Disordini alimentari: anche Aru ha qualcosa da dire

05.03.2021
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I disordini alimentari fra i corridori ci sono e sono ancora molto diffusi: Aru interviene nel dibattito e lo conferma. Oggi è a casa (ieri per chi legge). Il suo programma di allenamento prevede che ogni 10 giorni, in base ai blocchi di lavoro, ce ne sia uno senza bici. E allora Fabio si dedica a Ginevra, che in sottofondo reclama il suo spazio, e trova il tempo per la chiacchierata che lui per primo aveva suscitato dopo aver letto l’intervista a Cimolai, avendo riconosciuto un personaggio di cui il friulano aveva parlato, pur senza farne il nome. Se i nomi venissero fuori, ci viene da pensare, forse le cose cambierebbero.

«Tanti atleti sono stati rovinati da certe figure che continuo a vedere in giro – dice – sono il prodotto di una vecchia mentalità italiana. Vengono a dirti che devi sempre avere fame. Che il rapporto watt/chilo è l’unica cosa che conti. E io dico: va bene tenere il peso sotto controllo, ma serve una sana alimentazione. Puoi anche pesare 55 chili, ma se non spingi, cosa te ne fai?».

Fabio Aru coglie la seconda vittoria al Giro di Val d’Aosta 2012, poi va tra i pro’
Passa pro’ nel 2012 dopo il secondo Val d’Aosta
Parli per esperienza personale?

Io ora mangio bene e nessuno mi dice che l’unica cosa da guardare sia il peso. A livello internazionale è una mentalità davvero superata. Può capitare che in gara si pesino i cibi con la bilancia, ma soprattutto per integrare nelle giuste quantità. Io mi gestivo così l’anno scorso e non è male, ma deve essere fatto con criterio e con la supervisione di un nutrizionista. Invece tanti hanno creato una vera e propria psicosi, che si aggiunge allo stress dei corridori che è notevole.

Di chi stiamo parlando?

Anche di direttori sportivi soprattutto italiani, perché nelle squadre degli altri Paesi hanno imparato che ognuno ha le sue competenze e a quelle deve attenersi. Ho letto in una vostra intervista di personaggi che fanno battute ricorrenti…

Tiratissimo al Tour del 2017. Vince una tappa, resiste sui Pirenei e paga sulle Alpi
Tiratissimo al Tour del 2017. Vince una tappa, resiste sui Pirenei e paga sulle Alpi
Se ne parlava con il dottor De Grandi, vero.

E’ un fenomeno diffuso, che mi ha sempre dato un fastidio atroce. «Guarda che culo che hai!». E ammetto di aver passato un periodo in cui mi facevo condizionare tanto da questa cosa.

Sin dagli under 23?

Tanti hanno parlato di Locatelli in relazione a questi comportamenti, ma con me non ha mai detto nulla in questo senso. Nel mio caso è legato piuttosto agli anni da pro’.

E’ anche vero che tu a Locatelli hai sempre tenuto testa. Altri ragazzi con minore personalità in quella squadra hanno avuto i loro problemi.

Questo è vero. Sono cose che esistono e tante volte sei giovane e non rispondi per paura di sembrare maleducato. E intanto quel pensiero ti condiziona. Mangi meno, vai a ricercare il limite e non ti accorgi che neanche integri quello che consumi. Diventa un pensiero fisso. Vuoi andare sempre più forte e ti fai mille paranoie, mentre questa gente continua a martellare.

Al Giro del 2018 le cose non vanno bene
Al Giro del 2018 le cose non vanno bene
Inutile pesare 55 chili se poi non spingi…

Certo, perché vedi che sei magro, ma non ti accorgi ad esempio che i valori di cortisolo e testosterone vanno a picco. E quando lo capisci, magari è tardi. E’ un tema veramente delicato. C’è tanta gente che ha smesso di correre e ne ha sofferto psicologicamente.

Ne vedi ancora intorno a te?

Mi capita spesso di inquadrarne alcuni, ma è un argomento troppo delicato per parlarci. Quando l’ho passato anche io, ho avuto bisogno di capirlo da me. Oppure serve qualcuno che ti faccia ragionare. Sai che succede se viene a parlarti un altro corridore?

Ho quasi paura di chiedertelo…

Tu sei lì che ti fai il problema per ogni cosa che mangi, convinto di aver trovato il segreto per andare più forte. Viene un collega che ti dice di non farlo e invece di ringraziarlo pensi che voglia fregarti. Che non voglia farti raggiungere il tuo obiettivo. Che voglia danneggiarti. Siamo colleghi, ma la legge è mors tua, vita mea. Il contratto devi firmarlo tu, mica lui…

Al Tour del 2020 ha ottimi valori, si ritira dopo un lutto familiare
Al Tour del 2020 ha ottimi valori, si ritira dopo un lutto familiare
E’ un quadro inquietante, lo sai?

Per questo sono contento di essere qui al Team Qhubeka-Assos e semmai di rivolgermi a un nutrizionista. E’ chiaro che se devi perdere peso, devi passare per un deficit calorico, ma devi stare attento a non perdere il muscolo. Non devi convivere con la fame. Per questo serve avere un piano alimentare e serve gente competente. E’ sbagliato se in certe cose si immischiano i direttori sportivi oppure i medici che non hanno quel tipo di specializzazione. Non è il loro lavoro.

Quello che dice Brajkovic è emblematico di certe ingerenze…

Ho corso con lui, so di cosa parla. E anche quando ho letto l’intervista di Cimolai, che parla di persone che ti guardano nel piatto, ho capito subito di chi parlava. E mi dispiace davvero tanto dover discutere di certe cose ancora nel 2021.

E’ ancora peggio se lo fa un tecnico o un medico.

Ti guardano e ti dicono: sali sulla bilancia. Guardano il peso e ti dicono che sei grasso. E io dico: fammi una plicometria, che ne sai da cosa è composto quel peso? Oppure ci sono quelli che ti chiedono quanto pesavi da under 23 e ti domandano perché adesso hai dei chili in più. Come se a 20 anni la costituzione fisica di un uomo fosse la stessa di quando ne ha 28. E’ ignoranza bella e buona. Ed è anche terrorismo psicologico. Sai cosa diceva un tale con cui ho lavorato?

Rieccoci…

Bisogna allenarsi poco, per mangiare poco ed essere magri. Senza considerare che le gare sono tiratissime e serve energia in più. Se riguardo qualche vecchia foto, ce ne sono alcune in cui sono magrissimo, ma neanche spingevo. E allora cosa te ne fai?

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22.02.2021
5 min
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Si può spostare il fuoco dai corridori all’ambiente delle squadre, parlando dei disordini alimentari? Le parole di Brajkovic sul dottore dell’Astana che avrebbe raccontato al diesse della United Heathcare della sua bulimia risuonano ancora nella testa. Così siamo andati da un altro dottore, Michele De Grandi, medico della Uae Team Emirates.

«Ci rendiamo conto che il problema esiste – inizia – fra i corridori e fra chiunque pratichi uno sport in cui il rapporto fra potenza e peso sia determinante, come appunto il ciclismo. Nei casi di atleti di altissimo livello, sono problematiche superate e gestite, altrimenti probabilmente non arriverebbero i risultati. Nei giovani invece si vede abbastanza, anche per l’influenza degli allenatori nelle prime fasi. Perché ce ne sono certi abbastanza… esagerati, che spingono in modo totalmente illogico a perdere peso, proponendo allenamenti di un certo tipo e poi arrivando alla privazione calorica. Magari è vero che l’atleta in questione dovrebbe perdere peso, ma non così».

L’intervista a Brajkovic della scorsa settimana ha fatto pensare al clima che si vive nelle squadre
Le parole di Brajkovic denunciano la poca privacy nelle squadre
Come si fa a capire, se l’atleta non viene a parlarvi?

E’ una caccia al tesoro, perché c’è la negazione e spesso la mancata presa di coscienza. L’atleta che ha questi problemi è convinto che avere un chilo in meno migliori la prestazione, senza capire che magari proprio per quello spinge 50 watt in meno. E’ un po’ come l’anoressia nelle ragazze, c’è un’immagine prestativa distorta. Il corridore non te ne parla perché non se ne rende conto o perché è convinto della sua scelta. E’ un ginepraio, perché magari parliamo di un atleta che ha avuto un calo e lo attribuisce all’eccesso di peso, anche se non c’entra.

Esiste un modo per capirlo, a parte la deduzione?

Visitandoli, vedi la struttura fisica (in apertura, foto Reverbia, ndr), l’indice di massa magra. Vedi il tipo di comportamento a tavola e nel recupero, oppure il tipo di attenzione che hanno con l’approccio calorico. Abbiamo medici e nutrizionisti, se emerge qualcosa, si riesce ad arginarlo per tempo. Magari in categorie che non hanno questi mezzi, è tutto più difficile.

Cimolai ha parlato di personaggi che nel professionismo hanno l’abitudine di fissare i corridori mentre mangiano
Cimolai ha parlato di chi sorveglia i corridori a tavola
Pensi che nelle squadre si sbagli qualcosa nel riferirsi al peso degli atleti?

Qualche battuta fuori luogo può capitare, ma di solito diventa dannosa dove c’è un substrato in cui certi argomenti possono attaccare. Mi è capitato in passato che ci fossero linee rigide che, come ogni forma di proibizionismo, non hanno portato frutti. Direttive a tappeto uguali per tutti, comportamenti rigidi che hanno ottenuto l’effetto opposto, perché i corridori sono arrivati al punto che non ne potevano più.

Di quali comportamenti parliamo?

Immaginate i corridori a tavola, magari durante una corsa a tappe. E qualcuno che si metteva dietro al tavolo a guardare cosa mangiassero con le braccia conserte e un atteggiamento ansiogeno. In un grande Giro, il momento della cena appartiene ai corridori, è un momento conviviale in cui possono sfogarsi, al limite anche parlando male dello staff. Se gli stai dietro, diventi una presenza constante che li controlla. E questa cosa dal punto di vista delle serenità è stata sicuramente deleteria.

Brajkovic ha raccontato di una sua confidenza messa in piazza: di certo nel mondo del ciclismo si parla tanto…

Secondo me in tutti gli ambiti sportivi ci sono un po’ di ignoranza di fondo e la cattiva gestione della privacy. Per questo si fa resistenza a parlare di certe cose, perché ci si sente stigmatizzati. In più il ciclismo per il suo passato ha rispetto ad altri sport la propensione per l’omertà. Si parla di questi aspetti con grande vergogna, usando perifrasi, perché vengono visti come una debolezza. C’è poca apertura.

Ma alla fine sempre di uomini si tratta e a forza di tirare la corda, poi magari si scopre che un atleta fortissimo come Dumoulin appende la bici al chiodo a 30 anni.

Fanno una vita difficile, ben più che se praticassero uno sport di squadra, in cui puoi prendere casa vicino allo stadio o al palazzo dello sport e organizzarti anche un sostegno, una routine. Questi sono ragazzi che stanno per mesi in altura, poi si spostano di continuo. Lontani dalle famiglie. E’ uno sport che richiede tanti sacrifici e c’è poco tempo per digerire problemi come questi, che vengono fuori di botto e producono cedimenti.

Gli atleti di alto livello vengono monitorati
Gli atleti di alto livello vengono monitorati
Nella sua squadra ci sono mai stati casi di disordini alimentari?

Qualcuno al limite c’è stato, ma niente di rilevante. C’è stata attenzione puntuale, nel porsi in maniera corretta nel segno della privacy. Abbiamo individuato una persona sola che parlasse con l’atleta. Se hai un problema e viene da te il dottore, allora magari lo ascolti. Se invece arrivano anche due direttori sportivi, allora magari mi sento preso un po’ in giro e mi girano le scatole. E in questi casi comunque la gestione oculata ha fatto rientrare il campanello di allarme.

Pensa che l’ambiente possa condizionare certe… cadute?

Mi è capitato con alcune squadre femminili, ragazze sotto i 20 anni, con allenatori dell’Est. Le sottoponevano ad allenamenti massacranti e la sera davano loro insalata e bistecca. Zero carboidrati. Facendo così rischi di bruciarti la stagione. Forse erano tecnici provenienti da certi tipi di retaggi passati, che consentivano di uscire dal selciato compensando in altro modo.

Così facendo rischi di bruciare ben più che la stagione…

Ci sono tecnici in Italia che guidano le squadre con delle vere vessazioni psicologiche. Evidentemente parliamo di persone che hanno il pelo sullo stomaco e si disinteressano dei ragazzi, perché se cadono nell’anoressia, sono rovinati per la vita. Magari poi trovano un talento ogni tot corridori e passano per scopritori di campioni, eticamente però la cosa lascia a desiderare. Gli eccessi sono sbagliati. L’anno scorso siamo andati a Sestriere prima del Tour, con il nostro cuoco che cucina benissimo ed era in contatto con il nutrizionista. I corridori facevano il loro lavoro e a tavola si regolavano in base all’esperienza. Lasciate stare che poi alla fine abbiamo vinto il Tour, ma di sicuro un approccio meno rigido spesso funziona più di quel proibizionismo senza eccezioni.

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19.02.2021
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L’intervista di ieri a Brajkovic non poteva cadere nel silenzio, soprattutto perché alcuni passaggi del discorso sui suoi disordini alimentari facevano pensare a una elaborazione passata attraverso vari stadi, con il ciclismo come sfondo. Impossibile andare forte a quel modo, senza un briciolo di serenità e senza cibo in corpo. Forse il caso dello sloveno è un estremo, ma se davvero il problema dei disordini alimentari è così diffuso soprattutto fra i giovani, quanti buttano via una promettente carriera, distratti da simili pensieri?

Per questo e per dare un seguito alle parole di Laura Martinelli, ci siamo rivolti a Manuella Crini, psicologa piemontese non nuova al ciclismo, e le abbiamo chiesto di rileggere per noi le parole di Brajkovic.

Che cosa ha pensato leggendo quelle parole?

E’ una bella confessione, ha tirato fuori un mondo sommerso. Si vede anche la mancanza di fiducia nel mondo del ciclismo in cui ha vissuto. Soprattutto il passaggio del medico e del direttore sportivo. Io ti porto un problema, oppure sei tu a scoprirlo e lo fai diventare di pubblico dominio? E’ sbagliato. E’ giusto che il problema coinvolga il team, ma con altri modi.

Wiggins rifiutò di correre altri Tour dopo il 2012 per non dover sottostare agli stessi sacrifici
Basta Tour per Wiggins dopo il 2012, basta con quei sacrifici
Che cosa vuole dire nel passaggio sul fare uscire quanta più energia da sé, per rendere controllabili le emozioni?

E’ uno scenario che dice tantissimo. La necessità di non far vedere le emozioni. A se stesso soprattutto. Tante volte viene confusa l’emozione con il suo correlato fisiologico e le si attribuisce un senso diverso, come la fame. Quando c’è un vuoto emotivo molto grande. Penso abbia lavorato molto per arrivare a capire queste cose di se stesso. Ma è proprio così, il cibo, il peso… sono secondari. Sono un aspetto collaterale. E’ preponderante la gestione della parte pulsionale ed emotiva.

E’ un argomento spinoso…

Spinoso e delicato e per fortuna non ci cadono tutti. La bulimia è un mondo a sé. L’anoressico vive di restrizioni, il bulimico ha momenti in cui perde davvero il controllo. Ovviamente nello sport non hai il caso del bulimico obeso, ma ad esempio li vedi chiedere ogni giorno il massimo a se stessi, in bici come in palestra. Il meccanismo di fondo è sempre lo stesso: la necessità di controllare qualcosa nella tua vita. E lo sport di sicuro accentua una predisposizione.

Brajkovic dice che in realtà che lo sport non è mai stato un problema.

Lo sport è il modo di aggirare il problema. Sai che brucerai tante calorie e di fatto andare in bici è come vomitare, quindi non mi sentirei di dire che lo sport non è mai stato un problema. Lo sport, per le sostanze che va a produrre nel nostro organismo è come una droga. Può attivare i meccanismi che danno al soggetto con questo tipo di problemi, un senso di benessere fisico e psicologico.

Che cosa significa che lo sport accentua una predisposizione?

E’ come mettere un soggetto con problemi di alcolismo in un bar. Diventare professionista comporta sicuramente delle pressioni e la pressione quando è troppa, da qualche parte la devi sfogare.

Prima ha parlato anche di anoressia.

Su cui però farei chiarezza. Non basta un periodo breve di restrizione alimentare per provocarla, ma certo nello sport è un rischio molto presente. Anche questo è un fatto di controllo, il riuscire a perdere peso. Per l’anoressico non esiste il ragionamento “mi danneggio non mangiando”. Per questo è bello l’invito di Brajkovic: mangiate per andare forte, non per perdere peso. Se ci cadi, finisci in ospedale. Il team non basta. Soprattutto se nel team sei portato a mentire perché non ti senti accolto. Ha detto cose molto profonde, che potrebbero aprire la porta ad altre interviste di questo tipo. Mi fa pensare alla depressione post partum…

Brajkovic ha corso alla United Healthcare nel 2015
Brajkovic ha corso alla United Healthcare nel 2015
Prego?

Stai facendo il tuo sport, la cosa più bella, come avere un bambino per la donna. Dovresti essere felice, invece hai un problema e non puoi parlarne perché vieni stigmatizzato. Bisogna lavorare sulla persona per aprire le porte che normalmente si tengono chiuse.

Alcuni corridori ci hanno detto che per fronteggiare certi problemi si ricorre a sostanze o all’alcol. Le risulta?

L’anoressico comunque ricorre ad attivatori ed eccitanti, la cocaina ad esempio facilita la perdita di peso. Poi ci sono le droghe che stimolano la fame chimica. E gli alcolici a basso contenuto calorico. La Tennents è la birra di chi ha questi problemi. Ha poche calorie e comunque 9 gradi, senza essere un superalcolico. E a margine di tutto, non dimentichiamo che a livello sociale, lo sport maschera. Il muscolo nasconde l’anoressia. Da qualche parte nei giorni scorsi avete scritto, gambe da superman e braccia come grissini…

Che cosa voleva dire prima con aprire le porte che normalmente si tengono chiuse?

Se altri atleti decidessero di fare coming out su questo aspetto, le squadre farebbero più fatica a puntare il dito. Dovrebbero puntarne troppi. E se si è riusciti a regolamentare il mondo delle modelle, magari si riesce anche a venirne a capo nello sport. Complicato però il ciclismo…

Una presa di coscienza a livello generale sarebbe davvero auspicabile, perché il dito non venga puntato soltanto sugli atleti. Insomma, il viaggio deve continuare e anche il riferimento alla cocaina ha riacceso ricordi e innescato riflessioni. In fondo, tirando tutti nella stessa direzione, si potrebbe lavorare per fare del ciclismo un ambiente più sano.

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Disordini alimentari: intervista a Brajkovic

Disordini alimentari: intervista a Brajkovic

18.02.2021
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Janez Brajkovic arrivò nel ciclismo con le stimmate del campione. Iridato della crono U23 nel 2004 a Bardolino, lo sloveno si lasciò dietro Dekker e Nibali. Scalatore fortissimo, le statistiche lo davano alto 1,77 per 60 chili. Di lui si accorse Bruyneel che lo portò con sé alla Discovery Channel poi all’Astana e da lì alla Radio Shack. Quando il gruppo americano si sciolse, Jani tornò all’Astana, alla United Healthcare, al Team Bahrain e poi alla Adria Mobil.

Il 6 agosto del 2019, da poco rientrato da una squalifica per doping, pubblicò un post nel suo sito dal titolo “Scheletri nell’armadio”. Un testo durissimo, sui suoi difficili problemi con il cibo. Ma oltre alla sua fragilità, quel testo esprime l’amara consapevolezza (da parte sua) che il mondo del professionismo sia affetto da gravi disordini alimentari. Anche fra coloro che conquistano i podi dei grandi Giri.

Fino al 2020 Brajkovic è stato tesserato con la continental Adria Mobil. La sua ultima corsa è stata il Giro del Friuli, chiuso all’ottavo posto in classifica generale. Noi di bici.PRO siamo voluti andare oltre quel testo e a Brajkovic ci siamo rivolti, in questo viaggio nei disordini alimentari del gruppo iniziato da un’intervista a Laura Martinelli. Un percorso costruttivo che coinvolge tutti, ma soprattutto dovrebbe portare una diversa consapevolezza negli atleti e in chi li… maneggia con troppa disinvoltura.

Nel 2007, Brajkovic vince il Tour of Georgia
Nel 2007, Brajkovic vince il Tour of Georgia
Perché a un certo punto hai sentito il bisogno di parlare della tua situazione?

Mi sono accorto che qualcosa non andava nella mia testa quando ho fallito ai campionati nazionali nel 2019. Una settimana prima ero capace di fare 6,2 watt/kg per 35 minuti dopo 4 ore di bici e 2.500 m di dislivello, mentre il giorno della gara non ero riuscito a mantenere 5,5 watt/kg per 20 minuti. Dovevo sistemare questa cosa, dovevo dire la verità, tutta la verità.

Quando ti hanno detto per la prima volta che per andare più veloce dovevi essere magro?

Non ho mai avuto problemi di peso, la bulimia per me non era perdere peso. Si trattava di far uscire abbastanza energia da me, in modo che le mie emozioni fossero sempre più piccole… Così piccole da poterle trattenere dentro di me, senza esprimerle.

Allora perché pensi che i tuoi insuccessi siano stati in qualche modo legati all’alimentazione?

Ho sempre pensato che la bulimia stesse rovinando la mia carriera, perché comunque ho studiato e sapevo cosa significasse. Sapevo cosa provoca nel corpo, in che modo influisce sulle prestazioni e quale sarebbe stato lo scenario peggiore… Scenario che in alcuni momenti della mia vita ho davvero creduto mi avrebbe portato alla morte

Nel 2008 arriva 2° al Lombardia, ma non sa che davanti Cunego ha già vinto
Nel 2008 arriva 2° al Lombardia, davanti Cunego ha già vinto
Credi che l’ambiente delle squadre, le battute e le pressioni dei manager ti abbiano spinto verso questo problema?

Nel mio caso no, ma per alcuni corridori ne ho la certezza.

Alcuni corridori hanno detto di parlare spesso di questi argomenti, ma di non avere il coraggio di affrontarli con i capi dei team: cosa ne pensi?

Ne parlano fino a un certo punto. Non parlerebbero quasi mai di bulimia o anoressia. In quelle condizioni, una persona prova così tanta vergogna, che fa di tutto per nasconderlo.

E’ possibile che nelle squadre in cui hai corso nessuno abbia notato nulla?

Certo che l’hanno capito. E una volta che te ne rendi conto, non puoi più essere onesto. Smetti di parlare con loro in modo rilassato. Alla fine, sapevo che stavo mentendo. All’Astana, un medico si avvicinò e cercò di parlare della mia bulimia. Ovviamente dissi che stavo bene e non c’era niente che non andasse. Non ero pronto per affrontarlo. Perché? Perché sapevo che se avessi detto di avere un problema, un minuto dopo l’intera squadra avrebbe saputo cosa stava succedendo… e non potevo gestirlo. Ma è successo comunque, il dottore lo disse a tutti.

Come fai a saperlo?

Alla fine della stagione firmai con il team United Healthcare. Al primo ritiro, un tecnico italiano mi chiese se avessi la bulimia, come gli aveva detto quel medico dell’Astana. Non c’è fiducia o riservatezza nel ciclismo. Finché questo andrà avanti, i disturbi alimentari e i problemi di salute mentale rimarranno argomenti tabù

Perché c’è vergogna nel parlarne?

Perché sai che stai facendo qualcosa di brutto, qualcosa di innaturale, in un certo senso stai barando… Pensi di avere il controllo, ma in effetti è il cibo che controlla te. La soluzione è molto semplice: semplicemente non mangiare, ma non puoi fermarti. E in questo modo continui a tradire te stesso ogni giorno, più volte al giorno…

Nel 2017 corre con il Team Bahrain, qui ad Abu Dhabi
Nel 2017 corre con il Team Bahrain
Ti sei mai sentito debole in corsa per questo problema? Pensi che i tuoi risultati ne siano stati condizionati?

Sì, in ogni corsa che abbia fatto dal 2005 al 2020, con l’eccezione del Castilla Leon 2006, del Tour de France 2012 e il Delfinato del 2010 (ad eccezione del prologo).

Hai mai pensato che la sola soluzione per uscirne fosse smettere di correre?

Mai, correre e andare in bici non erano un problema. Il problema era molto più profondo… il mio passato, la mia infanzia.

Hai scritto di molti corridori con lo stesso problema: hai parlato con loro oppure li riconosci dai comportamenti?

Molti, uomini e donne. Corridori che non avevo incontrato mai prima. Per loro è un sollievo incredibile poter parlare con qualcuno che capisce, non giudica, si limita ad ascoltare. Questo è il motivo per cui non mi fermo, ne parlerò finché non diventerà accettabile, finché se ne potrà discutere. Finché le cose non saranno fatte bene e i corridori saranno in grado di ottenere aiuto all’interno delle squadre

Credi che il tuo carattere e i tuoi comportamenti siano stati condizionati?

La bulimia era solo un sintomo, non il problema principale. Ma sì, il mio comportamento era molto diverso da quello che è adesso.

Pensi che la tua carriera ne sia stata condizionata?

Sì.

Brajkovic cade davvero molto spesso, qui al Polonia 2014
Cade davvero molto spesso, qui al Polonia 2014
Credi che la gente dall’esterno si renda conto di cosa significhi oggi vivere come un ciclista professionista?

Più o meno, ma non del tutto.

Pensi di averla superata?

Credo di stare meglio, non penso mai al cibo, non penso più che devo vomitare. Mangio in modo sano, ma ora il cibo non è più il centro della mia vita.

C’è un consiglio che vorresti dare ai giovani corridori sul tema dell’alimentazione?

Mangiate per andare forte, non per perdere peso. Non ascoltate ogni idiota che pensa di sapere tutto sulla nutrizione. Io sono sempre qui per parlarvi e anche se non avrò sempre una risposta, vi ascolterò. Essere ascoltati, significa già molto.

C’è un consiglio che vorresti dare ai direttori sportivi sull’alimentazione dei loro atleti?

Non sapete quasi niente. Sapete molto poco di psicologia e di come parlare ai corridori. Restate nella vostra corsia, siate gentili e non feriteli. Ascoltateli.

Jani, cosa fai oggi?

Da alcuni anni mi occupo di preparazione, ho sempre avuto parecchie conoscenze, ma non ero abbastanza sicuro di condividerle con gli altri. Ora lo sono. E i risultati sono visibili con i miei atleti. Stanno migliorando velocemente, sono più felici. Sto anche lavorando a un progetto a Dubai, con giovani corridori degli Emirati Arabi Uniti. Avevo un grande desiderio e ce l’ho ancora: correre un’altra stagione. Perché sarebbe la prima stagione in cui sarei completamente in salute e sono sicuro che potrei ottenere molto. Non grandi vittorie, sono realista, ma di sicuro qualche piazzamento tra i primi dieci. Purtroppo le squadre non sono rimaste colpite da quello che ho proposto…

Per vedere un sorriso di Brajkovic occorre tornare al 2006, quando vestì la maglia di leader alla Vuelta
Per vedere un sorriso occorre tornare al 2006, quando vestì la maglia di leader alla Vuelta
Cosa hai proposto?

Aiutare i corridori con problemi mentali e disturbi alimentari. Ho visto i risultati in prima persona, lavorando l’anno scorso con un corridore del WorldTour che voleva tornare a casa da un grande Giro nella prima settimana e poi nella terza andava in salita con i migliori 8 della classifica. I nostri limiti sono prevalentemente mentali, non fisiologici.

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16.02.2021
4 min
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«Oggi ho parlato con Laura – dice Marino Rosti – quello dei disordini alimentari è un argomento che rientra nelle mie competenze. Ma questa è una roba… brutta. La prima cosa che dicono: “Io non ho problemi”».

Laura Martinelli lo ha detto chiaramente: ad accorgersi che il corridore potrebbe avere disordini alimentari sono coloro che hanno il maggior contatto fisico: il preparatore e il direttore sportivo. Marino Rosti non è l’uno né l’altro, però nei suoi anni alla Liquigas e poi al team Bahrain-McLaren, era colui che, in sintonia con il preparatore Slongo, curava le sedute di ginnastica a corpo libero e di allungamento. Avendo anche un master in Psicologia dello Sport, gli è capitato spesso di notare comportamenti insoliti da parte di alcuni suoi atleti. Ma non ci sta a focalizzare tutto su di loro, come invece fa comodo in questi casi.

«Discende tutto dall’esasperazione – dice – dalla ricerca del massimo e dalla necessità di dare l’immagine dell’atleta sempre tirato. Accade in tutti gli sport e come in tutti gli sport, l’alimentazione è fondamentale. Se non mangi il giusto, non vai avanti. Bisognerebbe trovare le persone giuste, il nutrizionista capace di guidarti. E non lasciare che, soprattutto i giovani, vadano su internet e facciano le cose in modo sbagliato. Soprattutto perché, non ottenendo risultati all’altezza dei sacrifici, cosa fanno? Continuano con la privazione. E allora ti accorgi che anche un semplice gelato diventa il frutto proibito. Ecco fate caso ai corridori che davanti al gelato fanno un passo indietro…».

Qual è il confine fra magrezza sana e ossessione?
Qual è il confine fra magrezza sana e ossessione?
La letteratura del ciclismo è ricca di direttori sportivi che chiedono ai gelatai di segnalargli l’arrivo dei corridori.

Certo, perché a un certo punto lo fanno di nascosto e subito dopo li coglie il senso di colpa. Ma vi assicuro che è un regime insostenibile, dopo un po’ sbotti.

Quanto è diffuso nei team questo problema?

Ne ho conosciuti tanti che mangiavano e poi si mettevano il dito in gola. Solo che i campioni vengono seguiti, il problema colpisce soprattutto i giovani e quelli che sono in cerca di una dimensione. Conta l’immagine, come per le modelle. Alcune sono magre naturalmente, le altre non mangiano. Il corridore deve essere magrissimo. Braccia come grissini e gambe da superman.

Secondo Davide Cimolai il tema è molto discusso fra corridori, come ne parla lo staff del team?

Se ne parla tanto, come tanto si parla della necessità di avere il peso a posto, ma in modo sbagliato. Le parole dette a mezza bocca, le battute, il dire continuamente che sono grossi. A un soggetto debole questo martellamento fa effetto. Così arriva alla privazione e in men che non si dica diventa una malattia. I disordini alimentari non nascono a caso. Ne ho conosciuti. Quelli che si sentono a disagio per questi temi sono già una bella fetta. Alcuni lo superano. Ho conosciuto corridori robusti che se ne fregavano.

L’ossessione della magrezza attacca i giovani e gli scalatori
L’ossessione della magrezza attacca giovani e scalatori
Le parole dette a mezza bocca, le battute…

Il dire a qualcuno che deve essere magro è deleterio, semmai digli che deve essere forte. E’ come quando inizi la salita e dicono al corridore: «Non ti staccare». Che cosa metti nella sua testa? Che è destinato a staccarsi, che non ci credi. Allora digli: «Stai davanti e controlla», andrà certamente meglio. E se pensi che debba dimagrire, visto che parliamo di professionisti al massimo livello, mettigli accanto un esperto, non chiedergli di fare da sé. Il martellamento non funziona, soprattutto perché una volta lo sportivo era più forte dal punto di vista caratteriale, oggi i giovani sono mediamente più fragili e di conseguenza a rischio in situazioni che possono diventare patologiche e diventano di competenza di un medico, spesso lo psichiatra.

Il Team Ineos ne ha uno in organico.

Non uno qualunque, è Steve Peters, l’autore del “Paradosso dello Scimpanzè”. La sua tesi è che in ognuno di noi convivano l’umano e lo scimpanzè e lo sforzo quotidiano deve essere quello di tenere a bada l’istinto, mantenendo sempre l’autrocontrollo. L’appetito è fra gli istinti da controllare? Quando andavamo sul Teide, già dai primi tempi, erano sempre per i fatti loro, non salutavano, lo sguardo basso, a tavola non li sentivi. Tanto che noi facevamo quasi apposta a salutarli, abbracciarli, per capire a che punto arrivassero. Ora pare che un po’ anche loro stiano cambiando.

Indurre l’eccesso in soggetti già magri è una pratica a rischio
Rischioso indurre l’eccesso in soggetti già magri
Da cosa ti accorgi che un atleta ha disordini alimentari?

Hanno mille fissazioni, diventano quasi maniacali. Suscettibili sui dettagli. Sono i primi segnali del disagio, se hai l’occhio attento, lo sai cogliere. A tavola, prima mangiano e poi vanno in bagno. Hanno sempre una mela in mano, si guardano intorno. Carezzano spesso la gamba controllando che si veda la vena. In corsa non prendono il rifornimento, perché si fanno bastare la barretta. Il corpo manifesta quello che hai dentro.

Come si aiutano?

Con una persona all’interno che gli dia una mano, oppure cercando fuori un punto di riferimento. Anche loro si rendono conto di non andar bene, ma non sempre riescono a reagire in modo razionale.

Disordini alimentari, interviene Cimolai

15.02.2021
3 min
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Fra chi ha letto interessato e chi ha commentato che si tratta solo di banalità, in calce all’intervista con Laura Martinelli sui disordini alimentari è spuntato il “mi piace” di Cimolai, professionista dal 2010 e attualmente alla Israel Start-Up Nation. La cosa non è passata inosservata, per cui il primo passo è stato mandargli un messaggio chiedendogli il perché di quel giudizio, cui Davide ha risposto quasi immediatamente.

« Perché a mio avviso – ha scritto – tanti ragazzi soprattutto giovani vivono male il problema alimentazione. Purtroppo la “vecchia generazione” insegna ancora metodologie a mio avviso sbagliate».

Frank e Andy Schleck, entrambi magrissimi. Anche Andy ha smesso di colpo come Dumoulin
Frank Schleck esempio di magrezza estrema

Il mito leggerezza

Il passo successivo è stato chiedergli di parlarne e anche questa volta “Cimo” ha acconsentito.

«Il problema non è nato ieri – dice – l’ho vissuto io 12 anni fa quando sono passato. Basta guardarsi intorno, come vanno ancora le cose. Se chi ti guida ha la mentalità vecchia, se dopo cinque ore di allenamento ti danno una mela o un frutto, capisci che qualcosa non va? Così passi professionista e pensi che essere leggero sia l’unica cosa che conta, mentre magari quel chilo in più è la differenza tra andare forte e smettere di correre. Io l’ho imparato a mie spese».

Perché succede?

Ci sono due aspetti da scindere. Avrei preferito trovare sulla mia strada qualcuno che mi insegnasse a mangiare bene. Se non avessi capito da me, avrei davvero smesso di correre. Nelle squadre servirebbe qualcuno in grado di spiegarlo ai neopro’. All’estero ormai certe figure le trovi anche nelle categorie giovanili, in Italia c’è ancora troppa incompetenza. E poi c’è l’altro lato.

Che sarebbe?

Adesso come adesso, avere uno in squadra che si mette dietro di te a tavola a controllare quello che mangi, uno che non fa il nutrizionista, mi starebbe sulle scatole. Chi sei per dirmi certe cose? Ma questo succede prevalentemente in ambito italiano.

Capisci bene che se parli di un neopro’, è dura che possa gestirla da sé…

Devi avere carattere e la fortuna di ascoltare tanto i compagni più esperti. Se un giovane mi chiedesse di queste cose, io sarei ben contento di aiutarlo. Sapete che cosa davvero mi scoccia di questi ragazzi che arrivano e nemmeno ti guardano? Più ancora del poco rispetto in corsa, proprio il fatto che pensino di sapere tutto.

Fra corridori si parla dei disordini alimentari?

Sono l’argomento più importante. C’è stato chi per questo ha smesso di correre e per fortuna ce ne sono altri che hanno buttato via gli anni migliori, ma almeno si sono ripresi e sono ancora in gruppo. Uno era con me, un bel talento, e ci ha messo sei anni per tornare in sé. Un altro è passato con risultati eccezionali sulle spalle e a 19 anni già era al punto che non si concedeva nemmeno una pizza, ma dopo 4-5 anni si è messo a posto. Il discorso è: chi te lo dà tanto tempo?

Eneco Tour 2010, Cimolai è al primo anno da professionista
Eneco Tour 2010, Cimolai neoprofessionista
Hai detto che anche tu hai avuto disordini di questo tipo?

Ho buttato via 2-3 anni di carriera, i primi da professionista, poi ho cominciato ad emergere.

Ci sono squadre che hanno messo la magrezza estrema alla base di tutto.

E magari i risultati gli danno ragione. Spremono così tanto i corridori, che quando cambiano squadra, poi non vanno avanti.

Quando ricominci a correre?

Dovevo partire dalla Spagna, ma hanno cancellato. Per cui debutto nel weekend del 27-27 febbraio, con la  Royal Bernard Drome Classic e poi  Faun-Ardèche Classic, entrambe in Francia. E poi speriamo che a marzo si possa andare avanti normalmente.

Disordini alimentari, male oscuro di cui nessuno parla

11.02.2021
5 min
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I disordini alimentari. I corridori non ne parlano, soprattutto per paura di mostrarsi deboli agli occhi dei team manager e di non essere confermati. In questo quadro di ciclismo estremizzato, la pressione sugli atleti è spasmodica. Allenamenti monitorati. Spostamenti da dichiarare. Social cui rendere conto. Interviste. Il peso forma che non ti concede scampo. Quel numerino infernale che esprime il rapporto fra potenza e peso è l’asticella di una gara che si rinnova ogni giorno. Se più di tanto non si possono aumentare i watt, la convinzione che diminuendo i chili tutto andrà meglio rischia di diventare patologica e in parecchi casi lo è già. Per questo si smette di correre e tanti lo hanno fatto. Forse quando un pezzo da 90 come Dumoulin parcheggia la bici, dovremmo chiederci se non sia stato piuttosto il contesto a spingerlo.

I corridori a tavola hanno spesso dei bei problemi, soprattutto i più fragili: la pasta è un monte da scavalcare. In questo viaggio nell’argomento, ci siamo affidati a Laura Martinelli, nutrizionista del team Novo Nordisk, che per l’ennesima volta ha avuto la pazienza di ascoltarci e ci ha fornito argomenti estremamente interessanti.

Clement Chevrier ha smesso di correre, ha raccontato di aver sofferto di anoressia
Chevrier ha raccontato di aver sofferto di anoressia
Ci conferma che il problema dei disordini alimentari c’è davvero?

Purtroppo sì. In letteratura è sempre più legato alla sfera femminile, ma è presente anche in ambito maschile. Fra gli sport più soggetti, c’è sicuramente il ciclismo per il discorso già fatto sul rapporto fra potenza e peso. Poi gli sport con suddivisione in base a categorie di peso e gli sport estetici.

Perché non se ne parla?

Perché spesso una delle soluzioni è smettere di correre.

Esiste un regime alimentare minimo per un ciclista professionista?

Certo che esiste, ma non credo sia quello il focus. Se parliamo di apporto calorico minimo, quello c’è. Ciò che fa la differenza è la durata di certi regimi alimentari. Le scorte di grasso sono preziose risorse di energia. Se calo l’apporto calorico per un periodo breve, gestendo la situazione, non accade nulla di compromettente. Se invece la cosa si prolunga, avvengono cambiamenti nel metabolismo basale che si riduce. Mangio sempre uguale, ma l’organismo consuma meno e allora mangio meno, cadendo nell’anoressia. Altrimenti un’altra forma di compensazione è il vomito. E allora si parla di bulimia.

I corridori più fragili hanno un rapporto conflittuale con l’alimentazione, soprattutto con la pasta
Tanti corridori hanno un rapporto conflittuale con l’alimentazione
A chi capita di incorrere nei disordini alimentari?

La fascia più a rischio è quella dei giovani, che sono più suscettibili alle informazioni fuorvianti. E gli scalatori, per cui la leggerezza è un imperativo.

Parlando con alcuni corridori che non hanno voluto essere citati, la sensazione è che il problema sia più urgente nelle squadre piccole.

Forse perché c’è una certa ignoranza di base. Più scendi di categoria, più ti ritrovi con figure professionali che ricoprono più ruoli. Il manager, il direttore sportivo, il nutrizionista…

Lo stesso per uomini e donne?

Anche qui, le giovani sono sempre le più esposte. Spesso queste mancanze derivano dall’insicurezza e da un deficit di autostima. Gli atleti più esperti riescono a gestirsi meglio. E poi il passare degli anni rallenta il metabolismo e rende certi passaggi meno delicati.

Nei team si riesce ad affrontare il problema?

Soltanto se c’è buona collaborazione. Il professionista che in un team può accorgersi di queste cose è colui che è a più stretto contatto con l’atleta, quindi il preparatore o il direttore sportivo, che fisicamente rileva il problema. Una volta che lo si è individuato, va affrontato con il medico e lo psicologo o lo psichiatra esterno al team.

Brajkovic è sempre stato magrissimo e ha parlato della sua bulimia
Brajkovic, sempre magrissimo, ha raccontato della sua bulimia
Perché esterno?

Perché i team non hanno simili figure. Si trova uno specialista che viva vicino casa dell’atleta e si avvia un cammino di recupero.

Pisicologo o psichiatra?

Entrambi, ma dipende dalla storia della malattia. Perché di malattia si tratta.

Qual è la percentuale di riuscita?

Sembra brutto dirlo perché in ambito scientifico andrebbe valutata la possibilità di recupero, ma di solito l’insorgenza di simili problemi comporta la fine dell’attività.

Visto che il problema è così grave, nei team si fa attività di formazione sul tema?

Sì, ma dal nostro punto di vista, quindi con un approccio legato all’attività nutrizionale. Diciamo che si adotta una metodica preventiva. Se non si procede con la giusta periodizzazione, si crea un processo ossessivo che poi non si recupera. E’ qualcosa che si fa soprattutto nei ritiri e soprattutto con i giovani. Per fortuna sul tema c’è una sensibilità crescente. Dieci anni fa nel gruppo eravamo in due, oggi ogni squadra ha un nutrizionista di riferimento.

Gambe scavate pubblicate su Instagram, così come la foto di apertura
Gambe pubblicate su Instagram, come la foto di apertura
In una recente intervista, Moscon che corre alla Ineos ci ha detto: «E’ cambiato molto sul piano dell’alimentazione, dove si era arrivati a livelli un po’ ossessivi. Tra corridori ci si spinge spesso al limite e si arriva al punto quasi di patire la fame ». 

Meno male! Sono in contatto con il collega di Ineos e la sensazione che si fossero spinti un po’ all’estremo si aveva. Sembra brutto dirlo, ma al di là dell’aspetto etico, in certi ambienti la facilità di ricambio dei corridori rende la questione meno urgente. Se invece hai un solo leader e pochi altri atleti di vertice, sei anche spinto a tutelarli di più.

Perché non se ne parla?

Forse perché è una situazione sottostimata e tuttora non compresa. E’ un rischio per il ciclismo, perché fa perdere talenti buoni. Nella fase di passaggio al professionismo, ci sono delle fragilità che non andrebbero sottovalutate. Poi da grande, una volta che sei entrato nel sistema, capisci come gestirti e ti salvi. Ma se ci cadi…

Se ci cadi?

Se ci cadi e continui a correre, non ne esci più