Fra i tanti professionisti che usano un ciclo computer Garmin c’è anche Alberto Bettiol, che con il suo Edge 830 è riuscito ad imporsi nella tappa di Stradella al Giro d’Italia. E allora andiamo a scoprire alcune funzioni che questo ciclo computer offre a tutti i ciclisti.
Le salite con Climb Pro
Il Garmin Edge 830 è dotato di schermo a colori con touchscreen attraverso il quale è possibile tenere sotto controllo tutti i dati, fra cui spicca la funzione Climb Pro, che permette di sapere quanta strada manca alla cima di una salita e quali pendenze bisognerà affrontare.
Migliorare la condizione fisica
E’ possibile monitorare la propria condizione fisica grazie alle nuove dinamiche di performance e poter così cercare di migliorarsi costantemente. Con l’Edge 830 è possibile capire come si comporta il proprio fisico agli allenamenti, infatti si può monitorare la VO2 max, il tempo di recupero necessario per tornare in sella, il Training Load e tanto altro. Inoltre, è possibile scoprire quale è lo stato di forma grazie alla funzione Training Status.
Il Garmin Edge 830 offre numerose funzioni
Il Garmin Edge 830 offre numerose funzioni ben visibili sullo schermo touchscreen a colori
Ripercorrere le tappe
Con il Garmin Edge 830 è possibile sincronizzare gli allenamenti da TrainingPeaks e dalla community online di Garmin Connect, direttamente sul ciclo computer. Si può facilmente caricare un itinerario o una tappa del Giro d’Italia e ripercorrerla integralmente scoprendo così le fatiche fatte dai professionisti come Bettiol.
Autonomia lunga
Tutto questo è garantito da una batteria che garantisce una durata fino a 20 ore con l’utilizzo del GPS e fino a 40 ore con il power pack opzionale Garmin Charge, una batteria esterna che si può comodamente collegare al proprio Edge 830.
Sicurezza in primo piano
Infine, ricordiamo che il Garmin Edge 830 è compatibile con il radar retrovisore e le luci Varia che aumentano il livello di sicurezza del ciclista sulla strada. Ma se non bastasse grazie al LiveTrack è possibile che amici e famigliari possano essere sempre aggiornati in tempo reale sulla posizione del ciclista.
La fase invernale è determinante per preparare la stagione. Cambia qualcosa nel piano alimentare di un atleta durante i mesi più freddi? Lo abbiamo chiesto al biologo nutrizionista e divulgatore scientifico Iader Fabbri
L’ha cercata così tanto e così tanto ha lavorato sul Teide per arrivare al Giro in buona forma, che in qualche modo la vittoria di Bettiol a Stradella è come se l’avessimo vissuta con lui. E adesso che ce l’abbiamo davanti, sentendolo parlare, ci scorrono davanti agli occhi le immagini di quell’ultima salita in cui ha visto Cavagna, lo ha puntato, lo ha preso e poi gli è scattato in faccia. Ma più che le gambe, c’è voluta tanta testa.
«Conta sempre la testa – dice – la terza settimana del Giro è solo testa. Non è che Egan Bernal abbia meno mal di gambe di me. Potevo mandare tutti a quel paese perché non collaboravano. Sapevo che non avevo molte chance di riprendere Cavagna, ma sapevo di essere più forte in salita. Fosse stata tutta pianura, forse non ci sarei riuscito. Ma sull’ultimo strappo l’ho visto e ho avuto la forza mentale di scattargli in faccia e passare in testa, perché so cosa significa quando ti prendono e ti scattano in faccia. Volevo distruggerlo mentalmente, ma avevo un gran mal di gambe. E vi assicuro che non è stato per niente facile, dopo 230 chilometri e le tappe dure degli ultimi giorni. Capito perché è un fatto di testa?».
Ieri a Sega di Ala ha tirato forte per Carthy e lo ha salvato dalla crisiIeri a Sega di Ala ha tirato forte per Carthy e lo ha salvato dalla crisi
Un anno sofferto
La sua storia recente non è stata semplice. La vittoria del Fiandre doveva aprirgli i salotti buoni, ma gli si è quasi ritorta contro, in un miscuglio diabolico di attese non mantenute e sfortune d’ogni genere. E mentre cercava faticosamente di riprendersi dai suoi acciacchi, la morte di Mauro Battaglini l’ha come congelato in un’affannosa immobilità nei mesi del Covid in cui l’equilibrio personale ha fatto la differenza tra chi è riuscito a confermarsi e chi invece s’è fermato.
«Però non sopporto – attacca – che si vada a dire che il Fiandre l’ho vinto per un colpo di fortuna, soprattutto se a dirlo è chi lo fa di lavoro. Quel giorno avevo la gamba giusta e non si vince se non ce l’hai. Per il resto, sono umano e forse ho più difficoltà di tanti altri. Ho fatto buone prestazioni. La squadra mi ha sempre dato fiducia. So quanto valgo, dovevo solo dimostrarlo. Ero un ragazzo di provincia che non aveva mai vinto tra i pro’, ci sta che abbia un po’ sbandato. Mauro era una colonna per me, la sua mancanza mi ha fatto vacillare. E ancora oggi quando penso a lui, mi commuovo. Certo che quelle dita al cielo erano per lui».
Quando ha preso Cavagna, ha respirato un secondo e poi gli scattato in faccia…Quando ha preso Cavagna, ha respirato un secondo e poi gli scattato in faccia…
Ciclista, non supereroe
La differenza, gli dicono, la fai credendoci. Coloro che l’hanno seguito sin da ragazzo e che partecipano alla sua carriera attuale, da Piepoli che lo allena e Balducci che lo assiste, non fanno che ripetergli che se credesse per primo nei suoi mezzi, i suoi limiti sarebbero ben più alti.
«Non sapete quanto siano incavolati quelli che mi seguono – dice – perché vado forte, mi temono, ma vinco poco. Vivo dei limiti che proverò a superare e cioè che si può vincere anche con il mal di gambe. Io pensavo di farlo sempre da supereroe, invece il ciclismo è uno sport umile. Devo fare di più, è il mio obiettivo. E lo farò soffrendo e prendendo bastonate».
Dopo la corsa, gli amici tornano amici. Qui l’abbraccio con RocheDopo la corsa, gli amici tornano amici. Qui l’abbraccio con Roche
Pane e Giro
La partecipazione al Giro non è stata per caso. Quando nasci in un paesino toscano e sei cresciuto a pane e Giro d’Italia, va bene vincere sulle stradine delle campagne fiamminghe, ma c’è ancora più gusto a farlo in Italia.
«L’ho voluto questo Giro d’Italia – racconta – volevo tornare nella mia terra. Volevo vedere a che punto ero con la mia maturità. Il ciclismo ci insegna più a perdere che a vincere e per questo sono contento di aver vinto al Giro. Durante la tappa ero concentratissimo e molto determinato dentro di me. Avevo molti amici in quel gruppo, uno è Nico Roche, ma non ho parlato con nessuno. Volevo vincere. Anche se dopo l’arrivo, proprio lui ha idealmente dismesso i panni del Team Dsm ed è venuto ad abbracciarmi. E’ un bravissimo ragazzo, anche lui ha vissuto i suoi momenti difficili. Abbiamo condiviso i giorni sul Teide prima del Giro e quel tempo passato non si dimentica dopo una corsa».
Limiti da scoprire
E proprioi giorni sul Teide hanno fatto la differenza. Al punto che il suo allenatore Leonardo Piepoli, scherzando gli ha proposto di perdere un paio di chili e puntare la prossima volta alla classifica generale.
«Poche volte – dice – sono andato così forte in salita. Mi piace prepararmi sul Teide e lassù, per poco che ti alleni, fai 3.300 metri di dislivello. Piepoli mi dice anche che finché non trovi il tuo limite, non puoi sapere quali limiti hai. Io sto bene e in questi giorni sto parlando molto anche con Cassani. Questa vittoria è un bel segnale anche per lui. Sono un uomo di sport, chiaro che andare alle Olimpiadi sia un sogno che può diventare un obiettivo. Diciamo che sono un bell’obiettivo, anche perché qui al Giro le tappe per me sono finite e da domani si torna a lavorare per Carthy, dopo che la squadra mi ha concesso questo giorno di libertà».
Voleva una tappa al Giro, ci ha messo gambe e testa e ha così lanciato un segnale a CassaniVoleva una tappa al Giro e ha così lanciato un segnale a Cassani
Messaggio per Cassani
E proprio parlando di Olimpiadi, nel toto-Tokyo fra giornalisti si è soliti fare i nomi di Nibali e Moscon, Caruso e Bettiol e un quinto che poteva essere De Marchi e adesso Ulissi oppure Ciccone se si riprenderà o chiunque altro, Aru compreso, dimostri di andare forte entro il 5 luglio, quando Cassani dovrà dare i nomi. E a quel punto, davanti alla rosa, ci si chiede: chi di loro però ha mai vinto grandi corse? La risposta è facile: Nibali e Bettiol.
«Perché vincere le gare monumento – dice – non è per tutti. Si parla di gare di oltre sei ore, il limite oltre il quale alcuni smettono di andare forte. Solo pochissimi ci riescono e sono gli stessi che poi possono lottare per i mondiali e le Olimpiadi, appunto. Vincere una prova monumento fa tanto e la tappa di oggi, di 231 chilometri alla fine del Giro, sia pure senza grande dislivello, fa vedere qualcosa. E’ un bel segnale, come è bello il rapporto che abbiamo con Cassani. Lui parla in modo molto diretto e noi siamo sinceri con lui. E questa è davvero una vittoria che significa tanto».
Quando risponde al telefono il tono della voce di Alberto Bettiol è brillante. Il toscano viene da un inverno a dir poco difficile, costellato da problemi fisici. Lo avevamo sentito alla vigilia della Strade Bianche e il suo quadro fisico e atletico era parecchio basso.
Ma l’aria del vulcano, il Teide tanto per cambiare, deve avergli fatto bene. E adesso Alberto si appresta ad affrontare il suo secondo Giro d’Italia.
Alberto Bettiol (27 anni) in ritiro sul Teide, dove è stato per due settimaneAlberto Bettiol (27 anni) in ritiro sul Teide
Alberto come stai? Come è andata in ritiro?
Sto bene! E’ stato un buon ritiro. Charly Wegelius mi aveva accennato che sarei potuto essere coinvolto al Giro già prima del Belgio e una volta che tutto è diventato realtà abbiamo pensato che passare due settimane in ritiro fosse l’avvicinamento migliore. Sono state due settimane ottime. Ero da solo con il massaggiatore del team. Insomma ho fatto vita da monaco, quella che serve per andare forte.
E adesso il Giro dunque…
Si parte con una crono. L’ultima che ho fatto è stata quella della Tirreno. I valori sono buoni ma poi sarà la strada a parlare. Spero che questo Giro mi riporti ai mie livelli. Andrebbero bene anche quelli del 2020 in cui comunque andai forte prima e dopo il lock down.
Hai avuto un inverno difficile: cosa ti era successo?
Ho avuto un inverno altalenante dovuto ad una colite ulcerosa. Mi sono anche spaventato, vedevo del sangue. Andava oltre il discorso sportivo. Non stavo bene. Ho fatto una visita prima di andare in altura e adesso sto decisamente meglio. Continuo la cura, anche se è molto blanda, perché il medico ha detto che per queste cose le ricadute sono dietro l’angolo. Questo mi ha tolto mesi di buon allenamento. Non riuscivo a fare più di un’ora, avevo persino problemi a stare in macchina. Mi sono preoccupato e spaventato anche per il ragazzo che sono, non solo per l’atleta.
Come nasce questa tua colite? E’ un fattore di stress?
E’ una malattia psicosomatica. Io somatizzo lo stress così e può succedere nella fascia d’età tra i 25 e i 40 anni, indipendentemente dallo stress o dall’essere un atleta. E non dipende solo da fattori mentali, ma anche dalla vita frenetica che facciamo. Due giorni fa ero su un’aereo, adesso sono in macchina, dopodomani parto per il Giro… E vi assicuro che le visite stesse non sono state piacevoli! Questa colite dunque mi ha impedito di fare la base. Quindi ho faticato alla Sanremo, 300 chilometri, nel tappone della Tirreno, al Fiandre. Ho corso con gente che aveva tanti, ma tanti chilometri più di me. Per questo sono stato contento di essere andato in ritiro e di partire per il Giro. Non ho mai perso la fiducia.
«Mi aspetta una stagione importante, sono anche in scadenza di contratto», ha detto Bettiol«Mi aspetta una stagione importante, sono anche in scadenza di contratto», ha detto Bettiol
Possiamo immaginare…
Ho entusiasmo per il Giro e non vedevo l’ora di farlo. L’ho chiesto io. E poi sono cinque anni che manco. Perché sì: bella l’America, bello il Tour ma io sono cresciuto a pane e Giro d’Italia!
Che lavoro hai fatto sul Teide?
Con Piepoli, il mio preparatore, abbiamo puntato soprattutto a fare i chilometri che mi sono mancati quest’inverno. Ho fatto parecchi lavori specifici dopo le 4 ore, cosa che mi mancava. Ho fatto fatica in generale, approfittando del buon clima delle Canarie. Due settimane sono volate. E’ vero che le giornate sono lunghe, ma si passava anche tanto tempo in bici. La cosa buona è stata la continuità data al lavoro. Quando va così, cioè che riesco a fare il mio, sono sereno e tranquillo. E non ho paura di nessuno. Questa è una fortuna, ma anche una condanna, perché poi quando i risultati non arrivano evidentemente ho sbagliato qualcosa.
Eri da solo?
Sì, con il massaggiatore Rui, lui è portoghese. Poi c’erano Landa con due suoi compagni e George Bennett con altri due suoi compagni.
E uscivate insieme?
Ma scherzi! E chi li fa 50 chilometri di salita con Landa! E con Bennett anche, cambiava poco. Ci vedevamo a colazione e la sera. Poi ognuno faceva il suo lavoro.
Sabato si parte con una crono e tu a crono sai andare forte… Gli hai dato uno sguardo?
Certo, un occhio ce l’ho buttato. La bici da cronometro l’ho ripresa ieri dopo il Teide. Ci farò un allenamento domani e la riprenderò venerdì.
Bettiol va molto forte a cronometro. L’anno scorso ha vinto quella dell’Etoile des BessegesBettiol va forte a crono. L’anno scorso ha vinto quella dell’Etoile des Besseges
Hai curato anche il peso sul Teide?
Ho curato tutto: riposo, alimentazione, allenamento… Sono sceso due chili abbondanti, ma è stata una conseguenza della buona vita fatta.
Che Giro ci possiamo aspettare da Bettiol?
Io cercherò di cogliere le mie opportunità, ma abbiamo Hugh Carthy che può fare bene, ha fatto un bel percorso di avvicinamento. Va forte sulle pendenze dure. L’anno scorso ha vinto sull’Angliru e quest’anno ci sarà lo Zoncolan. L’unico problema sarà verificarne la tenuta, anche mentale, sulle tre settimane perché non devi sbagliare nulla. Serve solidità. Io cercherò di stargli vicino, ma con un occhio di riguardo per me.
E c’è anche la tappa di Montalcino nella tua Toscana…
Ho degli amici che hanno un’azienda vinicola lungo quelle strade e mi dicono sia molto dura. Ma poi lo vedo dai file che ci manda la squadra. Negli ultimi 70 chilometri ci sono 1.600 metri di dislivello. Arriva dopo il giorno di riposo e già questo è un bel punto interrogativo e il meteo potrebbe incidere tantissimo. E perché – rilancia Bettiol – la tappa del giorno dopo, quella di Bagni di Romagna? Si passa da Firenze e Sesto Fiorentino, a casa di Alfredo (Martini, ndr) per me che sono toscano è una bella emozione. Poi si fa la Consuma, la Calla… quelle salite le conosco.
Saremo di parte, ma sentire un Bettiol così motivato e in buona salute ci fa piacere. Questo ragazzo è un patrimonio del nostro ciclismo. Un Fiandre non lo vinci per caso. Abbiamo bisogno di ritrovare talenti assoluti e di caratura internazionale. La sua storia per certi aspetti è simile a quella di Moscon. Ed abbiamo visto come il trentino sia andato al Tour of the Alps, dopo la sua altura.
Bettiol fermo ai box per il ritorno della colite ulcerosa. Il toscano doveva fare la Vuelta ed essere una punta per il mondiale. Invece dopo Tokyo le cose non sono andate bene...
Molti cambiamenti nel team, a cominciare dallo sponsor, l’arrivo della Nippo ha portato anche quattro elementi dalla Delko, la formazione professional francese che precedentemente era appoggiata dall’azienda giapponese. La struttura della squadra resta comunque la stessa dello scorso anno, fatta di un nutrito gruppo di ambiziosi corridori, senza grandi punte ma con molti in grado di emergere.
Bettiol tornato motivato e pronto a riscattarsi al Giro d’Italia, dopo una brutta primaveraBettiol tornato motivato e pronto a riscattarsi al Giro d’Italia, dopo una brutta primavera
Tra gli ultimi arrivati spicca il danese Michael Valgren, pronto a ripetersi dopo la splendida doppietta primaverile del 2018 con Omloop Het Nieuwsblad e Amstel Gold Race a distanza di pochi giorni.
Le caratteristiche della squadra portano a privilegiare azioni di disturbo in grado di sconvolgere l’andamento prestabilito delle corse. Gli uomini in grado di farlo non mancano, dallo stesso Valgren a Keukeleire fino ad Alberto Bettiol, che seppur nel 2020 non sia riuscito a ripetere il successo clamoroso del Fiandre, ha dimostrato di poter recitare sempre un ruolo importante nelle classiche del Nord e non solo.
Caicedo, qui vittorioso sull’Etna al Giro 2020, uno dei giovani più interessantiCaicedo, qui vittorioso sull’Etna al Giro 2020, uno dei giovani più interessanti
La squadra ha però un buon background anche per le corse a tappe, almeno quelle medio-brevi dove l’ecuadoriano Caicedo, il portoghese Guerreiro e il colombiano Higuitapossono dire la loro. Resta poi Rigoberto Uran, che al di là del suo rendimento attuale è sempre un riferimento, in grado con la sua esperienza di fare da regista in corsa, essendo ancora in grado di centrare una Top 10 in un grande giro. Insomma, una squadra sempre pronta alla battaglia, da non sottovalutare mai.
L’ORGANICO
Nome Cognome
Nato a
Naz.
Nato il
Pro’
Daniel Arroyave Canas
Yarumal
Col
19.06.2000
2019
William Barta
Boise
Usa
04.01.1996
2018
Fumiyaki Beppu
Chigasaki
Jpn
10.04.1983
2005
Alberto Bettiol
Poggibonsi
Ita
29.10.1993
2014
Stefan Bissegger
Weinfelden
Sui
13.09.1998
2020
Jonathan Caicedo
Santa Marta
Ecu
28.04.1993
2014
Diego A.Camargo Pineda
Tuta
Col
03.05.1998
2021
Simon Carr
Hereford
Gbr
29.08.1998
2020
John Carthy
Preston
Gbr
09.07.1994
2015
Gregory Lawson Craddock
Houston
Usa
20.02.1992
2011
Mitchell Docker
Melbourne
Aus
02.10.1986
2009
Julien El Fares
Aix en Provence
Fra
01.06.1985
2008
Ruben Guerreiro
Montijo
Por
06.07.1994
2015
Sergio A.Higuita Garcia
Medellin
Col
01.08.1997
2017
Moreno Hofland
Roosendaal
Ned
31.08.1991
2016
Alex Howes
Golden
Usa
01.01.1988
2012
Jens Keukelaire
Bruges
Bel
23.11.1988
2010
Lachlan Morton
Port Macquarie
Aus
02.01.1992
2012
Hideto Nakane
Nagoya
Jpn
02.05.1990
2011
Logan Owen
Bremerton
Usa
25.03.1995
2018
Neilson Powless
Sacramento
Usa
03.09.1996
2018
Jonas Rutsch
Erbach
Ger
24.01.1998
2020
Tom Scully
Invercargill
Nzl
14.01.1990
2016
Rigoberto Uran
Urrao
Col
26.01.1987
2006
Michael Valgren Hundahl
Osterild
Den
07.02.1992
2014
Julius Van Den Berg
Purmerend
Ned
23.10.1996
2018
Tejay Van Garderen
Tacoma
Usa
12.08.1988
2010
James Whelan
Melbourne
Aus
11.07.1996
2019
DIRIGENTI
Jonathan Vaughters
Usa
General Manager
Charles Wegelius
Gbr
Direttore Sportivo
Matti Bretschel
Den
Direttore Sportivo
Juan Manuel Garate
Esp
Direttore Sportivo
Andreas Klier
Ger
Direttore Sportivo
Tom Southam
Gbr
Direttore Sportivo
Ken Vanmarcke
Bel
Direttore Sportivo
DOTAZIONI TECNICHE
La Ef Education-Nippo anche per quest’anno è rimasta fedele all’americana Cannondale che, a ben vedere, divenne primo nome del team al passaggio di mano dopo gli anni della Liquigas. I modelli a dispisizione di Rigoberto Uran e Alberto Bettiol con SuperSix Evo, SystemSix e SuperSlice montati con ruote vision.
Bennati aveva fatto l'ipotesi di Bettiol con Evenepoel, ma il toscano non è convinto. E spiega perché quando è stato il momento non hanno seguito Remco
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Per i belgi il Giro delle Fiandre è la corsa più amata, quella che vale una carriera e soprattutto l’amore della propria gente. L’hanno vinta ben 69 volte, i belgi, anche se sono tre anni che la gara sfugge. Dietro, con 11 successi, ci sono Olanda e Italia. Agli italiani il Fiandre ha spesso sorriso, basti pensare che tra la vittoria di Argentin nel ‘90 e di Ballan nel 2007 ci sono ben 14 presenze sul podio, ma i successi azzurri iniziarono ben prima.
Iniziando da Fiorenzo Magni, che resterà sempre il Leone delle Fiandre. Tre successi per lui, unico a fare tris consecutivo dal ‘49 al ‘51 e proprio l’ultima vittoria è quella più leggendaria, fra i belgi inferociti per la lesa maestà, sicuri che in una giornata di tregenda l’italiano sarebbe crollato. Invece tra vento e pioggia Magni ha energie doppie rispetto ai rivali. Se ne va a 70 chilometri dal traguardo e solo il francese Gauthier, secondo a 5’35”, rimane sotto i 10 minuti di distacco. Una lezione amara per i locali.
Lo sprint vincente di Bugno su Museeuw e Tchmil, più indietro BalleriniLo sprint vincente di Bugno su Museeuw e Tchmil, più indietro Ballerini
Il Fiandre più inaspettato
Nel 1967 il favoritissimo è Eddy Merckx, agli inizi della sua parabola da Cannibale. Alla Salvarani la punta è Gimondi, ma un esperto stratega come Luciano Pezzi sa che per Merckx va prevista una marcatura speciale, affidata a Dino Zandegù, che in gara non lo molla un secondo, infastidendolo non poco. Alla fine rimangono in tre: Eddy, Dino e il belga Foré. Tutti scommetterebbero su Merckx, invece è Zandegù che attacca, Foré lo segue, Eddy non ne ha più. Ma neanche l’altro, che nemmeno fa la volata e Zandegù sul palco intona “O Sole Mio” per salutare i tanti immigrati italiani presenti.
Bugno, che rischio….
1994, la grande paura di Bugno: si presentano alla volata decisiva in 4, l’ex iridato è in forma, la volata è imperiosa, solo che dura un po’ troppo poco, alza il braccio al cielo quando ancora c’è spazio e il belga Johan Museeuw lo agguanta. Questione di millimetri, per decifrare i quali passano interminabili minuti mentre De Zan in telecronaca affianca al pessimismo una malcelata stizza per il marchiano errore del lombardo. Invece il responso dei giudici gli è favorevole, per fortuna…
Andrea Tafi sul Grammont: quel giorno non ce n’è per nessuno…Andrea Tafi sul Grammont: quel giorno non ce n’è per nessuno…
Bartoli, la prima Monumento
Due anni dopo è la volta diMichele Bartoli, che si consacra specialista delle classiche vincendo la prima delle sue cinque Monumento (foto di apertura). Sul Kapelmuur si scatena, mette in crisi tutti gli specialisti, Museeuw in testa, scollina con una manciata di secondi che andranno progressivamente aumentando, mostrando una supremazia che sa di grandi capacità di affrontare un percorso così particolare, fra muri e pavé.
Fiandre, sobborghi di Toscana…
Le Fiandre sembrano diventati terra di Toscana… Nel 2002 Andrea Tafi mette il suggello alla sua quindicennale carriera, passata anche per il trionfo a Roubaix cogliendo quel successo che nessuno più si aspettava, alla soglia dei 36 anni, interpretando una corsa sempre d’attacco, facendo faville sul Paterberg e il Taienberg finché sul Kapelmuur rimangono in cinque, compreso il compagno di colori Nardello. Il finale è un tutti contro tutti, ma la stoccata giusta è la sua, a 4 km dalla fine, sfruttando la stanchezza dei rivali.
Una vittoria inattesa, quella di Alberto Bettiol, pronto a ripetersi, influenza permettendoUna vittoria inattesa, quella di Alberto Bettiol, pronto a ripetersi, influenza permettendo
Bettiol, il più fresco
L’ultimo sigillo è del 2019, firmato Alberto Bettiol, che parte sul Kwaremont per riprendere i due fuggitivi di giornata per poi ritrovarsi solo, senza che da dietro riescano a riprenderlo a dispetto degli attacchi di Van der Poel e Asgreen. E’ la vittoria italiana numero 11 (le altre sono di Bortolami nel 2001 e Ballan nel 2007), ma la serie è ancora aperta, chi vuole aggiungersi?
La EF Education-Nippo unisce varie anime. Quella dei grandi Girio con Rigoberto Uran e quella della classiche con il nostro Bettiol. Da seguire anche Carthy
Leonardo Piepoli, allenatore di Alberto Bettiol e altri corridori con cui parla raccogliendone i dati e gli umori, sulla vittoria di Van der Poel a Castelfidardo ha una visione di straordinaria leggerezza che, osservando l’olandese, è difficile non condividere. Il guaio però è che a questa leggerezza si affianca il senso di frustrazione che avere a che fare con un corridore così genera nel resto del gruppo. E così, senza averlo premeditato, ci troviamo in un viaggio tecnico che spiega tanti aspetti delle ultime settimane.
Bettiol, secondo Piepoli, non è troppo lontano dai primi tre: gli serve più convinzioneBettiol, secondo Piepoli, non è troppo lontano da quei tre
Il primo pensiero dopo averlo visto attaccare a più di 50 chilometri dall’arrivo è che avesse finito la benzina, quindi un errore di alimentazione, e che abbia portato a casa la sua immensa impresa raschiando il fondo del barile…
Secondo me la chiave è una dichiarazione di Van Aert di qualche giorno fa. «Quando Mathieu corre con intelligenza, non lo batte nessuno». La sensazione è che lui si diverta a fare quello che fa, con lo stesso spirito di quelli che il mercoledì giocano a calcetto e provano i colpi più impensabili. D’altra parte, essendo uno che vince tutto e tutto l’anno, che differenza volete che faccia una corsa piuttosto che un’altra?
Intelligenza, parola interessante…
Forse anche troppo impegnativa, parliamo di intelligenza tattica. Per come lo vedo io, non è uno che ha bisogno di fare tanti calcoli. A Kuurne è partito a 80 chilometri dall’arrivo, l’anno scorso stessa cosa al Bink Bank Tour. Gli piace. Certo se perdesse per un eccesso di allegria il Fiandre o il mondiale, siate certi che in squadra ci sarebbe più tensione.
In gruppo come lo vivi uno così?
Male, lo vivono malissimo. Non solo lui, ma anche Van Aert e Alaphilippe. Si demoralizzano: cosa andiamo a fare? Si passano mesi a studiare le ripetute e l’altura, ma a che scopo? Tu studi la compensazione e loro arrivano alla prima corsa e vincono. D’accordo che non è la prima corsa, perché prima hanno fatto il cross, ma sono destabilizzanti. Non è detto però che il rimedio sia fare cross e mountain bike come loro.
Non male Valverde alla Strade Bianche, ma lontano dal suo topNon male Valverde alla Strade Bianche, ma lontano dal suo top
Qualcuno ci starà pensando, in effetti…
Ricordo che un anno mi trovai ad allenarmi con Mondini, che ai tempi correva con Armstrong e andava agilissimo come Lance. Gli chiesi perché. Oppure ricordo quando correvo con Freire, che in allenamento stava sempre a ruota degli amatori, poi prima di Sanremo e mondiali, faceva dei lunghi dietro moto con suo fratello e vinceva. E’ sbagliato voler emulare corridori che hanno talenti fuori dal comune. Non ne vieni fuori e non serve.
Però intanto Nibali ha lasciato Slongo cercando qualcosa di diverso dai soliti schemi…
Nibali ha fatto bene a cambiare, perché forse quel che mancano sono gli stimoli, ma lui e Valverde non sono esattamente l’espressione di un metodo di ciclismo che ora viene messo in discussione. Non sono mai stati un modello di metodicità. Ragazzi seri, puntuali nel lavoro, ma naif. Vincenzo aveva lo schema Nibali, che comprendeva già in partenza di fare meno giorni di altura di quel che prevede la letteratura scientifica, oppure di dormire un po’ più in basso per avere con sé la famiglia. E’ giusto cambiare, ma non è che cambi pelle.
Che cosa intendi?
Tempo fa ero a correre a piedi in Liguria e ho incontrato gli juniores del Casano, la squadra in cui ho fatto i dilettanti. Passandogli accanto, ho notato che il più basso di loro era alto quanto me. Io non sono mai stato il più basso in squadra: ero il più alto dei bassi e il più basso degli alti. Questo per dire che l’uomo si evolve, le prestazioni crescono e ci sono studi veri che lo dicono. Ganna da U23 ha fatto il record del mondo di inseguimento che Collinelli aveva fatto nel pieno delle sue forze, con l’aerodinamica di oggi che ha migliorato quella del manubrio a canna di fucile di allora.
Ha fatto bene Nibali a cambiare, ma secondo Piepoli per vincere non basta più il 70%Ha fatto bene Nibali a cambiare, ma secondo Piepoli per vincere non basta più il 70%
Quindi?
Quindi si possono inseguire questi giovani più forti, ma sapendo che sono più evoluti di atleti che hanno debuttato 15 anni fa. Ci sta che Nibali faccia fatica e come lui Valverde. Prima per vincere a entrambi bastava essere al 70% e potevano starci per sei mesi all’anno. Ora per vincere devono essere al 98% e ci riescono per quattro settimane. Sono ancora convinto che possano fare grandi cose, ma tutto deve incastrarsi alla perfezione.
E Bettiol come si colloca, lui che è nell’età di mezzo?
Alberto non è troppo lontano da Van der Poel e Van Aert. Se a Van Avermaet servono 10 circostanze favorevoli per batterli, a lui ne basta una. Deve convincersi. E tutto sommato aspettare che scatti questa convinzione per chi lavora con lui è anche frustrante.
VdP si è divertito e ha vinto. Se avesse perso, si sarebbe divertito lo stesso…VdP si è dicvertito e ha vinto. Se avesse perso, si sarebbe divertito lo stesso…
Quindi tornando alla tappa di ieri?
Van der Poel si è divertito e la squadra ha fatto bene a lasciarglielo fare. Magari al Fiandre gli parlerei diversamente: «Aspettiamo che siano stanchi e non siamo per forza noi a doverli stancare». Ma per lui che ha vinto tutto, dal triciclo alla mountain bike, passando per strada e cross, mondiali ed europei, credete che una tappa alla Tirreno rappresenti tanto più del cross del paese? Si è divertito e ha fatto l’impresa. Ma se anche Pogacar lo avesse ripreso, si sarebbe divertito lo stesso.
Ancora poche ore e Alberto Bettiol potrà gareggiare sulle sue strade, quelle di casa, quelle che lo hanno visto crescere. Tuttavia l’asso toscano non arriva al meglio a questa edizione della Strade Bianche.Il suo inverno non è stato dei più facili, ma l’ottimismo non manca.
In questa giornata di vigilia il cielo plumbeo e freddo ha scacciato via la primavera. Evidentemente la “Classica del Nord più a Sud d’Europa”, voleva il clima ideale!
Alberto Bettiol (27 anni) è alla sua ottava stagione da pro’Alberto Bettiol (27 anni) è alla sua ottava stagione da pro’
Inverno complicato
«Quest’inverno – dice il corridore di Castelfiorentino – ho avuto qualche problemino fisico e la condizione è un po’ in ritardo. Ma ne sono consapevole e spero che le prossime gare, soprattutto la Tirreno-Adriatico, mi possano portare a regime.
«Però domani sarà comunque un’emozione. Anche se non sono super pronto correrò con il supporto degli amici, dei familiari. E’ la corsa che vedevo passare da bambino. La Strade Bianche mi piace, quando sto bene è anche adatta alle mie caratteristiche. Conosco le zone e anche qualche strada. Magari sugli sterrati no, ma in allenamento mi è capitato di passarci».
I problemini di cui parla Bettiol riguardano l’aspetto della salute, in particolare dell’intestino. E in qualche modo ci sta ancora combattendo. Nonostante ciò è volato sul Teide, dove ha svolto una buona base e poi ha iniziato a gareggiare all’Etoile de Besseges.
«All’Etoile – dice – sono arrivato davvero con pochi chilometri nelle gambe e infatti ho fatto fatica (foto in apertura, ndr). Teniamo la situazione sotto controllo con il medico che mi sta seguendo e con lo staff della EF Procycling».
Il sole volge al tramonto, in EF Procyclin ormai tutto è pronto per domaniIl sole volge al tramonto, in EF Procyclin ormai tutto è pronto per domani
Esperienza e speranza
Magari dopo l’anomala stagione del covid questo poteva essere l’inverno per cambiare qualcosina nella preparazione, affinare alcune mancanze, ma ciò non è stato possibile.
«Più che cambiare qualcosa – riprende Bettiol – avrei preferito semplicemente stare bene! Però sul Teide ho passato delle belle settimane: caldo, una buona base di chilometri…».
Il re del Fiandre 2019 resta una delle punte del nostro ciclismo. L’obiettivo è ritrovare una certa costanza di rendimento, l’aspetto che forse più è mancato a Bettiol da quando è professionista. Le sue qualità e i suoi numeri infatti non si discutono, Leonardo Piepoli, che lo segue da anni, ci sta sicuramente lavorando.
Ma quel che conta è che le motivazioni non mancano. E anche se come dice Bettiol stesso, la condizione non è al top, la EF Procycling squadra crede in lui. Sarà che è l’unico italiano del team ma la squadra lo ha supportato alla grande per questa gara esaltando il fatto che si corresse nella sua Toscana.
«I miei spazi in virtù di questa condizione? Non so ancora di preciso che squadra ci sarà alla Tirreno-Adriatico, se ci sarà qualcuno che vuol far classifica e quindi che andrà aiutato, ma intanto pensiamo a domani che non sarà facile. La Strade Bianche è una gara particolare in cui oltre alle gambe conta avere una buona posizione in gruppo, sapersi muovere con i giusti tempi. Sarà la mia settima partecipazione, pertanto cercherò di limitare i danni con l’esperienza».
E proprio pensando all’esperienza, ieri Bettiol ha scelto il setup definitivo.
«Per la Strade Bianche pochi cambiamenti, ho scelto i tubelessVittoriada 28 millimetri che danno maggior sicurezza anche per le forature. Altri interventi non se ne fanno. Inoltre la nostra Cannondale Supersix, pur essendo full carbon, è più “morbida” delle altre, più confortevole ed va bene così. Giusto per la Roubaix si fanno interventi più importanti».
Il toscano lo scorso anno fu quarto sull’arrivo di SienaIl toscano lo scorso anno fu quarto sull’arrivo di Siena
Tirreno fondamentale
Bettiol ha nominato la Roubaix, che seguirà il Fiandre. Sono le due classiche del Nord per eccellenza e lui è uomo da Nord. Non potendo essere al top per la Strade Bianche e, forse, neanche per la Sanremo lavorerà pensando a quelle classiche?
«Sicuramente lavoro per quelle corse – conclude Alberto – E per questo credo molto, come ho accennato, nella Tirreno. Quella la sarà la gara che potrà darmi il giusto ritmo, portarmi in condizione, la voglio sfruttare al massimo, nella speranza che fra un mese possa essere in forma. Io voglio arrivare al top ad Harelbeke. E chissà che questo ritardo iniziale non possa favorirmi in vista di quel periodo…».
Prova su strada della Cannondale SuperSix Evo Team replica, si tratta della stessa bicicletta utilizzata dai professionisti della EF Education-Nippo. Fra questi c'è anche Alberto Bettiol, con cui abbiamo parlato per chiedergli qualche impressione. Il corridore toscano ci ha confermato la sua preferenza per questa bicicletta, in quanto si adatta molto bene alle sue necessità: leggera e reattiva in salita, ma anche molto comoda. Pur essendo votata alla salita. la SuperSix Evo ha dimostrato buone doti velocistiche e una grande facilità di guida in discesa.
Presentata nel 2019, la nuova SuperSix Evo è l’ultima versione di una bicicletta che ha fatto la storia del ciclismo. La versione Team replica che abbiamo avuto il piacere di testare è la stessa utilizzata dai professionisti dell’EF Education-Nippo e proprio per questo ne abbiamo parlato anche con Alberto Bettiol, corridore del team americano e vincitore del Giro delle fiandre 2019.
Progetto nuovo
Questa nuova versione rispetto alle precedenti è figlia di un progetto totalmente nuovo e adotta scelte tecniche in linea con le tendenze attuali. Quello che risalta subito all’occhio è la forma dei tubi: non più tondeggiante, ma più squadrata. Il profilo troncato, ben visibile nel tubo verticale e nel reggisella, migliora l’efficienza aerodinamica. Questo è un punto che si fa apprezzare in pianura, infatti un aspetto che ci ha sorpreso è la relativa facilità con cui si raggiungono e si mantengono velocità elevate. Certo non bisogna pensare di essere su una bicicletta aerodinamica, come la sorella SystemSix.
Ben visibile la forma tronca del tubo verticale e l’innesto basso dei foderi obliquiBen visibile la forma tronca del tubo verticale e l’innesto basso dei foderi
In due pezzi
Anche il manubrio HollowGram Save in carbonio unito all’attacco HollowGram Knot in alluminio con il passaggio dei cavi interno contribuisce a un’aerodinamica frontale pulita ed efficiente. Il cockpit in due pezzi offre il vantaggio di un’intercambiabilità maggiore fra i due componenti e permette una regolazione dell’inclinazione di 8 gradi, per una migliore personalizzazione. Il design sottile del manubrio smorza bene le vibrazioni e contribuisce a migliorare il comfort.
Carro compatto
Un punto nevralgico del telaio è il carro posteriore, che è molto compatto. Oltre all’attacco basso dei foderi obliqui, il fodero orizzontale ha una lunghezza di 40,8 centimetri. Un risultato molto interessante calcolando che i telai con i freni a disco necessitano di qualche millimetro in più rispetto a quelli con i rim-brake. Questo potrebbe far pensare a una bicicletta molto rigida e per certi versi scomoda. In realtà, la seconda sorpresa è stato il livello di comfort molto elevato.
Il reggisella HollowGram 27 SL Knot in carbonio lavora in sincronia con il tubo verticale e smorza efficacemente le vibrazioni che arrivano dal terreno. Il carro compatto permette allo stesso tempo di avere una bicicletta che reagisce velocemente ai cambi di ritmo in salita. E proprio questo il terreno dove abbiamo avuto le sensazioni migliori, confermate dai tempi di scalata sulle nostre salite abitudinarie, davvero competitivi.
Il manubrio Save in carbonio con l’attacco Knot in alluminioIl manubrio Save in carbonio con l’attacco Knot in alluminio
Ruote di alto livello
Oltre al peso contenuto della bicicletta, che si attesta a 7,2 chilogrammi, un ruolo importante lo ricoprono le ruote. Le HollowGram 45 Knot SL si sono rivelate molto versatili. Il profilo da 45 millimetri si adatta bene a tutti i terreni, veloci in pianura e leggere in salita. Ma il punto forte è la larghezza del canale interno di 21 millimetri. Questa caratteristica permette ai copertoncini da 25 millimetri di lavorare al meglio, senza creare il famoso effetto mongolfiera, che si ha quando il cerchio è troppo stretto. La differenza sullo smorzamento delle vibrazioni e sulla scorrevolezza è notevole.
Facile da guidare
La Cannondale SuperSix Evo si è dimostrata una bicicletta versatile e facile da guidare anche in discese con asfalto disastrato. Avendola provata per molti giorni, abbiamo apprezzato a fondo l’ottima guidabilità, che permette di correggere eventuali errori di traiettoria senza problemi. Facile da guidare in discesa, veloce in salita, e con un alto livello di comfort, la SuperSix Evo si propone come la bicicletta ideale per i corridori e chiunque ami stare tante ore in sella, su qualunque tipo di percorso.
Il copertone Vittoria si inserisce alla perfezione nel cerchio largo delle HollowGramIl copertone Vittoria si inserisce alla perfezione nel cerchio largo delle HollowGram
Più aerodinamica
A confermare le nostre sensazioni c’è l’opinione di Alberto Bettiol, con cui abbiamo parlato proprio di questa sua bici. «Pedalo su biciclette Cannondale dal 2014 – dice il corridore toscano – e devo dire che l’ultima versione della SuperSix è migliorata sotto molti punti di vista. Per prima cosa il carro posteriore e la forcella sono più rigidi. Ma il grande passo avanti è stato il miglioramento aerodinamico con il passaggio cavi interno e la forma dei tubi più squadrati».
Anche il vincitore del Giro delle Fiandre 2019 si sofferma sul comfort.
«Il canotto sella flette in avanti e indietro smorzando le vibrazioni – ci spiega – però mantiene la rigidità laterale. Conferisce un alto comfort e allo stesso tempo si ha una bella reattività. Questa è una caratteristica voluta dai tecnici Cannondale».
Bettiol ci ha raccontato che alcuni suoi compagni usano un attacco manubrio negativo perché il tubo sterzo a volte risulta troppo alto per le necessità di grande aerodinamica dei professionisti e questo conferma una tendenza di cui avevamo parlato con Angelo Furlan.
Alberto Bettiol con la sua SuperSix Evo all’ultimo Tour de FranceAlberto Bettiol con la sua SuperSix Evo all’ultimo Tour de France
La preferita di Bettiol
Infine, Bettiol ci ha confidato che: «A me piace la SuperSix, anche se i tecnici Cannondale mi dicono che la SystemSix è più veloce. Però per le gare a cui punto io, dove ci sono salite sopra il 6-7 per cento la leggerezza della SuperSix è un valore aggiunto che apprezzo molto».
Fabrizio Guidi, così dice lui per spiegare, è come il bimbo sotto l’albero di Natale che ha adocchiato il pacco più bello. La notizia che dal 2021 il toscano sarà uno dei direttori sportive della Uae Team Emirates è arrivata il 15 dicembre tramite un magro comunicato stampa, in cui se ne elogiava la professionalità. Il ciclismo non è come il calcio: quando si sposta un tecnico, celebrazioni se ne fanno il giusto, come se le sole cose che contino siano gli sponsor e i campioni. Però parlando con Alberto Bettiol pochi giorni dopo, era emerso quanto sia importante il rapporto che lega il campione al direttore sportivo e come per colmare il vuoto non basti scrivere un altro nome nella casella. Forse se il ciclismo imparasse a valorizzare tutti gli attori che ne compongono la scena, darebbe di sé l’immagine che merita. Ma questa è un’altra storia…
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Bettiol se la caverà
Da quando si è sposato con Caroline, Fabrizio vive in Svizzera, a Muensingen vicino Berna. Ha due figli: Elia di 20 anni, Estelle di 17. Per Natale è stato quattro giorni in Toscana, in piena zona rossa. Dal prossimo anno, si diceva, lascia la Ef Pro Cycling e dopo un po’ che parla, ti rendi conto di quanto sia diventato grande il ragazzino che vedemmo passare professionista nel 1995, poi solcare il mondo attraverso nove squadre diverse, con 46 vittorie e una laurea in Scienze Giuridiche, facoltà di Giurisprudenza, con una tesi in diritto penale sulla “giustizia riparativa”.
«Con la Ef Pro Cycling – dice – sono stati sei anni belli, passati bene. Poi il Covid, le incertezze, l’attesa di risposte… Se nel frattempo hai delle opportunità importanti, che fai? Per un anno ci siamo portati dietro delle difficoltà, credo come tutti. Quello che è successo al Giro, il fatto che la squadra pensasse di chiuderlo prima e io abbia detto di voler continuare, non ha inciso nella scelta. Certo la comunicazione non è andata come doveva. Io ho detto quello che pensavo e non è stato l’ideale, ma dopo tanti anni non può essere questo che mette in crisi un rapporto di fiducia. Il problema è stato da un lato l’incertezza e dall’altro l’occasione che si è presentata. Non me ne sono andato sbattendo la porta. Quanto a Bettiol… Alberto è maturato tanto, non è più spaesato come all’inizio. E’ responsabile, non l’ho abbandonato in un cesto come qualcuno fa coi bimbi – ride alla battuta – sa camminare da solo».
Il gruppo vince
La Uae Team Emirates sta spingendo forte sul gas e dopo un 2020 di vittorie, ha intrapreso una campagna di rinforzi che ha visto anche l’arrivo di Fabio Baldato sul fronte dei tecnici e un mercato potente quanto agli atleti, con Trentin e Majka come punte di diamante e insieme lo scouting di talenti giovani come lo spagnolo Juan Ayuso, piazzato per ora al Team Colpack.
Dopo il debutto alla Nippo, dal 2011 al 2014 è con Riis e Contador alla Saxo BankDal 2011 al 2014 con Riis e Contador alla Saxo Bank
«Se guardo al futuro e ai corridori che ci sono – riprende Guidi – vedo margine e un progetto, che anche a me offre delle prospettive. Sono orgoglioso che mi abbiano chiamato. Con Gianetti ho diviso anche la camera ai tempi del Team Coast. Ha idee innovative, ci scambiavamo messaggi da tempo e l’ultimo è stato decisivo. Arrivo adesso, sono l’ultimo. E’ presto per dire cosa farò, ne parleremo in ritiro. Nelle squadre si ottiene il massimo se si lavora in gruppo, se la comunicazione funziona e i corridori capiscono di avere dietro una società forte. Se nascono i gruppetti, è la fine. Conosco tanti direttori di quel gruppo, sono 11 anni che siamo sulle stesse strade. Baldato, Marzano, Pedrazzini, Mori… c’è tanta Italia, anche se l’idea è renderla sempre più internazionale. E per diventare una squadra forte, si deve andare in questa direzione».
Lingue e culture
L’ideale per uno che parla quattro lingue e ha corso in team italiani, francesi, tedeschi, americani, svizzeri, danesi e sudafricani e che da direttore si è fatto le ossa nella Saxo Bank di Bjarne Riis e poi alla Ef Pro Cycling di Jonathan Vaughters. E a pensarci bene, non è solo per la lingua: il dialogo fra direttore e corridore deve arrivare a un livello molto più profondo.
«Ho esperienza in questo senso – spiega – perché l’ho imparato durante la mia carriera di corridore. Se riesci a comunicare nella sua lingua, il corridore si apre, nasce l’empatia e lui di colpo è disposto a ricevere i consigli. Sei stato corridore, sai quali tasti toccare. Come quando tiri di sciabola e fai centro: quello che hai infilzato se ne accorge, lo sente e il messaggio arriva. E non è solo la lingua, giusto. Se conosci le varie culture, sai anche come è cresciuto il ragazzo che hai di fronte. Sai a cosa è abituato uno cresciuto in Francia, di quali informazioni dettagliate sul percorso ha bisogno il belga, sai come prendere l’italiano, sai di quale clima psicologico ha bisogno il colombiano. Sai a cosa sono abituati, sai che ci sono mentalità diverse e di quali input hanno bisogno per ambientarsi. Mi sono fatto anche questa formazione e ci riesci solo quando esci dall’Italia. Alla Francaise des Jeux ero l’unico italiano e ho sempre corso in team che erano crogiuoli di nazionalità diverse».
Nel 2015 inizia l’avventura con Vaughters alla Cannondale, con Formolo che vince a La Spezia. Fra i due c’è Cristian SalvatoNel 2015 alla Cannondale e Formolo vince a La Spezia
La sfida del tempo
E al contrario di quello che abbiamo raccolto in precedenti interviste, parlando del tempo che passa e porta via le abitudini più radicate, il suo atteggiamento è quello curioso che si dovrebbe avere davanti alla grammatica di una nuova lingua.
«Sono diventato direttore sportivo WorldTour con Riis – dice – e campioni come Contador. Ma non c’è solo il campione. Quando finisci di correre e cambi lavoro, smetti di pensare a te stesso e ti concentri sugli altri. Cerchi soluzioni, attingendo a quello che serve, a quello che hai. Come se avessimo ciascuno un barile pieno delle esperienze fatte e dovessimo cercarci dentro gli strumenti con cui affrontare il mondo che cambia, facendo sintesi. I corridori che arrivano adesso crescono nel mondo dei social, noi più grandi non possiamo buttare tutto pretendendo di rimanere legati a com’era prima. Sarà che ho un figlio di 20 anni che va all’università di Zurigo. Questi cambiamenti sono un’opportunità, il modo di restare giovani. E’ un nuovo registro di comunicazione, se vuoi anche una sfida. Se ti fermi smetti di imparare. E’ Natale, ho davanti il primo ritiro, faccio il lavoro che mi piace. Sapete una cosa? Sono proprio contento».