Quando il focus diventa il peso e non la vittoria

01.12.2021
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«L’atleta in generale, è sempre in perenne insicurezza. Convive con la paura di non raggiungere il peso e la forma fisica. E anche se li raggiunge, non si accontenta e cerca ancora di fare un sacrificio o uno sforzo in più».

Erica Lombardi, dietista di molte punte del ciclismo italiano, sia uomini che donne ed ex atleta mezzofondista, non fa alcuna distinzione tra l’attitudine dei ciclisti e degli atleti in genere, e si definisce particolarmente sensibile al problema dei disturbi del comportamento alimentare.

«Ovviamente nel ciclismo – continua Erica – in quanto sport di endurance, è più facile ritrovarsi in situazioni riconducibili ai disturbi del comportamento alimentare, ma credo che sia un problema ancor più sentito in sport suddivisi in categorie di peso o nella danza per esempio. Negli anni ho imparato a cogliere anche i primi campanelli d’allarme abbastanza facilmente, ascoltando l’atleta ed osservando piccoli dettagli come il suo comportamento a tavola, la sua postura ed altri tratti antropometrici».

Brajkovic ha ammesso i suoi problemi. I comportamenti anomali erano visibili, ma nessuno è intervenuto
Brajkovic ha ammesso i suoi problemi. I comportamenti anomali erano visibili, ma nessuno è intervenuto

Oltre il limite

La settimana scorsa, Slongo ci ha spiegato che spesso gli atleti giocano sul limite, rischiando di oltrepassarlo da un momento all’altro, ma cosa significa a livello alimentare e cosa succede effettivamente?

«L’atleta è sempre sotto esame – prosegue Lombardi – e vuole avere il controllo su tutto, ma a volte si estremizza con l’iper-controllo. Il cibo potrebbe non essere più una necessità ma qualcosa da reprimere. Il problema è che siamo programmati per reagire allo stress con dei meccanismi di sopravvivenza che in principio potrebbero non comportare un calo prestativo per cui sembrano confermare la nostra convinzione. Stimolati dagli apparenti aspetti positivi, continueremmo con queste condotte restrittive errate, finché si potrebbe arrivare a dare più importanza alla fisionomia e al peso piuttosto che alla prestazione. L’importante ed unico vero focus per l’atleta con questi disturbi è spesso apparire magro, non più vincere.

«A questo punto bisogna intervenire collaborando in equipe, con psicologo, medico e nutrizionista, per ripristinare i normali livelli ormonali nell’atleta, recuperare una buona costituzione e resistenza fisica e migliorare il rapporto col cibo e con la propria immagine.  Dal punto di vista alimentare, sono fasi molto delicate perché la reintroduzione degli alimenti se effettuata in tempi e modalità sbagliate, potrebbe causare la cosiddetta sindrome della rialimentazione, davvero pericolosa anche dal punto di vista clinico».

«Se dopo cinque ore di allenamento ti danno una mela o un frutto, capisci che qualcosa non va»: così Cimolai sulle cattive abitudini
«Se dopo cinque ore di allenamento ti danno una mela, qualcosa non va»: così Cimolai sulle cattive abitudini

Cattive abitudini

Non esiste però solamente il problema dell’anoressia, si può soffrire anche di bulimia con o senza compensazione, o di binge eating disorder, che comporta delle grosse abbuffate principalmente in solitudine e in poco tempo.

«Io non ho avuto una casistica così grande di disordini alimentari – spiega Erica – soprattutto tra i professionisti, ma tendono a svilupparsi in realtà più piccole e non solamente sotto forma di anoressia. E’ fastidioso e sconsigliabile allenarsi per ore con lo stomaco vuoto così come partire troppo pieni. Gli atleti a un certo punto non riescono più a resistere. Il controllo eccessivo è difficile da sopportare, così capita che magari durante l’allenamento si fermano al bar e mangiano con foga 6-8 brioches, oppure capita spesso che si svegliano di notte, quando predomina la parte inconscia sulla ragione e si “attaccano” al vasetto di cioccolata o marmellata piuttosto che al pacchetto di biscotti.

«Esistono comunque diverse sfumature di questi disturbi per cui spesso non si può parlare di disturbi cronici, ma al più di forme acute, magari volte al raggiungimento di un obiettivo. Sono sempre da evitare e prevenire, ma sicuramente meno preoccupanti.»

Ilaria Cusinato, atleta di punta del nuoto, nel 2020 ha ammesso di essere uscita finalmente dalla bulimia
Ilara Cusinato, atleta di punta del nuoto, nel 2020 ha ammesso di essere uscita dalla bulimia

Le circostanze e l’ambiente

Abbiamo visto che spesso è l’atleta a oltrepassare il limite, ma non bisogna sottovalutare anche l’influenza dell’ambiente a lui vicino.

«Le figure che si preoccupano di qualsiasi cosa – annota Erica – tra cui la nutrizione, potrebbero non riuscire a dare indicazioni specifiche e personalizzate, inoltre nella comunicazione potrebbero usare termini non appropriati influenzando l’approccio alla dieta e al peso dell’atleta. A volte basta, infatti, cambiare l’ordine delle parole, o solamente una parola, per ottenere una reazione diversa.  Oggi, ci sono sempre più team che cercano di creare uno staff completo e molto specializzato, anche al femminile, per cui ognuno si impegna a rispettare il proprio ruolo e quello degli altri collaboratori, evitando qualsiasi commento non affine alla propria materia. È così che si possono raggiungere grandi risultati».

Educazione fra i giovani

Erica negli ultimi anni ha collaborato anche in progetti educativi in squadre giovanili e sottolinea l’importanza della famiglia.

«L’educazione nelle squadre giovanili è senz’altro utile, ma dovrebbe coinvolgere anche la famiglia, perché spesso è la mamma che cucina e permette così al figlio di seguire una corretta dieta. Alcuni atleti subiscono eccessive pressioni dai genitori o dai direttori sportivi sul peso durante lo sviluppo. Altre volte l’errore potrebbe essere anche del nutrizionista. Per assecondare le richieste del paziente o per promettere risultati rapidi, potrebbe consigliare diete non perfettamente bilanciate, efficaci, ma pericolose se prolungate nel tempo. Trascurando così l’importanza di insegnare un vero e proprio stile di vita per tutelare la salute del giovane. Dobbiamo ricordarci sempre che l’atleta è comunque un paziente, e come tale, bisogna prima di tutto tutelarne la salute».

Affinché gli atleti giungano ben formati al professionismo è utile formarli negli juniores e anche in famiglia
Affinché gli atleti giungano ben formati al professionismo è utile formarli da juniores e in famiglia

Facciamo un passo in più

L’ottimismo di Erica lancia con speranza un ulteriore invito al miglioramento nella gestione delle categorie giovanili e dei ritiri in nazionale.

«Sempre più squadre cercano il supporto di nutrizionisti – conclude – anche nel femminile, dove effettivamente tende ad esserci più necessità di intervento in quanto c’è un maggior pericolo di interferire con il delicato e complesso equilibrio ormonale. Credo che l’ideale sia impostare un programma di educazione alimentare a livello giovanile che coinvolga anche la famiglia. E avere al seguito del team nazionale un nutrizionista già dai ritiri, perché è quello il momento in cui gli atleti sono più ricettivi e in cui si può provare a variare qualcosa per ottimizzare la dieta».

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20.11.2021
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«Nella mia carriera di preparatore ho visto il ciclismo cambiare drasticamente. Si va sempre più all’esasperata ricerca del miglior rapporto Watt/Kg, che porta l’atleta ad essere maniacale. Sbagliare quando si è al limite è un attimo»

Abbiamo ascoltato le testimonianze di diversi professionisti e professioniste a proposito dei disturbi del comportamento alimentare e delle difficoltà che hanno dovuto superare al riguardo. Ora, iniziamo a vedere la problematica dal punto di vista della squadra con Paolo Slongo, preparatore di team professionisti, per anni al fianco di Nibali, nonché tecnico della nazionale femminile juniores nei primi anni del 2000 (in apertura Anna Zugno, iridata juniores nel 2002, fotografata ai mondiali di Varese) e attualmente preparatore della Trek-Segafredo

Dopo aver guidato la nazionale delle donne junior, Slongo è approdato al professionismo con la Liquigas
Dopo aver guidato le donne junior, Slongo è approdato al professionismo con la Liquigas

Pressioni crescenti o atleti più deboli?

Abbiamo visto diversi corridori scendere dalla bicicletta, chi per un periodo sabbatico, chi definitivamente, nonostante fossero ancora nel pieno della loro carriera. Considerati gli emergenti problemi con l’alimentazione, abbiamo chiesto a Paolo se trovasse a tutto ciò una possibile spiegazione. 

«Non credo che i corridori siano sottoposti a pressioni maggiori – dice – né ho avuto esperienze dirette con casi così gravi. Ma gli atleti ora raggiungono il top della forma per uno specifico appuntamento, quindi il livello delle gare si è alzato molto. Se un campione è all’80 per cento della condizione ottimale, non riesce più a vincere come 10 anni fa, quindi anche i dettagli fanno la differenza. I ciclisti lo sanno e per questo sono sempre più pignoli sul peso e negli allenamenti». 

L’evoluzione del ciclista

«Una volta si pedalava e si mangiava. Ora per limare ulteriormente peso, gli atleti fanno allenamenti mirati anche al dimagrimento e alla definizione della parte superiore del corpo, e questo influisce così sulla percentuale di grasso totale. Ho visto tante trasformazioni, quella di Wiggins ad esempio, che confermano l’importanza del peso in questo sport. Dal rapporto Watt/Kg non si scappa, la differenza tra i primi tre è spesso di 10 Watt, che in salita si traducono in circa un chilo, ma per la salute dell’atleta, non bisogna oltrepassare il limite».

Bisogna ricordare, tuttavia, che l’estrema ricerca della perfezione e il controllo maniacale del peso sono alcuni dei campanelli d’allarme proprio per i disturbi alimentari, che spesso sono nascosti e negati dagli atleti che ne soffrono. In casa Astana, Paolo ha lavorato con Aru e Brajkovic, che hanno raccontato di avere vissuto con l’ossessione del peso durante la loro carriera.

Janez Brajkovic ha raccontato di aver sofferto di pesanti disturbi alimentari
Janez Brajkovic ha raccontato di aver sofferto di pesanti disturbi alimentari

«Ho sempre collaborato col dottor Magni prima e con varie nutrizioniste successivamente, bilanciando le diete dei corridori a seconda dei periodi e degli obiettivi. Non ho mai percepito particolari disagi da parte dei miei atleti a riguardo. Nessuno esagerava negli allenamenti per compensare, né ha mai detto di subire determinate situazioni a tavola. Ricordo solo che durante un ritiro al Teide avevo mandato una mail al team per segnalare che il peso di Brajkovic era fin troppo basso. Lui è sempre stato un autodidatta, sia per gli allenamenti che per l’alimentazione, ma probabilmente il limite per la sua salute era già stato superato. In lui era scattato qualcosa per cui negava il problema e a quel punto è stato difficile aiutarlo».

Pressioni e commenti 

«Spesso è l’atleta che da solo si pone il problema del peso in modo ossessivo e, per ignoranza o cattiva informazione, gestisce male la sua dieta. Io ho lavorato sempre in equipe col dottore, cercando di analizzare le performance in modo più obiettivo possibile. Puoi dire a un atleta professionista che gli manca un chilo al peso forma con cui l’anno precedente ha vinto, sulla base dei dati reali e senza generare frustrazione. Invece è sbagliato pretendere che un atleta perda peso a prescindere dalle sue caratteristiche fisiche e dall’andamento storico del suo peso». 

Donne e fai da te

Dalla recente esperienza al fianco della Trek al Giro Rosa, Paolo ha notato con piacere che anche i team femminili ora si stanno affidando a figure sempre più professionali e le atlete, come i colleghi maschili, sono molto più attente al peso rispetto ad anni fa.

Soraya Paladin ha raccontato di recente in che modo sia cambiato il suo rapporto con il cibo
Soraya Paladin ha raccontato di recente in che modo sia cambiato il suo rapporto con il cibo

«Anche le donne sono più magre rispetto a una volta. Il problema credo esista, anche se non ho mai avuto esperienze dirette. Le donne sono più sensibili e psicologicamente subiscono di più questo esasperato controllo del peso. Inoltre c’è quella deformazione culturale per cui la donna deve essere per forza magra e longilinea. D’altra parte per essere competitiva devi adeguarti a come fanno le avversarie, ma restando alla soglia tra la salute e l’ottimizzazione della performance. Non si può sbagliare né essere approssimativi con il fai da te».

La soluzione

Infine la domanda d’obbligo, perché se c’è un problema bisogna cercare di risolverlo e non nasconderlo. Paolo ci ha offerto un punto di vista differente, forse meno focalizzato sull’oramai esasperato ciclismo giovanile, ma ugualmente valido e che dovrebbe far riflettere soprattutto i genitori.

«Sono realista – dice – e non si può chiedere ai team giovanili di impegnarsi ulteriormente fornendo anche la figura del nutrizionista. Per evitare la mala informazione, in particolare dal web, si dovrebbe agire a livello scolastico, perché l’educazione alimentare non serve solo agli atleti. Con la dieta si prevengono tante malattie, le cui cure impattano molto sulle tasche dello Stato. Iniziare da juniores con il nutrizionista ed il preparatore è ancor più esasperante. Bisogna ritornare a far divertire i ragazzi in bici e trattarli come professionisti solo quando lo diventano effettivamente».

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13.11.2021
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«Nel tempo il mio rapporto col cibo è cambiato molto. Anni fa durante i ritiri in altura, ricordo che facevamo distanze a digiuno e al ritorno mangiavamo un’insalata, mentre alcune ragazze anche solo un frutto. Ci hanno sempre detto che per dimagrire bisogna togliere i carboidrati».

E’ un’altra maglia azzurra a parlare: Soraya Paladin, classe 93’, che negli ultimi anni è riuscita a distinguersi in gare importantissime ed ha rappresentato l’Italia alle Olimpiadi di Tokyo. Le vincenti carriere delle azzurre del ciclismo italiano hanno celato per anni grosse lacune in materia di nutrizione, che hanno costretto le nostre atlete a superare grossi ostacoli per potersi giocare la maglia azzurra. Soraya è cresciuta senza un’educazione alimentare e confessa che ora, pur capendo l’importanza dei carboidrati, fatica ad accettarli.

«Dal 2019 – racconta – con l’aiuto del nutrizionista che collaborava col preparatore del mio team, al tempo correvo per l’Alé Cipollini, ho capito che per avere energia avevo bisogno dei carboidrati. Tuttavia, mi rendo conto che ancora adesso alcune volte diffido dal suo consiglio. Temo di ingrassare mangiando tutti i carboidrati che ho nella dieta. Essendo cresciuta con questa convinzione, seppur segua le sue indicazioni, mi accorgo che ho difficoltà nel mangiare il carboidrato senza avere rimorsi».

Come tanti corridori, anche Soraya Paladin aveva la credenza sballata che i carboidrati facciano solo ingrassare
Come tanti corridori, anche Soraya Paladin aveva la credenza sballata che i carboidrati facciano solo ingrassare

Dal digiuno al ristorante

Quando si parla di disturbi alimentari, non bisogna stupirsi se un atleta migliora o peggiora tanto in poco tempo. Al passaggio tra le elite, Soraya aveva preso un anno sabbatico dal ciclismo, proprio per il carico di stress a causa degli eccessivi sacrifici della vita dell’atleta-studente. Ritornata col numero sulla schiena, senza alcun consiglio nutrizionale professionale, per anni ha trascurato la dieta. La svolta è arrivata proprio dal 2019.

«Sono sempre stata una buona forchetta – sorride – e mi è sempre piaciuto mangiare. Dovendo però mantenere il peso più basso possibile, credevo di dover rinunciare a quasi tutto, come facevano le altre. La svolta è stata il consiglio del nutrizionista nel 2019 e il confronto con le atlete straniere. Ho imparato ad accettare ed apprezzare il carboidrato e ho capito che potevo concedermi molto di più, anche piatti sfiziosi. Ho preso l’abitudine, qualche volta all’anno, di mangiare in ristoranti di qualità (foto di apertura tratta dal suo profilo Instagram, ndr). E’ davvero appagante. E’ un piacere assaporare le prelibatezze dei menù e il giorno dopo non ho alcun senso di colpa».

Soraya Paladin ha iniziato a lavorare con un nutrizionista nel 2019 quando era alla Alé Cycling
Soraya Paladin ha iniziato a lavorare con un nutrizionista nel 2019 quando era alla Alé Cycling

Mangiare con consapevolezza

Nell’intervista di qualche settimana fa, Elisabetta Borgia ci aveva parlato del mindful eating, una pratica molto efficace nella rieducazione alimentare in soggetti anoressici o bulimici e non solo. Concentrandosi sul qui ed ora, questa tecnica insegna al soggetto a mangiare con consapevolezza. Ad ascoltare il senso di fame e sazietà. Ad assaporare il cibo, concentrandosi sull’identificazione dei gusti, degli aromi e delle consistenze, riuscendo così a trarre piacere anche da piccole quantità. Un allenamento che può fare ciascuno di noi e che porta a rivalutare il proprio rapporto col cibo. Soraya, seppur ignara di tutto ciò, grazie ai suoi incontri e alla ricerca di piatti di qualità al ristorante ha fatto un percorso simile e ce l’ha riassunto con semplicità in una frase.

«Vedo che molti ciclisti, sia maschi che femmine, si allenano per mangiare. Anche io una volta lo facevo e mi sentivo in colpa se mangiavo un po’ di più. Spesso, quando segui una dieta troppo restrittiva o digiuni, arrivi al punto che non ce la fai più. Mangi qualsiasi cosa in quantità,  poi ti senti in colpa. In quei casi il cibo è uno sfogo. Ora, invece, provo davvero piacere nel degustare i piatti. Perché mi rendo conto che sono sazia e gratificata con le giuste quantità, senza inutili abbuffate».

Dopo le Olimpiadi di Tokyo, Soraya Paladin è stata azzurra agli europei di Trento
Dopo le Olimpiadi di Tokyo, Soraya Paladin è stata azzurra agli europei di Trento

A dieta con piatti sfiziosi

Soraya ci ha anche raccontato che ha imparato a concedersi il piacere di mangiare quotidianamente, mettendosi alla prova in cucina, così da scegliere il cibo più sano per le sue ricette sfiziose. Effettivamente, non c’è motivo per privarsi di una buona pasta al ragù o col pesce, siano sarde o vongole. O una vellutata di zucca coi crostini di pane, soprattutto dopo le fredde pedalate d’inverno. Se si segue lo standard della dieta mediterranea, rispettando le frequenze degli alimenti che troviamo nella piramide ed adattiamo le porzioni al fabbisogno energetico, riusciamo a concederci diversi piatti della tradizione. E recuperiamo il piacere del mangiare e della convivialità a tavola.

«Tanti ancora credono – sorride – che si debba per forza mangiare pasta in bianco e petto di pollo. Io che amo mangiare, non sopporterei mai tutto ciò. E’ anche inutile, perché ho imparato col nutrizionista, che ci sono diverse ricette sfiziose che rispettano i canoni per il bilanciamento della dieta. Oltre a vari primi, mi piace anche preparare delle torte, che poi mangio in allenamento al posto delle barrette. Quelle altrimenti mi annoiano e comunque non mi soddisfano».

Giro d’Italia Donne 2021, Soraya con la madre Carmen, il padre Lucio e il cane Blue
Giro d’Italia Donne 2021, Soraya con la madre Carmen, il padre Lucio e il cane Blue

Confronto e consapevolezza

Soraya ha una sorella di nome Asja, anche lei ciclista fino allo scorso anno, ma completamente diversa fisicamente.

«Asja è la classica scalatrice – dice – mangia per due e non mette su un etto. Io sono l’opposto e quando eravamo più giovani entrambe subivamo il confronto. Per i motivi opposti, ognuna invidiava l’altra. Io non sopportavo di ingrassare mangiando come lei. Asja invece, nonostante gli sforzi, non riusciva invece a mettere su massa. Con gli anni abbiamo imparato ad accettarci per come siamo e ad adattare la nostra dieta al nostro fisico. Bisogna stare bene con se stessi prima di pretendere una performance di livello».

La passione per le torte viene da lontano. Qui quella del primo anno, pubblicata su Instagram per festeggiare i 28
La passione per le torte viene da lontano. Qui quella del primo anno, pubblicata su Instagram per festeggiare i 28

Educazione alimentare

Infine, abbiamo chiesto a Soraya che cosa consiglierebbe per aiutare il movimento a colmare queste lacune.

«Il problema – dice – è che manca un’educazione alimentare nelle categorie giovanili. In Italia, alle junior difficilmente viene data una barretta per allenamento. All’estero invece contano quello che mangi e, se non hai usato tutte le barrette che avresti dovuto, il giorno dopo ne devi mangiare una in più. La Fci ha inserito la figura dello psicologo in nazionale. Sinceramente sono stupita dal fatto che ancora non abbia pensato ad introdurre quella del nutrizionista (il coinvolgimento è allo studio, ndr). Queste figure sono le uniche che possono davvero aiutarti se ti seguono costantemente. La dieta deve essere adattata ai vari cambiamenti del fisico e ai diversi carichi di allenamento. Per i professionisti invece l’ideale sarebbe il cuoco-nutrizionista, così si riuscirebbe a mangiare qualcosa di appagante e adatto alla dieta anche alle gare».

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«La teoria italiana»: esperienza e consigli di Marta Bastianelli

02.11.2021
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«Inutile girarci intorno – dice Marta Bastianelli – è una teoria italiana quella secondo cui bisogna sentirsi in colpa, dopo le vacanze per uno o due chili in più, o se per costituzione non si è longilinee come le altre».

Col suo solito tono brillante, decisa, grazie agli anni di esperienza, la laziale del G.S Fiamme Azzurre, in due parole riassume quella credenza che sta consumando fisicamente e mentalmente la primavera ciclistica italiana.

«Il rapporto Watt/Kg è fondamentale – spiega – però ogni corridore ha il suo peso ideale, che prescinde dalla sua fisionomia. Io sin da piccola sono sempre stata piuttosto robusta, ma ho imparato che perdere troppo peso non mi rende più forte. Inutile confrontarsi con le altre. Io se perdo troppo non sono più né carne né pesce. La maggior parte dei risultati importanti sono arrivati grazie alla mia potenza e non alla magrezza».

Proprio in questi giorni Marta è in ferie a Santo Domingo, ricaricando le batterie (foto Instagram)
Proprio in questi giorni Marta è in ferie a Santo Domingo, ricaricando le batterie (foto Instagram)

Dal nutrizionista

Marta ci racconta che sebbene in passato si sia già fatta aiutare per gestire il peso, ora con Erica Lombardi è ripartita dall’ABC dell’alimentazione, ottenendo ottimi risultati.

«Avendo iniziato a lavorare sulla mia dieta molto tardi nella stagione, Erica mi ha aiutata adeguando la dieta al mio fisico e alla mia attività, perché con l’età il corpo cambia. E seppure le indicazioni generali siano uguali, ci sono altri dettagli che è bene curare. Mi ha guidata anche nella scelta degli alimenti a me più adatti. Alcuni li ha tolti, altri ne ha inseriti. Non pensavo che avessero così tanta influenza sul mio benessere fisico».

Le vacanze, l’inverno e l’effetto yo-yo

Dopo stagioni sempre più estenuanti e ricche di appuntamenti, la vacanza di fine stagione diventa un sogno, che non deve essere rovinato dalla paura di ingrassare.

«La dieta è un po’ come l’allenamento – spiega Marta che proprio in questi giorni sta trascorrendo le sospirate ferie – un impegno quotidiano che costa sacrificio. Quando si va in vacanza non bisogna pensarci. Essendo seguita dalla nutrizionista, ora sono anche più tranquilla. Perché so che al ritorno quando mi rimetterò al lavoro per la prossima stagione, non avrò problemi a buttar giù quel chilo o due in più».

Durante l’inverno, il trucco sta proprio nel limitare l’incremento di peso a quel paio di chili, senza esasperazione, evitando cioè che la dieta comporti un sacrificio mentale eccessivo e uno stress inutile al corpo che comunque deve rigenerarsi.

Marta Bastianelli si fa seguire per la preparazione da Pino Toni (foto Francesco Lasca)
Marta Bastianelli si fa seguire per la preparazione da Pino Toni (foto Francesco Lasca)

Tuttavia, molti atleti tendono a guadagnare parecchi chili in inverno che poi non perdono fino a metà stagione. Oppure fino ai ritiri, quando con diete estreme ritornano al loro peso ideale, ma bisogna stare attenti. Rapide o ripetute variazioni di peso consistenti, possono alterare il corretto funzionamento metabolico.

Generalmente a favorire il rapido aumento di peso, sono diete troppo restrittive che né il corpo né la mente riescono a sopportare. La successiva perdita di peso sarà ogni volta più difficile e si tende a ridurre ulteriormente l’apporto calorico della dieta, determinando cosi la perdita di muscolo, in quanto in assenza di nutrienti il corpo attiva il catabolismo, meccanismo alternativo di emergenza, con cui riesce a trarre energia. 

Il difficile passaggio al professionismo

Il passaggio al professionismo che nelle donne avviene subito dopo la categoria junior, a 18 anni, è un momento molto delicato per le atlete. Oltre agli impegni scolastici, in pochi mesi si ritrovano a dover affrontare gare di quasi il doppio del chilometraggio. In questo delicato passaggio, Marta, come altre ragazze, ha avuto difficoltà nella gestione del peso, che l’hanno anche costretta ad affrontare problemi gravi a poco più di 20 anni.

Per sua stessa ammissione, i suoi primi anni da elite furono difficili da gestire sul piano dell’alimentazione
Per sua stessa ammissione, i suoi primi anni da elite furono difficili da gestire sul piano dell’alimentazione

«I primi anni da professionista, volevo fare qualcosa in più, così mi sono messa in testa il peso. Sentivo che dovevo sempre dimagrire e non mi offendevo se mi dicevano che ero un chilo di troppo, perché io già lo sapevo. Per 2 o 3 anni da under 23, se non ero anoressica, ci è mancato davvero poco. In inverno a tavola non riuscivo a controllarmi e prendevo rapidamente diversi chili, che in un modo o nell’altro perdevo poi in stagione. Ho pagato questi errori per anni, sentivo che il mio fisico si comportava in maniera diversa. Non perdevo più peso come prima e per molto tempo sono rimasta senza ciclo mestruale». 

Il consiglio

Se nel professionismo nutrizionisti e cuochi sono sempre più frequenti anche nel femminile, come abbiamo visto nell’intervista ad Elena Cecchini, nella categoria giovanile, quella più predisposta a sviluppare problemi di tipo alimentare, i ragazzi sono ancora lasciati a se stessi. A tal proposito, Marta confessa di essere abbastanza scettica sull’efficacia della semplice informazione che si potrebbe fare nelle squadre giovanili.

Nel 2018 per Bastianelli arriva il titolo europeo a Glasgow: il biennio 2018-19 è ancora il suo periodo migliore
Nel 2018 arriva il titolo europeo a Glasgow: il biennio 2018-19 è ancora il suo periodo migliore

«L’ho vissuto in prima persona – spiega – e se penso al futuro, credo che non sarò mai magra come vorrei essere. E’ qualcosa che si è predisposti a pensare e di cui non si capiscono le conseguenze, finché non si sbatte la testa. Per questo sarebbe opportuno che le squadre prevedessero nello staff dei nutrizionisti, o comunque si predispongano ad una collaborazione.

«Solo una figura qualificata può aiutare veramente chi ha difficoltà nella gestione del peso, inoltre una dieta adeguata migliora anche lo sviluppo fisico e la performance. Nel professionismo, invece, si dovrebbe valutare l’aggiunta del cuoco a seguito perché è un grande vantaggio. Spesso negli hotel all’estero, non si trovano che schifezze. E siamo costrette a mangiare il meno peggio per limitare i danni».

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Interviene Dalia Muccioli: la testa vince sempre

19.10.2021
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Questo pezzo segna un ampliamento della collaborazione di Dalia Muccioli con bici.PRO oltre l’aspetto delle video interviste, nelle quali ha iniziato a sperimentarsi sin dal Giro d’Italia Donne. Qui si parla della sua esperienza come atleta legata all’alimentazione, guarda caso dopo aver letto un pezzo scritto da Rossella Ratto, di cui è stata anche compagna di nazionale (foto di apertura).

Leggendo l’intervista di Rossella Ratto con Elisabetta Borgia, psicologa e mental coach, riguardante lo stress mentale collegato alle pressioni sull’alimentazione, inevitabilmente mi sono tornati in mente alcuni episodi degli scorsi anni, quando ero ancora un’atleta. Sicuramente un tasto dolente per molti ragazzi e ragazze che praticano sport ad alto livello.

Molte volte ci convinciamo che pesare meno significhi andare più forte e di conseguenza ottenere un risultato migliore nella competizione. In parte può essere vero, perché è inutile negare che il peso dell’atleta possa influenzare la prestazione finale. Ma bisogna anche ammettere che c’è un filo sottilissimo che delinea proprio quel limite: quello dell’anoressia o della bulimia.

Elena Cecchini conquista il titolo italiano nel giorno di cui parla Dalia Muccioli in questo pezzo
Elena Cecchini conquista il titolo italiano nel giorno di cui parla Dalia Muccioli in questo pezzo

Personalmente amo follemente mangiare e probabilmente questo è stata da sempre la mia fortuna. Non ho mai sofferto di disturbi alimentari, ma al tempo stesso posso ammettere che il peso sia stato un pensiero costante durante la mia carriera. Ero quasi “ossessionata” dal raggiungere quel numero sulla bilancia. Era come se nella mia testa si fosse innescato un meccanismo per cui solo così, con quel peso e con quella forma fisica, potessi andare forte sulla bicicletta.

Quel giorno a Varese

Ritorno al 2013, di preciso al 23 giugno. Quel giorno vinsi il campionato Italiano su strada donne elite a Rancio Valcuvia, vicino Varese. Vinsi con il cuore, con le gambe, ma soprattutto con la testa! 

Proprio quel giorno Dalia partì convinta e consapevole di poter vincere. Già dai giorni prima studiava, pensava a un modo per sorprendere le sue avversarie e cosi fu. 

Riuscii così a portare a casa quella bellissima maglia tricolore, in una giornata emozionante a dir poco. Avevo appena vent’anni, un bene o un male? Giovane promettente, nella mia testa tanto caos!

Gli anni seguenti continuai ad ottenere buoni risultati, ma non riuscivo a rispettare le mie aspettative e così ogni volta perdevo un pochino di fiducia in me stessa. Come detto sopra, il peso era un pensiero fisso nella mia vita.  

E quel giorno a Superga

Nel 2015, arrivai alla vigilia del campionato Italiano con l’arrivo sul Colle di Superga con 2 chili in più rispetto al peso forma

Così mi convinsi che seppur potesse essere un arrivo adatto alle mie caratteristiche, quel giorno non avrei mai potuto vincere.

Decisi in accordo con il team di anticipare la salita finale con un attacco da lontano, pensando ovviamente che la fuga sarebbe stata ripresa prima dell’inizio del Superga. Centrando la fuga giusta, arrivammo all’attacco dell’ascesa con 40” di vantaggio, ma nella mia testa era impensabile poter vincere con quel peso.

Decisi ugualmente di provarci fino in fondo e arrivai terza al traguardo assieme ad Elisa Longo Borghini, con vittoria finale di una grande Elena Cecchini, con la maglia delle Fiamme Azzurre, in fuga con me dall’inizio della corsa.

Sul podio di Superga, alle spalle della friulana sale Elisa Longo Borghini. Terza Dalia Muccioli
Sul podio di Superga, alle spalle della friulana sale Elisa Longo Borghini. Terza Dalia Muccioli

Due chili di troppo

Già dai giorni precedenti avevo pensato a una soluzione per rimediare ai quei dannati chili in più, ma ormai era troppo tardi: non c’era più nulla da fare. Così la mia testa si convinse che ero lì per partecipare, per fare il mio lavoro come gregaria e niente di più

Partii in parte arrabbiata con me stessa. Venivo da mesi in cui avevo anche altri pensieri per la testa e probabilmente in quel periodo ero stata un pochino distratta sul fronte dell’alimentazione e ne pagai le conseguenze. Pensieri, stress mentale, pressioni che mi auto imponevo sicuramente non aiutarono ad avere un’ottima forma fisica e mentale .

Quei 2 chili in più mi sembravano 10. Se ci penso ora mi sembra assurdo, ma a volte la testa quando parte per la “tangente” è irrecuperabile in alcune occasioni!

Dopo l’arrivo

Dopo l’arrivo provai un mix di emozioni: felicità mista ad arrabbiatura e delusione. Ho sempre pensato che se fossi partita più decisa e con una mentalità diversa, quel giorno magari avrei potuto giocarmela diversamente

Molte volte da fuori è facile criticare: «Avevi un rapporto troppo duro mentre scalavi il Superga, eri troppo pesante».

Ovviamente tanta gente non sa cosa ci sia dietro alla preparazione di un appuntamento o soprattutto di una stagione. A volte si pensa che la vita del ciclista sia una vita privilegiata: «Pedali, fai quello che ti piace». Sì, è vero, ma dietro c’è un lavoro duro per ogni giorno, ogni ora, ogni minuto dell’anno

Dalia Muccioli aveva già vinto il tricolore del 2013 a Rancio Valcuvia, davanti a Bronzini e… Rossella Ratto
Dalia Muccioli aveva già vinto il tricolore del 2013 a Rancio Valcuvia, davanti a Bronzini e… Rossella Ratto

Veri professionisti

Ad oggi penso sia fondamentale per uno sportivo essere accompagnato sia da un nutrizionista sia da un mental coach per ampliare la visione del mondo in cui si ritrova. E’ fondamentale capire che la testa vince sempre su tutto: puoi avere le gambe del campione del mondo, ma se non hai la testa in modalità ON, non vincerai mai! 

E’ una vita all’insegna di sacrifici e rinunce, questo meraviglioso sport: il ciclismo. Può toglierti tanto, ma al tempo stesso può darti e regalarti tanto.

Eccesso di magrezza: essere tirato è sempre un bene?

08.10.2021
4 min
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Chi non ha mai stimato la condizione di un atleta guardando quanto fosse magro e definito, insomma quanto fosse tirato? Purtroppo questo è lo stereotipo del ciclista forte nella cultura comune, ma non sempre è così e la realtà che si cela non è da sottovalutare.

Il problema fantasma

Nessuno ne vuole parlare, ma dagli studi emerge che i DCA (disturbi del comportamento alimentare) quali anoressia, bulimia, binge eating (volgarmente detto “il disturbo delle abbuffate”) e la vigoressia, ossia il non vedersi mai abbastanza fit, sono sempre più comuni. Chi ne soffre non ne è consapevole e per questo i casi sono tendenzialmente sotto diagnosticati o ignorati. In media il 20% delle sportive professioniste soffre di uno di questi disturbi, percentuale che potrebbe essere ancora più alta in uno sport come il ciclismo, in cui il rapporto potenza/peso è di massima rilevanza. I DCA non si limitano al femminile, sebbene le donne ne siano più soggette, si stanno diffondendo anche al maschile, basti pensare alle dichiarazioni di Froome, Chevrier e Brajkovic. Abbiamo così intervistato al riguardo Elisabetta Borgia, dottoressa in Psicologia dello sport.

Clara Koppenburg, tedesca, dal prossimo anno alla Cofidis: tiratissima
Clara Koppenburg, tedesca, dal prossimo anno alla Cofidis: tiratissima

L’influenza sulla performance

«E’ un problema che colpisce sia chi ne soffre – spiega Elisabetta Borgia – che non si riconosce e non accetta la sua immagine, sia l’avversario che, sulla base dello stereotipo, si sente inferiore perché non altrettanto magro e definito. Inoltre può essere vissuta sia in maniera virtuosa che punitiva. Si pensi ad esempio ad un corridore che vince dopo avere perso quel paio di chili. In questo caso assocerà il successo alla perdita di peso e sarà indotto a ridurre sempre più l’apporto calorico. Viceversa un commento inadeguato o un’analisi approssimata in seguito ad una performance deludente, possono innescare una connessione prestazione-peso pericolosa. Allenamenti post gara o privazione dei pasti possono altresì attribuire al cibo una funzione punitiva o ricompensativa».

Dal punto di vista fisico, tutta una serie di complicanze che compromettono la salute dell’atleta anche a lungo termine vengono totalmente ignorate. Non si tratta solamente dell’interruzione del ciclo mestruale nella donna, ma di gravi alterazioni a livello metabolico e psicologico, dell’apparato cardiovascolare, osteoarticolare, respiratorio e gastroenterico.

La magrezza non si può misurare a occhio, ma dov’è il confine fra tirato e troppo magro?
La magrezza non si può misurare a occhio, ma dov’è il confine fra tirato e troppo magro?

Chi è più predisposto?

«L’identità è fatta di come ti senti – prosegue Elisabetta Borgia – e di come ti vedono gli altri. Tra allievi e junior il cambiamento fisico e della figura di riferimento comporta una maggiore vulnerabilità. Specialmente per le personalità perfezioniste, che hanno difficoltà a regolare le emozioni ed hanno paura di una valutazione negativa dalle figure più prossime. L’allenatore diventa spesso il confessore, il cui detto è percepito come sacro senza bisogno di essere giustificato né spiegato. Per questo motivo è fondamentale che queste figure facciano particolare attenzione alle indicazioni e richieste che fanno agli atleti. Pretendere che si pesino tutte le mattine di fronte a loro è una pratica a suo modo violenta, che può facilmente creare un’ossessione nel giovane atleta».

Mara Abbott, americana ritirata nel 2016, sempre estremamente tirata
Mara Abbott, americana ritirata nel 2016, sempre estremamente tirata

I fattori scatenanti

«Aspettative sempre più alte che, quando diventano irrealizzabili – spiega la psicologa – fomentano il senso di colpa, l’ansia e la delusione. Spesso i corridori perdono il controllo della situazione così finiscono per alternare periodi di anoressia e bulimia ad altri di binge eating. Non sopportano più la pressione e si sfondano della “qualunque” a tavola. Oppure non soddisfatti dalla gara, fanno ulteriori tagli alla dieta o aumentano il carico di lavoro nel disperato tentativo di perdere quel peso a cui imputano i loro insuccessi».

Katarzyna Niewiadoma è sempre stata magrissima, prossima al limite?
Katarzyna Niewiadoma è sempre stata magrissima, prossima al limite?

Come intervenire?

«Bisogna combattere l’ignoranza – ribadisce Elisabetta Borgia – il giovane ciclista è come un pesciolino in un acquario. Perché cresca bene e in salute, bisogna curare l’acqua, ovvero quello che è l’ambiente, sensibilizzando le figure a lui più prossime. Quando i sintomi si manifestano è già tardi e l’intervento non è semplice. E’ fondamentale la collaborazione di più figure professionali specifiche, che creano un’equipe multidisciplinare lavorando sul sistema di riferimento dell’atleta, per trasmettere un messaggio univoco e poter capire cosa c’è dietro al malessere che causa il disturbo. Io punto al modello DBT le cui pratiche sono basate sul mindful eating, letteralmente mangiare con consapevolezza. Questa pratica è come un allenamento, può essere adottata da chiunque, senza che presenti effettivamente un disturbo. Ed insegna ad assaporare ed apprezzare il pasto nel momento in cui si mangia, per ripristinare il corretto rapporto col cibo».

Pedalando con il peso in testa, fra diete empiriche e falsi miti

29.09.2021
5 min
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Con questo articolo, basato sul peso e sulla sua esperienza personale, inizia la nostra collaborazione con Rossella Ratto, Dottoressa in Nutrizione, che ha interrotto da poco l’attività agonistica.

«Il sogno ha raccontato due settimane fa a bici.PRO – sarebbe lavorare con i giovani ed insegnare loro come alimentarsi a dovere. C’è troppa esasperazione sul peso dei ragazzi che corrono, l’ho vissuto sulla mia pelle. Per questo ho scelto quelle facoltà e ora vorrei diventare una linea guida per loro».

Durante il ritiro di febbraio 2016, sulla base del peso e del colpo d’occhio, mi fu detto che non ero ancora abbastanza magra. Così io che già dal 2015 mi affidavo ad un nutrizionista per raggiungere l’obiettivo olimpico, al ritorno andai subito per una visita di controllo. Il responso scientifico fu sconvolgente. Non solo ero magrissima ma addirittura dovevo fare in modo di metter su un po’ di grasso perché non ne avevo a sufficienza e un misero 8% di grasso totale per una donna era davvero estremo. Ciononostante nella cronologia di WhatsApp conservo ancora i messaggi di qualche giorno dopo, in cui mi rattristavo all’idea di aver compromesso quell’incredibile 8% di grasso, sgarrando con dello strudel, fatto in casa e con poco zucchero ovviamente.

Ai mondiali di Richmond nel 2015 si lavora per Bronzini, che rompe la bici. Arriva 4ª Longo Borghini
Ai mondiali di Richmond nel 2015 si lavora per Bronzini, che rompe la bici. Arriva 4ª Longo Borghini

Il rapporto watt/kg

In uno sport come il ciclismo, in cui gli atleti devono combattere ad ogni colpo di pedale per vincere una resistenza, sia essa la gravità o il vento, il rapporto Watt/Kg è fondamentale. Lo è sempre stato e sempre lo sarà. Ma proprio grazie alle tecnologie degli ultimi anni, per monitorare la forza impressa sui pedali e la composizione corporea degli atleti, questo rapporto ha acquisito ancora più importanza.

La percentuale di grasso

Bisogna distinguere tra grasso essenziale e di deposito e ovviamente tra uomo e donna, perché se un uomo può arrivare al 4-6% di grasso, una donna deve mantenere almeno il 10-13%, valori pari al grasso essenziale, per assicurarsi che il proprio organismo svolga le normali funzioni senza incorrere in alterazioni ormonali, che quasi inevitabilmente nella donna inducono l’interruzione del ciclo mestruale.

Come si raggiungono percentuali tanto basse di grasso? Ecco dove casca l’asino. Da anni è credenza comune che sia sufficiente aumentare il carico di allenamenti, in termini di frequenze e quantità, riducendo l’apporto calorico attraverso l’esclusione quasi completa di carboidrati e grassi. 

Oltre alla plicometria (foto di apertura) la percentuale di grasso si misura anche con l’impedenza bioelettrica
Oltre alla plicometria (foto di apertura) la percentuale di grasso si misura anche con l’impedenza bioelettrica

L’ossessione del peso

Il peso in sé non è un indice puro di grasso corporeo. Ed ora, in seguito ai miei studi in Nutrizione, inorridisco al ricordo di quelle sveglie in ritiro quando, ancora minorenne, ero sottoposta ai controlli rigidi sul peso. Se la sera mangiavo il minestrone cercavo di svegliarmi prima per andare in bagno, per evitare anche il minimo incremento di peso.  Le uniche variazioni ben accette erano infatti quelle in negativo, ad eccezione di chi ad occhio era magro e quindi poteva permettersi di mantenere il peso iniziale.

E’ senz’altro corretto pensare di controllare lo stato fisico e di salute di ogni atleta per ottimizzare la performance. Ed è ancora più prezioso sensibilizzare i giovani in campo alimentare, ma non si può imporre una dieta approssimata, univoca e sbilanciata. Ad ognuno la sua professione, perché determinate routine, come quella accennata in precedenza, possono determinare un cambiamento del rapporto col cibo e della visione della propria immagine negli atleti, specialmente se giovani e donne. 

Nel 2014 Rossella vince il Giro dell’Emilia, davanti a Pitel, Bronzini e Muccioli
Nel 2014 Rossella vince il Giro dell’Emilia, davanti a Pitel, Bronzini e Muccioli

La fase più critica

L’età di maggior insorgenza di anoressia e bulimia coincide con le categorie allievi e juniores. Un momento delicato nello sport, in quanto ci si affaccia al mondo, allontanandosi dalla famiglia per raggiungere obiettivi sempre più importanti. I ragazzi a quell’età si affidano incoscientemente ai direttori sportivi o ai preparatori. I quali, la maggior parte delle volte senza alcuna formazione in materia di nutrizione, pretendono di definire le diete dei ragazzi, valutandone la composizione corporea ad occhio.

L’ansia di magrezza estrema nel ciclismo può portare all’anoressia?
L’ansia di magrezza estrema nel ciclismo può portare all’anoressia?

Allenarsi per smaltire

In seguito agli ottimi risultati dei primi anni di professionismo, con la pressione delle gare e senza un valido riferimento alimentare, non mi vergogno ad ammettere che per me il peso era diventato un’ossessione. Non mangiavo per recuperare, ma mi allenavo per smaltire. Oggi so che questo tipo di comportamento è del tutto simile all’anoressia. Con la differenza che si compensa l’introito di cibo con l’attività fisica esagerata, convivendo col risentimento di ciò che si è mangiato. E nella convinzione che quel boccone in più sia la ragione del calo di performance in gara. Questo pensiero trovava poi conferma nei commenti di molti, tecnici e non. Che non mancavano l’occasione per paragonare, sempre ad occhio, le dimensioni fisiche tra atlete con commenti spesso troppo schietti.

Al termine delle mie due stagioni peggiori dal punto di vista della salute, a settembre 2016 cominciavo il mio percorso universitario. E ben presto questo mi ha aperto gli occhi sulla mia esperienza ciclistica. E proprio durante il tirocinio, visitando una paziente definita anoressica, ho realizzato uno dei problemi più gravi del ciclismo. In particolare quello femminile: il rapporto Watt/Kg è più importante della salute fisica e mentale dell’atleta.

Disordini alimentari: Corsetti cosa ne pensa?

18.03.2021
4 min
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Roberto Corsetti, cardiologo che per anni ha lavorato come medico della Fassa Bortolo, della Liquigas e della Quick Step e oggi presta la sua opera al Centro Medico B&B di Imola, è uno di quelli che è sempre stato molto attento all’alimentazione dei propri corridori. E per sua stessa ammissione è uno di quelli che si metteva vicino al tavolo dei corridori durante i pasti. Per cui sentire che cosa abbia da dire sul complesso rapporto fra corridori e cibo risulterà alla fine interessante.

«Gli atleti professionisti – dice – ma più in generale tutto ciò che ruota attorno al professionismo hanno come unico metro il risultato. Se partiamo da questo presupposto, per ottenerlo bisogna arrivare al massimo livello di performance. I sacri testi di fisiologia dicono che i due fattori su cui si può migliorare sono la potenza e il peso. I corridori possono non accettarlo, possiamo discuterne, ma i soli due punti sono quelli».

Cimolai ha ammesso di aver sofferto di problemi alimentari e di non sopportare di sentirsi sorvegliato a tavola
Cimolai ha detto di non sopportare di sentirsi sorvegliato a tavola
Fin qui ci siamo, ma la magrezza assoluta intacca la potenza. Per cui non è affatto detto che scendere di peso sia la sola garanzia di prestazione.

Mi arrabbio, infatti, e divento nervoso se l’obiettivo della riduzione del peso viene raggiunto con l’oppressione o metodi non corretti. Penso invece che se un operatore del ciclismo trasmette in modo amichevole, gentile e competente il modo in cui ridurre il peso, le cose funzionano. Se si verificano degli eccessi, chi doveva trasmettere lo ha fatto male. Oppure il corridore può aver recepito male e allora va aiutato.

Corsetti in che posizione si colloca?

Vengo dalla scuola di grandi maestri e ho sempre cercato di trasmettere questi concetti nel modo più corretto possibile. Non credo di aver messo in difficoltà dei miei atleti per il loro peso. Né nella mia esperienza ho mai visto imposizioni o forzature. Ma se qualcuno dice che Corsetti ci tiene che l’atleta sappia che i suoi risultati dipendono dal peso, allora dico sì.

La pasta è sempre stata fonte di carboidrati, eppure tanti hanno problemi a mangiarla
La pasta è sempre stata fonte di carboidrati
Sei al corrente che per gli atleti il cibo è un tema delicato e alcuni hanno disordini alimentari? Secondo psicologi e medici che abbiamo sentito, un medico se ne accorge.

Non ne ho mai avuti, ma ho avuto atleti molto magri. Senza fare nomi, con Ferretti in un ritiro ci accorgemmo di un ragazzo troppo magro per quel periodo dell’anno. Lo portammo con noi in una stanza e gli spiegammo che era troppo.

Pare che i giovani siano quelli più esposti al rischio di caderci…

Il messaggio dall’alto, se non arriva chiaro e documentato o non viene presentato in tutte le sue valenze, in una persona fragile può creare scompensi. Di sicuro se ci sono disordini alimentari, la responsabilità va cercata in più parti.

A Corsetti è mai capitato di stare vicino al tavolo dei corridori a guardare come mangiano?

Io ritengo che un direttore sportivo o un medico che voglia stare vicino al tavolo dei corridori per aiutarli sia positivo. Può aiutare perché il pasto, spesso la cena, si svolga nel modo migliore. Se però l’atleta si sente in difetto per il cibo e vive male questa presenza, si crea l’ambiguità. Se sei accanto al tavolo e a me capitava spesso, devi saper leggere nello sguardo degli atleti se c’è qualcosa che non va. Servono colloquio e presenza, servono staff competenti e appassionati. Piuttosto a volte mi guardo alle spalle…

La magrezza eccessiva di Bongiorno, raccontata pochi giorni fa nella sua intervista
La magrezza eccessiva non è sintomo di salute
E cosa vedi?

Penso ad atleti che non hanno mai ricevuto un’educazione alimentare e hanno buttato via la carriera. Non parlo di obbligo o costrizione, di semplice educazione. Penso a chi aveva potenzialità incredibili, al punto di intimorire gli avversari più forti, che però ha preferito lasciarsi andare.

Da questo punto di vista credi che l’avvento del nutrizionista sia opportuno nei team?

Tutte le figure professionali più competenti sono utili in questo percorso formativo. Ma serve che tutti parlino la stessa lingua, altrimenti viste le tante figure che si incontrano oggi in una squadra, si rischia che agli atleti arrivino messaggi che creano confusione.

I messaggi chiari sono la chiave di volta, così come la trasparenza. La raccolta di voci e pareri continua. Ci hanno raccontato di un personaggio che a inizio stagione pretendeva dai suoi atleti lo stesso peso dell’ultima corsa: cosa c’è di documentato in questo?

La nostra inchiesta, in cui abbiamo coinvolto il dottor Corsetti, vuole consegnare ai corridori più giovani la consapevolezza che il peso e la potenza sono certo due fattori determinanti, ma la salute viene prima. Rileggere le parole di Bongiorno, quelle disarmanti di Brajkovic e tutte le altre che abbiamo raccontato nelle ultime settimane dovrebbe far capire che la magrezza ossessiva porta diritta alla fine della carriera.

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Disordini alimentari: un male oscuro di cui nessuno parla
Disordini alimentari: interviene Cimolai
Disordini alimentari: «E’ una roba brutta»

Disordini alimentari: intervista a Brajkovic
Disordini alimentari: «Aprite quelle porte»
Disordini alimentari: a volte l’ambiente incide
Disordini alimentari: Anche Aru ha qualcosa da dire
Disordini alimentari: Bongiorno, era quasi anoressia

Disordini alimentari: Bongiorno, era quasi anoressia

10.03.2021
7 min
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Nella testa di un corridore che ha deciso di essere magro a qualsiasi costo, fino a sfiorare l’anoressia, c’è un bel mucchio di pensieri contorti. Quando chiudiamo la telefonata con Manuel Bongiorno, in procinto di tornare in gruppo con la Global6 Cycling, il quadro diventa drammaticamente concreto. Manuel adesso ne è fuori e paradossalmente è stato salvato dall’essere rimasto senza squadra nel 2018. Finì a lavorare in un ristorante: terapia migliore non poteva esserci, quasi un contrappasso. E’ bello, ancorché drammatico, riscontrare nei corridori la voglia di parlarne. Quasi per liberarsi la coscienza. Ed è bella anche la voglia di metterci la faccia e dire che oggi il problema è avviato a soluzione, grazie all’avvento e alla sempre maggiore diffusione dei nutrizionisti.

Quando e perché il peso cominciò a diventare un’attenzione?

Fino al momento in cui passai professionista, non ci avevo fatto troppo caso. Era il 2013, avevo firmato con la Bardiani. Mi accorsi che tutti erano fissati su questo aspetto. Ci stavano attenti. Si guardavano addosso. Il medico della squadra, il dottor Benini, diceva di non scendere mai sotto un certo peso. Io sono alto 1,72 e pesavo sui 59-60 chili, ma decisi di scendere a 55 per il Giro dell’Emilia, in cui effettivamente arrivai quinto. Il dottore disse di non insistere, altrimenti avrei… sbiellato. Era frequente che i corridori dimagrissero per il singolo obiettivo. Tanti facevano la dieta dissociata, con la sottrazione di carboidrati nella prima fase e poi un carico notevole alla vigilia della corsa. Non dico che facesse bene, però funzionava.

Questa la maglia della Global6 Cycling con cui Bongiorno tornerà in corsa il 21 marzo a Sesto Fiorentino
Questa la maglia con cui tornerà in corsa il 21 marzo
Per cui dopo l’Emilia, tutto tornò normale?

Direi di sì. Nel 2014, che fu uno dei miei anni migliori, decisi che un buon peso poteva essere 58 chili, per avere margine da gestire tutto l’anno. Così anche nel 2015, almeno fino al Giro, dove però non andai un granché. Decisi che dovevo limare qualche chilo. Mi rivolsi a un nutrizionista, che eliminò il glutine e secondo me combinò qualcosa. Di colpo il mio metabolismo rallentò. E invece di dimagrire, cominciai a ingrassare. E lì successe qualcosa.

Che cosa?

Al di là del sentire battute sul peso, la mia testa iniziò a fare giri strani. L’85-90 per cento dei miei problemi derivò dalle credenze e dall’ignoranza, mia e di tutto l’ambiente. Se uno magrissimo mi staccava in salita, pensavo di dover dimagrire ancora. A quel tempo il preparatore della squadra era Cucinotta, ma lui non mi ha mai detto nulla del peso. Non parlava dell’alimentazione. Ora ci sono i nutrizionisti, ognuno sta nel suo ambito e ti dice cosa fare. Ma ho incontrato anche persone che volevano fare tutto loro.

Così cominciasti a dimagrire?

Dai quasi 60 chili che pesavo da neoprofessionista, scesi fino a 51,8. Col senno di poi, riguardando le analisi che raccolgo sin da quando ero junior, posso dire che mi ritrovai con valori drammatici. Con il testosterone bassissimo. E ricordo anche dove tutto cominciò.

Da U23 è tricolore e nel 2012 vince una tappa al Valli Cuneesi
Da U23 è tricolore e nel 2012 vince una tappa al Valli Cuneesi
Dove?

Ero sempre alla Bardiani, nel 2016, prima del Giro d’Austria. Andai a fare un test del VO2Max, in cui normalmente avevo un valore di 82. Dopo il Giro, ero sceso da 55,8 a 54 chili e in quel test venne fuori un 86. E’ chiaro che se sei più leggero, lo scambio di ossigeno sale. Ero già al limite, ma pensai che se fossi sceso ancora, il test sarebbe stato ancora migliore.

Le prestazioni?

Non erano esaltanti. Erano anche anni in cui dire a un corridore «quanto sei magro!», era fargli il più bello dei complimenti. Mi piaceva sentirmi dire che ero uno scheletro. Era anoressia, ma non lo capivo. A momenti pensavo che fosse troppo. Alla Sangemini, nel 2017, correvo poco. In allenamento facevo pianura e poi una salita al mio ritmo, in cui così leggero andavo anche bene. Ma in corsa, dopo due fiammate a 60 all’ora, andavo in crisi e non recuperavo.

Come si arriva a 51,8 chili?

Se dovevo mangiare 70 grammi di riso, toglievo i chicchi di troppo. Certe volte mangiavo meno insalata, perché le verdure danno ritenzione idrica. Per paura della bilancia al mattino, non bevevo dalla sera prima e potete capire che squilibri anche negli elettroliti. Ho letto i vostri articoli…

Passa professionista nel 2013 con la Bardiani, pesa 59 chili
Passa professionista nel 2013 con la Bardiani, pesa 59 chili
C’è del vero?

Mi sono riconosciuto in tutti. Anche io buttavo il sacchetto del rifornimento. Quando avevo fame, aprivo una barretta, la masticavo e poi la sputavo. Ho sentito tanti corridori, anche ora, che fanno così.

Cosa facevi se ti capitava di stare a cena fuori?

Prendevo il pollo e non bevevo birra. Ero a disagio e mettevo a disagio la mia ragazza, perché magari si organizzava e all’ultimo inventavo una scusa per non andare. E’ stato così da metà 2015 fino a metà 2017. Poi quando ho smesso ho avuto un rebound e li ho ripresi tutti. A me piace mangiare. Ora quando sono a tavola, spengo anche il telefono: è un momento importante.

Che cosa è cambiato quando ti sei ritrovato senza squadra?

Non dovevo più rendere conto alla bici. In uno degli ultimi allenamenti verso Volterra, Umberto Orsini, mi fece una foto e disse che gli facevo ribrezzo per quanto ero magro. Non mi rendevo conto di nulla. E quando ci pensavo, mi dicevo che non sarei mai voluto tornare a 56 chili, massimo 53, altrimenti in salita non andavo. Ero sotto peso.

Manuel Bongiorno, Tour de Langkawi 2020
Quando rientra alla Vini Zabù, dice di aver imparato dai suoi errori del passato
Manuel Bongiorno
Rientra alla Vino Zabù e dice di aver imparato dai suoi errori
Nel 2019 hai ripreso, che cosa è cambiato?

Anche ora voglio essere più magro possibile, ma con le energie. Non guardo la bilancia, mi concentro sui tempi di percorrenza delle salite. La mattina il vizio di guardarmi allo specchio, di toccarmi la gamba per vedere se è tonica, ce l’ho ancora. Però peso 59 chili come da dilettante. Mangio sempre pulito, ma se voglio un cornetto, ora lo prendo. Chiaro, in quest’ultimo mese, con l’inizio delle corse, ci sto più attento, ma l’altro giorno dopo un allenamento di 5 ore, ho fatto una sparata e avevo ancora forza per farla.

Vedi intorno a te ragazzi con lo stesso problema di allora?

Tanti. In bici fai fatica a capirlo, ma i comportamenti nel tempo libero sono inconfondibili. Ho letto di quelli che girano con la mela in mano. Non ci avevo mai fatto caso, ma è verissimo. Ce ne sono tanti che durante i pasti si alzano e vanno più volte in bagno. Tanti che evitano i carboidrati come fossero veleno. E’ un sintomo dell’estremizzazione. Come quando il preparatore ti dice di fare tre serie e tu ne fai quattro, perché pensi che sia meglio. Ogni abuso porta dei danni. Ma il corridore non si fida, il guaio è questo.

Aru ha raccontato che in certi casi diffidi anche del collega che prova a darti un consiglio…

Evidentemente questo per lui è un nervo scoperto. L’atleta è debole e influenzabile. Provi l’allenamento del momento. Senti la lode per la magrezza. E le pugnalate più grosse sono quelle che ti entrano nella testa.

Questa la foto fatta da Orsini che commenta: «Mi fai ribrezzo per quanto sei magro». E’ quasi anoressia
Questa la foto fatta da Orsini che commenta: «Mi fai ribrezzo per quanto sei magro»
Raccontano che dopo il secondo posto al Giro Bio del 2012, Aru tornò in ritiro e si sentì dire dal tecnico che non avrebbe mai potuto vincere, “con quel culo che aveva”. Mentre Dombrowski sì che era magro… 

Le pugnalate. Magari non l’hanno detto neppure con cattiveria, oppure sì. Ma se hai in testa che il peso sia un problema, quella frase può diventare devastante. Io con tanti, che prima hanno vinto i Giri e le tappe e poi di colpo hanno smesso, ho corso anche da dilettante. Che cambiamento fisico hanno fatto a un certo punto? Sono fatiche che non si reggono, che ti svuotano.

Prima hai detto di aver lavorato con gente che voleva ricoprire più ruoli.

Credo che i problemi alimentari siano più frequenti nelle piccole squadre, dove non c’è controllo. Non avevo chi mi spiegasse come fare. A me piace fare il soldato, eseguire le disposizioni. Se avessi avuto delle tabelle come negli squadroni, sarei stato contento. Alla Ineos pare abbiano mollato. Corrono con tattiche nuove. In realtà secondo me il loro obiettivo è sempre vincere, ma dato che tutti hanno imparato a fare come loro, adesso loro cambiano gioco. Come il Barcellona di Guardiola. Dopo aver vinto tutto e portato tutti sul tiki taka, a un certo punto per vincere ancora hanno dovuto cambiare strategia, ma non mentalità.

Come mai hai scelto di esporti?

Il problema l’ho avuto. Mi sono reso conto che stavo sbagliando. L’anno in cui ho smesso mi ha aiutato, ma non significa che tutti debbano smettere per venirne fuori. Il messaggio che vorrei far passare è che questo è il nostro lavoro, dobbiamo dare il massimo col nostro corpo ma senza esagerare. E oggi abbiamo la fortuna di poterci affidare a persone competenti. Ed è un bel passo avanti.

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