Il giovanissimo Jakob Omrzel, classe 2006, quest’anno si è fatto notare da tutto il mondo, vincendo il Giro Next Gen e, forse cosa ancora più sorprendente, il campionato nazionale sloveno elite. Prestazioni che per la prossima stagione gli sono valse il grande salto, dalla development alla prima squadra della Bahrain Victorious.
In attesa di vederlo in azione nel WorldTour nel 2026, per scoprire qualcosa di più del nuovo campioncino sloveno, abbiamo contattato Paolo Longo Borghini, che lo segue da vicino in qualità di uomo Northwave. L’azienda veneta si è infatti legata ad Omrzel con un nuovo contratto che li legherà per i prossimi quattro anni.
Dopo dieci anni da professionista Paolo Longo Borghini si divide tra il ruolo di regolatore di corsa per Rcs e uomo marketing di NorthwaveDopo dieci anni da professionista Longo Borghini si divide tra il ruolo di regolatore di corsa per Rcs e uomo marketing di Northwave
Paolo, perché avete scelto di mettere sotto contratto Omrzel?
In realtà era già con noi da due anni. Lui è sotto contratto con i Carera e noi abbiamo un ottimo rapporto con loro, ce l’hanno proposto quando correva alla continental del Bahrain. Sappiamo che quella è un’età difficile per i ragazzi, per questo abbiamo sempre cercato di aiutare i giovani, già dai tempi di Ganna. Questa scommessa fatta tempo fa ci ha portato ad avere tra noi il vincitore del Giro Next Gen e dei campionati nazionali sloveni, quindi in questo caso è stata una scommessa ottima.
Quindi rinnovare il contratto è stato quasi automatico?
Sì, abbiamo deciso di rinnovare il contratto a lungo termine, diciamo per l’intera durata di quello che ha con il team. Un segnale del fatto che non vogliamo mettere assolutamente pressione ad un ragazzo così giovane, dargli fiducia nel futuro. Siamo sicuri che i numeri li ha, ma non vogliamo creare altra pressione in un mondo che ne ha già abbastanza. E’ anche la stessa l’idea che la squadra ha per lui.
Jakob Omrzel quest’anno ha trionfato al Giro Next Gen (foto La Presse)Jakob Omrzel quest’anno ha trionfato al Giro Next Gen (foto La Presse)
Che tipo di corridore può diventare secondo te?
Quando sei giovane e sei così forte, vai bene un po’ dappertutto. Poi tra i professionisti dovrà trovare la sua dimensione, com’è normale. lo lo vedo molto bene per le corse a tappe, non a caso ha vinto il Giro Next Gen che è già una corsa di altissimo livello
Parliamo del materiale. Che scarpe utilizza Omrzel?
E’ un ragazzo che sa cosa vuole, fino dagli anni passati non ha maiavuto problemi néchiesto personalizzazioni particolari. Usa le scarpe standard, quelle che chiunque può trovare in negozio, anche se le sue come tutte quelle dei professionisti, le assembliamo noi in azienda. Il modello che usa è la Veloce Extreme, il nostro top di gamma da strada. La stessa che usano Ganna e i suoi compagni di squadra Caruso e Mohoric.
Il giovane sloveno ha nel palmares anche la Paris-Roubaix Juniores del 2024, segno della sua completezza (foto Christophe Dague/DirectVelo)Il giovane sloveno ha nel palmares anche la Paris-Roubaix Juniores del 2024, segno della sua completezza (foto Christophe Dague/DirectVelo)
Invece umanamente com’è, tu che l’hai conosciuto?
Ti dà l’idea di essere un ragazzo molto riservato, quasi in soggezione di fronte ad uno staff tecnico come il nostro. Poi parlandoci invece è molto interessato e molto maturo. Come dicevo: si vede che sa quello che vuole. E’ molto pacato ma sotto ha una gran voglia di sapere, si interessa dei dettagli tecnici, vuole capire, non è che ogni cosa gli vada bene. Questo è utile anche a noi, sappiamo che ora dobbiamo essere al 110 per cento, dobbiamo sempre arrivare al top dal punto di vista tecnico.
Esservi legati ad uno dei più importanti prospetti del futuro sembra indicare che ci riuscite…
La nostra è un’azienda abbastanza piccola, non siamo dei giganti come altri nostri competitor, ma siamo molto contenti dei risultati che riusciamo a raggiungere. E’ frutto anche del rapporto familiare che instauriamo con gli atleti. Riusciamo a mettere a loro agio i ragazzi e questo è un aspetto molto importante.
C’è molta curiosità su cosa potrà fare Omrzel al suo primo anno tra i professionisti, ma l’importante è non eccedere con la pressione (foto abastianelph)C’è molta curiosità su cosa potrà fare Omrzel al suo primo anno tra i professionisti, ma l’importante è non eccedere con la pressione (foto abastianelph)
Oltre alla Veloce Extreme Omrzel avrà in dotazione altri modelli?
Il modello è quello, ma ci saranno delle grandi novità per il prossimo anno. Ci stiamo già lavorando con i ragazzi, per ora non posso dire di più. Se non che ci impegniamo per essere sempre all’avanguardia in un mondo che va velocissimo e che è sempre più spinto in ogni dettaglio.
Come azienda puntate a qualche risultato particolare per il 2026? Magari iniziando dalla Sanremo con Ganna…
Abbiamo con noi campioni che ci permettono di pensare in grande sia nelle classiche che nelle tappe dei grandi giri. Per esempio crediamo molto in De Lie che ha fatto un bel finale di stagione. E certamente anche in Filippo, non solo per la Sanremo, ricordiamoci che l’anno scorsoper poco non vinceva la Tirreno-Adriatico. Ma anche Mohoric, che ha avuto un’annata non facile ma sappiamo di cosa è capace, certamente non vedrà l’ora di mettersi di nuovo in mostra. Come anche lo stesso Omrzel. Sempre senza mettergli nessuna pressione, naturalmente. Ma perché no, in una corsa minore potrebbe già iniziare a farsi vedere tra i grandi.
Sedici anni di carriera professionistica, al servizio di molti capitani, nove vittorie, 15 Grandi Giri e 27 classiche monumento disputate, sei squadre… sono i numeri di Davide Cimolai che ha deciso di lasciare le corse. E così ecco un altro ragazzo, dopo Gianluca Brambilla o Giacomo Nizzolo, che appende la bici al famoso chiodo.
Sarebbe però sbagliato sintetizzare la carriera di uno dei corridori più sensibili (e lasciateci aggiungere, educati) del gruppo solo con i numeri. “Cimo” è stato ed è molto, molto di più. Quando risponde al telefono il suo tono è squillante. «Sono felice»: è una delle prime frasi che ci dice. E si sente. Inizia subito a parlarci di progetti, di aver smesso per sua scelta e con serenità. E questo è un aspetto vitale.
Febbraio 2010, Cimolai esordisce tra i pro’ al Tour de San Luis (a destra Chicchi in maglia di leader)Febbraio 2010, Cimolai esordisce tra i pro’ al Tour de San Luis (a destra Chicchi in maglia di leader)
Cimo, dunque, partiamo proprio da questi progetti che ci hai accennato. Ci sono due strade: un sogno a lungo termine e un’altra più concreta e a breve termine. Puoi spiegarci?
Uno è al di fuori del mondo sportivo, nel settore dell’agricoltura, un settore che mi è sempre piaciuto, ma per ora, poiché è davvero in alto mare, preferisco non parlarne.
E l’altro invece?
Mira a restare nel ciclismo. Non voglio abbandonare completamente il mondo delle due ruote. Sedici anni di esperienza professionale sono un bagaglio prezioso da non lasciare cadere nel vuoto e non lo voglio sprecare. L’obiettivo dunque è trasmettere la mia esperienza, in particolare ai giovani. Sto gettando le basi per aprire uno “studio” con il quale seguire ragazzi e atleti. Fargli vivere questo sport con professionalità ma anche con passione. L’annuncio arriverà quando tutto sarà pronto.
Parlaci un po’ delle ragioni del tuo ritiro. Quando hai cominciato a maturare l’idea nella tua testa?
Parto dall’inizio della stagione per dare un quadro completo e farvi capire bene. Avevo iniziato quest’anno con l’intenzione di correre un altro anno, quindi fino a tutto il 2026, ma la realtà è stata subito diversa dalle mie aspettative.
Ottobre 2025, l’ultima gara al Tour de Guangxi. Dalla foto precedente a questa, per Cimolai ben 1.126 giorni di corsaOttobre 2025, l’ultima gara al Tour de Guangxi. Dalla foto precedente a questa, per Cimolai ben 1.126 giorni di corsa
Si è rivelata una stagione difficile? Tu stesso ce ne parlasti a Trieste prima della partenza del campionato italiano…
In Oman ho avuto una brutta influenza che mi ha costretto a correre debilitato. Poi, anche se non avrei dovuto, ho continuato anche al UAE Tour visto che ero già lì. La squadra mi ha coinvolto all’ultimo e, credetemi, ho dato tutto e giocato di mestiere solo per finirlo. Idem con alcune corse dopo, tra cui la Strade Bianche e alcune classiche del Nord. Dovevo andare al Giro d’Italia, quindi sono andato al Romandia ed è successo il fatto più grave.
Quale?
Ho avuto una grave infezione al braccio, a seguito di una ferita che avevo trascurato. Vi dico solo che c’è stato bisogno del ricovero e ho rischiato l’amputazione del braccio stesso. Ma il problema maggiore, per assurdo, non è stato tanto il braccio, quanto le dosi massicce di antibiotici che ho dovuto fare.
Perché?
Mi hanno debilitato moltissimo. Per dire: io non avevo mai avuto un’otite in vita mia, in poche settimane ne ho avute tre. Questi problemi mi hanno impedito di raggiungere il 100 per cento della condizione, fatto essenziale per essere competitivo e divertirsi, specialmente a 36 anni.
Il friulano (classe 1989) ha vinto la sua prima gara da pro’ nel 2015 a LaiguegliaIl friulano (classe 1989) ha vinto la sua prima gara da pro’ nel 2015 a Laigueglia
E oggi, come dicono tutti i corridori, devi essere al top. Non puoi andare in corsa solo per costruire la condizione…
Esatto, proprio questo volevo dire. Di fatto sono stati tre mesi durissimi. Tre mesi in cui ho quasi smesso di correre. Sono andato a Livigno, sono riuscito a prepararmi bene e così ho affrontato discretamente alcune corse: Vallonia e Polonia. Ma in Polonia ho preso, come molti altri, il Covid in modo pesante. Alla fine questo accumulo di difficoltà fisiche e mentali soprattutto mi ha fatto capire che il percorso professionale era giunto al termine. E io avevo giurato fedeltà alla squadra un altro anno.
Però ti hanno spesso richiamato all’ultimo. Non credevamo saresti voluto restare in Movistar…
Non ero così disposto a cercare altre opzioni. Tra l’altro io sono un gregario, un uomo squadra. Non un leader che decide di fare questa o quella corsa. E per me questo significa essere pronti e disponibili quando ti chiamano. Essere professionali.
Quanto ha inciso anche la questione Gaviria che non ha rinnovato? Ricordiamo che tu eri, o saresti dovuto essere, il suo ultimo uomo…
Ha inciso parecchio. Ha inciso nella valorizzazione del mio lavoro di supporto. Forse con una vittoria in più le cose anche per me sarebbero cambiate. Tuttavia sono orgoglioso del mio impegno e del nuovo ruolo che mi sono ritagliato: stare vicino ai giovani, aiutarli a crescere. Attenzione però, non vorrei che passasse il messaggio che smetto con rimpianti o scuse. No, semplicemente la realtà è stata questa.
Il progetto con Gaviria alla Movistar non è andato benissimo. Tante sfortune per entrambiIl progetto con Gaviria alla Movistar non è andato benissimo. Tante sfortune per entrambi
E con realismo hai fatto una scelta. Davide, invece come ha reagito la tua famiglia a questa decisione?
Avevo già accennato ai familiari e agli amici l’eventualità del ritiro. La mia compagna, Alessia, in tutti questi anni è stata il mio più grande sostegno, il mio punto di riferimento. Mi ha sempre incoraggiato a continuare, anche nei momenti più difficili, come per esempio dopo l’esperienza con Cofidis. Lì ho rischiato parecchio. Ma lei era sicura che sarebbe arrivata una chiamata da parte di un’altra squadra. Ora anche lei è felice della mia decisione… anche perché mi vedrà più spesso a casa. Anzi, se posso dirlo, è un mese che sono a casa e per certi aspetti era più comoda la vita da atleta!
“Cimo”, cosa ricordi dalla prima gara con i professionisti?
Ricordo il mio debutto nel 2010 al Tour de San Luis in Argentina. Ero con la Liquigas. Da dilettante ero abituato a vincere e a prendere vento in faccia solo per fare la volata. Al San Luis il mio capitano per gli sprint era Francesco Chicchi. Così subito mi ritrovai a tirare per chiudere sulla fuga. E a tirare per portarlo davanti allo sprint. In squadra però c’era anche Vincenzo Nibali. Succede che Vincenzo vince la crono e va in maglia… Ancora peggio per me! Davanti sin da subito per difendere il primato.
Insomma hai capito subito l’antifona!
Esatto, ho subito capito la differenza. Però è stato anche bello vedere come con i premi potevi fare più soldi del tuo dispendio. All’epoca passai in quello che era uno squadrone come Liquigas, ma partii con il minimo. Prendevo davvero poco. I premi in quegli anni erano ancora in contanti e tornai a casa con un bel po’ di dollari. Anche questa fu una sorpresa, ma bella!
Davide, con la sua compagna Alessia e le sue figlie Mia e Nina (immagine Instagram)Davide, con la sua compagna Alessia e le sue figlie Mia e Nina (immagine Instagram)
E invece dal San Luis 2010 al Tour de Guangxi 2025, quanto è cambiato il tuo fisico?
Sostanzialmente le mie caratteristiche fisiche sono rimaste simili, ma negli ultimi anni, grazie a un allenamento in palestra oggi molto più continuo rispetto al passato, ho aumentato la mia massa muscolare. Mediamente un chilo in più… Il contrario di quel che accadeva un tempo.
E Davide, come uomo com’è cambiato nel tempo?
E’ cambiato il ciclismo, forse in modo più interessante. E con la maturità che ho ora, con l’impegno che ci ho messo negli ultimi anni, soprattutto con la voglia di faticare, con la sopportazione alla fatica, mi sono reso conto che prima avrei potuto, tra virgolette, impegnarmi di più. Non sono qui a dire che avrei vinto di più. No, le cose sono andate così e ne sono contento. Dico solo che all’epoca le cose mi venivano più facili. Facevo il mio, con grande impegno, però stop. Invece col senno di poi avevo un altro step per arrivare al 100 per cento. Mi sono reso conto che mentalmente ero “fragile”.
C’è stato un cambiamento graduale nella tua resistenza alla fatica oppure hai vissuto un momento spartiacque netto?
E’ stato graduale, ma me lo ha fatto capire il preparatore che ho avuto in Movistar, Leonardo Piepoli. Lui mi è stato davvero d’aiuto, mi ha fatto maturare, mi ha fatto vedere le cose in un’altra prospettiva. Anche gli allenamenti stessi, insomma. Analizzando come mi ero allenato gli anni precedenti, mi ha detto chiaramente che potevo fare di più a livello numerico durante la preparazione.
Davide è stato anche più volte in azzurro: ha corso tre mondiali e quattro europeiDavide è stato anche più volte in azzurro: ha corso tre mondiali e quattro europei
Qual è stata la corsa, in tanti anni di professionismo, che ogni volta ti emozionava di più? Quella che sentivi davvero?
La Sanremo – replica secco Cimolai – perché l’ho sempre sognata. Sarà che sono italiano, boh. Ricordo che, prima del Covid quando era ancora aperta ai velocisti, partendo da Milano non vedevo l’ora di arrivare sul Poggio sapendo che il dilemma era se fare la volata o tirarla. Capite: davo per scontato che avrei superato il Poggio. Oggi è impossibile. E poi anche il Fiandre mi dava forti emozioni. Ho avuto la fortuna di correrlo diverse volte e l’atmosfera che si vive lassù, ragazzi, è incredibile. E poi un corridore non è un vero professionista se non prova a fare e a finire un Tour de France.
Interessante: perché?
Ricordo molto bene il mio primo Tour, anche perché è quello in cui ho sfiorato il podio in una tappa. Poi sarà che l’ho vissuto con spensieratezza e non sentivo lo stress che genera la Grande Boucle. L’ho fatto cinque volte (dal 2013 al 2017, ndr) e ogni volta sono arrivato a Parigi. L’emozione di entrare sugli Champs Elysées è rimasta la stessa ogni anno. Questo è il ricordo più bello del Tour.
L’entrata ai Campi Elisi, emozioni sempre forti per CimolaiL’entrata ai Campi Elisi, emozioni sempre forti per Cimolai
Visto che vuoi lavorare con i giovani, lasciamo a te la parola: se potessi dare un messaggio a un allievo che oggi inizia il ciclismo, cosa diresti?
Parto con un esempio. Quando a luglio mi ritrovavo a Livigno tanti anni fa, e lassù incontravo un allievo o uno junior gli dicevo: «Ragazzi, ma cosa fate quassù alla vostra età? Andate a mangiarvi una pizza al mare. Pedalate sì, ma rilassatevi in un altro modo, non venite a fare i professionisti». Ero di quella filosofia.
E di quella scuola…
Esatto, ma adesso che piaccia o no, il ciclismo è cambiato. Perciò oggi dico che già l’allievo deve essere mentalizzato a fare ciò che io facevo magari da under 23, se non nei primi anni da professionista. E’ tutto anticipato. Questa non è una cosa che mi piace, ma è così. E se vuoi fare il professionista devi accettarla, adattarti. A 20-21 anni devi essere già al top della carriera. Prima certe cose e certe mentalità si facevano e si avevano a 20-22 anni, adesso le devi avere a 15. Devi avere già il tuo sogno nel cassetto: passare professionista. Io ce l’avevo in mente a 18-19 anni. A quell’età avevo l’idea fissa di correre e diventare pro’. Oggi bisogna anticipare un po’ i tempi.
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Per una volta la famiglia di Giorgia Pellizotti ha lasciato a casa il camper per seguire la prima trasferta di Coppa del mondo di ciclocross. Il freddo di Tabor, cittadina a sud-est della Repubblica Ceca, non ha perdonato e hanno preferito viaggiare in macchina. La giovane di casa Pellizotti ha raccolto un promettente podio al suo esordio stagionale in Coppa del mondo, corso in maglia azzurra.
«Sono stata con la nazionale – racconta Giorgia Pellizotti, proprio in queste ore impegnata nella prova di Flamanville – fino a dopo la corsa, domenica mattina, poi sono tornata a casa con i miei genitori. Il viaggio era parecchio lungo e a me non piace molto stare seduta in macchina per troppe ore, così ci siamo fermati a un mercatino di Natale lungo la strada. Adoro questa festa e volevo assolutamente vederne uno, poi in Austria ci sono quelli più belli. Ci siamo fermati un’altra volta, in Friuli, per cenare e infine siamo arrivati a casa. Anche perché lunedì mattina c’era la presentazione del FAS Airport Service-Guerciotti-Premac (suo nuovo team per la stagione 2025/2026 di ciclocross, ndr)».
Giorgia Pellizotti ha conquistato il terzo posto alle spalle di Barbara Bukovska e Lise Revol a TaborGiorgia Pellizotti ha conquistato il terzo posto alle spalle di Barbara Bukovska e Lise Revol a Tabor
Il ritmo delle grandi
A Tabor, Davanti a Giorgia Pellizotti si sono piazzate le due dominatrici della passata stagione sul fango: Barbara Bukovska, Repubblica Ceca e Lise Revol, Francia. La francese è anche campionessa del mondo di ciclocross in carica di categoria. Il distacco della nostra azzurra è stato di ventisei secondi, un divario che non ha lasciato spazio a sogni di gloria. Ma Giorgia Pellizotti guarda con fiducia a questo risultato.
«Bukovska e Revool sono le più forti – analizza – però le altre sono tutte al mio livello. In realtà devo dire che le sensazioni in gara erano molto positive, sentivo di potermela giocare. Purtroppo al terzo giro, mentre ero attaccata al duo di testa, sono scivolata. Si è aperto un margine che non sono più riuscita a colmare. Diciamo che sono al loro livello, ma non posso permettermi di perdere nemmeno un metro. Non sono ossessionata dal raggiungerle, insieme al mio preparatore abbiamo deciso di non esagerare con gli allenamenti e di fare tutto con i giusti tempi».
Da quest’anno Giorgia Pellizotti nel cross corre con il team Fas Airport Service-Guerciotti-PremacDa quest’anno Giorgia Pellizotti nel cross corre con il team Fas Airport Service-Guerciotti-Premac
La Coppa del mondo è un obiettivo?
Vorrei fare tutte le prove del calendario perché mi piacerebbe giocarmi il podio, anche se adesso insieme al team stiamo programmando il periodo di Natale. La squadra andrà in Belgio a correre (ce lo aveva detto anche Patrick Pezzo Rosola, ndr) e cercheremo di capire come incastrare i vari impegni.
Come hai approcciato questa seconda stagione da junior?
Sento di migliorare costantemente rispetto all’anno scorso, anche gli obiettivi sono cambiati. Se prima volevo fare esperienze nuove quest’anno, invece, voglio puntare un po’ più in alto. Per il resto non è che ci siano grandi differenze. Ho deciso di cambiare squadra per poter fare qualche gara in più in Belgio, per tenere il ritmo delle prime e migliorare ulteriormente.
La sabbia rimane un terreno difficile da digerire per l’azzurra, sia in bici che nella corsa a piediLa sabbia rimane un terreno difficile da digerire per l’azzurra, sia in bici che nella corsa a piedi
Quali sono le corse in cui vorresti migliorare?
Il grande obiettivo è riuscire a fare il podio e vincere una gara del calendario X2O Trophée, alle prime tre viene data una papera di gomma e la sogno da quando l’ho vista la prima volta (ride, ndr). Entrando nell’ambito tecnico vorrei migliorare il più possibile sulla sabbia, non è ancora il mio terreno. Mentre per il finale di stagione cercherò di arrivare in forma al mondiale, che si correrà a Hulst dove lo scorso anno ho ottenuto il mio miglior piazzamento in Coppa del mondo (quinta, ndr). Sarebbe bello ripetersi, o addirittura migliorare.
Sulla sabbia come si migliora?
Mi manca un po’ di potenza, sia nella pedalata che nella parte di corsa a piedi. Quando risalgo in bici sento di avere le gambe affaticate, non pronte allo sforzo. All’europeo, corso due settimane fa, c’erano tanti tratti in sabbia e ho fatto fatica. Il quarto posto (Giorgia Pellizotti successivamente è stata squalificata a causa di problemi con la bici, ndr) è stato un buon risultato.
La stagione nel cross di Giorgia Pellizotti è iniziata alla grande, con cinque vittorie in nove giorni di garaLa stagione nel cross di Giorgia Pellizotti è iniziata alla grande, con cinque vittorie in nove giorni di gara
Hai pensato anche alla strada?
Sto valutando di fare qualche gara in più il prossimo anno, visto che il mio livello è buono. Un obiettivo del 2026 sarà provare a entrare nel giro della nazionale anche su strada. E’ l’unica maglia azzurra che mi manca. Vorrei trovare il modo di partecipare a gare internazionali, come il Piccolo Trofeo Binda, ma dovrei trovare un team per correre oppure una squadra mista. Però al momento non ci penso molto, tra cross e scuola ho pochissimo tempo.
A proposito, come stanno andando gli studi?
Bene, sono al quarto anno del liceo scientifico sportivo. Noto che sta diventando sempre più difficile seguire il programma, visto che gli argomenti si complicano. Non è sempre facile studiare in furgone o in macchina tornando a casa dalle trasferte. Le giornate sono parecchio impegnative, tra scuola, allenamenti e studio mi alzo presto e finisco a mezzanotte. Per fortuna la scuola è vicino a casa, ad appena sei chilometri.
Vai in bici anche a scuola?
A volte capita, quando mamma e papà non possono accompagnarmi in macchina mi tocca pedalare anche lì!
Milano ha ospitato nei giorni scorsi un corso accelerato per illustrare ai neoprofessionisti italiani che cosa li aspetta. L’iniziativa è ormai un appuntamento tradizionale che coinvolge tutte le parti principali del movimento nazionale, dalla Federazione alla Lega. Quest’anno l’evento allestito al Palazzo del Coni dall’ACCPI ha coinvolto un numero maggiore di ragazzi rispetto al solito, ben 22 new entry grazie anche al passaggio fra le Professional dell’MBH Bank. Con loro anche la neopro Matilde Vitillo, approdata alla LIV AlUla Jayco, mentre erano assenti Francesca Pellegrini (Uno-X Mobility) e Federica Venturelli (UAE Team ADQ).
A raccontare l’iniziativa è il presidente dell’ACCPI Cristian Salvato, che ha subito fortemente creduto nella sua importanza, ancor di più oggi che il ciclismo sembra immerso in un frullatore da dove emergono continue novità: «Tutto è nato anni fa, se non ricordo male la prima edizione risale al 2010. E’ curiosa la storia della genesi di quest’iniziativa: l’idea è nata perché avevo visto un articolo su Danilo Gallinari, quando è approdato all’NBA. Era già un giocatore professionista, ma appena approdato lo hanno portato in un albergo per fargli fare una full immersion di 3-4 giorni dove gli hanno spiegato tutte le regole di quel mondo, dalla circonferenza del pallone a come gestire i soldi del post carriera. Noi certo non siamo l’NBA, ma abbiamo pensato a questo corso per dar loro spiegazioni sui diritti e i doveri del corridore».
Al corso hanno partecipato 22 ragazzi, fra cui 6 dei Devo Team. Presente anche Matilde Vitillo approdata alla Liv Jayco AlUlaAl corso hanno partecipato 22 ragazzi, fra cui 6 dei Devo Team. Presente anche Matilde Vitillo approdata alla Liv Jayco AlUla
Il corso si è evoluto negli anni?
Moltissimo. Siamo cresciuti, abbiamo aggiunto sempre più cose e contributi. Vediamo che ha un buon successo, è apprezzato dai ragazzi. Ad esempio quest’anno abbiamo dedicato uno spazio particolare alla spiegazione del Protocollo Adams per l’antidoping. Ai ragazzi spiegavo che nel corso degli anni potranno cambiare squadra, amicizie, morose, ma quel che non cambierà sarà proprio il Protocollo finché saranno professionisti…
Ti sarebbe servito un corso simile quando sei passato professionista tu, nel 1995?
Altroché… Quando sono passato, nessuno mi ha spiegato niente tranne il classico compagno di camera che ti accennava qualcosa. Erano altri tempi, sicuramente. C’erano anche manager da Far West e aver avuto un’istruzione sarebbe stato molto importante per quanto riguarda i diritti contrattuali. I contratti erano dei lenzuoli e i pagamenti erano un po’ più… a maglie larghe, diciamo che erano più “creativi”.
Cristian Salvato, presidente ACCPI, ha tenuto un intervento spiegando diritti e doveri del corridoreCristian Salvato, presidente ACCPI, ha tenuto un intervento spiegando diritti e doveri del corridore
La situazione relativa è migliorata?
Sicuramente. A parte che i contratti sono di anno in anno, di contestazioni ne trovo veramente poche, anche perché ci sono le fidejussioni, i diritti. Ma c’è un altro aspetto che mi colpisce ed è l’età media sempre più giovane. Io quando sono passato professionista ero al quinto anno da dilettante, ma era abbastanza normale, anche perché c’era il blocco olimpico. A 21 anni passavano i fenomeni. Adesso invece un ragazzo al primo anno è già qui.
Com’era strutturato il corso?
Avevamo numerosi contributi, ognuno con un team specifico: del Protocollo Adams hanno parlato Martino Pezzetta dell’UCI Lega Anti-doping Service e Carmel Chabloz dell’agenzia ITA. Altri argomenti erano Contratti e Istituzioni dei Team Professionistici. Benessere e salute mentale dell’atleta. Premi, diritti e doveri del corridore. Rapporto con i media e utilizzo dei social. I ragazzi hanno seguito tutto con grande interesse, emozionandosi quando da Gand si è videocollegato Elia Viviani, in una pausa della Sei Giorni.
In videocollegamento da Gand erano presenti anche il cittì Marco Villa e Elia VivianiIn videocollegamento da Gand erano presenti anche il cittì Marco Villa e Elia Viviani
Un segno della maturità diversa che hanno i ragazzi?
Per certi versi sì, secondo me per loro è anche più complicato orientarsi per ragazzi così giovani che hanno anche un riferimento in più nei procuratori e nei loro interessi non sempre coincidenti con quelli dei loro protetti. Io l’esempio che faccio sempre è quello di Lorenzo Finn, un talento assoluto, vincitore del titolo mondiale da junior e subito dopo anche da Under 23. Poteva passare direttamente, invece ha scelto di fare due anni da dilettante, perché sa che quelle esperienze che accumulerà gli verranno utili. Io credo che sia proprio l’esempio perfetto da portare di come bisognerebbe passare professionista.
Come giudichi una presenza così massiccia di corridori?
Certamente il gruppo MBH Bank aggiungeva presenze, ben 8 solo di quel gruppo, ma ce n’erano anche 6 di devo team del WorldTour con unico assente Agostinacchio perché in gara nel ciclocross. Tutti ragazzi, quello un po’ più grande era Gaffuri.
Mattia Gaffuri era il più grande d’età presente al corso con i suoi 26 anniMattia Gaffuri era il più grande d’età presente al corso con i suoi 26 anni
Che segnale è?
Io credo sempre a un rinascimento del ciclismo italiano. E’ un bene che abbiamo quattro squadre Professional, purtroppo non sono di altissimo livello per il budget a disposizione, non per la qualità degli sponsor e anche dei manager che le seguono. Ma il dio denaro comanda sempre di più.
Una cosa che sta emergendo sempre più è che molti ragazzi lasciano la scuola per seguire il loro sogno ciclistico. Avveniva anche ai tempi tuoi?
Diciamo ai tempi miei eravamo di più che sacrificavamo la scuola per il ciclismo. Adesso la scuola è un po’ cambiata, io mi ricordo che ai tempi miei c’erano dei professori che mi guardavano male quando chiedevo un permesso per andare a fare una gara o per un ritiro. Adesso i ragazzi hanno delle facilitazioni e molta più comprensione, è molto meglio. Tra i ragazzi avevamo Gaffuri che ha già una laurea e altri 2-3 ragazzi che seguono corsi universitari, quindi la situazione è migliore di quanto si pensi.
I ragazzi hanno mostrato grande attenzione per tutta la durata del corso, concentrato in una giornataI ragazzi hanno mostrato grande attenzione per tutta la durata del corso, concentrato in una giornata
I ragazzi come si sono comportati?
Meglio di quanto pensassi. Parliamo di ragazzi giovani, tenerli chiusi per un giorno dentro una sala è quasi una tortura. Eppure ho visto che i telefonini li tenevano in tasca ed erano interessati a quel che veniva detto, anche perché negli anni abbiamo raffinato sempre di più quello che gli proponiamo. Ad esempio l’intervento di Marco Velo sui dispositivi di sicurezza, su com’è costruita la carovana sulla strada. Faceva delle domande e la maggior parte non sapeva come muoversi al suo interno e dove sono posizionate le varie parti. Li vedevo attenti.
Hai avuto la sensazione della consapevolezza di dove sono, di quello che li aspetta?
Questa è una bella domanda. Dipende molto dalla persona. Rispetto a una volta il salto da professionista è molto più grande, io vedevo un professionista come una star. Adesso i ragazzi sono già a contatto con i pro’ nelle corse open, c’è una contaminazione diversa, quindi sono più preparati, abituati.
L’inverno di Davide Stella lo ha visto pedalare in giro per il mondo tra parquet e strada, dal mondiale di Santiago del Cile su pista al Criterium a Singapore con Vingegaard e Milan. Ma per il classe 2006 del UAE Team Emirates Gen Z il richiamo della Sei Giorni di Gand è stato troppo forte per rinunciare quella che è la gara più bella per gli amanti di questa disciplina. Una settimana nel cuore del ciclismo, tra birre, giri di pista a velocità folli, musica e un mare di gente.
«Ero venuto qui anche lo scorso anno – racconta Stella – e quella di Gand si conferma una delle Sei Giorni più belle da correre in assoluto. La manifestazione prevede anche gare per la categoria under 23, le giornate sono meno frenetiche e si ha modo di guardare i grandi darsele di santa ragione.
A sinistra Matteo Fiorin con Davide Stella, i due hanno corso insieme alla Sei Giorni di GandA sinistra Matteo Fiorin con Davide Stella, i due hanno corso insieme alla Sei Giorni di Gand
Preparatori e pista
Alla Sei Giorni di Gand le gare iniziano alla sera, intorno alle 18,30, con le prove riservate agli under 23. Dopo un’ora e mezzo nella quale i giovani scaldano il pubblico, come se ce ne fosse bisogno, entrano in pista i pezzi da novanta. Lo spettacolo inizia e per Stella e gli altri si apre il sipario sul mondo che verrà.
«Nella Sei Giorni di noi under – spiega ancora Stella – si corre molto meno rispetto agli elite, cosa che in questa parte dell’anno va anche bene. Siamo nel mezzo della ripresa invernale e i preparatori ci fanno fare tante ore a bassa intensità. Diciamo che una corsa in pista contrasta un po’ con il programma, però per una settimana si può fare. Anzi, io mi sento di stare meglio. Per i primi tre giorni noi under 23 correvamo due gare: una corsa a punti singola con due manche, dove le coppie venivano divise in numeri bianchi e neri. Poi la seconda prova era il giro lanciato. Mentre gli altri tre giorni avevamo la madison al posto della corsa a punti».
Stella e Fiorin hanno corso nelle gare riservate agli under 23Stella e Fiorin hanno corso nelle gare riservate agli under 23
Hai corso in coppia con Fiorin, come vi siete organizzati con la logistica?
Eravamo in trasferta con la nazionale, quindi l’alloggio e gli spostamenti ce li hanno organizzati loro. Per il resto ci organizzavamo noi la giornata: la sveglia era abbastanza comoda visto che correvamo la sera. Io avevo con me anche la bici da strada e uscivo per fare qualche ora di allenamento. Una volta tornato riposavo, insieme a Fiorin giocavamo a Mario Kart e poi si andava in pista.
Che clima c’era una volta arrivati?
L’atmosfera era bellissima, uno spettacolo unico. E’ sia una corsa di ciclismo che uno show. Ogni sera dopo le nostre gare ci fermavamo a guardare quelle degli elite e ci siamo divertiti tantissimo, soprattutto perché era l’ultima in pista di Elia Viviani. Essere presenti a questo addio, dopo averlo visto vincere il mondiale qualche mese fa, è stato emozionante.
Trovare un posto libero sulle tribune del velodromo di Gand durante la sei giorni è praticamente impossibileIl pubblico acclama ogni corridori, tutti sono protagonisti durante l’eventoTrovare un posto libero sulle tribune del velodromo di Gand durante la sei giorni è praticamente impossibileIl pubblico acclama ogni corridori, tutti sono protagonisti durante l’evento
Quanto prima correvate?
Questione di minuti, noi iniziavamo alle 18,30 mentre gli elite alle 20. La cosa bella è che potevamo scegliere se sederci in tribuna o rimanere in mezzo ai corridori. Per vedere bene la corsa era meglio andare in tribuna, ma facevamo fatica a trovare un posto libero (ride, ndr).
Com’è vivere la corsa tra il pubblico?
Bello perché la maggior parte della gente se ne intende di ciclismo, tutti sanno come funzionano le varie prove. Poi in Belgio conoscono tutti i ciclisti, prendevano d’assalto anche me! Il più gettonato però era Viviani, diciamo che tra la sua carriera e la maglia di campione del mondo era difficile che passasse inosservato.
A Gand l’evento porta con sé sei giorni di festa e divertimentoA Gand l’evento porta con sé sei giorni di festa e divertimento
Siete stati anche con Viviani?
Andavamo spesso a trovarlo tra una gara e l’altra. Però loro rimanevano poco nel parterre, tra una gara e l’altra ci saranno stati forse venti minuti di pausa. Ci siamo goduti ogni momento, poi sono arrivati anche Lamon, Ganna e Consonni per fargli una sorpresa e siamo stati tanto anche con loro. Diciamo che le sere una birretta post gara ce la siamo bevuta, mentre intorno a noi andava avanti la festa.
Una vera festa, che effetto fa viverla in prima persona?
Il DJ della Sei Giorni penso sia uno dei più bravi che abbia mai visto. Per prima cosa se ne intende di ciclismo e capisce i movimenti della corsa e dei corridori. Ogni atleta, quando attacca, ha la sua colonna sonora. Oppure a ogni passaggio o situazione lui cambia ritmo e coinvolge tutto il pubblico. Quando correvamo nel giro lanciato ogni coppia poteva scegliersi la canzone che preferiva.
La Sei Giorni di Gand è stata l’ultima corsa su pista di Viviani, qui con Scartezzini, Ganna e Consonni che sono venuti a fargli una sorpresaScartezzini insieme a Viviani durante l’ultimo giorno di gara durante il saluto finaleFilippo Ganna e Simone Consonni sono arrivati per salutare l’amico e compagno di tante avventure su strada e pista
Tu e Fiorin che canzone avete scelto?
Pedro di Raffaella Carrà, il remix. Mentre Viviani aveva “Sarà perché ti amo” dei Ricchi e Poveri.
Quindi appuntamento per il 2026?
Speriamo in un altro invito! Adesso ho collezionato tre maglie della Sei Giorni. I colori li decidono l’organizzazione insieme agli sponsor. Quest’anno insieme a Fiorin avevo il verde. Poi lui non ha corso l’ultimo giorno perché è stato male, mi sono trovato a correre con un belga. Così ora a casa ho anche una maglia rossa.
Senza grandi proclami, Tommaso Cafueri prosegue il suo cammino di crescita, su strada e nel cross. Se c’è una caratteristica che lo contraddistingue è la costanza, che lo porta a farsi vedere su strada e a emergere quando possibile nell’attività sui prati, dove si è già ritagliato un ruolo di “primo degli umani” dietro le due grandi stelle internazionali Mattia Agostinacchio e Stefano Viezzi che raccolgono soddisfazioni anche all’estero.
L’arrivo di Cafueri a Cantoira, una vittoria non sufficiente per fargli vincere il Giro delle RegioniL’arrivo di Cafueri a Cantoira, una vittoria non sufficiente per fargli vincere il Giro delle Regioni
Mai fuori dai primi 10
Nello scorso fine settimana il friulano si è preso il lusso di conquistare la tappa finale del Giro delle Regioni, portando decisamente sul positivo la lancetta della sua stagione.
«L’anno scorso ho avuto, da giugno 2024, un po’ di complicazioni – dice – tra infortuni, vari cambiamenti e altro. Quindi la stagione scorsa non era andata molto bene. Tutto questo 2025 l’ho passato a ricostruire tutto quello che avevo perso l’anno precedente, quindi ero arrivato abbastanza preparato, tenevo ad avere risposte e nel complesso devo dire che è iniziata bene anche se non ho fatto grossissimi risultati. O almeno non prima di Cantoira. Ma sono stato molto costante, perché non sono mai uscito dai 10».
Il friulano della DP66 Pinarello in gara a Osoppo. Per lui l’obiettivo è rientrare in nazionale (foto Billiani)Il friulano della DP66 Pinarello in gara a Osoppo. Per lui l’obiettivo è rientrare in nazionale (foto Billiani)
A Cantoira è stata più la gioia per la vittoria o il dispiacere per quel punto mancante per vincere la classifica finale?
Per me era la seconda vittoria, avevo vinto il weekend prima a Roverchiara. Ero contento sicuramente di aver vinto, sapevo che era un po’ difficile prendere la maglia del Giro all’ultima tappa anche se mancava Scappini. Ho dato tutto, ma quando sono arrivato ero cosciente che quel punto faceva la differenza e che Folcarelli ne aveva tenuto conto.
Che cosa significa competere nella stessa categoria con due dei più forti al mondo?
Beh, sicuramente dà morale, nel senso che sono due ragazzi che fanno da riferimento a livello internazionale, quindi quando vengono qui in Italia, in quelle poche gare dove riusciamo a confrontarci con loro, sicuramente è un bel punto di riferimento che ci stimola sempre di più anche a noi a crescere.
Durante la stagione estiva il corridore della Trevigiani si è disimpegnato anche nel gravelDurante la stagione estiva il corridore della Trevigiani si è disimpegnato anche nel gravel
Tu sei in crescita di condizione, due vittorie in stagione. L’obiettivo a questo punto è riuscire a entrare appunto in nazionale dietro loro due?
Sì, anche perché finora probabilmente non ho ancora convinto abbastanza il cittì Pontoni per farmi convocare, quindi devo cercare di fare ancora qualche altra bella prestazione e concentrarmi in vista dei prossimi obiettivi, dimostrare che posso meritarmi anch’io quella convocazione.
Tu l’anno prossimo sarai sempre alla Trevigiani. De Candido ha detto che sei uno dei due confermati per la prossima stagione. Come ti trovi con il nuovo diesse?
All’inizio ci siamo dovuti capire. Lui doveva anche entrare un po’ in sintonia con la categoria, perché comunque gestire una nazionale a livello juniores e gestire una Continental a livello under 23 è tutta un’altra cosa, c’è una mentalità diversa. Quindi ci siamo dovuti venire incontro e dopo piano piano ci siamo trovati. Io mi sto trovando molto bene, è molto disponibile, ci stiamo sentendo anche tutt’ora, si interessa molto della mia attività invernale. Quindi finisco il ciclocross e poi quando sarà tempo di girare pagina mi concentrerò bene sulla strada e parlerò per bene con Rino dei futuri obiettivi.
Cafueri (a sinistra) è con Fabbro uno dei due confermati alla Trevigiani anche per il prossimo annoCafueri è con Fabbro uno dei due confermati alla Trevigiani anche per il prossimo anno
Ciclocross e strada: hai una preferenza fra le due?
Mi piace di più il cross, lo sento più mio e mi diverto maggiormente, ovviamente anche quando vado su strada punto sempre a dare il massimo, ma lì l’aspetto ludico traspare meno. Comunque con i giusti tempi, i giusti riposi, si cerca sempre di dare il massimo in tutte e due le discipline.
Il ciclocross è una specialità più individuale, la strada un po’ più di squadra. Che ruolo riesci a ritagliarti nelle prove su strada?
Quest’anno ho lavorato molto nel treno per il velocista che avevamo, Riccardo Fabbro. Ho lavorato spesso per tenere davanti il treno o comunque nelle battute finali, per portarlo nella miglior posizione e poi lanciare il penultimo uomo, ma ho anche provato tante fughe. Presumo che il prossimo anno sarà un po’ diverso e spero che Rino riesca a darmi anche un po’ più di fiducia, me l’ha già detto, quindi sicuramente in gare vallonate e un po’ dure, cercherò di farmi valere.
Ora mirino puntato sui campionati italiani e poi sulla strada, alla ricerca di soddisfazioni personaliOra mirino puntato sui campionati italiani e poi sulla strada, alla ricerca di soddisfazioni personali
Adesso fai il ciclista a tempo pieno?
Diciamo di sì, anche se sono iscritto alla facoltà di Scienze Motorie e voglio andare avanti con gli studi. Per il momento do la preminenza all’attività per vedere dove mi porterà. Ora mi sto preparando al meglio per i campionati italiani, poi si vedrà come andrà la il finale di stagione.
La monocorona ha un futuro anche in ambito strada,ma per esseresfruttata al massimo deve essere ben contestualizzata e personalizzata. Dopo aver provato l’ultima versioneCampagnolo Super Record 13, l’obiettivo era testare la medesima trasmissione, ma con corona singola anteriore.
La trasmissione 1X (non si tratta della versione X) a tratti è una sorpresa, mostra un valore tecnico ed è un’opzione. Per certi versi è una conferma (considerando il background di test precedenti e l’ampio utilizzo in ambito gravel race) ed il pacchetto con i 13 pignoni offre delle garanzie di sfruttabilità all-round. Può risultare “dura” ed impegnativa nel corso delle salite pendenti. Entriamo nel cuore del test e dei nostri riscontri.
La corona singola offre un impatto ancor più aggressivoLa corona singola offre un impatto ancor più aggressivo
Una Canyon Aeroad CF SLX
Campagnolo ci ha fornito un missile terra-aria per sviluppare la nostra prova. La base di lavoro consiste nel frame-kit Canyon Aeroad CF SLX (taglia S), cockpit e reggisella Canyon, sella di Selle Italia e ruote Campagnolo Bora Ultra WTO 60 gommate Continental GP5000s TR (tubeless da 30). Trasmissione 1×13 Super Record, 50 denti per la corona anteriore (con power meter Campagnolo e corona “piena” in alluminio) ecassetta pignoni 11-36. Da sottolineare la presenza del manettino sinistro con la sola leva del freno, senza elettronica e specifico per la configurazione monocorona.
Come è facile immaginare, nessun deragliatore montato sulla bici. Il peso rilevato (senza pedali) della bici appena descritta? 7,23 chilogrammi (con portaborraccia e supporto Garmin al manubrio), significa una bici da 7 chili e mezzo (circa) con i pedali.
L’impatto frontale dei manettini non cambiaManettino sinistro, niente elettronica e solo la leva del frenoQuello di destra è mutuato dalla nuova piattaforma Super Record 13Lo shifter destro completo di tuttoL’impatto frontale dei manettini non cambiaManettino sinistro, niente elettronica e solo la leva del frenoQuello di destra è mutuato dalla nuova piattaforma Super Record 13Lo shifter destro completo di tutto
Bilanciere posteriore e manettino sinistro
Il cambio posteriore è specifico per i pacchetti monocorona e per la piattaforma all-road con la doppia davanti. E’ dotato di stabilizzatore Nano-Clutch che mantiene la catena in tensione in diverse situazioni, fondamentale per una monocorona. E’ particolarmente utile per non far saltare la catena anche durante gli sprint più cattivi.
Lo shifter sinistro non porta in dote l’elettronica e l’unica leva presente è quella del freno. Non è presente neppure lo Smart Button superiore e questo a nostro parere può essere un limite. Un bottone in più su questo shifter, sempre considerando una sfruttabilità massimizzata, non avrebbe guastato.
Denti con disegno specifico per “trattenere” ancor meglio la catenaLa faccia interna della corona, scavata ed alleggeritaDenti con disegno specifico per “trattenere” ancor meglio la catenaLa faccia interna della corona, scavata ed alleggerita
Serve del tempo per abituarsi?
In realtà non molto. Più si usa una trasmissione 1X e più ci si rende conto che per sfruttarla un po’ ovunque, al massimo delle sue potenzialità e in un’uscita di 100 chilometri, con oltre 1.000 metri di dislivello positivo, la chiave di volta è mantenere un’agilità (rpm) elevata.
La parola d’ordine è non imballare le gambe, fattore che andrebbe sempre considerato (anche con la doppia corona anteriore), che diventaancora più importante con la monocorona, perché i margini di risposo e di recupero (durante l’attività) si accorciano notevolmente.
Il limite è la salita dura, non i tratti dove si riesce a fare velocitàIl limite è la salita dura, non i tratti dove si riesce a fare velocità
Quando si affronta la salita
Partiamo dal presupposto che, a nostro parere, la combinazione 50/11-36 stradale è un punto di riferimento (per ciclisti non professionisti). Durante le salite lunghe ed arcigne mette alla prova, ma si può gestire e nei tratti veloci mostra sviluppi metrici abbastanza equilibrati.
I 13 rapporti posteriori hanno “tre blocchi”ben distinti tra loro. Quello basso, 11-12-13 adatto per fare velocità ed eventualmente spingere di forza. Il blocco mediano con i pignoni dal 14 al 20 (senza il 17 e il 19), una scala adatta a mulinare le gambe oltre le 90 rpm e fare velocità anche sui tratti vallonati, con una buona gradualità. Il terzo blocco è composto dal 23-26-29-32-36, da considerare quando la strada sale.
Mancano (a nostro parere) un 21 ed un 27, pensando allo stradista che passa dal doppio plateau ad una monocorona: pignoni che diventano una sorta di bypass. E’ pur vero che i pignoni sono 13 e non si può inserire tutto. Il salto dal 23 al 26 è importante, così come dal 26 al 29. Sono cambi di ritmo non secondari e quando la strada sale è un aspetto da tenere ben presente.
Il corpo centrale dove è integrato Nano Clutch, ovvero lo stabilizzatoreBilanciere wireless con pulegge differenziate e pignoni 11-36Tutto passa (sempre) tramite la app MyCampyIl corpo centrale dove è integrato Nano Clutch, ovvero lo stabilizzatoreBilanciere wireless con pulegge differenziate e pignoni 11-36Tutto passa (sempre) tramite la app MyCampy
Numeri ed accostamenti
Vogliamo partire da un esempio, perché il limite della monocorona diventa la salita dura. Una combinazione 50×32, corrisponde indicativamente (considerando lo sviluppo metrico, al netto delle frizioni difficili da quantificare) ad un 44×28 circa: è tanta roba da spingere). Il 50×36 corrisponde indicativamente ad un 37×28, poco più poco meno: gestibile, ma a tratti impegnativo. Al di là dei watt disponibili nelle gambe e dalle pedalate medie sostenibili dal ciclista, la monocorona diventa impegnativa nel lungo periodo e su pendenze che si protraggono oltre il 10% per minuti.
Il peso della bici
Il peso della bici assume un valore chiave. Nell’economia di una performance nel medio/lungo periodo, infatti, iniziare a risparmiare 4-6-7 watt per chilogrammo di peso (considerando il binomio bici/ciclista) non ha prezzo. Non ha prezzo in termini di forza espressa, di battiti cardiaci e di kilojoule. In pianura, in discesa e nei tratti di lieve pendenza, dove si riesce a fare/mantenere velocità, la monocorona non ha nulla da invidiare alla doppia corona, ma con salite oltre l’8% di pendenza media le difficoltà emergono.
E’ pur vero che non è obbligatorio andare a tutta ad ogni uscitaE’ pur vero che non è obbligatorio andare a tutta ad ogni uscita
In conclusione
Una trasmissione monocorona piazzata su una bici da strada è una valida opzione. A nostro parere non è una scelta definitiva capace di accontentare tutti. In base alla configurazione dei rapporti, permette di fare molto, ma non tutto, a patto che non si sconfini sulle trasmissioni ibride gravel (altro argomento). Nell’ottica di un ragionamento ad ampio spettro, il limite di una trasmissione 1X possono essere lasalita lunga con pendenze elevateed i percorsi dove la catena è costantemente in tiro. Crediamo che, sia altrettanto giusto considerare che la categoria della monocorona in ambito road debba essere ancora ufficialmente sdoganata, digerita ed assimilata da tutte le categorie di utilizzatori, proprio come è accaduto per le bici con i freni a disco.
Usare una corona singola anteriore (su strada) è qualcosa di intrigante. Ripercorrere le medesime strade e mettersi alla prova negli stessi contesti dove si è sempre pedalato con una bici standard (al limite con una gravel), permette anche di capire quanto sia importante l’allestimento della bici. E quanta differenza può fare e quanto il pacchetto bici nella sua completezza ci permette di stare o oltrepassare la zona comfort.
Domenica scorsa è iniziata la Coppa del Mondo di ciclocross: 12 tappe, da Tabor a Hoogerheide, passando anche per la Sardegna e la Spagna. Per l’Italia, quest’anno più che mai, almeno questa è la sensazione, è una challenge intrigante, soprattutto per le categorie giovanili. E ce lo spiega bene il commissario tecnico, Daniele Pontoni.
A Tabor, dominata da un Thibau Nys sempre più convincente e maturo, e da Lucinda Brand, i nostri giovani si sono comportati più che bene. Con Pontoni vogliamo capire cosa aspettarci da questa Coppa: quali tappe vedremo per i nostri ragazzi, dove potremo essere protagonisti e con quali ambizioni.
Il cittì Pontoni con Nicole Azzetti a MiddelkerkeIl cittì Pontoni con Nicole Azzetti a Middelkerke
Quindi, Daniele: 12 tappe avvincenti. Cosa ti aspetti dai nostri in questa Coppa del Mondo?
Come apertura direi che siamo partiti molto bene, perché ottenere quattro podi nella stessa prova di Coppa del Mondo, considerando anche la categoria elite, è qualcosa che non era mai accaduto. Noi, come negli ultimi 4-5 anni seguiremo le sei prove riservate alle categorie Juniores (maschile e femminile) e under 23 maschile.
E quali sono queste tappe? Ricordiamolo…
Tabor, che si è appena corsa, poi Flamanville. Avremo il 21 e il 28 dicembre Koksijde e Dendermonde, per poi passare alle ultime due prove di gennaio, Benidorm e Hoogerheide, che sono due classiche vere e proprie. La categoria elite avrà un calendario doppio rispetto agli altri, ma per quanto ci riguarda quelle gare verranno affrontate dai club. Terremo comunque monitorata la situazione.
L’inizio a Tabor, ma più in generale tutta la stagione, non è stato affatto male…
Abbiamo cominciato facendo una rotazione ampia tra gli juniores: ne abbiamo convocati sei, dopo i quattro portati agli europei, più quattro donne. A Flamanville faremo ancora rotazione tra i ragazzi, dopodiché credo che manterremo un gruppo numeroso per le due prove in Belgio, prima di fare una selezione dopo i campionati Italiani, dove avremo le idee già più chiare su chi andrà al mondiale. Le aspettative sono buone: i ragazzi stanno tutti bene, il trend è positivo e lo sarà anche in futuro. Nelle prime due prove internazionali, gli europei e Tabor, ci siamo trovati in condizioni alle quali non siamo abituati, ma ne siamo usciti molto bene.
Mattia Agostinacchio durante l’europeo. Pontoni e il suo staff avevano preparato bene la parte della corsa piediMattia Agostinacchio durante l’europeo. Pontoni e il suo staff avevano preparato bene la parte della corsa piedi
A cosa ti riferisci? Al terreno?
Mi riferisco alla sabbia di Middelkerke e alle temperature polari di Tabor, con diversi gradi sotto zero domenica mattina. I ragazzi hanno risposto bene anche sotto questo punto di vista. A Flamanville troveremo un terreno diverso, perché è prevista parecchia pioggia. Speriamo di arrivarci senza intoppi: avevamo programmato il volo per essere tranquilli, ma lo sciopero di ieri ci ha complicato un po’ le cose.
Hai già toccato un tema importante: i percorsi. Quali delle sei tappe vedi, sulla carta, più adatte ai nostri?
Sulla carta avrei sempre escluso i terreni sabbiosi, però i ragazzi hanno dimostrato negli ultimi anni di saperci fare: sono andati bene a Middelkerke e l’anno scorso a Zonhoven, dove Agostinacchio ha vinto e Pellizzotti ha fatto molto bene. Nonostante qualche problema in partenza, anche le ragazze avrebbero potuto ottenere di più. Temevo sempre queste trasferte, ora devo dire che non mi fanno più paura.
Una bella presa di fiducia e consapevolezza…
Sanno dove andranno a correre, sanno che tipologia di percorso troveranno, perché ormai li studiano su YouTube e arrivano preparati. Per Middelkerke abbiamo lavorato molto sulla corsa a piedi, che si è rivelata ancora più importante del previsto. E anche domenica il fattore meteo influirà molto. Si sta andando verso la pioggia, quindi ci sarà un terreno abbastanza insidioso. Però i percorsi li metterei in secondo piano
Perché?
L’importante è che i ragazzi arrivino pronti e chiaramente serve anche una dose di fortuna, perché se ti capita qualcosa durante la corsa, magari devi fare dei tratti a piedi o succede un guaio lontano dai box, può sempre influire sulla prestazione.
La sabbia, storicamente terreno ostico per gli azzurri, adesso non fa più pauraLa sabbia, storicamente terreno ostico per gli azzurri, adesso non fa più paura
Piccolo passo indietro, ma restando sui percorsi: perché secondo te i ragazzi sono migliorati sulla sabbia? Ci avete lavorato? E’ una questione di materiali?
Indubbiamente questi ragazzi sanno andare molto bene, in maniera importante. L’equilibrio (fisico e mentale), il lavoro fatto su questo aspetto e il fatto di sapere per tempo come devono prepararsi ha aiutato molto. Loro seguono attentamente sia le indicazioni del team sia quelle che diamo noi. Quest’anno abbiamo fatto una riunione con tutti i ragazzi e con le loro squadre: avevamo già fornito un’infarinatura su come impostare la stagione e, insieme ai ragazzi del team performance, abbiamo dato delle linee guida generali per i macrocicli. In modo tale da arrivare agli appuntamenti importanti nel miglior modo possibile.
Un’impostazione corale, di sistema. Nonostante sia sempre più difficile, visto che l’età del richiamo della strada si abbassa sempre di più.
E’ il ciclismo moderno: bisogna fare di necessità virtù. Più andiamo avanti, più serve programmare tutto con largo anticipo: questo diventa fondamentale. Avere dei ragazzi che ti seguono facilita il lavoro, perché è più semplice per loro, e di conseguenza per noi, arrivare ai risultati.
Abbiamo parlato in generale, ma ti chiediamo un paio di nomi da cui ti aspetti davvero tanto…
Per quest’anno da Grigolini e Pezzo Rosola mi aspetto molto. Ma terrei d’occhio anche Dell’Olio e Cingolani per il futuro. Fare i nomi non è mai semplice, però spero che possa inserirsi anche qualcun altro.
La Pellizotti punta a ripetere il podio e sarà la prima a scendere in garaLa Pellizotti punta a ripetere il podio e sarà la prima a scendere in gara
E tra le ragazze?
Giorgia Pellizotti nel primo anno ha mostrato cose molto interessanti. Lo stesso vale per Elisa Bianchi, che ha finalmente ottenuto un ottimo risultato in Coppa e potrebbe essere subito dietro di lei. Penso poi ad Azzetti: questo podio non è da sottovalutare. E abbiamo anche Peruta e Righetto.
E tra gli Under 23?
Abbiamo Viezzi e Agostinacchio: anche qui disponiamo di un doppio asso. E tra le donne c’è chiaramente Sara Casasola. Ma attenzione anche al bell’inizio di stagione di Lucia Bramati: se confermasse questi progressi sarebbe una grande notizia, anche perché è al primo anno di categoria.
Insomma: pochi (neanche tanto), ma buoni…
Tra le under 23 donne al momento abbiamo Elisa Ferri: non è da podio, ma è una ragazza che conosciamo da tanto tempo, l’ho seguita dal primo anno, e in ottica Team Relay è fondamentale. E’ l’atleta che ci può consentire di portare avanti anche questa specialità. In generale mi auguro che, magari nel periodo natalizio, possa ritrovarmi qualche ragazzo o ragazza a cui tengo particolarmente e che possa essere con noi. Ma chiaramente non dipende solo da me, bensì dai loro team.
Faccia a faccia con Chris Mannaerts, manager del ciclocross di Flanders Classics. Ecco come è nata l'idea di correre sulla neve. E qual è il vero obiettivo
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Il Team Ineos Grenadiers ha scelto di affidarsi allo schema che lo rese grande in passato. A partire dallo scorso Tour, ha rimesso al centro di tutto sir David Brailsford e al suo fianco ha collocato Geraint Thomas – è notizia fresca di ieri – nel ruolo di Race Director. Inutile sottolineare che proprio la presenza del suo vecchio mentore ha spinto Thomas ad accettare l’incarico. Assieme a lui, ha conquistato due ori olimpici e persino il Tour de France.
«Era molto più semplice con “Dave” al vertice – aveva detto il gallese durante il Tour del 2024 – c’era chiarezza su tutto. Prima era un processo semplice, mentre ora è diventato molto più complicato. Sembra di essere guidati da un governo di coalizione».
Il Tour del 2019 è stato l’ultimo della Ineos, vinto da Bernal davanti a Thomas. Al centro c’era BrailsfordIl Tour del 2019 è stato l’ultimo della Ineos, vinto da Bernal davanti a Thomas. Al centro c’era Brailsford
Il ritorno del mastermind
Brailsford è stato per anni il cervello pensante del ciclismo britannico. Era lui a prendere le decisioni cruciali e fu lui a guidare la nazionale ai suoi ori olimpici e poi il Team Sky all’incetta di Tour dal 2012 al 2019, che sarebbe stata ininterrotta se Nibali non li avesse fatti deragliare nel 2014.
Seguiva le corse con il suo truck extra lusso e se ne andò solo quando capo Ratcliffe decise di investire forte nella vela e di entrare nell’azionariato del Manchester United. Vista l’importanza dello sforzo, volle a capo delle operazioni l’uomo che aveva fatto del ciclismo britannico il centro del mondo. In qualche modo questo segnò la fine del dominio e l’incapacità di rispondere al crescere vertiginoso di UAE Emirates e Visma Lease a Bike.
«E’ come un bambino in un negozio di dolciumi – ha detto John Allert, CEO del team al momento di accoglierlo allo scorso Tour – parla di salite e di ritorno in montagna. Il ciclismo è il campo di battaglia che conosce e ama, lo abbiamo accolto di nuovo in squadra a braccia aperte. Non è un’arma segreta per noi, ma abbiamo intenzione di sfruttarlo al massimo. E fantastico averlo di nuovo».
Thymen Arensman ha vinto due tappe all’ultimo Tour ed è stato il primo della Ineos in classifica: “solo” 12°Thymen Arensman ha vinto due tappe all’ultimo Tour ed è stato il primo della Ineos in classifica: “solo” 12°
Lo slancio di Thomas
Oltre ad essere intervenuto (pare) in modo diretto sulla selezione degli uomini per il Tour (al punto che il Team Ineos è stato l’ultimo ad annunciare l’organico), Brailsford ha fermato gran parte delle trattative di mercato giunte quasi a conclusione. Ha preteso di valutare il valore economico delle trattative e il corrispettivo tecnico, cancellando alcune operazioni a suo dire troppo costose.
Di tutto questo Brailsford non parla, non lo ha fatto per tutta la durata del Tour e poi si è nuovamente eclissato, dedicandosi alla rifondazione. La Ineos Grenadiers ha vinto per l’ultima volta il Tour nel 2019 con Bernal e poi il Giro del 2020 con Tao Geoghegan Hart e quello del 2021 ancora con il colombiano, quindi si è… fermata.
«Questa squadra è stata la mia casa fin dal primo giorno – ha detto Geraint Thomas – e assumere questo ruolo mi sembra un passo naturale. Ho imparato tantissimo dalle persone che mi circondano, dai miei colleghi ciclisti e dallo staff, e ora voglio continuare a costruire sui nostri incredibili successi passati, anche in futuro. Sono entusiasta di aiutare la prossima generazione a crescere, a trasmettere quell’esperienza e a continuare a spingere la squadra verso la nostra missione: vincere di nuovo i Grandi Giri. I Grenadiers continueranno a gareggiare con determinazione, umiltà e impegno per l’eccellenza, e sono entusiasta di contribuire a plasmare questo futuro».
Il Tour 2025 è stato l’ultimo per Thomas, che vinse quello del 2018 (foto di apertura) guidato proprio da BrailsfordIl Tour 2025 è stato l’ultimo per Thomas, che vinse quello del 2018 (foto di apertura) guidato proprio da Brailsford
Si riparte da umiltà e umorismo
E’ un fatto che il vecchio Team Sky avesse così tanta ricchezza di mezzi, uomini, tecnologia e scienza, che poteva permettersi di trascurare alcuni fronti e nel farlo ha probabilmente peccato di superbia. Ha puntato su corridori che non sono mai venuti fuori in modo compiuto: Carlos Rodriguez, ad esempio, e per certi versi anche Tom Pidcock. Il nuovo corso prevede ad esempio la nascita del devo team, che mancava fortemente, con la possibilità di far crescere in casa i corridori utili al rilancio del team. E forse anche aver proposto a Elia Viviani di diventare direttore sportivo, dopo che la precedente gestione lo aveva accantonato, relegandolo a un’attività di livello inferiore, serve a far percepire il cambio di direzione.
«Geraint incarna perfettamente cosa significhi essere un Grenadier – ha spiegato Brailsford in una nota ufficiale – ha vissuto e respirato prestazioni d’elite per tutta la sua carriera. Si è posto obiettivi molto ambiziosi e li ha sempre raggiunti. Sa cosa comporta il processo, come affrontare gli alti e bassi dello sport. La sua disponibilità a condividere tutto questo e a fare da mentore ad altri perché riescano a fare lo stesso è una grande risorsa per la squadra. Il fatto che sia rimasto così umile e abbia sempre mantenuto un grande senso dell’umorismo sono altre ottime qualità da portare nel suo nuovo ruolo».