometri di distanza fa perdere il senso di umanità che si prova davanti alla vittoria e ancor di più alla sconfitta

Il clima di critiche non sta regalando alla nazionale la vigilia più serena
Il clima di critiche non sta regalando alla nazionale la vigilia più serena

La voce dei campioni

Il ciclismo, ha scritto giorni fa Pier Bergonzi in un corsivo sulla Gazzetta dello Sport commentando la sovrapposizione delle date di Lombardia e record dell’Ora, si diverte a farsi del male. Non potrebbe essere più vero, ma il problema va ben oltre la Classica delle Foglie Morte. Forse bisognerebbe avviare un’azione robusta contro la deriva imposta dall’UCI, che ha portato di recente alcuni grandi club a non mandare i propri atleti in nazionale. Anche questa una picconata niente male, di cui però si parla poco. E come sarebbe ingiusto per essa additare i corridori assenti, altrettanto lo è appellarsi a Ganna perché faccia cambiare la data del tentativo di Grenchen. La responsabilità nel caso specifico non è ascrivibile all’atleta, quanto ai suoi datori di lavoro. Che hanno imposto a lui il record e a noi la data, peraltro per dare modo a Filippo di partecipare ai mondiali in pista. Il mercoledì ci saranno le qualificazioni del quartetto e dovrà aver recuperato. E se dicessimo che uno dei due è di troppo?

Il timore, in questo momento di fulmini e saette, è che se quel record non arrivasse, anziché premiare l’eroismo di averci provato, si scriverebbe di arroganza per averlo fatto. E questo, parlando di sport, è un evidente squilibrio. Che vizia i rapporti fra giornalisti e campioni e di riflesso fra campioni e tifosi, laddove in certi momenti siamo noi più degli stessi social la loro voce verso l’esterno. Lo abbiamo visto nei mesi del Covid, cerchiamo di non dimenticarlo: cosa c’è di bello a raccontare il ciclismo perdendo la voce dei protagonisti?

Ganna, la sconfitta ci sta, la solitudine non aiuta

18.09.2022
7 min
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Tobias Foss, norvegese di 25 anni di maglia Jumbo Visma, ha vinto la crono iridata e, come ha ammesso lui per primo, davvero non se lo aspettava. A Ganna invece è andato tutto storto.

«Sembra davvero di essere in un sogno – dice il vincitore – in realtà non ci credo ancora. Avevo buoni segnali e le mie gambe rispondevano benissimo. Avevo fiducia, ma non osavo sognare così in grande. Sarei stato contento di arrivare tra i primi dieci, sarebbe stato un sogno essere nei cinque, ma ora che posso indossare questa maglia per un anno, sarà molto speciale. Mi divertirò e cercherò di onorarla».

In fuga da tutti

Filippo Ganna ha tagliato il traguardo sbuffando, poi ha lasciato che la bici lo portasse via. Non si è fermato davanti allo staff azzurro e ha tirato dritto, uscendo dalle transenne in fondo. Già da qualche tempo, Pippo ha preso l’abitudine (quando va male) di non fermarsi troppo o non fermarsi affatto nella zona mista dove i giornalisti fanno domande. Questa volta, con un settimo posto veramente difficile da pronosticare ha preferito rifugiarsi nel camper della nazionale, scegliendo la solitudine.

Voglia di parlare comprensibilmente zero, ma è proprio in questi casi che il campione fa la differenza, affrontando la sconfitta a viso aperto e la testa alta. Certo però, guardandola dal suo punto di vista, non deve essere facile mandare giù un simile boccone, con quel record dell’Ora che gli hanno appiccicato addosso e che esige solo la perfezione.

«Non ho ancora parlato con Pippo – dice Velo appena sceso dal camper – ma alla partenza secondo me andava bene, poi la sensazione è stata che fosse un po’ legnoso. Però magari sono solo delle mie impressioni. Adesso dobbiamo condividere l’analisi della gara. Quello che posso dire è che l’avvicinamento era stato tutto liscio, perfetto».

Ganna ha dato più volte la sensazione di non trovare la posizione, tipica delle giornate storte
Ganna ha dato più volte la sensazione di non trovare la posizione, tipica delle giornate storte

I fattori esterni

Nelle fasi del riscaldamento, Ganna girava le gambe assecondando il rituale di sempre. Si aveva quasi timore di disturbarne la concentrazione, percependo la tensione del momento. A capo di un anno sotto tono, il mondiale poteva essere l’occasione giusta per rimettere tutto a posto. Ma poi, sotto tono… Quale altro campione olimpico di Tokyo, dopo quell’oro ha gareggiato e preso medaglie in rassegne europee e mondiali? Non si darà tutto troppo per scontato? Non è normale avere una flessione nell’anno post olimpico?

«Guarda come è tirato – diceva Cristian Salvato, ex cronoman e ora presidente dell’ACCPI – guarda che cosce sottili, non sembrano nemmeno le sue».

Tutto intorno lo staff azzurro era indaffarato, ciascuno preso nelle sue incombenze. I due meccanici nella messa a punto dei freni e del cambio. I massaggiatori verificando la borraccia e che fosse tutto a posto. Gli addetti alla comunicazione fissi per cogliere ogni dettaglio. Amadio che a un certo punto ha chiesto ad Affini cosa gli sembrasse.

«Bissegger – diceva il mantovano, che ha chiuso la crono al 13° posto – ha già fatto un bel tempo, voglio vedere quanto faranno questi con i motori superatomici (ammiccando alla volta di Ganna e di Pogacar che si scaldava nel camper accanto, dnr). Pippo sta bene, l’ho visto sereno. L’unica cosa che ha un po’ rotto sono state le chiacchiere esterne, ma contro quelle si può fare poco».

Poi Ganna è sceso dal camper con il gilet termico addosso. Ha bevuto un sorso d’acqua. E si è diretto verso il percorso, seguendo la bici di Fred Morini, che lo ha scortato fino alla partenza.

Un essere umano

«Un campione come Pippo – prosegue Velo – non si fa influenzare assolutamente delle voci esterne. Ha preparato questa crono e sono certo che l’ha fatto al 100 per cento. In questi giorni di avvicinamento ha fatto tutto quello che doveva. Si è visto che non ha trovato la pedalata giusta, perché si muoveva sulla sella. Ti scomponi, è normale. Però ci sta che sia una giornata no, anche se da lui ci si aspetta sempre il centro pieno. Non è una macchina, è un essere umano e la giornata no può averla anche lui.

«Foss invece – prosegue – non ce l’aspettavamo. Ho guardato un po’ quello che ha fatto e credo che sia stato eccezionale, perché ha recuperato così 10-15 secondi nel finale a Kung che è andato fortissimo. Povero lui, ancora una volta secondo. Mi dispiace. Per tutto quello che sta facendo negli ultimi anni e visto che Pippo non è andato bene, stavolta se la sarebbe meritata lui».

Un altro argento per Kung e un altro bronzo per Evenepoel. E Foss prende l’oro
Un altro argento per Kung e un altro bronzo per Evenepoel. E Foss prende l’oro

Ancora due barriere

Foss in qualche modo è d’accordo con lui. Non se lo aspettava e ha fatto fatica a realizzarlo per tutto il tempo che si è trattenuto con la stampa.

«E’ stata una cronometro – dice – in cui c’era a malapena tempo per recuperare. Non potevi mai lasciare che la potenza calasse. Le curve erano molto tecniche. Nelle parti dure e ripide dovevi andare al massimo. Potevi riprendere fiato solo nelle parti più veloci. L’abbiamo preparato bene, ho ricevuto un buon coaching e alla fine è andato tutto alla perfezione. Il momento in cui ho indossato questa maglia è stato sicuramente un momento molto speciale. E incredibile».

Ganna è sceso dal camper con lo sguardo afflitto ed è andato a sedersi nel furgone in partenza per Bowral, sede del ritiro della nazionale. Prima di chiudere lo sportello ha firmato l’autografo a un signore anziano. Sarà un’ora di strada in cui potrà cercare nell’oscurità oltre il finestrino le risposte alle domande che per primo si pone. La sensazione è che in questo anno storto, continuare a pretendere da sé la luna e noi a chiedergliela sia quasi un’ingiustizia. Al suo posto avremmo voglia di chiudere la stagione e staccare veramente per un lungo periodo. Ma noi non siamo campioni né schiavi del dover vincere: non abbiamo idea di cosa significhi. Il record dell’Ora, se sarà confermato, e i mondiali su pista saranno altre due barriere molto alte da saltare.

P.S. Alle 21,34 le parole di Ganna

Le parole di Ganna sono arrivate tramite un video dall’ufficio stampa della Federazione intorno alle 21,30 locali, circa quattro ore dopo la conclusione della prova, confermando quello che tutti hanno pensato: la giornata storta nel giorno sbagliato.

I messaggio di Ganna è arrivato tramite un video affidato all’ufficio stampa FCI
I messaggio di Ganna è arrivato tramite un video affidato all’ufficio stampa FCI

«Logicamente – dice – si viene dalla parte opposta del mondo non per indossare una maglia o un numero, ma si era venuti con degli obiettivi. Oggi le gambe non erano quelle dei giorni migliori e già stamattina quando mi sono svegliato non trovavo un ottimo feeling, al contrario dei giorni scorsi in cui invece anche con i ragazzi si riuscivano a tenere valori che facevano sperare. E’ andata così, c’è sì un po’ di delusione, però la gara è gara. Se vincevo erano tutti felici e a quanto pare perché ho fatto un settimo posto, ho fatto il flop dell’anno. Dispiace. Magari l’unico rimpianto è di aver fatto svegliare tanti amici o parenti presto per vedere la prova e poi è andata un po’ così»

Lontana dalle prime, dando l’anima: cresce la nuova Fidanza

18.09.2022
4 min
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Arianna Fidanza è sul lato destro della strada che si asciuga il sudore. Ha il volto stravolto di chi ha dato tutto e, dopo un mondiale a cronometro, non potrebbe essere diversamente. Racconta che il vento le ha portato via per due volte la ruota e di aver fatto quel che poteva al cospetto delle più forti. In certi sguardi sembra commossa e forse lo è davvero.

Prima del via, i meccanici al lavoro sulla sua bici di scorta
Prima del via, i meccanici al lavoro sulla sua bici di scorta

Il progetto crono

Parlando di lei, Paolo Sangalli ha detto che la bergamasca ha sposato il progetto crono e lo sta portando avanti. Da questo partiamo.

«Mi è sempre piaciuta questa specialità – dice Fidanza – sono stata campionessa italiana juniores, poi negli anni non mi è mai stata data l’opportunità di lavorare su una prova che richiede sicuramente tempo, una preparazione specifica e anche dei mezzi su cui lavorare. Quest’anno ho cambiato preparatore e avendo Marco Pinotti all’inizio dell’anno gli ho detto che avrei voluto lavorarci per provare a migliorare. La strada è lunga, quest’oggi non avevo ambizioni se non esprimere una buona potenza media personale, in linea con la preparazione che ho avuto quest’anno, calcolando anche che sono ripartita dall’infortunio dell’anno scorso».

Fidanza ha concluso la crono al 23° posto, punto di partenza nel suo cammino di crescita
Fidanza ha concluso la crono al 23° posto, punto di partenza nel suo cammino di crescita

Agosto 2021: il dramma

Il tono cambia. Il 2 agosto del 2021 la frattura della rotula la costrinse a chiudere la stagione. Mentre il mondo ripartiva a tutto gas dopo il Covid, lei fu costretta all’immobilità.

«Un anno fa – mormora con la voce che inciampa nell’emozione – non potevo neanche camminare e essere qua quest’oggi per me è quasi una rinascita e comunque mentalmente è confortante. Mi dà ancora più forza e posso dire di essere ritornata in una prova molto importante. Ho fatto due mesi senza nessuna attività sportiva. Ero sul divano e non potevo muovermi. L’anno scorso guardai i mondiali alla televisione, mentre facevo riabilitazione e provavo a muovere il ginocchio. E’ stato difficile perché sono ripartita da zero. Mi ricordo che riuscivo a malapena a fare un’ora in bici e non riuscivo a spingere. Devo ringraziare le persone che mi sono state vicine e anche il duro lavoro che ho fatto quest’inverno. Ci ho messo davvero tutta me stessa perché volevo tornare». 

Il ritorno in alto

Sembrava che la sfortuna si fosse accanita contro di lei. Perché una volta tornata in gruppo, un’altra caduta l’aveva fatta finire sull’asfalto alla Danilith Nokere Koerse, con una testata sull’asfalto da cui la salvò soltanto il casco.

«Voglio tornare ai miei livelli – racconta ancora – e comunque provare a dare una svolta a quella che è la mia carriera. Ringrazio davvero la nazionale che ha creduto in me (in apertura Arianna è con Marco Velo, tecnico delle crono, ndr), perché questo mondiale è un punto di ripartenza. E’ comunque una buona esperienza. Ringrazio anche  Marco Pinotti, che davvero mi ha seguito tutto l’anno con molta pazienza. Con lui mi trovo molto bene, è molto preciso e tiene molto anche alla comunicazione che abbiamo. Per me è fondamentale, è un punto di riferimento. E’ una persona sempre molto chiara e diretta. Ci crede, mi dà sicurezze, è molto diretto e sincero».